le badanti “integrate”

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le badanti “integrate”
OPINIONI
VISTI
VIZI DA
E VIRTU’
FUORI
S
LE BADANTI “INTEGRATE”
di Maria Venturi
i fa chiamare Anna. Arrivò in Italia sette anni fa, dal sud dell’Albania, e come molte straniere dal
nome impronunciabile si affrettò a cercarsene un altro. «Se lavori con i bambini o con gli anziani», spiega, «devi metterli in condizione di chiamarti senza problemi». Anna ha imparato perfettamente la nostra lingua e sta vivendo il momento forse più felice della sua vita: da due anni ha
ottenuto il sospirato permesso di soggiorno e si è inserita in una famiglia che le paga i contributi, riconosce il lavoro che svolge e, due volte all’anno, le concede due settimane di ferie per raggiungere i
figli nel suo Paese di origine.
Anna “bada” alla madre novantenne di una mia amica e vive con lei al pianterreno di una villetta: in quelli superiori abitano le due figlie dell’anziana con i loro mariti.
E’ una situazione ideale in quanto concilia l’indipendenza dei tre nuclei con lo stare vicini. Anna non soltanto è riuscita a “domare” la bizzosa, autoritaria e vitalissima matriarca-padrona conquistandosi la sua
fiducia incondizionata, ma è diventata un punto di riferimento per l’intera famiglia, nipotini compresi.
Quando le faccio osservare che è la badante ideale, lei replica con prontezza: «Sono le brave famiglie a
fare le brave badanti». E’ una quarantacinquenne acuta, saggia, dotata di un connaturato senso dell’umorismo. Durante i primi cinque anni di soggiorno in Italia ha cambiato tre famiglie, e di due conserva un ricordo amarissimo: «Accudivo a due anziani praticamente abbandonati dalle famiglie: figli e nuore arrivavano in visita una volta alla settimana, quando andava bene con un cabaret di paste e l’evidente fretta di tornarsene a casa. Quando leggo sui giornali di badanti che imbottiscono gli anziani di sedativi, o li legano al
letto per poter uscire, mi indigno soprattutto per i figli. Talmente assenti da non accorgersi di aver delegato ad una persona sbagliata l’assistenza dei loro congiunti. E talmente egoisti da non assumersi il minimo
di controlli e di responsabilità. Salvo andare in escandescenze quando si trovano di fronte al “fattaccio” di
cronaca».
Anna, dall’alto della sua esperienza, riesce oggi a radiografare con grande lucidità e un pizzico di umorismo la realtà delle famiglie italiane e la condizione degli anziani.
Integrata nel quartiere in cui vive, a contatto con molte amiche connazionali che fanno il suo stesso lavoro,
sciorina una casistica da osservatorio privilegiato: «I posti di lavoro più pesanti sono quelli che ti portano a
contatto con il vecchio padre o la vecchia madre di figli maschi. A gestire la situazione e i rapporti con le badanti sono le nuore, ovvero le mogli dei figli. E’ raro che due cognate vadano d’accordo: e la badante diventa la
valvola di sfogo per frustrazioni, gelosie, antagonismi. L’una contesta la badante scelta dall’altra: spende troppo, tiene sporca la casa, è una furbetta... Quando serve un intervento, una presenza, una decisione, o le cognate giocano a scaricabarile, (“tocca a te, tu sei più libera, io ho già fatto troppo”) oppure sono smaniose di prendere in mano la situazione con
ruolo da protagoniste. Ho visto e
sentito di molti fratelli legatissimi,
che con il tempo hanno spezzato
ogni intesa per colpa delle mogli
che li mettono uno contro l’altro.
Arrivano a litigare per soldi, per
oggetti da spartirsi, per eredità da
tutelare…».
Si parla tanto di integrazione
degli stranieri. Grazie ad Anna,
ho capito che le badanti appartengono alla categoria più “integrata”: nel bene e nel male, la loro
esistenza rispecchia le famiglie in
cui vivono e dalle quali vengono
condizionate.
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