La Sagrada Familia - pellegrinaggio Ignaziano

Transcript

La Sagrada Familia - pellegrinaggio Ignaziano
La Sagrada Familia (Barcellona): Gaudì architetto e profeta.
La Sagrada Familia
è l’unica cattedrale
europea ancora in
costruzione. Questo
cantiere sotto gli
occhi di tutti è diventato una forte
immagine della
Chiesa (con la C
maiuscola) che è
“storia di un cantiere aperto”. O
con le parole di Gaudì, “un’omelia di pietra”.
La Barcellona industriale della metà ‘800 era un magma in
ebollizione. In 20 anni la sua popolazione era quadruplicata. Masse
di immigrati venuti dalla campagna catalana e da altre parti della
Spagna si addensavano in baraccopoli dove la promiscuità e la
miseria erano il quadro naturale di violenza ed epidemie.
Nel 1860, un geniale urbanista, Cerdà, aveva ideato intorno
alla vecchia città, una nuova fascia di quartieri chiamata
“allargamento” (in spagnolo “ensanche”). Questa nuova città
proletaria era disegnata a scacchiera, struttura che ancora oggi
caratterizza Barcellona.
Uno dei “quadrati” di questa gigante scacchiera fu acquistato
da un’associazione di laici devoti di San Giuseppe. Lo scopo era la
costruzione di un tempio dedicato alla sacra famiglia di Nazareth. Si
costatava infatti la totale disgregazione del tessuto famigliare in
quel sub-proletariato urbano dove l’alcol mieteva un numero di
vittime non inferiore a quello della peste o della malnutrizione.
Nel 1882, l’opera fu affidata all’architetto diocesano Villar.
Egli inizia la costruzione secondo un progetto in stile neogotico,
come di norma nell’architettura sacra di fine ‘800. Villar riesce a
costruire in un anno una parte consistente della cripta, ma abbandona
i lavori in seguito a ripetuti scontri con il committente. Il 3 novembre
1883 la prosecuzione dell’opera è affidata a un ambizioso architetto
trentunenne: Antoni Gaudì. Un “dandy” allora poco incline alla
spiritualità, e vicino agli ambienti anticlericali dei nuovi poteri che
nascevano nella città.
Ma come ama ripetere l’artista giapponese Etsuro Sotoo che
oggi prosegue l’opera di Gaudì: “Gaudì non ha potuto portare a
compimento la Sagrada Familia, ma la Sagrada Familia ha portato a
compimento Gaudì”. L’architetto si lascerà trasformare radicalmente
dalla sua opera fino a diventare “monaco nella città”. Il suo itinerario
mistico va di pari passo con l’esplodere della sua forza creatrice:
un’avventura di spogliazione ed essenzialità. L’architetto-eremita
dirà: “per essere originali, bisogna risalire –appunto- all’Origine”.
Gaudì morirà nel 1926 come un senza fissa dimora, anonimo,
investito da un tram mentre si recava alla sua preghiera quotidiana.
Nell’anno 2000 fu introdotta la sua causa di beatificazione.
La trasformazione interiore di Gaudì non ha annullato ciò
che la sua ricca umanità portava in sé bensì l’ha portato alla sua
massima espressione. Se “creare è sapersi raccontare”, la Sagrada
Familia racconta i passi essenziali della vita di Gaudì.
Prima di tutto, le sue origini familiari. Il suo padre è un abile
calderaio, abituato a dare forma alla materia e a giocare con lo
spazio. Il piccolo Gaudì ha spesso giocato fra alambicchi e altre
strane forme di cui sentiamo l’eco nelle linee “impazzite” della
Sagrada Familia. Gaudì amerà anche ricordare il lavoro dell’operaio
e dell’artigiano come luogo privilegiato dell’incontro con Dio.
Poi la terra dove nasce nel 1852: Reus. Una città del litorale
catalano, situata a circa 100 km a sud di Barcellona. Una terra dove
la dominazione islamica aveva lasciato come tratto caratteristico
l’uso della maiolica colorata (in spagolo “azulejo”). Nel suo tempio,
Gaudì eleverà la maiolica colorata al rango di materiale prediletto.
L’adolescenza di Gaudì è attraversata dai grandi sogni
romantici che in quegli anni portano la cultura europea a riscoprire il
Medioevo e a innamorarsi della natura. Da ragazzo scappa diverse
volte con i suoi amici alla scoperta dei ruderi di uno dei più grandi
monasteri cistercensi della Spagna: Poblet. A quel chiostro diventato
bosco risale l’intuizione gaudiana del “giardino della nuova
creazione”, dove costruire un tempio significa ritornare al giardino
delle origini, e dove l’architetto porta a compimento l’opera di un
Dio che si è fatto “giardiniere” (Gv 20).
Nel 1870, quando Gaudì arriva a Barcellona per iscriversi
alla “Scuola di architettura”, egli riceve un’ulteriore impatto
indelebile. Da studente povero vive nel quartiere del “Born” (vicino
al porto) a due passi della “perla” del gotico di Barcellona, la chiesa
di Santa Maria del Mar. Gaudì rimarrà affascinato per l’audacia delle
sue torri e delle sue scalinate, ma soprattutto perché questa “catedral
del mar” era una vera “basilica popolare”. Essa fu costruita (dal 1320
al 1330) dalla popolazione del quartiere: piccoli marcanti, artigiani e
pescatori. Anche per Gaudì, la Sagrada Familia dovrà essere
finanziata esclusivamente dall’”obolo della vedova”. La costruzione
stessa si rivela allora un “sacri-ficio”, cioè un “rendere-sacra” la
propria vita, offrendola. Così Gaudì eviterà ogni discrepanza fra la
popolazione proletaria e una Chiesa spesso troppo ricca. Anzi,
l’achitetto-profeta renderà i poveri “protagonisti di bellezza”
restituendo così una dignità a una popolazione umiliata.
Un’ulteriore segno della sensibilità sociale di Gaudì è la
costruzione, nel cantiere della Sagrada Familia, di scuole per i figli
degli operai. Queste scuole ancora visibili oggi, dalle linee di una
semplicità rivoluzionaria, furono molto più tardi definite da Le
Corbusier come “l’opera più geniale di Gaudì”.

Fra le tante chiavi che “aprono” alla lettura della Sagrada
Familia sono da ricordare:
“La pietra scartata diventata testata d’angolo” (Sal 117).
Gaudì sceglierà materiali poveri e in particolare la maiolica rotta
(cioè inutilizzabile) che scopriva negli scarti degli altri cantieri. La
utilizzerà nelle parti più nobili dell’edificio creando così una nuova
forma di espressione, il “trencadìs”, che si può considerare come un
nuovo modo (astratto) di fare mosaico. Scarti innalzati sono anche le
gramigne ed erbacce dei campi circostanti, che Gaudì trasforma in
pinnacolo delle guglie dell’abside. In modo simile i nuovi “gargoil”
non sono più gli animali fantastici dell’immaginazione medievale
bensì banali lucertole e lumache che abbondavano nel degradato
paesaggio sub-urbano. Questo capovolgimento dei valori materiali è
il modo in cui Gaudì esprime il mistero della Pasqua. Mistero che
incontriamo nella preghiera. Cioè nella chiesa e nella Chiesa.

Il giardino (in greco “paradeisos”) e la Gerusalemme
celeste. La Sagrada Familia è circondata da un chiostro, luogo che
nella tradizione monastica evoca il giardino delle origini, il luogo per
stare “nudi” alla presenza di Dio. Per Gaudì il giardino-chiostro non
sta “accanto” alla chiesa, ma la chiesa è quel giardino. In altre
parole: i sacramenti e la preghiera sono quell’intimità con Dio.
Perciò le colonne della navata formano una foresta (o giardino). Ma
questo giardino è al tempo stesso la città nuova che scende dal cielo
come puro dono (cf. Ap 21). Così le torri altissime che sembrano
unire cielo e terra e che Gaudì definisce “una sintesi fra luce e
gravità”. Anche i colori delle vetrate dovranno evocare le pietre
preziose della Gerusalemme celeste, simbolo di noi tutti, “pietre
vive” (cf. 1Pt 3), uniti in una sola costruzione che è il Corpo di
Cristo.
Gaudì vide realizzata solo l’abside, la facciata orientale e una
delle 12 torri campanarie.
La facciata orientale racconta la Natività e l’infanzia di
Cristo perché è la parte del “sole nascente”. Il programma figurativo
è articolato secondo tre porte che alludono alle tre virtù teologali:
fede, speranza e carità.
Le torri campanarie rappresentano i 12 apostoli. Essi non
sono dentro la chiesa a mo’ di “pilastri” (come nella tradizione
medievale), ma fuori, secondo il senso profondo della parola “apostolo” (in greco, “inviato”).
Dal 1979 l’artista giapponese Etsuro Sotoo prosegue la
realizzazione di molte delle sculture e delle finiture della navata
centrale. La facciata ovest fu invece affidata nel 1983 all’artista
catalano Subirachs e racconta la Passione e morte di Cristo secondo
un originale gioco di pieni e vuoti.
Gaudì sapeva che la sua opera sarebbe stata continuata da
altri e ciò la rendeva ai suoi occhi ancora più pregevole. Oggi si
calcola in un 60% il lavoro già realizzato e si parla di altri 20 anni
per concludere i lavori. Una recente polemica è nata dal progetto
delle Ferrovie dello Stato di far passare il TAV a quattro metri dalle
fondamenta del tempio.