l`isis pronto ad attaccare le navi italiane. ecco il

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l`isis pronto ad attaccare le navi italiane. ecco il
d’Italia
L’ISIS PRONTO AD ATTACCARE LE NAVI
ITALIANE. ECCO IL DOCUMENTO
ANNO LXIII N.41
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
WWW.SECOLODITALIA.IT
Redazione
La denuncia dell’ambasciatore
egiziano Nasser Kamel («c’è il
rischio che barconi di terroristi
arrivino sulle coste italiane») è
solo uno dei tanti elementi che
delineano il pericolo per il nostro Paese. A rilanciare l’allarme – come si legge su
congedatifolgore.com – è in
particolare un documento dell’Isis trovato sul web e tradotto
dalla Quilliam Foundation,
think tank antijihadista inglese.
Il documento dell’Isis
«La Libia, scrive Abu Ahim al
Libim, ha una lunga linea di
costa che affaccia sugli Stati
crociati del sud Europa, che
possono essere raggiunti
anche con imbarcazioni rudimentali. L’immigrazione illegale dalle coste libiche è
massiccia e secondo molti di
questi immigrati è facile passare attraverso le maglie della
vigilanza marittima e arrivare
nelle città. Se questo fosse
anche solo parzialmente sfrut-
tato e sviluppato strategicamente, il caos potrebbe essere
portato nell’Europa del Sud. E
potrebbe anche accadere che si
arriverebbe ad una chiusura del
traffico marittimo a causa degli
attacchi alle navi crociate e alle
petroliere». L’ipotesi di attacchi
alle navi da crociera è remota,
perché, come ricorda l’ad di Msc
Crociere «non abbiamo navi che
incrociano in quella zona».
venerdì 20/2/2015
Ecco quali sono le navi italiane
a rischio
Più concreta l’ipotesi che possano essere attaccate navi mercatili dirottate dalla Marina
militare o dalla Guardia Costiera
italiana o maltese o greca per
prestare assistenza ai barconi.
Non può essere escluso – continua congedati.com – neppure
l’attacco a pescherecci oppure a
navi dello stesso dispositivo di
soccorso. Non a quelle della Marina militare italiana, ben difese,
ma a unità civili come la Phoenix
I nave di 43 metri gestita dall’ong
maltese Moas, creata dall’imprenditrice italiana Regina Catrambone e dal marito Christoper,
americano che fino all’11 novembre (ma a primavera pianifica di
ripartire) ha prestato assistenza
a migliaia di migranti nel canale
di Sicilia. E che era assolutamente disarmata.
Egitto, raid delle forze di terra contro l’Isis: uccisi 155 tagliatori di teste
Redazione
Dopo aver messo in guardia l’Italia sul rischio di infiltrazioni terroristiche attraverso gli sbarchi di
migranti sulle nostre coste, l’Egitto
compie la sua prima azione sul
terreno, impiegando forze speciali
della task force 777 e 999, partite
in elicottero da Marsa Matrouh,
dove hanno una delle basi di addestramento. Dopo i raid aerei di
lunedì e martedì, le forze egiziane
hanno compiuto dunque anche
un‘incursione via terra e secondo
alcune fonti avrebbero «ucciso
155 combattenti dell’Isis» e ne
avrebbero «catturati altri 55». Intanto all’Onu il governo egiziano
insiste affinché venga quantomeno revocato l‘embargo sulle
armi per il governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, cioè quello costretto ad
operare da Tobruk poiché a Tripoli
la fa da padrone un governo «pa-
scopo di non permettere loro una
risposta all’azione di terra».
rallelo» formato dalle milizie islamiche.
Egitto, incursioni via terra fino
a Derna
Dunque «l’Egitto – spiega sul web
il sito www.congedatifolgore.com
– entra nel vivo dell’avanzata anti-
Isis inviando una forza di terra:
forze speciali delle unità 777 e
999 hanno compiuto un’incursione a Derna, roccaforte del Califfato nel paese nord africano.
Parallelamente, l’aeronautica del
Cairo ha compiuto nuovi raid contro le postazioni dei miliziani allo
La strategia contro lo Stato
Islamico
«L’obiettivo era duplice», si legge
ancora sul sito www.congedatifolgore.com, che poi prosegue: «Da
una parte raccogliere informazioni
e valutare sul terreno quale sia la
capacità difensiva/offensiva dei jihadisti, nonché l’armamento e i sistemi di cui dispongono. Dall’altra,
colpire lo Stato Islamico in Libia al
cuore, inviando un messaggio
molto chiaro: siamo pronti a colpirvi ovunque e duramente. Un
raid perfetto, secondo fonti del
Cairo: condotto “da 30 militari”,
con 155 miliziani dello Stato Islamico uccisi, altri 55 catturati, nessun soldato egiziano ferito».
Libia, Putin in campo: la Russia
pronta a combattere contro l’Isis
Secolo
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d’Italia
VENERDì 20 FEBBRAIO 2015
Francesco Signoretta
In Libia entra in campo Putin, nonostante ci sia una parte dell’Occidente che – anche di fronte al
pericolo dell’estremismo islamico
– continui a considerare il leader
russo come il principale nemico.
I tagliatori di teste dell’Isis vanno
fermati, costi quel che costi, e
Mosca non è disposta a rimanere
alla finestra. E probabilmente il
suo appoggio potrebbe rivelarsi
fondamentale. Anzi, decisivo.
Putin pronto a impegnarsi in
Libia
Il rappresentante permanente
russo all’Onu, Vitali Ciurkin, non
ha escluso la partecipazione di
Mosca a un’eventuale coalizione
internazionale contro lo Stato
islamico in Libia, in particolare
garantendo un blocco navale per
impedire l’arrivo di forniture di
armi ai terroristi. L’ha riferito la
Tass, dopo la riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza
Onu sull’emergenza libica.
Le parole del rappresentante
russo all’Onu
«Da un punto di vista politico –
ha dichiarato Ciurkin – non lo
escluderei. Ma questa non è una
mia decisione. Se la Russia ha
potuto partecipare alle operazioni
al largo delle coste somale, perché non potrebbe fare lo stesso
nel Mediterraneo?», ha aggiunto,
ricordando che l’Isis ha colpito
l’Egitto, con il quale la Russia ha
rapporti di amicizia.
I paletti messi da Londra
Una mossa da scacco al re.
Che induce molti Paesi europei
a mettere ancora paletti. Da
Londra arriva un allarme: c’e’
un pericolo reale ed attuale che
la Russia cerchi di destabilizzare
Estonia, Lituania e Lettonia».,
avverte il ministro della Difesa
britannico Michael Fallon. A suo
giudizio il rischio è che Mosca
utilizzi nei paesi del Baltico «la
stessa tattica» aggressiva usata
in Ucraina.
Niente musica dove comanda l’Isis: solo inni ad Allah
Ezio Miles
Isis, è un mondo cupo, senza
gioia e senza canti quello che
vuole imporre al mondo l’integralismo islamico. Anche la
musica finisce infatti nel mirino
dell’ideologismo cieco dei seguaci del Califfato. Nelle loro
terre solo inni ad Allah. I miliziani dell’Isis in Libia hanno
postato immagini sul web in
cui si vede un gruppo di loro,
tutti armati e incappucciati,
che danno alle fiamme degli
strumenti musicali, come sassofoni, bonghi, batterie e tamburi. Lo riferisce il Mail online,
aggiungendo che le foto sarebbero state scattate nel deserto della Cirenaica vicino a
Derna, città ‘fedele’ al Califfato. Un messaggio dell’Isis
che accompagna le immagini
spiega che gli strumenti musicali sono stati sequestrati perché “non-islamici” e che sono
stati bruciati “in base alla sha-
ria”.
L’Isis e il peccato. Che cosa
dice il Corano
Vale la pena sottolineare che
l’islam la musica è peccato.
Secondo quanto stabilito dal
Corano e dalla sharia, è infatti
proibito l’ascolto della musica e
dei canti che non siano religiosi
(in particolare se provenienti da
apparecchi elettronici, come
radio o stereo). È assolutamente proibita la professione di
cantante o musicista (in quanto
permette di guadagnare de-
naro dalla produzione di musica). Sul sito al–shia.org è
scritto che L’islam permette gli
atti musicali solo a condizione
che non siano dannosi alla morale islamica. Nella Sunna (la
tradizione islamica codificata) è
scritto: “La musica corrompe le
menti della nostra gioventù.
Non vi è differenza tra musica
e oppio. Entrambe, ognuna a
modo suo, creano una sorta di
ottundimento dei sensi. Se volete che il vostro paese sia indipendente, allora bandite la
musica, come un tradimento
per la nostra nazione e per la
nostra gioventù”. Non in tutti i
Paesi islamici è ovviamente
così. Anzi diciamo che decenni
di evoluzione moderna hanno
reso meno rigide le prescrizioni
della tradizione. Ma il fanatismo dell’Isis è annullamento
della storia, nel folle sogno di
una “purezza” che produce
solo violenza, miseria e tristezza.
Luigi Di Maio, il grillino in blu
elettrico che riscopre la Casta
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Secolo
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Mario Aldo Stilton
«Certi protocolli sono fatti per
essere infranti». Letta così, questa frase di Luigi Di Maio sembra quella di un militante
rivoluzionario. Uno duro e puro.
Come Grillo probabilmente ha
vagheggiato dovessero essere i
suoi discepoli. Ma, valutato
luogo e contesto, l’affare s’ammoscia. E scappa pure da ridere. Perché il giovanotto a
cinque stelle, che insieme ai
suoi colleghi avrebbe dovuto
aprire il Parlamento come una
scatola di sardine, non si riferisce alla volontà di cambiare regole e procedure del detestato
Palazzo, ma soltanto al colore
del suo abito sartoriale.
Blu elettrico per Mattarella
Trattasi del vestito su misura,
blu elettrico, indossato per il discorso in Aula del neo presidente Mattarella. Argomento di
cui il pentastellato ha meticolosamente reso partecipi i lettori di
“Chi“. È infatti dalle colonne del
settimanale di gossip che scopriamo il perché della sua rivoluzionaria
decisione
di
indossare un “blu elettrico”, anticipando addirittura – si legge
nella nota a margine – la “stagione primavera estate 2015″.
Insomma come un indossatore,
un modello. Ora, va bene tutto.
Ed è pur vero che quell’aula
sorda e grigia ne ha viste di tutti
i colori. Blu elettrico compreso.
Così come è vero che il carnevale è terminato da poco. Tuttavia, in tempi così difficili, un po’
di misura non guasterebbe. Soprattutto da uno che dovrebbe
essere arrivato lì, sull’onda dei
Vaffa, per rappresentare il disagio della Nazione. Contro la
Casta e i suoi riti.
Blu elettrico e protocolli infranti
Ma probabilmente bisognava
aspettarselo. Curatissimo, sbarbato di fresco, giacca e cravatta
d’ordinanza e con quell’atteggiamento da maestrino che “mò
te lo spiego io“, Luigi Di Maio,
sarebbe stato bene ovunque:
ma non tra chi era arrivato per
rovesciare il sistema. Uno tanto
voglioso di esserci, di apparire
e di farsi ammirare che la pagina di “Chi” la riproduce e la
posta sul profilo Facebook. Giusto per chiamare a raccolta i
suoi fan. E per far capire a tutti
gli altri in che razza di mani
siamo. Così, più lo guardi e lo
senti questo eroe del cambiamento, più leggi e rileggi le autentiche perle pubblicate sul
settimanale e quasi ti viene nostalgia della Casta tutta intera e
dei vecchi dinosauri della politica. E pensi pure a quante illusioni e speranze hanno
suscitato Grillo e Casaleggio. E
al loro puntuale infrangersi. Proprio come i “protocolli infranti” di
Di Maio.
Rissa tra collettivi a Bologna: c’era pure il militante che aggredì Salvini
Gabriele Farro
Botte da orbi tra collettivi a Bologna.
Come documentato dalle riprese di
alcune telecamere di sorveglienza
gli attivisti di due collettivi studenteschi antagonisti, Cua e Hobo, si
sono affrontati scatenando una
rissa avvenuta nel campus universitario di via Filippo Re.
Rissa tra Cua e Hobo
Grazie ai filmati e alle indagini della
Digos, la polizia ha già identificato
tutti i partecipanti alla violenta scazzottata: una dozzina di persone che
rischiano di finire indagate per rissa,
tutte già conosciute e fra le quali almeno quattro ragazze. Nel parapiglia c’è stato anche un ferito: è un
attivista di Hobo, lo stesso giovane
che fu protagonista lo scorso novembre dell’assalto all’auto del se-
Re.
gretario della Lega, Matteo Salvini. Il
giovane si è fratturato una mano, a
quanto pare mentre colpiva con un
casco da moto il lunotto posteriore
dell’auto degli “avversari”, e ne avrà
per 30 giorni. La dinamica dei fatti è
stata inviata dalla polizia alla Pro-
cura, che valuterà come procedere.
Ad affrontarsi, secondo la ricostruzione della Digos, sono stati da una
parte una decina di ragazzi e ragazze del collettivo Hobo, dall’altra
due appartenenti al Cua, che sono
stati attesi dai “rivali” in via Filippo
Ferito l’aggressore di Salvini
Quando questi sono arrivati in macchina è scattata l’aggressione, che
poco dopo avrebbe visto le due vittime diventare parte attiva nella
zuffa. Oltre alle botte sono stati usati
anche alcuni attrezzi (un cric e una
chiave per pneumatici), trovati con
tracce di sangue dalla polizia, che li
ha sequestrati. A quanto si apprende, a scatenare la lite sarebbe
stata la sovrapposizione di due
eventi in programma in zona universitaria: un aperitivo del Cua in
piazza Verdi e un party di Hobo in
via Zamboni 38. A fine gennaio,
un’altra zuffa aveva coinvolto ragazzi del Cua e attivisti del collettivo
Làbas.
Tartassati e senza soldi: gli italiani
“ringrazino” Monti e Letta. I dati Istat
Secolo
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Girolamo Fragalà
Tartassati, in forti difficoltà economiche, alla ricerca quasi disperata di un lavoro. È la
fotografia degli italiani. O meglio, è la fotografia di come il trio
che si è alternato al governo –
Monti, Letta e Renzi – ha ridotto
gli italiani. Scelte politiche sbagliate, promesse andate in
fumo, prospettive negate. Basta
leggere i dati dell’Istat per
averne conferma. «La pressione fiscale in Italia raggiunge
il 43,3 per cento nel 2013, collocando il nostro Paese al sesto
posto nella “Ue-28″. Rispetto ai
principali partner europei il valore italiano risulta inferiore solo
a quello della Francia». Il che
dimostra la politica solo lacrime
e sangue del centrosinistra e
dei tecnici.
Le conseguenze della politica
di Monti e Renzi
VENERDì 20 FEBBRAIO 2015
d’Italia
Il 23,4 per cento delle famiglie
vive in una situazione di disagio
economico, per un totale di 14,6
milioni di individui. Circa la
metà, il 12,4% dei nuclei, si
trova in grave difficoltà. In Italia
sono oltre 10 milioni le persone
in condizioni di povertà relativa,
che presentano una spesa per
consumi inferiore alla soglia di
Stato-Mafia, un prete rivela:
«Da Scalfaro confessione
sconvolgente»
Carlo Marini
«È finita l’ora di Nicolò Amato, si deve cambiare», con queste parole l’allora presidente
della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
avrebbe comunicato, nel 1993, a due sacerdoti, la rimozione dall’incarico del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria
di Nicolò Amato. A riferire l’episodio è monsignor Fabio Fabbri, ex vice-ispettore generale
dei cappellani delle carceri, che sta deponendo al processo Stato-mafia sulla presunta
trattativa nel periodo delle stragi. L’ex capo
dello Stato avrebbe convocato monsignor Cesare Curioni, suo amico di vecchia data e
capo dei cappellani delle carceri, insieme a
Fabbri. «Io e Curioni rimanemmo sconvolti –
ha spiegato – Comunque era chiaro che Scalfaro non stimava Amato. Disse che era una
“prima donna». Poi c’erano i veti posti da
Scalfaro che avrebbe indicato una lista di tre
persone, tenuta nel cassetto, che non voleva
al Dap. «Finché sono capo dello Stato questi
qui non li voglio», avrebbe detto. La Procura
vede nella sostituzione del direttore del Dap il
tentativo di mettere alla guida del Dipartimento un uomo che, a differenza di Amato,
riferimento. Si tratta del 16,6%
della popolazione. La povertà
assoluta, che non consente di
avere standard di vita accettabili, coinvolge invece il 7,9%
delle famiglie, per un totale di
circa 6 milioni di cittadini
I dati Istat: non c’è lavoro,
non ci sono quattrini
avrebbe garantito il suo sostegno al dialogo
sul carcere duro ai boss avviato da parte
dello Stato con la mafia.
Scalfaro fece scegliere l’erede di Amato ai
due preti
Furono addirittura i due prelati, monsignor
Cesare Curioni, amico di vecchia data dell’allora presidente della Repubblica Oscar
Luigi Scalfaro e capo dei cappellani delle carceri, e Fabio Fabbri, vice di Curioni, a indicare
il
capo
del
Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria: colui che
doveva succedere a Nicolò Amato, che fu sostituito a giugno 1993 da Adalberto Capriotti.
«Quando andammo al Quirinale – ha spiegato Fabbri – nel 1993, ricevemmo dal capo
dello Stato l’indicazione di dare una mano al
Guardasigilli, Giovanni Conso, per indivi-
In Italia lavorano meno di sei
persone su dieci in età compresa tra i 20 e i 64 anni. Nel
2013, infatti, il tasso di occupazione per questa fascia d’età è
calato, scendendo sotto quota
60% (si è fermato al 59,8%).
Nella graduatoria europea, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano valori inferiori.
duare il nuovo direttore generale del Dap.
Quando andammo da Conso, il ministro era
agitato, non sapeva come procedere per la
sostituzione di Amato. Si mise le mani nei capelli. Io e Curioni manifestammo le nostre perplessità sulla sostituzione di Amato, ma
Conso tagliò corto: «Il presidente ha detto
così e così bisogna fare». Tra i nomi che i due
sacerdoti e Conso vagliarono per la successione, ci sarebbe stato anche quello di Giuseppe Falcone, ex presidente del tribunale dei
minorenni. Ma, racconta Fabbri, per il ministro
era «uno troppo duro». Alla fine la scelta ricadde su Adalberto Capriotti, all’epoca magistrato a Trento. Si sondò la sua disponibilità e
lui accettò. «Se io non avessi fatto quel nome
– ha spiegato Fabbri – Capriotti se ne stava a
Trento. Io feci quel nome, Conso controllò su
un librone e disse che si poteva fare».
Dal “Fatto” fango contro Verro,
il consigliere Rai che dice no a Renzi
Secolo
VENERDì 20 FEBBRAIO 2015
d’Italia
Mariano Folgori
Resiste alla normalizzazione della Rai voluta da Renzi e dalla sinistra. E il Fatto
Quotidiano gli rivolge contro la solita macchina del fango. Travaglio & Company attaccano pesantemente Antonio Verro, il
consigliere di viale Mazzini espresso dal
centrodestra, pubblicando il testo di una
“lettera” dell’agosto 2010 all’allora premier
Silvio Berlusconi per segnalare otto trasmissioni “fortemente connotate da teoremi
pregiudizialmente antigovernativi”. Decisamente iperbolico il titolo di prima: “L’Editto
bulgaro bis”. I programmi elencati sono: An-
nozero, Parla con me, Che tempo che fa,
In mezz’ora, Report, Ballarò, Lineanotte e
Glob.
Una voce fuori dal coro
Di “macchina del fango” parla espressamente Il Mattinale, la nota politica redatta
dallo staff del gruppo Forza Italia della Camera dei deputati. Secondo la nota la vera
“colpa” di Verro è quella di essere l’unica
voce fuori dal coro, all’interno del Cda, circa
il piano di riassetto dell’informazione Rai. Si
legge sul Mattinale: “Verro, nella fantomatica lettera tutta da verificare nella sua au-
tenticità, ma pubblicata con il tono grave
che si riserva ad un corpo del reato – quale
poi? – non fa altro che ipotizzare la presenza in studio di un pubblico che sia semplicemente bipartisan e cioè equilibrato,
invece che composto dalla solita claque di
amici de sinistra tanto cara a Santoro &
Co., nei programmi di approfondimento
smaccatamente anti governo Berlusconi”.
“E perché Il Fatto si sveglia adesso e dopo
ben 5 anni decide di pubblicare una corrispondenza privata che non ha alcun tipo di
rilevanza, spacciandola per prova inconfutabile di non si sa che cosa? La spiegazione è molto semplice – prosegue la nota
-: siamo alla vigilia di un Cda Rai importante, che il prossimo 26 febbraio sarà chiamato a deliberare in ordine al piano di
riforma dell’informazione Rai.
Smentita “al 102 per cento”
Intervistato dallo stesso quotidiano di Travaglio, Verro conferma che il suo rapporto
con Berlusconi è “quarantennale” e che è
“plausibile” gli abbia potuto scrivere una lettera. Smentisce però il contenuto della lettera datata Roma, 25 agosto 2010: “E in
agosto lei pensa potessi essere a Roma?”,
replica al giornalista. E ancora: “Impossibile
che abbia potuto scrivere questo. Indicare
il nome della Petruni poi! Smentisco al 100
per cento. No: al 102 per cento”
Molti nemici molto onore: il “razzista”
Sacchi come il “fascista” Ancelotti
Federico Morbegno
«Molti nemici, molto onore». A difendere Arrigo Sacchi dalle accuse (ingiustificate) di razzismo ci ha pensato
il suo amico di sempre, Carlo Ancelotti, dopo la vittoria in Champions del
suo Real contro lo Shalke. Intervistato
al termine del match, “Carletto” ha voluto mandare il suo messaggio di solidarietà a quello che è stato il suo
allenatore e con il quale ha vinto tutto.
Proferendo quella da molti è considerato uno slogan fascista. Come se non
bastassero infatti le accuse e le critiche infondate a Sacchi, anche Ancelotti è stato additato di essere un
ammiratore del Duce. Secondo i soliti
criticoni, i due ex rossoneri sarebbero
così soltanto dei nostalgici del ventennio di Mussolini. Ormai, bisogna sem-
pre stare attenti a ciò che si dice, perché ogni frase potrebbe essere strumentalizzata. A dire il vero, però,
quello che ha detto Arrigo Sacchi è sacrosanto. Se si vuole salvare il calcio
nel nostro Paese bisogna ripartire dai
5
vivai. Ed è logico che, se la squadre
giovanili sono imbottite di stranieri, vedere sbocciare talenti italiani sarà
sempre più difficile. Un pensiero ovvio
e condivisibile, ma che è costato all’allenatore – che ha cambiato radical-
mente il calcio dei primi anni ’90 – l’etichetta di razzista.
Anche Ancelotti fu nel vortice delle
critiche
E dopo di lui anche il suo ex pupillo,
Carlo Ancelotti, è entrato nel vortice
delle critiche per il suo “molti nemici
molto onore”. “Sono stupito ma neanche troppo perché so benissimo che il
populismo e il non avere una memoria storica sono una cosa molto radicata in questo mondo – ha dichiarato
Sacchi– Sono 42 anni che sono nel
calcio e nessuno mi ha mai dato del
razzista. Non ho mai guardato ai colori, ad esempio sono stato io a volere
Gullit al Milan e non Borghi che non
era di colore. Ho detto e confermo che
c’è un’affluenza di giocatori stranieri e
modesti da troppo tempo in questo
Paese”. Non te la prendere Arrigo –
conclude lultimaribattuta.it – perché
non sanno quello che fanno. E nemmeno tu Carletto. Voi siete vincenti,
altri, forse, solo invidiosi.
Pisapia sconfitto sui matrimoni gay:
cancellate tutte le trascrizioni
Secolo
6
d’Italia
VENERDì 20 FEBBRAIO 2015
Anna Clemente
Sono state tutte cancellate le trascrizioni dei matrimoni gay contratti all’estero che erano state
fatte dal Comune di Milano. Il
provvedimento è stato preso da
un commissario ad acta nominato
dal prefetto Francesco Paolo
Tronca. La notizia della cancellazione è stata comunicata alle
coppie con una lettera e rappresenta l’ultimo passaggio di un
braccio di ferro istituzionale durato mesi e segnato anche da
qualche colpo di scena.
Un lungo braccio di ferro istituzionale
Così come richiesto dal Viminale,
già in ottobre Tronca aveva chiesto a Giuliano Pisapia di procedere alla cancellazione di un atto
che, comunque, di fronte alla
legge non aveva alcun valore. Il
sindaco di Milano, però, così
come avvenuto anche in altre
città, aveva deciso di proseguire
sulla strada intrapresa e di non
cancellare il registro, rivendicando come «legittime» le tra-
scrizioni.
L’inchiesta e l’archiviazione
lampo
Ne era scaturita anche una denuncia da parte di un gruppo di
cittadini cattolici, intorno alla
quale si sono consumate polemiche e un piccolo giallo. “Pisapia
indagato per il registro delle
Trans drogato e violentato da migranti
nigeriani: scene da Arancia meccanica
Redazione
E’ stato drogato con un micidiale
cocktail di coca ed eroina, probabilmente violentato, trascinato
come un sacco e lasciato in agonia in mezzo alla strada in una
fredda notte di febbraio. E’ morto
così a Castel Volturno (Caserta)
il trans brasiliano Marcio Henrique Barbosa Cruz, il cui cadavere fu rinvenuto dai carabinieri
il 3 febbraio scorso. La circostanza è emersa durante un’ indagine antidroga del pm della
Procura Vincenzo Quaranta ed è
stata resa nota nel corso della
conferenza stampa alla presenza del procuratore facente
funzioni Raffaella Capasso e del
comandante provinciale dei carabinieri di Caserta Giancarlo
Scafuri. L’inchiesta ha portato in
carcere 10 persone con l’accusa
di spaccio di droga. Per l’omicidio sono stati arrestati due immigrati nigeriani, Snuel Ajayi e
Fidelis Ezeani; quest’ultimo è
stato bloccato dai carabinieri
della Compagnia di Santa Maria
Capua Vetere a Trani mentre
cercava di raggiungere il porto di
Bari. L’ immigrato nigeriano
aveva spento il cellulare ma l’ha
riacceso poco prima di giungere
al porto ed è stato così catturato.
Gli investigatori hanno anche acquisito drammatiche immagini
dalle telecamere poste al piano
terra dell’abitazione in via Poliziano a Castel Volturno (Caserta
) dove si era tenuto il “festino” a
base di alcol nel quale ha trovato
la morte il transessuale brasiliano. Nei fotogrammi si notano i
due responsabili dell’ omicidio
mentre trascinano il corpo del
brasiliano. In quel momento – ha
accertato il medico legale – ancora in vita.
L’omicidio del transessuale
scoperto intercettando i telefoni degli spacciatori
Il delitto del transessuale brasi-
unioni civili”, è la notizia circolata
a metà gennaio e che per un paio
di giorni, in qualche modo, ha
fatto del primo cittadino una sorta
di “martire” dei diritti negati o presunti tali. In realtà, come poi è
stato chiarito dalla stessa Procura, il fascicolo per abuso d’ufficio non era stato aperto a carico
di Pisapia, ma a carico di ignoti.
Qualche giorno fa, infine, la decisione di chiudere l’inchiesta con
l’archiviazione, perché la trascrizione – per la Procura – «non costituisce reato». Resta il fatto che
non trova coperture nella legge
italiana e da oggi, nonostante la
giunta Pisapia, non può nemmeno
più avere la copertura del Comune di Milano.
liano è stato scoperto intercettando gli spacciatori che agivano sul litorale domiziano,
arrestati nel corso dell’operazione eseguita oggi dai carabinieri. I militari, diretti dal
capitano Vincenzo Macera, avevano cominciato ad indagare
sulla piazza di spaccio a Castel
Volturno (Caserta) nel novembre 2014, quando erano stati
fermati alcuni acquirenti a Grazzanise (Caserta). Pochi giorni
fa, uno degli indagati, ora arrestato, ha fatto riferimento in una
telefonata alla morte di una persona che era stata drogata e
forse violentata. I militari hanno
subito sospettato che l’uomo
stesse parlando del trans, il cui
corpo era stato ritrovato per
strada il 3 febbraio. Inizialmente
la vittima era stata scambiata
per donna, poi si è scoperto che
si trattava di un trans che si era
sottoposto ad operazione. Sul
corpo erano stati trovati segni
evidenti di trascinamento. Gli investigatori hanno controllato
varie abitazioni in zona, quindi
sono arrivati alla casa in via Poliziano, traversa della statale
Domiziana, occupata dai due nigeriani. Al piano terreno vi erano
delle telecamere, installate probabilmente per poter prevenire
interventi delle forze dell’ordine.
Esaminando le immagini contenute in memoria i carabinieri
hanno trovato i fotogrammi che
mostrano i due immigrati nigeriani mentre si disfano del trans,
ancora agonizzante. Non è ancoro chiaro il motivo della morte,
perché gli accertamenti medicolegali non sono ancora conclusi.
“Potrebbe essere morto per
asfissia o soffocamento in seguito anche alle violenze di carattere sessuale subite”, ha
detto il procuratore facente funzioni di S. Maria Capua Vetere,
Raffaella Capasso. L’indagine
sul traffico di droga a Castel Volturno ha portato in cella 6 spacciatori italiani residenti tra
Minturno, Cassino, San Giuseppe Vesuviano e San Gennaro Vesuviano, accusati di
acquistare la droga a Castel
Volturno e di rivenderla nelle
città di residenza, e 4 stranieri,
due ghanesi, un indiano e un nigeriano, che – secondo gli inquirenti – tagliavano la droga in
un palazzo disabitato ubicato a
Castel Volturno di fronte alla
sede della Caritas.
Gino Paoli indagato per evasione
fiscale: «Portò in Svizzera due milioni»
Secolo
VENERDì 20 FEBBRAIO 2015
d’Italia
Redazione
La procura di Genova ha indagato il cantautore
Gino Paoli per evasione fiscale. In queste ore
è in corso un blitz della Guardia di finanza nella
casa genovese del cantante, nel Quartiere azzurro di Nervi. Secondo gli inquirenti il cantante
avrebbe fatto arrivare in Svizzera due milioni di
euro. Paoli è attualmente presidente della Siae.
L’inchiesta sul cantautore genovese nasce da
alcune intercettazioni fatte nell’ambito dell’inchiesta sulla maxi truffa ai danni di banca Carige. Nell’inchiesta gli inquirenti ascoltano le
telefonate del commercialista Andrea Vallebuona, professionista del quale si è avvalso
anche l’ex presidente di Carige Giovanni Berneschi, che parla con il cantautore, suo cliente.
Nelle telefonate i due parlerebbero di trasferire
i soldi (circa due milioni di euro) in Svizzera attraverso il Centro fiduciario di Carige. Vallebuona era finito in carcere nell’inchiesta Carige.
Gino Paoli, ex deputato Pci
Il cantautore genovese, da sempre militante
di sinistra, è stato anche parlamentare del
Partito comunista italiano e per i suoi cinque
anni alla Camera dei deputati, dal 1987 al
1992, un solo intervento in aula in tutta la legislatura, percepisce tuttora un vitalizio di
oltre tremila euro al mese. Secondo quanto
emerso nelle indagini, Gino Paoli avrebbe
portato in Svizzera due milioni di euro nel
2008. I soldi non sono stati scudati ne’ sono
stati oggetto di dichiarazione di reddito.
L’evasione fiscale, secondo gli investigatori,
ammonterebbe quindi a circa 800 mila euro
e non sarebbero stati dichiarati nel 2009. Gli
inquirenti vogliono capire in quale banca
svizzera sarebbero stati portati i soldi, per
questo sono in corso le perquisizioni. Paoli
non è l’unico cantante idolo della sinistra indagato per evasione fiscale: il 3 marzo
Gianna Nannini, che ha scritto anche l’inno
del Partito democratico, dovrà presentarsi
davanti al giudice con l’accusa di avere sottratto al fisco quasi 4 milioni di euro.
Il Volo prende la prima stecca: rinnegano Tony Renis. Da ingrati
Priscilla Del Ninno
Triangolazione di polemiche intorno al terzetto del Volo: e l’unico
elemento chiaro che emerge nel
caos generato dalle rivendicazioni
della paternità artistica del tris di
talenti è una univoca tendenza
all‘ingraditudine, tipica di vecchie
star consumate che, una volta
all’apice del successo, dimenticano chi le ha aiutate a raggiungere la vetta.
La querelle sulla paternità artistica
Il primo ad avocare a sé il ruolo di
indiscusso talent scout dei tre tenori in erba è stato Tony Renis,
che oggi ribadisce: «Senza di me
non staremmo qui a parlare di
loro», E che già all’indomani dell’ffermazione sanremese del Volo
aveva rimarcato in diverse interviste pubblicate sui principali quotidiani la mancata telefonata di
ringramento del trio vincitore del
Festival: un gesto dovuto, a detta
dell’artista e manager italiano naturalizzato negli States, che grazie
alle sue conoscenze americane e
a una credibilità imprenditoriale
conquistata sul campo (discografico) con i risultati di una vita di
successi, avrebbe permesso ai tre
di approdare, prima, e di sfondare
poi, sul mercato americano. Mai si
sarebbe aspettato però, “Mister
Quando Quando Quando”, che
semplicemente lamentando l’assenza di quella fatidica chiamata
e definendosi il “papà artistico” del
Volo – co-genitore accanto a Roberto Cenci, regista di Ti lascio
una canzone a cui i tre tenori junior dovrebbero, a detta di Cenci
e Renis, la riconoscibilità mediatica e il sodalizio artistico – di scatenare un putiferio polemico che
non accenna a diminuire. Un clamore polemico di cui certo Tony
Renis non ha bisogno per far parlare di sé, in cui l’unica certezza di-
venta l’ingratitudine dimostrata
dalle tre giovani star.
Il fulcro delle polemiche
Una bagarre in cui si è immediatamente inserito il manager dei ragazzi, Michele Torpedine, già
produttore di altri big del calibro di
Zucchero e Giorgia che, riporta in
queste ore La Stampa, «sarebbe il
grande burattinaio di tutta l’operazione, colui che avrebbe «sbianchettato» i nomi di Cenci e Renis
dalle biografie ufficiali del trio».
Non un referimento sul palco
dell’Ariston ai due “pigmalioni”.
Non una citazione successiva all’incoronazione festivaliera. Anzi, il
trio, in questi giorni di botta e risposta tra i contendenti in campo,
in nome della più tipica e spietata
ingratitudine da star, non hanno
fatto altro che prendere le distanze
con un lapidario «sono problemi
tra loro», correggendo il tiro poco
dopo solo per fare quadrato in-
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7
torno al manager Torpedine: «È lui
che si è occupato di noi e che ci
ha portati a Sanremo». Una presa
di posizione dovuta, probabilmente, ma di sicuro non correetta
fino in fondo: se non fosse stato
per Cenci, infatti, difficilmente i tre
ragazzini si sarebbero incontrati e
fatti notare già nel 2009. E se non
fosse stato per Tony Renis e i suo
agganci a stelle e strisce, difficilmente tre talenti acerbi come loro
avrebbero potuto duettare con
un’artista del calibro di Barbra
Streisand, o avrebbero potuto
avere accesso a tg e salotti e talk
show d’oltreoceano per essere intervistati da grandi anchorman
americani, arrivando sulla scia dei
riscontri mediatici ottenuti a riempire i palazzetti di mezza America,
dal sud al nord del continente. Ma
si sa, come recita il proverbio,
«quando arriva la gloria, svanisce
la memoria».
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7 agosto 1990 n. 250