Dicembre 2009 - Society for Psychotherapy Research

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Dicembre 2009 - Society for Psychotherapy Research
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Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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RICERCA IN PSICOTERAPIA
RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY:
PSYCHOPATHOLOGY,
PROCESS AND OUTCOME
Rivista Della Sezione Italiana della
Society for Psychotherapy Research
Volume 12 Numero 1/2 Novembre – Dicembre 2009
P
S
Italia
R
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Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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RICERCA IN PSICOTERAPIA
RRESEARCH IN PSYCHOTHERAPY:
PSYCHOPATHOLOGY,
PROCESS AND OUTCOME
Rivista semestrale della SPR-Italia
Sezione italiana della
Society for Psichotherapy Research
Volume 12 – Numero 1/2
Novembre – Dicembre 2009
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Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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RICERCA IN PSICOTERAPIA
RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY:
PSYCHOPATHOLOGY,
PROCESS AND OUTCOME
ISSN: 1592 – 8543
EDITORE:SPR ITALIA (P. IVA 06491871007)
Foro Buonaparte 57, 20121 Milano
Tel/Fax: 02/36554099
e-mail: [email protected]
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Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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RICERCA IN PSICOTERAPIA
RESEARCH IN PSYCHOTHERAPY: PSYCHOPATHOLOGY,
PROCESS AND OUTCOME
Rivista semestrale della spr-Italia Sezione italiana
della
Society for Psychotherapy Research
Editors-in-chief
Sandra Sassaroli, Studi Cognitivi, Milano
Nino Dazzi, "Sapienza" Università di Roma
Co-editors
Giancarlo Dimaggio, Terzo Centro, Roma
Emilio Fava, Università degli Studi di Milano
Vittorio Lingiardi, "Sapienza" Università di Roma
Adriana Lis, Università degli Studi di Padova
Gianluca Lo Coco, Università degli Studi di Palermo
Giovanni M. Ruggiero, Studi Cognitivi, Milano
Sergio Salvatore, Università degli Studi di Lecce
Past President SPR-Italia
Salvatore Freni, Università degli Studi di Milano
Girolamo Lo Verso, Università degli Studi di Palermo
Antonio Semerari, Terzo Centro, Roma
Nino Dazzi, "Sapienza" Università di Roma
Scientific Board
Antonino Carcione, Terzo Centro, Roma
Giovanni Castellini, Scuola Cognitiva Firenze
Livia Colle, Università Politecnico di Torino
Antonello Colli, Università degli Studi di Urbino
Martina Conte, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Rino Capo, Associazione di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Francesco De Bei, "Sapienza" Università di Roma
Alessandra de Coro, "Sapienza" Università di Roma
Franco Del Corno, Università della Valle d'Aosta, Associazione per la
Ricerca in Psicologia clinica, Milano
Stefano Blasi, Università degli Studi di Urbino
Rocco Diego, Università degli Studi di Padova
Santo Di Nuovo, Università degli Studi di Catania
Francesca Fiore, Studi Cognitivi, Milano
Francesco Gazzillo, "Sapienza" Università di Roma
Omar Gelo, Università di Lecce
Paul H. Lysaker, Indiana University, Roudebush VA Medical Center,
Indianapolis, USA
Marzio Maglietta , Scuola Cognitiva Firenze
Francesco Mancini, Associazione di Psicoterapia Cognitiva, Roma
Paolo Migone, Università di Parma
Giuseppe Nicolò, Terzo Centro, Roma
Marco Innamorati, Università degli Studi di Bari
Osmano Oasi, Università Cattolica, Milano
Katerine Osatuke, National Center for Organization Development,
Cincinnati, USA
Piero Porcelli, Università di Bari
Claudia Prestano, Università degli Studi di Messina
Michele Procacci, Terzo Centro, Roma
Giuseppe Romano, Associazione di Psicoterapia Cognitiva,
Roma
Silvia Salcuni, Università degli Studi di Padova
Diego Sarracino, Università di Milano Bicocca
Hans Schadee, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Annamaria Speranza, "Sapienza" Università di Roma
Stijn Vanheule, Ghent University, Belgio
Marta Vigorelli, Università degli Studi di Milano-Bicocca
Riccardo Williams, "Sapienza" Università di Roma
Alessandro Zennaro, Università della Valle d'Aosta
Adam Horvath, Professor Emeritus of Counseling /Psychology
Simon Fraser, University, Vancouver, Canada
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www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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INDICE
Dissociazione e alessitimia in un campione di pazienti con Disturbo del
Comportamento Alimentare
Dissociation and alexithymia in a sample of patients with eating disorders
Marco La Marra, Walter Sapuppo, Giorgio Caviglia
6
Autostima, metarimuginio, perfezionismo, responsabilità e rimuginio nei
disturbi alimentari
Self-esteem, meta-worry, perfectionism, responsibility and worry in eating disorders
Sandra Sassaroli, Sara Bertelli, Francesca Fiore, Luca Boccalari, Gianluigi 21
Luxardi, Silvio Scarone, Patrizia Todisco, Giovanni Maria Ruggiero
Le funzioni metacognitive nei pazienti con disturbi del comportamento
alimentare. Uno studio sul trattamento di gruppo psicodinamico
Metacognitive functions in patients with eating disorders. A study about psychodynamic
group therapy
Claudia Prestano, Viviana Cicero, Salvatore Gullo, Grazia Alcuri, Gianluca Lo
Coco, Antonino Carcione
37
Minaccia dell’autostima e fantasie grandiose nel narcisismo non patologico
Self-esteem threatened and grandiose fantasies in non pathological narcissism
Guido Veronese, Giovanni M. Ruggiero, Sandra Sassaroli, Marco Castiglioni
55
Aspetti relazionali ed organizzativi delle comunità terapeutiche per
adolescenti quali fattori di trattamento: validazione di uno strumento
Relational and organizational aspects in adolescent therapeutic communities as
treatment factors: validation of an instrument
Stefania Cristofanelli, Omar Fassio, Laura. Ferro, Alessandro Zennaro
67
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Dissociazione e alessitimia in un campione di pazienti con disturbo del
comportamento alimentare.
Marco La Marra1, Walter Sapuppo2, Giorgio Caviglia3
Sommario: Lo scopo del presente studio è stato quello di indagare i fenomeni
dissociativi e le difficoltà relative al percepire, comprendere e descrivere
verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi (alessitimia) in un campione di 53
pazienti con diagnosi di Disturbo del Comportamento Alimentare. Il campione
reclutato è costituito da 14 soggetti con Anoressia Nervosa (AN), 15 con
Bulimia Nervosa (BN), 12 con DCA Non Altrimenti Specificato (DCA NAS) e
12 con Disturbo da Alimentazione Incontrollata (DAI). A tutti i soggetti è stato
somministrato l’Eating Disorder Inventory-2, la Dissociative Experiences Scale e
la Scala Alessitimica Romana. I dati emersi dalla nostra ricerca non
disconfermano le relazioni riportate in letteratura tra i Disturbi del
Comportamento Alimentare, i fenomeni dissociativi e le difficoltà relative
all’espressione delle emozioni (alessitimia).
Abstract: The aim of this study has been to investigate the dissociative
phenomena and the difficulties related to perceive, understand and describe the
proper ones and other people's emotional states in a sample of 53 patients with
Eating Disorders. The recruited sample is made by 14 Anorexia Nervosa (AN)
patients, 15 with Bulimia Nervosa (BN), 12 with Eating Disorder Non
Otherwise Specified (EDNOS) and 12 with Binge Eating Disorder (BED). To all
subjects was administred the Eating Disorder Inventory-2, the Dissociative
Experiences Scale and the Scala Alessitimica Romana. In according with
literature, we confirme the relationships among Eating Disorders, the
dissociative phenomena and Alexithymia.
Parole chiave: Disturbi del Comportamento Alimentare, Dissociazione,
Alessitimia.
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Dipartimento di Medicina Sperimentale, Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Seconda Università degli Studi di Napoli; 2 Scuola di Specializzazione in
Psicoterapia Cognitiva, SPC-Napoli, 3 Dipartimento di Psicologia, Facoltà di
Psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli
1
Corrispondenza: Prof. Giorgio Caviglia, Dipartimento di Psicologia, Facoltà
di Psicologia, S.U.N, via Vivaldi n° 43 81100 Caserta (CE); e-mail:
[email protected]
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1. Introduzione
L’attuale campo nosografico della psicopatologia delle condotte alimentari
si articola in Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN) e Disturbi del
Comportamento Alimentare Non Altrimenti Specificati (DCA NAS) (APA,
2000). Tra questi ultimi, compare una condizione definita Disturbo da
Alimentazione Incontrollata (DAI), caratterizzata da ricorrenti episodi di
abbuffate in assenza delle regolari condotte compensatorie inappropriate tipiche
della Bulimia Nervosa.
Negli ultimi decenni, numerosi studi empirici hanno valutato la possibile
associazione tra dissociazione e Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA)
riscontrando, rispetto ai gruppi di controllo, la notevole incidenza di questo
meccanismo di difesa negli individui affetti da una psicopatologia di tipo
alimentare (Torem, 1986; Demitrack et al., 1990; Everill et al., 1995); solo
recentemente (Eizaguirre et al., 2004), è stato implementato lo studio
sistematico relativo alla presenza di deficit associati all’identificazione e
all’espressione delle emozioni (alessitimia) nei DCA.
La dissociazione è classicamente e fenomenologicamente definita come
“l’interruzione della reciproca integrazione tra funzioni superiori di coscienza,
identità, memoria, percezione dell’ambiente circostante e controllo dei
movimenti del corpo” (APA, 2000).
Da un punto di vista psicodinamico, la dissociazione viene considerata
come un meccanismo di difesa che agisce in modo da sottrarre contenuti psichici
intollerabili alla memoria consapevole e di scinderli in una coscienza parallela.
Vi è un’ampia evidenza empirica del fatto che la dissociazione si sviluppi in
difesa da un trauma, permettendo di creare un compartimento in cui nascondere
l’esperienza e il carico affettivo che si accompagna a essa, sotto la spinta anche
di un bisogno autoconservativo, che consiste nel procrastinare il momento della
dolorosa elaborazione. La dissociazione sembra, quindi, avere un potenziale
patogeno significativo, in quanto può compromettere in maniera stabile la
soggettività, e può modificare le possibilità di integrazione tra diverse aree
cerebrali nonché rendere discontinuo il processo di registrazione ed elaborazione
dei ricordi (Solomon, 2004; Krystal, 1996).
Il costrutto di alessitimia, sviluppatosi in campo psicosomatico fra gli anni
’60 e gli anni ‘70 (Marty & M’Uzan, 1963; Sifneos, 1977), è caratterizzato da un
insieme di caratteristiche cognitivo-affettive. Queste includono: una
significativa difficoltà a identificare, distinguere e comunicare gli stati emotivi
propri e altrui, uno stile di pensiero concreto e orientato verso la realtà esterna,
povertà di immaginazione, mancanza di introspezione, scarsa attività onirica,
conformismo sociale e tendenza a esprimere le emozioni attraverso l’azione
(Taylor et al., 1997; Todarello & Porcelli, 2002). L’ipotesi eziologica
multifattoriale dei DCA vede l’alessitimia come un deficit della regolazione degli
affetti. La mancata condivisione degli affetti, su cui il bambino costruisce le
proprie esperienze di autoefficacia e consapevolezza, può determinare
confusione ogni qual volta tenti di distinguere i suoi bisogni fisiologici (come
fame e sazietà), dalle esperienze emotive e interpersonali.
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A tal proposito, dunque, il fenomeno dell’abbuffata sembrerebbe essere un
tentativo di autoregolazione, da parte del paziente, che segue questo
andamento:
1. si attiva un sistema motivazionale (Lichtenberg, 1989) (ad
esempio il “Sistema dell’Attaccamento” con la richiesta di vicinanza o il
“Sistema Avversativo” con l’attivazione della rabbia) in seguito ad un
pensiero, a una sensazione, a una percezione o a un evento;
2. lo scopo del sistema motivazionale non può essere soddisfatto, sia
per elementi strutturali di personalità, che per dati di realtà. L’attivazione
emotiva dello scopo, che il soggetto non può soddisfare o gestire, crea
profondo disagio;
3. nei pazienti affetti da DCA, che hanno una notevole difficoltà a
riconoscere e gestire le emozioni negative, questa attivazione si traduce in
comportamenti alimentari disfunzionali;
4. come tentativo di modulare/gestire l’emozione negativa, questi
pazienti attivano il “Sistema della regolazione psicologica dei bisogni
fisiologici”.
In quest’ottica, dunque, la dissociazione permetterebbe al paziente con
bulimia di “confondersi”, per iniziare e continuare l’abbuffata, senza dover
prendere coscienza delle conseguenze negative del suo comportamento (aumento
di peso, senso di colpa, successivo disgusto di sé per aver mangiato troppo) e
della contraddittorietà e inutilità dello stesso, rispetto ai propri obiettivi
(Caviglia & Cecere, 2007). In quest’ottica, gli stati dissociativi diventano anche
(oltre che un meccanismo di difesa) un meccanismo più complesso che permette
il mantenimento del sintomo.
Lo scopo del presente studio è quello di indagare i fenomeni dissociativi e
le difficoltà relative al percepire, comprendere e descrivere verbalmente i propri
e gli altrui stati emotivi, in un campione di 53 pazienti con diagnosi di DCA. In
particolare, ci proponiamo di valutare le relazioni che intercorrono tra i risultati
ottenuti all’ Eating Disorder Inventory-2 (EDI-2, Garner, 1991), alla Dissociative
Experiences Scale (DES, Bernstein & Putnam, 1986) e alla Scala Alessitimica
Romana (SAR, Baiocco et al., 2005) in un gruppo di pazienti che presentano
rispettivamente le diagnosi di AN, BN, DCA NAS e DAI.
2. Materiali e Metodi
Hanno partecipato allo studio 53 soggetti, tutti di sesso femminile,
reclutati presso l’Ambulatorio dei Disturbi del Comportamento Alimentare dei
Distretti 26/27 della ASL CE1 e presso l’Unità Operativa per i Disturbi del
Comportamento Alimentare dell’ASL Roma E.
L’età media dei soggetti è di 30.13 anni (Ds = 10.11 anni; età minima = 16
anni; età massima = 53 anni) di cui 14 (dai 18 ai 37 anni: M 25.57, Ds 6.94) con
diagnosi di AN, 15 (dai 16 ai 34 anni: M 25, Ds 6) con diagnosi di BN, 12 (dai 17
ai 53 anni: M 38.83, Ds 9.83) con diagnosi di DCA NAS e 12 (dai 18 ai 53 anni:
M 33.16, Ds 11.36) con diagnosi di DAI.
Il livello di scolarizzazione è medio alto, il 30% ha un diploma di licenza
media inferiore, il 50% ha un diploma di licenza media superiore e il restante
20% ha conseguito un titolo universitario. Oltre alla diagnosi primaria di DCA,
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nel nostro campione si riscontra una comorbilità psichiatrica pari al 37,73% (20
soggetti) con Disturbi dell’Umore e 11,32% (6 soggetti) con Disturbi d’Ansia.
A tutti i soggetti è stato somministrato, previo consenso informato, l’EDI2, la DES e la SAR. L’EDI-2 è un questionario di autovalutazione utile per
delineare e misurare, in modo preciso, alcuni tratti psicologici e gruppi di
sintomi rilevanti per la comprensione e il trattamento dei disturbi
dell’alimentazione. Le scale che compongono il test, sono: Impulso alla Magrezza
(IM), Bulimia (BU), Insoddisfazione per il Corpo (IC), Inadeguatezza (IN),
Perfezionismo (P), Sfiducia Interpersonale (SI), Consapevolezza Enterocettiva
(CE), Paura della Maturità (PM), Ascetismo (ASC), Impulsività (I) e Insicurezza
Sociale (IS). La DES è una misura di tratto psicologico costruita utilizzando,
come criterio operativo di dissociazione, l’ assenza della normale integrazione di
pensieri, sentimenti ed esperienze nel flusso della coscienza e della memoria
(Fabbri Bombi et al., 1996). La scala è composta da 28 item che forniscono una
definizione delle esperienze dissociative, quali: depersonalizzazione, déjà vu,
disturbi d’identità, derealizzazione, disturbi cognitivi, di memoria e della
coscienza. Secondo gli autori della scala (Bernstein & Putnam, 1986), i soggetti
che ottengono un punteggio uguale o superiore al cutoff, utilizzano la
dissociazione come modalità difensiva. Più elevato è il punteggio, maggiore è
l’utilizzo della dissociazione. La SAR operazionalizza il costrutto dell’alessitimia
e le scale che compongono il test sono: Espressione Somatica delle Emozioni
(ESE), Difficoltà ad Identificare le proprie Emozioni (DIE), Difficoltà a
Comunicare agli altri le proprie Emozioni (DCE), Pensiero Orientato Esternamente
(POE), Difficoltà ad essere Empatici (EMP) e Punteggio totale di scala (TOT);
quest’ ultima scala, definibile come un indice generale di alessitimia, si ottiene
sommando il punteggio ottenuto dal soggetto in ognuna delle altre 5 scale.
Per sottoporre ad analisi statistica la nostra ipotesi abbiamo sottoposto
ciascuna variabile dipendente (punteggi riportati all’EDI-2, alla DES e alla
SAR) ad un’Analisi della Correlazione mediante il calcolo dei coefficienti r di
Pearson. Successivamente, per verificare la presenza di differenze
statisticamente significative, abbiamo eseguito un’Analisi della Varianza
Multivariata i cui fattori sono rappresentati dalla categoria clinica di
appartenenza (AN vs. BN vs. NAS vs. DAI) e dai punteggi riportati alla DES e
alla SAR. I confronti post hoc sono stati eseguiti utilizzando il test di Bonferroni.
L’analisi dei dati è stata compiuta con l’ausilio del package statistico S.P.S.S.
17.0 per Windows.
3. Risultati
Nelle Tabelle 1, 2 e 3 sono riportate le statistiche descrittive contenenti le
medie e le deviazioni standard relative ai punteggi ottenuti nelle diverse scale
dell’EDI-2, della DES e della SAR.
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Tabella 1. Statistiche descrittive: medie e deviazioni standard dei punteggi riportati all’EDI-2
EDI-2
IM
BU
IC
IN
P
SI
Ce
PM
ASC
I
IS
N
Media
ds.
Minimo
Massimo
AN
14
14,57
6,48
3
21
BN
15
14,40
5,94
6
20
DAI
12
13,25
5,46
5
21
NAS
12
14,91
4,87
7
21
AN
14
2,57
5,73
0
16
BN
15
10,00
5,31
2
17
DAI
12
8,50
3,63
0
12
NAS
12
6,91
4,96
1
15
AN
14
11,71
6,55
3
21
BN
15
15,20
5,29
6
21
DAI
12
16,50
7,39
7
27
NAS
12
15,58
5,88
5
24
AN
14
10,00
9,98
0
28
BN
15
10,80
5,90
3
18
DAI
12
9,66
5,72
3
17
NAS
12
5,75
7,18
0
27
AN
14
9,00
5,40
2
18
BN
15
6,80
4,36
3
14
DAI
12
4,00
3,81
0
11
NAS
12
5,50
2,84
2
11
AN
14
9,42
5,19
2
18
BN
15
6,60
4,56
2
14
DAI
12
5,75
2,83
2
13
NAS
12
4,75
4,88
0
13
AN
14
12,00
9,93
0
25
BN
15
9,00
4,48
3
16
DAI
12
11,50
7,57
1
20
NAS
12
7,50
5,48
1
19
AN
14
7,71
5,42
1
16
BN
15
6,80
3,16
2
10
DAI
12
6,41
2,39
2
12
NAS
12
7,83
5,54
0
20
AN
14
8,00
5,20
3
19
BN
15
7,40
2,74
4
11
DAI
12
7,50
4,58
3
16
NAS
12
7,83
3,83
2
15
AN
14
5,14
5,24
0
15
BN
15
10,60
4,65
4
17
DAI
12
10,50
6,65
1
17
NAS
12
7,75
6,53
0
24
AN
14
7,71
4,95
1
15
BN
15
7,80
1,20
6
9
DAI
12
8,6
3,17
3
13
NAS
12
7,41
4,90
2
19
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Tabella 2. Statistiche descrittive: medie e deviazioni standard dei punteggi riportati alla DES
DES
N
Media
AN
14
15,74
BN
15
32,14
DAI
12
56,91
NAS
12
24,57
Deviazione
std.
Minimo
Massimo
9,25
5,00
28,21
18,02
10,36
53,60
25,42
12,00
91,00
17,22
7,85
61,78
Tabella 3. Statistiche descrittive: medie e deviazioni standard dei punteggi riportati alla SAR
ESE
DIE
DCE
POE
EMP
TOT
N
Media
Deviazione
std.
Minimo
Massimo
AN
14
13,00
3,50
9
18
BN
15
13,20
4,01
7
19
DAI
12
12,91
4,46
7
19
NAS
12
10,83
4,34
6
20
AN
14
17,85
4,75
11
24
BN
15
19
1,30
18
21
DAI
12
14,58
3,65
9
19
NAS
12
11,58
4,07
6
19
AN
14
13,42
1,55
12
16
BN
15
10,2
3,02
5
14
DAI
12
11,25
3,76
5
17
NAS
12
11
3,64
5
19
AN
14
9,71
2,12
6
13
BN
15
13,2
2,21
11
17
DAI
12
11,58
2,46
7
16
NAS
12
10,08
3,17
5
16
AN
14
9,42
2,34
7
14
BN
15
12,4
1,91
9
14
DAI
12
12,08
2,77
6
16
NAS
12
11,75
3,07
8
18
AN
14
63,42
8,99
49
77
BN
15
68
5,07
61
74
DAI
12
62,41
8,81
41
71
NAS
12
54,91
10,05
42
77
Dalla matrice di correlazione (Tabella 4) dei coefficienti r di Pearson, emergono correlazioni
statisticamente significative tra la scala DES e alcune delle scale dell’EDI-2, quali IM, BU, IC,
CE, ASC, I e IS.
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Tabella 4. Correlazioni di Person tra le scale dell’EDI-2, della DES e della SAR
IM
IM
BU
IC
IN
P
SI
CE
PM
I
IS
DES ESE DIE DCE POE EMP TOT
1
BU ,384**
1
IC ,513** ,459**
1
IN
,224 ,328* ,309*
P
,008
,263 ,105 ,366**
SI
,346
,154 ,239 ,545 ,435**
*
CE ,382
**
1
1
**
1
,409** ,306* ,705** ,477** ,667**
1
PM ,330* ,264 ,329* ,447** ,256 ,494** ,453**
1
ASC ,563** ,268 ,429** ,292* ,209 ,306* ,563** ,402**
I
ASC
1
,210 ,432** ,421** ,605** ,003 ,377** ,465** ,434** ,217
1
IS ,377** ,365** ,355** ,601** ,173 ,426** ,601** ,545** ,453** ,546**
1
DES ,356** ,387** ,362** ,232 -,160 -,027 ,441** ,182 ,440** ,483** ,442**
1
ESE ,257 ,316 ,282 ,534
,228 ,374 ,674
,300
DIE ,224
,292 ,408 ,402
,078 ,043 ,120 ,307* -,147 ,256
*
*
**
,064 -,004 ,406
**
**
*
**
**
**
DCE ,049 -,209 -,198 ,026 ,090 ,423** ,136
*
,249 ,593 ,465 ,662**
**
**
1
1
,095 ,160
,025 -,249 -,192 ,059
,308*
POE ,223 ,411** ,200 ,142 -,146 ,059 ,152 ,300* ,104 ,492** ,328* ,412** ,407** ,300*
EMP -,060 -,031 -,107 -,119
1
,138
1
-,010 -,194 -,157 -,120 ,134 -,067 -,123 -,231 ,081 ,087 ,159
,402**
1
TOT ,290* ,221 ,073 ,455** ,109 ,525** ,537** ,258 ,184 ,403** ,454** ,221 ,558** ,745** ,269 ,642** ,308*
1
Da tali risultati, in particolare, si evince una marcata associazione tra
dissociazione e alcuni tratti psicologici e gruppi di sintomi rilevanti per la
diagnosi e il trattamento dei disturbi alimentari come la ricerca incessante della
magrezza, la tendenza del soggetto a pensare, e ad avere, attacchi di
incontrollabile sovralimentazione (abbuffate) ed un’eccessiva insoddisfazione
per la forma in generale, e per la dimensione di quelle parti corporee che sono
maggiormente coinvolte nei disturbi alimentari. Tale correlazione, inoltre, si
evince anche con la scala CE che valuta il grado di confusione e di incertezza del
soggetto, nel riconoscere e rispondere in modo preciso sia agli stati emotivi, sia a
certe sensazioni viscerali collegate alla fame e alla sazietà. Inoltre, dalla
suddetta tabella è possibile riscontrare correlazioni significative tra i punteggi
ottenuti alla scala TOT della SAR e le scale IM, IN, SI, CE, I e IS dell’EDI-2.
Si evidenzia, infine, la presenza di relazioni significative tra dissociazione e
alcuni tratti che contribuiscono a definire il costrutto dell’alessitimia quali la
tendenza a esprimere le proprie emozioni, specie quelle di natura negativa,
attraverso il proprio corpo (scala ESE) e la presenza di uno stile cognitivo
caratterizzato da un pensiero aderente agli aspetti pratici della vita e poco
interessato agli elementi simbolici (scala POE). Dall’Analisi della Varianza
Multivariata (Tabelle 5 e 6) si evince che i quattro gruppi presentano differenze
statisticamente significative nei punteggi riportati alla DES [F(3, 49) = 12.026
p<.05] e nelle scale DIE [F(3, 49) = 11.134 p<.05], DCE [F(3, 49) = 2.868 p<.05],
POE [F(3, 49) = 5.762 p<.05], EMP [F(3, 49) = 4.001 p<.05] e TOT [F(3, 49) = 5.590
p<.05] della SAR. Dai confronti post hoc si evince che i soggetti con DAI
presentano aspetti dissociativi maggiori rispetto ai soggetti con AN, BN e NAS
(Tabella 7).
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Tabella 5. Analisi della varianza eseguita sui punteggi riportati alla DES
(I) diagn
DES
(J) diagn
Differenza
fra medie
(I-J)
Errore std.
Sig.
Somme dei
quadrati
Df
Media dei
quadrati
F
Sig
12,026
,000
Fra gruppi
11808,291
3
3936,097
Entro gruppi
16037,194
49
327,290
Totale
27845,485
52
Tabella 6. Analisi della varianza eseguita sui punteggi riportati alla SAR
Somme dei quadrati
ESE
DIE
DCE
POE
EMP
TOT
Media dei
quadrati
Df
Fra gruppi
46,149
3
15,383
Entro
gruppi
810,983
49
16,551
Totale
857,132
52
Fra gruppi
441,434
3
147,145
Entro
gruppi
647,548
49
13,215
Totale
1088,981
52
Fra gruppi
81,129
3
27,043
Entro
gruppi
462,079
49
9,430
Totale
543,208
52
Fra gruppi
107,627
3
35,876
Entro
gruppi
305,090
49
6,226
Totale
412,717
52
Fra gruppi
76,484
3
25,495
Entro
gruppi
312,195
49
6,371
Totale
388,679
52
Fra gruppi
1155,757
3
385,252
Entro
gruppi
3377,262
49
68,924
Totale
4533,019
52
F
Sig
,929
,434
11,134
,000
2,868
,046
5,762
,002
4,001
,013
5,590
,002
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Tabella 7. Test di Bonferroni eseguito sui punteggi riportati alla DES
AN
BN
DES
DAI
NAS
BN
-16,40800
6,72288
DAI
-41,17667*
7,11702
,110
,000
NAS
-8,83833
7,11702
1,000
,110
AN
16,40800
6,72288
DAI
-24,76867*
7,00667
,005
NAS
7,56967
7,00667
1,000
AN
41,17667*
7,11702
,000
BN
24,76867*
7,00667
,005
NAS
32,33833*
7,38568
,000
AN
8,83833
7,11702
1,000
BN
-7,56967
7,00667
1,000
DAI
-32,33833*
7,38568
,000
Le bulimiche, invece, presentano maggiori livelli di alessitimia rispetto ai NAS
(Tabella 8.1). In particolare, i soggetti con AN hanno maggiori difficoltà a
identificare le emozioni rispetto ai NAS e maggiori difficoltà a comunicarle
rispetto ai BN. I soggetti con BN, inoltre, presentano maggiori difficoltà a
identificare le emozioni rispetto a DAI e NAS (Tabella 8.2), un maggior pensiero
orientato all’esterno rispetto agli AN e NAS e una mancanza di empatia
maggiore rispetto agli AN (Tabella 8.3).
Tabella 8.1 Test di Bonferroni eseguito sui punteggi riportati alla scala TOT della SAR
Variabile
dipendente
(I) diagn
(J) diagn
Differenza fra medie (I-J)
Errore std.
BN
-4,57143
3,08513
,869
AN
DAI
1,01190
3,26600
1,000
NAS
8,51190
3,26600
,073
AN
4,57143
3,08513
,869
DAI
5,58333
3,21536
,533
NAS
13,08333*
3,21536
,001
AN
-1,01190
3,26600
1,000
BN
TOT
DAI
NAS
Sig.
BN
-5,58333
3,21536
,533
NAS
7,50000
3,38929
,190
AN
-8,51190
3,26600
,073
BN
-13,08333*
3,21536
,001
DAI
-7,50000
3,38929
,190
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Tabella 8.2 Test di Bonferroni eseguito sui punteggi riportati alle scale
DIE e DCE della SAR
Variabile
dipendente
(I) diagn
(J) diagn
Differenza fra medie (I-J)
Errore std.
BN
-4,57143
3,08513
,869
AN
DAI
1,01190
3,26600
1,000
NAS
8,51190
3,26600
,073
BN
TOT
DAI
NAS
AN
BN
DIE
DAI
NAS
AN
BN
DCE
DAI
NAS
Sig.
AN
4,57143
3,08513
,869
DAI
5,58333
3,21536
,533
NAS
13,08333*
3,21536
,001
AN
-1,01190
3,26600
1,000
BN
-5,58333
3,21536
,533
NAS
7,50000
3,38929
,190
AN
-8,51190
3,26600
,073
BN
-13,08333*
3,21536
,001
DAI
-7,50000
3,38929
,190
BN
-1,14286
1,35091
1,000
,158
DAI
3,27381
1,43011
NAS
6,27381*
1,43011
,000
AN
1,14286
1,35091
1,000
DAI
4,41667*
1,40794
,017
NAS
7,41667*
1,40794
,000
AN
-3,27381
1,43011
,158
BN
-4,41667*
1,40794
,017
NAS
3,00000
1,48410
,292
AN
-6,27381*
1,43011
,000
BN
-7,41667*
1,40794
,000
DAI
-3,00000
1,48410
,292
BN
3,22857*
1,14117
,040
DAI
2,17857
1,20807
,465
NAS
2,42857
1,20807
,300
AN
-3,22857*
1,14117
,040
DAI
-1,05000
1,18934
1,000
NAS
-,80000
1,18934
1,000
AN
-2,17857
1,20807
,465
BN
1,05000
1,18934
1,000
NAS
,25000
1,25367
1,000
AN
-2,42857
1,20807
,300
BN
,80000
1,18934
1,000
DAI
-,25000
1,25367
1,000
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Tabella 8.3 Test di Bonferroni eseguito sui punteggi riportati alle scale
POE ed EMP della SAR
Variabile
dipendente
(I) diagn
AN
BN
POE
DAI
NAS
AN
BN
EMP
DAI
NAS
(J) diagn
Differenza fra medie (I-J)
Errore std.
Sig.
BN
-3,48571*
,92727
,003
DAI
-1,86905
,98163
,377
NAS
-,36905
,98163
1,000
AN
3,48571*
,92727
,003
DAI
1,61667
,96641
,604
NAS
3,11667*
,96641
,013
AN
1,86905
,98163
,377
BN
-1,61667
,96641
,604
NAS
1,50000
1,01869
,884
AN
,36905
,98163
1,000
BN
-3,11667*
,96641
,013
DAI
-1,50000
1,01869
,884
BN
-2,97143*
,93800
,016
DAI
-2,65476
,99300
,061
NAS
-2,32143
,99300
,141
AN
2,97143*
,93800
,016
DAI
,31667
,97760
1,000
NAS
,65000
,97760
1,000
AN
2,65476
,99300
,061
BN
-,31667
,97760
1,000
NAS
,33333
1,03048
1,000
AN
2,32143
,99300
,141
BN
-,65000
,97760
1,000
DAI
-,33333
1,03048
1,000
4.
Conclusioni
Come affermano recenti studi (Beato, 2003; Hallings-Pott et al., 2005), i
fenomeni dissociativi, ricoprono un ruolo significativo per la genesi, lo sviluppo
e il mantenimento di una psicopatologia di tipo alimentare. In particolare, in
uno studio condotto su 30 pazienti affette da DCA, Torem (1986), utilizzando la
DIS-Q (Dissociation Questionnaire), riscontrò che 12 di esse presentavano stati
dell’Io dissociati. Sanders (1986), autore di una nuova scala per misurare la
dissociazione, la scala PAS (Perceptual Alteration Scale), evidenziò come alcune
studentesse universitarie che praticavano abbuffate, riportavano un più alto
grado di fenomeni dissociativi, rispetto ai gruppi di controllo composti da
ragazze normali. Demitrack et al. (1990) studiarono le esperienze dissociative di
30 pazienti affette da DCA, confrontandole con 30 donne normali, scoprendo
così che le pazienti presentavano livelli decisamente più alti di fenomeni
dissociativi rispetto al gruppo di controllo; questo risultato fu replicato da
Covino et al.(1994), i quali riscontrarono che le pazienti affette da BN
riportavano punteggi più alti alla DES, rispetto al gruppo di controllo. Rosen e
Petty (1994), in uno studio condotto su 142 studentesse, sottolinearono come il
trattamento degli individui affetti da DCA dovrebbe comprendere una
componente didattica per insegnare alle pazienti a riconoscere la loro tendenza
alla dissociazione. Everill et al. (1995), riportarono correlazioni significative tra i
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punteggi ottenuti ad una scala sulla dissociazione e la frequenza delle abbuffate
e studiarono il legame tra dissociazione e disturbi alimentari in un gruppo
clinico di donne bulimiche e in un gruppo non clinico composto da studentesse
universitarie: nel gruppo clinico emergeva una correlazione significativa tra
sintomi dissociativi e frequenza delle abbuffate, invece, nel gruppo non clinico,
venne riscontrato che quando vi erano episodi bulimici, questi erano associati a
esperienze dissociative. In uno studio relativo a 103 pazienti affette da DCA,
Dalle Grave et al. (1995) riscontrarono, in tale campione, sia la netta prevalenza
di sintomi dissociativi rispetto al gruppo di controllo (il 20% delle donne con
disturbi alimentari riportava alti livelli di sintomatologia dissociativa) che una
correlazione tra dissociazione e DCA, soprattutto nelle pazienti che
presentavano una componente bulimica. Vanderlinden e Vandereycken (1998),
indagarono la relazione tra esperienze traumatiche e fenomeni dissociativi in un
gruppo di 98 pazienti affette da DCA. Vennero prese in considerazione, perché
considerate gravemente traumatiche, le seguenti situazioni: violenza sessuale
(intra ed extra familiare), maltrattamenti fisici, completa trascuratezza
affettiva o abbandono durante l’infanzia e perdita di un familiare stretto. La
percentuale complessiva di prevalenza del trauma generale risultò del 28% e il
20% di queste riportava violenze sessuali subite nell’infanzia. In particolare, le
pazienti anoressiche del Sottotipo con Abbuffate/Condotte di Eliminazione, le
pazienti bulimiche e quelle con disturbi atipici presentavano percentuali di
esperienze traumatiche nettamente più alte rispetto alle anoressiche di tipo
restrittivo. Questi dati dimostrano dunque l’esistenza di una stretta relazione
tra la presenza di un’esperienza traumatica e il tipo di patologia alimentare,
ricordando la frequente associazione tra traumi e dissociazione (Nijenhuis, 2004;
Caretti & Craparo, 2008). I dati emersi dalla nostra ricerca non disconfermano le
relazioni riportate in letteratura tra i Disturbi del Comportamento Alimentare, i
fenomeni dissociativi e le difficoltà relative all’espressione delle emozioni
(alessitimia). Come affermano Taylor et al. (1997), le persone affette da disturbi
alimentari sono fondamentalmente alessitimiche, in quanto presentano deficit
nel riconoscimento dei propri stati interni (fame, sazietà, senso di vuoto),
nell’esplorazione del proprio mondo interiore e nella competenza necessaria per
riconoscere ed esprimere le proprie emozioni. La mancanza d’informazioni sul
proprio stato di benessere e sui propri desideri e bisogni, ostacola la creazione di
confini stabili con gli altri incrementando, di conseguenza, la dipendenza
dall’ambiente esterno per avere conferme e sicurezze (op. cit.). La dipendenza,
infatti, costituisce un tratto fondamentale nelle persone affette da disturbi
alimentari: la psicopatologia, se da un lato può configurarsi come una inconscia
rivendicazione della propria autonomia dalla famiglia, dall’altro tende a ricreare
rapporti simbiotici con le figure di riferimento (Bruch, 1987; Humphrey &
Stern, 1988). Anche se l’“analfabetismo emotivo” non risulta essere
esclusivamente correlato alle abbuffate, ai disturbi dell'immagine corporea o a
una ricerca ossessiva della magrezza, esistono tuttavia evidenze empiriche del
fatto che il costrutto dell’alessitimia sia legato a tratti psicologici tipici delle
persone affette da Disturbi del Comportamento Alimentare. In particolare, la
mancanza di consapevolezza enterocettiva, caratterizzata da confusione e
incertezza nel riconoscere e rispondere in modo preciso sia agli stati emotivi, sia
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a certe sensazioni viscerali collegate alla fame e alla sazietà (Garner, 1991), può
essere ricondotto ad un errato riconoscimento delle proprie emozioni e
sensazioni. La confusione relativa al funzionamento delle emozioni e alle
percezioni del proprio corpo, è stata ripetutamente descritta come elemento
importante nello sviluppo e nella persistenza dei casi di AN e BN (Garner &
Bemis, 1985). In questo modo, il corpo assume una funzione vicariante, in
quanto condensa nell’agito anoressico-bulimico contenuti psichici difficilmente
comunicabili e scarsamente mentalizzati. Oggi tale deficit può essere
concettualizzato anche all'interno della teoria del codice multiplo della Bucci
(1984; 1997; De Coro & Caviglia, 2000), secondo cui gli schemi emotivi
comprendono elementi subsimbolici (insiemi di sensazioni sensoriali, viscerali e
cinestesiche) e simbolici (immagini e parole) legati fra loro da connessioni
referenziali, la cui qualità è riflessa nei discorsi e nella narrativa degli individui.
L'alessitimia implica l'assenza totale o la parziale disconnessione referenziale e,
per questa ragione, le emozioni risultano collegate molto debolmente con le
immagini e con le parole, venendo così vissute come elementi subsimbolici,
quali: sensazioni somatiche, percezioni o impulsi agiti poco differenziati.
Secondo le moderne teorie biopsicosociali, tali deficit possono essere spiegati - a
livello dei fattori eziopatogenetici - da fattori ambientali relazionali precoci
quali, in particolare, l'incapacità del caregiver di facilitare - attraverso la
Funzione Riflessiva - un pattern di attaccamento sicuro nei propri figli,
determinando un’insufficiente maturazione della mentalizzazione e della
regolazione emotiva (Fonagy & Target, 2001; Schore, 2001; Caretti & La
Barbera, 2005).
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Ricevuto: 6 aprile 2009. Revisionato: 23 ottobre 2009. Accettato: 10
novembre 2009.
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Autostima, metarimuginio, perfezionismo, responsabilità e rimuginio nei disturbi
alimentari
Sandra Sassaroli1, Sara Bertelli2, Francesca Fiore1, Luca Boccalari2, Gianluigi
Luxardi3, Silvio Scarone2, Patrizia Todisco4, Giovanni Maria Ruggiero5
Sommario: OBIETTIVO: il perfezionismo patologico e la bassa autostima
risultano essere i fattori cognitivi principalmente coinvolti nei disturbi
alimentari (DA). Questo lavoro si proponeva di verificare la modalità secondo
cui alcuni costrutti cognitivi come la responsabilità patologica, l’autostima, il
perfezionismo, il rimuginio, il metarimuginio e la metacognizione agiscono
sull’impulso alla magrezza. METODI: Un gruppo di soggetti con DA e un
gruppo di controllo hanno compilato un pacchetto di questionari per valutare
diverse variabili cognitive. I dati sono stati elaborati calcolando la regressione
gerarchica e la MANOVA. RISULTATI: Responsabilità, rimuginio e
metarimuginio sono risultate presenti in misura maggiore nei soggetti con
disturbo alimentare rispetto al gruppo di controllo, ma il loro effetto predittivo
è risultato non significativo quando si controllava per il perfezionismo e la bassa
autostima.
Parole chiave: autostima, disturbi alimentari, metarimuginio, perfezionismo,
responsabilità, rimuginio.
Abstract: AIM: pathological perfectionism and low self-esteem are the
cognitive factors involved in eating disorders (ED). This study aims to explore
the role played by other cognitive factors like inflated responsibility, worry,
meta-worry in the development of ED. METHODS: The study tested the
predictive power of the above mentioned cognitive factors in a sample of
individualks affected by ED and normal controls using self-report instruments
and implementing hierachical regression and MANOVA. RESULTS:
Responsibility, worry and meta-worry were higher in individuals with ED than
in controls. However, their preddictive power was not significant when
controlling for perfectionsim and low self-esteem.
Key words: eating disorders, meta-worry, perfectionism, responsibility, selfesteem, worry.
____________________________________________________________
1“Studi Cognitivi”, scuola di specializzazione post-laurea in psicoterapia cognitiva
Milano, Italia; 2Ospedale San Paolo, Milano; 3Centro Psicosociale di San Vito al
Tagliamento, Italia; 4“Spedali Civili” ospedale, Brescia, Italia; 5“Psicoterapia
Cognitiva e Ricerca”, scuola di specializzazione post-laurea in psicoterapia
cognitiva, Milano, Italia
Corrispondenza: Sandra Sassaroli, “Studi Cognitivi”, Scuola di
specializzazione post-lauream in psicoterapia cognitiva, Foro Buonaparte 57,
20121, Milano, Italia. E-mail: [email protected]
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1.1 I fattori cognitivi classici dei disturbi alimentari: perfezionismo e bassa
autostima
Il perfezionismo è uno stile di personalità connesso ai Disturbi
dell’Alimentazione (DA), (Bauer e Anderson, 1989; Bruch, 1973; Casper, 1983;
Halmi et al., 2000) e ai comportamenti ad essi legati, come le restrizioni
alimentari, le preoccupazioni rispetto alla forma fisica, al peso e all’impulso alla
magrezza (Bastiani et al., 1995; Davis, 1997; Hewitt, Flett e Ediger, 1995;
Joiner et al., 1997; McLaren, Gauvin e White, 2001). Esso rappresenta un
costrutto multidimensionale in quanto caratterizzato da alti standard, dal
timore degli errori, dal criticismo genitoriale, dalle aspettative genitoriali, dai
dubbi sulle azioni e dell’organizzazione (Frost et al., 1990). La caratteristica
distintiva del perfezionismo patologico è rappresentata dal timore dell’errore.
Infatti, i soggetti che mostrano questa peculiarità percepiscono come
inaccettabile, foriero di danni futuri, anche il minimo errore e non ritengono le
azioni, messe in atto, complete tanto da accompagnarle da un forte senso di
auto-critica e di inefficacia (Frost et al., 1990). La dimensione di alti standard
personali è presente sia in soggetti clinici sia in soggetti non-clinici e non è
discriminativa per i perfezionisti patologici e per coloro che tendono all’alta
competenza e al successo (Frost et al., 1990; Hamachek, 1978). Recentemente, è
stata proposta una descrizione unidimensionale del perfezionismo definito come
Perfezionismo Clinico, ossia un'iper-dipendenza della valutazione di sé sul
perseguimento di obiettivi personalmente impegnativi, auto-imposti, in almeno
un campo importante, nonostante conseguenze negative (Shafran, Cooper e
Fairburn, 2002). I dubbi sulle azioni presentati da questi soggetti consistono
nell’incertezza esperita sull’aver fatto o meno una determinata azione, che porta
gli stessi ad organizzare, pianificare in maniera ossessiva quanto dovrebbero
realizzare (Frost et al., 1990). La critica genitoriale e le aspettative parentali
sono collegate alla tendenza dei perfezionisti di ritenere l'amore genitoriale come
conseguenza delle loro capacità di soddisfare le aspettative (Burns, 1980;
Hamachek, 1978; Patch, 1984). Dunkley et al. (2006) hanno dimostrato che la
dimensione valutativa delle preoccupazioni legate al perfezionismo è rilevante
da un punto di vista clinico, mentre possedere livelli elevati di standard
personali non è di per sé maladattivo.
La bassa autostima è un costrutto unidimensionale che riguarda il giudizio
sul proprio valore personale (Rosenberg, 1965), ed è considerata come un
fattore importante nello sviluppo della vulnerabilità dei DA. Le persone affette
da DA tendono a giudicarsi esclusivamente nell’ambito della forma, del peso e
del grasso corporeo (Button et al., 1996; Fairburn, Cooper e Shafran, 2003).
Inoltre, sono condizionate da una sensazione pervasiva, generica e vaga di non
essere sufficientemente adeguati e competenti e in relazione alle richieste della
vita e per questo spendono molto tempo focalizzando la propria attenzione sulle
sensazioni negative (Vitousek e Hollon, 1990).
1.2 Altri possibili fattori cognitivi dei disturbi alimentari: senso di
responsabilità
La relazione che intercorre fra la responsabilità eccessiva e DA è
determinato da una relazione psicopatologica con il disturbo ossessivo
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compulsivo (Halmi et al., 2000; Thornton e Russell, 1997), in quanto la
responsabilità eccessiva è considerata la credenza centrale dell’ossessività
(Salkovskis, 1985). Rachman e Shafran (1999) hanno applicato il concetto di
responsabilità ai DA assumendo che questi pazienti considerassero l'eccesso di
cibo immorale e il desiderio del cibo come moralmente inaccettabile.
1.3 Altri possibili fattori cognitivi dei disturbi alimentari: rimuginio e
metarimuginio
Storicamente il rimuginio è stato poco studiato nel campo dei DA,
nonostante la definizione del DSM-IV di timore della grassezza prevede delle
relazioni con lo stesso.
Il rimuginio è un'attività di pensiero caratterizzata da una prevalenza di
previsioni ansiose e di timori di possibili futuri eventi negativi (Borkovec, 1994).
A sua volta, il timore della grassezza è una predizione su possibili futuri eventi
negativi riguardo al peso e al grasso. Alcuni studi empirici hanno supportato
l'ipotesi che il rimuginio svolga un ruolo psicopatologico nei DA. È stato
osservato che le ragazze senza disturbi clinici mostravano in modo significativo
più rimuginio sul peso e sul cibo rispetto a ragazzi senza disturbi clinici
(Wadden et al., 1991). Inoltre, i soggetti con disturbi alimentari mostrano
misure più elevate di rimuginio rispetto al gruppo di controllo (Kerkhof,
Hermas, Figee, Laeremans, Pieters e Aardema, 2000), mentre il consumo di cibo
in un campione non clinico di soggetti cronicamente a dieta e inclini al
rimuginio era stimolato da pensieri ricorrenti sul rango sociale e sulle prestazioni
scolastiche (Scattolon e Nicky, 1995). Sassaroli et al. (2005) hanno dimostrato
che esiste una relazione di causa ed effetto tra rimuginio e disturbi alimentari.
Studi recenti hanno rilevato la presenza della ruminazione (rumination)
nei DA. La rumination indica un rimuginio presente nella depressione e in altri
disturbi dell'umore (Nolen-Hoeksema, 2000). È legata ad eventi negativi
passati, mentre il rimuginio è una preoccupazione su futuri eventi negativi. È
stato osservato che l'insorgere della bulimia è associato alla ruminazione in
risposta ad eventi di vita (Troop e Treasure, 1997), mentre i soggetti che
seguono una dieta mostrano in modo significativo più ruminazioni rispetto al
mangiare e al cibo, rispetto ai soggetti non a dieta (Hart e Chiovari, 1998).
Il rimuginio patologico è mantenuto da credenze metacognitive positive e
negative riguardanti i vantaggi e i pericoli del rimuginare (Wells, 2000), che, in
seguito, diventeranno loro stesse oggetto di rimuginio. Quest’ultimo prende il
nome di meta-rimuginio (Wells, 2000).
La metacognizione comprende ogni conoscenza coinvolta nei processi di
pensiero,valutazione e credenze sulla cognizione stessa e sugli stati mentali
altrui (Flavell, 1979). Mentre Ardovini (2002) ipotizza una connessione tra
deficit metacognitivo e sviluppo dei disturbi alimentari, Tchanturia et al. (2004)
sostengono che non ci sono evidenze di una qualche riduzione specifica
dell’efficienza dei processi metacognitivi in chi soffre di anoressia.
1.4 Obiettivi dello studio
Riassumendo, nella ricerca recente il perfezionismo e la bassa autostima
sono stati considerati come delle variabili predittive nella genesi dei DA. Lo
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scopo del seguente studio è di dimostrare le modalità secondo le quali il
perfezionismo, la bassa autostima, la credenza della responsabilità e i contenuti
metacognitivi del rimuginio determinano il DA. Più precisamente, l’obiettivo è
verificare se esistano delle relazioni tra le variabili prima citate nei due gruppi di
pazienti, anoressici e bulimici rispetto ad un gruppo di controllo.
Per semplificare la nostra analisi è stata considerata un’unica misura di
DA, la sotto scala per l’impulso alla magrezza del questionario EDI II che
valuta la preoccupazione eccessiva di stare a dieta, la preoccupazione per il
peso e il timore di aumento del peso (Garner, Olmsted e Polivy, 1983). La
suddetta scala comprende una delle caratteristiche cardini del DA ed è
essenziale per effettuare una diagnosi sia di anoressia nervosa sia di bulimia
nervosa.
2. Studio 1: Il senso di responsabilità eccessiva nei DA
2.1. Metodo
2.1.1 Partecipanti
Allo studio hanno partecipato 40 soggetti italiani afferenti al centro di
psicoterapia cognitiva di Milano, “Studi Cognitivi”, al Centro Psicosociale di S.
Vito al Tagliamento al Centro DA dell'ospedale dello S. Paolo di Milano, al
centro DA dell’Ospedale Civile di Brescia. Il reclutamento è stato effettuato
durante la fase iniziale di valutazione del trattamento.
Durante questa fase sono stati somministrati, da parte di specializzandi
psicologi opportunamente addestrati, un pacchetto di test self-report e
intervista clinica strutturata per l'asse I del DSM-IV (SCID, Spitzer, Gibbon, e
Williams, 1997; versione italiana Mazzi, Morosini, De Girolamo, Bussetti, e
Guaraldi, 2000), grazie alla quale è stato possibile individuare 23 pazienti
anoressici e 17 bulimici. Tutti i partecipanti erano di sesso femminile tranne
uno. L’età media del campione era di 31,65 anni (Dev. St.= 9,99). I soggetti di
controllo, di sesso femminile, sono stati reclutati da tra gli allievi della scuola di
specializzazione in psicoterapia cognitiva “Studi Cognitivi” di Milano e da una
popolazione di operai di Cuneo, Italia.
Il gruppo di controllo è costituito da 44 soggetti, tre dei quali sono stati
esclusi perché in psicoterapia. Tutti i partecipanti hanno ricevuto informazioni
dettagliate sulle procedure e sugli obiettivi dello studio. I criteri di verifica per
l'inclusione allo studio erano: diagnosi del DSM basata su SCID I di anoressia o
di bulimia per il gruppo DA, mentre il gruppo di controllo non doveva
comprendere soggetti con DA o con disturbi d’ansia.
Lo scopo del primo studio è di esplorare e confrontare il potere predittivo
del senso di responsabilità, del perfezionismo e della bassa autostima e delle
interazioni di queste credenze su una misura di DCA come l’impulso alla
magrezza.
2.1.2. Misure
La SCID è un'intervista strutturata basata sui criteri di valutazione del
DSM che danno la diagnosi per i disturbi psichiatrici di asse I.
L’impulso alla magrezza è una sottoscala costituita da 7 item dell’Eating
Disorders Inventory (EDI, Garner, Olmsted e Polivy, 1983), self report
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destinato a valutare le dimensioni cognitive e comportamentali dei DA. La
versione italiana del questionario è stata ritradotta in inglese da una persona
dagli U.S.A. non pratica dello strumento. L'autore originale dell’EDI ha
confrontato la versione originale e la versione ritradotta in inglese dello
strumento e non ha trovato differenze significative (Garner, comunicazione
personale, 24 giugno 1997).
L’MPS-F (Multidimensional Perfectionism Scale, Frost et al., 1990), è un
questionario di 35 item autosomministrato sul perfezionismo. Le scale dell’MPS
misurano il timore dell’errore, gli alti standard personali, il criticismo
genitoriale, le aspettative genitoriali, i dubbi sulle azioni e l'organizzazione.
L’RSES (Rosenberg Selef-Esteem Scale, Rosenberg, 1965) valuta la bassa
autostima e il senso globale del proprio valore.
La RAS (Responsibility Attitude Scale, Salkovskis et al., 2000), valuta la
tendenza a rimuginare sulle proprie responsabilità e sul timore di fare del male.
La RAS è una scala auto-somministrata di 26 items. La coerenza interna
misurata attraverso l’α di Cronbach per ciascuno dei test somministrati è
compresa tra 0,71 e 0,85.
2.2. Risultati
2.2.1. Analisi dei dati
Per esaminare il contributo predittivo del timore degli errori,
dell’autostima e della responsabilità, sono state condotte alcune analisi
gerarchiche di regressione usando l’impulso alla magrezza dell’EDI come
variabile dipendente. Per avere una scala comune con cui valutare il contributo
di ciascuna delle variabili indipendenti, abbiamo usato i valori standardizzati. I
dati sono stati elaborati attraverso il software SPSS 13.0 ( citazione).
Nella prima regressione gerarchica, il timore degli errori è stati inserito
come variabile predittiva nella fase uno, mentre, la bassa autostima è stata
inserita nella seconda fase. Nella fase uno, il timore degli errori ha predetto
significativamente l’impulso alla magrezza (modificazione di R2 = .29, p < .001).
Nella fase due, la bassa autostima non ha predetto significativamente l’impulso
alla magrezza in aggiunta al timore degli errori (modificazione di R2 = .02, p >
.05). Nella seconda regressione gerarchica, la bassa autostima è stata inserita
come variabile predittiva nella fase uno e il timore degli errori è stato inserito
nella fase due. Nella fase uno, la bassa autostima ha predetto significativamente
l’impulso alla magrezza (modificazione di R2 = .22, p < .001) e nella fase due il
timore degli errori ha predetto significativamente l’impulso alla magrezza in
aggiunta alla bassa autostima (modificazione di R2 = .32, p < .05).
Nella seconda fase di questa analisi si è voluto studiare il contributo
predittivo della responsabilità rispetto al timore degli errori e alla bassa
autostima. In una prima regressione gerarchica, la responsabilità è stata inserita
come variabile del predittiva in fase uno e il timore degli errori e la bassa
autostima sono stati inseriti in fase due. In fase uno, la responsabilità ha
predetto significativamente l’impulso alla magrezza (R2 = .19, p < .05) e in fase
due il timore degli errori e la bassa autostima hanno predetto significativamente
l’impulso alla magrezza rispetto al gruppo di controllo (modificazione di R2 =
.29, p > .05). In una seconda regressione gerarchica, il timore degli errori e la
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bassa autostima sono stati inseriti come variabili predittive in fase uno e la
responsabilità è stata inserita in fase due. In fase uno, il timore degli errori e la
bassa autostima hanno predetto significativamente l’impulso alla magrezza
(modificazione di R2 = .48; timore degli errori: b = .72, p < .05; bassa autostima:
b = -.05, p > .05) mentre in fase due, la responsabilità non ha significativamente
previsto l’impulso alla magrezza (modificazione di R2 = .01, p > .05).
Tabella 1: Statistiche descrittive e t-test
Gruppi
Timore degli
errori
Bassa autostima
Responsabilità
Impulso alla
magrezza
Disturbi
alimentari
Controlli
Disturbi
alimentari
Controlli
Disturbi
alimentari
Controlli
Disturbi
alimentari
Controlli
N
Media
Dev.
Std.
40
34.90
8.28
38
20.08
5.51
40
22.33
7.08
38
27.82
6.79
40
4.78
.91
38
3.64
1.20
40
15.28
3.60
38
3.00
3.78
t
Sig.
9.34
.000
-3.50
.001
4.73
.000
14.5
.000
I risultati derivanti dalla prima fase indicano che il timore degli errori
abbia un più grande contributo predittivo che la bassa autostima. Infatti, il
timore degli errori ha predetto una varianza supplementare significativa
connessa con l’impulso alla magrezza dopo il controllo per bassa autostima,
mentre la bassa autostima non ha predetto alcuna varianza supplementare
connessa con l’impulso alla magrezza dopo il controllo per il timore degli errori.
I risultati inerenti alla seconda fase indicato che la responsabilità esercita
un minore contributo predittivo che il timore degli errori e la bassa autostima.
Infatti, il timore degli errori e la bassa autostima hanno predetto una varianza
supplementare significativa connessa con l’impulso alla magrezza dopo il
controllo per la responsabilità, mentre la responsabilità non ha predetto alcuna
varianza supplementare connessa con l’impulso alla magrezza dopo il controllo
per il timore degli errori e la bassa autostima.
Per concludere, i risultati dalle analisi gerarchiche di regressione indicano
che, in questo campione, la responsabilità ha un reale potere predittivo su una
misura di DA come l’impulso alla magrezza, ma che questo potere predittivo è
minore di quello del timore degli errori (perfezionismo patologico) e della bassa
autostima
2.2.4 Effetti di interazione fra credenze
È stata condotta un'analisi di regressione multipla usando timore degli
errori, bassa autostima e responsabilità come variabili indipendenti e l’impulso
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alla magrezza come dipendente e abbiamo misurato sia gli effetti principali sia
gli effetti di interazione fra le tre variabili indipendenti (Aiken e West, 1991).
Per avere una scala comune con cui valutare il contributo di ciascuna delle
variabili indipendenti, abbiamo usato i valori standardizzati. Il timore degli
errori hanno avuti un effetto principale significativo su l’impulso alla magrezza
(F = 19.28; p < .001), mentre tenendo conto delle interazioni bidirezionali e a tre
vie, nessun'interazione tra le variabili predittive ha rivelato un effetto
significativo sull’impulso alla magrezza.
3. Studio 2: Il metarimuginio nei DA
3.1 Metodo
3.1.1. Partecipanti.
I partecipanti erano 84 soggetti italiani affetti da disturbi alimentari e 54
soggetti italiani appartenenti al gruppo di controllo. I soggetti sono stati
reclutati dagli stessi centri precedentemente citati e tutti sono stati sottoposti
alla stessa batteria di test sopra descritti.
Usando la SCID I, abbiamo diagnosticato 48 pazienti bulimici e 36
pazienti anoressici. Tutti e 84 i soggetti con disturbi alimentari erano donne.
L’età media era di 23,39 anni (Dev. St..= 4,75). L'età media dell'esordio del
disturbo era 18,83 anni (Dev. St..= 2,22). Il gruppo di controllo è formato da 38
soggetti italiani, di sesso femminile con età media pari a 25,31 anni (Dev. St..=
5,4).
Lo scopo del secondo studio consiste nell’esplorare e confrontare il potere
predittivo delle variabili metacognitive, del perfezionismo e della bassa
autostima e delle interazioni di queste credenze su una misura di DCA come
l’impulso alla magrezza.
3.1.2. Misure
Nel secondo studio, oltre EDI, MPSI e RSES già descritti, sono stati usati
il PSWQ (Penn State Worry Questionnaire, Meyer, Miller, Metzger e Borkovec,
1990) che valuta il livello di rimuginio e l’MQ (Metacognition Questionnaire,
Cartwright e Wells, 1994), che valuta le seguenti variabili: credenze positive sul
rimuginio, credenze negative sul rimuginio, efficienza e fiducia metacognitiva,
credernze negative geneali e automonitoraggio.
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3.2 Risultati
3.2.1 Analisi delle dimensioni cognitive e metacognitive tra gruppi.
La tabella 2 riporta le medie e le deviazioni standard di ciascun campione.
Tabella 2: Medie e deviazioni standard
Controlli
M
Dev
St
Timore degli errori
Anoressiche
M
Dev
Bulimiche
M
Dev
St
St
21.05
5.17
33.17
9.39
29.50
7.74
29.61
5.32
18.22
5.69
24.50
7.02
36.24
4.72
63.14 11.37 58.28 10.95
32.26
6.92
40.56 14.91 38.62 10.44
25.66
4.20
42.22
8.01
36.46 11.55
17.02
4.15
21.11
7.59
19.17
5.45
21.58
5.20
26.08
4.66
25.88
6.42
16.53
3.14
20.36
3.96
19.65
3.52
(Multidimensional Perfectionism Scale)
Autostima
(Rosenberg Self-esteem Scale)
Rimuginio
(Penn State Worry Questionnaire)
Credenze positive sul rimuginio
(Metacognition Questionnaire)
Credenze negative sul rimuginio
(Metacognition Questionnaire)
Efficienza e fiducia metacognitiva
(Metacognition Questionnaire)
Credenze negative generali
(Metacognition Questionnaire)
Automonitoraggio
(Metacognition Questionnaire)
Le tabelle 3 riporta la MANOVA tra gruppo di controllo e gruppi con disturbi
alimentari. La scala "timore degli errori" dell'MPS, l'RSES e il PSWQ, hanno
distinto il gruppo di controllo dal gruppo con DA. Le variabili metacognitive
hanno differenziato il gruppo di controllo da quello con DA. Nella scala
"convinzioni sulla competenza cognitiva", solo le anoressiche hanno ottenuto
punteggi significativamente diversi dai soggetti di controllo.
Tabella 3: MANOVA in rimuginio, autostima, perfezionismo e credenze meta cognitive
Controlli (CON)
Anoressiche (AN)
Bulimiche (BN)
PSWQ Rimuginio
36.24 (4.72)a
63.14 (11.37)b
58.28 (10.95)b
F(2, 119) = 85.09, p < .001; Con – AN: p < .001; Con – BN: p < .001
RSES Autostima
29.61 (5.32)a
18.22 (5.69)b
24.50 (7.02)c
F(2, 119) = 31.78, p < .001; Con – AN: p < .001; Con – BN: p < .01; AN – BN: p < .001
MPS Timore degli
errori
21.05 (5.17)a
33.17 (9.39)b
F(2, 119) = 25.06, p < .001; Con – AN: p < .001; Con – BN: p < .001
29.50 (7.74)b
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Tabella 3 (continua): MANOVA in rimuginio, autostima, perfezionismo e credenze
metacognitive
Controlli (CON)
Anoressiche (AN)
Bulimiche (BN)
MQ Credenze positive
sul rimuginio
32.26 (6.92)a
40.56 (14.91)b
38.62 (10.44)b
F(2, 119) = 5.79, p < .01; Con – AN: p < .05; Con – BN: p < .01
Tabella 3 (continua): MANOVA in rimuginio, autostima, perfezionismo e credenze
metacognitive
MQ Credenze negative
25.66 (4.20)a
42.22 (8.01)b
36.46 (11.55)c
sul rimuginio
F(2, 119) = 34.37, p > .001; Con – AN: p < .001; Con – BN: p < .001; AN – BN: p < .05
MQ Efficienza e
fiducia metacognitiva
17.02 (4.15)a
21.11 (7.59)b
19.17 (5.45)a
26.08 (4.66)b
25.88 (6.42)b
F(2, 119) = 4.54: p > .05; Con – AN: p < .05
MQ Credenze negative
generali
21.58 (5.20)a
F(2, 119) = 8.12, p < .001; Con – AN: p < .01; Con – BN: p < .01
MQ
Automonitoraggio
16.53 (3.14)a
20.36 (3.96)b
19.65 (3.52)b
F(2, 119) = 12.64, p < .001; Con – AN: p < .001; Con – BN: p < .05
Attraverso la Regressione Lineare Semplice, è stato misurato l’effetto
complessivo delle credenze cognitive e metacognitive (predittori) sull’impulso
alla magrezza (variabile dipendente) (tabella 4). I risultati hanno mostrato che
le variabili cognitive, timore degli errori, bassa autostima e rimuginio, avevano
un effetto predittivo significativo sulla misura dei disturbi alimentari. Invece,
per quanto riguarda le variabili metacognitive, nessuna di esse ha mostrato un
effetto globale significativo.
Tabella 4: Regressione lineare, effetti delle credenze cognitive e metacognitive
(predittori) su impulso alla magrezza dell’EDI (variabile dipendente)
Predittori
Rimuginio
(Penn State Worry Questionnaire)
Autostima
(Rosenberg Self Esteem Questionnaire)
Timore degli errori
(Multidimensional Perfectionism Scale)
Credenze positive sul rimuginio
(Metacognition Questionnaire)
R
R2
F
Sig.
.281
.079
7.021
.010*
.255
.065
5.696
.019*
.463
.215
22.411
.000***
.203
.043
3.674
.059+
+ = Sig. < .1; * = Sig. < .05; ** = Sig. < .01; *** = Sig. < .001
Le variabili indipendenti esplorate in questa ricerca erano altamente
correlate le une con le altre. Questo potrebbe tradursi, in particolare per piccoli
campioni, in una multicollinearità, che porta ad una mancanza di significatività
statistica delle singole variabili indipendenti mentre il modello complessivo
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potrebbe essere fortemente significativo. Per ridurre l'effetto della
multicollinearità tra le variabili predittrici, sono state centrate le variabili,
ovvero è stata tolta la media da una variabile, lasciando i punteggi di deviazione
(Aiken e West, 1991).
Per esaminare gli effetti dell'interazione tra le variabili timore degli errori,
autostima e rimuginio è stata realizzata un’analisi di Regressione Lineare
Multipla usando tutte le precedentemente menzionate variabili cognitive
centrate come variabili indipendenti e l’impulso alla magrezza come dipendente
e sono misurati gli effetti di interazione a 2 e a 3 vie tra le variabili indipendenti
(Aiken e West, 1991). I risultati mostrano che le interazioni con effetto
significativo sui soggetti con disturbi alimentari erano quelle a tre vie tra
rimuginio timore degli errori e autostima. L'effetto di interazione a 2 vie tra
timore degli errori e autostima ha mostrato un effetto lievemente significativo
(tabella 5).
Tabella 5: Regressione lineare multipla, effetti interattivi delle credenze
cognitive (predittori) su impulso alla magrezza dell’EDI (variabile
dipendente)
Predittori
Sig.
F
Timore degli errori * Autostima
7.021
.010*
Timore degli errori * Autostima * Rimuginio
5.696
.019*
R2 = .162 (R2 modificato = .119)
4. Discussione
I risultati del primo studio suggeriscono che il senso la responsabilità
mostra avere un ruolo psicopatologico importante nel modello cognitivo dei DA.
Tuttavia, dati ottenuti suggeriscono un ridimensionamento del ruolo della
responsabilità. Infatti, dimostrano come il perfezionismo, sotto forma di timore
degli errori, sia un predittore più forte dell’impulso alla magrezza che la
responsabilità. Inoltre, è stato dimostrato che l'effetto della responsabilità è
derivante dal timore degli errori. Tuttavia, tale risultato indicherebbe che la
credenza della responsabilità sia presente nel DA, nonostante svolga un ruolo
psicopatologico minore rispetto al perfezionismo patologico. In conclusione i
dati fin ora attenuti suggeriscono che gli individui con DA tenderebbero a
temere il cibo e l’aumento di peso anche per una sorta di senso esagerato e
disfunzionale di responsabilità (Rachman e Shafran, 1999), malgrado il
perfezionismo patologico rimanga la credenza centrale dei DA. La regressione
gerarchica rileva che nel perfezionismo è presente una componente cognitiva
collegata alla responsabilità e alla moralità, ma tale componente è lontana dallo
spiegare il nucleo psicopatologico del DA.
I risultati del secondo studio confermano il ruolo del perfezionismo, della
bassa autostima e del rimuginio nella psicopatologia dei disturbi alimentari
(Vitousek e Hollon, 1990), ed offre spunti interessanti sul possibile ruolo di una
dimensione metacognitiva come le credenze positive sul rimuginio.
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Il lavoro conferma che il timore degli errori potrebbe essere un modo
clinicamente rilevante per concettualizzare il perfezionismo, anche se i risultati
non possono essere usati come argomento per falsificare le altre definizioni di
perfezionismo,come la definizione di Hewitt e Flett (1991), o il Perfezionismo
Clinico di Shafran, Cooper e Fairburn (2003). Si osserva che la credenza "Timore
degli Errori" potrebbe essere interpretata come un modo di pensare dello stile
ansioso. Infatti, il Timore degli Errori potrebbe essere considerata come una
sovra-stima di eventi minacciosi, una paura intensa e ansiosa di fallimento
dopo importanti prestazioni. La dimensione del perfezionismo "Timore degli
Errori" è importante per capire la psicologia dei soggetti con disturbi alimentari,
perché suggerisce come poter interpretare ogni errore e ogni imperfezione
corporea o di peso come fallimenti catastrofici (Hewitt e Flett, 1991).
Riguardo all'autostima, il nostro studio conferma il ruolo significativo nel
DA (Button, Sonuga-Barke, Davies e Thompson, 1996; Fairburn, Cooper e
Shafran 2003; Fairburn, Welch, Doll, Davies e O’Connor, 1997). Dunque, i
soggetti con DA hanno un caratteristico schema di sé dipendente dal peso
(Vitousek e Hollon, 1990). Questo schema di sé generale è la seconda
caratteristica cognitiva centrale dei disturbi alimentari ed è stato chiamato
come duratura valutazione negativa di sé (Vitousek e Hollon, 1990).
Il lavoro conferma anche il ruolo svolto dal rimuginio come fattore alla
base dei disturbi alimentari. Da un punto di vista clinico il rimuginio può essere
utile per interpretare e capire i disturbi alimentari. Si noti che un criterio
diagnostico centrale dell'anoressia, la paura della grassezza del DSM-IV, ha
molto in comune col Rimuginio. La paura della grassezza, come il rimuginio, è
intesa come una previsione di possibili futuri eventi negativi. Probabilmente, i
soggetti con DA rimuginano sul peso, sul grasso, sulla forma del corpo, perché
prevedono una lunga catena di conseguenze negative legate ad essi. Queste
conseguenze negative possono riguardare problemi interpersonali, il senso di
autoefficacia, la paura di essere biasimati o disprezzati da genitori o coetanei. La
relazione tra Rimuginio e disturbi alimentari è confermata non solo da studi che
hanno esaminato direttamente questa variabile (Kerkhof et al., 2000; Scattolon
e Nicky, 1995; Sassaroli et al., 2005; Wadden, Brown, Foster e Linowitz, 1991),
ma anche da altri articoli. Infatti Godley, Tchanturia, MacLeod e Schmidt
(2001) hanno mostrato che sia pazienti con anoressia che pazienti con bulimia
nervosa avevano più cognizioni negative dei soggetti del gruppo di controllo. Il
tema negativo più comunemente menzionato da anoressici e bulimici era quello
riguardo alla loro salute seguita dal campo sociale-interpersonale. Non è
necessario sottolineare ulteriormente che il concetto di cognizioni orientate al
futuro negative è molto simile al Rimuginio.
L'analisi di interazione chiarifica il ruolo svolto dal Rimuginio. Infatti, tali
risultati suggeriscono che l'effetto del Timore degli Errori o dell'Autostima
sull’impulso alla magrezza vari in funzione del mutare del Rimuginio.
Comunque, gli effetti di interazione rivelati dalla Regressione Lineare Multipla
suggeriscono che le variabili cognitive siano strettamente intrecciate le une alle
altre e che sia difficile distinguere il loro effetto. Probabilmente il Timore degli
errori incrementa una bassa autostima e viceversa. Inoltre, sia il Timore degli
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Errori che l'Autostima (bassa) sono incrementate dal Rimuginio. Tutti questi
elementi concorrono allo sviluppo dei DA.
Riguardo alla metacognizione, 4 delle 5 scale dell'MQ hanno mostrato
punteggi significativamente più alti nei disturbi alimentari che nei soggetti del
gruppo di controllo. Tale risultato supporta l'ipotesi che nei disturbi alimentari
il Rimuginio su grasso, peso e il mangiare diventa l'oggetto di credenze e
valutazioni negative. Quando il rimuginare è valutato come pericoloso, il livello
di preoccupazione su cibo, peso e grasso aumenta ed è difficile per i soggetti con
disturbi alimentari raggiungere uno stato interno che segnali che è meglio
smettere di rimuginare.
Tuttavia, non è possibile dire che questo modello metacognitivo dei
disturbi alimentari sia del tutto confermato dai dati riportati. In effetti, nessuna
variabile metacognitiva ha mostrato un qualche effetto predittivo sui DA e
nessuna variabile metacognitiva ha mostrato effetti di interazione. Tali scoperte
suggeriscono che credenze metacognitive sono effettivamente presenti nei
soggetti con DA, ma che non presentano un effetto predittivo su un sintomo
centrale come l’impulso alla magrezza. Probabilmente, significa che né il metaRimuginio né le altre variabili metacognitive svolgano un ruolo psicopatologico
nei DA. In conclusione, il metarimuginio nei disturbi alimentari potrebbe essere
un effetto collaterale del rimuginio.
I risultati potrebbero essere più robusti con un campione clinico più
numeroso e diviso equamente nelle diverse tipologie dei DA. Inoltre, nello
studio non sono presenti soggetti con diagnosi NAS, ormai molto comune nei
pazienti che richiedono un intervento psicologico per i DA.
Potrebbe essere utile in futuro valutare altre variabili dipendenti oltre
l’impulso alla magrezza e capire l’effetto delle variabili cognitive su indicatori di
esito differenti. Per poter valutare effetti diversi.
5. Limiti dello studio e conclusioni
Il principale limite dello studio è l’assenza di misurazioni della personalità
Questo dipende dall’impostazione cognitiva del lavoro, che privilegia
l’esplorazione delle singole variabili cognitive e trascura l’analisi diretta di
strutture più complesse come la personalità.
Tuttavia le variabili da noi studiate appartengono a costellazioni ben
precise che comunque configurano indirettamente uno stile di personalità
frequentemente associato con i disturbi alimentari, che sarebbe lo stile
denominato da Thompson-Brenner, Eddy, Satir, Boisseau e Westen (2008) ad
Alto Funzionamento/Perfezionista e individuato da Wonderlich, Swift, Slotnick
e Goodman (1990) come personalità ossessiva. In realtà, secondo Holliday,
Uher, Landau, Collier e Treasure (2006) si tratta di soggetti che nascondono,
dietro la rigidità ossessiva, una grave carenza nella capacità di padroneggiare e
regolare gli stati emotivi di conflitto e di inadeguatezza rispetto alle richieste
relazionali e prestazionali del mondo esterno. Tuttavia questi pazienti riescono a
gestire in maniera parzialmente efficiente la loro disregolazione emotiva
attraverso condotte perfezionistiche ossessivamente stereotipate e meccanismi
di controllo rigido e che costruisce un senso fittizio di adeguatezza focalizzato su
un unico parametro controllabile, come il peso o l’alimentazione o una qualche
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prestazione eseguita perfezionisticamente. Naturalmente questo modello invece
non si applica a pazienti di funzionamento più basso.
Altri limiti dello studio sono il reclutamento di un campione costituito da
studenti universitari e operai, e quindi non del tutto rappresentativo di tutte le
varie tipologie sociali. Gli studenti, inoltre, potrebbero condividere con il
campione di pazienti tratti perfezionistici legati allo studio e alla loro fase di
vita. Inoltre non abbiamo misurato l’influenza che lo stato sociale e livello
d’istruzione potrebbe avere avuto sulle variabili indagate e in particolar modo i
valori forniti dal Multidimensional Perfectionism Scale. Anche il campione
clinico non era del tutto rappresentativo, mancando di soggetti con diagnosi di
disturbo alimentare non altrimenti specificato (NAS). Questo dipendeva forse
dalla provenienza ospedaliera dei soggetti, che forse ha impedito il reclutamento
di soggetti con un disturbo sintomatologicamente come i NAS. Tutto questo
impedisce una piena generalizzazione dei risultati e suggerisce una replica dello
studio che superi questi limiti.
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Wells, A. (2000). Emotional Disorders and Metacognition. Chichester:
Wiley.
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DSM-III-R personality disorders in eating-disorder subtypes. International
Journal of Eating Disorders, 9, 607-616.
Ricevuto: 25 gennaio 2009. Revisionato: 21 ottobre 2009. Accettato: 1
novembre 2009.
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Le funzioni metacognitive nei pazienti con disturbi del comportamento
alimentare. Uno studio sul trattamento di gruppo psicodinamico
Claudia Prestano1, Viviana Cicero2, Salvatore Gullo2, Grazia Alcuri2, Gianluca
Lo Coco2, Antonino Carcione3
Sommario: Evidenze cliniche ed empiriche mostrano che i pazienti affetti da disturbi del
comportamento alimentare (DCA) presentano gravi disfunzioni di tipo metacognitivo
nell’esecuzione di operazioni intellettive, e nella possibilità di riflettere su di esse. Questo lavoro
descrive i risultati preliminari di uno studio single-case sulla relazione tra deficit delle funzioni
metacognitive e pazienti con DCA ed il cambiamento di tali funzioni nel corso di una
psicoterapia. Sono state studiate sei pazienti (tre con anoressia nervosa e tre con bulimia
nervosa) che hanno partecipato ad una psicoterapia di gruppo ad orientamento psicodinamico
presso un servizio di Neuropsichiatria Infantile. La valutazione delle funzioni metacognitive
delle pazienti è stata effettuata utilizzando la Scala di Valutazione della Metacognizione (SVaM;
Carcione et al., 1997), applicata ai trascritti integrali delle sedute. Dai risultati preliminari
riguardanti il primo anno di terapia, si evince che le disfunzioni metacognitive più evidenti in
questo gruppo di pazienti, riguardano sottofunzioni dell’ Autoriflessività e della capacità di
Mastery. Come rivela la quasi totale assenza di fallimenti, invece, le pazienti presentano un buon
funzionamento metacognitivo rispetto alla Comprensione della mente altrui. Lo studio non ha
identificato significative differenze tra le pazienti affette da anoressia nervosa e da bulimia
nervosa.
Parole chiave: autoriflessività, comprensione della mente altrui, disturbi alimentari, mastery,
metacognzione, SVaM.
Abstract: There is an emerging empirical evidence that patients with eating disorders have
severe metacognitive concerns, i.e. ability to reflect on mental states. This single-case study
aims to explore the relationship between limited metacognition and eating symptoms in six
patients who attended a long-term group treatment. This study also aims at analysing the
change of patients’ metacognition over the course of treatment. All the patients were female,
with a mean age of 17 years. Three patients have a diagnosis of anorexia nervosa, and three
have a diagnosis of bulimia nervosa. The group treatment was delivered in a outpatient clinic of
the hospital of Acireale (CT). The SVaM (Carcione et al., 1997) was used to measure
metacognition of patients, by analysing the transcripts of group sessions. The preliminary
findings, which included the first year of the group treatment (N = 27 group sessions) showed
that metacognitive dysfunctions more evident concern Understanding One’s Own Mind and
Mastery. The first concerns abilities to reflect on the own mental states; the second concerns
ability of regulation and control. Data show that patients don’t present failures in the
Understanding Other’s Minds. The study has not identified meaningful differences between
anorexic patients and bulimic patients.
Key words: Eating disorders, Mastery, Metacognition, SVaM, Understanding One’s Own Mind,
Understanding Other’s Minds
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1 Facoltà di medicina e chirurgia, dipartimento di scienze pediatriche, mediche e chirurgiche,
Università degli studi di Messina. 2 Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Palermo;
3 Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva, Roma.
Corrispondenza: Claudia Prestano, Contrada Khazzen, snc 91017 Pantelleria; e-mail:
[email protected]
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“ Severo narro. Penso quanto sento.
Parole sono idee.
Rumoroso il fiume passa,
ma il rumore non passa,
poiché è nostro, non del fiume.”
F. Pessoa (1994)
1. Introduzione
L’inconsapevolezza interocettiva venne identificata dalla Bruch (1962)
come uno dei nuclei patogenetici fondamentali dell’anoressia, definita come
l’incapacità ad interpretare gli stimoli interiori (1978), ovvero di identificare
accuratamente, rispondere e descrivere le esperienze interne, in particolare gli
stati emozionali. Tale concettualizzazione sembra avere rappresentato per la
comunità scientifica uno stimolo ad intraprendere un filone di ricerca che
mettesse insieme le funzioni metacognitive ed i disturbi alimentari.
Negli ultimi anni, infatti, molti studi empirici (Overton, Selway,
Strongman e Houston, 2005; Bydlowski et al., 2005; Carano, 2007; Corcos et al.,
2000; Zonnevylle-Bender et al., 2004), pur utilizzando metodologie diverse e/o
valutando aspetti emotivi diversi, convergono nell’affermare che la mancanza di
consapevolezza emotiva rappresenta un fattore predominante nei disturbi del
comportamento alimentare (DCA).
Anche le credenze autovalutative negative, derivanti soprattutto dalla
convinzione di non poter fronteggiare emozionalmente le situazioni temute,
giocano un ruolo importante nell’eziologia di questi disturbi (Sassaroli,
Ruggiero, 2002; Kreitler et al., 2003; Apparigliato, Ruggiero e Sassaroli, 2004;
Meyer et al., 2005). Alcuni studi (Dugas, Freeston e Ladoucer, 1997) mostrano
come il rimuginio, il perfezionismo patologico ed il bisogno di controllo,
ampiamente evidenziati nei soggetti con disturbi del comportamento alimentare
(Vervaet, Audenaert e van Heeringen, 2003; Apparigliato, Ruggiero, Sassaroli,
2004; Tchanturia et al., 2004; Yellowlees, 1997) abbiano una funzione protettiva
dinanzi alla difficoltà di fronteggiare situazioni problematiche.
Nel corso degli ultimi anni, molti studi sui fattori eziopatogenetici
dell’anoressia e della bulimia (Petterson, 2004) si sono focalizzati sul senso di
inadeguatezza connesso alle credenze negative su di sé e all’ intolleranza alle
emozioni, che caratterizza i soggetti con tali disturbi, individuando nei
comportamenti alimentari patologici un tentativo, seppur doloroso e poco
efficace, di auto-terapia. Tali disfunzioni che caratterizzano i disturbi alimentari
rientrano nell’area della Metacognizione (Carcione, 2007), ossia della Funzione
Metacognitiva, definita come la capacità di riconoscere e regolare gli stati
mentali, nonché emotivi, e le credenze su se stessi (Carcione, 2007; Semerari,
1999; Wells, 2002).
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1.2 La metacognizione
Il concetto di “metacognizione”, può essere inteso come
“autoconsapevolezza distaccata”, uno stato in cui si è coscienti dei propri
pensieri e delle proprie sensazioni ed in cui si riesce a mantenere una certa
distanza (Wells, 2002).
Alcuni studi (Dweck, 2000) hanno mostrato che le persone sviluppano
teorie del sé, (meaning systems) ovvero convinzioni sulla propria intelligenza,
motivazione e personalità, attraverso cui organizzano il proprio mondo e danno
significato alle esperienze.
Tali funzioni rientrano nella definizione di metacognizione (Carcione et al.,
1997; Carcione, Falcone, 1999; Fonagy, Gergely, Jurist e Target, 2002) ed
includono ogni operazione della mente permettendo di rispondere alle domande
“chi sono”, “cosa provo”, “chi voglio essere”, compiti particolarmente
importanti durante l'adolescenza, periodo in cui è presente una grande
confusione rispetto alla propria identità personale e nel quale generalmente
hanno esordio i disturbi alimentari (Mattei, 2002).
Di contro, la carenza di queste attitudini può gravemente compromettere
la possibilità di vivere una normale vita sociale e relazionale (Carcione e
Semerari, 2006).
Nello specifico, la funzione metacognitiva è stata definita come la capacità
dell’individuo di compiere operazioni cognitive ed euristiche sulle proprie ed
altrui condotte psicologiche, nonchè la capacità di utilizzare tali conoscenze a
fini strategici per la soluzione di compiti e per padroneggiare specifici stati
mentali fonte di sofferenza soggettiva (Carcione et al., 1997).
Karasu (1994) sottolinea che una maggiore consapevolezza di sé e un
aumento della padronanza cognitiva delle proprie problematiche psicologiche
rappresentino l’obiettivo principale cui tendono la maggior parte delle
psicoterapie indipendentemente dal modello teorico di riferimento.
L’incremento della metacognizione, quindi, potrebbe essere inteso come un
importante fattore terapeutico, strettamente connesso con la stabilità dei
miglioramenti ottenuti (Carcione et al., 1997; Nicolò, Centenero, Nobile e
Porcari, 2002).
1.3 Disfunzioni metacognitive come disturbi dell’autoregolazione nei DCA
Numerosi
autori
concettualizzano
i
DCA
come
disturbi
dell’autoregolazione (Taylor, 1997; Aquilar, 2005; Migliozzi et al., 2006; Carano,
2007), e sempre maggiori evidenze cliniche ed empiriche evidenziano gravi
difficoltà nella comprensione degli stati mentali propri ed altrui (Liotti, 2001;
Busato, Rossi, 2004) e nel mettere in atto adeguate strategie per gestire e
regolare stati e rappresentazioni mentali fonte di sofferenza soggettiva
(Dingemans, Spinhoven e van Furth, 2006; Van Vreckem e Vandereycken,
1995; Leung, Waller, Thomas, 2000; Kreitler, Bachar, Canetti, Berry e Bonne,
2003).
Tale inconsapevolezza e la conseguente incapacità di regolazione di tali
stati (Overton, Selway, Strongman e Houston, 2005; Caviglia e Cecere, 2007;
Petterson et al., 2004) conduce, tanto nella bulimia quanto nell’anoressia, a
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comportamenti tesi ad evitare il contatto con le esperienze emotive,
mantenendo uno stato di inconsapevolezza emotiva o soprattutto, qualora
sorgano le emozioni, a comportamenti impulsivi tesi a scaricare gli stati affettivi
esperiti come negativi1 (Van Vreckem e Vandereycken, 1995; Briere e Runtz,
1988; Heatherton e Baumeister, 1991; Lane e Schwarz, 1987). Di questi due
pattern comportamentali, il primo è generalmente più associato alla condizione
anoressica ed il secondo a quella bulimica (Caviglia e Cecere, 2007).
Coerentemente a queste osservazioni, studi empirici hanno ampiamente
mostrato che le pazienti anoressiche utilizzerebbero l’autodeterminazione, il
perfezionismo e l’autocontrollo per gestire l’alterazione della regolazione
emozionale (Halmi et al., 2000; Lilenfeld, Kaye e Strober, 1997; Lilenfeld e
Kaye, 1998; Pryor e Wiederman, 1996), mentre le pazienti bulimiche
tenderebbero maggiormente a mettere in atto comportamenti impulsivi (DiazMarsa, Carrasco e Saiz, 2000; Bulik et al., 1992; Casper, Hedeker e McKlough,
1992; Bell, 1999; Vitousek e Manke, 1994; Montecchi, 1998).
Oltre all’incapacità di riconoscimento delle emozioni, spesso è stata
riscontrata nei pazienti con anoressia o bulimia anche una marcata mancanza di
consapevolezza delle proprie sensazioni corporee (Garfinkel e Garner, 1984) e
della capacità di distinguerle dalle emozioni (Bruch, 1973; Carano, 2007). Ciò
evidenzia sia l’impossibilità a riflettere su alcuni contenuti dell’esperienza che la
condizione di anosognosia2 che caratterizza tali pazienti (Vervaet, Audenaert,
Van Heeringen, 2003; Mucci, 2002). L’anosognosia, infatti, è legata in modo
significativo con le capacità metacognitive di regolazione (Carcione e Semerari,
2006) ed è un presupposto fondamentale per il cambiamento terapeutico
(Yalom, 1990).
Diversi autori hanno connesso la resistenza al cambiamento e i frequenti
drop-out che si osservano nel corso del lavoro psicoterapeutico con questa
tipologia di pazienti, con il deficit delle funzioni metacognitive (Schumann e
Ballardini, 2002; Falcone, Marraffa e Carcione, 2003; Jeammet et al., 1991; Le
Grange, 1999). I soggetti affetti da DCA non solo non riescono a descrivere
verbalmente il contenuto degli stati mentali problematici e a descriverne le
diverse componenti (Aquilar, 2005) ma considerano i loro comportamenti
patogeni come la soluzione di un problema (Puliatti, 2007). Talvolta, il sintomo
è ricondotto ad un generico non accettarsi a livello fisico, piuttosto che ad un
senso del Sé negativo (Mucci, Sorrentino, Merlotti e Galderisi, 2005). Spesso è
stata sottolineata l’impossibilità di queste pazienti a collegare il sintomo con il
contesto emotivo ed interpersonale in cui esso si realizza e con un negativo senso
del Sé (Mucci, 2002).
Infine, nel lavoro clinico con pazienti affetti da anoressia e bulimia emerge
spesso la difficoltà ad effettuare operazioni relative alla “comprensione della
mente altrui”, cioè l’assenza di comprensione di come l’Altro regoli il proprio
mondo affettivo e relazionale (Mucci, Sorrentino, Merlotti e Galderisi, 2005) che
sottostà alla tendenza a cogliere gli atteggiamenti dell’Altro come informazioni
su di sé.
1
Per molti soggetti affetti da DCA il problema non è la positività o negatività delle
emozioni quanto la loro intensità (Stice, 2001; Dalle Grave, 2003; Montecchi, 2006).
2 L’anosognosia è l’incapacità di riconoscere certi eventi mentali come patologici.
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Nella nostra esperienza clinica, in particolare in terapie gruppali ad
orientamento gruppoanalitico, le pazienti anoressiche e bulimiche, soprattutto
durante la prima fase del trattamento, presentano grandi difficoltà a distinguere
le proprie emozioni da quelle degli altri membri del gruppo, attivando processi
di identificazione che non permettono lo scambio interpersonale come fattore
terapeutico (Prestano et al, 2005b).
Alcuni autori rimandano le difficoltà interpersonali di tali soggetti ad un
deficit selettivo della Teoria della Mente3 (Tchanturia et al., 2004) e
all’incapacità di riconoscere gli stati emotivi altrui attraverso le espressioni del
volto (Zonnevylle-Bender et al., 2004; Frigerio et al., 2000).
Diversi studi hanno mostrato in soggetti affetti da DCA, in particolare da
anoressia nervosa, la presenza di difficoltà nella mentalizzazione, incapacità ad
empatizzare (Gillberg et al., 1996), bassa funzione riflessiva4 (Ward et al., 2001),
disfunzioni della Teoria della Mente (Tchanturia et al., 2004). Tali alterazioni
metacognitive risultavano, peraltro, indipendenti dalla durata della malattia
(Tchanturia et al., 2004), dal peso corporeo e permanevano a follow-up di 10
anni (Nilsson et al., 1999).
Secondo quanto suggerito da Tchanturia et al. (2004), la disfunzione della
Teoria della Mente sarebbe maggiormente evidenziabile ponendo i pazienti
dinanzi a compiti che richiedono un’elaborazione emotivamente più “calda”,
come per esempio l’interpretazione delle espressioni facciali delle emozioni.
Particolarmente esemplificativo di tale difficoltà di lettura della mente
altrui sembra lo studio di Frigerio et al. (2000) in cui venne valutata in questi
pazienti la capacità di interpretare le emozioni altrui. L’ipotesi dello studio era
che la difficoltà di lettura dei propri stati interni (Schmidt et al., 1993), fosse
associata anche ad un’incapacità di riconoscere e decodificare le emozioni ed i
segnali delle emozioni nelle altre persone. I risultati indicarono che tali soggetti
presentavano notevoli difficoltà nel decodificare le espressioni facciali delle
emozioni altrui. Gli autori, considerando le espressioni facciali delle emozioni
quali fonti importanti di informazioni nella gestione dei rapporti interpersonali,
ritennero che in queste pazienti tali difficoltà a livello emotivo influenzassero la
loro capacità di gestire in modo adeguato le relazioni interpersonali (Apple,
1999; Fairburn et al., 1995; Bell, 1999; Puliatti, 2007).
Da queste premesse prende avvio questo studio sulla relazione tra
funzionamento metacognitivo e psicopatologia dei disturbi alimentari, a partire
da una collaborazione di ricerca tra il Dipartimento di Psicologia dell’Università
di Palermo ed il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva di Roma. In questo
lavoro porremo la nostra attenzione sulle disfunzioni metacognitive associate ai
3
La Teoria della Mente (TdM) è stata definita come l’abilità di attribuire stati
mentali a sé stessi e agli altri in modo tale da poterne predire e comprendere il
comportamento (Premack e Woodruff, 1978).
4 La funzione riflessiva (FR) si riferisce alla capacità di riconoscere gli stati mentali
propri ed altrui (Fonagy, Target e Steele, 1998). I criteri che definiscono la funzione
riflessiva includono la consapevolezza della natura dei propri stati mentali e di quelli
altrui, lo sforzo di identificare gli stati mentali sottesi a un comportamento, la capacità
di riconoscere l’evoluzione di uno stato mentale nel tempo e l’abilità di tenere conto, nel
corso delle conversazioni, degli stati mentali altrui. Un basso livello di FR è indicativo
di un problema generale nella capacità di mentalizzare (Fonagy, Target e Steele, 1998).
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disturbi del comportamento alimentare (DCA), riportando i risultati preliminari
di uno studio sulle funzioni metacognitive in pazienti anoressiche e bulimiche
inserite in una terapia che utilizza un setting gruppale ad orientamento
psicodinamico; tale studio è, a nostra conoscenza, il primo in Italia che esamini
l’efficacia clinica della terapia gruppale in relazione alla dimensione
metacognitiva.
Questo lavoro si pone i seguenti obiettivi specifici:
• analizzare le caratteristiche metacognitive di un gruppo di pazienti con
disturbo alimentare durante un trattamento psicodinamico di gruppo a lungo
termine;
• valutare il cambiamento del funzionamento metacognitivo delle pazienti
con DCA durante il trattamento;
• verificare l’esistenza di differenze nell’utilizzo delle funzioni
metacognitive tra pazienti AN e BN.
2.
Terapia di gruppo psicodinamica e funzioni metacognitive: risultati
preliminari di uno studio clinico
2.1 Metodo
I risultati del presente lavoro si riferiscono allo studio (single-case) di un
trattamento psicodinamico di gruppo con pazienti con DCA svolto all’interno di
un servizio ambulatoriale dell’AUSL 3 di Catania. La terapia è stata condotta
da una terapeuta gruppoanalista esperta nel trattamento dei disturbi
alimentari. Il trattamento terapeutico, a cadenza settimanale, è stato studiato
per l’intera durata di 2 anni, adottando un disegno di tipo naturalistico. I
risultati in termini di effectiveness della terapia sono già esposti in un
precedente lavoro (Prestano et al., 2008). Ai fini degli obiettivi di questa ricerca,
tutte le sedute sono state audioregistrate ed integralmente trascritte. I pazienti
hanno fornito il loro consenso al trattamento dei dati e all’utilizzo per scopi di
ricerca prima dell’inizio della terapia.
2.2 Partecipanti
Lo studio ha coinvolto sei pazienti, di sesso femminile, con un’età media di
17 anni. Tutte le pazienti avevano al momento della presa in carico una diagnosi
di Disturbo del Comportamento Alimentare secondo i criteri del DSM-IV (APA,
1994), specificamente tre pazienti presentavano criteri sufficienti per una
diagnosi di anoressia nervosa (AN) e tre per una diagnosi di bulimia nervosa
(BN). Il BMI delle pazienti anoressiche era compreso tra 16.2 e 16.9, il tempo
trascorso dall’insorgenza del disturbo alimentare era mediamente di due anni.
2.3 Strumenti
La Scala di Valutazione della Metacognizione (SVaM; Carcione et al., 1997),
è uno strumento che valuta le capacità metacognitive attraverso diverse
sottofunzioni, rilevando quali di esse per uno stesso paziente risultano poco
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utilizzate o inutilizzate, e permettendo di monitorare il loro utilizzo nel corso
della psicoterapia.
La SVaM permette di valutare le funzioni metacognitive attraverso
l’analisi trascritti delle sedute effettuata da raters esperti nella siglatura della
scala. Essa è suddivisa in tre sezioni che valutano altrettante rispettive
componenti della funzione metacognitiva: Autoriflessività, Comprensione della
mente altrui/Decentramento e Mastery. Le prime due sezioni si riferiscono alle
abilità di riflettere sugli stati mentali propri ed altrui; la terza sezione
comprende l’insieme delle abilità di regolazione e controllo. Ciascuna sezione è
composta da un numero variabile di items che valutano aspetti
progressivamente più complessi della funzione metacognitiva. Per ciascun item
vengono siglati successi o fallimenti, che non indicano la presenza o meno di una
capacità, ma la presenza di un successo o di un fallimento nell’abilità di
utilizzare quella funzione.
I risultati relativi alle diverse sottofunzioni, dell’Autoriflessività e della
Comprensione Mente Altrui, sono stati aggregati intorno a tre aree: il
Monitoraggio che comprende la capacità di distinguere, riconoscere e definire i
propri stati interni, cognitivi ed emotivi; e la capacità di stabilire relazioni tra
componenti mentali separate e tra stati mentali e comportamenti. La
Differenziazione, cioè la capacità di cogliere le differenze tra rappresentazione
mentale e realtà esterna, e di riconoscere la natura rappresentazionale del
pensiero. L’Integrazione intesa come capacità di astrarre gli elementi che
caratterizzano o differenziano i propri stati mentali.
La Scala di Valutazione della Metacognizione sarà applicata ai trascritti
delle sedute dell’intero percorso terapeutico, tuttavia il presente lavoro si
riferisce ai dati preliminari rilevati nel primo anno di terapia (27 rilevazioni). Il
lavoro di siglatura è stato effettuato da tre giudici indipendenti e supervisionato
da uno degli autori dello strumento.
2.4 Analisi dei dati
I dati riportati nel presente studio rappresentano percentuali di fallimento
nelle diverse funzioni. Tali percentuali sono ottenute dal rapporto tra frequenze
assolute di fallimenti su frequenze totali (successi + fallimenti). Le percentuali
di successi, essendo complementari ai fallimenti, non vengono ovviamente
riportate.
Le differenze tra i due gruppi di pazienti sono state calcolate utilizzando il
test del Χ2 sulle frequenze di successi/fallimenti riportate in tutte le sedute. La
descrizione del trend delle funzioni è stata effettuata attraverso un’ispezione
visiva dei risultati.
Va sottolineato che i risultati presentati forniscono solo indicazioni
rispetto all’uso delle funzioni suddette poiché, a causa della scarsa produzione
verbale di alcune pazienti in gruppo, essi fanno riferimento a basse frequenze di
siglatura. Per gli stessi motivi non sono stati rilevati dati sufficienti nelle aree
Integrazione e Decentramento che pertanto non vengono riportati nello studio.
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3.
Risultati
Relativamente alle caratteristiche metacognitive delle pazienti con DCA,
rilevate complessivamente durante il primo anno di terapia, la Tabella 1 mostra
che alcune funzioni risultano più compromesse di altre. In particolare, rispetto
alla componente Autoriflessività il Monitoraggio dei propri stati emotivi e
cognitivi, e la possibilità di metterli in relazioni tra loro e con eventi esterni non
sembra particolarmente compromessa, e ciò vale tanto per le tre pazienti con
diagnosi di anoressia quanto per le tre pazienti bulimiche. Viceversa, una
percentuale più consistente di fallimenti si rileva nell’aria della Differeziazione,
cioè nella capacità di distinguere tra rappresentazioni interne e realtà esterna.
Qui, nonostante la percentuale di fallimenti raddoppi nelle anoressiche rispetto
all’area del monitoraggio, sono soprattutto le bulimiche a mostrare vistosi
deficit, con fallimenti nell’utilizzo di queste funzioni che si verificano quasi ogni
3 affermazioni su 4 (χ2 = 9.97, p < .01).
Nell’area della Comprensione della Mente Altrui i risultati mostrano un
tasso di fallimenti elevato (quasi 1 affermazione su 2), senza peraltro
significative differenze tra AN e BN. Infine, anche rispetto alle capacità di
Mastery, cioè di gestione e regolazione degli stati emotivi e cognitivi, le pazienti
mostrano spesso comportamenti disfunzionali, con una maggiore
compromissione presenti nelle pazienti bulimiche rispetto alle anoressiche (χ2 =
1.31, p = .n.s.).
Tab. 1 Percentuali fallimenti SVaM per AN e BN nel 1° anno di terapia.
Fallimenti
AN
BN
Autoriflessività – Monitoraggio
15%
21%
Autoriflessività – Differenziazione
38%
71%
Comprensione Mente Altrui
42%
44%
Mastery
49%
61%
Per nessuna delle pazienti, inoltre, sono rilevabili, nel periodo considerato,
dati relativi alle capacità di Differenziazione, Integrazione e Decentramento, della
sezione Comprensione della Mente Altrui e di Integrazione della sezione
Autoriflessività.
Relativamente al cambiamento delle funzioni metacognitive delle pazienti
durante il primo anno di terapia, i risultati si presentano piuttosto disomogenei.
Nella componente Autoriflessività, l’area del Monitoraggio evidenzia un
miglioramento, con un numero di fallimenti ridotti dopo il primo anno di
terapia, per entrambi i gruppi AN e BN (Figura 1).
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Figura 1. Tendenza fallimenti Autoriflessività – Monitoraggio per AN e BN nel 1° anno di
terapia
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Tale miglioramento è più marcato intorno ai sei mesi di terapia
(rilevazioni: 10-16) e si mantiene al termine del primo anno di trattamento,
anche se in maniera più ridotta. Nella Differenziazione, invece, solo le pazienti
anoressiche mostrano una netta riduzione di fallimenti dopo un anno, mentre le
pazienti bulimiche mantengono i valori iniziali, pur con oscillazioni durante
l’arco temporale esaminato (Figura 2).
Figura 2. Trend fallimenti Autoriflessività – Differenziazione per AN e BN nel 1° anno di
terapia
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Nella Comprensione Mente Altrui, relativamente all’area del Monitoraggio,
si assiste ad un tendenziale miglioramento dopo un anno di terapia sia per il
gruppo AN sia per quello BN, anche qui caratterizzato da forti oscillazioni tra la
prima e la seconda metà dell’anno considerato (Figura 3).
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Figura 3. Trend fallimenti Comprensione Mente Altrui – Monitoraggio per AN e BN nel 1°
anno di terapia
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Risultati più incerti si rilevano nelle capacità di Mastery dove entrambi i
gruppi, dopo un anno di trattamento, mantengono gli stessi valori iniziali dopo
una prima fase di decremento dei fallimenti (Figura 4).
Figura 4. Trend fallimenti Mastery per AN e BN nel 1° anno di terapia
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1
4.
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Discussione
La letteratura psicopatologica sui disturbi alimentari ha ampiamente
dimostrato come nell’anoressia nervosa e nella bulimia nervosa siano presenti
deficit relativi all’inconsapevolezza dei propri stati emotivi (e di quelli altrui) e
all’incapacità di regolazione di tali stati interni. Pochi lavori, soprattutto in
Italia, hanno studiato però come tali funzioni possano migliorare nel corso di un
trattamento psicoterapeutico, soprattutto nel caso di terapie ad orientamento
psicodinamico. Sulla base dei primi risultati emersi dal nostro studio è possibile
affermare che i maggiori deficit metacognitivi del nostro gruppo clinico sono:
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• la difficoltà a concepire le proprie convinzioni come ipotetiche e personali,
differenziando la realtà esterna dalla realtà interna, e nell’assumere,
conseguentemente, un distacco critico dalle proprie credenze disfunzionali (vedi
fallimenti area SVaM Differenziazione);
• la difficoltà a riconoscere la natura patogena e problematica del proprio
disturbo e a gestire i propri problemi; l’incapacità a regolare volontariamente il
proprio assetto mentale, dirigendo l’attenzione, in modo da evitare i pensieri
ossessivi che ostacolano le capacità dei soggetti di distrarsi nel tempo libero o di
concentrarsi adeguatamente nello svolgere le attività lavorative; la difficoltà a
regolare volontariamente il proprio comportamento, che fa supporre la natura
impulsiva di certi comportamenti patologici; la carente accettazione dei propri
limiti personali nel padroneggiare se stessi o nel determinare il corso degli eventi,
con la conseguente tendenza a porsi standard di prestazione eccessivamente
elevati e difficilmente conseguibili (vedi fallimenti area SVaM Mastery).
I dati preliminari hanno identificato alcune differenze tra le pazienti affette
da anoressia nervosa e le pazienti affette da bulimia nervosa, soprattutto nella
capacità di differenziare tra rappresentazioni interne e realtà esterna e nella
capacità di cogliere la natura problematica dei propri atteggiamenti e
comportamenti anomali. In entrambi i casi le pazienti bulimiche mostrano
maggiori difficoltà rispetto alle pazienti anoressiche.
I risultati di questa ricerca sono coerenti con i risultati di altri studi e con le
descrizioni cliniche di alcune difficoltà frequentemente riscontrate nell’anoressia
e nella bulimia.
Studi empirici hanno infatti evidenziato in soggetti affetti da questi disturbi
delle difficoltà nel riconoscere la natura soggettiva delle credenze disfunzionali
alla base del loro disturbo (Turner e Cooper, 2002) e nella capacità di regolare
l’attenzione filtrando gli stimoli irrilevanti al fine di risolvere determinati
compiti (Rieger et al., 1998; Dodin e Nandrino, 2003).
Molti autori hanno mostrato in questi pazienti una notevole difficoltà nel
gestire i propri stati intrapsichici problematici, in particolare relativi a stati
emotivi e ad autovalutazioni negative (Fabrizio, Pizzutelli e Ruggieri, 2001;
Kreitler et al., 2003), e la tendenza ad utilizzare comportamenti alimentari
anomali o altri comportamenti tipicamente associati al loro disturbo come
strategie per fronteggiare tali stati negativi (Dalle Grave, 2003; Bydlowski et
al., 2005; Meyer et al., 2005).
Dati clinici e sperimentali mostrano, inoltre, nei soggetti affetti da DCA una
notevole mancanza di autocontrollo sui propri comportamenti (Waller et al.,
2000) ed una intensa intolleranza verso i propri difetti, che condurrebbe al
caratteristico perfezionismo patologico che, sovente, caratterizza questi soggetti
(Fairburn et al., 1997; Sassaroli e Ruggiero, 2002; Halmi et al., 2000).
Relativamente al cambiamento evidenziatosi durante il primo anno di
trattamento possiamo osservare che sia il gruppo AN sia quello BN migliora
nell’area del Monitoraggio (Autoriflessività) cioè nella capacità di riconoscere e
connettere i propri stati emotivo-cognitivi. Va anche evidenziato che il gruppo
AN, a differenza del gruppo BN, riporta un trend positivo sia nella capacità di
distinguere stati interni da realtà esterna (Differenziazione – Autoriflessività) e
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nella capacità di riconoscere e distinguere stati mentali altrui (Monitoraggio –
Comprensione Mente Altrui).
Potremmo ipotizzare che il miglioramento di quest’ultima funzione possa
essere associato alla specificità del trattamento di gruppo psicodinamico,
focalizzato sull’espressione e sulla condivisione dei propri stati emotivi. Ulteriori
ricerche sono però necessarie per comprendere perché tale cambiamento si rileva
solo per le pazienti anoressiche e non per le bulimiche. Da questo punto di vista,
nonostante siano sempre più numerosi i dati che dimostrano l’efficacia della
psicoterapia di gruppo per pazienti con disturbi del comportamento alimentare
(Burlingame, MacKenzie e Strauss, 2004; Mitchell et al., 1990; Davis et al.,
1997; Burlingame et al., 2003), spesso le ricerche si riferiscono a gruppi
eterogenei per diagnosi in cui le differenze tra le diverse tipologie di DCA non
vengono adeguatamente attenzionate (Prestano e Lo Coco, 2008). Ad ogni
modo, il gruppo terapeutico ad orientamento analitico sembra costituire uno
strumento privilegiato nel trattamento di questi disturbi. Alcuni studi hanno
mostrato che queste pazienti ottengono dei cambiamenti significativi a livello di
adattamento interpersonale, stile dei meccanismi di difesa, funzionamento
relazionale, evidenziando come il lavoro analitico a lungo termine agisca su
dimensioni ben più ampie della sola remissione sintomatica (Prestano et al.,
2005a; Prestano et al., 2008; McKisac e Waller, 1997).
Lo spazio terapeutico può divenire, dunque, il luogo della costruzione di
un pensiero e della possibilità di sentire e vivere le emozioni (Ustica, 2002),
accostandosi a queste pazienti con la consapevolezza che i loro sintomi sono gli
unici canali possibili di comunicazione di un malessere profondo; solo così potrà
avviarsi la strada verso la “guarigione”.
A partire dai nostri risultati relativi alla mancanza di cambiamenti
rilevanti nelle capacità di Mastery e, viceversa, nel trend positivo delle funzioni
di autoriflessività e differenziazione, possiamo ipotizzare che nelle prime fasi di
una terapia ad orientamento psicodinamico sia importante lavorare
maggiormente sul riconoscimento dei propri stati interni, aprendo solo
successivamente una possibilità di cambiamento relativa alle capacità di
regolare e gestire tali stati. I dati definitivi di questo studio, sull’intera durata
del trattamento, dovranno confermare tale ipotesi e fornire ulteriori spunti di
riflessione sulle modalità di cambiamento delle funzioni metacognitive in una
terapia a lungo termine.
Un ulteriore spunto di riflessione dovrà provenire dal confronto tra deficit
del funzionamento metacognitivo e andamento sintomatico alimentare delle
pazienti nel corso della terapia. La letteratura sulle principali difficoltà di queste
pazienti evidenzia come, dinanzi ad una carente capacità di mentalizzazione
delle esperienze di vita, esse utilizzino i comportamenti alimentari anomali come
strategie di evitamento di ciò che sarebbe altrimenti non gestibile. Questi
comportamenti, seppur altamente distruttivi e dolorosi, si configurano, in
quest’ottica, come indispensabili strategie di fronteggiamento tese a ridurre la
consapevolezza di sé, in quanto connessa ad un pervasivo senso di
inadeguatezza e di inferiorità (Kreitler et al., 2003; Heatherton e Baumeister,
1991; Everill e Waller, 1995), e delle emozioni (Van der Kolk et al., 1991;
Petterson e Nameless, 2004; Corcos et al., 2001), che a fronte dell’alterazione
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della funzione di regolazione tenderebbero a manifestarsi con eccessività
intensità (Linehan, 1993). In quest’ottica, solo guardando in maniera integrata
ai disagi profondi che sostengono il sintomo può essere avviato un percorso di
cambiamento, che sia luogo di costruzione di un pensiero e della possibilità di
sentire e vivere le emozioni.
Il nostro studio, ancora a livello preliminare, presenta diverse limitazioni,
legate principalmente al numero ridotto di soggettie di terapie che sono state
incluse e che più che consentire una generalizzabilità dei risultati, permettono di
offrire spunti di lavoro per successive ricerche. Un altro limite è relativo
all’utilizzo di statistiche descrittive e non inferenziali nell’analisi dei dati,
dovuto alla numerosità e tipologia dei dati in nostro possesso.
Nonostante tali limiti, riteniamo che questo lavoro possa offrire delle utili
indicazioni cliniche e di ricerca relative al trattamento a lungo termine di
pazienti con DCA, analizzando particolarmente pattern di cambiamento a lungo
termine delle funzioni metacognitive in trattamenti ad orientamento
psicodinamico.
5.
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Minaccia dell’autostima e fantasie grandiose nel narcisismo non
patologico
Guido Veronese1, Giovanni M. Ruggiero2, Sandra Sassaroli2, Marco Castiglioni1,
Sommario: Lo studio esplora gli aspetti qualitativi di: a) memorie di minaccia
dell’autostima; b) fantasie grandiose e c) scenari rilassanti indotti
sperimentalmente in un campione non clinico. Un gruppo di 103 giovani
studenti universitari ha fornito e trascritto memorie personali di minaccia
all’autostima, fantasie grandiose e scene rilassanti. Una scala a 5 punti è stata
costruita ad hoc per consentire a 3 giudici indipendenti di valutare i contenuto
biologico, psicologico e relazionale di ciascun testo. L’accordo tra giudici era
soddisfacente. Le memorie di minaccia all’autostima e le fantasie grandiose
presentavano un contenuto soprattutto relazionale, mentre gli scenari rilassanti
erano caratterizzati da elementi relazionali e biologici. Per quanto riguarda la
dimensione biologica, è emersa una correlazione significativa tra memorie di
minaccia e fantasie grandiose.
Parole chiave: Fattori socio-relazionali, Minaccia all’autostima, Fantasie
grandiose, Narcisismo.
Abstract: The study explored the qualitative features of: a) memories of threat
to self-esteem, b) grandiose fantasies and c) relaxing scenarios, experimentally
induced in a non-clinical participant sample. A group of 103 young university
students produced and transcribed personal memories of threat to self-esteem,
grandiose fantasies and relaxing scenes. A five point scale was designed ad hoc to
enable three independent raters to assess the biological, psychological and
relational contents of each of the texts. Inter-rater agreement was satisfactory.
Memories of threat to self-esteem and grandiose fantasies were mainly sociorelational, while relaxing scenarios were characterised by both relational and
biological elements. With reference to the biological dimension, there was also
significant correlation between memories of threat to self-esteem and grandiose
fantasies.
____________________________________________________________
Facoltà Scienze della Formazione, Università Milano Bicocca; 2 “Studi
Cognitivi”, scuola di specializzazione post-laurea in psicoterapia cognitiva Milano,
Italia; 5“Psicoterapia Cognitiva e Ricerca”, scuola di specializzazione post-laurea
in psicoterapia cognitiva, Milano, Italia
1
Corrispondenza: Guido Veronese, Facoltà di Scienze della Formazione,
Università Milano Bicocca, Piazza dell’Ateneo 1, 20126, Milano, Italia. E-mail:
[email protected]
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1. Introduzione
Secondo il DSM IV-TR (APA, 2000), tra i caratteri distintivi dei pazienti
sofferenti di Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP) vi sono fantasie
grandiose di potere, successo e superiorità, il sentimento che tutto sia loro
dovuto e la mancanza di apprezzamento verso i successi e qualità altrui
(Dimaggio, Fiore, Salvatore e Carcione, 2007). Horowitz (1989) ha rilevato come
lo stato di grandiosità sembri essere una manovra difensiva contro vissuti di
bassa autostima e come tale stato maschererebbe un profondo senso di
inferiorità e vergogna. Attraverso fantasie grandiose il narcisista tenterebbe
disperatamente di evitare vissuti di critica e umiliazione per lui insopportabili
(Bateman 1998; Bursten, 1989; Dimaggio et al., 2006; Kernberg, 1975; Kohut,
1971, 1977; Modell, 1984; Ryle e Kerr, 2002; Twenge e Campbell, 2003; Westen,
1990). I soggetti narcisisti si sentono profondamente esclusi, disprezzati e
ostracizzati (Dimaggio et al., 2007; Dimaggio e Semerari, 2003; Dimaggio et al,.
2002).
Ruggiero, Tudisco e Sassaroli (2007) hanno fornito evidenze sperimentali
circa la interconnessione di fantasie grandiose e fantasie di minaccia
dell’autostima in un campione non clinico. L’esperimento consisteva nella
richiesta di segnalare, alzando una mano, le intrusioni ideative di bassa
autostima durante stati mentali autoindotti di grandiosità e neutralità rilassata.
Gli stati grandiosi mostravano un numero di intrusioni significativamente più
elevato dell’evocazione di scenari rilassanti. Questo dato appoggia l’ipotesi della
connessione tra grandiosità narcisistica e dubbi di autostima.
In una recente rassegna della letteratura teorica e empirica viene discussa
l’ipotesi di una autostima fragile nelle personalità narcisistiche (Bosson, Lakey,
Campbell, Zeiger-Hill, Jordan e Kernis, 2008). Gli autori notano come,
nonostante molti studi confermino come un’alta autostima manifesta mascheri
un’autostima implicita bassa, altri studi non siano riusciti a replicare questo
modello. Alcuni studi hanno rilevato una relazione inversa tra narcisismo e
autostima (Rose, 2002; Soyer et al., 2002), mentre altri studi hanno riportato
un’associazione positiva (Raskin, Terry, 1998; Raskin, Novacek e Hogan, 1991).
Bosson e collaboratori propongono alcune ipotesi alternative per spiegare
risultati altrimenti inconsistenti: a) un’ipotesi alternativa è quella che esistano
due sottotipi di narcisismo, grandioso e vulnerabile; b) una seconda ipotesi è che
il narcisista mostri una forte e solida autostima in compiti di performance (es.
nello studio e al lavoro) e una fragile autostima nel dominio affettivo e
relazionale (Crocker, Luhtanen e Cooper, 2003). Un’ulteriore spiegazione è che il
narcisista possa mostrare autostima sia bassa che alta, lasciando immaginare
che la sua autostima possa essere buona anche se facilmente minacciabile e
fluttuante, in costante ricerca di validazione e fluttuante e mantenute
attraverso strategie di auto-illusione (Kernis, 2003). Perciò è possibile che il
narcisismo correli con un’autostima molto alta ma instabile (Kernis et al.,
1993). Inoltre questa instabilità è associata a una reattività emozionale molto
alta nell’affrontare eventi con implicazioni negative per il sé (Rhodewalt,
Madrian e Cheney, 1998; Westen, 1990).
Riassumendo, le ricerche empiriche non danno una definitiva conferma
dell’ipotesi di una bassa autostima mascherata nel narcisista, impedendo di
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tracciare una definitiva generalizzazione di questo modello. Tuttavia alcuni dati
confermano come individui con alti livelli di narcisismo mostrino componenti di
fragilità nella loro autostima, suggerendo la possibilità di estendere a un
determinato sottogruppo di narcisisti l’ipotesi. Riteniamo possibile che a questo
sottogruppo appartengano quegli individui che accedono alla psicoterapia.
A prescindere dalle differenti interpretazioni qui esposte, sembra esserci un
ampio consenso rispetto al ruolo cruciale giocato dai domini interpersonale e
sociale nel determinare le dinamiche di autostima del narcisista. Non si conosce
molto rispetto alla qualità delle fantasie grandiose e delle cadute di autostima in
individui con DPN. Seguendo quelle teorie che enfatizzano l’importanza delle
relazioni sociali nel determinare l’origine, sviluppo e mantenimento del Sé e
dell’identità personale, sia essa tipica o atipica (Bateson, 1972; FivazDepeursinge e Corboz-Warnery, 2000; Haley, 1971 ; Schaffer, 1989; Ugazio,
1998; Ugazio et al., 2008; Ugazio e Castiglioni, 1998), obiettivo di questo lavoro
è investigare se la dimensione interpersonale giochi un ruolo preminente di altre
dimensioni, e nello specifico della dimensione biologico-corporea e psicologicointrapsichica, nella costruzione di memorie di minaccia dell’auto-stima, di
fantasie grandiose e di scenari rilassanti.
Le tre dimensioni considerate sono estratte a partire dal modello biopsico-sociale di Engel (1977, 1980), una teoria generale del funzionamento
umano utile nel descrivere e comprendere l’esperienza soggettiva della malattia
(Epstein e Borrell-Carrio, 2005). Il modello identifica dimensioni biologiche,
psicologiche e sociali come categorie per classificare e esplorare la realtà esterna
come gli stati interni (Gabbard, 2000, 2005; Engel, 1977; Epstein e BorrellCarrio, 2005).
La nostra idea di fondo è che l’individuo non sia un passivo spettatore di
ciò che gli accade – internamente e esternamente - (realtà oggettiva), ma che esso
conosca e esperisca attraverso processi mentali attivi e costruttivi (Toomey e
Eker, 2009, 2007; Eker e Toomey, 2008). Percezioni del sé biologico, psicologico
e relazionale sono la risultante di una personale attività interpretativa cerebrale,
che consente all’individuo di anticipare eventi interni ed esterni grazie a attività
di specifici campi recettivi neurali (Toomey e Eker, 2007). Il sistema cervellomente-corpo è ingaggiato in una continua attività costruttiva e ri-costruttiva
informata dall’ esperienza, per controllare, tollerandole, contraddizioni senza che
esse disconfermino la struttura portante del sistema costruttivo personale (Eker
e Toomey, 2008). Un approccio costruttivita ci consente di considerare la
complessità del sé evitando dicotomie riduzioniste implicite nella polarizzazione
del dibattito scientifico quali mente versus cervello, processi top-down versus
processi bottom-up (Toomey e Eker, 2009).
Abbiamo utilizzato un modello tridimensionale bio-psico-sociale per
effettuare una analisi qualitativa delle esperienze soggettive di: a) fantasie
grandiose, b) memorie di minaccia dell’autostima, c) scenari rilassanti. Tutte e
tre le scene erano indotte in un campione subclinico durante un esperimento
descritto nella sezione Metodo.
Nell’ambito di tale cornice teorica, le nostre ipotesi erano:
1. La dimensione relazionale dovrebbe essere prominente in tutte e tre i
tipi di scena (minaccia, grandiosa, rilassante).
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2. Le fantasie grandiose e le scene di minaccia dell’autostima dovrebbero
avere un’analogia di struttura e risultare differenti dallo scenario rilassante.
Nello specifico riteniamo che tale analogia si evidenzi attraverso una
distribuzione quantitativa delle dimensioni biologica, psicologica e relazionale
simile nella scena di minaccia e grandiosa, una distribuzione completamente
diversa delle dimensioni biologica, psicologica e relazionale nella scena
rilassante.
3. Infine si ipotizza che i soggetti tendano più frequentemente a
connettere scene di minaccia e fantasie grandiose, mantenendo lo stesso
contenuto narrativo nelle scene grandiose e di minaccia ( per es.: alla descrizione
di un fallimento scolastico, segue la fantasia grandiosa di ricevere un premio
scientifico internazionale che riscatti l’individuo dalla cocente delusione). Di
contro ci aspettiamo che il contenuto narrativo delle scene rilassanti sia del
tutto differente rispetto alle scene di minaccia e rilassanti.
2. Metodo
2.1 Soggetti, Strumenti e procedura
A 130 studenti universitari milanesi sono stati preliminarmente valutati
con il colloquio clinico basato sui criteri del DSM-IV al fine di eliminare i
soggetti con livelli patologici di disturbo psichico. Sono stati esclusi 27 soggetti
con disturbo d’ansia e/o dell’umore. In un caso era presente un disturbo di
adattamento. I 103 soggetti selezionati (età media 22 anni, range 21-27 anni; 94
femmine e 9 maschi) dovevano quindi, su indicazione di uno sperimentatore,
rievocare mentalmente l’episodio della loro vita in cui avevano sentito
maggiormente minacciata la loro autostima; dopo un minuto veniva loro chiesto
di produrre una fantasia grandiosa e di concentrarsi intensamente su di essa per
altrettanto tempo. Infine, trascorsi i successivi sessanta secondi, lo
sperimentatore richiedeva di concentrarsi su una scena altamente rilassante. Si
chiedeva a ogni soggetto di segnare su una griglia costruita ad hoc il numero di
intrusioni della scena di minaccia dell’autostima percepite durante
l’immaginazione della fantasia grandiosa e della scena rilassante. I soggetti
infine dovevano descrivere dettagliatamente per iscritto su un apposito foglio il
contenuto delle scene da essi immaginate.
Le descrizioni così ottenute sono state codificate, in accordo con il modello
bio-psico-sociale (Engel, 1977, 1980; Epstein e Borrell-Carrio, 2005; Gabbard,
2000, 2005), da 3 giudici indipendenti (due psicologi sistemico-costruzionisti e
uno psicologo cognitivista) in relazione a 3 macrodimensioni: 1) biologicocorporea; 2) psicologico-intrapsichica; 3) relazionale-sociale. Il grado di accordo
intergiudici è risultato pari a 0.80. Tale accordo è il risultato dell’accordo medio
tra dimensioni macro e accordo medio delle sottodimensioni (vedi tabella 1)
nelle scene di minaccia, grandiosa e di rilassamento. Per quanto riguarda le
dimensioni biologico, psicologico e relazionale nelle tre scene l’accordo medio tra
giudici era rispettivamente di 0,81, 0,80 e 0,78.
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Tabella 1: Accordo intergiudici di tutte le sottodimensioni nelle scene grandiosa, di minaccia e
rilassante
Scena
grandiosa
Scena di
minaccia
Scena
rilassante
Descrizione corporea
0,90
0,65
0,88
Sensazione corporea
0,80
0,78
0,77
Arousal fisiologico/attivazione
0,78
0,82
0,76
Auto-efficacia percepita
0,72
0,90
0,80
Stabilità emotiva
0,71
0,73
0,78
Sviluppo intellettualee cultura
0, 81
0,88
0,84
Internalizzazione
0, 70
0,65
0,81
Esternalizzazione
0,86
0,60
0,80
Relazioni professionali e del tempo
libero
0,85
0,88
0,78
Relazioni sentimentali
0,80
0,82
0,80
Relazioni Familiari
0,80
0,85
0,77
Relazioni con altri significativi
0,83
0,89
0,81
Riconoscimento professionale e
successo
0,82
0,78
0,81
Altre relazioni
0,83
0,76
0,73
Ciascuna macrodimensione constava di alcuni sottolivelli che ne
specificano i differenti aspetti. La macrodimensione biologico-corporea si
articolava in 3 sottolivelli: a) descrizioni del corpo; b) sensazioni corporee; c)
attivazione fisiologica (es: “vedo il mio corpo grasso”; “sento il sole scaldarmi la
pelle”; “il cuore mi batte all’impazzata”).
All’interno della dimensione psicologica intrapsichica cadevano le scene in
cui si rilevavano elementi descrittivi significativamente connessi a fattori
interni all’individuo, quali aspetti cognitivi, emotivi, caratteristiche di
personalità e di temperamento (es. “sono timido”, “mi sento stupida”, ecc.).
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Questa macrodimensione si articolava in 5 livelli, ispirandosi alla letteratura sui
“Big Five” (Eysenck e Eysenck, 1985; Eysenck, 1991): a) autoefficacia
percepita; b) emotività; c) intelligenza/cultura; d) internalizzazione; e)
esternalizzazione.
All’interno della dimensione relazionale-sociale rientravano infine le scene
in cui erano presenti persone in interazione significativa con il soggetto, ovvero
tutte le situazioni sociali che contestualizzassero o determinassero l’immagine di
sé del protagonista nella scena descritta (es. “le critiche di mia madre mi fanno
sentire uno schifo”; “sono attorniato da persone che mi esaltano per la mia
bellezza” ecc.). Erano 6 i sottolivelli in cui si articolava questa dimensione: a)
relazioni professionali/ludiche/sportive; b) relazioni sentimentali; c) relazioni
familiari; d) relazione con altri significativi (amici); e) Successo e
autoaffermazione; f) altre relazioni. Veniva inoltre introdotta in questa
macrodimensione un’ulteriore distinzione tra interazioni diadiche vs. interazioni
triadiche/poliadiche. Si tratta di una variabile dicotomica per indicare se la scena
descrivesse un’interazione a due (es. “la maestra mi umilia dicendomi che sono
un asino”; “Il mio ragazzo non mi saluta perché ce l’ha con me”) o più
partecipanti (“la maestra mi umilia di fronte a tutta la classe”; “Il mio ragazzo
non mi saluta perché è con un’altra”). Una quarta categoria, “altro”, che si è
rivelata statisticamente non rilevante, raccoglieva le descrizioni non ascrivibili
alle tre precedentemente elencate. Le tre dimensioni di categorizzazione delle
scene non erano mutualmente escludentesi. Esse potevano coesistere con un
grado minore o maggiore di prevalenza, valutato su una scala Likert a 5 punti.
Il punteggio zero indicava l’assenza della dimensione o sottodimensione
biologica, psicologica e relazionale, il punteggio 5 (molto) indicava un netto
emergere della dimensione biologica, psicologica e relazionale. Dalla descrizione
delle scene potevano emergere più dimensioni e più sottodimensioni
contemporaneamente.
3. Risultati
I dati ottenuti sono stati sottoposti ad ANOVA con analisi post hoc di
Tukey
(variabile indipendente: “tipo di scena”; variabile dipendente:
“dimensioni” rilevate nelle descrizioni delle diverse scene), con i risultati qui
sintetizzati.
La dimensione relazionale-sociale risulta statisticamente preminente
rispetto alle altre due sia nella scena di minaccia sia nella scena grandiosa (vedi
tab. 1 e figura 1); nella scena rilassante non si rilevano invece differenze
statisticamente significative tra la dimensione relazionale-sociale e quella
biologico-corporea.
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In figura 1 vengono rappresentati gli andamenti delle tre macrodimensioni
nella scena di minaccia e nelle fantasie grandiose e rilassante.
Figura 1: Medie delle tre dimensioni, biologica, psicologica e relazionale, nelle diverse
scene.
La tabella 2 illustra i livelli di significatività delle differenze tra le tre
dimensioni (Biologico/Psicologico/Relazionale) nelle scena di minaccia e nelle
fantasie grandiose e rilassante.
Tabella 2: ANOVA delle macrodimensioni nella scena di minaccia.
N
Insiemi di punteggi *
Psicologica
Biologica
Sociale
Minaccia
103 0,21a
1,38b
3,57c
a
b
Grandiosa
103 0,19
0,87
2,99c
Rilassante
103 0,08a
0,92b
1,03b
Punteggi significativamente differenti hanno p < 0,05
La descrizione di interazioni “triadiche/poliadiche” risulta minoritaria
rispetto alla descrizione di interazioni diadiche. Si evidenzia però una differenza
tra scene di minaccia (dove le interazioni tradico-poliadiche rasentano il 25%),
scene grandiose (scene triadico–poliadiche pari all’8%) e scene rilassanti (scene
tradico–poliadiche assenti).
Per studiare le eventuali analogie strutturali tra i diversi tipi di scene, è
stata inoltre effettuata, attraverso l’indice r di Pearson un’analisi delle
correlazioni tra le dimensioni e le scene confrontate a due a due, che consentiva
di rilevare l’andamento delle tre macrodimensioni rispetto ai tre tipi di scena
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L’andamento delle singole macrodimensioni nelle scene di minaccia e nelle
fantasie di grandiosità risulta analogo, mentre differisce dall’andamento nella
scena rilassante. In altre parole, esiste una sistematica correlazione tra le
variazioni riscontrate nella scena di minaccia e nella fantasia grandiosa, mentre
la scena rilassante risulta a se stante. La figura 1 mostra l’evidente analogia
strutturale della scena di minaccia e della fantasia grandiosa.
Le seguenti tabelle (Tabelle 3-5) mostrano correlazioni delle scene rispetto
alle tre dimensioni (corporea, psicologica e relazionale). La significatività delle
covariazioni tra fantasie grandiose e scene di minaccia, fa pensare ad
un’analogia di struttura tra le due scene. Tale significatività non è presente nelle
correlazioni delle prime due con la scena rilassante che perciò appare
“distaccata” dalle altre.
Tabella 3: Correlazione tra le dimensioni biologica, psicologica e relazionale nelle scene di
minaccia e fantasie grandiose
Minaccia
Minaccia
Biologic
Psicologi
Minaccia
a
ca
Sociale
0,733**
-0,114
-0,209 *
Grandiosa Biologica
0,006
0,073
-0,088
Grandiosa Psicologica
0,045
0,015
0,237 *
Grandiosa Sociale
** p< 0,01; * p < 0.05
Tabella 4: Correlazione tra le dimensioni biologica, psicologica e relazionale nelle scene di
minaccia e scena rilassante
Minaccia
Minaccia
Biologic
Psicologi
Minaccia
a
ca
Sociale
0,092
0,004**
Rilassante Biologica
-0,155
0,088
0,064
Rilassante Psicologica
-0,046
-0,014
-0,71
Rilassante Sociale
0,025
** p< 0,01; * p < 0.05
Un terzo dei soggetti ha stabilito, a livello di contenuti descritti,
connessioni tra scena di minaccia e scena grandiosa (34%), mentre la scena
rilassante risulta pressoché “isolata” (un solo soggetto stabiliva la connessione).
Anche questo dato rivela una maggiore facilità nei soggetti a interrelare le
fantasie grandiose e le scene di minaccia e la tendenza ad interrompere la
continuità narrativa del processo di immaginazione durante il rilassamento.
Le stesse analisi di correlazione sono state effettuate sul solo
sottocampione di soggetti che connettevano spontaneamente le scene. Sono stati
rilevati risultati sovrapponibili a quelli forniti dall’intero gruppo di soggetti,
seppure con un grado maggiore di significatività .
Tabella 5: Correlazione tra le dimensioni biologica, psicologica
e relazionale nelle fantasie grandiose e scena rilassante
Minaccia
Minaccia
Minaccia
Biologica
Psicologica
Sociale
0,028
-0,054
Rilassante Biologica
- 0,164
0,186
-0,049
Rilassante Psicologica
-0,042
0,021
0,087
Rilassante Sociale
0,055
** p< 0,01; * p < 0.05
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Infine, come ultima verifica dell’analogia strutturale tra scene di minaccia
e fantasie grandiose e distanziamento delle scene rilassanti dalle prime due, sono
state estratte e messe a confronto le sottodimensioni più pregnanti dei livelli
corporeo, psicologico e relazionale per ciascuna scena. Le prime due descrizioni,
di minaccia e grandiosa, mostrano perfetta sovrapponibilità anche per quanto
riguarda le sottodimensioni salienti. La scena rilassante mostra, invece, una
salienza dei sottolivelli del tutto autonoma. Se infatti per quanto riguarda il
livello biologico la sottodimensione “Descrizione corporea” prevale nel ricordo
minacciante l’autostima (M = 0,28; ds = 0,98) e nella scena grandiosa (M = 0,17;
ds = 0,8), nella scena rilassante prevale la “Sensazione corporea” (M = 0,96; ds
= 1,61). La sottodimensione prevalente del livello psicologico è l’ “autoefficacia
percepita” sia nella memoria di minaccia (M = 1,24; ds = 1,74) sia nella scena di
grandiosità (M = 0,56; ds = 1,33), sia nella scena rilassante (M = 0,11; ds =
0,62). Infine, la sottodimensione socio-relazionale prevalente nelle memorie
minaccianti l’autostima (M = 1,44; ds = 1,93) e nelle fantasie grandiose (M =
1,55; ds = 1,96) è “Relazioni professionali, ludiche e sportive”, mentre nella
scena rilassante (M=0,18; ds = 0,82) è la relazione con “Altri significativi”.
4. Conclusioni
I risultati sembrano confermare l’ipotesi circa la pregnanza della
dimensione relazionale-sociale, in particolare per quanto concerne
l’immaginazione di scene di minaccia e le fantasie di grandiosità. Tale pregnanza
viene conservata anche nella fantasia rilassante, ma viene in questo caso
affiancata e pareggiata da contenuti di tipo biologico e corporeo che appaiono
altrettanto salienti.
A livello clinico-interpretativo sembrerebbe possibile inferire come il
“pubblico” (sia esso costituito da una o più persone) rivesta un ruolo
fondamentale, tanto nelle situazioni di minaccia dell’autostima quanto in quelle
di grandiosità (Cancrini, 2006; Dimaggio e Semerari, 2003; Dimaggio et al. 2002
). I soggetti per rilassarsi si concentrano invece su fantasie che coinvolgono,
oltre a quella relazionale, la dimensione fisica e corporea.
Per quanto concerne i dati riguardanti le interazioni triadiche/poliadiche, i
risultati confermano come i contesti triadici siano sostanzialmente estranei al
“senso comune” (Ugazio, 1998; Ugazio et al., 2008): le persone pensano alle
interazioni prevalentemente in termini diadici. Interessante però notare che la
frequenza più alta di interazioni tradiche/poliadiche si registra sulla scena di
minaccia dell’autostima.
Le analogie strutturali tra fantasie grandiose e scene di minaccia
dell’autostima sono confermate (Horowitz, 1989). Le scene rilassanti rivelano,
invece, una distribuzione delle dimensioni diversa. Ciò potrebbe fare
presupporre che il tentativo del narcisista di proteggersi dalle conseguenze della
minaccia alla propria autostima con manovre di tipo grandioso, non farebbe che
rafforzare il senso di minaccia e il sentimento di inadeguatezza da cui cerca di
proteggersi a ogni costo. Una strategia di distanziamento potrebbe essere invece
individuata nel progressivo addestramento all’ utilizzo di scenari di
rilassamento. Molto probabilmente il narcisista si “rifugia” nella fantasia di
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grandiosità proprio perché fatica a proteggersi dall’incombente minaccia alla
propria autostima attraverso strategie immaginative che lo aiutino a rilassarsi
L’intento della nostra ricerca esplorativa non era quello di individuare
qualità e analogie strutturali di fantasie narcisistiche patologiche, ma di
considerare le qualità di fantasie narcisistiche non patologiche e di rilassamento
indotte in un campione di individui con personalità tipica. Qualità analoghe e
funzionamenti diversi dovrebbero essere verificati in soggetti con DPN.
Dunque, i risultati emersi, sebbene possano risultare utili per formulare ipotesi
applicabili anche ad una popolazione di pazienti, non vanno generalizzati in
quanto provenienti da un campione non clinico e nemmeno possono essere
considerati definitivi sia per la distribuzione di genere del campione sia per la
giovane età del gruppo di soggetti presi in esame.
5. Bibliografia
American Psychiatric Association. (2000). Diagnostic and statistical
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Bateman, A. W. (1998). Thick- and thin-skinned organisations and
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Bateson, G. (1972). Steps to an Ecology of Mind, London: Chandler
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Bursten, B. (1989). The relationship between narcissistic and antisocial
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Cancrini, L. (2006). L’Oceano Borderline, Racconti di Viaggio, Milano:
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settembre 2009.
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Aspetti relazionali ed organizzativi delle comunità terapeutiche per
adolescenti quali fattori di trattamento: validazione di uno strumento
Stefania Cristofanelli1, Omar Fassio2, Laura Ferro1, Alessandro Zennaro1
Sommario: Questo contributo intende porre il costrutto d clima organizzativo
quale fattore terapeutico specifico di trattamento nei contesti residenziali di
cura, contesto in cui la qualità dell’ambiente, le atmosfere emotive e l’abitare
stesso diventano la materia del lavoro comunitario. In tal senso, l’équipe
terapeutica-educativa diventa Lo Strumento principale di cura. L’obiettivo è
dunque quello di costruire un questionario in grado di funzionare come una
sorta di “termometro” per misurare lo stato di salute/malessere dell’équipe di
lavoro, ponendo le basi per un successivo percorso di riflessioni e possibilità di
intervento sulle criticità emerse (supervisione/formazione). Tale strumento è
stato somministrato a 173 soggetti, operatori di CT per adolescenti, distribuite
su tutto il territorio nazionale. Sulla base delle procedure statistiche di
validazione, la versione finale risulta composta da 119 item.
Parole chiave: ambiente emotivo, ambiente organizzativo, comunità
terapeutica, relazione terapeutica.
Abstract: The aim of this work is to propose a new instrument to investigate
organizational characteristics in Therapeutic Communities for adolescents.
“Organizational Climate” is considered as a specific therapeutic factor in a
residential care treatment where the quality of the environment and the
emotional atmosphere become essential aspects of communitarian work. In such
a context, the working team is the main instrument of the treatment
(educational and therapeutic). The questionnaire has been administered to 173
subjects, working in therapeutic communities for adolescents, searched in the
whole of the Italian territory. The last version of the statistic, that has been
carried out, enhanced 119 items.
Key words: emotional environment, organizational environment, therapeutic
community, therapeutic relationship.
____________________________________________________________
1Università
della Valle d’Aosta; Tiarè Onlus, Torino; 2 Università di Torino
Corrispondenza: Dr.ssa Cristofanelli Stefania, Facoltà di Psicologia,
Università della Valle d’Aosta, Strda dei Cappuccini, 2/a, 11100, Aosta,
[email protected]
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1.1 Introduzione
La riflessione sui fattori terapeutici all’interno dei contesti residenziali di
cura non può non essere ricondotta nell’alveo di ricerca più ampia che fa
riferimento al confronto tra l’efficacia clinica dei fattori specifici e aspecifici della
relazione di cura attraverso la revisione di studi di meta-analisi su tali
componenti, condotti tra il 1970 e il 1998 (Ahn e Wampold, 2001). Per fattori
specifici di cura si intendono quelle componenti riconducibili ad un
orientamento e ad un modello specifico di intervento rispetto ad un altro. Per
quanto concerne i fattori aspecifici e trasversali di cura, sebbene siano stati
descritti in letteratura in maniera differente (Karasu, 1986; Greencavage e
Norcross, 1990; Weinberger, 1995), se si prende in considerazione la
classificazione di Lambert (2004), possono essere ordinati in: fattori di
apprendimento, fattori supportivi, fattori di azione. Gli studi di meta-analisi, in
tali contesti, hanno rilevato una sorta di equivalenza rispetto all’efficacia dei
differenti fattori specifici di cura, ovvero hanno dimostrato come questi ultimi
non siano direttamente responsabili dell’outcome, indicando, al contrario, come
i fattori aspecifici contribuiscano con effetti più significativi all’esito del
trattamento. Tale contraddizione è alimentata dal fatto che diversi studi
(Martin, Garske e Davis, 2000; Horvath e Bedi, 2002; Lambert e Barley, 2002)
hanno indicato, inoltre, come né i fattori specifici né quelli aspecifici siano in
grado di influire in modo significativo sugli esiti del trattamento. I fattori
aspecifici, dunque, sembrano essere condizioni necessarie ma non sufficienti per
consentire il cambiamento. Nel complesso, l’unica componente che pare, in tali
studi, venire trascurata è l’interazione tra le due tipologie di fattori, la loro
influenza e potenziamento reciproci (Dazzi, Lingiardi e Colli, 2006). Si ritiene,
dunque, che questo lavoro possa essere letto in tale prospettiva di analisi.
La valutazione del processo terapeutico e dei suoi risultati presenta ad
oggi problemi di notevole complessità e difficoltà. È, infatti, possibile rilevare
tale componente critica dalla natura prevalentemente descrittiva piuttosto che
teorico-esplicativa di molte analisi relative alle dinamiche interne alla comunità
terapeutica e, nello specifico, relativamente ai fattori terapeutici coinvolti. In
tale analisi emerge come particolarmente rilevante la funzione della qualità del
clima e dell’abitare come possibili fattori di cura, parallelamente alle criticità che
di volta in volta caratterizzano tali dimensioni all’interno del lavoro gruppale.
Nonostante i progressi ed i risultati raggiunti dal filone di studi relativo alla
valutazione dell’intervento terapeutico durante gli ultimi cinquanta anni, il
focus d’interesse, che ha connotato tali lavori è stato, per lo più volto ad
approfondire quasi esclusivamente la componente, per così dire “nobile”,
dell’intervento, ovvero la componente “psi”, tralasciando spesso di considerare
le dimensioni per così dire più quotidiane dell’intervento ovvero l’abitare dei
pazienti ospiti di strutture residenziali, le ventiquattro ore che questi ultimi
trascorrono in struttura con gli operatori e la ricchezza delle relazioni che
quotidianamente consente loro di sperimentare nuovi modelli di relazione.
Questo lavoro di ricerca intende prendere in considerazione, riconoscere e
valorizzare la componente educativa-psicologica nei diversi aspetti che
caratterizzano il suo funzionamento, sia in termini di ruolo che di quotidianità
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che, ancora, rispetto alla relazione con le altre professionalità che operano
all’interno delle comunità stessa.
Costituisce, pertanto, oggetto peculiare di indagine l’analisi del clima
organizzativo quale potenziale fattore terapeutico specifico all’interno dei
contesti residenziali di cura. Tale costrutto teorico, prevalentemente studiato
nell’ambito dei contesti organizzativi aziendali riguardo alla soddisfazione e
all’efficienza dei processi organizzativi, assume una connotazione psicologica e
clinica nuova in un contesto in cui la qualità dell’ambiente, delle atmosfere
emotive e dell’abitare costituiscono la materia prima del lavoro comunitario. In
tale contesto, l’équipe di lavoro diventa “Lo Strumento” principale di cura,
responsabile della costruzione di un clima più o meno di qualità entro cui
possono prendere forma e svilupparsi le quotidiane esperienze relazionali dei
pazienti come in un laboratorio di sperimentazione di nuovi modelli relazionali
di cui gli operatori si fanno attori partecipi. In tale ambiente sono
prevalentemente gli atti a dare forma al cambiamento, secondo la felice
espressione di Racamier (1997) di atti parlanti, rispetto a cui è la qualità
dell’abitare che funge da catalizzatore. Tale qualità emotiva e climatica, è
determinata, nello specifico, prevalentemente dalla possibilità di contenere e
sciogliere il malessere, i conflitti, le dinamiche collusive e regressive che sfociano
spesso in forme di burnout, in cui il “contagio” della patologia prende forma in
pericolose spirali distruttive tipiche di un funzionamento antiterapeutico che si
esprime attraverso la specularità delle complesse dinamiche tra gruppo-équipe e
gruppo-pazienti. Preservare l’équipe, in quanto strumento principe di cura, da
tali tipologie di funzionamento costituisce, pertanto, oltre che un fondamentale
obiettivo di lavoro, una questione etica.
Date tali premesse, occorre considerare, infine, la complessa e inafferrabile
natura dei “fenomeni climatici” analizzati dalla letteratura di settore nazionale
ed internazionale. Tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90 si
assiste ad una sorta di accettazione del fatto che non possa esistere un’unica
definizione ed un unico modello di clima, valorizzando cioè la differenziazione
delle proposte, e abbandonando l’idea di poter trovare un clima omogeneo
all’interno della stessa realtà organizzativa, rafforzando sempre più l’idea di
un’articolazione del concetto stesso (Quaglino, 2001). Si può dunque
individuare, in modo trasversale, un chiaro percorso dalle atmosfere di gruppo
lewiniane al clima organizzativo stesso in cui la “resistenza al cambiamento”
costituisce una riproposizione della tematica originaria, percorso che può essere
sovrapposto ed arricchito da tutti i contributi teorici che si sono focalizzati
sull’analisi delle qualità dell’atmosfera e dell’ambiente anche nei contesti
residenziali di cura. L’ambizione rimane, comunque, quella di trovare
un’integrazione tra le componenti del clima più superficiali e quelle più profonde
legate alla cultura e al “non detto” che in modo così sistematico e pervasivo
sembrano influire sulle dinamiche operative quotidiane (Schneider, 1973).
Sul piano metodologico il focus di interesse diventa il fatto che non
esistono indicatori di clima in grado di essere generalizzabili a tutte le realtà
organizzative, ma che occorra considerare i fattori ritenuti più coerenti rispetto
alla realtà oggetto di studio.
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Considerata, pertanto, l’estrema carenza, in particolare nell’ambito dei
contesti di cura, di strumenti appositamente ideati per rilevare le caratteristiche
del clima organizzativo, costituisce obiettivo principale del presente lavoro la
costruzione di uno strumento specifico in grado di rilevare le criticità peculiari
che connotano tali dinamiche, ovvero un questionario in grado di funzionare
come una sorta di “termometro”, al fine, cioè, di misurare le polarità dello stato
di salute/malessere dell’équipe di lavoro attraverso cui, escludendo qualsiasi
intento valutativo, poter porre le basi per un successivo percorso di riflessioni e
possibilità di intervento per mezzo di un eventuale lavoro di
supervisione/formazione all’interno delle differenti strutture comunitarie.
1.2 Costruzione del questionario
Il disegno di ricerca relativo al processo di formulazione e costruzione di
tale strumento si è articolato in più fasi. In primo luogo si è ritenuto necessario
procedere con un inquadramento storico e teorico delle dinamiche indagate,
ripercorrendo il background culturale, sociale, ed ideologico che ha scandito la
costituzione delle Comunità Terapeutiche (CT), dagli albori fino allo stato
attuale. Ci si è soffermati, nello specifico, sui modelli ed i costrutti psicologici
che le hanno connotate nel tempo, nell’ambito della tradizione inglese e
americana, della tradizione francese e, infine, del panorama italiano (Vigorelli,
2006a, 2006b, 2008). Il lavoro è proseguito con una disamina di alcuni concettichiave, ovvero che cosa si intende per fattore terapeutico, funzionamento
terapeutico e fenomeni comunitari all’interno dei contesti residenziali di cura,
attraverso una lettura diacronica degli stessi a partire dai primi “esperimenti”
che segnano il nascere di tali strutture, fino alla considerazione del panorama
attuale nella sua complessità ed eterogeneità.
È stato, infine, analizzato il costrutto del clima organizzativo e di diagnosi
organizzativa, sia all’interno dell’alveo dei contesti profit in cui è stato
prevalentemente studiato, sia nelle sue caratterizzazioni specifiche e sfumate
assunte nei contesti residenziali di cura, entro cui, tale costrutto, emerge
arricchito e potenziato delle complesse dinamiche di propagazione della
psicopatologia che popolano in modo profondo i vissuti quotidiani degli
operatori.
A livello empirico, tale approfondimento è stato proficuo al fine di
contestualizzare gli item del questionario relativamente alla cultura implicita
che connota tali realtà terapeutiche.
Il disegno di ricerca si esplica in una fase successiva attraverso l’analisi
degli strumenti di rilevazione di clima esistenti in letteratura in grado di
soddisfare i requisiti ed i presupposti teorici descritti precedentemente. Di tali
strumenti, è stato individuato come riferimento il Majer-D’Amato
Organizational Questionnaire (M-DOQ, Majer e D’Amato, 2001), a partire dal
quale, dopo un’attenta contestualizzazione degli item, ne sono stati selezionati
alcuni più salienti che sono stati successivamente integrati con un’ulteriore serie
di item: in parte estrapolati dall’analisi qualitativa dei trascritti di alcuni Focus
Group condotti con operatori che lavorano in CT; in parte ricavati da un
contributo di consulenza clinica; in parte, infine, selezionati da altre scale già
disponibili in letteratura per rilevare le dinamiche di gruppo.
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1.3 Majer-D’Amato Organizational Questionnaire
Il Majer-D’Amato Organizational Questionnaire (M-DOQ, 2001) si
presenta come un questionario multidimensionale, costituito da 120 item con
rilevazione di tipo scala Likert a 4 punti in grado di fornire una stima
differenziata delle componenti principali del costrutto del clima in ambito
aziendale. La struttura fattoriale si articola in 13 fattori: team, leadership, job
involvement, autonomia, libertà, coerenza, dinamismo, job description, equità,
sviluppo, comunicazione, environment e incentivazione.
Tale strumento, inoltre si pregia di un impianto sofisticato in termini di
verifica della validità e dell’attendibilità attraverso una standardizzazione
italiana che ha previsto un campionamento di organizzazioni di tipo aziendale
dislocate su tutto il territorio nazionale (in particolare nel Nord e Centro Italia)
costituite da soggetti appartenenti a molteplici settori di organizzazioni
differenti (Quaglino, 2001). La versione attuale del questionario è stata
somministrata a 1837 soggetti. Può, dunque, essere definito come uno
strumento valido da un punto di vista scientifico, snello nella sua utilizzabilità
empirica e adatto alle diverse culture organizzative.
1.4 Focus Group
Tenendo come riferimento tale strumento, al fine di ampliare il processo di
contestualizzazione degli item del questionario, sono stati condotti una serie di
Focus Group con i coordinatori e gli educatori esperti di alcune CT. I focus
group si sono articolati sull’approfondimento della tematica centrale della
definizione del concetto di clima organizzativo all’interno della realtà operativa
delle CT al fine di declinare il più possibile il concetto di clima nelle singole
componenti che lo qualificano in modo specifico. In particolare è stato richiesto
di riferire alcuni momenti di lavoro vissuti in prima persona dagli operatori che
sono risultati significativi relativamente alla percezione di un clima
organizzativo adeguato o non adeguato rispetto alla richieste contestuali del
setting comunitario, nel tentativo di esplicitare le problematiche ed i vissuti ad
esso inerenti e le eventuali ricadute terapeutiche sui pazienti (Cortese, 2004).
Tutti i focus group sono stati audio-registrati e sbobinati al fine di estrapolare
alcuni item da includere nella versione finale del questionario da somministrare.
I gruppi erano composti da un minimo di cinque ad un massimo di sette
soggetti, suddivisi in modo eterogeneo per età, sesso, e anni di lavoro presso la
struttura di pertinenza. Affrontare tali tematiche attraverso le modalità di
rilevazione sopra descritte, ha consentito di creare un ambiente sufficientemente
libero e non saturo al fine di fare emergere criticità specifiche per il contesto di
lavoro indagato, contribuendo a dare un senso all’oggetto di ricerca in modo
collettivo e producendo una versione della realtà nel tentativo preciso di
comprenderla, partendo dall’idea che “un’organizzazione non è un qualcosa di
dato, ma deriva dalle rappresentazioni che i diversi attori coinvolti hanno di
essa” (Masoni, Balducci, Coratti, Hansen e Melgiovanni, 2000).
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Il materiale ottenuto è stato elaborato attraverso l’applicativo
informatico Atlas.ti, all’interno dell’inquadramento teorico della Ground Theory
e successivamente per mezzo dell’applicativo Monoconc Pro al fine di estrarre le
occorrenze dei lemmi che sono comparsi con una frequenza più elevata
all’interno dei differenti trascritti. Dall’analisi dei verbatim sono emersi alcuni
temi principali tra cui: criticità relative al turnover degli operatori; problemi rispetto
al carico eccessivo; problematiche relative all’inserimento di nuovi pazienti;
difficoltà a tradurre nella quotidianità il progetto terapeutico complessivo; criticità
nella gestione dei momenti di crisi; problematiche rispetto al ruolo; criticità
specifiche relative alla psicopatologia dei pazienti, da cui sono stati estrapolati tre
fattori: “criticità organizzative relative alla struttura”, “criticità organizzative
relative alla psicopatologia” e “professionalità” (vedi tabella 1).
1.5 Item componente clinica
In seconda battuta alcuni item sono stati formulati sulla base di una
consulenza fornita dall’estensore clinico del Progetto Minori all’interno
dell’Associazione di Servizi per la Salute Mentale Tiarè onlus. Da questa
componente sono stati estrapolati due fattori: “chiarezza ed efficacia della
collaborazione tra equipe e clinici” e “criticità dei rapporti con i servizi” (vedi
tabella 1).
1.6 Altre Scale
Attraverso un’accurata analisi della letteratura nazionale e internazionale
relativa a strumenti di analisi affini ai nostri interessi in questo settore, sono
state individuate alcune scale da cui sono stati selezionati gli item che potevano
essere integrati in seguito ad un’attenta contestualizzazione e traduzione. Di
seguito verranno presentate le fonti da cui sono stati estratti gli item della
versione del questionario somministrata:
1 QUESTIONARIO SUL CLIMA DI GRUPPO (MacKenzie, 1981;
traduzione a cura della Prof.ssa Francesca Giannone, Università degli studi di
Palermo, utilizzato all’interno di comunità educative).
2 COHESION SCALE (Piper, 1983; traduzione nostra).
3 BASIC NEEDS SATISFACTION AT WORK SCALE (Deci, Ryan,
Gagné, Leone, Usunov e Kornazheva, 2001; traduzione nostra).
4 MCDERMOTT BURNOUT INVENTORY (McDermott, 1984; tratto da
Majer e D’Amato, 2001)
5 RELATIONSHIP QUESTIONNAIRE (Bartholomew & Horowitz,
1991).
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Da tali scale sono stati ricavati quattro fattori: “problemi nella
disponibilità alla relazione”, “soddisfazione sul lavoro”, “paura, pesantezza e
assenza di investimento”, “collaborazione e disponibilità tra colleghi” (vedi
tabella 1).
1.7 Accordo Inter-Giudice
La prima versione del questionario, ottenuta dalla giustapposizione degli
item provenienti dagli strumenti sopra esposti, si compone di 144 item
Successivamente si è proceduto con la valutazione dell’accordo intergiudice relativamente all’attribuzione di ogni singolo item rispetto alla struttura
fattoriale del questionario di Mayer e D’Amato. I 144 item ottenuti sono stati
sottoposti alla valutazione da parte di 7 giudici esperti con la consegna di
lavorare individualmente per ricondurre ciascun item ai 13 fattori
caratterizzanti la struttura fattoriale dell’M-DOQ, segnalando eventualmente
gli item che non potevano essere ricondotti a nessun fattore all’interno della
categoria “altro”. Considerata la presenza di un considerevole numero di item
aggiuntivi rispetto a quelli ricavati dall’M-DOQ, l’accordo intergiudice non è
risultato elevato, seppur adeguato per quanto concerne i fattori previsti da
Mayer. Utilizzando l’ indice di concordanza per variabili categoriali Kappa di
Cohen (Cohen, 1960), i risultati ottenuti dai confronti a coppie hanno
confermato un’adeguata attendibilità delle ricodifiche (0.300 < K di Cohen <
0.536; p < .001).
In tal senso è parso plausibile prevedere una struttura dello strumento
finale riconducibile ad un numero superiore di fattori. Prima della
somministrazione definitiva, la versione finale del questionario è stata
sottoposta, infine, ad una revisione da parte di 5 operatori psicologi al fine di
verificare la presenza di eventuali errori nella formulazione degli item stessi (a
livello semantico, sintattico e ortografico) che avrebbero potuto andare a
discapito della comprensione finale dello strumento.
1.8 Fattori totali estrapolati
In totale, oltre ai fattori previsti dall’M-DOQ di Mayer e D’Amato, sono
stati analizzati i seguenti fattori:
Tabella 1. Fattori estrapolati dai Focus group, dalla consulenza dei clinici
e da altre scale disponibili in letteratura
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FATTORE
FONTE
CHIAREZZAed EFFICACIAdella
COLLABORAZIONEtra EQUIPEE
CLINICI (8item)
ITEM
PROBLEMI NELLADISPONIBILITA'
COMPONENTE ALLARELAZIONE(4item)
CLINICA
CRITICITA' RAPPORTI con i SERVIZI ITEM
FATTORE
SODDISFAZIONESUL LAVORO
(3item)
COMPONENTE (3item)
CLINICA
CRITICITA' ORGANIZZATIVE
RELATIVEALLASTRUTTURA
FOCUSGROUP PAUREPESANTEZZAEASSENZAdi
INVESTIMENTO(9item)
(6item)
FOCUSGROUP COLLABORAZIONEEDISPONIBILITA'
CRITICITA' ORGANIZZATIVE
RELATIVEALLAPSICOPATOLOGIA
FRACOLLEGHI (3item)
FONTE
RELATIONSHIP
QUESTIONNAIRE
COHESIONSCALE
MCDERMOTTBURNOUT
INVENTORY
BASICNEEDSSATISFACTION
AT WORKSCALE
QUESTIONARIOSUL CLIMADI
GRUPPO
(6item)
PROFESSIONALITA'
FOCUSGROUP
(4item)
1. Materiali e Metodi
La metodologia di costruzione del questionario si articola attraverso una
pre-ricerca esplorativa.
La procedura di reclutamento dei soggetti e delle strutture da coinvolgere
per la somministrazione del questionario ha costituito motivo di empasse per il
presente lavoro, se si considera che non esiste, a livello nazionale, un elenco
ufficiale delle strutture terapeutiche residenziali per minori, che in alcuni casi
decidono di “non svelarsi”. Tale “ostacolo” è stato, del resto, per lo più
condiviso con alcuni dei referenti delle strutture stesse che hanno partecipato al
progetto, nella misura in cui è stata espressa la sensazione di lavorare “in
solitudine” ovvero di non poter contare o fare riferimento ad un modello a rete
più esplicito che coinvolga tutte le strutture presenti sul territorio nazionale.
Per alcune realtà esiste la necessità di non essere accessibili in quanto strutture
protette, considerata l’età degli ospiti e le dinamiche familiari fortemente
compromesse. Rimane il fatto che tra professionisti del settore, talvolta, emerge
il vissuto di “isolamento” che condiziona le possibilità/potenzialità di
intervento.
1.1
Campione
Complessivamente il gruppo preso in esame è costituito da 173 soggetti
diversificati per profili professionali ed accomunati dal fatto di lavorare
all’interno di CT per adolescenti dislocate in modo non omogeneo sul territorio
nazionale (Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Marche,
Abruzzo, Lazio, Campania).
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Tabella 2. Variabili socio anagrafiche del campione della ricerca
Categorie
%/n
Sesso operatori
Maschi
femmine
39.1%
60.9%
Titolo di studio
Diploma scuola media inferiore
Diploma scuola media superiore
Corso di formazione post diploma
Laurea
Post laurea
2%
11%
12%
50%
25%
Ruolo
Educatori
Operatori
Coordinatori
Psicologi
Operatori Socio Sanitari
Psichiatri
Psicoterapeuti
Psicopedagogisti
Tirocinanti volontari
50%
20%
11%
10%
4%
1.16%
1,16%
1,16%
1,16%
Nome comunità
Asso
Cavanà
Crisalide
Eimì
Il Delfino
Il Faro
Il Porto
L'Imprevisto
La Soffitta
Liberitutti
Passaggi
***
Rosa dei Venti
San Maurizio
Sogni di loro
UONPIA Desio
Capena
Mondo piccolo
Tuga
17
11
7
11
6
6
20
15
7
8
13
2
5
9
6
5
14
6
5
Nota: la struttura contrassegnata da *** ha richiesto esplicitamente di mantenere l’anonimato
Il campione è stato descritto sulla base delle caratteristiche socioanagrafiche (vedi tabella 2) che sono state tenute in considerazione per le
successive analisi statistiche. Per quanto riguarda la variabile sesso, il campione
è costituito da un 60,9% di donne e da un 39,1% di uomini. Per quanto
concerne la variabile titolo di studio, il campione possiede un livello di
scolarizzazione medio-alto, se si considera che l’11% possiede un diploma di
scuola Media Superiore, il 12% dispone di corsi di formazione post diploma, ed
in particolare il 50% ha conseguito la Laurea insieme ad un 25% che ha un
livello di formazione post-universitaria; il restante 2%, infine, è in possesso del
diploma di scuola Media Inferiore. Rispetto alla variabile ruolo, considerata
l’eterogeneità delle diciture rilevate dalla compilazione della parte anagrafica
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del questionario, le differenti definizioni sono state raggruppate in 7 categorie. Il
campione si caratterizza per una prevalenza di profili educativi, ovvero si
compone per il 50% di educatori e per il 20% di operatori; la restante parte si
suddivide tra un 11% di soggetti costituito da coordinatori, un 10% di psicologi,
un 4% di operatori socio sanitari (OSS), un 1.16% di psichiatri, un 1.16% di
psicoterapeuti, un 1.16% di psicopedagogisti ed infine un 1.16% tra tirocinanti
e volontari. Complessivamente l’età media del campione è di 34,2 anni (min =
21; Max = 56; Dev. St. = 7.64). Mediamente i soggetti hanno dichiarato di
lavorare nella comunità di pertinenza da circa 4 anni, con un valore minimo di
un mese ed un valore massimo di 20 anni, mentre, per quanto riguarda il lavoro
in contesti di équipe in generale, il valore medio indicato è stato di circa 6 anni e
mezzo, con un valore minimo di un mese ed un valore massimo di 20 anni.
Analisi dei risultati
Le procedure statistiche di validazione preliminare dello strumento hanno
compreso analisi descrittive, analisi fattoriali e analisi dell’affidabilità interna
(alpha di Cronbach) dei singoli item del questionario e delle scale di fattori
proposte. Le analisi fattoriali sono state condotte utilizzando il metodo
Unweighted Least Squares, ponendo il loading a .40, e considerando come criterio
di scelta per il numero dei fattori lo Scree Test di Cattel con eigenvalue > 1.
Sulla base della lettura incrociata dei dati delle precedenti analisi, si è
proceduto, con l’eliminazione degli item (vedi tabella 3) che non soddisfacevano
i rispettivi requisiti. La struttura fattoriale finale del questionario prevede 22
fattori articolati (vedi tabella 3).
Il successivo livello di analisi è stato lo studio delle correlazioni tra i
punteggi fattoriali individuati. Da queste è risultato che i fattori appaiono
essere complessivamente sufficientemente ortogonali, pur sovrapponendosi in
parte rispetto ad alcune dimensioni. Le correlazioni tra i fattori sono le seguenti:
“criticità organizzative patologia” con “coerenza” (r =.210), con
“incentivazione” (r = -.233) e con “sviluppo” (r =.190); “chiarezza efficacia
collaborazione equipe-clinici” con “job involvement” (r = -.185); “problemi
disponibilità alla relazione” con “coerenza” (r =.178) ed infine “leadership” con
“sviluppo” (r =-.230).
Sulla scorta delle analisi statistiche effettuate emerge una versione
definitiva dello strumento costituito da 119 item (l’elenco completo di questi
item viene riportato nell’Appendice finale).
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Tabella 3. Elenco dei 22 fattori, delle Alpha di Cronbach e degli item eliminati
FATTORE
α
Numero Item
1. CHIAREZZA EFFICACIA
COLLAB. EQUIPE E CLINICI
2. CRITICITA' RAPPORTI
SERVIZI
3. CRITICITA'
ORGANIZZATIVE
STRUTTURA
4. CRITICITA'
ORGANIZZATIVE
PSICOPATOLOGIA
5. PROFESSIONALITA'
6. PROBLEMI
DISPONIBILITA' ALLA
RELAZIONE
7. PAURE PESANTEZZA E
ASSENZA INVESTIMENTO
0.772
1, 4, 3, 6, 2, 5, 7*,, 8**,, 9*, 12, 14
0.608
10**, 11**,, 13*, 16, 15, 17
0.712
135, 126, 141, 129**,133*, 143, 139, 136
0.677
144, 132, 137, 142, 127, 134, 138*
0.349
0.173
34, 128, 130, 131***,, 140**
36, 37**, 38*, 39, 40, 41, 42**
0.795
8. SODDISFAZIONE SUL
LAVORO
9. COLLABORAZIONE E
DISPONIBILITA' FRA
COLLEGHI
10. COERENZA
0.434
28, 32, 33*, 31*, 123, 26, 35**,, 27**, 124, 24, 29,
30, 25, 125*
18, 19, 20
0.665
21, 22, 23
0.746
0.253
0.779
0.899
43, 56, 75, 81, 115*
44, 64, 85***, 116,
83, 107, 88, 45, 70, 97
104, 109, 73, 69, 51, 113, 59, 106, 46, 95, 50, 86, 101,
66, 52, 48
53, 47, 57, 90, 120, 61, 111
99, 54, 76, 77, 93, 103, 96
55, 112, 58, 116*, 117, 119, 79
60, 92, 80, 87, 65
62, 78, 82, 91, 114, 98
108, 72, 94, 102, 63, 105**
110, 67, 68
71, 74, 113, 89, 118
64*, 122, 84, 121, 100***
11. INCENTIVAZIONE
12. JOB DESCRIPTION
13. LEADERSHIP
14. COESIONE DI GRUPPO
15. COMUNICAZIONE
16. JOB INVOLVEMENT
17. AUTONOMIA
18. LIBERTA'
19. DINAMISMO
20. ENVIRONMENT
21. EQUITA'
22. SVILUPPO
0.825
0.543
0.653
0.141
- 0.369
0.619
0.590
0.739
0.98
Note:
- gli item indicati con * sono stati eliminati poichè hanno evidenziato una
varianza ridotta (range di risposta: 2-4 o 1-3);
- gli item indicati con ** sono stati eliminati poichè hanno presentato un
numero di missing tra 15 e 21;
- gli item indicati con *** sono stati eliminati poiché, caratterizzati da scarse
caratteristiche psicometriche sulla base delle informazioni provenienti dalle
Analisi Fattoriali e dal calcolo dell’Alpha di Cronbach.
Discussione e conclusioni
L’obiettivo finale del lavoro si è composto di due finalità complementari:
da un lato la predisposizione di uno strumento specifico, teoricamente e
psicometricamente affidabile ai fini dell’indagine del clima organizzativo
all’interno delle CT, dall’altro la verifica dello stesso, quale strumento di
rilevazione in progress degli elementi che connotano e definiscono tale costrutto,
attraverso una pre-ricerca limitata e del tutto preliminare.
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Il lavoro svolto ha prodotto come risultato operativo la disponibilità della
versione finale di un questionario di rilevazione, fruibile ai fini dell’indagine del
clima organizzativo, nelle sue differenti articolazioni, all’interno delle CT. Lo
strumento individuato andrà, quindi, successivamente validato, secondo le
procedure già presentate, allo scopo di delinearne le caratteristiche
psicometriche essenziali per procedere ad un suo utilizzo su più ampia scala. I
dati provenienti dalla pre-ricerca condotta appaiono confortanti in merito alla
capacità dello strumento di indagare gli aspetti di funzionamento delle équipe
educative all’interno dei contesti terapeutici (coverage). Esso appare altresì
esaustivo delle diverse componenti di significato implicate nel costrutto.
I limiti del presente lavoro sono, in parte, riconducibili alla complessità e
”inafferrabilità” del costrutto indagato, ampiamente denunciata dalla
letteratura di settore, il quale implica il tenere in considerazione un modello di
rilevazione multidimensionale che si esplica attraverso una struttura fattoriale
che contempla numerose dimensioni (22 fattori). Le procedure statistiche di
validazione preliminare dello strumento, inoltre, sono state applicate ad un
gruppo di soggetti con una numerosità relativamente limitata (173 soggetti),
pur corrispondendo alla quasi totalità degli operatori che lavorano all’interno
delle strutture terapeutiche per adolescenti presenti sul territorio nazionale,
limite imposto, pertanto, dalla situazione attuale relativa alla realtà delle
Comunità Terapeutiche per adolescenti e dal tentativo di applicare tale
metodologia di analisi ad un contesto reale di cura. All’interno della scheda
anagrafica, sulla base dei risultati della prima somministrazione, ci
riproponiamo, per una futura versione, di raggruppare le descrizioni dei profili
degli operatori in categorie discrete al fine di limitare l’estrema eterogeneità dei
profili emersi dalla compilazione degli stessi, difficile da gestire per le analisi
successive. Tale strategia è stata, infatti, adottata già nella fase di elaborazione
preliminare del presente lavoro, raggruppando i profili in 9 categorie. Infine,
una componente perfettibile è da individuarsi a livello della numerosità stessa
degli item che, nella versione somministrata, costituita da 144 item, ha potuto
determinare un potenziale bias di attenzione e capacità di concentrazione da
parte degli operatori, appesantendo, talvolta, la comprensione degli item stessi,
andando chiaramente ad influire sui tempi di compilazione del questionario. Ci
proponiamo, pertanto, di ridurre tale componente attraverso la presentazione
della versione definitiva dello strumento composta da 119 item (vedi Appendice
finale).
Sarà nostro obiettivo, a questo punto, proseguire il lavoro impostato
attraverso un’applicazione sistematica dell’inventario ad un campione più vasto
di operatori che lavorano all’interno di CT, finalizzata ad una sua validazione
definitiva e, soprattutto, alla sua implementazione all’interno delle routine di
ricerca attive nei contesti residenziali di cura. La valutazione dell’influenza del
costrutto di clima all’interno dei possibili fattori terapeutici operanti in tali
servizi potrebbe infatti costituirsi quale importante elemento di innovazione
rispetto alla ricerca ma anche alla clinica. Una clinica che possa riconoscere oltre
ai tradizionali fattori specifici, anche l’importanza della quotidianità relazionale
quale possibile fattore interveniente nella modificazione comportamentale e
strutturale dei pazienti trattati presso tali contesti. Auspichiamo, dunque, che
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questo possa costituire un ulteriore passo nella direzione di avvicinare la ricerca
alla pratica clinica nei contesti reali in cui questa viene esercitata.
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APPENDICE: Media e deviazione standard degli item totali (prima versione)
ITEM
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
M
2.97
2.65
1.98
3.21
2.07
3.65
3.17
1.54
3.58
3.29
2.79
3.37
1.82
1.78
2.34
2.71
3.17
2.57
2.55
3.34
3.24
1.81
1.99
1.61
1.36
2.22
2.15
2.31
1.94
0.97
3.13
2.29
1.72
2.81
1.65
2.06
2.17
2.19
1.8
1.6
1.68
2.42
1.85
2.64
2.27
1.75
1.85
0.51
2.38
1.87
DS
0.845
0.856
0.979
0.818
0.964
0.583
0.73
0.744
0.743
0.725
0.985
0.738
0.937
0.975
0.857
1.046
0.813
0.913
0.799
0.882
0.788
1.026
0.975
0.798
0.586
0.936
0.986
0.933
0.896
0.908
0.795
1.101
0.993
0.985
0.917
0.918
1.068
1.041
0.819
0.725
0.739
0.994
0.981
1.013
0.905
0.986
0.9
0.765
0.885
0.953
ITEM
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
M
1.05
1.01
1.39
1.97
3.09
1.73
1.63
2.98
1.81
3.22
0.81
3.29
2.83
2.96
3.39
1.65
2.76
3.03
1.85
2.17
1.65
1.7
1.82
1.79
1.66
2
0.83
0.97
1.84
0.99
2.08
0.66
2.97
3.46
2.32
1.8
2.66
2.15
2.1
1.7
2.33
3.59
1.8
2.86
1.92
1.19
3.15
3.53
1.9
2.83
DS
1.016
0.975
0.835
0.881
0.858
0.946
0.833
0.982
0.873
0.74
0.727
0.84
0.808
0.836
0.679
0.821
0.886
1.095
0.97
0.928
0.964
0.996
0.825
0.926
0.884
0.931
0.817
0.975
1.09
0.865
0.951
0.834
0.9
0.789
1.002
0.821
1.042
0.88
1.035
0.898
0.84
0.619
0.852
0.89
0.94
0.833
0.742
0.764
0.929
0.96
ITEM
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
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120
121
122
123
124
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126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
M
1.87
1.9
2.19
1.88
3.39
2.07
2.91
2.63
1.82
2.82
0.44
3.43
1.71
3.2
3.15
2.37
3.78
1.8
2.57
2.31
3.44
3.61
1.64
1.55
1.27
2.57
2.03
2.7
1.99
2.36
2.31
2.65
3.23
2.96
2.52
1.92
2.1
3.01
1.92
1.61
1.09
2.34
2.81
3.32
DS
0.912
0.875
1.016
0.889
0.729
0.939
0.889
0.776
0.966
0.884
0.714
0.84
0.796
0.86
0.985
1
0.508
1.011
0.714
1.06
0.631
0.658
0.867
0.889
0.708
1.091
0.967
1.021
1.02
1.065
1.044
1.108
0.771
0.881
1.074
0.92
1.013
0.996
0.914
0.638
0.889
0.97
1.064
0.866
24
81
61
49
12
126
44
59
103
48
127
46
111
108
22
14
47
73
60
117
32
29
58
36
41
109
62
82
135
Ho paura di essere aggredito/a quando sono in comunità
La direzione prende le decisioni riguardanti l’organizzazione del lavoro senza consultare il personale
Nella mia équipe c’è un forte spirito di cooperazione
Qui è difficile ottenere che le decisioni vengano prese in tempo breve
Credo che i clinici siano adeguatamente formati al loro lavoro
Penso che all'interno della mia comunità il turnover degli operatori sia troppo elevato
Si favorisce lo sviluppo di risorse all’interno della comunità piuttosto che l’assunzione dall’esterno di altri operatori
Gli ordini vengono impartiti senza tenere conto del lavoro che si sta già svolgendo
Nella mia comunità gli operatori non vengono sufficientemente informati sulle decisioni prese dal vertice
Posso avere facilmente dei colloqui personali con i miei responsabili
Trovo difficile e stancante seguire l'ingresso di nuovi operatori rispetto alla gestione dei pazienti
I miei responsabili ignorano i miei problemi personali quando ho delle difficoltà nel mio lavoro
Gli operatori della mia équipe cercano di mettere a proprio agio i nuovi arrivati (operatori e pazienti)
Nella mia équipe le decisioni che si prendono vengono realizzate molto rapidamente
I membri dell’équipe spesso evitano di prendere in considerazione problemi importanti che possono talvolta verificarsi tra loro
Le conflittualità di natura amministrativa tra l’organizzazione dell’équipe e quella dei clinici ricadono anche sulla qualità dei progetti inficiandoli
Nella mia équipe l’atmosfera è tesa
Ricevo l’ordine di fare un lavoro senza che mi si diano i mezzi e le risorse per eseguirlo correttamente
Nel mio lavoro dispongo di una certa autonomia
Penso che il mio lavoro sia utile
Spero di trovare un altro lavoro
Consentiamo troppa libertà ai pazienti in comunità
Il mio lavoro mi permette di usare ogni mia capacità e conoscenza
Mi risulta abbastanza facile lasciarmi coinvolgere emotivamente in relazioni intime
Mi sento a mio agio se sono coinvolto/a in relazioni emotive intime, ma talvolta penso che gli altri non attribuiscano a me sufficiente importanza
I miei responsabili non mi informano prima di prendere una decisione riguardante il mio lavoro
Le persone hanno la possibilità di esprimersi liberamente
Nella mia équipe gli operatori possono permettersi di esprimere i propri sentimenti
Ritengo che gli orari ed il monte ore lavoro siano eccessivi e troppo pesanti per i compiti svolti
APPENDICE 2: Il questionario definitivo (119 item)
Leggi ciascuna affermazione e scegli, tra le quattro alternative di risposta, quella più vicina al tuo modo di percepire il tuo lavoro e la tua organizzazione.
Contrassegna, apponendo una crocetta nell’apposito spazio, il numero corrispondente alla risposta da te prescelta secondo la seguente scala:
1 = falso
2 = abbastanza falso
3 = abbastanza vero
4 = vero
Falso
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Abbastanza falso
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Abbastanza vero
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
4
Vero
69
107
57
70
93
16
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83
142
25
72
43
66
76
132
120
119
91
89
137
79
74
68
122
98
114
94
I miei responsabili diretti esitano a sostenere le mie rivendicazioni presso la direzione
Le funzioni connesse al mio ruolo sono chiaramente definite
Nella mia équipe le ambizioni personali di ciascuno contano più dello spirito di gruppo
Ricevo ordini contraddittori da differenti persone
E’ difficile sapere dove ottenere informazioni chiare, precise e certe
Il Sistema Sanitario non è sufficientemente consapevole del lavoro che svolgiamo con i pazienti
Mi viene permesso di assumermi un certo numero di responsabilità
Penso che i clinici dovrebbero tenere in maggiore considerazione l'opinione dell'équipe educativa nella gestione degli inserimenti dei nuovi pazienti
Il mio lavoro è definito in modo chiaro
Mi capita di sentire degli "scollamenti" rispetto al modo di intendere il progetto terapeutico da seguire tra clinici ed équipe
Ho paura dei pazienti con cui lavoro
La direzione esita ad introdurre dei cambiamenti anche quando essi sono necessari
Nella mia comunità viene considerato prima di tutto l’aspetto economico a scapito degli aspetti sociali e umani
Quando ne ho bisogno ho delle difficoltà nell’ottenere dai miei responsabili un supplemento di informazione
I responsabili sembrano sempre bene informati ma trascurano d’informare gli altri
Ritengo che la figura del coordinatore si trovi spesso a gestire conflitti d'interesse rispetto alle dinamiche tra la direzione, l'équipe, i clinici e i Servizi
Alcuni colleghi della mia équipe “sparlano” facilmente di altri
Il mio è un lavoro di routine
E’ malvisto manifestare i propri sentimenti e le proprie emozioni
Non è piacevole il modo in cui si evidenziano gli errori commessi sul lavoro
Ho la sensazione che la patologia dei pazienti sia "contagiosa" rispetto al funzionamento della mia équipe
Ho un ruolo più importante nelle mie attività esterne che nel mio lavoro
La comunicazione verso l’alto consiste unicamente nel rispondere alle richieste
La mia comunità è situata in un luogo piacevole e comodo
Nella mia comunità si pensa che l’aiuto reciproco fra i membri dell'équipe favorisca un rendimento migliore
Nella mia équipe è possibile esprimere i propri bisogni di formazione
Posso manifestare apertamente il mio dissenso su problemi di lavoro ai miei colleghi, pur rimanendo in buoni rapporti
Qui le persone sono fiere della loro comunità
Leggi ciascuna affermazione e scegli, tra le quattro alternative di risposta, quella più vicina al tuo modo di percepire il tuo lavoro e la tua organizzazione.
Contrassegna, apponendo una crocetta nell’apposito spazio, il numero corrispondente alla risposta da te prescelta secondo la seguente scala:
1 = falso
2 = abbastanza falso
3 = abbastanza vero
4 = vero
______________________________________________________________________________
Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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Falso
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
Abbastanza falso
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Abbastanza vero
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
4
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4
4
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4
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4
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4
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4
Vero
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1
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51
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63
95
71
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26
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6
92
17
75
139
128
2
28
84
34
Vorrei coinvolgermi in relazioni emotivamente intime, ma mi risulta difficile fidarmi completamente degli altri, o dipendere da loro
Ho dei rapporti amichevoli con i miei responsabili
La collaborazione con l'équipe clinica è chiara rispetto alle mansioni concernenti l'attualità clinica, sanitaria e psicologica
Nella mia comunità si cerca di fare tutto il possibile per accogliere bene i nuovi assunti mostrando loro il funzionamento della struttura
Posso facilmente esprimere ai miei responsabili i miei problemi personali
Vorrei coinvolgermi completamente nelle relazioni emotive intime, ma spesso sento che gli altri sono riluttanti ad avvicinarsi quanto io vorrei
Nella mia équipe i responsabili rifiutano ogni critica alle loro decisioni
Qui vengono incoraggiate le idee innovatrici ed originali
I responsabili non sono presenti quando servono
Nella mia équipe un certo numero di colleghi beneficiano di vantaggi non giustificati
Ritengo che molti membri di questa équipe corrispondano all’idea che ho di “buon” collega
I membri dell’équipe cercano di volta in volta di riflettere e di comprendere il perché delle proprie azioni
Le condizioni di lavoro sono buone
Nella mia équipe i responsabili si approfittano della loro posizione per imporre le proprie idee
Regolarmente quando sono in turno sento di essere sottoposto/a ad una quantità eccessiva di stress
Davanti ai miei responsabili mi è difficile dire ciò che realmente penso
Il rapporto con gli enti invianti è spesso di delega e disinteresse rispetto alle azioni terapeutiche ed educative da intraprendere
Mi sento tormentato/a e isolato/a nelle relazioni interpersonali sul lavoro
Penso che gli strumenti che ho imparato ad utilizzare in questo contesto potranno essermi utili per il mio sviluppo professionale
Sono responsabile delle decisioni che prendo nel mio lavoro
Il confronto con i Servizi potrebbe essere più utile per i pazienti di quanto non lo sia stato fino ad ora
Le sole attività formative che vengono attivate sono quelle che portano un vantaggio economico alla comunità
Nella quotidianità faccio fatica ad avere una visione complessiva del progetto terapeutico di ciascun paziente
Ritengo di aver bisogno di supervisioni più frequenti sul funzionamento di gruppo dell'équipe
Il confronto con i clinici è adeguato rispetto al tempo ad esso dedicato nell’attuale modello organizzativo
Le richieste al lavoro sono troppo pesanti
Nella mia équipe viene incoraggiato il lavoro di gruppo
Ritengo di aver bisogno di supervisioni più frequenti sui casi in trattamento
Leggi ciascuna affermazione e scegli, tra le quattro alternative di risposta, quella più vicina al tuo modo di percepire il tuo lavoro e la tua organizzazione.
Contrassegna, apponendo una crocetta nell’apposito spazio, il numero corrispondente alla risposta da te prescelta secondo la seguente scala:
1 = falso
2 = abbastanza falso
3 = abbastanza vero
4 = vero
______________________________________________________________________________
Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
85
Falso
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
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1
Abbastanza falso
2
2
2
2
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2
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2
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2
Abbastanza vero
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Vero
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5
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3
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18
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97
112
106
130
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96
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4
80
104
88
I miei suggerimenti vengono raramente trasmessi alla direzione
Gli operatori possono senza timore dire cosa pensano riguardo all’équipe
Nella mia équipe gli operatori si capiscono senza problemi
Ritengo che il burn-out costituisca il rischio principale nella mia professione
Conosco perfettamente la portata ed i limiti delle mie responsabilità
Il mio lavoro mi appassiona
Mi è difficile prevedere l’ascolto che riceverò quando ho una richiesta da fare ai miei responsabili
Sento che la gestione dell'emergenza in comunità ostacola la realizzazione del progetto terapeutico
Gli incentivi economici si ottengono più per conoscenze personali che per i risultati che si conseguono con l’impegno e le capacità
L’informazione circola rapidamente
Troppe persone devono essere consultate prima di poter intraprendere qualsiasi cosa
L’équipe clinica ha ruoli chiari e ben definiti
Nel mio lavoro ho l’occasione di prendere iniziative personali
I responsabili trascurano di considerare i suggerimenti dei subordinati
Le regole ed i comportamenti da seguire sono vaghi e poco chiari
Sento di influenzare con la mia opinione ciò che il gruppo decide
Il mio lavoro mi procura molte soddisfazioni
Mi sento adeguatamente supportato/a nell'affrontare i momenti di crisi sul lavoro dall'équipe clinica
Non sono soddisfatto/a del valore attribuito alle mie opinioni da parte dell’équipe clinica
Sento che sto diventando infastidito/a da quello che faccio
Gli ambienti di lavoro sono confortevoli
L’informazione arriva essenzialmente da voci di corridoio
Nel momento del bisogno l’informazione è disponibile
Tra i colleghi spesso c’è rabbia e attrito
Credo che i clinici prevarichino gli educatori nella formulazione dei progetti terapeutici
Il mio ruolo nell’équipe non è ben stabilito
Mi sento di condividere il modo in cui vengono gestiti attualmente i progetti terapeutici dei pazienti
Non sono soddisfatto/a di essere entrato/a a far parte di questa équipe
Leggi ciascuna affermazione e scegli, tra le quattro alternative di risposta, quella più vicina al tuo modo di percepire il tuo lavoro e la tua organizzazione.
Contrassegna, apponendo una crocetta nell’apposito spazio, il numero corrispondente alla risposta da te prescelta secondo la seguente scala:
1 = falso
2 = abbastanza falso
3 = abbastanza vero
4 = vero
______________________________________________________________________________
Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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Falso
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1
1
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Abbastanza falso
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2
Abbastanza vero
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4
Vero
90
134
136
87
54
118
Nella mia équipe vi è molta rivalità fra gli operatori
Ritengo di aver bisogno di aggiornamenti costanti rispetto alla psicopatologia dei pazienti
Ho la sensazione di non "staccare mai" emotivamente e che il lavoro coincida con tutta la mia vita
Posso organizzarmi il lavoro come desidero purché lo concluda nei tempi prefissati
La diffusione dell’informazione avviene spesso in modo confidenziale
Nella mia comunità si preferisce dequalificare il personale piuttosto che licenziarlo
Leggi ciascuna affermazione e scegli, tra le quattro alternative di risposta, quella più vicina al tuo modo di percepire il tuo lavoro e la tua organizzazione.
Contrassegna, apponendo una crocetta nell’apposito spazio, il numero corrispondente alla risposta da te prescelta secondo la seguente scala:
1 = falso
2 = abbastanza falso
3 = abbastanza vero
4 = vero
______________________________________________________________________________
Ricerca in Psicoterapia / Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome 2009; 1-2 (12):
www.spr-italia.it/pdf/spr_volume_12.pdf
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Falso
1
1
1
1
1
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Abbastanza falso
2
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Abbastanza vero
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