trascrizione degli interventi - Manifesto per la difesa della psicoanalisi
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trascrizione degli interventi - Manifesto per la difesa della psicoanalisi
PRESENTAZIONE DEL MANIFESTO PER LA DIFESA DELLA PSICANALISI Franco Quesito: Grazie per la vostra presenza qui questa sera, presenza molto gradita e molto importante. Abbiamo convocato questa serata come Associazioni che si occupano di psicoanalisi a Torino per un evento che riteniamo decisamente importante: è la prima volta che in Italia viene presentato in pubblico il Manifesto per la difesa della psicoanalisi e quindi nei fatti è un esordio che teniamo a battesimo qui alla Legolibri, un luogo estremamente significativo e dedicato. La presentazione che faremo questa sera la svolgiamo in questo modo: Giovanni Callegari dirà alcuni pensieri, proseguirò io e poi il Comitato promotore del Manifesto si occuperà di presentarvi il Manifesto nella sua interezza. Daremo quindi spazio a tutto il dibattito necessario e opportuno affinché possiamo approfondire e arricchire questa occasione con la partecipazione di quanti lo desiderino. La parola a Giovanni Callegari. Giovanni Callegari: Intanto grazie a tutti voi di essere qui, grazie ai promotori di questa iniziativa (tra cui l'associazione che presiedo), grazie sopratutto al Comitato per la difesa della psicoanalisi che ha scritto il "Manifesto" che mi ha dato una scossa, che mi ha riportato un po' al clima di lotta nei confronti della legge Ossicini, prima che questa fosse approvata. Questa legge aveva creato un clima all'interno del movimento psicoanalitico per cui ci si vedeva, ci si incontrava, si discuteva, si cercava di capire come fare a farla slittare nel tempo, a non farla approvare, o come fare, al limite, a tenere la psicoanalisi fuori dalla legge stessa che a oggi, uno dei miei maestri definisce "La fuorilegge" dopo il fallimento di tutte quelle riunioni, perché alla legge poi si è arrivati, con quello che è stato l'apporto delle istituzioni, dei medici che magnanimamente concedevano questa legge, ma a certe condizioni, e dopo anche il fallimento di una iniziativa che si era intrapresa a partire proprio da Torino, dal Laboratorio di lettura e formazione psicoanalitica, da Gramaglia e il sottoscritto. C’era l'idea di fondare una federazione italiana o internazionale di psicoanalisi (FIP), e girammo parecchio per il territorio italiano dove tutte le 1 associazioni contattate erano d'accordo nel dire che bisognava in qualche modo salvaguardare la conoscenza del sapere psicoanalitico ma purtroppo si poneva un problema. Questo problema riguarda il problema dell'associarsi fra psicoanalisti e fra associazioni di psicoanalisi. Questo problema, che vorrei che i colleghi dibattessero, è il problema di avvallare l'operato di associazioni diverse dalla propria. Questa questione, pur nella sua ampia portata, è una questione ridicola. Io mi stupisco che ci siano dei valenti amici, che possano pensare di assumersi la responsabilità che non è la responsabilità delle associazioni di psicoanalisi, è la responsabilità del soggetto, è una responsabilità individuale. Da questo punto di vista esiste la legge, esiste il codice civile, il codice penale, e a questo punto se qualcuno si comporta in modo criminale dalla legge verrà sanzionato. Perché io non debbo avvallare il lavoro del mio collega, dei colleghi qui presenti, dei loro analizzati che vorranno fare gli psicoanalisti? Perché non devo farlo? Guardate che molti non lo fanno e non lo volevano fare. Le ragioni erano che se no non c'erano limiti e che chiunque ciarlatano volesse fare l'analista poteva farlo, ebbene lo faccia, si beccherà le denunce. Ma pensiamo forse che all'interno dell'albo dei medici non ci siano dei criminali? Ci sono e si beccano le denunce. Perché solo noi dovremmo essere quelli che non riescono ad associarsi? Perché non riusciamo a metterci insieme, a fare una federazione? Perché abbiamo il timore che l'operato del collega non sia etico, non sia nell'indirizzo, nel mio stesso orientamento. Bene, varata la legge 56/89 all'elezione del primo consiglio dell'ordine dell'albo del Piemonte il sottoscritto venne presentato, sempre dal Laboratorio di Formazione e di Lettura Psicoanalitica, come candidato consigliere all'Albo con un unico programma: abolire l'ordine degli psicologi. Non ebbi, logicamente molti voti, però questa è una posizione. Questa posizione si può mantenere, non in modo provocatorio ma si può anche sostenere di poter fare del lavoro senza appartenere all'Albo. Purtroppo dopo l'approvazione della legge Ossicini ci fu l'istituirsi delle scuole di specializzazione in psicoterapia che ha, di fatto, bloccato la diffusione lo scambio, lo studio del sapere psicoanalitico. Qui a Torino prima della legge Ossicini, ci si incontrava fra psicoanalisti, fra associazioni, si scambiavano i pensieri e le opinioni. E' finito tutto, basta, c'è stata la legge e la corsa alla 2 richiesta dell'autorizzazione ad aprire scuole di specializzazione in psicoterapia. Per un piatto di lenticchie, oggi possiamo dire un piatto di lenticchie, allora sembrava chissà che cosa, molte persone, molti analisti, hanno fatto rivoltare anche Lacan nella tomba, si sono precipitati a Roma per chiedere l'autorizzazione, fra i primi, se non il primo Jacques Alain Miller che ha anche voluto queste scuole, anche altri ovviamente. Altra considerazione che dobbiamo fare è che il mondo della medicina, della psichiatria e delle diverse psi a orientamento medico, utilizzano tutte i concetti psicoanalitici quali la rimozione, l'identificazione, il senso di colpa; io, che ho modo di vedere molte diagnosi psichiatriche e neuropsichiatriche infantili, rilevo che utilizzano molti concetti del sapere psicoanalitico (che di per sé non sarebbe un male) salvo dichiararsi contro la psicoanalisi e avversandola come strumento valido. C'è un campo, un territorio dove c'è una competenza specifica o no? Sembra che tutti possano far man bassa di questo sapere senza poi non solo riconoscerlo ma neppure sapere che esiste questo campo, questi frutti. Allora auspico che la psicoanalisi non finisca come, e me ne sono accorto in questi giorni, e lo vado dicendo, che la brutta notizia è che è morta la psicosomatica: non esiste più un sintomo che abbia origine psicologica. Mentre Minerva Medica, qualche anno fa, diceva che il 90% il 92% delle malattie ha origine psicologica, oggi la medicina generale, i medici, la farmacologia non riconosco più la fonte psichica dei sintomi. Non tutti, non prendetemi alla lettera ma non si fanno più (e non si sanno più fare) diagnosi differenziali. Non sapendo fare diagnosi differenziale la medicina generale e la farmacologia e addirittura la chirurgia intervengono là dove ci sono dei sintomi chiaramente di origine psichica. Per tante ragioni quindi, ricompattiamo la nostra competenza. Io sono grato, torno a ripeterlo, al Comitato che ci da modo di confrontarci. Auspico quindi, per chiudere questo breve intervento, un convegno internazionale; come già proponeva S. Freud, bisogna che siamo noi a dare alla magistratura i contenuti, le informazioni, tutto quello che può permettere ad un magistrato, a un giudice di poter giudicare e essere competente in merito, ad esempio, all'abuso di professione. A questo proposito mi viene però da dire che ci sono due strade attualmente aperte: qualcuno dice di differenziare la psicoanalisi dalla psicoterapia, la psicoanalisi non è una psicoterapia, qualcun'altro come 3 uno dei miei maestri dice che la psicoterapia non esiste, semplicemente è una "Fuorilegge", non esiste la psicoterapia e quindi di che cosa mi denunci? Non esistendo la professione non posso "abusarne". Quindi, in conclusione, poniamoci come obiettivo un movimento, un orientamento culturale, nazionale e internazionale al quale i colleghi che hanno effettivamente una formazione che non è quella istituzionale, che non è quella condizionata dagli albi della medicina e della psicologia, possano appellarsi nella misura in cui vengono in qualche modo interrogati sulla loro identità professionale. Questo è estremamente importante, che esista un orientamento culturale, una associazione, un movimento internazionale, che è portatore di questa formazione, di questo orientamento che è un orientamento valido, un orientamento serio indicato dai padri della psicoanalisi e che è l'analisi laica. Franco Quesito: Ringrazio Giovanni Callegari per il suo importante intervento; il mio racconto in realtà è un racconto che viene dopo, è il pezzo successivo alla approvazione della legge 56/89, è il momento che per me fu entusiasmante di SpazioZero movimento per una psicanalisi laica che nei fatti fu la risposta e il tentativo di rispondere in maniera fondata e preparata da parte di un gran numero di colleghi. Erano impegnate dieci riviste di psicoanalisi e di conseguenza, con le associazioni che erano legate a quelle riviste di psicoanalisi, si arrivò fino a un totale di 197 iscritti. I colleghi di SpazioZero lavoravano in Italia prevalentemente nel nord Italia e si iscrivevano singolarmente e quindi fu un tentativo vero di mettere sul piatto l’esistenza della psicoanalisi al di là delle pretese in un certo modo di sussunzione all’interno del pensiero psicoterapeutico anche della psicoanalisi. Vi confesso che non sono dell’opinione che la psicoterapia non esista. Esiste perché a parer mio ogni organizzazione civile, o incivile, ha bisogno di condizionare le proprie devianze all’interno di un percorso accettabile e di conseguenza per fare ciò ha bisogno di un apparato strutturante. Con questo sto dicendo che la psicoanalisi è un pensiero di libertà; con questo sto dicendo che la psicoanalisi è l’elemento di ricerca di sé, della propria profondità, anche attraverso il racconto del proprio disagio. 4 Penso di non dire nulla di così rivoluzionario e strano per voi, in quanto presumo che per buona parte, facendo tutti i distinguo necessari, siamo un po’ tutti di questa opinione. Ecco quindi SpazioZero, che in maniera magari un po’ farraginosa, tentò questa operazione di emersione che si infranse però di fronte alla strutturazione di una risposta. Nel momento in cui c’è una risposta che viene posta sul tappeto, essa diventa una risposta che fa esplodere le situazioni. Probabilmente ciò non tenne in conto che le risposte dovevano essere di più di una. Ci fu la pretesa da parte di una certa direzione della segreteria di allora di imporre un dibattito a partire da una posizione univoca. Debbo dire però quello che fu il grande successo di SpazioZero, cioè il parere pro-veritate del Prof. Galgano, che sembrò rispondere in maniera impeccabile alla questione che la legge 56/89 non riguardasse la psicoanalisi. In realtà quello che sembrava essere il momento di lancio della costruzione della psicoanalisi in Italia - nel senso di una ricerca in lingua italiana della psicoanalisi diventò l’elemento finale, perché probabilmente tutti si considerarono da una parte liberi e da quell’altra tutelati nel poter fare quello che avevano fatto sino ad allora. Perché vi racconto questa storia che in realtà è una storia di un fallimento? Perché alla fine il discorso cadde proprio, e si spense, nell’atto stesso in cui venne consegnato il parere pro veritate. Vi racconto questa storia perché oggi, visto che le situazioni mutano, non è più così e non basta dire esiste il parere pro-veritate perché, come giustamente citava Giovanni Callegari nel suo intervento, qualcuno si è preso la briga di dire che psicoterapia e psicoanalisi sono la stessa cosa. È questo viene detto non solo da qualcuno, viene detto da molti; non raccontiamoci storie, la questione è di non dividere il mercato, perché poi alla fine è una questione di denaro: si tratta di non permettere ad altri di entrare all’interno di un mercato. Le scuole di psicoterapie ingenerano se stesse e mantengono un mercato aperto in funzione della formazione; poi però, una volta formati, debbono dare loro qualcosa da fare e quindi operano direttamente per annullare e cancellare tutto ciò che possa assomigliare minimamente a professioni limitrofe “similari” fuori dalle scuole. 5 Ecco perché quando Alessandra Guerra mi telefonò e mi disse che esisteva il Manifesto per la difesa della psicoanalisi le chiesi dove dovessi firmare, perché mi riportò, in un certo senso, ad una stagione di ricchezza di dibattito, oltre al fatto che si interveniva in maniera puntuale su di un problema attualissimo; pochi mesi prima avevo finito di scrivere un intervento dal titolo “non uccidete la psicoanalisi”, in cui sostengo che la psicoanalisi, in quanto disciplina, senza la ripresa di un dibattito culturale, di una presa di parola degli psicoanalisti, parola che si riporti sul tappeto la questione della psicoanalisi, senza ciò si è destinati di fatto o a restare all’interno di un piccolo ghetto, o, altrimenti, peggio a soccombere, per il semplice motivo che si spenge per mancanza di parola. Ecco, penso che oggi dobbiamo prendere atto dell’importanza dell’istanza di rimettere in piedi e in marcia la questione che peraltro ci interroga tutti: cioè perché parliamo di psicoanalisi? Perché scriviamo di psicoanalisi? Perché pensiamo di psicoanalisi? Questa è una domanda alla quale ognuno darà, dà una sua, una propria risposta. Se questa esiste, penso che non si possa permettere a nessuno di impedirci di pensare, perché questo poi è il problema in gioco, impedire di pensare e di parlare, ovvero di pensare la propria personale libertà soggettiva. Qui posso interrompermi e passo la parola al Comitato. Il Comitato è composto da Alessandra Guerra qui a fianco a me, Marco Vecchiato e Lorenzo Varaldo, che ci presenteranno il Manifesto. La parola a Marco Vecchiato. Marco Vecchiato: Prima di tutto volevo ringraziare la LegoLibri, Franco e chi ha consentito l’organizzazione di questo incontro che ci dà l’occasione di parlare del Manifesto per la difesa della psicanalisi che è stato più volte citato. Vorrei brevemente spiegare da cosa è nata questa iniziativa, perché abbiamo sentito l’esigenza di scrivere questo Manifesto e anche i contenuti principali. Molte cose sono già emerse negli interventi precedenti. Diciamo che il nostro Manifesto si occupa di una questione fondamentale a nostro avviso, ovvero chi in Italia possa oggi definirsi psicanalista. Una questione che va al cuore, evidentemente, della psicanalisi stessa, ma paradossalmente, e questa è stata anche una delle molle che ci hanno spinto, di questo problema si parla poco. Se ne è parlato in passato, ci sono state 6 iniziative molto importanti come SpazioZero, che hanno ottenuto degli importanti risultati. E’ vero però che se noi guardiamo i contenuti degli incontri e delle manifestazioni che hanno luogo oggi, generalmente non se ne parla più di tanto, e questo io personalmente lo trovo strano perché è una questione evidentemente fondamentale; si potrebbe quasi dire che la questione sia in un certo senso rimossa, non affrontata perché scomoda, evidentemente. Ora non è il caso di sottolineare qui l’importanza della psicanalisi: è stato detto quanto questa sia utilizzata anche da altre scienze, quanto le sue parole, i suoi concetti rimangano nella cultura e nella scienza. Sapete anche come la psicanalisi sia stata più volte oggetto di attacchi soprattutto dal mondo scientifico: si è obiettato che la psicanalisi non era in realtà una vera scienza soprattutto perché non era falsificabile, questo l’aveva detto Popper, quindi non si poteva dimostrare se era vera o se era falsa. Adesso quello a cui assistiamo è forse un tipo diverso di attacco, in un certo senso. Ovvero la psicanalisi, a detta almeno di una certa parte, c’è, è molto importante, sicuramente è una grandissima possibilità di cura, però attenzione: la psicanalisi fa parte delle psicoterapie, e quindi può essere fatta solo da chi è abilitato ad esercitare come psicoterapeuta. Quindi chi esercita come psicanalista non essendo psicoterapeuta è fuori dalla legge, è fuori legge? Bisognerebbe intendersi: non ricade nelle categorie delle legge o è fuori legge? Perché questo? Come si è giunti a questa situazione? Diciamo che noi nel Manifesto abbiamo cercato di partire, prima di tutto, dalle caratteristiche della psicanalisi. E’ chiaro che anche questo non è sempre ovvio e semplice, in quanto ci sono varie correnti, sappiamo che anche all’interno di SpazioZero ad un certo punto ci si è arenati nel discutere quali fossero, diciamo, le caratteristiche principali. E’ chiaro che si possono identificare alcuni aspetti cercando di evitare quelle che possono essere le spaccature teoriche. Prima di tutto la rilevanza dell’inconscio, il transfert, si potrebbe aggiungere la regola della libera associazione da parte dell’analizzante, o l’attenzione fluttuante dell’analista. Un punto sicuramente è fondamentale, ovvero: che cos’è l’analista in tutta la tradizione psicanalitica? 7 Lo psicanalista è prima di tutto colui che ha fatto una propria analisi. Quindi si diventa psicanalisti facendo una propria analisi, ad un certo punto della quale può succedere (o può anche non succedere) che avvenga la scoperta di alcune caratteristiche, diciamo del fatto che “c’è dell’analista”, che è possibile occupare il posto dell’analista. Allora a questo punto l’analisi prosegue acquisendo delle modalità anche di tipo formativo senza però trasformarsi completamente. Un altro elemento: non si va in analisi o meglio non si dovrebbe andare in analisi perché si vuole diventare analisti. C’è una famosa frase di Lacan il quale consigliava, se qualcuno si fosse presentato a fare un’analisi perché voleva diventare analista, di metterlo alla porta immediatamente, perché sicuramente non avrebbe fatto una vera analisi. Questo magari è un punto di vista estremo però fa capire delle cose, cioè fa capire come il percorso dell’analisi sia totalmente diverso da quello che si può intendere come la classica formazione universitaria o post-universitaria, nella quale si imparano delle cose, si sviluppa una certa competenza, una certa cultura in materia. Qui stiamo parlando di tutt’altro. Ecco, c’è da chiedersi se senza questo tipo di formazione abbia senso parlare di psicanalisi, perché che cosa resta della capacità di ascolto dell’analista, quella che si sviluppa proprio grazie al fatto di essere stato in analisi? C’è qualcosa di diverso, non voglio entrare nel discorso della psicoterapia, della sua validità, credo però che sia corretto dire che è una cosa diversa e che la psicanalisi ha delle proprie caratteristiche che la differenziano da discipline che occupano settori limitrofi, ma che non sono la stessa cosa. Queste considerazioni provengono da un punto di vista tecnico: stiamo parlando delle caratteristiche della psicanalisi secondo tutta la tradizione psicanalitica in cui è nata e il modo in cui si è sviluppata. C’è poi un altro versante che abbiamo sviluppato nel Manifesto, che è il versante legale: la famosa legge 56/89. C’è chi ha sostenuto che uno psicanalista in quanto tale non può prescindere dal “Discorso della legge”, e quindi, essendoci una certa legge, non può non agire secondo questa legge. Questo è comprensibile, ma è essenziale a questo punto entrare nel merito della legge. Dire che bisogna tener conto della legge non ha senso se non si 8 entra nel merito di cosa questa legge veramente dice e di cosa nella realtà non dice affatto. Ora io non so quanti di voi di fatto hanno letto la legge 56/89. Forse sapete che la legge 56/89 non nomina affatto la psicanalisi, non c’è la parola psicanalisi all’interno della legge. Questa legge ha istituito l’Ordine degli Psicologi e l’elenco degli psicoterapeuti, elenco interno all’Ordine dei Medici e interno all’Ordine degli Psicologi, nel senso che entrambi possono confluire nell’elenco degli psicoterapeuti. Quindi non c’è un riferimento diretto che faccia dire che “quella legge lì” sta regolando la psicanalisi, anzi di primo acchito sembra proprio che non sia così. Esiste fra l’altro, e questo è un aspetto molto interessante da approfondire, tutta una serie di informazioni relative alla lunga gestazione di questa legge, che è durata quasi vent’anni passando attraverso vari governi, cadute di governi. Alla fine che cosa è successo: la legge conteneva, nella sua fase iniziale, la parola psicanalisi, in seguito si è parlato di terapia ad indirizzo psicanalitico. Ad un certo punto tutto ciò è stato tolto. E’ stato tolto perché si è riconosciuto, e c’è stata anche una attiva partecipazione delle associazioni di psicanalisi, che la psicanalisi non poteva ricadere in quella legge in quanto le modalità formative che si andavano costituendo per la psicoterapia non erano assolutamente adatte, cioè non erano paragonabili, assimilabili a quelle della psicanalisi. Ci sono della interviste a parlamentari i quali a loro volta dichiararono che a un certo punto si riconobbe, correttamente, che la psicanalisi aveva delle sue proprie caratteristiche formative ben definite, codificate, e quindi non era il caso di includerla nella legge 56/89: sarebbe stato un assurdo. Esiste il Parere Pro Veritate del Prof. Galgano, insigne giurista, il quale afferma proprio questo: a fronte della precisa domanda “mi si chiede se oggi per esercitare come psicanalista si debba essere psicoterapeuta” la risposta di Galgano è no, avendo sviluppato tutto un ragionamento che porta a questa conclusione negativa E questo è il versante della legge che abbiamo sviluppato nel Manifesto. Purtroppo come si è detto la situazione reale è stata un’altra, ovvero una serie di denunce ai danni di psicanalisti. Sappiamo di una quindicina di processi 9 in gran parte conclusi con assoluzioni o archiviazioni o non autorizzazione a procedere. SpazioZero si è interrotto ma le denuncie sono continuate. Tutto ciò impedisce l’esistenza di un dibattito scientifico, di una cooperazione fra categorie professionali che avrebbero tutto l’ interesse a collaborare perché psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicanalisti avrebbero un terreno molto fertile sul quale lavorare insieme se le varie categorie fossero riconosciute e potessero coesistere. L’ultima considerazione, e poi chiudo, è relativa al concetto di psicoterapia. Questa argomentazione viene da SpazioZero ma anche da altre dichiarazioni di psicanalisti i quali si sono pronunciati sul concetto di terapia rispetto a quello di psicanalisi per concludere che si tratta di concetti assolutamente diversi. Il concetto di terapia presuppone che ci sia un malato da curare, quindi che la persona che era sana diventi portatrice di malattia e che il medico, in questo caso il terapeuta, sia li per curarla, quindi il terapeuta attivo e il paziente passivo. Il concetto di psicanalisi, come sappiamo, è tutt’altro, non a caso si parla di analizzante come persona che è attiva nel corso dell’analisi e che attraverso un percorso di presa in carico del proprio inconscio e dei propri sintomi arriva a un punto che di sicuro non è un punto di normalità precostituita alla quale bisogna tornare ma è un qualche cosa di suo, una sua scelta, quindi anche da questo punto di vista sembrerebbe evidente che la parola psicoterapia non si adatta. Tra l’altro ci sarebbe da parlare anche di come la psicoterapia viene considerata in altri paesi. Concludendo: noi riteniamo che ci sia una situazione molto confusa e molto negativa nella sua confusione, perché blocca qualsiasi tipo di attività, costringe stimati professionisti a lavorare nell’ombra, impedisce la libera circolazione delle idee. Certamente c’è anche un aspetto di mercato, che ha il suo valore. Per questo abbiamo scritto il Manifesto. Pensiamo che al di là delle parole che abbiamo usato nella scrittura del Manifesto e del fatto che la psicanalisi sia come noi la abbiamo definita o una cosa leggermente diversa sia importante che chi è convinto che questa battaglia sia giusta firmi il Manifesto per la difesa della psicanalisi e ci sostenga, perché bisogna andare all’essenziale, essenziale che forse si è perso nelle iniziative precedenti, che sono arrivate fino 10 ad un certo punto ma purtroppo non fino in fondo. Con questo chiudo e lascio la parola a Lorenzo Varaldo. Lorenzo Varaldo: Vorrei toccare quattro punti che approfondiscono ulteriormente quelli presentati. Premetto due cose: l’elaborazione del Manifesto ha comportato il lavoro di un anno, ci si è interrogati a fondo, ci sono state molte discussioni su questioni analitiche, prima della stesura del documento. La seconda è che questo documento non è solo di psicanalisti, di persone che fanno gli psicanalisti, questo Manifesto è promosso e portato avanti come se la psicanalisi fosse un problema di tutti, paradossalmente anche di quelli che la attaccano da punti di vista diversi. Detto questo vado ai quattro punti di cui parlavo. Il primo riguarda la legge, non parlo della legge 56/89, ma del fatto, più in generale, che lo psicanalista deve conoscere la legge. Questo non significa nulla da un punto di vista di una iniziativa politica: ciò non significa che uno psicanalista o delle persone non possano prendere posizione contro quella legge ed esprimersi su quella legge. Conoscere una legge non vuol dire essere d’accordo. Se un domani fossimo in un regime, come è già capitato, e la Psicanalisi fosse bandita con una legge, lo psicanalista sarebbe chiamato, tanto più come psicanalista e per una questione etica, a prendere posizione. Oggi non siamo in una dittatura, ma c’è una situazione su cui prendere posizione, qualunque valutazione si abbia della legge esistente uno psicanalista è chiamato a prendere posizione. Dire dunque, come fanno molti, che “esiste una legge e bisogna tenerne conto”, non ha valore, non giustifica il fatto che non si faccia una battaglia. Passo al secondo punto. Noi oggi in Italia non siamo né in una condizione di dittatura, né in una condizione in cui la psicanalisi sia “fuori legge”. Grazie alle battaglie fatte prima e dopo la legge Ossicini, anche se non siamo in una situazione chiarissima, non possiamo tuttavia dire di non poter praticare la psicanalisi se non siamo iscritti all’albo, non possiamo dire che non ci sono punti d’appoggio. Grazie a tutto quel lavoro, sono stati creati dei punti d’appoggio nella legge stessa, che pongono una domanda: come è possibile non condurre una battaglia? 11 Il Manifesto non dice che bisogna fare un’altra legge, si tratta di un tema più ampio. Dice piuttosto: visto che il dibattito antecedente alla legge ha tolto delle parole, delle espressioni, ha liberato del terreno, ha evitato il peggio, ha lasciato uno spazio, anche se si è ancora in pericolo – e questo è vero esistono però dei punti d’appoggio da cui ripartire. Poi, dopo l’approvazione della legge 56/89, è stato fatto ancora qualcosa, come spiegava Callegari, ma ci si è fermati e si è creato un vuoto nel quale si sono infilati i problemi. C’è un vuoto d’azione e il Manifesto comincia a colmare questo vuoto. Se si lascia spazio, è più facile subire attacchi, inoltre non si danno gli elementi alla gente, alla magistratura per poter capire. Il Manifesto dà questi elementi e permette di posizionarsi. Questo fatto di posizionarci, di cominciare a comare il vuoto che si è creato in questi anni, ci è sempre sembrato fondamentale, anche quando si discuteva ed eravamo un numero ristretto di persone, ben prima di avere tutte le adesioni che ci sono oggi. La terza questione riguarda il contenuto. La questione su cui abbiamo ragionato di più, durante l’elaborazione del Manifesto in difesa della Psicanalisi, tocca la possibilità di esistere della psicanalisi stessa, cioè di fare dell’analisi vera. Noi partiamo dal presupposto che un’analisi non può non portare ad elaborare il desiderio, la vocazione, l’aspirazione del soggetto, e quindi anche l’eventuale possibilità di diventare analisti. Altrimenti è un’analisi che non va fino in fondo. Con gli analizzanti si immetterebbe un ostacolo, ma non un ostacolo qualunque, un ostacolo che significherebbe proporre una “non analisi”. Questo comporterebbe due problemi: dal punto di vista dell’analizzante, egli non potrebbe fare un’analisi fino in fondo. Si metterebbe un limite, laddove dovrebbe esserci un percorso di libertà, di scoperta libera. L’analista, poi, diventerebbe colui che mette questo limite, che pone dei freni. Non solo l’analisi, ma la psicanalisi stessa sarebbe in gioco, se tutto fosse dominato da questo. L’ultimo punto riguarda lo spirito del Manifesto. Mi ha colpito la frase sulla difficoltà di riconoscere le associazioni, gli altri. Il Manifesto è il tentativo di porsi su un terreno di unità. Durante l’elaborazione stessa c’è stato il tentativo di depurare, di togliere tutto quello che è su un terreno di divisione. All’interno 12 di un discorso scientifico e psicanalitico è necessario fare questo per andare avanti nella discussione. Dal punto di vista della mobilitazione sono importanti due aspetti: togliere ciò che divide e mettere avanti ciò che unisce, oltre il terreno della Psicanalisi. Infatti ci sono state adesioni di professionisti che non sono psicanalisti, perché si sono trovati su un terreno che unisce largamente, per salvaguardare questa specificità e sono stati disponibili a fare qualche passo indietro su ciò che distingue, per poter fare questa battaglia insieme. E’ questo lo spirito con cui noi questa sera presentiamo il Manifesto, che è andato al di là delle nostre e delle mie personali aspettative. Franco Quesito: Grazie a Lorenzo Varaldo per il suo intervento. Prima di continuare con Alessandra Guerra vorrei dire due parole. È stato detto che il Manifesto è andato ben al di là delle aspettative perché è stato tradotto in francese e in inglese ed è stato mandato in Francia e in Gran Bretagna e sta ricevendo adesioni da colleghi psicoanalisti belgi, francesi, inglesi e tedeschi. Due settimane fa Alessandra Guerra era a Parigi a presentare il Manifesto, quindi il Manifesto ha veramente un grande respiro, perché anche in Gran Bretagna e ancor di più in Francia la psicoanalisi sta subendo un identico attacco normalizzatore, un tentativo di normalizzazione. Prima di dare la parola a Alessandra Guerra ringrazio Antonello Sciacchitano che è arrivato da Milano tra mille perigli e nonostante tutto ce l’ha fatta! Antonello Sciacchitano: Volevo solo raccontare un aneddoto, un triste aneddoto, che forse più di mille parole e discorsi, dice la realtà di ignoranza in cui siamo immersi proprio fino al collo. Io sono stato ingaggiato da una psicanalista, citata in giudizio da una sua paziente, che mi ha raccontato la sua storia, una storia di una analisi fallita. Una psicanalisi ha il diritto di fallire, perché non c’è niente, nessuna autorità di legge o scientifica che garantisca che non fallisca. Però questa collega è stata chiamata in giudizio non per il fallimento dell’analisi, è stata chiamata in giudizio per esercizio indebito della professione psicoterapeutica; questa signora non era iscritta all’albo, e la sua paziente, astutamente, ha fatto leva su questa situazione. Il punto triste è il seguente: Io scrivo una relazione di 40 pagine, citando l’MPI, citando la 13 posizione della lobby psicanalitica più accreditata, l’International Psychoanalytical Association, che stabilisce al primo comma del suo codice: “La psicanalisi è una forma di terapia, di psicoterapia, anzi è la psicoterapia per eccellenza”. Cito autori, cito premi Nobel, cito un nostro collega, poeta, Cesare Viviani, che ha scritto un bel libro sull’autonomia della psicanalisi. Questa collega, che mi aveva promesso un compenso, mi dà metà del compenso subito, l’altra metà la rimanda a dopo. Insomma, l’altra metà non la vedo arrivare. E così chiedo: “Come mai?”. Mi dice: “Dottore, non so come dirglielo, ma le chiedo di soprassedere, di dimezzare ancora il compenso perché i miei avvocati non hanno voluto utilizzare la sua relazione. I miei avvocati hanno pensato che i giudici non comprendessero i suoi argomenti”. Allora, a questo punto dico: chiudo baracca e burattini, se l’ignoranza che mi circonda è questa. Basta, non faccio più niente, vado in pensione, sono già in pensione, mi ritiro in riviera. In questi giorni ho vissuto una resurrezione miracolosa, merito di Alessandra Guerra che ha fatto quello che noi vecchietti non siamo riusciti a fare, caro Franco, perché anche noi ci abbiamo provato e ben più di una volta e non ci siamo riusciti, quindi ringraziamo Alessandra. ci ho ripensato, c’è una ragione psicanalitica del successo di Alessandra e del comitato del Manifesto, parlo di lei perché ho interagito con lei più che con gli altri membri del Comitato. C’è un savoir faire politico, un saperci fare con l’inconscio che non è un saperci fare dottrinario, è un saperci fare concreto. Avete dimostrato di saperci completamente fare e questo batte in breccia l’altro saperci fare che è quello delle lobby psicanalitiche. Alessandra Guerra: Innanzitutto devo ringraziare Franco Quesito, presidente di una associazione psicanalitica torinese, perché è stato il primo a pensare di organizzare una serata in occasione di presentazione del Manifesto; ringrazio inoltre Giovanni Callegari, Luciano Faioni e Gabriele Lodari, presidenti di tre associazioni psicanalitiche di Torino che hanno collaborato all’organizzazione di questa serata. E’ un ringraziamento non formale, perché è sostanziale il fatto che quattro associazioni si siano riunite per presentare il nostro Manifesto. Allo stesso modo ringrazio Antonello Sciacchitano e dico subito il perché; il 15 14 settembre scorso sono andata a Milano e ho incontrato due colleghi, uno era Antonello Sciacchitano. Il primo collega incontrato non ha voluto firmare il Manifesto. Poi ho incontrato Antonello Sciacchitano che ha detto che ci avrebbe pensato. Ho preso il treno di ritorno verso Ravenna e giunta a casa ho trovato la sua mail di sostegno al Manifesto; noi conosciamo l’importanza, la capacità intellettuale di Antonello Sciacchitano, e quello che ha fatto per la psicanalisi lacaniana. Quindi sono io che ringrazio per questa importantissima adesione, che ci ha dato ulteriore fiducia e confermato nella convinzione che con il Manifesto non stavamo e non stiamo sbagliando. Ci sono persone in sala che hanno aderito al Manifesto, io ringrazio ciascuna di queste perché si tratta di una questione vera e quindi di una adesione non formale: quando si mette una firma dove c’è del dibattito è perché c’è una questione autentica per ciascuno. Ringrazio anche la libreria Legolibri che ci ospita, perché si tratta di un ambiente altamente qualificato, e il più adatto a un dibattito come questo. Sarò breve, non ripeterò quel che è stato detto, l’aspetto giuridico è stato trattato. E’ vero che ci sono state delle denunce e delle sentenze. Occorre precisare che quando i giuristi si occupano di psicanalisi non capiscono granché. Il Manifesto riporta la psicanalisi all’interno di un dibattito culturale e deve ritornar nella cultura. Sono gli psicanalisti che occorre che dibattano su questo tema, non certo i giuristi. Mi è stato chiesto cosa facciamo, dove stiamo andando, queste firme a cosa servono. Il Manifesto per la difesa della psicanalisi è nato dalla consapevolezza che occorresse riaffermare i principi fondamentali della psicanalisi e della formazione dello psicanalista, in particolare, e quindi a partire da ciò l’essenziale è che il Manifesto dia vita a un movimento culturale su questi temi. Le leggi sono espressione della società e della “mentalità” della società e quindi l’essenziale è riportare il dibattito nella cultura. Per fare questo abbiamo cominciato a raccogliere le adesioni al Manifesto sia di colleghi che di “simpatizzanti” per dire così. Ci siamo resi conto che il mondo psicanalitico “non organizzato” è un mondo estremamente interessante, variegato, ricchissimo; io stessa ho scoperto moltissime associazioni di cui non 15 sospettavo l’esistenza e che rendono la psicanalisi così variegata, ricca di associazioni, di dibattiti di conferenze. Abbiamo anche detto, questa è teoria; se è vero che la teoria non ha confini, è importante che noi affermiamo che i concetti fondamentali e la formazione dello psicanalista, la laicità di questa formazione, prescinde dai confini nazionali; ora abbiamo un Manifesto che viene proposto in quattro lingue a paesi europei e anche non europei. L’aspetto internazionale è fondamentale perchè è importante dire che la psicanalisi cammina sulle gambe degli psicanalisti e sui canoni fondamentali della formazione laica migliaia di colleghi psicanalisti sono d’accordo. Questo dove ci porterà? Ci porterà a fare un convegno europeo, e ci porterà, noi del Manifesto e noi sostenitori del Manifesto a proporci come interlocutori del legislatore europeo perché occorre che ci sia una legislazione sovranazionale in materia di psicanalisi. Le problematiche che abbiamo in Italia esistono anche in Svizzera, Germania, Inghilterra, Francia come io stessa ho scoperto strada facendo. Esiste un Manifesto francese che si intitola Manifeste pur la psychanalyse, e stiamo avviando una collaborazione anche con loro perché è importante che gli psicanalisti collaborino. L’importante è salvaguardare le differenze, il fatto che ci mettiamo assieme e che vogliamo una legislazione europea non significa che la mia idea di psicanalisi è uguale alla tua, ma è questa la ricchezza di questa esperienza, la salvaguardia della differenza. Marco Vecchiato sta ultimando le ultime procedure per fare il sito del Manifesto, il cui nome sarà: www.manifestoperladifesadellapsicanalisi.it. Il sito sarà articolato in diverse sezioni e sarà un sito di battaglia perché a noi la battaglia culturale interessa molto e fra una quindicina di giorni Marco mi ha promesso che ce la possiamo fare. Mi sembra che queste sono le questioni più significative e stiamo andando in questa direzione. Per concludere, vorrei chiedere a ciascuno che non ha ancora aderito di firmare il Manifesto. Grazie. Gabriele Lodari: Perché ho firmato il Manifesto? Forse perché lo considero il primo passo di una battaglia culturale che penso debba sfociare in una rivoluzione che intendo come rivoluzione nella parola. In quanto tale, è una 16 battaglia che non ha nemici da abbattere, non ha ideologie cui contrapporsi, non ha un obiettivo da perseguire (l’obiettivo si volge sempre nell’ideale), non punta a alcuna legge che valga a garantire un sapere già dato e neppure una clinica che possa attendersi un riconoscimento perché ritengo impossibile separare la clinica dalla legge in atto, e dall’etica che è del desiderio. Egualmente, nessuna separazione possibile fra la clinica e la politica, che non voglia dire mollare sulla questione etica. E’ irrinunciabile l’impegno a muoversi in modo etico, vale a dire ciascuno proseguendo nel proprio viaggio intellettuale. Certamente, nel mondo in cui viviamo non è garantita la vittoria per questa battaglia, ma è l’unica strada percorribile e non soltanto dalla psicoanalisi. Come può essere separata la psicanalisi dalla vita senza il rischio di ricadere nell’ideologia, anzi precisamente nella psicoterapia? Il confine fra la psicanalisi e qualsiasi psicoterapia non è facile da scrivere se ci sottraiamo alla questione etica che è la questione intellettuale. La psicoanalisi non può esistere come un corpus dottrinario già scritto; è sapere in atto in quanto effetto, forse possiamo intenderla come il tentativo di una tecnica della conversazione per la quale non può esistere alcun manuale. La rinuncia a questa eccezione della parola autentica già contrassegna immediatamente la caduta in un discorso psicoterapeutico, al di là del riferimento alle scuole, alle dottrine e ai cosiddetti maestri, fossero pure i fondatori. La psicanalisi non ammette neppure maestri e fondatori, per sua natura occorre che viva nella precarietà, una precarietà che la caratterizza come una pratica estrema; occorre che sia vita nella parola estrema perché non può non ammettere che estrema è la vita. Sopravvive soltanto nella condizione nella quale d’altra parte è sorta alla luce, come un sapere dissidente e senza alcuna pretesa di fondamento. Forse la definizione più indovinata di psicanalisi è quella che la considera come un dispositivo, poco più di un espediente, atto a mantenere inscindibile la pratica dalla teoria, nella consapevolezza che la vita che ciascuno può augurarsi è una vita intellettuale. Già il percorso freudiano è orientato irriducibilmente ad avviare una pratica che si fonda sulla consapevolezza che la dimensione intellettuale, ossia il percorso nella parola originaria, è l’autentica pragmatica. 17 Ne consegue che la difesa migliore della psicoanalisi contro la prevaricazione del luogo comune imperante, il tecnicismo vacuo e l’ideologia, può essere realizzata insistendo forse paradossalmente proprio intorno agli argomenti che ci vengono contestati dal cieco pragmatismo. E così l’astrazione, che in fondo è la manovra attuata nel dispositivo dell’analisi, non può non essere considerata una virtù, dato che essa non si contrappone per nulla al concreto, ma anzi lo rende possibile. Impossibile allora definire cosa sia la psicanalisi, questo varrebbe a rispondere alla domanda: cos’è l’inconscio? La domanda suppone l’esistenza di un sapere compiuto e inteso come un dato. L’inconscio non è un ente, non si lascia rappresentare e se ammettiamo che l’Altro è l’inconscio allora nessuna rappresentazione possibile dell’Altro. Che l’inconscio ci sia o non ci sia non è questione che possa essere risolta sul piano ontologico. Massimo Recalcati nel suo libro del 2007 Elogio dell’inconscio scriveva: “Il compito della psicanalisi e soprattutto degli psicoanalisti è innanzitutto quello di difendere l’esistenza dell’inconscio da ciò che ne minaccia l’estinzione”. E’ evidente che questo modello di difesa non è stato sufficiente se nel libro successivo L’uomo senza inconscio annota sconsolato che le nuove forme del sintomo nella modernità presuppongono in qualche modo la scomparsa dell’inconscio. E allora? Battagliare significa insistere sul fatto che l’inconscio non è nulla di sostanziale, non è circoscrivibile dal concetto, ma esso stesso è la vita della parola, la parola che non si immobilizza nella presunzione del logos, dell’identità con se stessa; per noi l’inconscio è la parola originaria e quest’ultima deve anche scrivere la traccia che possa efficacemente orientarci nel movimento, nella battaglia. Nella battaglia è forse di qualche utilità identificare il nemico, rappresentarselo? Inutile, ancor più nel caos della situazione del mondo psi, cioè del discorso che regna sovrano oggi non solo in Italia. Non serve rappresentarci il nemico perché, se la vera autorità è della parola, questa autorità la si conquista parlando. La questione della difesa della psicoanalisi è proprio questa; riconoscere e difendere l’autorità che è della parola e che pertanto non risulta appannaggio di qualcuno. All’interno dei 18 movimenti che sono sorti per contrastare il potere, che poi non è tanto della legge in discussione, quanto della sua interpretazione, è probabile che la debolezza maggiore sia stata proprio questa, ossia di non avvertire che il movimento falliva perché al suo interno non faceva che riproporre in qualche modo, e conseguentemente condurre la lotta, ripetendo soltanto i moduli standardizzati del nemico più forte che volevano combattere. Si opponeva concetto a concetto, e poi ideologia a ideologia, associazione ad associazione, infine psicoterapia a psicoterapia. Difendere la psicoanalisi vuol dire difendere la parola originaria, non l’inconscio come concetto; vuol dire essere stabilmente nella posizione di umiltà di riconoscere che l’autorità non è di una dottrina, di una scuola o di un partito o di uno slogan, ma è prerogativa della parola autentica. La politica della psicoanalisi così diviene addirittura un’espressione ridondante, perché l’autentica politica (e in tal senso la politica è forse fra le discipline la più nobile) è già sul filo di questo costante non cedimento nei confronti della parola originaria. Luciano Faioni: Vorrei porre qualche problema, al quale è semplice dare una soluzione, eventualmente. Intanto il termine psicanalisi di per sé è abbastanza infelice, se ne potevano trovare di migliori però per il momento questo c’é. Un altro aspetto problematico che pesa ed è sempre pesato sulla psicanalisi è il fatto che l’abbia inventata un medico e che buona parte delle persone che fossero intorno a lui fossero medici e che buona parte della letteratura psicanalitica sia stata scritta da medici. Questo non è ininfluente perché tutto ciò che è stato detto da Freud e da tutti gli altri che l’hanno seguito ha mantenuto, almeno in buona parte una terminologia medica: cura, sintomo, malattia, psicopatologia, terapia certo. Tutti termini che usano i medici correntemente e che hanno indotto molte persone e continuano ad indurli a pensare che la psicanalisi, in qualche modo, abbia a che fare con la medicina. È qualcosa che pesa sulla psicanalisi, perché se l’avesse inventata un linguista, un filosofo del linguaggio, un logico, le cose sarebbero state molto più semplici ovviamente, ma così non é andata. 19 Franco Quesito: Forse non avrebbe avuto successo! Luciano Faioni: Può darsi, difficile a dirsi, ma in ogni caso forse la via è porre, come è stato detto in molte occasioni, la separazione fra la psicanalisi, o comunque la si voglia chiamare, e la psicoterapia. La psicoterapia ha a che fare prevalentemente con gli psicologi, quindi con la psicologia, ovviamente, che si basa sul concetto di realtà: la realtà modifica il soggetto, il soggetto viene a sua volta a modificare la realtà, ma è sempre la realtà a costituire il fondamento di ogni dottrina psicologica. Per la psicanalisi non necessariamente, anzi non dovrebbe assolutamente succedere, perché si occupa della parola, dell’atto di parola, del racconto, di tutto ciò che avviene parlando, di tutto ciò che la parola produce, anche il concetto di realtà all’occorrenza, e quindi sono posizioni che potrebbero essere totalmente differenti pur occupandosi di parola, pur essendo medici. Per altro Freud aveva anche detto in modo molto preciso che considerava i medici le persone meno adatte a praticare la psicanalisi. Per una serie di motivi le corporazioni dei medici e degli psicologi sono diventate molto potenti e quindi hanno anche il potere per imporre tra tutte le possibili teorie psicanalitiche la loro, come del resto è avvenuto con la Chiesa, senza nessuna distinzione. La possibilità è quella di creare una distinzione, che è stata già posta, che la psicanalisi non si occupa di curare, non si occupa di medicare alcunché, ma si occupa di parola, sequenze di parole, sequenze di significanti. Un significante è malato? Se sì, dove? Non c’è nessuna possibilità di attribuire a sequenze di parole di significanti l’essere malati, ma molti psicologi immaginano che una persona che crede questo sia una persona malata, perché crede a cose che non stanno né in cielo né in terra. Se così fosse chiunque crede in un Dio, per esempio, dovrebbe essere considerato malato e di conseguenza curato subito, è inevitabile. Però questo non avviene per una quantità notevole di motivi, ovviamente. Forse è possibile, questa è una delle occasioni per riflettere, distinguere in modo netto e totale la psicoanalisi dalla psicoterapia addirittura arrivando a dire che se c’è psicanalisi non può esserci psicoterapia e se c’è psicoterapia non può esserci psicanalisi, in assoluto. 20 Franco Quesito: Bene, grazie. Vi chiedo, chiudendo i lavori della nostra bella serata, essendo qui sul tavolo sia il Manifesto che il modulo di adesione, di farvi parte attiva e di sostenere la nostra battaglia. Grazie a tutti, grazie e arrivederci. Torino, 12 febbraio 2011 21