Employer Branding
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Employer Branding Master Risorse Umane e Orgnizzazione XIX edizione w w w.f on da zio nei stu d.i Salvatore Di Iulio, Maria Carmela Florio, Rocco Fontana, Silvia Gregorio, Vincenzo Sabato 2013-2014 “People work for money, but they work even more for getting meaning out of their lives. In fact, they work to have fun. Companies that ignore this fact are essentially bribing their employees and will pay the price in lack of loyalty and commitment” Jeffrey Pfeffer Professor of Organizational Behaviour Stanford Business School INDICE 1. Employer branding, questo sconosciuto 1 1.1 Attraction e retention attraverso le generazioni 2 1.2 Talenti: pronti alla guerra 3 1.3 Parole d’ordine: sinergia & coerenza 4 1.4 Un piano d’azione 5 1.5 Employee Value Proposition 6 2. Modelli di Employer Branding 8 2.1 Il modello di Talent Magnet™ 8 2.2 Il modello di Backhaus e Tikoo 9 2.3 Il modello di Brett Minchington e Ryan Estis 10 2.4 Il modello di E. Amendola: Employer Brand Global Framework© 11 3. Monitoraggio e misurazione 13 3.1 ROI (Return On Investement) 13 3.2 Talent Brand Index 14 3.3 BCI Index © 15 3.4 Web page carrier 15 3.5 Web 2.0 15 4. Trend ed Evoluzioni 17 4.1 Point Of Difference: Fattori tangibili e intangibili 17 4.2 Frontiere comunicative: l'esplosione mobile web 17 4.3 Marketing esperienziale e Employer Branding 18 4.4 Employer Branding oltre il ROI: l'importanza della EVP sul lungo periodo 19 4.5 Leader della trasformazione: ruolo strategico delle HR 20 5. Great place to work: esempi di best practises 22 5.1 Il caso Ferrero 23 5.2 Il caso Loccioni 25 5.3 General Electric Company 27 5.4 The New Traditionalists 28 “The War for Talent is over, and the Talent won” 30 Sintesi 31 Bibliografia 32 Sitografia 33 1. Employer branding, questo sconosciuto L’attuale mercato del lavoro, congestionato e compresso da spinte diversificate, spesso diametralmente opposte nei contenuti e negli intenti, richiede mai come prima un grande supporto e intervento del settore Human Resources di qualsiasi Azienda. I professionisti del settore sono chiamati ad approcciarsi con l’esigenza di personale altamente qualificato e di talento, ma d’altra parte le disponibilità in termini di retribuzione offerta e prospettive di contratti a lungo termine spesso sono troppo distanti dalle aspettative e desideri di chi, potenzialmente, potrebbe essere il candidato giusto per l’Azienda in questione, o ancora di chi già presta la propria opera, ma non per questo si sente più soddisfatto e facente parte dell’Organizzazione in senso stretto. È dunque logico e consequenziale pensare e sperare che le Organizzazioni pongano le risorse umane (in senso lato, non strettamente legato all’ufficio HR) al primo posto. In questo contesto, il concetto di Employer Branding (da qui EB, n.d.r.) prende forma secondo schemi e modelli che inevitabilmente dovranno confrontarsi con le esigenze organizzative e funzionali dell’Organizzazione in questione. Come punto di partenza, può essere sicuramente importante fornire un accenno di quella che è stata l’origine e la storia dell’EB, in modo tale da avere un background di riferimento utile per meglio comprenderne le evoluzioni presenti e future. Si pensi a quanto, specie dalla seconda metà degli anni ’80, il concetto di ‘tempo’ in azienda sia diverso: le lavorazioni sono molto più rapide, complice primario lo sviluppo frenetico delle tecnologie, che hanno inevitabilmente ridotto la necessità di manodopera poco specializzata. Si aggiunga poi il dato che vede un calo netto della natalità tra il 1966 e il 1977: la ‘Generazione X’, ovvero le persone nate in questo arco temporale, non è stata quantitativamente sufficiente a ricoprire le necessità di risorse con professionalità specifiche, in parte anche per via dell’impatto sul sistema formativo, il quale ha visto un crollo delle iscrizioni all’Università. Questo fenomeno demografico ha avuto come diretta conseguenza un altro fenomeno, questa volta di taglio sociologico: la workforce shortage (carenza di forza lavoro) si è fatta sentire a cominciare dalla fine degli anni ’80, quando appunto l’esigenza di talenti iniziava ad essere sempre più primaria. Fu poi a partire dagli Anni ’90 che l’EB iniziò ad essere teorizzato, e i primi modelli strategici iniziarono a farsi strada tra le politiche organizzative delle Aziende più all’avanguardia in termini di innovazione nel settore HR. La necessità che ne deriva è quella di attrarre (attraction), impiegare e mantenere (retention) risorse ad elevata competenza, di talento appunto, che sappiano fornire all’Organizzazione quel valore aggiunto tale da permettere all’Azienda di essere competitiva e ottenere successo. A queste considerazioni appare utile aggiungere un ulteriore dato, questa volta facendo riferimento in particolare al panorama italiano. E’ ormai conoscenza diffusa il fatto che in Italia il numero di 1 persone anziane sia in continuo aumento, con tutta una serie di conseguenze sul sistema pensionistico, sanitario ed economico: da uno studio di Mckinsey del 2005, emerge come in Italia l’aumento del numero di anziani sia decisamente più consistente rispetto ad altri Paesi dell’area Europa. Gli ultrasessantacinquenni sono aumentati del 55% tra il 1986 e il 2003, e questo trend non accenna a modificarsi. In effetti già nel 1998 fu lo stesso Mckinsey, nel suo ormai celeberrimo lavoro “The war of talent”, a riscontrare come già all’epoca si notasse la carenza di Dirigenti di talento: si prospettava allora il 2015 come momento di massima criticità. L’argomento risulta dunque di grande attualità oggi. Da questi dati si può dedurre come il precedente e largamente diffuso metodo e concetto per cui l’Azienda assume, il lavoratore presta la propria opera silenziosamente e quasi con rassegnazione, non funziona più. Oggi essere un good, se non best, place to work è fondamentale, e contribuisce in maniera assolutamente non sottovalutabile a quella che è la credibilità, la forza e l’immagine di un’Azienda. Ora, facendo per un momento nostre le parole di Lloyd (2002), possiamo definire l’EB come “the sum of a company’s efforts to communicate to existing and prospective staff, that it is a desirable place to work”. Questa definizione racchiude in sé tutti gli aspetti che l’EB implica: fidelizzazione del lavoratore all’Organizzazione, attrattività per i potenziali lavoratori, affinché considerino l’Azienda un luogo di lavoro desiderabile e ammirevole. Sono dunque tre le dimensioni cui una strategia di EB dovrà fare capo: comunicazione dell’identità e cultura aziendali, marketing interno e considerazione dell’Azienda dall’esterno. 1.1 Attraction e retention attraverso le generazioni Tenendo ben presente le premesse fino ad ora elencate, si ritiene utile entrare più nel merito di quelle che sono due tematiche fondamentali nel processo di EB: attraction e retention. Si è detto in precedenza come l’EB abbia come dimensioni principali l’attrazione di nuovi talenti esterni all’Organizzazione (attraction, appunto), e la conservazione di questi ultimi, affinché i lavoratori siano fedeli e fidelizzati all’Azienda in questione (retention). Ora, tenendo in grande considerazione lo stretto legame che inevitabilmente si prospetta tra le strategie di EB e il marketing, e che si vedrà più avanti nel dettaglio, risulta interessante a questo punto aggiungere una ulteriore considerazione sulla differenziazione dei potenziali lavoratori da attrarre, per comprendere quali possano essere le criticità con le quali i professionisti HR si scontrano. Esattamente come accade per una strategia di marketing, per la quale il necessario punto di partenza è comprendere il pubblico (target) di riferimento, così accade per la pianificazione di una strategia di EB: i potenziali talenti esterni all’Azienda sono, statisticamente, le persone nate tra gli anni ’50 e i primi anni ’80, con le dovute differenziazioni interne. La generazione post seconda guerra mondiale, la baby boom generation, porta ad oggi risorse con elevata esperienza, spesso maturata presso la stessa Azienda; esiste poi la ‘Generazione X’, cui si è fatto riferimento in 2 precedenza, numericamente inferiore alla precedente, nella quale si trovano persone mediamente più propense al cambiamento; infine, è ancora possibile ricordare la ‘Generazione Y’, vale a dire tutti quei lavoratori nati tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 (convenzionalmente tra 1978 e 1983), in media conoscitori delle tecnologie e disposti ad una maggiore elasticità. Questa è solo una delle possibili differenziazioni da tenere in considerazione nel momento in cui un’Organizzazione decida di applicare strategie di attraction o di retention, affinché si valutino le migliori tecniche operative utili a raggiungere il risultato prefissato. A questa prima differenziazione è possibile aggiungerne almeno un’altra, vale a dire quella che vede il focus sulla propensione o meno dei talenti a cercare una nuova posizione lavorativa, o a valutare un cambiamento. Statisticamente, e secondo la classificazione di Lou Adler1, è possibile considerare la passività dei lavoratori nei confronti della ricerca di un nuovo impiego. La passività è data dalla ricerca attiva di una nuova attività: più un lavoratore sarà soddisfatto del proprio impiego, meno ne cercherà uno alternativo, e più il suo tasso di passività sarà alto. Chiaramente, i candidati passivi saranno quelli più difficilmente rintracciabili, ed è a questo punto che le strategie di attraction di un’Organizzazione saranno fondamentali per raggiungere il risultato prefissato; d’altra parte, se in Azienda le politiche di retention risultano efficaci, il tasso di passività dei collaboratori sarà più elevato, scoraggiando la fuga dei talenti. 1.2 Talenti: pronti alla guerra Ad oggi le Aziende si trovano spesso in enorme difficoltà nel reperire il candidato gusto per la posizione vacante in questione. Si ricerca il talento, quella risorsa così scarsa, e inevitabilmente così preziosa, che rappresenta, in potenza, un concentrato di abilità e caratteristiche ben più importanti di un altisonante titolo accademico. E’ proprio su queste risorse che la ‘guerra’ tra Aziende ha inizio, al fine di accaparrarsi e riuscire a mantenere, con un efficace progetto di EB, quelle risorse che contribuiranno, in larga parte, al successo. E’ molta la letteratura che fa riferimento alla ‘guerra dei talenti’ come ispirazione che le Aziende dovrebbero cogliere per occuparsi concretamente di EB, e dedicare buona parte dell’attività delle Risorse Umane allo sviluppo e alla messa in atto di quelle strategie che non possono più essere meramente teoriche. Ad oggi, non è ancora stata raggiunta una unicità metodologica che possa essere condivisa da ogni Organizzazione: gli studi sono in continuo sviluppo ed evoluzione, e sono anche molte le fonti autorevoli che si sono occupate della questione, fornendo diversi modelli di riferimento. Nei prossimi capitoli verranno infatti analizzati i principali riferimenti in termini di strategie operative, utili per comprendere in chiave pratica l’applicazione dei concetti fino ad ora esposti. Resta fermo il concetto per cui ogni Organizzazione ha poi il compito di rivedere i modelli di riferimento più adatti alla propria situazione ed esigenze, per poi tarare al meglio il progetto strategico. Ad ogni modo, la ‘guerra dei talenti’ incontra e ha incontrato, come si accennava in 1 Lou Adler, 2005 3 precedenza, diverse criticità: attraction e retention sono continuamente messe alla prova dalle resistenze che i candidati avanzano in termini di disponibilità al cambiamento e fedeltà all’Azienda. Più avanti nella trattazione si vedrà come si evolveranno queste tendenze in uno scenario futuro, e quali saranno le risposte che le Aziende si presteranno ad offrire in termini strategici. 1.3 Parole d’ordine: sinergia & coerenza Abbiamo fino ad ora trattato della nascita dell’esigenza di avere delle strategie di EB, delle motivazioni storiche alla base di questa esigenza, e del fatto che, ad oggi, è in atto una lotta tra Aziende per trovare e attrarre i migliori talenti presenti sul mercato del lavoro, al fine di ottimizzare i risultati della propria Organizzazione. Ma dal punto di vista pratico, come si agisce per attuare fattivamente una strategia di EB? Sebbene a questo aspetto sarà riservato il dovuto spazio più avanti nella trattazione, si ritiene comunque doveroso dare qui delle linee guida utili a comprendere le ragioni profonde dietro alle scelte aziendali. Si è detto in precedenza che l’EB prevede sostanzialmente due aree di azione: la fidelizzazione del lavoratore nei confronti dell’Organizzazione presso la quale presta la propria opera, e la costruzione di un’immagine e una reputazione accattivante e attrattiva per quei talenti esterni, non ancora lavoratori effettivi, di cui l’Organizzazione potrebbe avere necessità a breve o lungo temine. Puntualizzato ciò, non può passare inosservata l’impronta di strategia di marketing che l’EB reca con sé. In effetti, si può affermare che l’EB è una strategia di marketing applicata alle Risorse Umane. A questo proposito, affinché una strategia di EB sia effettivamente efficace e di successo, è necessario che all’interno di una medesima Organizzazione le funzioni di Marketing, Comunicazione e Risorse Umane collaborino in sinergia costante. La funzione Marketing saprà fornire alle Risorse Umane quel supporto tecnico che, insieme al know how chiaramente compito dell’HR, darà modo al progetto di EB di essere efficace ed efficiente. La comunicazione è ciò che lega questi due rami dell’Organizzazione, e che deve controllare e vigilare affinché la comunicazione interna ed esterna all’Azienda siano coerenti. Si pensi a cosa accadrebbe se, ragionando per assurdo, la comunicazione interna seguisse una linea e dei messaggi chiave da trasmettere non coerenti con l’immagine esterna che circola sul mercato, e di cui è in gran parte responsabile il Marketing. Indubbiamente, l’immagine aziendale esterna ne risentirebbe, e i lavoratori percepirebbero di lavorare in un ambiente non lineare nelle proprie intenzioni e visione. Questa mancata coerenza porterebbe a delle criticità non sottovalutabili. Resta comunque interessante sottolineare come, a poco a poco, le teorie di EB stiano prendendo sempre più piede in Azienda, e di come la sinergia tra reparti diversi dell’Organizzazione dimostri la diffusione della cultura dell’EB. 4 1.4 Un piano d’azione Fino ad ora si è però fatto riferimento solo a ciò che le aziende possono, o dovrebbero mettere in pratica, affinché una strategia di EB sia efficace e porti con sé i risultati di efficacia sperati. Non va però dimenticato che i lavoratori già effettivamente effettivamente impiegati in Azienda sono una delle parti coinvolte in causa direttamente, e che il loro supporto e apporto non può che essere indispensabile. I suggerimenti, le segnalazioni, la percezione che i lavoratori riportano, rimangono delle fonti primarie di informazioni nformazioni per il lavoro di sinergia che Risorse Umane, Marketing e Comunicazione devono affrontare per la propria strategia di EB. Ora, come si è detto in precedenza, l’EB ha una forte componente di marketing,, che si ritrova nelle fasi che, in linea generale, rale, rendono l’azione di EB completa ed efficace. A questo proposito, può essere utile considerare l’EB come un processo circolare, che preveda una decisione iniziale precisa e misurata di quello che è il target di riferimento (come accennato in preceden precedenza), per poi passare ad una scelta di quella che è la posizione e i valori che si vogliono trasmettere; fondamentale poi è la scelta del come comunicare internamente ed esternamente i propri contenuti, per poi infine analizzare i risultati e gli eventuali cambiamenti da apportare. Figura 1 E. Amendola, L'employer Branding Process, in Padula A., Marketing Interno Interno, Hoepli 2007 Il grafico qui riportato rende molto chiaro il concetto di processo circolare con cui una strategia di EB prende vita. La strategia risulta vincente se ciascuna delle fasi viene affrontata con metodo e successivamente verificata: senza un’analisi dei risultati ottenuti sarà difficile fare previsioni per i futuri interventi. Inoltre, un progetto di EB ben strut strutturato turato porta ad avere dei vantaggi a moltissimi livelli: ottimizzazione dei tempi, migliore gestione delle candidature, maggior semplicità nel comprendere le necessità organizzative dell’Azienda. Inoltre, non è da dimenticare che una strategia efficace di EB non può che portare benefici al Product Brand in quanto, come più volte ribadito, immagine aziendale esterna e interna esigono coerenza. A questo punto, può dunque essere utile una breve panoramica di quelli che sono effettivamente gli aspetti pratici che l’EB considera. Sicuramente l’aspetto del salario e dei benefit sono tra i più rilevanti: soprattutto per determinate categorie di lavoratori, che a questo punto potremmo definire ‘passivi’, il salario e le prospettive di carriera, i benefit previsti, sono ciò su cui l’Azienda interessata spinge per attirare i talenti esterni. Insieme a questo aspetto più prettamente pratico, sicuramente è da considerare anche il contesto di lavoro, affinché sia il più rilassato e stimolante possibile, e che consenta un equilibrio tra le esigenze della vita lavorativa e quella personale (work/life ( 5 balance). Esiste poi la dimensione dell’immagine dell’Azienda, composta dalla cultura aziendale, le sue visioni, obiettivi e atteggiamenti, e quel particolare aspetto che è il product brand, legato a come l’organizzazione cura, innova e rende prestigioso il proprio prodotto. Da questo punto di vista, come per i prodotti di un’azienda esiste una precisa Value Proposition, si può parlare anche per una proposta lavorativa di “valore” della posizione, che include l’insieme dei fattori sopracitati. Questa banalmente prende il nome di Employee Value Proposition. 1.5 Employee Value Proposition Brett Minchington2, la voce più autorevole in tema di EB, definisce la Employee Value Proposition (EVP) come l'insieme delle associazioni e benefici forniti da un'azienda in cambio delle skills, capabilities ed esperienze che un impiegato apporta, mentre Tandehill 3 rafforza questa affermazione spiegando il perché l'esperienza lavorativa in un'azienda sia complessivamente superiore rispetto ai competitors. L'EVP dovrebbe identificare l'unicità di quei processi, programmi e policies che dimostrano l'impegno dell'employer nei confronti del lavoratore in termini di crescita, sviluppo e riconoscimento dei meriti, elencando le ragioni principali in grado di spingere il dipendente all'impegno verso l'Azienda. In questo senso, l'EVP influisce sulla percezione, sia interna, sia esterna della Compagnia, cosicché risulti fondamentale che da parte della funzione HR si attui un processo di allineamento ed integrazione tra questi due aspetti. Risulta quindi utile, se non necessario, tentare di formalizzare all'interno di una cornice di riferimento tale EVP: è ciò che la Sibson Consulting4 ha creato attraverso il modello "Reward of Work" (ROW). Il modello si basa su cinque elementi: Compensation, ritorno economico in cambio della prestazione; Benefits, le ricompense indirette del welfare aziendale; Work content, la soddisfazione del lavoratore nello svolgere il proprio lavoro; Career, le opportunità di sviluppo e crescita; Affiliation, il sentimento di appartenenza nei confronti dell'Azienda. Una tale formalizzazione ha un suo ritorno in termini complessivi di performance, Figura 2 Classificazione delle aziende con EVP formalizzata. Fonte: Creating a sustainable Rewards and Talent Management Model, Global Talent Management and Rewards Study, Tower Watson 2010 dovuta a fattori di maggiore attrattività, commitment della 2 B. Minchington, Your Employer Brand – attract, engage, retain, Collective Learning Australia, 2006 The Employment Value Proposition, by Tandehill Human Capital. Workspan Magazine 10/06 http://www.tandehill.com/pdfs/TotalRewards.pdf 4 Dal sito http://www.sibson.com/services/organization-and-talent/employee-value-proposition/ 3 6 risorsa e risparmi in termini della compensation necessaria ad attrarre nuovi lavoratori, come risulta dal grafico a fianco. A questo proposito, esistono diverse opinioni in letteratura in merito a quale componente dell’EB sia più opportuno sviluppare, in che ordine e con quale priorità. Le decisioni sul come operare nel singolo caso vanno lasciate all’Organizzazione in sé, alle singole esigenze del momento e ai mezzi che si hanno a disposizione volta per volta. Resta comunque invariato e stabile il concetto secondo cui l’EB va visto in ottica di progresso, non solo di tattica.5 Nel prossimo capitolo si vedranno i principali modelli strategici di riferimento cui le Aziende si rifanno maggiormente, chiarendone gli aspetti caratterizzanti fondamentali. 5 G. Lizzani, G.M. Mussino, M. Bonaiuto, L’employer branding tra ricerca e innovazione, FrancoAngeli, pag. 12 7 2. Modelli di Employer Branding Adottare una strategia di EB offre all’Azienda dei benefici che negli ultimi decenni si sono fatti sempre più evidenti. Reclutamento e mantenimento dei candidati, coinvolgimento e impegno da parte dei dipendenti, sarebbero le dimensioni maggiormente potenziate secondo ricerche effettuate da Hewitt Associates (2000/2001), The Conference Board (2001) e The Economist (2003). Questi vantaggi non si limitano a migliorare le performance solo dal punto di vista aziendale, ma anche economico. Quando si pensa a strategie di branding, l’obiettivo primario è quello di creare valore; l’employer branding, invece, contribuisce a ridurre i costi. Ad un turn over più basso rispetto alle medie delle aziende del settore, corrisponde infatti un vantaggio competitivo a disposizione dell’azienda che sviluppa bene la propria immagine di datore di lavoro. Aumentando la motivazione dei dipendenti diminuirebbero anche i giorni di malattia (ISR, 2003) e si avrebbe un effetto positivo anche sui clienti, come dimostrato da numerosi studi, uno su tutti, un’autorevole indagine effettuata dal distributore Sears Roebuck negli USA (1990), nella quale ad un aumento del 5% della motivazione dei dipendenti corrispondeva un aumento del 1.5% della soddisfazione dei clienti e un +0.5% del fatturato. Si rende necessaria, quindi, una comprensione dei modelli di EB che ricerchi la relazione esistente tra il successo aziendale ed i vari modelli sviluppati. All’interno dei paragrafi successivi illustreremo i modelli di maggior successo, adattati a diversi contesti aziendali. È da tener presente che non esistono modelli validi per tutte le situazioni, ma che i modelli variano al mutare delle condizioni e del settore in cui l’Azienda opera. 2.1 Il modello di Talent Magnet™ Il modello strategico Talent Magnet™, concepito dalla società di consulenza The Right Group6, ha il vantaggio di essere flessibile in quanto riesce ad adattarsi ad ogni necessità del cliente.7 Il Talent Magnet™ si compone di cinque fasi, sviluppate secondo un ordine contingente che prevede un graduale e crescente sviluppo. Si parte da un’analisi della situazione iniziale fino ad arrivare alla misurazione dei risultati ottenuti, il tutto attraverso un processo progettato e testato in ogni dettaglio. In tal senso, i migliori talenti verranno attratti da un datore di lavoro che è in grado di valorizzare le loro capacità individuali e distintive. 6 La società di consulenza The Right Group viene fondata nel 1995: si occupa di offrire brand strategy attraverso dei consigli di gestione pratica nell’ambito dell’EB. 7 Il grafico è ripreso dal sito: http://www.therightgroup.com.au/our-expertise/employer-branding-and-recruitment-marketing/ 8 La prima fase è quella di Audit & Analisys, nella quale vengono definiti gli obiettivi e le strategia: in questo stato di incubazione si evidenzia situazione zione lo spread iniziale e tra la quella desiderata. Con lo sviluppo di una strategia di Employer Value Position, si passa alla seconda fase, l’EVP, che deve essere in linea con la Figura 3 Il modello di Talent Magnet, The right Group vision e la mission aziendali, ma soprattutto deve essere in grado di differenziare il datore di lavoro rispetto ai suoi competitors per attrarre talenti e riuscire a trattenere i dipendenti con il maggior potenziale. La fase successiva, Testing & Approval, Approval prevede ede di effettuare dei test dell’EVP attraverso le sezioni aziendali, nonché sviluppare una strategia di comunicazione. La quarta fase, Allignment & Communcation Communcation,, consiste in un allineamento del processo di EVP in tutta l’Organizzazione, per agevolare le pr pratiche atiche di assunzione del personale e delle modalità di gestione dei talenti. Infine, con il Management & Metrics Metrics,, l’EVP si conclude con una misurazione dei risultati ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati. Dal modello si evince che la fase intermedia dell’EVP risulta concentrata sulle condizioni contrattuali che regolano il rapporto di lavoro. È importante comprendere come il processo debba essere supportato da più funzioni (HR e Marketing), ), ed i contenuti da comunicare debbano riguardare le best practices aziendali. 2.2 Il modello di Backhaus e Tikoo Il modello ideato nel 20048 da K.Backhau, docente di Management presso la New Platz Business School (NY) e da S.Tikoo, docente di Marketing presso la Monarch Swiss Business School School, si basa su due assets imprescindibili: marketing interno e marketing esterno. Per marketing interno si intende la capacità dell’Azienda di trattenere i propri dipendenti; per marketing esterno, invece, la capacità di attrarre nuovi talenti. Il modello pone al centro l’associazione che si crea tra i futuri dipendenti e il brand, la quale Figura 4 Il modello di Backaus e Tikoo 8 Kristin Backhaus, Surinder Tikoo, (2004) Conceptualizing and researching employer branding branding,, Career Development International, Vol. 9 Iss: 5, pp.501 - 517 9 permette di mettere in relazione l’Organizzazione e la qualità del lavoro al suo interno: “le associazioni con la marca sono i pensieri e le idee che il nome di un marchio evoca nella mente di un consumatore.” 9 Tale associazione, quando in sintonia con i valori dell’Azienda, invoglia i potenziali dipendenti a preferire un’Organizzazione rispetto ad un’altra. Il brand, in tal senso, so, presenta dei vantaggi “funzionali” e “simbolici”, laddove i vantaggi funzionali sono i termini oggettivi di paragone (ad esempio benefit,, stipendio), mentre i vantaggi simbolici sono percepiti in maniera differente dai lavoratori e rappresentati dall’attrattività dall’attrattività di un marchio. E’ facile comprendere come sussista una forte interdipendenza tra marketing interno ed esterno, interdipendenza che si traduce in influenza sostanziale.10 2.3 Il modello di Brett Minchington e Ryan Estis Brett Minchington è la massima autorità al mondo in materia di EB, inoltre è il CEO di Employer Brand International (EBI) 11 . Egli ha condiviso le migliori intuizioni di EB attraverso il suo libro, Employer Brand Leadership - A Global Perspective, Perspective, una risorsa di gestione pra pratica destinata ai managers di ogni livello e che comprende quadri, modelli, strumenti, strategie e suggerimenti per aiutare a definire la strategia di EB. All’interno dell’opera opera si sottolinea come le funzioni HR, Marketing e Comunicazione debbano operare per stimolare il dipendente ad un maggiore impegno, favorendone una migliore performance e rendimenti aziendali, che si convertono in profitti più alti per gli azionisti. Il modello di strategia sviluppato da Minchigton e Ryan Estis12 propone di concentrarsi, dunque, dunq su sei aree chiave al fine di garantire lo sviluppo di una strategia di E.B. chiara e di successo13. Tali aree seguono un processo chiaro che inizia con il determinare come l’EB venga percepito all’interno dell’Azienda, quindi definendone gli obiettivi e, conseguentemente, l’uopo del progetto; in seguito precisando il rapporto tra le funzioni HR, comunicazione omunicazione Figura 5 Il modello di Brett Minchington e Ryan Estis e marketing per permettere un approccio multisettoriale alla materia. Il quarto punto da attuare è la comprensione globale della cultura organizzativa aziendale, ossia comprendere in che modo viene percepito il marchio, sia all’interno che all’esterno. Sono So 9 Aaker, David S. (1991), Managing Brand Equity, Equity San Francisco: Free press Dal sito http://employerbrandingmarketing.wordpress.com/thesis/ 11 EBI si occupa di fornire consulenze, pubblicazioni, eventi e formazione, a tutte le società che ricercano delle strategie di EB: esso è composto da professionisti aziendali e accademici di tutto il m mondo. ondo. EBI presiede dei forum globali di ricerca per contribuire al progresso della scienza della employer branding.. Nel 2011 ha pubblicato il più grande studio di ricerca indipendente a livello mondiale sull’ Employer Branding. 12 Ryan Estis è un esperto di Business Performance: aiuta le aziende, i dirigenti e venditori a creare un collegamento tra i dipendenti ed i clienti. Egli è considerato uno dei Top 100 Keynote Speakers in America. 13 Dal sito: http://www.ere.net/2009/05/18/6-steps steps-to-an-employer-brand-strategy/ 10 10 indispensabili, inoltre, un impegno costante e propositivo da parte delle alte sfere dirigenziali (CEO e Senior Manager)) ed una comunicazione lucida insieme ad un’attenta pianificazione che si riflettano anche su tutti i gruppi satellite, soprattutto su sugli ex dipendenti. In assenza di una programmazione chiaramente definita, la strategia di EB rischia di non produrre effetti. È interessante notare come all’interno del modello presentato venga considerato l’intero ciclo di vita dell’EB, dalla sua nascita alla realizzazione del progetto. Adottare un approccio strategico al programma significa aumentare le risorse necessarie per conseguire un vantaggio competitivo. 2.4 Il modello di E. Amendola: Employer Brand Global Framework© Eugenio Amendola è Managing Director rector di Anthea Consulting e Director di EBI Italy. E’ inoltre co cofondatore e chairman dell’International International EB Summit e del Social Recruiting Forum. Forum Egli ha seguito diversi progetti di EB per importanti aziende multinazionali e ha presenziato come speaker a numerose conferenze; in più, è stato docente in alcuni corsi e Master universitari, ricevendo una speciale menzione nel libro "Employer Employer Brand Leadership" scritto da Brett Minchington. Nel Marzo 2012 gli è stato consegnato l'Innovation Innovation Award da ETLINE e Associati per l'impegno profuso, in oltre 10 anni, nella ricerca sull'EB e per la sua diffusione in Italia.14 Il modello di Amendola, dunque, si delinea in quattro aree concettuali15, le quali sono collegate tra di loro in modo non cronologico. La prima area viene definita come Employer Brand Experience e descrive come l’influenza dei fattori tangibili (contratto, salario, benefit) e dei fattori intangibili aziendale, determini (cult (cultura organizzazione) l’esperienza dei Figura 6 Il Modello di E. Amendola: Employer Brand Global Framework lavoratori all’interno dell’azienda. Questi fattori contribuiscono a definire un’ un’Employer Employer Identity che trova riscontro nella proposta di lavoro fatta al candidato di maggior interesse. Si presuppone e l’esistenza di due marchi distinti, uno che si rivolge ai customers dei beni e/o servizi, l’altro ai lavoratori dell’azienda. In tal senso, l’importanza del marchio chiarisce i vantaggi tangibili e intangibili offerti ai talenti. 14 Dal sito: http://www.employerbrandingacademy.it/1/docenti_2455838.html E. Amendola, Corporate recruiting. Employer loyer branding e nuove tendenze Ed. Anthea Consulting 2008 15 11 In un’altra posizione troviamo l’Employer Brand Positioning: esso assicura, attraverso il posizionamento del marchio, la conseguente individuazione di un target di candidati. Successivamente, l’Employer Brand Action, dove si mostra il ventaglio di attività che possono essere effettuate per la realizzazione del modello (analisi iniziale, prospettiva, monitoraggio e sviluppo). Infine, troviamo l’Employer Brand Benefits, con il quale si individua il risultato finale; se una strategia di EB è stata condotta con successo è in grado, non solo di richiamare i candidati oggetto del target, ma comporta anche dei benefici sui costi del processo (minor tempo di reclutamento, maggior coinvolgimento dei dipendenti nelle dinamiche aziendali). 12 3. Monitoraggio e misurazione È chiaro che a testimoniare stimoniare i benefici, e, quindi, il buon esito di un progetto di EB, è necessario attuare una fase di monitoraggio e, di conseguenza, la misurazione di indicatori di prestazione o di performance.. Tali indicatori, quantitativi o qualitativi che siano, vann vanno o prefissati nella fase di costruzione del progetto allo scopo di renderli coerenti con gli obiettivi prefissati ed evitare un inutile spreco di risorse e tempo derivante dall’osservazione di un numero infinito di indicatori. È inoltre importante considerare re che esistono sistemi di misurazione a breve termine, come ad esempio i costi relativi alla pubblicità per il reclutamento o per le inserzioni di lavoro, ma anche sistemi di misurazione che devono necessariamente essere a lungo termine, come la qualità d del candidato, il trattenimento, la motivazione, dimensioni queste, che forniscono un punto di vista più lungimirante del valore creato dalle strategie di EB. Nel grafico successivo è riportato un modello costruito da Katherine Buttenberg, indicante le diverse dimensioni e i relativi indicatori di performance. Figura 7 Il modello di Katherine Buttenberg Nei paragrafi successivi verranno presi in considerazione, uno per uno, alcuni degli indicatori tra i più comuni in letteratura, adattabili a qualsiasi progetto di EB. 3.1 ROI (Return Return On Investement) Il ROI (Return On Investment)) è un indicatore di performance utile per misurare l’efficacia di un dato investimento e per comparare la sua efficacia con quella di altri investimenti. Permette all’azienda di capire se può permettersi tale investimento, soprattutto nel lungo termine. Per P 13 calcolare questo indicatore si misura il rapporto tra il ritorno (o beneficio) e il costo dell’investimento: Dove: Vf = guadagno dell’investimento o benefici Vi = costo dell’investimento Motivazione e produttività dei dipendenti, employee matching, velocità di assunzione, attrattività dell’azienda come datore di lavoro, costo medio per dipendente: questi e tanti altri possono essere misurati come valori utili per calcolare il ROI, laddove i costi possono essere: sviluppo di strategie rivolte ai talenti, attività di reclutamento, sviluppo di materiale pubblicitario, attività di comunicazione, etc. Per concludere, è importante sottolineare uno dei grossi limiti di questo indicatore. indicatore. Nel campo dell’EB ci sono molte sinergie con altre attività all’interno dell’organizzazione per cui risulterà difficile isolare le cause ed effetto di ogni singolo fattore e ottenere un ROI asettico, specifico del progetto di EB applicato. 3.2 Talent Brand Index Il Talent Brand Index è un innovativo indicatore di performance proposto dal social network LinkedIn,, molto utile alle aziende che intendono migliorare i risultati attesi dalle campagne di acquisizione dei nuovi talenti. Le spese di assunzi assunzione one sono molto consistenti, specie nel caso dei senior manager,, per questa ragione è fondamentale avere uno strumento che permetta di misurare quanto un datore di lavoro è attrattivo per lo specifico bacino di talenti a cui è interessato. LinkedIn offre la possibilità di analizzare miliardi di interazioni tra le centinaia di milioni di utenti di cui dispone. Il Talent Brand Index è definito dal rapporto tra: ● Talent Brand Engagement:: rappresenta il numero di iscritti che proattivamente si sono interessati al marchio seguendo la pagina dell’azienda, facendo ricerche a riguardo, visualizzando le inserzioni e inviando la candidatura ● Talent Brand Reach:: indica il numero di iscritti che sono familiari con il datore di lavoro. Corrisponde al bacino di talenti che è possibile influenzare. È misurabile attraverso le visite dei profili dei dipendenti e le loro connessioni. Più alto sarà questo punteggio, maggiori saranno le possibilità di ricoprire posizioni con candidati di talento. Il vantaggio del Talent Brand Index consiste nell’ essere estratto per posizione aziendale, per area geografica o per confronto con altre realtà aziendali a seconda dell’esigenza. 14 3.3 BCI Index © L’indicatore di performance BCI Index © (Brand Communication Interactive Index) permette di osservare in che misura l’interazione tra Corporate Branding ed EB eserciti un effetto in termini di posizionamento del brand sul mercato di interesse anche in confronto agli altri marchi. L’indicatore esprime anche l’interazione tra Brand Awareness e EB. Da queste due interazioni si ricavano dei grafici che attraverso il posizionamento dell’azienda permettono di capire progetti specifici per le esigenze della stessa. 3.4 Web page carrier Ormai tutte le aziende posseggono un sito internet all’interno del quale è allestita la cosiddetta “Web page carrier”. Queste pagine sono una miniera di dati e permettono di ampliare notevolmente il bacino di possibili candidati. Non meno degli altri, l’utilizzo di questo strumento va monitorato attraverso l’utilizzo di specifici indicatori: 1) Tasso a rimbalzo: percentuale di visitatori della pagina che la abbandonano immediatamente senza cliccare altrove. 2) Pagina di ingresso: la prima pagina del sito visitata da un visitatore. Permette di capire cosa prendere in considerazione per migliorare i risultati. 3) Successione di click: analisi sofisticata di come i visitatori si muovono nel sito. 4) Tasso di conversione: rapporto tra visitatori unici del sito e candidature ricevute attraverso il sito. 5) Tasso di abbandono: percentuale di soggetti che abbandonano il sito prima di completare la candidatura. 6) Visitatori: permette di focalizzarsi su coloro i quali entrano più volte nel sito Conoscere come variano questi dati permette di includere efficacemente il web nel proprio progetto di EB. 3.5 Web 2.0 In quest’ultimo paragrafo si vuole ribadire l’utilità della rete come fonte inesauribile di feedback attraverso i quali un’azienda può modulare le proprie strategie di EB, in particolare focalizzando la lente sulla caratteristica peculiare del Web 2.0, la sua interattività, quindi la sua intrinseca dote di essere il luogo perfetto per creare comunità. Nel grafico seguente è riportato uno schema concettuale in cui è possibile osservare la relazione tra i social network con i criteri di attrattività e l’EB. Come si vede dal grafico, i social network propriamente detti (Twitter, Facebook, etc) permettono di creare consapevolezza e di pubblicizzare aprendo la strada verso social più di stampo lavorativo come LinkedIn, nei quali è possibile comunicare con chi già lavora per il marchio, che a sua volta diventa promotore dello stesso, raccontando esperienze positive, l’ambiente di lavoro, le 15 best practices aziendali e last but not le least l’Employer Value Proposition,, ossia la proposta di lavoro, anche dal punto di vista contrattuale, compresi benefits e vantaggi tangibili e intangibili Figura 8 Relazione tra Social Network ed Employer Branding 16 4. Trend ed Evoluzioni 4.1 Point Of Difference: Fattori tangibili e intangibili Nella costruzione della propria immagine come datore di lavoro è facile credere che i benefits tangibili, i cosiddetti perks, costituiscano l'elemento più rilevante nella scelta da parte del lavoratore nel valutare una proposta di lavoro. La realtà è che, mentre la corsa a questo tipo di gratifiche è perseguita da certe aziende fino a livelli difficilmente raggiungibili da altri – si pensi a Google o a Facebook tra tutti – l'aspetto di work/life balance non risulta per questo necessariamente bilanciato16 e, anzi, spesso lavorare in questo tipo di aziende high-tech significa sottostare a un flusso di lavoro ininterrotto in cui non tutti si sentono a loro agio. Ciò non vuol dire che questi fattori non comportino un enorme valore di attraction e, almeno nel primo periodo, di retention, ma non sono di per sé sufficienti: è importante comprende che, nell'ottica di un EB orientato al Talent Management, l'aspetto motivazionale per un lavoratore non è tanto o solamente quello dettato dalla sicurezza economica o dal comfort offerto dal posto di lavoro. Se osserviamo le analisi condotte sulla job satisfaction condotta da Kelly Services nel 2013 infatti, solo l'11% si dichiara disponibile a cambiare lavoro per una migliore retribuzione, mentre è doppia la percentuale di coloro che lo farebbero per potenziare le proprie competenze o per ottenere un avanzamento di carriera. Ciò ben si collega alle principali cause di insoddisfazione nei confronti del proprio posto di lavoro, che annovera tra le principali motivazioni la delusione delle aspettative (19%), e lavoro poco stimolante (13%). Invece, per quanto riguarda la ricerca attiva di lavoro, brand (53%) e cultura aziendale (51%) rappresentano i maggiori fattori di influenza dopo l'elemento geografico (54%). Essenziale risulta, quindi, investire sugli aspetti intangibili che caratterizzano il luogo di lavoro, promuovendo un ambiente collaborativo in cui siano presenti pratiche e mezzi in grado di valorizzare e sviluppare le capacità degli impiegati. In questo, l'aspetto comunicativo costituisce uno strumento essenziale per il diffondersi di una cultura aziendale all'interno e riuscire a promuovere all'esterno questo ambiente per mezzo della strategia EB. 4.2 Frontiere comunicative: l'esplosione mobile web Affermare che “Il futuro è social” è un refrain ormai scontato e ovvio: Facebook ha superato il miliardo di utenti, Twitter e GooglePlus ne contano circa 500 milioni mentre LinkedIn conta ormai più di 250 milioni di profili17. 16 17 M. Checketts, Why perks don't result in employee engagement, http://www.decision-wise.com/, 2013. I valori riportati sono presi dal sito www.statista.net e fanno riferimento ai dati forniti al sito direttamente dalle compagnie di riferimento. 17 Accanto a questi sono nate, negli ultimi tre anni, altre nuove realtà social: è il caso di Istagram (100 milioni di utenti) e Pinterest (48 milioni) che si concentrano sulla condivisione di immagini, per non parlare di communities come TripAdvisor e 4square. Dal 2010 ad oggi, in pratica, le reti sociali hanno subito un'esplosione demografica senza precedenti e hanno trasformato radicalmente le nostre abitudini. Il social è il presente ed è presente nelle nostre vite sopratutto per via della crescente connettività portata dalla diffusione di smartphone e tablet. Questo infatti si rivela il dato di maggior rilevanza: il 17% del traffico web nel 2013 è stato generato da dispositivi mobile, un trend in crescita che comporta già ora una trasformazione delle modalità d'accesso ai contenuti multimediali e che merita una particolare attenzione soprattutto per chi si occupa di EB e di recruiting. Il processo comunicativo si trasformata una dimensione unidirezionale in cui è l'employer a dirigere la comunicazione nei confronti dei candidati – attraverso annunci, bacheche o anche career page – ad una omnidirezionale, dove tale posizione privilegiata viene meno. La facilità di reperire informazioni sull'employer attraverso canali trasversali e che eccedono quelli messi a disposizione della stessa azienda – come community e social network – ha reso l'EB un processo molto più delicato che richiede il coinvolgimento dell'azienda nel suo complesso. La consistenza e la coerenza del brand con l'immagine che l'azienda possiede è fondamentale e non può che essere ottenuta attraverso processi di collaborazione estesi e non semplicemente top-down. Questo ultimo periodo ha impresso un'accelerazione sia alla velocità che al numero di informazioni scambiate producendo una sorta di immediatezza del contenuto; la comunicazione testuale è ridotta all'essenza (Twitter), mentre sembra diventare sempre più rilevante una comunicazione più immediata attraverso l'utilizzo di differenti medium, come avviene con le immagini (Istagram, Pinterest) o i video (Youtube,Vimeo). Non è sufficiente comunicare, ma serve comunicare efficacemente. Questo significa anche fare affidamento a dei contenuti che non trasmettano solo i vantaggi di una posizione lavorativa in una determinata azienda; in parole povere, bisogna essere in grado di trasmettere l'esperienza che lavorare per l'azienda produce in chi vi lavora oltre che la descrizione della mansione in sé. 4.3 Marketing esperienziale e Employer Branding Un nuovo modello di marketing si è sviluppato all'interno di questo modello comunicativo: se i consumatori (intesi come i destinatari di una comunicazione marketing) sono più informati e hanno una maggiore consapevolezza nei confronti dei prodotti che gli vengono proposti, il punto focale diventa allora riuscire a comunicare qualcosa di più delle semplici caratteristiche del prodotto: l'esperienza che quel prodotto comporta. 18 Per le strategie di EB, questo tipo di comunicazione assume sempre maggiore rilevanza per dare un carattere unico all'employer: è importante comunicare efficacemente quegli aspetti intangibili precedentemente detti, trasmettere il complesso di valori ed emozioni vissute all'interno dell'ambiente lavorativo. Significa quindi trasmettere contenuti che eccedono la dimensione lavorativa dei ruoli e delle mansioni svolti nell'azienda, ma di comunicare quell'aspetto di motivazione e di ispirazione collegati a questa, offrire una narrazione delle “storie” che si sviluppano nel contesto aziendale, valorizzandone il fattore umano. In questo la nuova diffusione di social network come, ad esempio Pinterest, favorisce un contesto comunicativo di questo genere, una strada che si è cominciato già come dimostrano gli esempi di General Electric e The New Traditionalists, che hanno fatto uso delle bacheche di Pinterest sia per promuovere il loro employer brand (GE) che per promuovere attivamente la propria attività di recruiting (New Traditionalists). 4.4 Employer Branding oltre il ROI: l'importanza della EVP sul lungo periodo All'interno del contesto aziendale, fatto di budget e bilanci, spese e profitti, l'indicatore più comunemente usato è il Return Over Investment (ROI) che, dal conto economico fino al singolo progetto o prodotto di un'azienda, fornisce un indicatore di performance chiaro e semplice. Due problemi, già menzionati nella sezione precedente, sorgono nel momento in cui ci si affida a questa metrica per misurare le pratiche di EB: 1. Che cosa misurare? Nel corso di questo lavoro è emerso che, nonostante una certa somiglianza tra i modelli, non è possibile identificare LA strategia, ovvero una tecnica in qualche modo universale da applicare, senza troppe modifiche, a qualsiasi contesto. Diversi sono in ogni caso gli aspetti intangibili, in certi casi difficilmente misurabili, di una strategia di branding efficace e solida che rischiano di non essere valutati dentro un indice quantitativo di questo genere. 2. Breve periodo vs. lungo periodo Il ROI è un efficace indicatore di performance sul breve periodo ma sul medio o lungo periodo presenta numerose insidie – sono noti a chi si occupa di contabilità finanziaria sia le modalità sia numerosi esempi pratici di manipolazione di questo indice. Affidarsi a questo indicatore come parametro di riferimento del successo di una strategia può quindi risultare, in combinazione con le criticità del punto precedente, controproducente e non fornire una fotografia fedele dello stato del processo di EB. Al di là di quanto già detto in precedenza sugli indici di monitoraggio, è importante che l'aspetto di ritorno economico, elemento imprescindibile di ogni realtà aziendale, sia messo in relazione con gli aspetti di coinvolgimento e motivazione dei lavoratori dell'azienda. 19 4.4.1 Oltre il Commitment: l'Engagement La fedeltà di un dipendente al proprio datore di lavoro non è un aspetto esaustivo degli obiettivi dell'EB. Non bastano le indagini di clima o i sondaggi d'opinione per avere un quadro chiaro del rapporto tra i lavoratori e il loro ambiente di lavoro, né si tratta di un puro esercizio comunicativo cercare di comprendere il livello di engagement dei propri dipendenti: impiegati con alti livelli di motivazione e coinvolgimento hanno un impatto sensibile sia sul fatturato (tra il 2% e il 4% – secondo lo studio di Hay Group del 2009) e un tasso di turnover sensibilmente più basso (tra il 40% e il 54%). L'engagement, la motivazione dei dipendenti a dare di più o a profondere un maggior impegno rispetto a quello richiesto dallo svolgimento del proprio compito, da come risultato un miglioramento in termini di performance e di produttività. In esso confluiscono una molteplicità di aspetti: relazionale, di reward, procedurale, nonché l'attività lavorativa in sé, le opportunità di sviluppo e di carriera oltre che la qualità della vita (secondo la classificazione proposta da Hewitt Associated [vedi allegato 1]). Oltre il mero espediente retorico, fattori quali la disponibilità di opportunità formative (54%), chiarezza sulle proprie mansioni (47%), autonomia (24%) ed un adeguato riconoscimento (21%) sono condizioni che impattano positivamente sulla complessiva soddisfazione nei confronti del proprio lavoro, che in Italia rimane sensibilmente al di sotto dell'area EMEA18 (-4%). Fornire un'analisi puntuale ed efficace dei fattori di engagement è utile sia nella fase di individuazione della propria EVP, fornendo un’efficace sintetizzazione dei principali aspetti da considerare, sia in fase di sviluppo che di comunicazione nei confronti dell'esterno risultando quindi anche un efficace strumento di verifica per le strategie EB. 4.5 Leader della trasformazione: ruolo strategico delle HR I trend di EB si intersecano sempre più con trend generali delle HR, per questo è importante richiamare alcun importanti cambiamenti che investiranno la funzione HR nel prossimo futuro – secondo le analisi portate avanti dall'Osservatiorio HR Innovation Practice del MIP. La necessità di includere la funzione nell'insieme delle risorse strategiche dell'azienda andando oltre il ruolo di semplice supporto amministrativo comporta delle necessarie modifiche, sia nel cosa, sia nel come dei ruoli e dei compiti assegnati. 4.5.1 Integrazione dei processi Abbiamo avuto modo di vedere come col tempo nelle aziende, in una prospettiva strategica, l'EB non sia più appannaggio esclusivo di una singola funzione, ma tragga vantaggio e anzi debba avvalersi di una pianificazione interfunzionale: HR, Marketing, Comunicazione e DG possono e 18 Acronimo che si riferisce a Europa, Medio Oriente e Africa. 20 devono lavorare insieme per fornire all'Employer Brand un contenuto coerente e solido in grado di fornire non solo valori di attraction ma anche di retention. In generale, le indagini condotte dall'Employer Branding Global Research Institute tra il 2009 e il 2011 hanno mostrato già uno spostamento in questa direzione a livello di pianificazione; l’ufficio Risorse Umane è incaricato dei processi di EB nel 31% dei casi, ma è in sostanziale calo rispetto alle statistiche precedenti (-19%) mentre sono altrettanto frequenti i casi in cui tali processi sono coordinati tra due o più dipartimenti (30%). È importante notare anche che è in sostanziale aumento il coinvolgimento della direzione generale e dei dirigenti (13% e 15% rispettivamente). L’integrazione di processi è utile, in primo luogo, sia per diffondere con maggiore efficacia i messaggi e i contenuti all’interno dell’azienda, attraverso un coinvolgimento diretto di differenti funzioni nei progetti, sia per ridurre la ridondanza dei messaggi o dei flussi di informazioni (sia in entrata che in uscita). Da questo punto di vista, l’integrazione deve avvenire non solo a livello procedurale ma anche a livello di trattamento ed elaborazione dei dati. 4.5.2 Business Intelligence & Analytics In generale, è necessario procedere in direzione del consolidamento delle strutture dati a disposizione delle aziende sia per quanto riguarda le risorse interne esistenti sia per quanto riguarda le potenziali acquisizioni. La creazione di un TRM (Talent Relationship Management), simile al CRM (Customer Relationship Management) appare un passaggio necessario nella creazione di una ormai necessaria Talent pool all'interno della quale costruire una connessione privilegiata tra l'azienda e le risorse di talento, costruendo relazioni di lunga durata con i candidati nella prospettiva di future posizioni disponibili. Il principio sotteso è che il costo di mantenere queste relazioni è inferiore a quello di ricominciare di volta in volta il processo. Il processo di recruiting cambia le sue coordinate di riferimento e non si tratta più, ormai, di attivarlo solo quando emerge la necessità di riempire eventuali vacancies nell'organigramma, quanto di instaurare un rapporto costante. Ciò significa anche favorire l'implementazione e l'integrazione delle basi di dati aziendali con i dati provenienti da differenti canali. L'utilizzo di differenti canali per l'acquisizione e la diffusione di informazioni, l'orientamento verso un processo di relazione con le risorse attuali e potenziali talenti di tipo community-oriented richiede uno sforzo di implementazione al fine di poter effettivamente ottenere un'ottimizzazione dei processi. 21 5. Great place to work: esempi di best practises Come fatto riferimento in precedenza, rientrare nella classifica annuale del Great place to work® rappresenta uno dei traguardi più ambiziosi e soddisfacenti che un’azienda possa raggiungere. Nato da un’idea di due giornalisti americani, Levering e Moskowitz, il Great Place to Work Institute è una società di consulenza che deve la propria autorità alla sua storia. E’ il 1981 quando ai due giornalisti venne proposto da un editore newyorkese di stilare una classifica delle 100 migliori Aziende in termini di politiche HR. Nonostante la difficoltà del lavoro richiesto, i due iniziarono una ricerca costante che li portò a scrivere diverse pubblicazioni durante tutti gli anni ’80, fino ad arrivare al loro più importante lavoro, A great place to Work: what makes some employers so good- and most so bad, nel 1988. Le ricerche proseguirono fino al 1997 quando, in collaborazione con Fortune (USA) ed Exame (Brasile), elaborarono la prima classifica delle 100 Best Companies to Work for. La credibilità e l’autorevolezza dell’Istituto sono cresciute negli anni, portando all’apertura di numerose sedi in tutto il mondo; nel 2001, venne aperta a Milano la sede italiana, la quale collabora stabilmente con Il Sole 24 Ore, che pubblica annualmente la classifica delle 100 migliori aziende in Italia. Il Great Place to Work Institute conta ad oggi 47 sedi operative, collaborazioni con oltre 6000 organizzazioni in tutto il mondo con più di 11 milioni di dipendenti coinvolti, ed un pubblico di 25 milioni di lettori. Da quanto affermato dallo stesso Levering, “un ambiente di lavoro eccellente è quello in cui ti fidi delle persone per cui lavori, sei orgoglioso di ciò che fai e hai un buon rapporto con i colleghi”. Tenendo presente tale affermazione, i parametri di valutazione in base ai quali un’azienda viene classificata rispecchiano i principi promossi dai fondatori dell’Istituto, ovvero, fiducia, orgoglio e buon clima aziendale. In tal senso, i consulenti analizzano le practices aziendali principalmente in base a due criteri: il Trust Index e il Culture Audit. Il primo si basa su un’attenta analisi di quella che è la percezione di fiducia dei collaboratori all’interno dell’Organizzazione; vengono evidenziati così i margini di possibile miglioramento nel caso in cui vengano riscontrate delle criticità, tenendo come riferimento le best practices dello stesso segmento aziendale. Il secondo criterio, invece, si basa su un confronto tra la percezione concreta dei lavoratori di ciò che in fase progettuale era stato previsto come obiettivo finale, in termini di formazione, investimenti, pratiche e programmi aziendali. Anche in questo caso i consulenti avranno il compito di confrontare la situazione in esame con le migliori di riferimento, e collaborare al miglioramento delle performances. Considerando dunque la forte autorità dell’Istituto, si è ritenuto utile fornire in seguito due esempi italiani di Aziende che si sono distinte per la qualità del loro lavoro. L’azienda Loccioni Group è già nella classifica del Great Place to Work Institute per l’anno 2014. Si è poi scelta l’azienda Ferrero S.p.a. per il suo respiro internazionale, la presenza dei suoi prodotti sul mercato mondiale e le politiche innovative in termini di EB. 22 5.1 Il caso Ferrero La Ferrero S.p.a. nasce ad Alba nel 1942 per opera di Pietro Ferrero. Negli anni rimasta fedele ai principi della famiglia, la Mission del gruppo affonda le sue radici in tre fondamentali proposizioni che possono riassumersi in tre significativi enunciati: “qualità elevatissima” - “cura artigianale” - “considerazione del cliente”. Mantenendo costante l’attenzione alla proposition value aziendale (e familiare), la strutturazione delle HR rispecchia e mette in pratica un certo modello di EB che si basa principalmente sulla persona in quanto portatrice di valore aggiunto per l’azienda. Sebbene da sempre riconosciuta come un modello da seguire per quel che riguarda la gestione del proprio capitale umano, è sotto la guida di Fabio Dioguardi, direttore delle HR dell’azienda dal 2007, che Ferrero riesce ad inquadrare la strada che porta al successo, ovvero il reclutamento di nuovi talenti in grado di focalizzare e centralizzare il proprio brand all’interno del mercato. La policy in merito di EB è stata costruita su due leve fondamentali: da una parte, la valorizzazione degli argomenti e dei principi Ferrero, rivolti all’interno, ai propri dipendenti, e, all’esterno, ai futuri candidati; dall’altra parte, il potenziamento dell’immagine corporate traguardando il piano d’azione all’obiettivo di realizzare un luogo eccellente in cui lavorare. Come ha affermato lo stesso Dioguardi in un’intervista per JobMeeting.it, Ferrero è “un’azienda leader di mercato che deve assumersi la responsabilità di indicare la strada ed essere un riferimento per tutte le altre”. 5.1.1 Ferrero Careers: lavorare è questione di click! Il primo strumento di contatto veloce ed efficace con i lavoratori, potenziali e non, è rappresentato da Ferrero Careers, la piattaforma 2.0 sulla quale vengono costantemente aggiornate e pubblicate le offerte di lavoro mirate ai profili ricercati, sia a livello locale, sia a livello internazionale. Grazie a Ferrero Careers, lavorare in Ferrero è questione di click! L’invio del proprio C.V. permette agli addetti di ricercare continuamente nuovi talenti, che, una volta entrati a far par parte dell’azienda, saranno parte di una grande rete formativa attraverso la quale Ferrero forma ed aggiorna costantemente il proprio personale. A tal proposito, di focale importanza diventa la Ferrero Corporate University, una scuola per i Managers e i Professionals di Ferrero che ha lo scopo di far conoscere ed apprendere tutti quegli strumenti utili per il miglioramento continuo dell’azienda. 5.1.2 Rivolti al potenziale L’azione di Ferrero verso il “potenziale”, ossia, verso l’esterno e i futuri lavoratori, si è concretizzata attraverso la realizzazione e la partecipazione a job meeting, career day e testimonianze aziendali nelle migliori Università italiane con la sponsorizzazione di Master in Marketing Management per Il 23 Sole 24 Ore e Publitalia80 e l’assegnazione di stage certificati per la qualità “ok stage” che sono diventati il bacino più ampio al quale attingere per le nuove assunzioni. 5.1.3 Ferrero Care Le strategie di potenziamento delle tematiche HR messe a punto hanno portato ad un grande investimento da parte dell’azienda per quello che ha preso il nome di Ferrero Care, un piano di Work Life Balance suddiviso in quattro aree (Work Life Balance - Azienda Trasparente - Sviluppo Professionale - Ambiente di Lavoro) atto a rendere la vita in azienda il più agevole ed eccellente possibile. Il programma Ferrero Care è un sistema di attività e iniziative dedicate agli oltre 20.000 dipendenti che ritrovano in azienda il clima più adatto per svolgere al meglio il proprio lavoro. 5.1.4.Cerchiamoli all’Università! Il motto di Dioguardi, citato nel titolo del seguente paragrafo, riassume qual è stato il progetto che il direttore delle HR Ferrero ha strutturato sulla base della collaborazione avviata nel 2007 con La Sapienza di Roma, in modo particolare con Gabriele Lizzani, docente di Employer Branding presso lo stesso ateneo. Il lavoro con il mondo universitario ha permesso a Ferrero di dar vita a nuovi progetti, i cosiddetti Company Project, grazie ai quali gli studenti possono cimentarsi in progetti orientati all’innovazione in partnership con managers e professionisti dell’azienda. L’esperienza aziendale si è aperta, così, ad un respiro più ampio che va incontro all’esigenze dei giovani e dell’azienda, allo stesso tempo, in modo tale da ottenere una forte comunicazione del brand che renda quest’ultimo desiderabile agli occhi di chi vuol entrare a far parte del mercato. Basti pensare che, solo nel 2009-2010, il 70% delle assunzioni consta di neolaureati e studenti Master. 5.1.5 Bollino ok stage L’adesione, dal 2009, al Bollino ok stage si muove nella stessa direzione delle iniziative sopra citate; la tutela degli stagisti, ricompensati secondo quanto stabilito, e la trasparenza delle best practices diventano, così, ulteriori cavalli di battaglia dell’azienda torinese che prevede un rimborso spese di 1.000 euro per chi risiede a oltre 50 km dalla sede e 750 euro per gli altri, più mensa aziendale e pc portatile. Negli ultimi anni, la percentuale di assunti al termine dello stage è sempre stata superiore al 50%. 5.1.6 Ferrero Awards L’innovazione in campo di EB ha garantito a Ferrero riconoscimenti a più livelli in quelle che sono le classifiche più accreditate in materia di comunicazione del brand, nazionale ed internazionale. 24 Tra i casi di spicco ricordiamo il primo posto di Ferrero, sia all’Employer Branding Survey Monster 2013, sia al contest The Italy’s most attractive employers (Universum), dove ha strappato il podio a Google. E ancora, è il 15 marzo 2012 quando Ferrero si aggiudica il primo posto alla Randstad Awards risultando l’azienda “made in Italy” più all’avanguardia e quindi più per l’EB a livello internazionale. 5.2 Il caso Loccioni La Loccioni Group nasce nel 1968 ad Angeli di Rosora dalla volontà di Enrico Loccioni. L’approccio di una “sartoria tecnologica” in grado di poter apportare significativi miglioramenti nel campo della misurazione e della produzione di processi industriali si collega strettamente alla Mission dell’azienda che si fonda su pilastri fondamentali quali l’integrazione d’idee, persone, tecnologie, insieme ad una coerente trasformazione di dati in valore. Questi i concetti che accompagnano e strutturano quelle che sono le iniziative che l’azienda marchigiana da sempre mette in atto per quel che riguarda l’EB. Uno sguardo più attento a quest’ultime pratiche ci consente di constatare nell’immediato l’impegno che Loccioni dedica nell’attirare a sé nuovi talenti al fine di migliorare le prestazioni e l’efficienza dei propri prodotti. In tal senso, la politica di EB targata Loccioni si costituisce sulla “rete” che l’azienda, negli anni, ha costruito fin dagli inizi della propria attività; una rete le cui maglie sono rappresentate dai rapporti intrapresi e consolidati con le imprese e le scuole presenti sul territorio al fine di perseguire un unico obiettivo: il miglioramento della conoscenza e delle pratiche imprenditoriali. Il mix derivante da questi valori e principi ha fatto sì che le modalità operative dell’azienda fossero improntate allo stile dell’Open Company e della Play Factory. In questo senso, Loccioni, non è un posto di lavoro, ma un posto in cui poter lavorare. La struttura Open consente il continuo flusso in azienda di clienti, giovani, nuovi talenti, la comunità scientifica, in vista di un migliore e sempre sviluppo tecnologico. Una tale apertura permette, così, la creazione di nuovi business e di nuove relazioni con le quali creare mercati efficaci. Guardando a queste caratteristiche, l’organizzazione del gruppo si struttura, non in modo gerarchico, bensì, in modo “orizzontale” di modo tale che il dialogo e la condivisione di pratiche e saperi diventino i punti cardine del brand. 5.2.1 A scuola con Loccioni! Da questi presupposti sono nati progetti quali Bluezone, U-net, Crossworlds e Nexus. Rete aperta alla collaborazione con scuole e università marchigiane, Bluezone è il primo modello che Loccioni “sfrutta” al fine di preparare e formare gli studenti all’interno del proprio gruppo. Un’occasione che Bluezone fornisce alla propria rete è quella che permette la frequentazione di 25 Master pre-ingresso, percorsi formativi per diplomati e laureati volti a trasferire informazioni organizzative sul gruppo, conoscenze sul mercato e sui clienti, sviluppare soft skills necessarie per ottimizzare l’inserimento lavorativo. Di simile stampo, U-net si apre al contesto universitario per diventare un progetto di collaborazione multidisciplinare con le Università ed i centri di ricerca nazionali per sviluppare competenze nel campo della ricerca scientifica ed applicata. Dando uno sguardo ai numeri, nel 2012, il Gruppo ha contato 1270 studenti in orientamento, 54 testimonianze aziendali in scuole e Università, 12 tesi di laurea, 8 dottorandi e 7120 ore di formazione in aula. Verso gli stessi traguardi è orientato il progetto Business Marketing Lab, nato nel 2006 dalla collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche con lo scopo di valorizzare il know how scientifico attraverso la realizzazione di project work al fine di concretizzare la conoscenza universitaria in vista del marketing e del business aziendali. All’interno di questo laboratorio, riveste un ruolo fondamentale il progetto Grown on Loccioni, nella sua terza edizione nel 2014. Il progetto formativo prevede tre momenti principali, il primo dedicato alla formazione, durante il quale gli studenti incontrano responsabili d’impresa e consulenti, i quali espongono le proprio esperienze reali d’azienda; il secondo momento, durante il quale il project work permette un’attualizzazione dei concetti appresi, ed infine, il terzo ed ultimo momento di tutoraggio individuale, dove ogni studente è accompagnato nei primi passi fondamentali verso il mondo del lavoro. Inoltre, è la stessa Loccioni a pagare le tasse universitarie di ogni partecipante. Oltre i confini nazionali troviamo Crossworlds, la rete di ricerca internazionale che, in collaborazione con ATA - Associazione Tecnica dell’Automobile, è volta a stimolare il trasferimento tecnologico tra settori differenti. Infine Nexus, la rete locale plurisettoriale che ha lo scopo di diffondere al meglio le potenzialità che un lavoro interdisciplinare può attivare sul territorio. 5.2.2 Attirare e Condividere Ai progetti sopra citati, che di anno in anno incontrano un grande successo sul mercato, nazionale e non, si aggiungono altre due iniziative che arricchiscono il modo di fare impresa di Loccioni, Leaf community e Silverzone. Il primo piano d’azione si concretizza in un progetto di condivisione con altre imprese di altissimo livello, mentre il secondo consta della collaborazione di figure “senior” con le quali l’azienda ha lavorato affinché la rete di saperi e di conoscenza del gruppo venga messa a disposizione dei giovani che intraprendono un cammino lavorativo all’interno dell’impresa. 26 5.2.3 Employer Branding & Territorio L’innovazione di Loccioni in EB si attualizza anche in due piani volti alla valorizzazione della propria azienda legata alla valorizzazione del proprio territorio. Si tratta, nello specifico, del progetto LOV, “Land of Value”, e del progetto Marche Style. LOV è nato per diventare una vera e propria esperienza della convivialità e della familiarità del gruppo Loccioni a 360° insieme ad un percorso enogastronomico proprio delle Marche. Un progetto che è “cura verso l’ospite”, accoglienza ed illustrazione didascalica del modus operandi aziendale rivolto ai nuovi talenti affinché l’esperienza aziendale si trasformi in momento unico ed irripetibile. Nella stessa direzione si muove Marche Style, il progetto Loccioni nato nel 2012 con lo scopo ultimo di attirare nuovi talenti dotati di capacità scientifiche e tecnologiche maturate già in altre aziende strutturate. Requisito fondamentale del candidato deve essere un forte spirito di conciliazione tra la vita lavorativa e quella più “intima” legata alla dimensione territoriale. Vivere il territorio marchigiano seguendo la tradizione mantenendo un profilo lavorativo volto alla innovazione e al miglioramento, le basi del progetto, hanno fatto sì che, nel 2012, Marche Style fosse su trentadue testate, online e offline, in meno di sessanta giorni insieme ad un numero di 1260 candidature pervenute. 5.2.4 Loccioni Awards Stando così le cose, non è un caso se la Loccioni Group si trova oggi sul podio della classifica “Great Place to Work” come unica impresa totalmente italiana, sia tra le piccole, sia tra le più grandi aziende. Inoltre, è nel 2003 che il Gruppo si vede riconoscere da Confindustria il premio Impresa Cultura, e, nel 2009 il premio Orientagiovani. 5.3 General Electric Company Pinterest e la costruzione dell’Employer Brand La General Electric è una multinazionale statunitense del settore tecnologia e servizi fondata nel 1892: visitando il profilo aziendale su Pinterest – social network nato per la condivisione di foto e immagini – si può leggere questa descrizione: “#Pinning things that inspire us to build, power, move and cure the world. Welcome to the official GE Pinterest page!” Nella pagina di GE sono presenti 24 differenti board, e gli argomenti trattati variano enormemente: si va dalle grandi macchine agli “archivi” che mostrano immagini prese dal racconto della storia e dell’eredità di GE, passando per la board del concorso “#GEInspiredME”, interamente dedicata alle foto dei fans. Questa azienda è un ottimo esempio di come dovrebbero essere organizzati, gestiti e mostrati i contenuti all’interno di una pagina “brandizzata”, sia a livello di semplice strategia di branding aziendale sia, soprattutto, in un’ottica di EB. 27 Tra queste tavole, alcune meritano quindi una particolare attenzione: 1 "The Archives": una collezione di immagini che raccontano la storia della nascita dell’azienda, attraverso le prime pubblicità e le idee, per far capire come le creazioni - spesso futuristiche di GE abbiano cambiato il mondo e la qualità della vita di molte persone. Un modo avvincente per dire al potenziale candidato che guarda queste immagini “Vieni a bordo, partecipa anche tu ai nostri successi e aiutaci a migliorare il mondo in cui viviamo!”. 2 “#GEInspiredME”: in questa tavola sono riunite le migliori foto di un concorso indetto da GE al fine di trovare “the next GE Intagrapher”. Il concorso prevedeva di scattare fotografie col cellulare e condividerle apponendo l’etichetta “#GEInspiredME”. Le fotografie dovevano ispirarsi alle quattro aree di innovazione di General Electrics: movimento, costruzione, cure mediche, energia. Inserire una board come questa significa far leva sul valore della cultura aziendale e dell’innovazione attraverso canali nuovi, rendendolo più appetibile e riconoscibile per quelle generazioni, giovani, che, nella proposta di lavoro si aspettano una proposta di valore, comporti anche una crescita personale e professionale del singolo. 3 “Badass Machines”: è una raccolta delle più incredibili ed enormi macchine costruite da General Electrics e degli elementi a cui i costruttori di queste meraviglie tecnologiche si ispirano. Alcune delle didascalie di queste immagini giocano su un tono “da bar”, come se fossero parte di una conversazione tra amici sulla potenza delle macchine che la fabbrica costruisce, con un entusiasmo che solo il tono informale può rendere. Questo è un modo di avvicinarsi agli appassionati come se si parlasse lo stesso linguaggio, informale, crudo e potente dell’argomento di cui si parla; in questo modo, l'interessato sentirà in queste parole un invito rivolto proprio a lui. Percepirà chiaramente che l’azienda sta operando una proposta di valore, e non solo di lavoro, invitandolo a provare ad unirsi ai suoi team di lavoro, qualora ritenesse di avere lo stesso entusiasmo dell’ingegnere che, fiero del suo lavoro in GE, ne ha ritratto la maestosità e ha deciso di condividerla con gli altri appassionati. 4 “That’s Genius!”: è una board in cui sono raccolte immagini che riportano frasi e citazioni brillanti dei più grandi geni del campo. Anche questo è un modo di parlare vicino al target giovanile che lo avvicina al brand grazie alla condivisione dello stesso codice espressivo. Brevi frasi, motivanti e pronunciate dai presunti eroi di coloro che dovrebbero rappresentare l’obiettivo, in termini di personale, dell’azienda. 5.4 The New Traditionalists Recruiting ai tempi di Pinterest The New Traditionalists produce mobili di pregio in un laboratorio di New York, ed è un esempio efficace dell’utilizzo di Pinterest per ricercare nuovi talenti in maniera innovativa e non convenzionale: tra le varie bacheche dedicate infatti ai prodotti – come “White Linen”, “Summertime” e “The Devil in the Details” – realizzate attraverso un codice comunicativo informale 28 atto a costruire una narrazione delle ispirazioni che guidano la produzione dell’azienda più che i prodotti in sé spicca anche la board denominata “HELP WANTED!”: In questa si legge "We are The New Traditionalists and we are looking to expand our wolfpack! We need a Client Services Specialist to join us [...]. Traditional postings are boring so we made this board detailing our desired criteria. Are you the Client Services Superstar that we are seeking? [...]". La strategia adottata colpisce per originalità e potenza espressiva. E’ operata una costruzione magistrale dell’employer brand, della figura del datore di lavoro, che attraverso le immagini si racconta come un giovane talentuoso JFK con grandi piani, come un bambino che non vede l’ora di crescere, ma anche un adolescente con un bagaglio di sogni e l’entusiasmo di puntare in alto. Inoltre, le immagini sono fruibili, sono scelte ad arte e rispecchiano vere e proprie ispirazioni (quasi tutte sono immagini tratte da diversi film), sempre mantenendo un tono amichevole, accomodante, entusiasta, ma non per questo dimenticando di fornire anche il minimo dettaglio sulla personalità e le caratteristiche ricercate. 29 “The War for Talent is over, and the Talent won” Se l'EB viene ad identificare la strategia condotta dalle aziende per affrontare quella che è la “Guerra dei Talenti” descritta all'inizio di questo lavoro, il 2014 rappresenta, prendendo a prestito le parole usate da Josh Bersin nelle sue Prediction per l'agenzia Deloitte, la fine di questa guerra e l'affermarsi di un paradigma di competitività che ha il suo fulcro in questi talenti. Ci troviamo di fronte ad un progressivo allargamento degli orizzonti in materia, in cui non si tratta più solamente di riempire i vuoti nell'organigramma attraverso forme di comunicazione unidirezionali, di stabilire retribuzioni ed eventuali benefits sulla base di un valore attuale della risorsa. Quello che si richiede alle risorse umane è un impegno costante nel Talent Management che richiede una prospettiva di lungo periodo, il coordinamento tra differenti funzioni e la capacità di osservare al quadro generale: in altri termini, la funzione HR va ad inserirsi all'interno della più generale business strategy dell'azienda. Da questo punto di vista l’incontro con realtà italiane che hanno da poco cominciato a dotarsi di progetti del genere per l’acquisizione di talenti, come nel caso di Nice S.p.a. di cui abbiamo intervistato la responsabile del progetto Nice for Talent in occasione della loro testimonianza in ISTUD, ci ha fornito un utile confronto e una conferma degli aspetti fin qui elencati, sia in termini di strategie che di tendenze. 30 Sintesi Senza entrare qui nel dettaglio delle tattiche attivabili di volta in volta per supportare un piano strategico di EB, possiamo quantomeno indicare alcuni elementi importanti che rappresentano una sfida cruciale nella realtà italiana: 1. L'EB non è appannaggio delle sole realtà multinazionali, delle grandi o grandissime imprese e, anzi, un utilizzo efficace dello stesso è possibile anche, e soprattutto, per le piccole e medie imprese, le quali costituiscono la parte più rilevante del nostro panorama industriale (Loccioni costituisce, forse, l'esempio). 2. Il carattere omnidirezionale della comunicazione social e web mette ancora più sotto scacco la dimensione tradizionale di proprietà19 – basata su potere e controllo – che ancora governa diverse realtà manageriali italiane. L'impossibilità di controllare la diffusione della propria immagine rende, di fatto, necessario un approccio profondamente collaborativo e partecipativo: All'interno dell'azienda per la costruzione di un Employee Value Proposition (EVP) coerente e all'esterno, attraverso l'interazione costante con il “pubblico” e i differenti stakeholders al fine di valorizzare. 3. La competizione per l'acquisizione dei talenti si svolge, in una realtà iper-connessa come la nostra, su scala globale e, con l'emergere di qualche timido indicatore di ripresa economica, questa competizione non può che aumentare. Da parte di un'azienda risulta sempre meno un'opzione quella di sviluppare una strategia di EB e allo stesso tempo è necessario dotarsi di una certa esperienza e professionalità in merito. 4. L'immagine di Best Place to Work è prodotta anche e sopratutto attraverso un'opera di narrazione condivisa in grado di raccontare efficacemente l'esperienza del vivere in azienda. Per raggiungere questo obbiettivo, affidarsi a tecnologie di storytelling nuove rappresenta sicuramente un'opportunità; la diffusione e l'utilizzo dei social media consente delle opportunità precedentemente sconosciute. Si pensi al fenomeno della viralità dei contenuti che può produrre risultati inaspettati, come nel caso dello spot di Volvo Trucks: Epic split, che attraverso un efficace utilizzo di un ambasciatore del brand (Jean-Claud Van Damme) ha realizzato il maggior numero assoluto di visualizzazioni nel segmento. 19 B. Mincington, B. Mitchelson Branching out: Web 3.0 branding, HCA Mag, 2010. 31 Bibliografia: • Beacon Management Rewiew, 3/2012. • B. Michington, Your Employer Brand- attract, engage, retain, Collective Learning Australia, 2006. • B. Michington, It’s time to get social, HR Future 12/2010. • B. Michington, B. Mitchelson, Branching out: Web 3.0 branding, HCA Mag, 2010. • C. Freeman, S. Knox, Measuring and Managing Employer Brand Image in the Service Industry”, Journal of Marketing Management, 2006, 22, 695-716. • Creating a sustainable Rewards and Talent Management Model, Global Talent Management and Rewards Study, Towers Watson, 2010. • Dell and Ainspan (2001), Engaging Employees Through Your Brand, The Conference Board, Research Report 1288-01PR. • E. Amendola, Corporate Recruiting. Employer branding e nuove tendenze, Ed. Anthea Consulting, 2008. • Employer Branding Rewiew, Settembre 2013, anno 4, n. 08. • Engaging Employees for Business Success, Hewitt, 2008. • G. Lizzani, G. M. Mussino, M. Bonaiuto (a cura di), L’Employer Branding tra ricerca e innovazione, FrancoAngeli. • K. Backhaus, S. Tikoo, Conceptualizing and researching employer branding, Career Development International, Vol. 9 Iss: 5. • J. Bersin, Prediction for 2014, Deloitte Consulting, 2013. • LinkedIn Talent Solution (2012), The State of Employer Branding. 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