INTRODUZIONE A KARL MARX

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INTRODUZIONE A KARL MARX
INTRODUZIONE A KARL MARX1
LA STORIA? E’ MOSSA DA FATTORI ECONOMICI!
Con Feuerbach abbiamo iniziato ad affrontare la "critica" dell'idealismo (non abbiamo, tuttavia,
mancato di affrontare un punto di vista critico nei confronti dello stesso Feuerbach). Con Marx
la critica all'idealismo si allarga. Una premessa: cosa sai tu di Marx e del marxismo?
Che mi risulta il marxismo è una dottrina totalitaria che ha partorito il disumano regime
comunista dei Paesi dell'ex Urss, regime che ora, per fortuna è crollato col crollo del muro di
Berlino!
Se sia o no una dottrina "totalitaria" lo verificheremo quanto prima. Che ci sia una distinzione
tra la dottrina di Marx e i regimi del cosiddetto "socialismo reale” è un fatto. Per certi aspetti la
"rivoluzione di ottobre” è una rivoluzione... contro Marx (chiariremo meglio il discorso).
Entriamo nel merito. Feuerbach ha "rovesciato” Hegel nel senso che ha messo sui piedi quello
che Hegel aveva messo sulla testa, fuori metafora ha fatto del pensiero, dell'Infinito, di Dio,
dell'Assoluto solo una proiezione dell'uomo in carne ed ossa. Marx è sulla stessa lunghezza
d'onda: occorre passare dall'"idealismo” al "materialismo” (interpreta Feuerbach come un
"materialista" anche se questi non arriva mai a identificare il pensiero con la materia). E'
convinto, tuttavia, che Feuerbach è "un torrente di fuoco” (così traduce il cognome) in cui
tuffarsi per poi uscirne proprio perché Feuerbach non ha riconosciuto il ruolo essenziale della
"storia”. Cosa ne dici?
Mi pare una critica ingiusta. So che per Feuerbach è nella storia che l'uomo diventa Dio, supera
cioè progressivamente i suoi limiti.
Che Feuerbach veda nella storia della scienza e della tecnica un superamento progressivo di
limiti è vero. Marx, tuttavia, è convinto che occorra andare oltre: le idee, il modo di pensare, la
stessa religione sono prodotti "storici”.
Per Marx non esiste la "filosofia", ma esistono tante filosofie ognuna delle quali è un prodotto
"storico”; così, per lui, qualsiasi dottrina - vuoi religiosa, vuoi politica, vuoi etica, vuoi
economica, vuoi estetica - è lo specchio del contesto storico da cui emerge. Cosa ne dici?
Mi sconcerta. In questo modo, dipingendo il modo di pensare come un prodotto storico, si
distrugge il senso stesso di "verità": che verità sarebbe una verità che fosse meramente
"storica"?
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Karl Marx nasce a Treviri in Germania il 5 maggio 1818. Il padre è un avvocato. Ambedue i genitori discendono da
famiglie rabbiniche. Nel 1835 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Bonn. Dopo un anno è all'università di Berlino
dove si tuffa nella filosofia. Passa dalla facoltà di giurisprudenza a quella di filosofia. Nel 1841 presenta la sua tesi di
laurea dal titolo "Differenza tra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro". Epicuro - che opera dopo il
"sistema" di Aristotele, appare a Marx come la figura del filosofo che deve operare dopo il "sistema" di Hegel. Che fare
dopo le stagioni dei grandi "sistemi"? Limitarsi a commentare i grandi? No. Per Marx si tratta di tradurre nella realtà la
razionalità raggiunta dal sistema. Si tratta di rubare il fuoco al cielo per costruire un mondo di uomini che non abbia
bisogno del mondo celeste. Ci prova subito scrivendo sulla rivista "Gazzetta renana" dove conduce delle battaglie
politico-culturali di stampo progressista fino a quando la "Gazzetta renana" viene soppressa dal Kaiser di Prussia
Federico Guglielmo IV. Sugli "Annali franco-tedeschi" pubblica "Per la critica della filosofia del diritto hegeliana.
Introduzione". Sempre sugli "Annali" pubblica un altro saggio celebre "La questione ebraica" (in cui delinea, tra l'altro,
la tesi secondo cui l'emancipazione religiosa è insufficiente se non si inserisce in una rivoluzione di tipo sociale). Nella
sua esperienza agli "Annali" Marx incontra una persona che diventerà il suo principale collaboratore oltre che
compagno di lotta: Friedrich Engels, di due anni più giovane di Marx, figlio di un ricco industriale. E' questi che stimola
Marx a tuffarsi nella problematica economica. Nel '44 Marx scrive appunti su quaderni che saranno chiamati "I
manoscritti economico-filosofici del 1844". Nel 1845 esce il primo prodotto della collaborazione tra i due amici: "La
sacra famiglia" (contro i rappresentanti della "sinistra hegeliana". Sempre nello stesso anno risale un brevissimo scritto
che prende le distanze da Feuerbach: "Le tesi su Feuerbach". Risale al '46 "L'ideologia tedesca" (opera rimasta inedita
fino al 1932), frutto sempre della collaborazione tra Marx e Engels. Un altro celeberrimo frutto della collaborazione tra
i due è "Il manifesto del partito comunista" del 1848. Nel 1859 Marx scrive "Per la critica dell'economia politica". Nel
1864 partecipa alla fondazione della Prima Internazionale dei lavoratori. Nel 1865 termina il suo capolavoro: "Il
capitale" (il primo volume appare nel 1867; il secondo volume appare - a cura di Engels – due anni dopo la morte di
Marx; nel 1894 - sempre a cura di Engels - esce il terzo volume; il quarto volume esce nel 1910 a cura di Kautsky).
L'ultimo scritto importante è "Critica al programma di Gotha" scritto nel 1875 e pubblicato postumo nel 1891). Marx
muore nel 1883.
Hai colto bene: una concezione del genere fa crollare l'idea di una "verità assoluta" (ogni verità
è il prodotto di una determinata epoca storica).
Per Marx, quindi, il modo di pensare è ancorato all'epoca storica in cui questo modo di pensare
nasce. Non esiste, dunque, per lui alcuna verità "assoluta”. E' la stessa storia che lo dice: ogni
epoca ha il suo modo di pensare. O no?
Mi pare esagerato: la religione è presente praticamente da quanto è nato l'uomo, Aristotele ha
dominato circa due millenni attraversando indenne epoche le più diverse tra loro.
La tua osservazione è pertinente. Tieni, comunque, presente una possibile obiezione: un modo
di pensare non dura finché rimangono le stesse condizioni in cui è nato questo modo di
pensare? E' solo quando è nata la scienza che l'aristotelica concezione del mondo è crollata.
Proviamo a scavare. Che un pensatore sia figlio del suo tempo è scontato. Che il suo modo di
pensare abbia a che fare (o per continuità o per contrapposizione) con gli schemi culturali del
tempo è altrettanto scontato. Che quindi per comprendere bene un autore occorra immergersi
nella storia in cui è vissuto e' un'esigenza non solo legittima, ma doverosa.
Ma Marx non si ferma qui: arriva a dire che il modo di pensare, in ultima analisi, affonda le
radici nel mondo economico-sociale. Cosa ne dici?
Mi pare che Marx esageri non poco. Come si può sostenere che le sofisticatissime
argomentazioni di Aristotele e di S. Tommaso su Dio riflettono il mondo economico-sociale
dell'epoca? Come si fa a sostenere che l'idealismo tedesco - che, come è noto, affonda le radici
nel cogito cartesiano - riflette il mondo economico-sociale della Germania dei primi decenni
dell'Ottocento?
La tua osservazione è pertinente. Lo stesso Marx non arriva a dire che ogni singola filosofia è
espressione diretta del contesto socio-economico: dice solo che "in ultima analisi” il modo di
pensare di un'epoca affonda le radici nel contesto socio-economico. Come si potrebbe spiegare
lo stesso nascere della filosofia se non sulla base della separazione - che avviene in un certo
momento storico - tra il lavoro "manuale” ed il lavoro "intellettuale”?
Marx (e con lui il suo amico Engels - molte opere, tra cui quella che stiamo esaminando
"L'Ideologia tedesca” sono sia di Marx che di Engels) è consapevole che non è possibile trovare
il collegamento diretto tra ogni tipo di filosofia ed un determinato contesto socio-economico.
In uno stesso contesto socio-economico, tra l'altro, coesistono concezioni del mondo diverse.
Oggi, ad esempio, non coesistono filosofie diverse pur nell'ambito di uno stesso contesto socioeconomico occidentale? E allora? Marx dice che le idee dominanti di un'epoca sono le idee della
classe dominante. Cosa ne dici?
Mi pare un'idea bizzarra: come si può sostenere che lo stesso marxismo - che per tanto tempo
è stata una cultura egemone - sia stata l'espressione della classe dominante?
Un'osservazione pertinente. Ti sembra strano definire la classe lavoratrice come una classe
dominante. Marx sostiene che in ogni epoca convivono le idee della classe dominante con le
idee della classe al tramonto e con le idee della classe emergente. Il marxismo si propone,
appunto, di essere l'espressione delle aspirazioni della classe lavoratrice. Nel momento in cui la
classe lavoratrice diventa la classe dominante, anche la sua cultura diventa la cultura
dominante.
Stiamo affrontando una problematica tutt'altro che facile. Lo schema "marxiano” (così si dice
quando si parla del pensiero di Marx: quando si parla di "marxismo" si intende il pensiero non
solo di Marx, ma anche di Lenin...) non è di agevole applicazione.
Forse si potrebbe dire che il pensiero di Platone esprime gli interessi della classe aristocratica
del tempo, che il pensiero di Aristotele - proprio perché giustifica la schiavitù - esprime gli
interessi dei proprietari di schiavi, che l'illuminismo e' espressione delle aspirazioni della classe
borghese... O no?
Macché! Come si può ridurre il pensiero di Platone ad espressione della classe aristocratica? Il
governo "aristocratico" previsto da Platone, tra l'altro, e' tutt'altro che il governo dei nobili!
Come si fa a ridurre il complesso pensiero di Aristotele a giustificazione della schiavitù? E poi
non è un'interpretazione superata quella secondo cui l'illuminismo è l'ideologia della classe
borghese?
La tua osservazione è pertinente: è difficile vedere nei dettagli un legame diretto con gli
interessi di classe. Di questo sono consapevoli anche Marx ed Engels.
Per Marx ed Engels non sono i dettagli, ma le idee dominanti di un’epoca che esprimono in
ultima analisi gli interessi della classe dominante: ad esempio - per limitarci all'età moderna il razionalismo e l'empirismo del seicento, l'illuminismo ed il pensiero economico classico
inglese nel settecento, il positivismo nell'ottocento. Si tratta di idee che sarebbero state
inconcepibili nel Medioevo in assenza di una robusta classe borghese consapevole di sé.
Per Marx ed Engels le idee, quindi, non hanno storia nel senso che non sono prodotte da altre
idee, ma - in ultima analisi - dalle classi sociali. Cosa ne dici?
Sarò retrogrado, ma credo che in questo abbia ragione Hegel: come si può negare che nella
storia della filosofia le idee nascono da altre idee - spesso per contrapposizione -? Come
sarebbe spiegabile il pensiero di Aristotele senza il pensiero di Platone? Come sarebbe nato
l'empirismo senza il razionalismo?
La tua osservazione è pertinente. Potrebbe, forse, essere condivisa dallo stesso Marx per il
quale quello che conta è la lettura di un'epoca, non della singola scuola.
La borghesia capitalistica per Marx nasce nel '500 e rappresenta la classe emergente per
secoli. Le sue manifestazioni culturali, in questo lungo periodo, indubbiamente variano (anche
nel campo religioso: vedi le eresie), ma tutte esprimono le aspirazioni di fondo di tale classe
che vuole emanciparsi dalle vecchie classi dominanti.
Certo le varie concezioni si presentano come "vere”, come aventi un valore universale, ma aggiunge Marx - come non si può giudicare una persona dall'idea che quella persona ha di sé
stessa, così non si può giudicare un'epoca dall'idea che tale epoca ha di sé stessa: è
necessario indagare cosa c'è dietro tale idea. Cosa dici?
Mi pare scontato. La stessa rivoluzione francese inneggiava alla "libertà, uguaglianza e
fratellanza", ideali cioè aventi un valore universale, ma sappiamo che tali ideali nascondevano
interessi di classe: si veda ad esempio la legge elettorale che distingue i cittadini in serie A ed
in serie B.
E' questa l'ottica di Marx: bisogna cercare dietro quelle che lui chiama "ideologie” gli interessi
materiali che sono espressione di classi sociali.
Le visioni del mondo - filosofiche o religiose -, le dottrine giuridiche ed economiche, le dottrine
estetiche... sono chiamate da Marx "IDEOLOGIE”. Le ideologie sono presentate come vere,
come aventi un valore universale, ma di fatto esprimono gli interessi materiali di classi sociali.
Chi professa tali ideologie, tuttavia, non sa di essere portatore di interessi materiali.
E il marxismo? Di sicuro esprime gli interessi della classe emergente del proletariato (sarebbe
inconcepibile senza la rivoluzione industriale). Il marxismo, tuttavia, a differenza delle
ideologie, sa di essere un prodotto storico. Cosa ne dici?
Mi pare una lettura corretta: Smith e Ricardo, ad esempio, sono convinti di avere scoperto le
leggi naturali dell'economia, quando invece di fatto esprimono le leggi di un tipo di economia,
quella appunto capitalistica (non e' un caso che per loro il lavoratore è una "merce").
L'esempio è dello stesso Marx: per lui Smith e Ricardo presentano le leggi dell'economia, ma di
fatto esprimono le leggi di un tipo di economia, quella capitalistica.
Le "ideologie" per Marx appartengono al mondo della SOVRASTRUTTURA, mondo che abbraccia
pure il tipo di famiglia, il tipo di Stato, ecc., cioè tutto ciò che non ha una sua vita autonoma,
ma affonda le radici nel mondo economico-sociale che Marx chiama STRUTTURA. Cosa ne dici?
Non mi convince affatto: la famiglia è un organismo "naturale", non è, quindi, affatto un
prodotto di un tipo di economia!
Un punto di vista più che legittimo. Se pensi, però, al modello di famiglia, ti rendi conto che
cambia a seconda del tipo di economia: un tipo di famiglia che include gli stessi schiavi, un tipo
patriarcale, un tipo nucleare.
Per Marx anche il tipo di Stato è espressione del tipo di struttura economico-sociale. Cosa ne
dici?
Macché! In Inghilterra - come in diversi Stati altamente sviluppati dal punto di vista industriali
- continua ad esistere la Monarchia, mentre in altri Paesi egualmente industrializzati vige la
Repubblica. Non è questo una chiara smentita della tesi marxiana?
La tua osservazione è pertinente. Ti si potrebbe rispondere, però, che non è tanto importante
la forma istituzionale di monarchia-repubblica, quanto l'assetto "democratico" dello Stato.
Cerca, quindi, di pesare bene la seconda opzione.
Il tipo di Stato esistente - secondo Marx ed Engels - è espressione degli interessi della classe
dominante: lo Stato può benissimo presentarsi come "super partes", ma di fatto - vedi anche
solo il suffragio ristretto - è espressione della classe dominante di un determinato periodo.
Scaviamo ora nella "struttura” economico- sociale. Marx ed Engels distinguono le cosiddette
"forze produttive" (attrezzi, macchine, la merce-lavoro... , tutto ciò che é in grado di produrre)
e i "rapporti di produzione" o sociali (la presenza o meno della proprietà privata, della divisione
del lavoro, della divisione di classi sociali...).
E' qui - nella struttura economico-sociale - che secondo Marx ed Engels si sviluppa quella che
lui chiama hegelianamente la CONTRADDIZIONE che è la molla della storia, la molla delle
stesse idee.
La "contraddizione" in concreto si sviluppa quando si è in presenza di una classe sociale
emergente - leggi "borghesia", "proletariato" - (che è una forza "produttiva") che ad un certo
punto si rende conto di produrre la ricchezza di un Paese e di finanziare con le imposte lo
Stato, ma di non contare nulla a livello decisionale (la politica essendo in mano alle vecchie
classi dominanti parassitarie): da qui la "rivoluzione”. Cosa ne dici?
Mi pare che questo schema sia perfettamente idoneo a spiegare la Rivoluzione francese: detta
rivoluzione non è scaturita dal contrasto tra la classe borghese da una parte (la classe
produttiva della ricchezza del Paese) e le vecchie classi dominanti dei nobili e dell'Alto clero che
non solo erano influenti a Corte, ma sperperavano le ricchezze prodotte dalla stessa
borghesia?
Marx è convinto che proprio la sua interpretazione riesca a leggere correttamente il grande
evento della Rivoluzione francese. Ma forse il suo schema - come tutti gli "schemi” - tende a
semplificare ciò che è complesso.
Per Marx ed Engels la storia è hegelianamente un "processo” che ha come motore la
"contraddizione”, in altre parole un contrasto di classe. E' questo motore che ha prodotto il
passaggio dalla primitiva età tribale (in cui non esiste divisione di classe né di lavoro ed in cui
non esiste proprietà privata) all'età "schiavistica” (in cui nasce la proprietà privata - la stessa
proprietà della merce-lavoro - nonché la divisione del lavoro) all'età "feudale” a quella
"capitalistica” e all'ultima che è quella "socialista”. Cosa ne dici?
Mi pare una interpretazione corretta: cos'è mai che può cambiare un tipo di organizzazione
economico-sociale se non una classe sociale emergente che si trova in contrasto con la vecchia
classe dominante?
Mi pare che la tua lettura sia intuitivamente logica. Se guardassimo attentamente l'evolversi
della storia, però, forse il tuo schema di lettura risulterebbe un po’ troppo semplice: come si
spiegherebbe con questo schema, ad esempio, la nascita della proprietà privata? Sarebbe nata
la proprietà privata nell'ipotesi la popolazione fosse rimasta di entità modesta rispetto alla
sovrabbondanza dei beni della natura?
Per Marx ed Engels il passaggio della storia dalla fase (loro usano il termine tecnico "modo di
produzione") capitalistica a quella socialista è inevitabile. Questo perché, hegelianamente,
Marx ed Engels sono convinti di aver "scoperto” la legge scientifica della storia. Cosa ne dici?
La legge "scoperta" da Marx e da Engels e' tanto scientifica che nei paesi capitalistici più maturi
non si è verificata nessuna rivoluzione socialista!
E' vero quanto dici: la rivoluzione socialista è scoppiata proprio in Paesi che erano tutt'altro che
maturi dal punto di vista capitalistico.
Scaviamo. Per Marx ed Engels perché scoppi una rivoluzione occorrono le condizioni
"oggettive”. E' necessario, in altre parole, che il capitalismo sia maturo: solo se è maturo, è in
grado di creare un grande numero di proletari che costituiscono i becchini stessi del
capitalismo e solo se è maturo, poi, è in grado di produrre una quantità elevata di beni grazie
allo sviluppo tecnologico. Cosa ne dici?
Non mi piace l'immagine dei becchini, ma comunque mi pare realistico dire che toccherà al
proletariato prendere il posto della borghesia come è toccato alla borghesia rimpiazzare la
classe nobiliare. Mi pare, poi, giusto affermare che il socialismo può maturare solo dopo il
massimo dispiegamento del capitalismo: che uguaglianza sarebbe l'uguaglianza presente in
una società povera e in cui si deve faticare per poter sopravvivere?
Ti sei immerso, anche se solo parzialmente, nella logica marxiana: per Marx la società
socialista non è una società in cui una classe (anche se è il proletariato) domina sulle altre, ma
una società in cui viene meno la divisione di classe.
E’ opportuno sottolineare come per Marx la contraddizione sia il motore della storia e la storia
abbia un suo epilogo nel socialismo, in una società, cioè, senza classi, in una sorta di paradiso
terrestre. Cosa ne dici?
Mi pare come minimo ingenuo Marx. Come si può cadere nella trappola hegeliana e sostenere
che la storia finisce? La storia - in questo sono fichtiano - è un superamento all'infinito di limiti
(o di contraddizioni): quando mai si potrà dire che si saranno superati tutti i limiti?
Un punto di vista legittimo. Lo stesso Marx, pur sostenendo che in una società socialista non
può più esplodere una contraddizione (contrasto) tra classi sociali, non parla della fine della
storia. Anzi dice: finirà la preistoria ed avrà inizio la storia, una storia che non vedrà più la
lotta dell'uomo contro l'uomo, ma dell'uomo contro la natura perché questa diventi funzionale
all'uomo stesso.
Vi è anche in Marx - come in Hegel - una sorta di circolarità: con la società socialista si torna anche se si utilizza il potenziale industriale prodotto dalla classe borghese - alla società
primitiva in cui non esistono né proprietà privata né divisione di classe.
Anche per Marx, quindi, sulla scia della Bibbia, di Rousseau e di Hegel, la storia ha un senso:
non e' una storia provvidenziale, non e' una manifestazione divina (la storia è fatta dagli
uomini, anche se sulla base di condizioni oggettive), è un cammino verso il socialismo, verso
una società di giustizia, senza sfruttamento, di uguaglianza. Cosa ne dici?
Mi pare che Marx sia fondamentalmente un "utopista": come si fa a credere che l'uomo riuscirà
a domare i suoi istinti, la sua aggressività nei confronti dell'altro uomo (aggressività che - mi
pare - anche Freud considera una componente naturale dell'uomo)? Solo un ingenuo può
pensarlo!
Un punto di vista pertinente. Marx, tuttavia, è convinto che la società socialista non sia il frutto
di un pio desiderio dell'uomo, ma il risultato di una "legge” della storia: in quella fase verranno
meno le condizioni dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo perché verrà meno la proprietà
privata che è la condizione sine qua non dello sfruttamento.
DIO? UN “OPPIO” PER IL POPOLO!
Per Marx Feuerbach ha aperto la strada giusta - l'ateismo - ma non ha scoperto le ragioni
profonde che sono alla base dell'origine della religione. E quali sono queste ragioni profonde?
Sono ragioni "sociali”: la gente sfruttata su questa terra, spera in un paradiso celeste in cui
avere una ricompensa - in termini di felicità - eterna. Cosa dici?
Mi pare poco credibile, perché a credere in Dio e nel paradiso non c'è storicamente solo la
gente che fa una vita da "inferno", ma anche i ricchi, gli stessi "padroni".
Il tuo è un punto di vista critico sostenuto anche da altri. Ma… non potrebbe essere la fede dei
“padroni” (o almeno di alcuni di essi) di tipo strumentale? Si tratta di un’obiezione che –
naturalmente – può essere a sua volta contestata: sulla base di quale criterio si può dire che la
fede della povera gente è sincera e quella dei ricchi non lo è?
Secondo Marx la religione – al di là della sincerità o meno dei singoli – esprime di fatto un tipo
di cultura che storicamente riflette gli interessi della classe dominante. Cosa ne dici?
Non mi convince: la concezione marxiana cozza contro il fatto che troviamo la religione in tutte
le epoche. Non mi lascio abbindolare da una tesi così truffaldina!
Quanto dici (che la religione è comune a tutte le epoche storiche) pare vero. Ma perché c'è
sempre stata? La religione non è comune perché finora ci sono sempre state le condizioni che
sono alla base della religione stessa?
I singoli - sia schiavi che proprietari di schiavi, sia feudatari che servi della gleba, sia proletari
che borghesi - sono vissuti all'interno di una cultura - anche quella religiosa - che in ultima
analisi esprime gli interessi della classe dominante: è interesse di questa che la gente creda
nell'aldilà perché in questo modo sopporta meglio le ingiustizie sociali. Non si tratta, dunque, di
un problema di sincerità o meno dei singoli uomini. La religione - lo sai sicuramente - è per
Marx "l'oppio del popolo". Cosa ne dici?
Che la religione in qualche modo narcotizzi le masse sfruttate è un fatto: la fede,
indubbiamente, aiuta a sopportare le sofferenze di questa vita con la speranza di una vita
migliore e, quindi, impedisce alla gente di lottare contro le ingiustizie.
E' questa la logica marxiana. Fondata? Forse sì, forse no.
Secondo Marx con l'avvento di una società in cui non è più consentito a nessuno di sfruttare
altri (che per lui è la società comunista) verranno meno le condizioni del sopravvivere della
religione: quando cioè si realizzerà il paradiso terrestre, verrà meno il bisogno di credere in un
paradiso celeste. Cosa dici?
Mi pare una tesi molto ingenua perché il paradiso terrestre - cioè una società senza più alcuna
ingiustizia - è solo un'utopia. Si tratta, quindi, di una tesi che non potrà mai essere verificata.
Una opinione rispettabile. Di sicuro nelle società comuniste che si sono realizzate la religione
non è morta, anche se si è cercato di scacciarla via con vere e proprie campagne in nome
dell'ateismo.
Tutti sperano in una società senza più ingiustizie. Ma si potrà un giorno dire che finalmente
tutte le ingiustizie saranno state bandite dalla faccia della Terra? Se no, l'ipotesi di Marx non
potrà essere verificata o falsificata. Ti propongo un ulteriore motivo di riflessione. Supponendo
pure che l'interpretazione marxiana sia corretta (che sia, cioè, vero, che la religione è nata in
un contesto - un contesto durato millenni - di sfruttamento dell’uomo sull’uomo), questo
dimostrerebbe che Dio non esiste?
Macché! Dio potrebbe benissimo esistere anche se l'uomo non ne avvertisse alcun bisogno.
Mi pare che il tuo discorso abbia una sua logica: perché mai Dio non potrebbe esistere anche
se l'uomo non ne avvertisse l'esigenza? Si tratterebbe, comunque, di un'ipotesi. Un'ipotesi
basata su che cosa? Prova a riflettere.
IL "MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA"
di Marx-Engels: UN REPERTO ARCHELOGICO?
Si tratta di un "classico" di cui, almeno, hai già sicuramente sentito parlare. E' del 1848. La
prima versione è stata scritta in forma catechistica da Engels, forma che non è piaciuta a Marx
che ha steso la forma che conosciamo. Vuole essere una sorta di volgarizzazione (di traduzione
per il proletariato) delle principali idee contenute nell'opera filosofica "Ideologia tedesca".
Il testo così inizia: "La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classi [...] L'epoca
nostra, l'epoca della borghesia, si distingue tuttavia perché ha semplificato i contrasti fra
classi. La società intiera si va sempre più scindendo in due grandi campi nemici, in due grandi
classi direttamente opposte l'una all'altra: borghesia e proletariato". Cosa ne dici?
Mi pare una lettura della società che oggi è del tutto superata: lo sanno tutti che il proletariato
è in fase di estinzione e che sono in forte crescita i cosiddetti ceti medi.
Che oggi la classe operaia si stia gradualmente estinguendo è un fatto. Bisogna però
distinguere tra i Paesi in cui si sta sviluppando il processo di automazione industriale (Paesi in
cui la classe operaia viene gradualmente espulsa dalla produzione) e quelli che vivono ancora
prevalentemente di manodopera. Prova a riflettere un attimo: laddove il processo di
automazione tende ad espellere manodopera si ha a che fare con la scomparsa dello
sfruttamento e, quindi, con il superamento della divisione di classe? E il Nord del pianeta, poi,
non sfrutta il Sud?
Le società industrializzate non sono più società a forma "piramidale" (un vertice di super-ricchi
e la stragrande maggioranza di poveri), ma a forma di "uovo": il numero dei poveri - in
proporzione - si riduce e si espandono i cosiddetti "ceti medi", quei ceti medi che secondo
Marx, nel "Manifesto", erano destinati a scomparire. Perché questa previsione? Secondo Marx
era la concorrenza che avrebbe fatto sparire i piccoli e medi imprenditori. Cosa ne dici?
Mi pare che Marx abbia intuito giusto: la concorrenza è un tratto caratteristico del sistema
capitalistico e la concorrenza semina, ovviamente, vittime (anche oggi).
Che la concorrenza produca vittime è un fatto: come possono i più deboli reggere alla
concorrenza - in termini di "prezzi" e di "qualità" - dei grandi gruppi o delle multinazionali? Si
tratta, tuttavia, di spiegare, come mai sono cresciuti i ceti medi.
Prova, allora, ad immaginare come mai i ceti medi, invece di sparire, sono cresciuti.
Ci provo. Ho la sensazione che l'espressione "ceti medi" sia quanto meno ambigua: un conto
sono i piccoli e medi industriali che sono destinati - ieri ed oggi - a scomparire ed un conto la
miriade di professioni del terziario che sono invece in crescita in seguito all'espulsione della
classe operaia dal processo produttivo.
Di sicuro i piccoli e medi imprenditori che offrono sul mercato lo stesso prodotto di
multinazionali fanno fatica a reggere alla concorrenza. Ma ci sono, anche, piccoli imprenditori
(soprattutto a livello artigianale) che non soffrono la concorrenza dei grandi, in quanto
lavorano per questi grandi. E' quello che viene definito “indotto”: si tratta di imprese di cui i
grandi gruppi hanno bisogno per avere semilavorati. Ci sono poi piccole e medie imprese che
non soffrono per nulla la concorrenza delle grandi perché il loro prodotto non è di serie, ma di
tipo "artistico", un prodotto che ha una sua nicchia sul mercato.
I ceti medi non sono una vera e propria classe, ma una serie di categorie: non solo le imprese
(l'indotto) che operano per le grandi imprese, non solo le imprese che non producono merci di
serie, ma di tipo "artistico" (usiamo questo termine con un significato ampio), ma anche la
pletora delle figure professionali fuori e dentro le imprese industriali, nel settore pubblico...
Questi ceti sono cresciuti anche perché le imprese industriali - grazie proprio alla concorrenza tendono a ridurre il personale. L'intuizione di Marx, comunque, era giusta: la concorrenza - in
tutti i settori - produce vittime. Cosa ne dici?
Crea vittime, ma anche vantaggi per la maggioranza della gente. Pensiamo, ad esempio, ai
supermercati che grazie alla loro concorrenza in termini di prezzo e di qualità, tendono a
mettere in crisi i piccoli negozi.
In termini di prezzo, questo è un fatto. Anche in termini di qualità? Se lo fosse, non
continuerebbero ad esistere le cosiddette boutiques specializzate che riescono a stare a galla
(o anche a crescere) grazie all'offerta di prodotti specializzati, firmati...
Riprendiamo il discorso dello "sfruttamento". Si può parlare, ancora, oggi di sfruttamento da
parte dei "padroni" nei confronti dei "lavoratori"?
Macché sfruttamento! Come si fa a parlare di sfruttamento quando sono gli stessi imprenditori
che devono lottare giorno per giorno con la concorrenza? Sono i lavoratori che alla fine del
mese prendono il loro reddito sicuro, non gli imprenditori che vivono in una perenne
insicurezza!
Che gli imprenditori - grazie al mercato unico europeo e grazie all'apertura del mercato
europeo al prodotti dei Paesi extra-Cee - debbano lottare giorno per giorno per vincere la
concorrenza è un fatto. Non dimenticare, però, che molte imprese non soffrono tale
concorrenza o la sentono poco.
Proseguiamo la lettura del "Manifesto". Marx ed Engels - forse non lo sai - scrivono un vero e
proprio inno alla borghesia, alla sua "funzione sommamente rivoluzionaria". Questa affermano - " ha creato ben altre meraviglie che le piramidi d'Egitto, gli acquedotti romani e le
cattedrali gotiche; essa ha fatto ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le Crociate.
[...] La borghesia non può esistere senza rivoluzionare di continuo gli strumenti di
produzione... Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per
tutto il globo terrestre [...] Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la
produzione e il consumo di tutti i paesi" (pag. 15, ed. a cura del PCI, 1973). Cosa ne dici?
Mi pare una lettura oggettiva: il potenziale produttivo di ricchezza che ha creato la borghesia
non l'ha mai creato nessuno nel passato, un potenziale che - grazie alla concorrenza - è
sempre cresciuto (pensiamo a cosa può fare oggi l'automazione).
Puoi confrontare la civiltà contadina di non molti decenni fa con la civiltà industriale o postindustriale di oggi per renderti conto dell'enorme potenziale di produzione di ricchezza creato
dalla classe borghese.
Marx ed Engels aggiungono, riferendosi alla borghesia: "Con gran dispiacere dei reazionari, ha
tolto all'industria la base nazionale... Col rapido miglioramento di tutti gli strumenti di
produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà
anche le nazioni più barbare. I tenui prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con cui
essa abbatte tutte le muraglie cinesi, e con cui costringe a capitolare il più testardo odio dei
barbari per lo straniero" (pag. 16, ed. a cura del PCI, 1973). Cosa ne dici?
Mi sembra un'analisi estremamente attuale: penso ai beni che ho in casa che provengono dalle
aree più diverse del pianeta, penso alle multinazionali che oggi trionfano e che piazzano
ovunque i loro prodotti grazie proprio all'arma dei prezzi; penso ai paesi del Terzo Mondo che
prima o poi diventeranno - i segnali ci sono già - ad immagine e somiglianza dei paesi
capitalistici.
Che sia attuale l'analisi di Marx credo che sia un fatto. Che i prezzi siano destinati ad essere
"tenui", forse, forse è vero, ma non è una cosa certa: la stessa concorrenza genera degli
oligopoli se non addirittura dei monopoli che possono imporre i prezzi che vogliono (a meno
che ci siano delle rigorose leggi "anti-trust").
La borghesia (dicevamo) ha svolto una funzione sommamente rivoluzionaria, ma ora aggiungono Marx ed Engels, "rassomiglia allo stregone che non può più dominare le potenze
sotterranee da lui evocate. Da qualche decina d'anni la storia dell'industria e del commercio
non è che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i moderni rapporti di
produzione... Basti ricordare le crisi commerciali, che nei loro ritorni periodici sempre più
minacciosamente mettono in forse l'esistenza di tutta la società borghese" (ibid. pagg. 18-19).
Cosa ne dici?
Mi sorprende sempre più l'attualità dell'analisi di Marx e di Engels: la storia del capitalismo non
è che la storia di periodiche crisi di sovrapproduzione, di crisi, cioè, prodotte dal suo crescente
potenziale produttivo (e questo potenziale prodotto dalla borghesia che si ritorce contro di
essa), crisi che prima o poi sono destinate a travolgere lo stesso capitalismo.
Di sicuro la storia del capitalismo ha registrato periodiche crisi di sovrapproduzione, di cui la
più drammatica è stata quella del 1929 che ha avuto origine dalla crisi di Wall Street. Si tratta
di crisi destinate prima o poi ad affondare il capitalismo? E' un fatto che fino ad ora il
capitalismo le ha superate.
Secondo Marx ed Engels lo "stregone" non solo non riesce più a controllare l'enorme potenziale
produttivo (distruggendo parte di ricchezza per evitare il crollo dei prezzi e conquistando nuovi
mercati - come fa - la borghesia non fa che preparare nuove e più violente crisi), ma neanche
la classe che ha creato, la classe cioè operaia che è destinata a svolgere la funzione di
"becchino" dello stesso capitalismo.
Secondo Marx ed Engels "veramente rivoluzionaria" è solo la "classe operaia": non possono,
infatti, essere rivoluzionari i ceti medi che - proprio perché sono destinati (grazie alla
concorrenza) a proletarizzarsi - sono conservatori.
Non possono essere rivoluzionari i contadini, che - date le loro condizioni di lavoro - non
maturano la coscienza di essere una classe sfruttata; e non possono neanche essere
rivoluzionari i sottoproletari che, proprio perché devono lottare giorno per giorno per
sopravvivere, hanno la tendenza a farsi comprare dai reazionari. Cosa ne dici?
Mi pare una lettura che oggi non ha più alcuna attualità: la classe operaia è oggi letteralmente
imborghesita e quindi ha perso qualsiasi carica rivoluzionaria.
Che ci sia un imborghesimento - più accentuato in determinati paesi - è (credo) un fatto. Non
dimenticare, tuttavia, che la classe operaia (o in generale quelle che si chiamano generalmente
"masse lavoratrici), grazie a forti sindacati e partiti, svolge in diversi Paesi un grande ruolo di
difesa dei suoi interessi contro quelli degli imprenditori.
Marx ed Engels considerano gli operai come la classe "rivoluzionaria" perché detti operai,
proprio perché vivono a gomito nella fabbrica, avvertono lo sfruttamento collettivo e quindi
maturano la loro "coscienza di classe" (condizioni in cui non si trovano i contadini). Lenin,
invece, in uno scenario diverso - quello della Russia durante la prima guerra mondiale in cui i
contadini al fronte non desiderano altro che la terra e la pace - rivaluta i contadini ritenendoli
una vera e propria forza rivoluzionaria. In uno scenario ancora diverso - gli anni '60 negli Usa Marcuse, l'ideologo della contestazione studentesca - considera come forze rivoluzionari dei
nuovi "soggetti": gli studenti, i negri, gli emarginati in generale.
Proseguiamo. Marx ed Engels rispondono alle critiche rivolte ai comunisti. Una prima critica: i
comunisti vogliono abolire la proprietà guadagnata col lavoro personale, la proprietà che è "il
fondamento di ogni libertà, di ogni attività e di ogni indipendenza personali".
Loro cosa rispondono? Che la proprietà frutto del lavoro conquistata dal piccolo borghese e del
piccolo agricoltore non la minacciano i comunisti, ma viene spazzata via dalla concorrenza della
grande borghesia. E la moderna proprietà privata borghese? E' prodotta proprio da chi lavora,
ma a vantaggio non di sé, ma dei padroni! Cosa dici della "difesa" di Marx ed Engels?
Mi pare forzato dire che i lavoratori producono la proprietà dei padroni borghesi. Gli
imprenditori iniziano la loro attività grazie a del capitale in loro possesso che investono
nell'azienda: senza tale capitale, l'azienda non partirebbe e gli stessi lavoratori non potrebbero
percepire alcun reddito. Ho l'impressione, cioè, che il discorso sia in qualche modo opposto:
sono gli imprenditori che, rischiando il loro capitale, danno ricchezza ai lavoratori!
Una lettura - la tua - che mi pare legittima: di sicuro perché un'impresa possa nascere e possa
svilupparsi c'è bisogno del rischio dell'imprenditore (l'imprenditore, cioè, deve rischiare del
proprio capitale - anche se fosse prestato dalla banca -). E' un fatto, tuttavia, che una volta
l'azienda è avviata, i lavoratori concorrono alla formazione del profitto che poi viene reinvestito
o viene consumato dall'imprenditore stesso.
Riprendiamo. L'abolizione della proprietà privata - secondo un'altra critica rivolta ai comunisti farebbe cessare ogni attività. Cosa dici di questa obiezione?
Mi pare un'obiezione solida al comunismo: è un dato di fatto che laddove tutto è pubblico il
grado di produttività è di gran lunga inferiore a quello che si registra laddove vi è l'interesse
privato a fare da molla. Si vedano le aziende pubbliche in Italia. Si veda il modello comunista per fortuna crollato - dell'ex Urss!
Il tuo discorso ha di sicuro un fondamento: laddove non c'è la molla della proprietà privata, vi
è un minor grado di efficienza. Il caso Italia è stato un esempio, almeno fino a tempi recenti
(negli ultimi anni lo Stato – seguendo l’indirizzo scelto da altri Paesi - ha progressivamente
privatizzato aziende pubbliche). Non si può negare, tuttavia, che in alcuni Paesi occidentali,
che hanno una diversa tradizione di gestione delle aziende pubbliche, il grado di produttività di
tali aziende è tutt'altro che basso.
A rendere efficiente un'azienda - forse - non è la presenza o no della proprietà "privata", ma la
presenza della concorrenza: se un'azienda pubblica si trovasse ad operare in un regime di
mercato (e non di monopolio), non potrebbe che agire con criteri di efficienza.
Continuiamo. Per Marx ed Engels, se fosse l'abolizione della proprietà privata a produrre la
cessazione di ogni attività, "la società borghese sarebbe da molto andata in rovina per pigrizia,
giacché in essa chi lavora non guadagna e chi guadagna non lavora". Cosa ne dici?
Mi pare una tesi abbastanza rozza: non è vero, infatti, che chi lavora non guadagna e non è
vero che chi guadagna non lavora (gli imprenditori, per certi aspetti, lavorano di più degli
stessi lavoratori ed hanno più preoccupazioni).
Il discorso di Marx è di sicuro paradossale e forza la situazione (letto, almeno, con l’ottica di
oggi). Mi pare corretto dire - come dici tu - che ci sono imprenditori il cui lavoro è più
impegnativo (anche se non a livello manuale) di quello dei dipendenti.
Un'altra critica rivolta ai comunisti: questi vogliono la comunione delle donne, vogliono, cioè,
distruggere la famiglia. Cosa rispondono Marx ed Engels? Dicono che sono i borghesi che
considerano la donna come strumento di produzione e, considerato che i comunisti intendono
socializzare i mezzi di produzione, attribuiscono ai comunisti la volontà di mettere in
comunione le donne. Ma i comunisti vogliono proprio l'opposto: "abolire la posizione delle
donne come semplici strumenti di produzione”. Cosa ne dici?
Mi pare una tesi femminista ante litteram.
Marx ed Engels - vedi il passo citato - intendono restituire il valore di persona (come diremmo
noi) alle donne, abolendo il loro semplice ruolo di "strumento".
I comunisti sono inoltre criticati di sopprimere la patria, la nazionalità. Marx ed Engels
rispondono che gli operai non hanno patria e, quindi, non si può togliere loro ciò che non
hanno. E lanciano - alla fine del "Manifesto" - il messaggio notissimo: "proletari di tutto il
mondo unitevi". Cosa ne dici?
Che i proletari debbano unirsi a livello internazionale nella lotta contro la borghesia, se
vogliono, vincere, mi pare lapalissiano, a maggior ragione oggi in cui la borghesia capitalistica
- vedi le multinazionali - è ramificata al livello internazionale. Se un Paese si decidesse a
percorrere da solo la strada del socialismo, sarebbe letteralmente strangolato dai Paesi
capitalistici.
E' la convinzione di Marx ed è la tesi seguita in Russia da Trotsckij (la tesi della "rivoluzione
permanente", tesi che viene storicamente sconfitta da Stalin). E' un fatto che in Russia, dopo
la rivoluzione di Ottobre, vi è stato un tentativo di strangolamento da parte delle potenze
capitalistiche, tentativo che - grazie alla Armata Rossa - non ha avuto successo.
Marx ed Engels, infine, dedicano un capitolo alla letteratura socialista e comunista precedente
il marxismo. Si tratta - per loro - di una letteratura quanto meno "utopistica". Cosa ne dici?
Mi pare una valutazione ingenerosa: il socialismo marxiano - lo diciamo, naturalmente, col
senno di poi - non è un bel sogno che non solo non è mai stato realizzato, ma che non potrà
mai realizzarsi? Non è ingenuo pensare che un giorno vivremo in una società in cui sarà sparito
lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo?
Un punto di vista più che legittimo. Tieni, comunque, presente l'utopia (ancora più utopica - se
possiamo chiamarla) di socialisti quali Fourier, Cabet, Owen....
Se desideri approfondire il cosiddetto socialismo utopistico, ti suggerisco la bella opera di G. D.
H. Cole, Storia del pensiero socialista, vol. 1 (Universale Laterza) dove trovi anche un'analisi
critica del pensiero di Marx.[