Benni - Il professore

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Benni - Il professore
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Progetto Libri digitali dell'Istituto 16 Valpantena – Verona
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Stefano Benni
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Il professore
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Stefano Benni
Il professore
Il professor Piscopo era un signore distinto, con una bella barba sale e pepe e i
baffetti aglio olio e peperoncino. Quando nel suo bell'accento partenopeo
raccontava con la stessa enfasi il suicidio di Seneca o l'atterramento di Savoldi,
dentro al bar non si sentiva volare una mosca. «L'ha detto il professore» era una
frase che troncava qualsiasi discussione. Le sue divagazioni sulla natura dell'animo
umano e sul significato dell'esistenza erano ascoltate con grande attenzione e alla
fine tutti, poiché non avevano capito quasi niente, facevano la faccia triste e si
davano delle gran pacche sulle spalle dicendo «Coraggio, amico mio, cosa vuoi farci»
e tiravano grandi sospironi.
Ma più che come esperto di filosofia, il professore era molto quotato come esperto
di posteriori femminili. Quando nel bar entrava una signora ben messa, e si
accendevano le discussioni, subito qualcuno troncava e diceva: «Adesso chiediamo
al professore». Il professore veniva messo su una sedia in direzione dell'obiettivo,
inforcava gli occhiali, esaminava e intanto si tirava la barba e borbottava «Vediamo,
vediamo». Alla fine alzava la testa e dichiarava ad alta voce:
«Carnoso, equilibrato, ben composto. Sei e mezzo», oppure: «Michelangiolesco,
ridondante, di grande effetto plastico. Sette e mezzo», oppure: «Scarniccio, nervoso,
ma non privo di grazia. Sei meno meno». Tutti annuivano ammirati. Il professore era
gentile e cortese, ma una cosa lo faceva andare in bestia: gli errori di italiano. Se
qualcuno gli diceva: «Posso offrirci un caffè?», rispondeva secco: «Studi la
grammatica e torni a offrirmelo a ottobre». Una volta rimase chiuso in ascensore tre
ore col Ciccio, il fattorino del bar, che continuava a dirgli: «Chissà se qualcuno venghi
a prenderci? E se provassimo che urlassimo?». Quando lo tirarono fuori, il
professore era in preda a una grave crisi isterica, e dovette stare a letto due
settimane a semolino e libri di Pirandello.
Insegnava filosofia al Cavalcanti, il liceo più elegante della città, dove i bidelli erano
vestiti in polpe e invece del quarto d'ora d'intervallo c'era un breve cocktail in abito
scuro. Di giorno era un insegnante irreprensibile: la notte, invece, vagava per la città
col cappello calato sugli occhi, in cerca di amore mercenario. Si diceva che amasse
farsi legare al letto, mentre la compagna occasionale scriveva su una lavagna «Buoni
e cattivi», e sotto la scritta «cattivi» il suo nome, professore Antonio Maria Piscopo.
Allora il professore impazziva di piacere e cominciava a urlare «Sì, sono tanto
cattivo, sono cattivissimo», e intanto si faceva dare delle bacchettate sulle dita.
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Ma malgrado questo piccolo vizietto, era molto considerato. Spesso appariva al bar
un po' alticcio, declamando la "Gerusalemme liberata" o cantando canzoni
napoletane. Se qualcuno gli diceva «Professore, abbiamo alzato un po' il gomito», lui
lo guardava severamente negli occhi e diceva: «Non sono ubriaco: sono leggermente
euforico per l'ingestione di piccole quantità etiliche. E poi, cos'è un ubriaco?
(Tratto da: Stefono Benni, Bar Sport, Mondadori, 1976)
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