Capitolo I “Il nuovo detersivo a molecole d

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Capitolo I “Il nuovo detersivo a molecole d
Capitolo I
“Il nuovo detersivo a molecole d’ossigeno attivo che darà al
vostro bucato un bianco...”
Faccio delicatamente scorrere un dito sullo schermo televisivo.
Appare una donna, vestita di una tunica color arancione
lunga fino ai piedi, che regge nella mano destra una torcia di
un bagliore molto intenso; poi tre parole: Columbia Pictures
presents.
A questa immagine si sovrappone quella di un cielo stellato.
Una voce maschile declama: “E così il Voyager II entra nella
storia, puntando verso lo spazio dalla sua rampa di lancio di Cape
Kennedy, in una data che diventerà storica: 20 agosto 1977. A
bordo ci sono delle immagini fotografiche della Terra e incisi su un
disco un messaggio di saluti e un pout-pourri di composizioni musicali. Voyager II porta questo nostro invito ad altre specie intelligenti
dell’universo: vi preghiamo di visitare il nostro pianeta Terra.”
Sono a conoscenza di tutto questo.
Una valigia aperta, contenente diversi capi d’abbigliamento e altri effetti personali, giace sul letto.
L’entità di nome Paul Kaminski è appena tornata da un
viaggio. È qui, nell’appartamento nel quale mi trovo, ma non
può vedermi, non essendo io visibile ai suoi occhi.
È seduto sul letto.
È il momento di entrare in lui.
Questione di un attimo.
Sono Paul Kaminski.
Sono davanti allo specchio.
Mi sto abbottonando una camicia azzurra.
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È fatta di morbido tessuto.
La pelle del corpo dell’entità denominata Paul Kamimski
mi trasmette una sensazione di benessere.
Infilo la camicia in un paio di pantaloni chiamati jeans,
tiro su la cerniera lampo, chiudo il bottone, mi passo le mani
lungo le gambe.
I tessuti della camicia e dei pantaloni sembrano essere stati
fatti su misura per me.
Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni.
Vi si potrebbero riporre altre cose oltre le mani.
Guardo il mio volto riflesso nello specchio.
Non provo alcuna emozione.
Questo appartamento è esiguo e ingombro di tanti oggetti
ai quali non so dare alcuna importanza, ma all’apparenza confortevole.
Sono certo che mi troverò a mio agio qui, e all’interno di
questa nuova entità, per il breve tempo della mia permanenza
quaggiù.
È bello l’uccello dipinto sulla tela appesa alla parete alla
mia destra, perfetta la linea del suo corpo.
Quell’uccello sta volando.
Hanno bei colori le sue penne, la sua coda è elegante e
raffinata.
La mia bocca ha un movimento che non dipende dalla mia
volontà.
Sorriso.
Mi si accende un sorriso.
Un moto tipicamente umano.
Come il pianto.
Questo sorriso mi rimbalza addosso dallo specchio.
C’è un aroma di caffè che si spande nell’aria, un antico
sentore che non riesco a collocare all’interno di me stesso, ma
che in qualche modo mi è familiare.
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Difficile riconoscermi in qualcuno di così dissimile da ciò
che sono.
Devo abituarmici.
Col tempo sarà così.
Elaboro: questo corpo appartiene a un essere umano di
genere maschile.
Ottima salute.
Dentatura perfetta.
Capelli biondi.
Occhi azzurri.
Carnagione chiara.
Corporatura atletica.
Un metro e ottanta centimetri di statura.
Passo ancora un dito sullo schermo televisivo.
Compare l’interno di un emporio illuminato a giorno.
Una giovane donna vestita di un giubbotto di pelle nera è
seduta a un tavolo. Alla sua destra un uomo che indossa una
camicia a quadri rossi e neri.
L’uomo è un grande bambino con lo sguardo perso in un
altro mondo.
Ora la scena viene occupata dalla figura di un secondo
uomo che esibisce un documento d’identità ed esclama:
– Sono Mark Shermin, Ricerca Intelligenza Extrate... Signora
Hayden ero io al telefono. Questa è una cosa così... Vi dispiace se
mi siedo?
L’uomo di nome Mark Shermin a questo punto si rivolge
all’uomo che indossa la camicia a quadri rossi e neri con queste parole:
– Sono così tante le domande che vorrei farle che non so da
dove cominciare. C’è qualcosa che posso fare per lei?
– Lo lasci andare... – lo implora la donna.
– Questo no, non posso farlo, sono... Mi dispiace...
Poi, rivolgendosi una seconda volta all’uomo con camicia
a quadri rossi e neri:
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– Lei deve... Ha un appuntamento con qualcuno, qui, è
così?
– È così.
– Ma perché qui? Perché al cratere? La gente del vostro mondo
è già stata qui allora?
– Già stata, sì... A noi interessa la specie terrestre.
– Sarebbe una sorta di antropologo, lei? È questo che è venuto
a fare, a studiarci?
– La vostra è una strana specie, diversa dalle altre, e lei neanche immagina quante ce ne sono... Siete intelligenti ma selvaggi.
Vuole che le dica la cosa che trovo più bella in voi? Date il meglio
di voi stessi nelle situazioni peggiori.
– Lo lasci andare, Signor Shermin, la prego... insiste la donna con voce accorata. Se resterà qui morirà. Non vede che sta già
morendo?
Faccio scorrere un dito sullo schermo televisivo per la terza
volta.
I titoli di coda datano la pellicola all’anno 1984.
Un film intitolato “Starman”, del regista John Carpenter.
1984.
Ieri.
Appena ieri.
L’uomo con la camicia a quadri rossi e neri per molti aspetti mi somiglia.
C’è una giacca di velluto marrone sul letto accanto alla
valigia. Infilo una mano nella sua tasca interna.
Trovo un portafogli di pelle.
L’oggetto contiene una carta Visa, una tessera della previdenza sociale, una patente di guida, un documento d’identità
corredato di una foto. Leggo: Paul Kaminski. 7.5.1974. Celibe.
4th Way Street 115. New York. Professione: scrittore.
La faccia di Paul Kaminski adesso mi appartiene, è la mia
faccia.
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Sono stato molte vite, molti volti, molte storie, molti sogni, molte speranze, molti destini, molti inizi, molte fini.
Avverto una brezza leggera che pettina il mare e penetra
in me.
Memoria di cosa? Di quale luogo? Di quale tempo?
Ora è la volta di un battito di cuore che annaspa come un
pesce fuor d’acqua.
C’è un mare così grande che si apre davanti ai miei occhi,
di un colore livido.
Il mare è apparentemente senza vita.
È una sera in cui il vento lo frusta, e l’acqua e il sale si
frantumano sulle scogliere.
Nascere.
Venire al mondo.
Su questo pianeta, quando un bambino viene al mondo si
dice che viene alla luce.
In quell’attimo, invece, la Luce gli viene meno.
È tutto così al contrario in questo piccolo quadrante di questa piccola galassia di periferia che è parte della Grande Madre.
Destino,
Fato.
Entrambi
da sempre
vengono confusi.
Nam
il Destino immutabile,
al pari delle orbite dei pianeti.
Nam.Tar,
il Fato che può essere fuorviato,
interrotto,
mutato.
Tutto è illusorio,
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fluttuante,
essendo Destino e Fato
figli di una stessa madre.
E in quell’utero
ambedue si intrecciano,
si abbracciano
e si scindono,
si annodano
e si sciolgono
si annullano
e si rigenerano.
Nulla è sancito.
Tutto è decretato.
Ognuno cammina non camminando,
ognuno percorre non percorrendo,
ognuno è
pur non avendo origine.
Sposto lo sguardo sulla ventiquattrore che giace ai piedi
del comodino presso il letto. La apro. Al suo interno trovo
una busta di plastica contenente un foglio di carta battuta a
macchina.
Leggo: curriculum vitae di Paul Kaminski.
La busta contiene anche tre penne a sfera, un lapis, una
gomma da cancellare, una calcolatrice, un blocco notes, una
cartella di dodici pagine fotocopiate di articoli di giornale.
Leggo il curriculum vitae di Paul Kaminski: Uno scrittore che farà parlare di sé... Un nuovo talento tutto da scoprire...
Kaminski vince il premio “Nuove penne nuove voci”...
Scorre in me l’intera vita di Paul Kaminski, dell’essere
umano di cui sono ospite.
Nato a Flagstaff, Arizona, U.S.A., il 7.5.1974, da un padre impiegato statale e da una madre casalinga, fratello di una
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donna di nome Lucy, deceduta in un incidente d’auto assieme
al marito. Laurea in Letteratura Inglese, diversi mestieri, un
matrimonio fallito alle spalle, una promettente carriera come
poeta e scrittore.
Avverto il tocco della mano di Martha, la madre di Paul
Kaminski, sul suo volto di bambino, vedo il sorriso di Paul, mi
accordo col pulsare del suo cuore, col dipanarsi dei suoi primi
ricordi d’infanzia: Fuori splende un bel sole caldo di giugno. Mia
sorella Lucy sorride in un raggio di sole. Mia sorella mi porta nel
cuore.
C’è una dolorosa lacerazione nel tessuto temporale che si
verifica dopo trenta dei vostri anni.
Lucy siede nel sedile anteriore destro di un’auto azzurra.
Al posto di guida vedo un uomo con la barba, il volto
profondamente segnato dalla stanchezza dopo un’intera notte trascorsa in auto. Sta fumando una sigaretta. È il marito
di Lucy. Tra pochi attimi sarà l’alba di un bel giorno di primavera. L’auto corre lungo l’autostrada. A poche centinaia
di metri intravedo l’ingresso di una galleria. Il sole si alza
d’improvviso oltre la collina. La sua luce abbagliante acceca
l’uomo impedendogli di scorgere la sagoma di un TIR che
arranca a pochi metri da lui. L’urto è inevitabile, devastante.
Il cofano dell’auto si scoperchia in un frastuono che ferisce
le mie orecchie, il parabrezza esplode, Lucy viene catapultata
all’interno del motore dell’auto. La sua anima ha un sobbalzo, un urlo raccapricciante che nessuno può udire, più forte
di mille tuoni. Il suo corpo inerte va a sbattere sul nero acciaio sporco di grasso del motore. L’auto, ormai fuori controllo,
sbanda e finisce la sua corsa contro il guard-rail, decapitandolo e arrestandosi su un brandello di terra erbosa al limite
di una scarpata, avvolta in una nube di fumo e polvere, un
puzzo di gomma bruciata.
Vedo Paul Kaminski nell’atto di osservare il corpo di sua
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sorella steso su un letto del reparto rianimazione di un povero
ospedale di una piccola città.
La testa rasata della donna mostra una profonda ferita suturata dai chirurghi qualche ora prima.
È intubata e in stato di coma irreversibile.
Paul pensa che sua sorella non ce la farà. Le sue mani sono
appoggiate alla lastra di vetro che lo separa da quel corpo straziato. Lacrime scendono lente lungo il suo volto solcandogli
le guance. Paul non geme, non singhiozza, solo lascia che
quell’acqua lo scavi come fuoco liquido.
Morirà... E con lei anche un pezzo di me. Ti rivedrò, Lucy,
non ora, ma un giorno ti rivedrò e ti abbraccerò ancora e ti sorriderò, e non ci sarà più alcun dolore, mai più, comunica mentalmente a sua sorella.
Le sue mani scivolano lungo il vetro e cadono inerti lungo
i suoi fianchi.
Le impronte digitali restano appese al vetro.
Nella mia mente scorrono tutti i racconti pubblicati da
Paul Kaminski su diverse riviste letterarie e i titoli di alcuni
libri pubblicati con scarso successo.
Frequento la sua anima.
Profondi laghi di solitudine mi inghiottono, spirali di conoscenze innate mi risucchiano, un’aspirazione a un amore universale mai appagato e mai sopito mi travolge assieme alla visione
di luminose spiagge di isole mai trovate, e rabbia e dolorosa
accettazione e preghiera e consolazione e ritualità e iniziazione e
la visione di un serpente che muta la sua pelle, e un bivio.
Non posso fare a meno di provare condivisione e compassione per l’uomo Paul Kaminski.
Mi sovrappongo a lui pur continuando ad avere piena coscienza di chi egli è, di chi io sia.
L’entità nominata Paul Kaminski non avrà mai il sopravvento su di me.
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Tale processo non comporterà alcun danno per ambo
le parti. Al momento del distacco, all’entità nominata Paul
Kaminski verrà fatto dono di una maggior consapevolezza relativamente a quanto potrà fare per aiutare i suoi simili e proteggere il suo pianeta.
Per Paul Kaminski tale esperienza equivarrà a una sorta di
vera e propria illuminazione.
È sempre stato così, sempre sarà così.
C’è una libreria addossata alla parete traboccante di testi
di filosofi, poeti, romanzieri, saggisti, e pile di altri libri e di
riviste sparsi sul pavimento e ai piedi di questa scrivania che
sta di fronte a una finestra, al di là della quale si ritaglia un
rettangolo di cielo sporco.
Fuori sono rumori di auto e aria irrespirabile di una strada
di una città chiamata New York.
C’è un letto sfatto alle mie spalle e lattine di birra vuote
su un tappeto sdrucito e una mezza bottiglia di vino rosso
e un mobiletto con un impianto stereofonico sormontato
da due mensole colme di vecchi dischi a trentatré giri e di
CD.
Scorro i nomi: Beatles, Rolling Stones, Kinks, Who, Pink
Floyd, Bob Dylan, Joni Mitchell, Bruce Springsteen, Robert
Johnson, Muddy Waters, John Lee Hooker, B.B. King, Eric
Clapton, ma anche Mozart, Rachmaninov, Tchaikovski,
Beethoven, Debussy, Bach, e una nutrita serie di musiche di
Nativi americani.
La mia mano sfiora i dischi.
L’impronta musicale di più di un secolo di storia del pianeta Terra viene registrata dalla mia mente.
Scelgo Sergey Vasil’yevich Rachmaninov, Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in do minore opera 18. Rapsodia su un
tema di Paganini, per il tempo che mi occorrerà a scrivere il
nuovo libro di Paul Kaminski, che verrà pubblicato prima del
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21 dicembre del 2012, tempo bastante perché ci sia chi voglia
leggerlo e sapere.
Pochi, in verità, poiché la maggioranza tra gli umani predilige il pettegolezzo, l’orrore, la guerra, la morte, il sesso svilito di ogni sua bellezza, tutto ciò che può essere considerato
argomento di svago, divertimento, lussuria, abiezione.
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