diga di Assuan
Transcript
diga di Assuan
L’Aquila, un cortile e dintorni LʼAQUILA UN CORTILE E DINTORNI di Luciana Di Mauro Quante volte gli effetti del terremoto che ha distrutto LʼAquila e i paesi del cratere, sono stati paragonati a una guerra, come città e paesi colpiti da ripetuti bombardamenti! Quante volte sono venuta allʼAquila e percorrendo Via XX Settembre, oppure il corso dalla villa comunale fino alla fontana luminosa, sbirciando tra gli scorci che permettono di allungare lo sguardo dentro quella linea rossa invalicabile, io stessa ho pensato: è proprio come una guerra. Sono tante le volte che non si contano. Eppure mai, fino a questa estate, avevo collegato gli effetti distruttivi del terremoto aquilano alla distruzione del mio paese natale, Tollo, in provincia di Chieti, avvenuta nel 1944 durante lʼultimo conflitto bellico. Dopo la Battaglia di Ortona, liberata dagli alleati nel dicembre del ʼ43, Tollo era rimasto lʼultimo caposaldo orientale della Linea Gustav per impedire lʼavanzata verso Pescara e fu difesa dal comando tedesco fino al marzo del ʼ44. Il comandante tedesco di istanza a Tollo abitava la casa di mio nonno materno, Igino Piattelli, requisita per la bisogna. Questa estate, quando ho organizzato per il Comune di Tollo unʼiniziativa di promozione alla lettura che intende far leva sui lettori forti e il loro desiderio di raccontare ai lettori deboli e/o ai non lettori la storia di un libro molto amato; ho invitato Nadia Tarantini a scegliere un libro da raccontare per questa iniziativa che si chiama “Un cortile di parole”. Nadia ha scelto di raccontare “La cripta dʼinverno”, libro su cui stava lavorando, in vista dellʼincontro delle silline a LʼAquila. Io stessa avevo appena letto il libro che parla di distruzioni, sfollamenti e ricostruzioni. Ma solo alla vigilia dellʼincontro, nei giorni che lo hanno preceduto, pensando a cosa potesse risvegliare lʼinteresse di un pubblico tollese a quel libro, di non facile approccio, mi è venuto in mente che Tollo, si parva licet, in un passato lontano, precedente la mia nascita e quella della maggior parte del pubblico che sarebbe stato presente, aveva subito una terribile distruzione ad opera dei bombardamenti alleati, il cui esito fu il 98 per cento delle case distrutte, il 2 per cento lesionate e la morte per quelli che si rifiutarono di sfollare. Lo scorso 5 luglio, a Tollo lʼaccostamento dei casi narrati ne “La cripta dʼinverno”: lo straripamento del fiume S. Lorenzo in Canada, lʼinondazione delle terre dei nubiani per la costruzione della diga di Assuan in Egito, la distruzione di Varsavia la sua ricostruzione, alla distruzione subita da Tollo nel 1944, non ha provocato alcuna reazione e alcuna emozione nel pubblico presente. La ragione, da un certo punto di vista, è molto semplice e si riassume con poche parole: il paese in cui sono nati e cresciuti i nostri genitori non è lo stesso paese in cui siamo nate e cresciute noi generazioni successive, sebbene si chiami con lo stesso nome, solo lʼasse stradale è rimasto identico: tutto il resto è cambiato e ricostruito ex novo. Nessuna memoria, mobili suppellettili, persino le foto di famiglia sono state perdute. Più difficile ricostruire come e perché di questa grande rimozione, perché quel paese che non cʼè più non ci è stato nemmeno raccontato. Rottura e rimozione della narrazione collettiva, rivedere nel saggio di Nadia sullʼultimo di Leggendaria questo tema come una delle possibili risposte al trauma. “Istanbul” di Orhan Pamuk è il libro che mi ha tenuto compagnia durante lʼestate. Pur avendolo a disposizione dal 2006, anno della sua uscita non lo avevo mai letto. Il libro era di mio padre e a lui non piacque per nulla, forse perché è un libro in bianco e nero, come i colori della sua infanzia e giovinezza. Un libro in cui la cifra di una città, di un bambino e dellʼuomo che sta diventando è la tristezza. La tristezza non è solo la patina di grigiore, miseria, decadenza subita dalla città in seguito alla caduta dellʼimpero Ottomano, ma è nella perdita di unʼidentità orientale e lʼacquisizione di una posticcia e occidentalizzante. La tristezza è nellʼassenza di immagini e narrazioni di sé tramandate di generazione in generazione. Immagini e racconti che il giovane Pamuk, come gli autori turchi che lui ama e che lo hanno preceduto, ravvisano e scoprono attraverso lo sguardo dei viaggiatori occidentali dellʼOttocento che scrivono, dipingono e fotografano Istanbul.