rivista diritto internazionale privato e processuale

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xlii
N. 2
CONDIZIONI GENERALI DI ABBONAMENTO
AI PERIODICI CEDAM
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ipotesi il cliente sottoscriva l’abbonamento nel corso dell’anno la scadenza è
comunque stabilita al 31 dicembre del medesimo anno: in tal caso l’abbonato sarà tenuto al pagamento dell’intera annata ed avrà diritto di ricevere
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padova
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2006
Anno XLII - N. 2
APRILE-GIUGNO 2006
Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27/02/2004 nº 46) art. 1, comma 1, DCB VERONA - Pubbl. trim.
INDICE DEL FASCICOLO
(Anno XLII, n. 2, aprile-giugno 2006)
DOTTRINA
E. Jayme, Il diritto internazionale privato nel sistema comunitario e i suoi recenti
sviluppi normativi nei rapporti con Stati terzi .....................................................
(Private International Law in the EC System and Recent Developments Concerning Relations with Third States)
S. Bariatti, Qualificazione e interpretazione nel diritto internazionale privato comunitario: prime riflessioni .........................................................................................
(Characterisation and Interpretation in EC Private International Law: First Remarks)
F. Salerno, Le modifiche strutturali apportate dal protocollo n. 14 alla procedura
della Corte europea dei diritti dell’uomo .............................................................
(The Amendments introduced by the Protocol No 14 to the Procedure before
the European Court of Human Rights)
353
361
377
COMMENTI
A. Bonfanti, Lo sviluppo del diritto del commercio internazionale nei lavori dell’UNCITRAL dalla XXXVI alla XXXVIII sessione ...........................................
(Trends of International Trade Law in the Work carried out by UNCITRAL
from the XXXVI to the XXXVIII Session)
399
GIURISPRUDENZA ITALIANA
Contratti – Contratto di deposito accessorio ad un contratto di finanziamento –
Clausola contrattuale di scelta della legge regolatrice indicante la legge italiana
– Espressa regolamentazione della causa di forza maggiore nel contratto – Riferimento agli abituali contenuti della esimente previsti dal diritto italiano – Decreto governativo che impone alle società debitrici controllate dallo Stato di non
adempiere alle obbligazioni – Mancanza dei requisiti della generalità e dell’estraneità dell’evento alla sfera del debitore – Configurabilità di una causa di forza
maggiore – Esclusione: Tribunale di Torino, 21 novembre 2005 .......................
Giurisdizione – Contratto di trasporto – Risoluzione consensuale – Accordo su somma
a titolo compensativo – Disaccordo sull’ammontare – Convenzione di Ginevra
del 19 maggio 1956 sul contratto di trasporto internazionale di merci su strada –
Inapplicabilità – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Applicabilità – Art. 5 n. 1 –
Obbligazione dedotta in giudizio – Luogo di esecuzione – Legge applicabile – L.
31 maggio 1995 n. 218 – Art. 57 – Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 –
475
Art. 4 – Legge italiana – Esecuzione in Italia – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 3 maggio 2005 n. 9106 .................
429
Giurisdizione – Società che trasferisce la sede statutaria in un altro Stato membro ma
non inizia un’effettiva attività imprenditoriale nella nuova sede, né vi trasferisce il
centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa – Apertura di una
procedura concorsuale principale – Regolamento (CE) n. 1346/2000 – Art. 3
par. 1 – Localizzazione del centro degli interessi principali in Italia – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 20 maggio 2005
n. 10606 ..................................................................................................................
432
Giurisdizione – Azione di responsabilità contro un vettore aereo internazionale – Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 sul trasporto aereo internazionale – Art.
28 – Norma che pone criteri di competenza giurisdizionale – Norma sulla competenza interna – Esclusione: Corte di Cassazione, ordinanza 26 maggio 2005 n. 11183
435
Giurisdizione – Regolamento di giurisdizione – Controversia instaurata in Italia –
Previa pendenza di un processo straniero – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 7
– Mancata sospensione del giudizio italiano – Pronuncia e passaggio in giudicato
della sentenza straniera – Inammissibilità del regolamento di giurisdizione: Corte
di Cassazione (s.u.), ordinanza 15 giugno 2005 n. 12792 ....................................
443
Giurisdizione – Contratto di distribuzione – Regolamento di giurisdizione – Ammissibilità – Regolamento (CE) n. 44/2001 – Art. 23 – Proroga di competenza –
Mancata firma delle parti – Inefficacia – Art. 5 n. 1 – Luogo di consegna della
merce – Italia – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Corte di Cassazione (s.u.),
ordinanza 6 luglio 2005 n. 14208 .........................................................................
447
Giurisdizione – Società avente sede statutaria in un altro Stato membro – Apertura in
Italia di una procedura principale d’insolvenza – Regolamento (CE) n. 1346/
2000 – Art. 3 par. 1 – Criterio del centro degli interessi principali della società
insolvente – Luogo in cui si forma la volontà e sono concentrati gli interessi della
società stessa – Mancata prova della localizzazione in Italia – Giurisdizione
italiana – Insussistenza: Tribunale di Milano, 6 luglio 2005 ................................
450
Giurisdizione – Immunità dalla giurisdizione – Istituto universitario europeo – Controversia relativa a rapporto di lavoro – Convenzione relativa alla creazione
dell’Istituto universitario europeo del 19 aprile 1972 e allegato protocollo sui
privilegi e sulle immunità – Accordo di sede tra l’Istituto e il Governo italiano del
10 luglio 1975 – Soggettività internazionale dell’Istituto – Sussistenza – Immunità dalla giurisdizione – Contrasto con l’art. 24 Cost. – Esclusione – Giurisdizione italiana – Insussistenza: Corte di Cassazione (s.u.), 28 ottobre 2005 n. 20995
468
Giurisdizione – Domanda di adempimento delle obbligazioni nascenti da un contratto
di deposito accessorio a un contratto di finanziamento – Clausola di scelta del
foro a favore del giudice italiano – Clausola arbitrale inserita nel contratto di
finanziamento – Irrilevanza – Giurisdizione italiana – Sussistenza: Tribunale di
Torino, 21 novembre 2005 ....................................................................................
475
Ordine pubblico – Sentenza straniera di divorzio tra due cittadini italiani – L. 31
maggio 1995 n. 218 – Art. 64 lett. a – Accertamento del disfacimento della
comunione coniugale – Contrasto con l’ordine pubblico – Insussistenza: Corte
di Appello di Milano, 1º settembre 2005 ..............................................................
452
Procedimento civile – Regolamento di giurisdizione – Controversia instaurata in Italia
– Previa pendenza di un processo straniero – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 7 –
Mancata sospensione del giudizio italiano – Pronuncia e passaggio in giudicato
della sentenza straniera – Inammissibilità del regolamento di giurisdizione: Corte
di Cassazione (s.u.), ordinanza 15 giugno 2005 n. 12792 ....................................
443
Procedimento civile – Sentenza straniera di divorzio tra due cittadini italiani – Instaurazione del giudizio sul riconoscimento tramite comparsa di riassunzione anziché
tramite atto di citazione – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 67 – Principio di
conservazione degli atti – Art. 159, terzo comma cod. proc. civ. – Validità
dell’atto suddetto – Art. 72 della legge – Giudizi iniziati dopo la sua entrata in
vigore – Nozione – Applicabilità della legge: Corte di Appello di Milano, 1º
settembre 2005 .......................................................................................................
452
Procedimento civile – Procedimento relativo a un contratto di deposito accessorio ad
un contratto di finanziamento oggetto di un giudizio arbitrale – Lodo arbitrale
dichiarato efficace e non piú impugnabile nel merito nell’ordinamento italiano –
Impugnazione del lodo proposta da una parte della controversia presso la Corte
di Appello di Parigi – Irrilevanza – Sospensione del procedimento italiano fino
all’esito del giudizio estero sull’impugnazione – Esclusione: Tribunale di Torino,
21 novembre 2005 .................................................................................................
475
Rapporti tra genitori e figli – L. 31 maggio 1995 n. 218 – Art. 36 – Legge nazionale del
minore – Legge straniera – Titolarità della potestà genitoriale in capo al padre –
Facoltà del padre di consentire alla convivenza del figlio con la madre – Delega
alla madre dell’esercizio della potestà: Corte di Cassazione, 9 giugno 2005 n.
12169 ......................................................................................................................
438
Regolamento (CE) n. 1346/2000 – Art. 3 par. 1 – Apertura di una procedura principale d’insolvenza – Società che trasferisce la sede statutaria in un altro Stato
membro ma non inizia un’effettiva attività imprenditoriale nella nuova sede, né vi
trasferisce il centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa – Localizzazione del centro degli interessi principali in Italia: Corte di Cassazione (s.u.),
ordinanza 20 maggio 2005 n. 10606 ....................................................................
432
Regolamento (CE) n. 1346/2000 – Art. 3 par. 1 – Apertura in Italia di una procedura
principale d’insolvenza – Società avente sede statutaria in un altro Stato membro – Criterio del centro degli interessi principali della società insolvente –
Luogo in cui si forma la volontà e sono concentrati gli interessi della società
stessa – Mancata prova della localizzazione in Italia: Tribunale di Milano, 6
luglio 2005 ............................................................................................................
450
Regolamento (CE) n. 44/2001 – Risoluzione consensuale di contratto di trasporto –
Accordo su somma a titolo compensativo – Disaccordo sull’ammontare – Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956 sul contratto di trasporto internazionale
di merci su strada – Inapplicabilità – Art. 5 n. 1 – Obbligazione dedotta in
giudizio – Luogo di esecuzione – Legge applicabile – L. 31 maggio 1995 n.
218 – Art. 57 – Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 – Art. 4 – Legge
italiana – Esecuzione in Italia: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 3 maggio
2005 n. 9106 ..........................................................................................................
429
Regolamento (CE) n. 44/2001 – Contratto di distribuzione – Art. 23 – Proroga di
competenza – Mancata firma delle parti – Inefficacia – Art. 5 n. 1 – Luogo di
consegna della merce: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 6 luglio 2005 n.
14208 ......................................................................................................................
447
Sentenze ed atti stranieri – Efficacia in Italia – Sentenza straniera di divorzio tra due
cittadini italiani – Instaurazione del giudizio sul riconoscimento tramite com-
parsa di riassunzione anziché tramite atto di citazione – L. 31 maggio 1995 n. 218
– Art. 67 – Principio di conservazione degli atti – Art. 159, terzo comma cod.
proc. civ. – Validità dell’atto suddetto – Art. 72 della legge – Giudizi iniziati
dopo la sua entrata in vigore – Nozione – Applicabilità della legge – Competenza
internazionale del giudice straniero – Art. 64 lett. a – Criterio della residenza
dell’attore – Sussistenza – Contrasto con l’ordine pubblico – Accertamento del
disfacimento della comunione coniugale – Insussistenza: Corte di Appello di
Milano, 1º settembre 2005 ....................................................................................
452
Sottrazione internazionale dei minori – Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 –
Artt. 3 e 4 – Violazione dei diritti di custodia di un minore – Stato di residenza
abituale – Nozione di residenza abituale del minore – Indagine di fatto – L. 15
gennaio 1994 n. 64 – Art. 7 – Decisione sulla restituzione del minore – Termine
di trenta giorni dalla ricezione della richiesta – Carattere ordinatorio: Corte di
Cassazione, 2 febbraio 2005 n. 2093 ....................................................................
425
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 13 comma 7 – Cittadino extracomunitario – Decreto di espulsione – Obbligo di traduzione in una lingua conosciuta
dall’espellendo – Traduzione nella lingua ufficiale del paese dell’interessato –
Adeguatezza – Eventuale mancata conoscenza di tale idioma – Irrilevanza – D.l.
9 settembre 2002 n. 195, convertito in l. 9 ottobre 2002 n. 222 – Art. 2 – Istanza
di sanatoria tramite dichiarazione di emersione – Antecedenza rispetto al decreto
di espulsione – Illegittimità del decreto – Posteriorità rispetto al decreto – Accoglimento dell’istanza di sanatoria – Revoca del decreto: Corte di Cassazione, 13
aprile 2004 n. 6993 ................................................................................................
492
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 30 comma 6 – Cittadino extracomunitario – Diniego di permesso di soggiorno per motivi familiari – Decreto del
tribunale su ricorso avverso il diniego – Richiamo dell’art. 739 cod. proc. civ. –
Possibilità di reclamo alla corte d’appello – Permesso di soggiorno per motivi
familiari – Rilascio a seguito di matrimonio con cittadino italiano – Interpretazione sistematica del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – D.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 –
Art. 28 – Casi di divieto di espulsione – Permesso di soggiorno – Richiamo del
d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 19 lett. c – Rilascio allo straniero convivente
con il coniuge cittadino italiano – Esigenza della convivenza: Corte di Cassazione,
20 aprile 2004 n. 7473 ..........................................................................................
494
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Artt. 5 comma 2 e 13 comma 2 – Cittadino
extracomunitario – Richiesta di permesso di soggiorno – Termine di otto giorni
dall’ingresso in Italia – Data dell’ingresso – Onere della prova – Grava sullo
straniero colto senza permesso – D.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 – Art. 7 comma 2
– Attraversamento della frontiera – Apposizione di timbro sul passaporto da
parte delle autorità italiane – Certificazione della data d’ingresso – Straniero che
abbia conseguito il visto di ingresso da altro paese dell’area Schengen – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 19 giugno 1990 – L. 30
settembre 1993 n. 388 di esecuzione della convenzione – Art. 13 comma 2 –
Visto uniforme – Diritto di accesso al territorio dello Stato – Esenzione del
beneficiario dall’onere della certificazione dell’ingresso – Esclusione: Corte di
Cassazione, 22 aprile 2004 n. 7668 .......................................................................
495
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 13 comma 2 lett. b – Cittadino extracomunitario – Richiesta di permesso di soggiorno – Espulsione per mancato
rispetto del termine – Impedimento all’espulsione dato dalla forza maggiore –
Necessità di forza esterna irresistibile – Stato di detenzione – Induzione in errore
da parte degli educatori del carcere – Insussistenza di forza maggiore: Corte di
Cassazione, 3 giugno 2004 n. 10568 .....................................................................
496
Straniero – Art. 111 Cost., cosı́ come modificato dall’art. 1 comma 7 l. cost. 23
gennaio 1999 n. 2 – Organi giurisdizionali ordinari e speciali – Sentenze e
provvedimenti sulla libertà personale – Ammissibilità in tutti i casi del ricorso
per cassazione – Ordine del questore di lasciare il territorio nazionale – Atto
amministrativo – Inapplicabilità – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 14 comma 6
– Decreto camerale di convalida del tribunale – Ricorribilità per cassazione:
Corte di Cassazione, 10 giugno 2004 n. 10983 ....................................................
497
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 30 comma 6 – Cittadino extracomunitario – Diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di
soggiorno per motivi familiari – Ricorso – Provvedimento camerale del tribunale
– Lesione di diritti soggettivi – Art. 111 Cost. – Ricorribilità per cassazione –
Decreto emesso da giudice monocratico – Possibilità di reclamo alla corte d’appello – Competenza speciale del tribunale del luogo in cui l’interessato risiede –
Disposizione di favore per la parte piú bisognosa – Prevalenza sulla competenza
erariale di cui all’art. 6 r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286
– Art. 29 comma 1 lett. c – Requisito della vivenza a carico per il ricongiungimento familiare – Situazione in cui le rimesse di denaro sono effettuate da
soggetto diverso dal richiedente – Deduzione della corte d’appello di integrazione del requisito – Violazione di legge o vizio di motivazione deducibili in
cassazione – Non configurabilità: Corte di Cassazione, 25 giugno 2004 n. 11862
498
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Cittadino extracomunitario – Decreto di
espulsione – Impugnazione – Art. 13 – Provvedimento prefettizio su istanza di
revoca del decreto – Provvedimento prefettizio di revoca della revoca dell’espulsione – Estensione della disciplina – Art. 13 comma 8 – Termine di cinque giorni
per l’impugnazione – Estensione – Art. 13 comma 9 – Competenza del tribunale
in composizione monocratica – Decisione in camera di consiglio – Art. 28 cod.
proc. civ. – Procedimenti camerali – Inderogabilità – Provvedimenti relativi
all’espulsione emessi da diversi prefetti – Art. 33 cod. proc. civ. – Cumulo
soggettivo – Inapplicabilità – Art. 33 cod. proc. civ. e art. 13 comma 9 del
d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta
infondatezza – Provvedimento impugnato – Mancata indicazione dell’autorità
cui ricorrere e del termine per proporre impugnazione – Decadenza del termine
– Impedimento: Corte di Cassazione, 7 luglio 2004 n. 12428 .............................
500
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 13 comma 2 lett. b – Cittadino extracomunitario – Trattenimento illegale nel territorio dello Stato – Decreto di
espulsione – Automaticità – Richiesta del permesso di soggiorno – Termine di
otto giorni – Ignoranza da parte dello straniero – Irrilevanza – Art. 28 comma 1 –
Diritto al mantenimento dell’unità familiare – Limitazione agli stranieri regolarmente presenti in Italia: Corte di Cassazione, 24 novembre 2004 n. 22206 .......
503
Straniero – Cittadino extracomunitario – Visti relativi a ricongiungimenti familiari –
D.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 – Art. 6 comma 2 – Verifica dei requisiti di cui
all’art. 6 comma 1 – Rilascio del nulla osta – Competenza della questura –
Verifica dei presupposti di parentela, coniugio, minore età, inabilità al lavoro,
convivenza – Competenza della autorità consolare – Inclusione nella verifica
delle ulteriori condizioni di natura economica in cui si trovi il destinatario del
visto – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 29 comma 1 lett. c – Necessità che si
tratti di genitori a carico: Corte di Cassazione, 5 gennaio 2005 n. 209 ..............
505
Straniero – L. 30 luglio 2002 n. 189 – Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo – Art. 33 comma 7 lett. c – D.l. 9 settembre 2002 n. 195,
convertito con modificazioni in l. 9 ottobre 2002 n. 222 – Disposizioni urgenti in
materia di legalizzazione del lavoro irregolare di cittadini extracomunitari – Art.
1 comma 8 lett. c – Lavoratore extracomunitario – Istanza di regolarizzazione –
Artt. 380 e 381 cod. proc. pen. – Reati per cui è previsto l’arresto in flagranza –
Denuncia dell’istante per uno di tali reati – Rigetto automatico dell’istanza –
Contrasto con l’art. 3 Cost. – Illegittimità costituzionale: Corte Costituzionale, 18
febbraio 2005 n. 78 ...............................................................................................
507
Straniero – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Art. 29 comma 1 lett. b – Cittadino extracomunitario – Richiesta di ricongiungimento familiare per il figlio minore a
carico – Necessità che il soggetto richiedente provveda al sostentamento del
figlio – Necessità dell’assenso dell’altro genitore – Art. 29 comma 3 lett. a e b
– Necessità di dimostrare l’esistenza di alloggio idoneo e di reddito sufficiente –
Spettanza della potestà sul figlio all’altro genitore – Irrilevanza – Convenzione di
New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 – Art. 18 – Comuni
responsabilità dei genitori in ordine all’allevamento e sviluppo del bambino –
Impegno degli Stati parte a riconoscere tale principio – Conformità – Art. 30
Cost. – Conformità: Corte di Cassazione, 9 giugno 2005 n. 12169 ....................
438
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di applicazione dell’accordo di
Schengen del 19 giugno 1990 – L. 30 settembre 1993 n. 388 di esecuzione della
convenzione – Art. 13 comma 2 – Visto uniforme – Diritto di accesso al territorio
dello Stato – D.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – Artt. 5 comma 2 e 13 comma 2 –
Cittadino extracomunitario – Richiesta di permesso di soggiorno – Termine di
otto giorni dall’ingresso in Italia – Data dell’ingresso – Onere della prova –
Grava sullo straniero colto senza permesso – D.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 –
Art. 7 comma 2 – Attraversamento della frontiera – Apposizione di timbro sul
passaporto da parte delle autorità italiane – Certificazione della data d’ingresso –
Straniero che abbia conseguito il visto di ingresso da altro paese dell’area Schengen – Esenzione del beneficiario dall’onere della certificazione dell’ingresso –
Esclusione: Corte di Cassazione, 22 aprile 2004 n. 7668 .....................................
495
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980
sulla sottrazione internazionale di minori – Artt. 3 e 4 – Violazione dei diritti di
custodia di un minore – Stato di residenza abituale – Nozione di residenza
abituale del minore – Indagine di fatto – Applicabilità: Corte di Cassazione, 2
febbraio 2005 n. 2093 ...........................................................................................
425
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956
sul contratto di trasporto internazionale di merci su strada – Risoluzione consensuale di contratto di trasporto – Accordo su somma a titolo compensativo –
Disaccordo sull’ammontare – Inapplicabilità – Regolamento (CE) n. 44/2001 –
Applicabilità: Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 3 maggio 2005 n. 9106 ......
429
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929
sul trasporto aereo internazionale – Azione di responsabilità contro il vettore –
Art. 28 – Norma che pone criteri sulla competenza giurisdizionale – Norma sulla
competenza interna – Esclusione: Corte di Cassazione, ordinanza 26 maggio 2005
n. 11183 ..................................................................................................................
435
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo del 20 novembre 1989 – Art. 18 – Comuni responsabilità dei genitori in
ordine all’allevamento e sviluppo del bambino – Impegno degli Stati parte a
riconoscere tale principio – Art. 30 Cost. – Conformità: Corte di Cassazione, 9
giugno 2005 n. 12169 ............................................................................................
438
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985 sulla
legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento – Regime tavolare – Iscrizione
nei registri di un trasferimento immobiliare a favore di un trustee – Art. 12 –
Applicazione diretta – Trust interno – Ammissibilità in linea di principio –
Sindacato dell’autorità giudiziaria – Criterio del favor validitatis – Verifica in
concreto della liceità rispetto alle norme imperative e ai principi cogenti dell’ordinamento italiano: Tribunale di Trieste, decreto 23 settembre 2005 ................
458
Trattati e norme internazionali generali – Convenzione relativa alla creazione dell’Istituto universitario europeo del 19 aprile 1972 e allegato protocollo sui privilegi
e sulle immunità – Accordo di sede tra l’Istituto e il Governo italiano del 10
luglio 1975 – Immunità dalla giurisdizione – Soggettività internazionale dell’Istituto – Sussistenza – Controversia relativa a rapporto di lavoro – Immunità
dalla giurisdizione – Contrasto con l’art. 24 Cost. – Esclusione: Corte di Cassazione (s.u.), 28 ottobre 2005 n. 20995 ..................................................................
468
Trust – Regime tavolare – Iscrizione nei registri di un trasferimento immobiliare a
favore di un trustee – Convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985 – Art. 12 –
Applicazione diretta – Trust interno – Ammissibilità in linea di principio –
Sindacato dell’autorità giudiziaria – Criterio del favor validitatis – Verifica in
concreto della liceità rispetto alle norme imperative e ai principi cogenti dell’ordinamento italiano: Tribunale di Trieste, decreto 23 settembre 2005 ................
458
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA
Atti delle istituzioni – Provvedimenti di esecuzione e di aggiornamento del Manuale
comune e dell’Istruzione consolare comune – Modalità pratiche di applicazione
delle regole in materia di passaggio delle frontiere esterne e di visti – Regolamenti
(CE) n. 789/2001 e n. 790/2001 del 24 aprile 2001 – Riserva transitoria di
competenza per l’adozione dei suddetti provvedimenti a favore del Consiglio e
in parte degli Stati membri – Legittimità – Sussistenza: Corte di giustizia, 18
gennaio 2005 nella causa C-257/01 ......................................................................
547
Diritto comunitario – Art. 230 CE – Ricorso per annullamento – Art. 232 CE –
Ricorso per carenza – Mancata proposizione da parte di uno Stato a vantaggio
di uno dei suoi cittadini – Disposizione del diritto nazionale – Obbligo di agire in
capo allo Stato o responsabilità per non aver agito – Diritto comunitario –
Contrasto – Insussistenza: Corte di giustizia, 20 ottobre 2005 nella causa C511/03 .....................................................................................................................
560
Diritto comunitario – Direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 n. 2000/78/CE,
intesa a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate
sull’età in materia di occupazione e di lavoro – Principio di parità di trattamento
o di non discriminazione, in particolare in ragione dell’età – Qualificazione come
principio generale del diritto comunitario – Rispetto del principio anche nei
rapporti tra privati – Compito del giudice nazionale – Disapplicazione delle
norme nazionali contrastanti – Termine di trasposizione della direttiva suddetta
non ancora scaduto – Irrilevanza: Corte di giustizia, 22 novembre 2005 nella
causa C-144/04 ......................................................................................................
564
Divieto di discriminazione – Regimi di sicurezza sociale applicabili ai lavoratori su-
bordinati ed ai loro familiari, che si spostano all’interno della Comunità – Regolamento (CEE) 14 giugno 1971 n. 1408/71 – Art. 13 n. 2 – Legge applicabile
alle prestazioni familiari – Differenze nelle normative nazionali richiamate dalle
norme di conflitto – Eventuali disparità di trattamento – Art. 12 CE – Art. 3 del
suddetto regolamento – Principio di non discriminazione in base alla nazionalità
– Violazione – Insussistenza: Corte di giustizia, 20 gennaio 2005 nella causa C302/02 .....................................................................................................................
554
Divieto di discriminazione – Principio di parità di trattamento o di non discriminazione, in particolare in ragione dell’età – Qualificazione come principio generale
del diritto comunitario – Rispetto del principio anche nei rapporti tra privati –
Compito del giudice nazionale – Disapplicazione delle norme nazionali contrastanti – Direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 n. 2000/78/CE, intesa a
stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’età in
materia di occupazione e di lavoro – Termine di trasposizione della direttiva
suddetta non ancora scaduto – Irrilevanza: Corte di giustizia, 22 novembre 2005
nella causa C-144/04 .............................................................................................
564
Regolamento (CE) n. 1346/2000 – Art. 43, prima frase – Ambito di applicazione
temporale – Domanda di apertura di una procedura di insolvenza proposta
prima dell’entrata in vigore del regolamento – Decisione di apertura di una
procedura di insolvenza non adottata prima della sua entrata in vigore – Applicazione del regolamento – Sussistenza – Art. 3 par. 1 – Competenza ad aprire
una procedura d’insolvenza principale – Criterio del centro degli interessi principali – Trasferimento dello stesso nel territorio di un altro Stato membro successivamente alla proposizione della domanda, ma anteriormente all’apertura
della procedura – Irrilevanza – Competenza internazionale – Sussistenza: Corte
di giustizia, 17 gennaio 2006 nella causa C-1/04 .................................................
509
Relazioni esterne – Competenza della Comunità a concludere la nuova convenzione di
Lugano, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale – Pregiudizio per l’applicazione uniforme e coerente delle norme comunitarie per quanto riguarda sia la
competenza giurisdizionale sia il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e il
corretto funzionamento del sistema globale istituito da tali norme – Carattere
esclusivo della competenza comunitaria – Sussistenza: Corte di giustizia, parere 7
febbraio 2006 n. 1/03 ............................................................................................
514
Sicurezza sociale – Titolo II del regolamento (CEE) 14 giugno 1971 n. 1408/71 –
Regimi di sicurezza sociale applicabili ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari, che si spostano all’interno della Comunità – Sistema completo ed uniforme
di norme di conflitto – Detenuto che abbia cessato qualsiasi attività lavorativa
nello Stato membro in cui abbia iniziato ad espiare la pena e, su propria richiesta,
sia stato trasferito in un istituto penitenziario ubicato nel proprio Stato membro
d’origine al fine di ivi espiare la rimanente detenzione – Determinazione delle
prestazioni familiari – Art. 13 n. 2 lett. a e f del suddetto regolamento – Legge
applicabile – Legge dello Stato membro in cui è situato l’istituto penitenziario:
Corte di giustizia, 20 gennaio 2005 nella causa C-302/02 ...................................
554
Trattati e norme internazionali generali – Nuova convenzione di Lugano, concernente
la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale – Pregiudizio per l’applicazione uniforme e coerente
delle norme comunitarie per quanto riguarda sia la competenza giurisdizionale
sia il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e il corretto funzionamento del
sistema globale istituito da tali norme – Conclusione della convenzione suddetta
– Competenza esclusiva della Comunità – Sussistenza: Corte di giustizia, parere 7
febbraio 2006 n. 1/03 ............................................................................................
514
DOCUMENTAZIONE
Modifiche alla legge 4 febbraio 2005 n. 11 (legge 25 gennaio 2006 n. 29) ...............
568
Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari (legge 28
dicembre 2005 n. 262) ..........................................................................................
568
Direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005
relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali ................................
573
Convenzione delle Nazioni Unite sull’uso di comunicazioni elettroniche nei contratti
internazionali (New York, 23 novembre 2005) ...................................................
583
NOTIZIARIO
Dalla pratica legislativa, giudiziaria e internazionale. Trattati internazionali entrati in
vigore per l’Italia (secondo i comunicati apparsi nella Gazzetta Ufficiale dal
gennaio 2006 al febbraio 2006) – La legge comunitaria per il 2005 – Attuazione
della direttiva 2002/74/CE concernente la tutela dei lavoratori subordinati in
caso di insolvenza del datore di lavoro – Riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali – Revisione della parte aeronautica del codice della navigazione – Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte
europea dei diritti dell’uomo – Proroga dello stato di emergenza per contrastare
l’afflusso di extracomunitari – Accordo sulla riammissione delle persone con la
Repubblica federale iugoslava – Accordo per facilitare il rilascio dei visti con la
Federazione russa – Entrata in vigore internazionale della nuova convenzione di
adesione alla convenzione di Roma del 1980 – Decisione sulla firma dell’accordo
tra la Comunità europea e la Danimarca relativo al regolamento (CE) n. 1348/
2000 sulle notificazioni – Nuova modifica del regolamento relativo all’introduzione dell’euro – Norme minime per le procedure relative al riconoscimento e
alla revoca dello status di rifugiato – Dichiarazioni della Francia e dell’Ungheria
di accettazione della competenza pregiudiziale della Corte di giustizia di cui
all’art. 35 del trattato UE – Modifiche del protocollo sullo statuto della Corte
di giustizia, del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado e decisione del Presidente della Corte sul Tribunale della funzione pubblica – Direttiva
contro l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del
terrorismo – Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta di
direttiva sulla mediazione – Nuovi provvedimenti relativi a misure restrittive nei
confronti di Liberia e Uzbekistan – Proposta della Commissione di regolamento
«Roma I» – Proposta di regolamento del Consiglio in materia di obbligazioni
alimentari e comunicazione della Commissione sulla procedura normativa –
Proposta di decisione del Consiglio sull’adesione della CE alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato – Libro verde sul risarcimento del danno
per violazione del diritto comunitario antitrust – In tema di scambio di informazioni estratte dal casellario giudiziario – Libro verde sui conflitti di giurisdizione
e principio del ne bis in idem nei procedimenti penali – Sulla ripartizione delle
competenze in materia penale fra il primo e il terzo pilastro – Sul contrasto alla
tratta di esseri umani – Raccomandazione della Commissione sulla gestione
transfrontaliera collettiva dei diritti d’autore nel campo dei servizi musicali online ..........................................................................................................................
592
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
L. de Lima Pinheiro (ed.), Seminário Internacional sobre a Comunitarização do
Direito Internacional Privado (F. Pocar) ...............................................................
615
M. Lattimer, P.J. Sands (eds.), Justice for Crimes Against Humanity (T. Treves) .
615
D. Luff, Le droit de l’Organisation mondiale du commerce. Analyse critique (T. Treves) ..........................................................................................................................
616
E. Schäfer, H. Verbist, C. Imhoos, ICC Arbitration in Practice (G. Crespi Reghizzi) .....................................................................................................................
617
M. Gonzalo Quiroga, Orden público y arbitraje internacional en el marco de la
globalización comercial (Arbitrabilidad y Derecho aplicable al fondo del controversia internacional) (A. Malatesta) ............................................................................
620
M. Gonzalo Quiroga, Arbitrabilidad de la controversia internacional en Derecho de
la Competencia y Condiciones Generales de Contratacion: Arbitraje Internacional
de Consumo, Seguros y Trabajo (A. Malatesta) ....................................................
620
DOTTRINA
ERIK JAYME
professore nell’università di heidelberg
IL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO NEL SISTEMA
COMUNITARIO E I SUOI RECENTI SVILUPPI NORMATIVI
NEI RAPPORTI CON STATI TERZI *
Sommario: 1. Introduzione: l’art. 65 del trattato CE. – 2. I recenti sviluppi normativi. – 3. Il
metodo del riconoscimento. – 4. Esempio: il matrimonio di persone dello stesso sesso. –
5. Relazioni con Stati terzi. – 6. Segue: trattati con Stati terzi. – 7. Codificazioni nazionali.
– 8. Conclusioni: corso e ricorso di metodi.
1. Secondo l’art. 65 del trattato CE le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti implicazioni transfrontaliere, includono «la promozione della compatibilità delle regole di conflitti
di leggi e di competenza giurisdizionale». Questa norma conferisce la competenza legislativa in materia di diritto internazionale privato e processuale
alla Comunità europea «per quanto necessario al corretto funzionamento
del mercato interno».
Dobbiamo ricordare che la norma stessa fa parte del titolo IV del
trattato CE, che riguarda «Visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione».
Si pone la questione di quali sono i recenti sviluppi normativi e quale
spazio resta al legislatore nazionale per legiferare, sia mediante trattati
internazionali sia in forma di codificazioni nazionali sui problemi di diritto
internazionale privato. 1
2. Se parliamo dei recenti sviluppi normativi dobbiamo prendere le
mosse dal cosidetto programma dell’Aja sul rafforzamento della libertà,
della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea pubblicato sulla Gaz-
* Relazione presentata alla Tavola rotonda sul tema «Il diritto internazionale privato nel
sistema comunitario», organizzata dall’Università degli Studi di Macerata, nei giorni 7-8 ottobre 2005. V. Jayme, Das Internationale Privatrecht im System des Gemeinschaftsrechts – Tagung in Macerata, in IPRax, 2006, fasc. 1.
1
V. Jayme, Kohler, Europäisches Kollisionsrecht 2005: Hegemonialgesten auf dem
Weg zu einer Gesamtvereinheitlichung, in IPRax, 2005, p. 481 ss.
354
dottrina
zetta ufficiale il 3 marzo 2005. 2 Si tratta di un programma del Consiglio
europeo. Nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia civile sono
menzionati i progetti seguenti: 3
a) «Roma I», cioè la trasformazione della convenzione di Roma sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980 in uno
strumento comunitario tenendo conto dei lavori per la riforma di queste
regole di conflitto. 4
b) «Roma II»: il progetto per un regolamento concerne i conflitti di
leggi in relazione alle obbligazioni extracontrattuali. 5 I lavori si trovano in
uno stadio avanzato. Vi è da menzionare anche la posizione recente del
Parlamento europeo relativa a questo progetto.
c) «Roma III» concerne la legge applicabile al divorzio. 6 È stato pubblicato un Libro verde in materia di divorzio con un questionario. I problemi della competenza giurisdizionale e del riconoscimento delle sentenze
in materia matrimoniale sono stati già disciplinati dai regolamenti «Bruxelles II» e «Bruxelles II-bis», 7 e si parla già di «Bruxelles II-ter».
d) «Roma IV»: riguarda le successioni. 8 Esiste un Libro verde sul
conflitto di leggi in materia di successione che include la questione della
competenza giurisdizionale, del reciproco riconoscimento e dell’esecuzione
delle decisioni in questo settore. Si pensa anche ad un certificato d’eredità
europeo e ad un meccanismo che consenta una conoscenza precisa dell’esistenza di ultime volontà e di testamenti dei cittadini dell’Unione europea.
e) Il programma dell’Aja prevede per il 2006 «un libro verde sul conflitto di leggi in materia di regime patrimoniale fra coniugi compreso il
problema della competenza giurisdizionale e del riconoscimento reciproco».
f) È già in vigore il regolamento «Bruxelles I» cioè la trasformazione
della convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale. Stranamente questa
2
Gazz. Uff. Un. eur., n. C 53/1 del 3 marzo 2005.
Ivi, p. 13.
4
Cfr. Jayme, Die Vergemeinschaftung des Europäischen Vertragsübereinkommens (Rom
I), in Reichelt, Rechberger (Hrsg.), Europäisches Kollisionsrecht, Wien, 2004, p. 3 ss.; Id.,
Choice-of-Law Clauses in International Contracts: Some Thoughts on the Reform of Art. 3 of
the Rome Convention, in de Lima Pinheiro, Seminário Internacional sobre a Comunitarização do Direito Internacional Privado, Coimbra, 2005, p. 53 ss.
5
V. Huber, Bach, Die Rom II-VO – Kommissionsentwurf und aktuelle Entwicklungen,
in IPRax, 2005, p. 73.
6
Libro verde del 14 marzo 2005, COM(2005) 82 def.
7
Cfr. Gruber, Die neue EheVO und die deutschen Ausführungsgesetze, in IPRax, 2005,
p. 293 ss.
8
Libro verde del 1º marzo 2005, COM(2005) 65 def. V. anche Torstein Frantzen,
Europäisches internationales Erbrecht, in Festschrift E. Jayme, Berlin, 2004, I, p. 187 ss.; Dörner, Hertel, Lagarde, Riering, Auf dem Weg zu einem europäischen Internationalen Erbund Erbverfahrensrecht, in IPRax, 2005, p. 1 ss.
3
erik jayme
355
convenzione disciplina anche le obbligazioni alimentari, mentre «Bruxelles
II» concerne le questioni di stato quali presupposti di questi obblighi. 9
Il programma dell’Aja prevede già per il 2005 «un progetto di strumento sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni relative agli obblighi alimentari incluse le misure provvisorie e l’esecuzione provvisoria».
Mancano dunque poche materie.
Da questi dati e progetti appare chiaramente la volontà politica della
Comunità europea di unificare completamente il diritto internazionale privato e processuale in Europa. I progetti riguardano anche materie già
regolate da alcune convenzioni dell’Aja, convenzioni che funzionano bene
e che non avrebbero bisogno di altri strumenti.
3. I progetti, nel programma dell’Aja, appaiono sotto il titolo «Reciproco riconoscimento delle decisioni». Due sono le conseguenze. In primo
luogo le questioni della legge applicabile sono viste sotto l’angolo del riconoscimento di atti pubblici. In secondo luogo: viene introdotto un metodo
differente dal classico rinvio alla legge piú strettamente collegata al caso,
cioè quello del riconoscimento di situazioni giuridiche create all’estero. 10 Il
diritto internazionale privato serve – sempre secondo le intenzioni del
legislatore comunitario – all’integrazione europea. Rimangono le competenze legislative degli Stati singoli per le norme sostanziali a meno che,
come è stato osservato giustamente in uno scritto recente, 11 l’unificazione
delle norme conflittuali avrà dei riflessi nell’ambito del diritto sostanziale
della famiglia. Oltre a ciò si pone il problema generale del rapporto tra
diritto internazionale privato e diritto comunitario. 12
4. Per illustrare i problemi della comunitarizzazione del diritto internazionale privato mi sia consentito dare un esempio tratto dalla prassi tedesca.
Scelgo la decisione del tribunale amministrativo di Karlsruhe del 9 settembre 2004. 13 L’attore era un cittadino cinese taiwanese il quale richiedeva il
permesso di soggiorno in Germania. Egli fondava l’azione sul fatto che
aveva contratto matrimonio, nei Paesi Bassi, con un cittadino olandese
9
Cfr. Marongiu Buonaiuti, Obbligazioni alimentari, rapporti patrimoniali tra coniugi
e litispendenza tra i regolamenti «Bruxelles I» e «Bruxelles II», in questa Rivista, 2005, p.
699 ss.
10
Henrich, Anerkennung statt IPR. Eine Grundsatzfrage, in IPRax, 2005, p. 422.
11
Baratta, Verso la «comunitarizzazione» dei principi fondamentali del diritto di famiglia, in questa Rivista, 2005, p. 573 ss.; v. anche Martiny, Ein zusätzlicher Güterstand für
Europa, in Perspektiven des Familienrechts. Festschrift D. Schwab, Bielefeld, 2005, p. 1189 ss.
12
V. Kohler, Verständigungsschwierigkeiten zwischen europäischem Gemeinschaftsrecht und internationalem Privatrecht, in Festschrift E. Jayme cit., I, p. 445 ss.
13
La sentenza – 2 K 1420/03 – non è ancora stata pubblicata, ma è stata già commentata nei Paesi Bassi: Koolhoven, Het Nederlandse opengestelde huwelijk in het Duitse IPR.
De eerste rechtelijke uitspraak is daar!, in Nederlands int. Privaatrecht, 2005, p. 138.
356
dottrina
con il quale viveva a Pforzheim in Germania. I Paesi Bassi hanno introdotto
recentemente, il matrimonio anche per le persone dello stesso sesso, mentre
in Germania il matrimonio presuppone il sesso differente degli sposi. Per le
unioni di persone dello stesso sesso è previsto la «eingetragene Lebenspartnerschaft», cioè un partenariato registrato, istituto di diritto familiare a se
stante.
La legge tedesca sul soggiorno delle persone extracomunitarie in Germania prevede che il coniuge del cittadino europeo goda del diritto di
soggiorno nel paese ove si trova il cittadino europeo.
Si era posto dunque il problema se un uomo cinese unito in matrimonio
con un cittadino olandese nei Paesi Bassi potesse essere qualificato come
coniuge per ottenere il permesso di soggiorno. Il Tribunale decise in senso
negativo. Secondo i giudici prevale la qualificazione dello Stato di soggiorno, cioè della Germania, ove le unioni di persone dello stesso sesso
non sono considerate come matrimoni. Ma ci si può subito domandare, alle
luce di recenti decisioni della Corte europea, se un matrimonio registrato
nei Passi Bassi debba essere riconosciuto come tale in quanto atto pubblico.
Non possiamo approfondire questioni cosı́ complesse, ma la tendenza
attuale del diritto internazionale privato comunitario va nella direzione di
un riconoscimento reciproco degli atti e dei documenti. 14 Una volta registrato un matrimonio in uno Stato membro dell’Unione europea i problemi
dei conflitti di leggi vengono configurati meno come questioni della legge
applicabile ma piuttosto nel senso del riconoscimento di una situazione
creata all’estero. Oltre a ciò si sarebbe dovuto tener conto della libertà di
circolazione del coniuge olandese: questa libertà comprende il diritto si
muoversi da uno Stato membro all’altro portando con se la sua propria
creata nello Stato d’origine.
Il Tribunale di Karlsruhe ha svolto un ragionamento ancora in termini
classici osservando tra l’altro che il diritto cinese-taiwanese quale diritto
nazionale dell’attore non conosce e non concede un tale matrimonio, 15
mentre nel diritto internazionale privato comunitario si sarebbe dovuto
esaminare il riconoscimento in Germania di un matrimonio registrato in
Olanda. Ci troviamo alla vigilia di un nuovo, di un altro diritto internazionale privato. Tutti noi che siamo cresciuti con il diritto internazionale
privato di Savigny e Mancini dobbiamo oggi dire addio a questi metodi
classici.
14
Cfr. anche Coester-Waltjen, Das Anerkennungsprinzip im Dornröschenschlaf, in
Festschrift E. Jayme cit., I, p. 121 ss.
15
La Corte si riferisce anche all’art. 17 b del EGBGB, norma di conflitto per la eingetragene Lebenspartnerschaft la quale si estende, per una parte della dottrina, anche al «matrimonio» tra persone dello stesso sesso: v. Dörner, Grundfragen der Anknüpfung gleichgeschlechtlicher Partnerschaften, in Festschrift E. Jayme cit., I, p. 143 ss.
erik jayme
357
5. Ma si pone la questione se il diritto internazionale privato classico
sopravvive per le fattispecie aventi contatti con Stati terzi.
Questa idea è, a mio avviso, illusoria se pensiamo alla recente sentenza
Owusu della Corte di giustizia del 1º marzo 2005. 16 La decisione concerneva un incidente sulla spiaggia dell’isola di Giamaica. L’attore era un
cittadino britannico domiciliato nel Regno Unito che si trovava là in vacanza. Il convenuto – anche lui parimenti domiciliato nel Regno Unito –
aveva dato in affitto una villa a titolo di locazione turistica. Le altre parti
convenute – sembra che fossero cinque – erano società giamaicane. La
fattispecie aveva dunque contatti con un solo Stato membro dell’Unione
europea e concerneva fatti avvenuti in uno Stato terzo. La competenza
giurisdizionale dei tribunali inglesi per le altre parti convenute domiciliate
in Giamaica si basava sul fragile criterio della stretta connessione della
causa con quella del convenuto inglese.
Si poneva la questione se la competenza giurisdizionale basata sul domicilio del convenuto presupponesse un collegamento con un altro Stato
membro dell’Unione europea e se in mancanza di un tale collegamento le
corti inglesi avrebbero potuto ricorrere alle regole nazionali inglesi sul
forum non conveniens. La Corte affermava la competenza giurisdizionale
anche se i fatti erano collegati con uno solo degli Stati membri.
Nel contesto di questa relazione interessano le considerazioni della
Corte sul ruolo del criterio del «corretto funzionamento del mercato interno» menzionato nella norma sulla competenza legislativa della Comunità. Secondo la Corte «le norme uniformi sulla competenza contenute nella
convenzione di Bruxelles non sono intese ad applicarsi unicamente a situazioni che comportino un nesso effettivo e sufficiente con il funzionamento
del mercato interno, implicante, per definizione, piú Stati membri. Basta
rilevare, a tale riguardo, che l’unificazione stessa delle norme sul conflitto di
competenza ed in materia di riconoscimento e di esecuzione di decisioni
giurisdizionali, operata con la convenzione di Bruxelles, per controversie
che presentano un elemento di estraneità, ha certamente l’obiettivo di
eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno che possono
derivare dalle disparità esistenti tra le normative nazionali in materia». 17
Come si vede l’unificazione stessa delle norme sui conflitti di competenza – e si può aggiungere di quelle sui conflitti di leggi – è sufficiente per
affermare l’obiettivo del corretto funzionamento del mercato interno.
In questo senso la sentenza Owusu mostra chiaramente che l’unificazione completa del diritto internazionale privato comunitario riguarda an-
16
Sentenza del 1º marzo 2005, causa C-281/02, Owusu c. Jackson, in IPRax, 2005, p.
244, e in questa Rivista, 2005, p. 498 ss.; v. Heinze, Dutta, Ungeschriebene Grenzen für
europäische Zuständigkeiten bei Streitigkeiten mit Drittstaatenbezug, in IPRax, 2005, p. 224 ss.
17
Vedi il punto 34 della sentenza.
358
dottrina
che le fattispecie aventi collegamenti con Stati terzi. Non vi è un ostacolo a
creare norme bilaterali universali le quali rinviano anche alle leggi di Stati
terzi, norme di conflitto che troviamo nei progetti «Roma I» e «Roma IV».
Da ciò si pone il problema di quale spazio resta al legislatore nazionale
sia per concludere trattati con Stati terzi sia per la codificazione del diritto
internazionale privato come è avvenuto recentemente in Belgio. 18
Il trattato CE non definisce, come le costituzioni degli Stati federali, il
carattere delle competenze legislative, se siano esclusive o concorrenti. Ma
dalle pronunce della Corte di giustizia si può ricavare il principio che gli
Stati nazionali non possono legiferare nelle materie per le quali esistono o
sono in fase di preparazione strumenti comunitari.
6. Se pensiamo ai trattati internazionali con Stati terzi nell’ambito del
diritto internazionale privato e processuale possiamo prendere ad esempio
l’accordo fra Italia e Kuwait sulla cooperazione giudiziaria, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia civile dell’11 dicembre
2002, entrato in vigore il 21 dicembre 2004. 19 Ci si può domandare se
l’Italia abbia violato o meno il diritto comunitario relativo alla competenza
legislativa della Comunità europea. Si potrebbe giustificare la competenza
nazionale basandosi sul fatto che l’accordo riguarda decisioni di uno Stato
terzo, mentre il regolamento «Bruxelles I» concerne solo le decisioni provenienti di Stati membri della Comunità. Ma, se si legge attentamente la
sentenza Owusu, già le disparità esistenti tra le norme nazionali in materia
di riconoscimento delle sentenze straniere possono essere configurate come
ostacoli al funzionamento del mercato interno con la conseguenza che la
competenza legislativa spetta alla Comunità. La questione concerne la competenza esterna della Comunità, la Aussenkompetenz. La Corte di giustizia,
nella sua sentenza del 14 luglio 2005, 20 Commissione c. Germania, ha
ravvisato una violazione del trattato CE nel fatto che la Germania aveva
concluso alcune convenzioni bilaterali relative alla navigazione interna (Binnenschiffahrt) con la Romania, la Polonia e l’Ucraina, mentre il Consiglio
aveva già autorizzato la Commissione a iniziare trattative con questi Stati
per la conclusione di accordi concernenti la stessa materia.
Sapremo in modo piú chiaro quale è l’opinione della Corte dopo la
pubblicazione del parere sulla questione di «Lugano II». Si tratta di verificare se la revisione della convenzione di Lugano – convenzione conclusa
tra gli Stati membri della Comunità con gli Stati appartenenti all’Associazione europea di libero scambio, come per esempio la Svizzera – possa
18
Code de droit international privé, Loi du 16 juillet 2004, testo in Carlier, Fallon,
Martin-Bosly, Code de droit international privé, Bruxelles, 2004, p. 581 ss., e in questa Rivista, 2005, p. 231 ss.
19
In questa Rivista, 2005, p. 846 ss.
20
Sentenza del 14 luglio 2005, causa C-433/03, Commissione c. Germania.
erik jayme
359
trovare la forma di un nuovo trattato tra questi Stati o se parte contraente
sarà la Comunità europea stessa. Vi sono già alcune esperienze maturate
nell’ambito della Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato nel
senso che si prevede la firma o l’adesione della Comunità europea per
alcune convenzioni con effetti per gli Stati membri. L’art. 30 della recente
convenzione dell’Aja del 30 giugno 2005 sulle clausole attributive di competenza giurisdizionale contiene la seguente formulazione: 21 «At the time
of signature, acceptance, approval or accession, a Regional Economic Integration Organization may declare that it exercises competence over all the
matters governed by this Convention and that its Member States will not be
Parties to this Convention but shall be bound by virtue of the signature,
acceptance, approval or accession of the Organisation».
Una tale clausola mostra bene la tendenza di escludere gli Stati membri
della Comunità europea dalla partecipazione agli strumenti internazionali
che concernono il diritto internazionale privato e processuale. Come parte
contraente appare soltanto la Comunità europea la quale, mediante la ratifica, obbliga anche gli stessi Stati membri.
7. La tendenza si muove dunque nella direzione di una sempre piú
ristretta competenza dei legislatori degli Stati membri. D’altra parte i regolamenti comunitari relativi alla giurisdizione – «Bruxelles I, II, II-bis» lasciano espressamente un certo spazio ad alcune norme nazionali.
Esaminiamo il regolamento «Bruxelles II-bis» il quale riguarda tra l’altro il divorzio. Secondo l’art. 6 le competenze previste da questo regolamento sono esclusive se la parte convenuta ha la sua residenza abituale in
uno Stato membro o possiede la cittadinanza di un tale Stato o è domiciliato
nel senso del «domicile» nel territorio di uno Stato membro. Se non sussiste
alcune competenza giurisdizionale secondo le regole rispettive contenute
nel regolamento, si applicano le norme nazionali (art. 7).
È già stato criticato il foro dell’attore previsto dall’art. 3. 22 Se si pensa
ad un coniuge convenuto residente in uno Stato terzo lontano, l’applicabilità delle norme comunitarie ad una tale fattispecie non convince. 23 Il
regolamento «Bruxelles II» ha come scopo di favorire la libera circolazione
delle persone in Europa mediante il riconoscimento facile e rapido delle
sentenze di divorzio. La tendenza attuale di estendere la normativa comunitaria anche a fattispecie con collegamenti forti con Stati terzi non tiene
21
Conférence de La Haye de Droit International Privé – Vingtième Session, Acte Final
(La Haye, le 30 Juin 2005), p. 15 (cfr. anche questa Rivista, 2006, p. 279).
22
Baratta, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato,
Milano, 2004, p. 172.
23
V. Jayme, Die kulturelle Dimesion des Rechts – ihre Bedeutung für das Internationale
Privatrecht und die rechtsvergleichung, in RabelsZ, 2003, p. 211 ss., spec. pp. 225-226.
360
dottrina
conto sufficientemente degli interessi delle persone che non vivono nella
Comunità.
Si vede dunque che lo spazio che resta per il legislatore nazionale di
legiferare in materia di diritto internazionale privato è piú o meno definito
dale norme comunitarie. Rimarrà solo un sfera molto ristretta per il legislatore nazionale.
8. Arrivo alle conclusioni. Tanti anni fa studiavo il diritto internazionale
privato in California con un grande maestro, Albert A. Ehrenzweig. A
quell’epoca si poteva assistere ad una vera rivoluzione della nostra materia. 24 Ehrenzweig condannava la «vested rights doctrine» del primo Restatement perché, in mancanza di una «super-law», non dava indicazioni sulla
scelta applicabile a questi diritti acquisiti. 25 Oggi si torna al riconoscimento
di situazioni giuridiche create all’estero, anzi il principio del reciproco
riconoscimento fa parte del diritto comunitario. La «super-law» esiste: sono
le libertà fondamentali del diritto comunitario.
Noi assistiamo oggi, nel campo del diritto internazionale privato, ad un
ritorno di teorie e di metodi che credevamo essere superati, ma troviamo
conforto in Gianbattista Vico il quale ci insegna che il corso ed il ricorso
delle idee sono inerenti nella storia del pensiero. 26
24
Currie, Conflict, Crisis, and Confusion in New York, in Selected Essays in the Conflict
of Laws, Durham, 1963, p. 690 ss.; Ehrenzweig, A Counter-Revolution in Conflicts Law?
From Beale to Cavers, in Harvard Law Review, 1966, p. 377 ss.; Jayme, Interspousal Immunity: Revolution and Counterrevolution in American Tort Conflicts, in Southern California Law
Review, 1967, p. 307 ss.
25
V. Ehrenzweig, Private International Law, Leyden, 1967, p. 54 ss.
26
Cfr. Jayme, Vicos Rechtsphilosophie als ikonographisches Programm der Fontana di
Trevi in Rom, in Reichelt (Hrsg.), Wasser in Recht, Politik und Kultur, Wien, 2004, p.
57 ss., spec. p. 64.
STEFANIA BARIATTI
professore ordinario nell’università degli studi di milano
QUALIFICAZIONE E INTERPRETAZIONE NEL DIRITTO
INTERNAZIONALE PRIVATO COMUNITARIO:
PRIME RIFLESSIONI *
Sommario: 1. Considerazioni introduttive. – 2. Qualificazione e interpretazione nel diritto
internazionale privato comunitario: a) l’oggetto e il metodo della qualificazione. – 3. Segue: b) il problema dell’interpretazione dei termini e delle nozioni utilizzati nelle norme
di conflitto comunitarie: un nuovo problema? – 4. La ricerca di una soluzione alle questioni di interpretazione: i principi individuati dai giudici comunitari. – 5. La scelta del
metodo esegetico e i confini della ricerca del significato autonomo dei termini. – 6. Un
esempio concreto: la nozione di «obbligazioni alimentari». 1
1. Solo di recente la dottrina ha iniziato a interrogarsi sulle soluzioni che
le questioni generali del diritto internazionale privato possono avere nell’ordinamento comunitario. Sul problema della qualificazione, in particolare, è stato rilevato come, a differenza di quanto accade negli ordinamenti
nazionali, nei quali la qualificazione della fattispecie avviene generalmente
sulla base della lex fori o della lex causae, le nozioni utilizzate negli atti e
strumenti del diritto internazionale privato comunitario dovrebbero essere
interpretate sulla base del diritto sostanziale comunitario, ove esista, cioè
delle norme appartenenti al medesimo ordinamento che pone la norma di
conflitto da applicare, quasi si trattasse di una lex fori. Di conseguenza,
nozioni quali «servizi», «trasporti», «consumatore», e cosı́ via, dovrebbero
avere lo stesso significato che hanno nel trattato CE e negli atti di diritto
derivato, salvo che sia diversamente disposto.
Quando, invece, un determinato termine abbia significati diversi in
settori diversi del diritto comunitario, come ad esempio «residenza», «stabile organizzazione», «domicilio», la soluzione che sembra meglio garantire
l’uniformità di applicazione della norma e la conseguente parità di diritti e
obblighi per i soggetti interessati in tutti gli Stati membri consiste nell’adozione di definizioni materiali apposite, secondo la materia interessata, eventualmente proprie al settore del diritto internazionale privato, piuttosto che
nell’attribuzione di questo compito – e questa responsabilità – interamente
alla Corte di giustizia o ai giudici nazionali.
* Il presente articolo si basa su uno studio elaborato nel quadro di un progetto di ricerca
finanziato dalla Commissione europea e coordinato dall’Università di Anversa, intitolato
«What international family law is necessary for the ‘‘proper functioning of the internal market’’?». I risultati della ricerca sono stati presentati nel corso di un seminario tenutosi ad Anversa nell’ottobre 2005 e sono in corso di pubblicazione per i tipi di Intersentia.
362
dottrina
Inoltre, diversa è parsa essere la soluzione quando si tratti di un termine
che delimita l’ambito di applicazione di un atto o piuttosto di una nozione
che svolge una diversa funzione. Mentre nel primo caso sembra preferibile
ricercare un significato uniforme e autonomo ricostruito attraverso la comparazione delle nozioni nazionali corrispondenti, come già ha indicato la
Corte di giustizia, nel secondo caso, in assenza di definizioni comuni, può
essere invece preferibile o talvolta necessario ricorrere alle norme di conflitto del foro, secondo i casi. 1
Alcuni chiari principi esegetici di carattere generale sono stati elaborati
dalla Corte di giustizia e hanno dato buona prova nell’interpretazione della
convenzione di Bruxelles del 1968. Pare giunto il momento di verificare se e
come possano applicarsi anche in altri settori e di valutare se sotto questo
profilo il sistema di diritto internazionale privato comunitario si sta sviluppando come un sistema coerente sia al proprio interno, sia nel quadro piú
generale dell’ordinamento comunitario, sia infine nei rapporti con gli Stati
terzi. 2
1
Ci permettiamo di rinviare al nostro Prime considerazioni sugli effetti dei principi generali e delle norme materiali del trattato CE sul diritto internazionale privato comunitario, in
questa Rivista, 2003, p. 671 ss., spec. p. 701 ss., e Restrictions Resulting from the EC Treaty
Provisions for Brussels I and Rome I, in Meeusen, Pertegás, Straetmans (eds.), Enforcement of International Contracts in the European Union. Convergence and divergence between
Brussels I and Rome I, Antwerp-Oxford-New York, 2004, p. 77 ss. Per una prima analisi delle
questioni connesse alla qualificazione in senso stretto nel diritto internazionale privato comunitario v. Baratta, The Process of Characterization in the EC Conflicts of Laws: Suggesting a
Flexible Approach, in Yearbook Private Int. Law, 2004, pp. 155-169.
2
Nonostante lo scetticismo manifestato da alcuni (cfr. Benedettelli, Connecting factors, principles of coordination between conflict systems, criteria of applicability: three different
notions for a «European Community private international law», in Dir. Un. eur., 2005, p. 421
s.), riteniamo di poter continuare a utilizzare l’espressione «diritto internazionale privato comunitario» per indicare non solo le norme di conflitto nazionali di origine comunitaria, come
quelle contenute in alcune direttive di armonizzazione e nella convenzione di Bruxelles del
1968, fondata sull’art. 293 del trattato CE, ma soprattutto le norme di conflitto e di diritto
processuale civile internazionale che sono emanate dalle istituzioni della Comunità sulla base
di un’attribuzione di competenza specifica, che pare innegabile. In particolare, con riferimento ai regolamenti basati sull’art. 65 del trattato, è difficile dubitare che si tratti di norme comunitarie e che abbiano ad oggetto la disciplina di fattispecie con elementi di contatto con
piú Stati, siano essi membri della Comunità o terzi, secondo i casi. Ma anche le direttive mantengono la natura tradizionale di atti di diritto comunitario derivato, indipendentemente dalla
necessità della loro attuazione negli ordinamenti nazionali, che devono comunque garantirne
l’applicazione in conformità con i principi generali e i criteri esegetici propri dell’ordinamento comunitario. Con questo non si intende sottovalutare il fatto che il diritto internazionale
privato comunitario trova espressione in atti e strumenti di natura e portata diversa. Né si
vuole equiparare il diritto comunitario a una lex fori, anche se talvolta le si avvicina, principalmente quando si considerino i rapporti con Stati terzi. In un certo senso, ci sembra che
sottolineare la comune origine comunitaria delle norme di diritto internazionale privato e
processuale di cui ci occupiamo non possa che favorire la coerenza del sistema, sia nei confronti degli Stati membri, sia verso gli Stati terzi.
stefania bariatti
363
2. Un primo problema riguarda le analogie e le differenze nella soluzione del problema della qualificazione nel diritto internazionale privato
nazionale e in quello comunitario. A un esame superficiale sembra che non
vi siano differenze apparenti e, dunque, che le soluzioni possano coincidere.
Un risposta piú meditata, però, pare opportuna.
Invero, quando parliamo di «qualificazione» nei sistemi nazionali di
diritto internazionale privato intendiamo riferirci generalmente al problema
della determinazione del significato della fattispecie o della categoria
astratta utilizzata dalla norma di conflitto, ovvero della sussunzione di un
dato caso concreto in una norma di conflitto, al fine di individuare la legge
da applicare. 3 Non è questa le sede per approfondire concetti fondamentali
ben noti. Pare sufficiente ricordare, ai nostri fini, che la qualificazione
secondo la lex fori sembra implicare che ogni sistema nazionale di conflitto
è parte di un ordinamento giuridico che dovrebbe (o vorrebbe) essere
«completo» quanto alla disciplina materiale delle fattispecie normative, cioè
un sistema in cui (quasi) tutte le nozioni giuridiche utilizzate nelle norme di
conflitto per individuare la fattispecie trovano un corrispondente nelle
norme materiali, mentre è irrilevante che queste ultime non si applichino,
in ogni caso, quando i criteri di collegamento conducano all’applicazione
della legge di un altro Stato. La teoria della qualificazione sulla base della
lex causae, invece, considera il complesso dell’ordinamento richiamato, ivi
comprese le categorie giuridiche e gli strumenti esegetici. Entrambe le
posizioni hanno trovato supporto in dottrina, pur con fortune diverse.
Se consideriamo ora l’ordinamento comunitario, rileviamo immediatamente che il sistema delle norme materiali è ben lungi dall’essere «completo» e che, di conseguenza, il sistema conflittuale comunitario è assistito
da norme materiali solo sporadicamente. Quando queste manchino, e
quindi manchi una «lex fori comunitaria», per la qualificazione della fattispecie utilizzata dalla norma di conflitto comunitaria si dovrà ricorrere ad
altri strumenti ed eventualmente alle norme nazionali, alle condizioni e nelle
circostanze che vedremo tra breve. Pare piú difficile sostenere la qualificazione secondo la lex causae, soprattutto quando la norma di conflitto comunitaria ha carattere universale, è idonea cioè a richiamare sia la legge di
uno Stato membro sia quella di uno Stato terzo: 4 la qualificazione secondo
3
Cfr. per tutti Batiffol, Lagarde, Droit international privé, 6e éd., I, Paris, 1974, p.
367 ss.; Collins (ed.), Dicey & Morris on The Conflict of Laws, 13th ed., London, 2002, 2003; Ballarino, Diritto internazionale privato, 3a ed., Padova, 2002, p. 224 ss.; Rigaux,
Fallon, Droit international privé, 3e éd., Bruxelles, 2005, p. 281 ss.
4
Anche il problema della competenza della Comunità ad adottare norme applicabili a
casi collegati anche a Stati terzi è molto dibattuto. La presenza di numerose norme di conflitto erga omnes in direttive, come l’art. 9 della direttiva n. 2002/47 sui contratti di garanzia
finanziaria e di altre disposizioni che appartengono al diritto internazionale privato inteso in
senso ampio, come quelle volte a limitare l’applicabilità di norme materiali di Stati terzi che
contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, inducono a una rispo-
364
dottrina
la lex causae, invero, può portare all’utilizzazione di nozioni e concetti di
uno Stato non membro nell’interpretazione di categorie e fattispecie stabilite in norme comunitarie, che in una certa misura trovano spesso ispirazione nelle legislazioni degli Stati membri.
Invero, in moltissimi settori della vita giuridica non è stata attribuita alla
Comunità alcuna competenza normativa e dunque vi sono norme di conflitto di origine comunitaria senza le corrispondenti norme materiali. Di
conseguenza, mentre in alcuni ambiti esistono norme nazionali armonizzate
secondo modelli di fonte comunitaria, che si inseriscono e si integrano nella
normativa interna, in altri invece non ci sono ancora norme armonizzate e
probabilmente non ci saranno ancora per molto tempo. Si pensi al diritto di
famiglia, ad esempio: il Programma dell’Aja sul rafforzamento della libertà,
della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea, adottato dal Consiglio
europeo il 5 dicembre 2004, invita sı́ la Commissione a presentare proposte
sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze in materia di obblighi
alimentari e sulla legge applicabile in materia di successioni, regimi matrimoniali e divorzio, ma dichiara esplicitamente che i futuri atti adottati nel
settore della cooperazione giudiziaria civile «non dovrebbero essere basati
sui concetti armonizzati di ‘‘famiglia’’, ‘‘matrimonio’’, o altri. Si dovrebbero
varare disposizioni uniformi di diritto sostanziale soltanto come misure di
accompagnamento, qualora fosse necessario per procedere al reciproco
riconoscimento delle decisioni o per migliorare la cooperazione giudiziaria
in materia civile». 5
Questo non deve stupire: il diritto internazionale privato, infatti, si è
sviluppato allo scopo di fornire una soluzione a casi con elementi di estraneità, che presentano punti di contatto con piú Stati, i quali hanno norme
sostanziali diverse. L’armonizzazione delle norme materiali nazionali non è
mai stata ritenuta necessaria né richiesta per l’adozione di norme nazionali
di diritto internazionale privato, e si è invece sviluppata in alcuni settori
attraverso convenzioni internazionali e leggi modello.
In un certo senso, si potrebbe persino ritenere che la mancanza di
norme sostanziali comunitarie o di origine comunitaria in alcuni settori
sta positiva. Si tratta di un problema che sarà oggetto di nuova valutazione alla luce del recentissimo parere 1/04 reso dalla Corte di giustizia il 7 febbraio 2006 e relativo alla competenza della Comunità a stipulare la nuova convenzione di Lugano (vedilo infra, p. 514 ss.).
5
Gaff. Uff. Un. eur., n. C 53 del 3 marzo 2005, p. 13. In effetti, gli atti adottati sulla base
dell’art. 65 del trattato non mirano all’armonizzazione del diritto materiale, ma alla «promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di
competenza giurisdizionale»: ad esempio, il considerando n. 11 del regolamento n. 1346/
2000 indica espressamente che le norme nazionali in materia di insolvenza presentano «notevoli differenze» e dichiara che sarebbe irrealistico istituire un’unica procedura avente valore
universale. Allo stadio attuale dell’elaborazione dottrinale non sembra che sussistano differenze nella natura delle norme di conflitto adottate sulla base dell’art. 65 del trattato CE e
di quelle contenute nelle direttive fondate sull’art. 95 o in altri strumenti.
stefania bariatti
365
sia irrilevante dal punto di vista della qualificazione stricto sensu, poiché
anche negli ordinamenti nazionali non è affatto scontato che la qualificazione debba avvenire sempre secondo la lex fori. 6
Del resto, il numero di norme di diritto internazionale privato comunitario è alquanto limitato. Al di là dei noti regolamenti sulla procedura civile
internazionale (giurisdizione e riconoscimento delle sentenze e assistenza
giudiziaria) e sull’insolvenza, le nome di conflitto sono sparse in molti atti di
diritto derivato o sono state elaborate dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado. L’unico strumento normativo finora predisposto al
fine esclusivo e specifico di fornire norme uniformi di conflitto, la convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali,
non è una «convenzione comunitaria» in senso proprio poiché non è stata
conclusa nel quadro dell’art. 220 (ora 293) del trattato CE. 7 È facile prevedere che per diversi anni ancora non sarà adottato uno strumento organico, che consolidi le norme di conflitto fin qui adottate relative alle diverse
fattispecie e le completi. 8
Un terzo aspetto, che affiora spesso, consiste nel fatto che la prospettiva
dell’ordinamento comunitario appare diversa rispetto a quella nazionale
perché le norme di conflitto non sono adottate da uno Stato, che si confronta all’interno con il proprio sistema normativo e all’esterno con altri
sistemi normativi, espressione di Stati ugualmente sovrani. La Comunità
non è un super-Stato, né uno Stato federale, ma un’organizzazione internazionale che esercita alcune competenze normative che le sono state attribuite dagli Stati membri, talvolta in concorso con essi, e che legifera soprattutto per i casi intracomunitari, ma che non si presenta come un sistema
monolitico nei confronti degli Stati terzi.
Di conseguenza, sembra giustificato ritenere che la soluzione al problema della qualificazione nel diritto internazionale privato comunitario
possa essere diversa da quelle raggiunta negli ordinamenti nazionali.
3. Nell’ordinamento comunitario il problema dell’interpretazione delle
nozioni e dei termini giuridici utilizzati si pone con le stesse modalità e in
occasioni analoghe a quelle che si verificano negli ordinamenti nazionali,
anche se non viene risolto con gli stessi strumenti esegetici. Non si tratta
6
Pare opportuno ricordare, con riferimento alla qualificazione secondo la lex causae,
che la maggioranza delle norme di conflitto comunitarie ha carattere bilaterale, nel senso
che possono designare sia la legge di uno Stato membro, sia quella di uno Stato terzo, con
la difficoltà (sopra menzionata nel testo) del ricorso a nozioni e categorie estranei per l’interpretazione di norme comunitarie. Si tornerà sul punto infra, par. 5.
7
Ciò nonostante la convenzione di Roma sarà qui considerata come parte del sistema
comunitario di diritto internazionale privato.
8
Si consideri poi il fatto che, come si è accennato, alla Comunità non è stata attribuita la
competenza per legiferare in molti settori del diritto materiale, come la materia familiare.
366
dottrina
quindi un problema nuovo, sorto con lo sviluppo del diritto internazionale
privato comunitario, ma un problema ormai classico, «vecchio» quanto le
Comunità, di cui la Corte di giustizia si è occupata in centinaia di sentenze.
Orbene, sembra che le soluzioni fornite dalla Corte nel corso degli anni
possano applicarsi anche al fine dell’interpretazione delle nozioni giuridiche
utilizzate nelle norme di confitto comunitarie, indipendentemente dal loro
ruolo nella norma stessa (indicazione della fattispecie o del criterio di collegamento, o altro).
In linea di principio, dal punto di vista dell’interprete, ma anche dell’ordinamento, non sembra esservi grande differenza tra la qualificazione di
«divorzio» o «matrimonio» al fine di individuare la legge applicabile e
l’interpretazione delle medesime nozioni per valutare l’applicabilità del
regolamento Bruxelles II-bis. Lo stesso avviene per i criteri di collegamento,
o per termini e nozioni utilizzati in altri atti in materia di giurisdizione e
riconoscimento delle sentenze, cosı́ come in strumenti normativi che utilizzano le medesime nozioni familiari per l’applicazione di norme sostanziali.
Le questioni interpretative che possono presentarsi possono riguardare
termini giuridici utilizzati per delimitare l’ambito di applicazione materiale,
spaziale o temporale dell’atto comunitario, o per individuare la legge applicabile a una determinata fattispecie, o ancora l’ambito della legga applicabile. Ognuno di essi può avere un significato «internazionale» o può fare
riferimento a un ordinamento nazionale. Di conseguenza, la nostra analisi
dovrà considerare il problema generale dell’interpretazione di termini e
nozioni giuridiche, piuttosto che semplicemente la qualificazione della fattispecie normativa astratta. 9
L’interprete deve però affrontare un problema ulteriore e specifico, che
discende dalla necessità che il diritto comunitario produca i medesimi
effetti in tutti gli Stati membri, al fine di garantire che non vi siano discriminazioni tra situazioni simili e che i medesimi diritti e obblighi siano
riconosciuti alle parti indipendentemente dallo Stato membro considerato.
4. Sebbene la Corte di giustizia non lo abbia esplicitamente dichiarato,
nell’interpretazione delle norme comunitarie essa tende a utilizzare i medesimi principi esegetici generali che sono normalmente utilizzati dai giudici
internazionali e che sono stati codificati agli articoli 31-33 della convenzione
di Vienna sul diritto dei trattati. Non è affatto sorprendente poiché l’origine
internazionale del sistema comunitario, fondato su un accordo internazio9
Piú di dieci anni fa, con riferimento a nozioni quali «minore», «coniuge», «divorzio», e
simili, usate in atti comunitari, Struycken scriveva: «La question se pose de savoir quelle loi
est applicable du point de vue du droit communautaire ainsi que celle de savoir s’il faut consulter un système de conflit de lois et, dans le cas affirmatif, lequel» (Les conséquences de l’intégration européenne sur le développement du droit international privé, in Recueil des Cours, t.
232, 1992-I, p. 307 s.).
stefania bariatti
367
nale, giustifica pienamente questa soluzione. Inoltre, le regole di interpretazione codificate nella convenzione di Vienna hanno dimostrato di essere
alquanto flessibili e adattabili a qualsiasi tipo di trattato in qualsiasi materia. 10
Invero, la regola generale dell’art. 31, che dispone il ricorso al testo e
all’oggetto del trattato, nel suo contesto, è accompagnata dal riferimento
allo scopo del trattato e al rispetto del significato speciale che le parti
contraenti abbiano eventualmente inteso attribuire ai termini utilizzati. Devono inoltre essere tenuti in considerazione ogni accordo successivo concluso tra le parti e ogni prassi successiva che si sia stabilita tra di esse, nella
misura in cui manifestino l’accordo delle parti sull’interpretazione, oltre a
ogni norma del diritto internazionale in vigore tra le parti. Regole speciali
sono poste per i trattati in piú lingue, nei quali si presume che i termini
abbiano lo stesso significato in ciascun testo autentico e nei quali le differenze tra significati sono risolte attraverso il confronto tra di essi, alla luce
dell’oggetto e dello scopo del trattato.
La Corte di giustizia ha elaborato negli anni una serie di principi interpretativi che è utile ricordare in questa sede.
a) Sulla questione preliminare dell’interpretazione di atti redatti in piú
lingue, tutte parimenti autentiche, la Corte ha spesso affermato che «le
norme comunitarie sono redatte in diverse lingue e... le varie versioni linguistiche fanno fede nella stessa misura: l’interpretazione di una norma
comunitaria comporta quindi il raffronto di tali versioni». 11
Fin dove è necessario spingere il confronto e la comparazione? L’interprete deve ricercare e poi comparare tutte le (ormai piuttosto numerose) versioni linguistiche di un atto? Secondo l’avvocato generale Jacobs,
le conseguenze della sentenza Cilfit dovrebbero essere circoscritte, nel
senso che essa non richiede ai giudici nazionali «di esaminare tutte le
disposizioni comunitarie in ognuna delle diverse versioni linguistiche.
Questo implicherebbe in molti casi uno sforzo sproporzionato da parte
dei giudici nazionali; inoltre, il riferimento a tutte le versioni linguistiche
delle disposizioni comunitarie è un metodo che sembra essere applicato
molto di rado dalla stessa Corte di giustizia, anche se questa si trova a tal
fine in condizioni migliori rispetto ai giudizi nazionali. In effetti, l’esistenza
stessa di molte versioni linguistiche costituisce una ragione ulteriore per
non adottare un’impostazione eccessivamente letterale nell’interpretazione
delle disposizioni comunitarie e per attribuire un peso maggiore al conte-
10
Sulla natura delle regole esegetiche codificate nella convenzione di Vienna e sulla loro
applicazione alle convenzioni di diritto uniforme e di diritto internazionale privato e processuale v. Bariatti, L’interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, Padova, 1986, p. 175 ss.
11
Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa 283/81, Cilfit, in Raccolta, 1982, p. 3415, par.
18, e in questa Rivista, 1983, p. 159 ss.
368
dottrina
sto e all’economia generale delle disposizioni, nonché al loro scopo e
obiettivo». 12
b) La stessa sentenza Cilfit enuncia poi chiaramente la regola generale e
fondamentale alla quale la Corte ha fatto ricorso in innumerevoli casi, cioè
la regola dell’interpretazione autonoma dei termini giuridici, anche attraverso il diritto comunitario: «deve poi osservarsi, anche nel caso di piena
concordanza delle versioni linguistiche, che il diritto comunitario impiega
una terminologia che gli è propria. D’altronde, va sottolineato che le nozioni giuridiche non presentano necessariamente lo stesso contenuto nel
diritto comunitario e nei vari diritti nazionali. Infine, ogni disposizione di
diritto comunitario va ricollocata nel proprio contesto e interpretata alla
luce dell’insieme delle disposizioni del suddetto diritto, delle sue finalità,
nonché del suo stadio di evoluzione al momento in cui va data applicazione
alla disposizione di cui trattasi». 13
Una nozione autonoma può essere ricostruita solo se esistono principi
comuni, per quanto embrionali o incompleti, tra gli Stati membri, indipendentemente da eventuali divergenze circoscritte e secondarie. Di conseguenza, la Corte di giustizia ha rifiutato di trarre conclusioni generali
quando una nozione era presente solo in uno o in pochi Stati membri. 14
12
Conclusioni nel caso Wiener, causa C-338/95 (sentenza 20 novembre 1997), in Raccolta, 1997, p. I-6495, par. 65: «Il richiamo effettuato nella sentenza Cilfit si dovrebbe meglio
considerare, a mio parere, come una cautela essenziale contro l’adozione di un’interpretazione troppo letterale delle disposizioni comunitarie che rafforza l’argomento per cui esse debbono essere interpretate alla luce del loro contesto e del loro scopo come definiti nel preambolo piuttosto che sulla sola base del loro testo. Il testo può essere particolarmente fuorviante
nel caso di termini tecnico-giuridici che, come la Corte ha via via fatto notare, possono non
avere nel diritto comunitario lo stesso significato che hanno nell’ordinamento giuridico degli
Stati membri». Si vedano anche le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer
nel caso Gaston Schul (causa C-461/03, sentenza 30 giugno 2005, par. 56, reperibile sul sito
www.curia.eu.int).
13
Par. 19-20. Come ha affermato il Tribunale di primo grado di recente, «il y a lieu de
relever, en tout état de cause, que, selon la jurisprudence, il découle des exigences tant de
l’application uniforme du droit communautaire que du principe d’égalité que les termes d’une disposition de droit communautaire, qui ne comporte aucun renvoi exprès au droit des
États membres pour déterminer son sens et sa portée, doivent normalement trouver dans
toute la Communauté une interprétation autonome et uniforme qui doit être recherchée
en tenant compte du contexte de la disposition et de l’objectif poursuivi par la réglementation en cause. ... Afin de procéder à l’interprétation autonome de cette disposition, il convient
de se référer, en premier lieu, à son libellé, en deuxième lieu, au contexte dans lequel elle
s’inscrit, à sa raison d’être et à sa nature ainsi que, en troisième lieu, aux interprétations
que la jurisprudence a dégagées en la matière» (sentenza 30 giugno 2005, causa T-190/03,
Olesen, par. 36, 38, reperibile sul sito www.curia.eu.int).
14
Corte di giustizia, 17 aprile 1986, causa 59/85, Paesi Bassi c. Reed, in Raccolta, 1986,
p. 1283; Tribunale di primo grado, 17 giugno 1993, causa T-65/92, Arauxo-Dumay, ibidem,
1993, p. II-597; Corte di giustizia, 17 febbraio 1998, causa C-249/96, Grant c. Commissione,
ibidem, p. I-621; 31 maggio 2001, cause riunite C-122/99P e C-125/99P, D. c. Consiglio, ibidem, p. I-4319.
stefania bariatti
369
Il metodo dell’interpretazione autonoma comporta una risposta, o almeno un tentativo di risposta, alla questione se e in che misura l’ordinamento comunitario sia un ordinamento coerente. In particolare, ci si può
chiedere se un termine debba avere il medesimo significato in tutti gli
strumenti normativi adottati in ogni settore, quale che ne siano la ratio e
gli obiettivi, e se tale significato possa poi essere trasposto direttamente
nelle norme di conflitto comunitarie.
In effetti, la risposta alla prima domanda sembra semplice: al pari di
quanto avviene negli ordinamenti nazionali, un termine utilizzato in un atto
comunitario può avere significati diversi secondo il contesto, l’oggetto e lo
scopo dell’atto stesso. Inoltre, lo stesso termine può avere un significato in
un atto che conferisce un diritto nei confronti di uno Stato o all’interno di
esso, mentre può avere un significato diverso ed eventualmente piú ampio
quando attribuisce un diritto nei confronti della Comunità. 15
c) È evidente che l’esistenza di un significato speciale deve essere invece
valutata caso per caso. In generale, piú un significato è specifico in un dato
atto o contesto, meno può essere trasposto in altri strumenti normativi.
Peraltro, una considerazione ulteriore è possibile. È probabilmente corretto
affermare che l’analogia debba essere esclusa quando viene utilizzato un
significato speciale, 16 ma è anche vero che alcune nozioni generali sono
utilizzate in molti atti comunitari con lo stesso significato, proprio allo
scopo di coordinarne il rispettivo ambito di applicazione. Ci si può ragionevolmente aspettare che «i fallimenti, i concordati e le procedure affini»
che sono esclusi dall’ambito del regolamento n. 44/2001 (ai sensi dell’art. 1
comma 2 lett. b, come interpretato dalla Corte di giustizia nel caso Gourdain), 17 rientrino nella nozione di «procedure di insolvenza» alle quali si
applica il regolamento n. 1346/2000; che la nozione di «materia civile e
commerciale» sia la medesima nei regolamenti n. 44/2001, n. 1348/2000 e
n. 1206/2001, indipendentemente dal fatto che il primo ne esclude alcuni
settori; o che le «obbligazioni alimentari» siano escluse dal regolamento n.
2201/2003 in quanto rientrano nel regolamento n. 44/2001, con ciò indicando che le nozioni utilizzate sono identiche. Lo stesso dovrebbe avvenire
per le nozioni di «successioni», «regimi matrimoniali», e cosı́ via.
d) La soluzione è diversa, invece, quando il significato speciale di un
15
Mengozzi, I problemi giuridici della famiglia a fronte del processo di integrazione europea, in Fam. dir., 2004, p. 645.
16
Tribunale di primo grado, 30 giugno 2005, Olesen cit., par. 39: «s’agissant, en premier lieu, du libellé, il convient de rappeler que la Cour a déjà jugé que les dispositions
du statut qui ont pour seule finalité de réglementer les relations juridiques entre les institutions et les fonctionnaires, en établissant des droits et obligations réciproques, comportent
une terminologie précise dont l’extension par analogie à des cas non visés de façon explicite
est exclue».
17
Corte di giustizia, 22 febbraio 1979, causa 33/78, Gourdain c. Nadler, in Raccolta,
1979, p. 733, e in questa Rivista, 1979, p. 572 ss.
370
dottrina
termine è indicato direttamente nell’atto normativo, indipendentemente dal
riferimento a qualsiasi ordinamento nazionale. Tale definizione materiale
fornisce una nozione internazionalmente autonoma, che si applica in modo
uniforme in tutti gli Stati membri, e che rende piú agevole per il giudice
nazionale staccarsi dalle nozioni nazionali e cercare nel sistema giuridico
comunitario l’interpretazione dei termini utilizzati nella definizione. Tali
definizioni materiali, peraltro, possono essere utilizzate solo nell’ambito
dell’atto che le contiene e non possono essere utilizzate per l’interpretazione
di altri strumenti normativi, e talvolta neppure di altre disposizioni contenute nello stesso atto. È sufficiente ricordare in questa sede le nozioni di
«responsabilità genitoriale», «diritto di custodia», «diritto di visita» di cui
all’art. 2 del regolamento n. 2201/2003; la nozione di «domicilio» nella
convenzione di Bruxelles del 1968 e nel regolamento n. 2201/2003 con
riferimento al Regno Unito; la nozione di «centro degli interessi principali»
nelle disposizioni relative alla libertà di stabilimento e nel regolamento n.
1346/2000; la nozione di «sede» nella convenzione di Bruxelles e nel regolamento n. 44/2001, ove la stessa nozione assume significati diversi nell’art. 22 n. 2 e nell’art. 60.
e) In alcuni casi, e subordinatamente al verificarsi di certe condizioni, la
Corte di giustizia ha ammesso il ricorso a nozioni e termini giuridici nazionali: «una disposizione di diritto comunitario la quale... non contenga alcun
espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la
determinazione del suo senso e della sua portata deve di regola dar luogo
ad un’interpretazione autonoma, da effettuarsi tenendo conto del contesto
della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi.
Tuttavia, pur in assenza di un espresso richiamo, l’applicazione di una
norma di diritto comunitario può implicare un riferimento al diritto degli
Stati membri qualora il giudice comunitario non riesca a rinvenire, nel
diritto comunitario o fra i principi generali del diritto comunitario, gli
elementi che gli permettano di precisarne il contenuto e la portata attraverso un’interpretazione autonoma». 18
Il riferimento al diritto nazionale può avvenire secondo tre modelli: può
condurre all’applicazione diretta di nozioni nazionali, cioè di nozioni desunte dal diritto materiale della lex fori, 19 può fare riferimento alle norme di
18
Tribunale di primo grado, 21 aprile 2004, causa T-172/01, M. c. Corte di giustizia,
par. 70-71, in Raccolta, 2004, p. II-1075, che cita la sentenza 18 dicembre 1992, causa T43/90, Dı́az Garcı́a c. Parlamento, ibidem, 1992, p. II-2619, par. 36.
19
Ai sensi dell’art. 10 comma 3 della direttiva n. 2003/9 sugli standard minimi per l’accoglimento dei richiedenti asilo, i minori sono coloro che hanno un’età inferiore alla maggiore
età nello Stato membro in cui è stata presentata o deve essere esaminata la domanda di asilo
(ma l’art. 2 lett. h definisce i minori non accompagnati come le persone di età inferiore a diciotto anni). Si veda anche l’art. 4 lett. d n. 2 della direttiva n. 2003/86 sul diritto al ricongiungimento familiare.
stefania bariatti
371
conflitto del foro al fine di individuare la legge che fornirà la definizione in
questione, 20 o può riferirsi a un determinato Stato membro direttamente
individuato. 21 In questi casi ogni pretesa di autonomia è abbandonata, ma
l’uniformità è ancora possibile. Se nel primo caso la soluzione raggiunta non
è uniforme, poiché ogni Stato ricorre alle proprie categorie giuridiche, e se
nel terzo caso la soluzione è certamente uniforme, poiché ogni giudice fa
riferimento alla legge dello Stato individuato, nel secondo caso l’interpretazione è uniforme se le norme di conflitto sono uniformi in tutti gli Stati e
di conseguenza tutti i giudici nazionali applicano la medesima legge e
giungono alla medesima conclusione. 22
5. Pare difficile confutare la tesi che la ricerca del significato autonomo
dei termini utilizzati costituisce la soluzione ideale per qualsiasi questione
interpretativa sia del diritto comunitario, sia del diritto internazionale.
Come si è ricordato in precedenza, questa soluzione comporta che i diritti
e gli obblighi rispettivi degli Stati siano equamente bilanciati, che non vi
siano discriminazioni tra situazioni simili e che gli stessi diritti e obblighi
siano attribuiti alle parti indipendentemente dal giudice adito.
Di conseguenza, pare evidente che la qualificazione in senso stretto
debba avvenire attraverso l’interpretazione autonoma delle categorie giuridiche considerate, senza ricorrere alle nozioni proprie degli ordinamenti
nazionali. La sola questione aperta, menzionata all’inizio, consiste nel
fatto che le nozioni autonome sono state elaborate da parte dei giudici
comunitari sulla base dei principi generali comuni agli Stati membri,
mentre le norme erga omnes possono condurre all’applicazione anche
della legge di Stati terzi. Invero, il metodo della qualificazione secondo
la lex fori potrebbe essere adattato alla natura specifica del diritto comunitario nel senso che i sistemi giuridici degli Stati membri potrebbero
essere considerati come lo sfondo generale e la base per l’elaborazione di
categorie e fattispecie astratte allo scopo della qualificazione delle norme
di conflitto contenute in atti comunitari. In alcuni casi, però, la qualificazione secondo la lex causae potrebbe essere preferibile o necessaria: la
norma di conflitto comunitaria dovrebbe operare come le norme nazio-
20
La sede della società ai fini dell’art. 22 n. 2 del regolamento n. 44/2001 è determinata
dalla legge richiamata dalle norme di conflitto del foro.
21
La nozione di lavoratore nella direttiva n. 96/71 sul distacco dei lavoratori deve essere
determinata secondo la legge dello Stato in cui il lavoratore è distaccato (art. 2 comma 2).
22
Come avviene, ad esempio, nell’interpretazione del luogo di esecuzione dell’obbligazione nell’art. 5 n. 1 della convenzione di Bruxelles del 1968. Una questione ulteriore riguarda se in questo caso le norme materiali o di conflitto nazionali sono soggette a controllo quanto alla loro compatibilità con i principi e le libertà comunitarie, come avviene quando sono
applicate direttamente. Non ci risulta che questo problema sia mai stato affrontato in dottrina
e nella giurisprudenza.
372
dottrina
nali e quindi essere aperta a concetti e categorie giuridiche di Stati
terzi. 23
È ragionevole ritenere, inoltre, che l’interpretazione autonoma sia consigliabile, o persino obbligatoria, per quelle disposizioni o nozioni che
delimitano l’ambito di applicazione di un determinato atto, che non può
dipendere né dalla lex fori, né da alcuna legge nazionale. La Corte di
giustizia ha sempre seguito questa regola fondamentale nell’interpretazione
della convenzione di Bruxelles, contribuendo cosı́ grandemente all’uniformità della sua applicazione.
A questo proposito, peraltro, non si può non ricordare che talvolta una
disposizione si riferisce a una categoria generale, ma poi restringe il proprio
ambito attraverso clausole che escludono o fanno salvi alcuni aspetti. Questi
fanno comunque parte della nozione generale, ma sono esclusi dall’ambito
dell’atto comunitario per le piú varie ragioni. Ad esempio, una controversia
riguardante i regimi matrimoniali rientra sı́ nella «materia civile e commerciale», ma non nell’ambito di applicazione della convenzione di Bruxelles e
del regolamento n. 44/2001, mentre è soggetta ai regolamenti sulle notifiche
e sull’assunzione di prove.
Talaltra, invece, si segue la soluzione opposta e una disposizione amplia
l’ambito di un atto attraverso una clausola che assimila una certa categoria o
situazione giuridica a quelle coperte dall’atto stesso. Tra i molti possibili
esempi è sufficiente qui menzionare il nuovo paragrafo recentemente aggiunto all’art. 1 del regolamento n. 422/67 sugli emolumenti di alcuni
membri della Commissione e delle corti comunitarie, che equipara le unioni
non matrimoniali al matrimonio e il partner non sposato al coniuge. 24
Clausole di questo tipo sono talvolta ambigue e creano confusione
poiché l’interprete può essere tentato di ritenere che il caso attratto nell’orbita dell’atto sia parte della nozione generale. Un esempio sarà sufficiente a illustrare il caso: l’assimilazione al matrimonio delle relazioni stabili
o convivenze tra persone dello stesso sesso le fa per ciò stesso rientrare nella
nozione di matrimonio, o piuttosto le nozioni dovrebbero essere tenute
distinte e solo le conseguenze di tali status possono essere positivamente
equiparate? Si tratta dunque di un problema di interpretazione dello scopo
dell’atto e della nozione di matrimonio o piuttosto di una questione che
riguarda un’estensione della sua applicazione in un caso concreto? Pur con
le dovute cautele, e senza voler generalizzare, la seconda soluzione sembra
piú corretta.
23
Per altre possibili soluzioni cfr. Baratta, The Process of Characterization cit., p. 165 ss.
Regolamento n. 1292/2004 del 30 aprile 2004 che modifica i regolamenti n. 422/67 e
n. 5/67 sugli emolumenti del presidente e dei membri della Commissione e del presidente,
dei giudici degli avvocati generali e del cancelliere della Corte di giustizia e del presidente,
dei membri e del cancelliere del Tribunale di primo grado, in Gazz. Uff. Un. eur., n. L
243 del 15 luglio 2004, p. 23.
24
stefania bariatti
373
Un ulteriore problema dovrà essere approfondito: è necessario tracciare
una linea di confine tra il caso in cui un concetto giuridico è utilizzato al fine
di stabilire l’ambito di applicazione di un atto rispetto a quando svolge altre
funzioni? L’interpretazione autonoma è utile o necessaria solo nel primo
caso o non deve l’interprete cercare sempre di raggiungerla quale che sia lo
scopo della disposizione considerata e qualche che sia la funzione del concetto nella disposizione?
La giurisprudenza non fornisce una guida chiara e sistematica sul
punto, né sulle condizioni specifiche per il riferimento alla legge nazionale.
Piuttosto, si ha l’impressione che la soluzione debba essere trovata caso per
caso, secondo il termine che viene in considerazione. Si potrebbe ritenere
che il ricorso alle norme nazionali di conflitto sia preferibile, specialmente
quando si tratti di norme comuni a tutti gli Stati membri o quando siano
stabilite nello stesso atto.
La questione principale riguarda allora l’individuazione della legge nazionale da applicare per l’interpretazione, soprattutto quando la nozione
giuridica considerata descrive uno status che è stato acquisito o deve essere
acquisito sulla base di una legge nazionale. Di solito non è chiaro se si
applichi la legge dello Stato di residenza o quella dello Stato di cittadinanza,
dello Stato di origine o dello Stato ospite. 25 Ai sensi dell’art. 2 lett. h della
direttiva n. 2004/83 sulla qualifica di rifugiato, ad esempio, è considerato
membro della famiglia del rifugiato il suo partner non coniugato, avente
una relazione stabile, se la legislazione o la prassi dello Stato ospite equipara
le coppie non sposate alle coppie sposate nella legislazione sul trattamento
degli stranieri, mentre l’art. 2 lett. k definisce lo Stato di origine come lo
Stato o gli Stati di cittadinanza o, per gli apolidi, lo Stato della precedente
dimora abituale. Anche la legge dello Stato che ha attribuito uno status
potrebbe venire in considerazione. 26
25
Nella proposta modificata che ha condotto alla direttiva n. 2004/83 la Commissione
aveva spiegato che la definizione di relazione stabile non era necessaria poiché i fattori da
prendere in considerazione erano soggetti alla legge dello Stato ospite (COM (2003)199).
Si ricorda che in alcune decisioni piú recenti la Corte di giustizia non ha neppure condizionato l’esercizio dei diritti allo spostamento delle persone da uno Stato all’altro, come nelle
sentenze Garcia Avello (2 ottobre 2003, causa C-148/02, in Raccolta, 2003, p. I-11613, e
in questa Rivista, 2003, p. 1088 ss.) e Chen (19 ottobre 2004, causa C-200/02, in Raccolta,
2004, p. I-9925, e in questa Rivista, 2005, p. 194 ss.). Si vedano anche la sentenza Dafeki
(2 dicembre 1997, causa C-336/94, in Raccolta, 1994, p. I-6761) e il caso Grunkin, non ancora deciso dalla Corte (causa C-96/04).
26
Come la legge dello Stato in cui il partenariato registrato è stato celebrato (Bogdan,
Registered Partnerships and EC Law, in Boele-Woelki, Fuchs (eds.), Legal Recognition of
Same-Sex Couples in Europe, Antwerp-Oxford-New York, 2003, p. 177). Non è chiaro se
l’art. 2 lett. h della stessa direttiva quando prende in considerazione i minori «indipendentemente dal fatto che siano legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni del diritto nazionale» intenda riferirsi alla legge di cittadinanza.
374
dottrina
6. La nozione di «obbligazioni alimentari», che è utilizzata in numerosi
atti comunitari in diversi settori (immigrazione, libera circolazione, pubblico impiego, conflitti di leggi), costituisce una buon esempio dei problemi
da affrontare.
Come si è detto, le obbligazioni alimentari rientrano nell’ambito di
applicazione della convenzione di Bruxelles del 1968 (art. 5 n. 2). Tale
nozione è stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte di giustizia,
che ha stabilito che comprende obbligazioni ex lege e obbligazioni stabilite
dal giudice, indipendentemente dalla forma del pagamento (somma forfetaria o pagamento periodico). Lo scopo di tale obbligazione, che è quello di
garantire un determinato livello di reddito al beneficiario sulla base del
reddito e delle risorse rispettive delle parti, gioca il ruolo principale. 27 Di
conseguenza, «se da questa risulta che una determinata prestazione è diretta
a garantire il sostentamento di un coniuge bisognoso o se le esigenze e le
risorse di ciascun coniuge sono prese in considerazione per stabilirne l’ammontare, la decisione riguarda un’obbligazione alimentare. Invece, quando
la prestazione attiene unicamente alla ripartizione dei beni tra i coniugi, la
decisione concerne il regime patrimoniale». 28
La convenzione di Roma, invece, esclude dal proprio ambito le obbligazioni alimentari aventi origine contrattuale in favore dei figli naturali (art.
1 comma 2 lett. b). La Relazione Giuliano-Lagarde non dà una definizione
di tali obbligazioni, ma spiega che non rientrano nell’ambito della convenzione di Roma le obbligazioni alimentari «ai sensi dell’art. 1 della convenzione dell’Aja sulla legge applicabile alle obbligazioni alimentari» (cioè
quelle derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio e affinità,
comprese le obbligazioni alimentari nei confronti del figli illegittimi), al pari
dei contratti conclusi dalle parti al fine dell’esecuzione di tali obbligazioni.
La convenzione si applica, invece, alle obbligazioni alimentari contrattuali
anche verso i membri della famiglia nei confronti dei quali non esistono
obblighi alimentari legali.
Il significato generale di questa espressione come riferentesi a obbligazioni relative al mantenimento di parenti per sangue, matrimonio o comunque con un certo grado di vicinanza, si applica anche con riferimento all’art.
2 comma 4 dell’allegato VII dello statuto del personale, ai sensi del quale in
casi eccezionali può essere equiparato al figlio a carico qualsiasi persona nei
cui confronti un funzionario sia tenuto per legge a prestare gli alimenti. Il
Tribunale di primo grado ha interpretato questa nozione facendo riferimento agli ordinamenti degli Stati membri, ma l’ha limitata a quei casi in
27
Corte di giustizia, 6 marzo 1980, causa 120/79, De Cavel, in Raccolta, 1980, p. 731, e
in questa Rivista, 1980, p. 475 ss.
28
Corte di giustizia, 27 febbraio 1997, causa C-220/95, van den Boogaard, in Raccolta,
1997, p. I-1147, par. 22, e in questa Rivista, 1997, p. 783 ss.
stefania bariatti
375
cui l’obbligo di mantenimento è imposto al funzionario da una fonte normativa indipendente dalla volontà delle parti. Obblighi alimentari di natura
contrattuale, morale o risarcitoria sono esclusi. 29
L’individuazione di un significato autonomo non risolveva il problema
in questo caso, poiché il Tribunale doveva anche stabilire «l’ordinamento
giuridico nazionale cui la ricorrente è assoggettata e accertare se tale ordinamento le imponga, nei confronti del nipote, un obbligo alimentare legale
ai sensi dello Statuto». Il Tribunale ha ritenuto che occorresse identificare
l’ordinamento giuridico pertinente nel caso di specie alla luce delle norme
di diritto internazionale privato applicate dal giudice competente. In particolare, ha richiamato l’art. 4 n. 1 delle disposizioni generali di attuazione
dell’art. 2 comma 4 dell’allegato VII dello statuto del personale, secondo il
quale «in presenza di elementi di collegamento con piú leggi, la determinazione della legge applicabile risulta dalle norme di diritto internazionale
privato applicabili dal tribunale competente, anche, all’occorrenza, secondo
le convenzioni internazionali in materia, segnatamente la convenzione sulla
legge applicabile alle obbligazioni alimentari firmata all’Aja il 2 ottobre
1973». 30
Dato che in quel caso il giudice competente era il giudice belga (che in
effetti era stato adito dal funzionario per ottenere una dichiarazione della
sussistenza dell’obbligo di mantenimento), il Tribunale di primo grado
aveva guardato alle norme di conflitto belghe per individuare la legge
applicabile all’obbligo alimentare tra zia e nipote, ma non trovandone alcuna, aveva dichiarato che era comunque accettabile applicare la legge
belga «sia a motivo della cittadinanza e della residenza della ricorrente
sia a motivo della residenza del nipote». 31
Piú recentemente, lo stesso Tribunale è stato chiamato a valutare se una
accordo orale tra ex coniugi sugli alimenti potesse rientrare nella previsione
dell’art. 27 dell’allegato VIII allo statuto dei funzionari al fine di garantire
alla ex moglie la pensione di reversibilità. Il Tribunale ha dichiarato che
«l’applicazione di una norma di diritto comunitario può implicare un riferimento al diritto degli Stati membri qualora il giudice comunitario non
riesca a rinvenire, nel diritto comunitario o fra i principi generali del diritto
29
Tribunale di primo grado, 18 dicembre 1992, causa T-85/91, Khouri c. Commissione,
in Raccolta, 1992, p. II-2637, par. 33.
30
L’art. 3 della decisione della Commissione sulle disposizioni generali di attuazione riguardanti le persone da considerare minori a carico (C(2004)1364 del 15 aprile 2004) non fa
piú riferimento alla convenzione dell’Aja. Stranamente il giudice competente è ancora determinato sulla base della convenzione di Bruxelles del 1968 anziché attraverso il regolamento n.
44/2001, che comunque ha sostituito la convenzione a norma del suo art. 68 comma 2.
31
Nella sentenza Diaz Garcı́a, di pari data, il Tribunale ha stabilito che sia i giudici spagnoli che quelli belgi erano competenti e che entrambe le leggi potevano applicarsi, ma che
secondo nessuna di esse sussistesse l’obbligo legale di mantenere il figlio del convivente (cit.
supra, nota 18).
376
dottrina
comunitario, gli elementi che gli permettano di precisarne il contenuto e la
portata attraverso un’interpretazione autonoma» e che in questo caso «la
nozione di obbligazione alimentare convenuta tra ex coniugi a seguito del
loro divorzio attiene... alle conseguenze patrimoniali che discendono dalla
sentenza di divorzio pronunciata in base alle norme del diritto civile applicabile. I presupposti di validità di una convenzione che stipula il pagamento di una pensione alimentare a favore del coniuge divorziato di un
dipendente delle Comunità o, nella fattispecie, di un ex membro di un’istituzione comunitaria vanno, in linea di principio, determinati in base alla
legge che regola gli effetti del divorzio, nella fattispecie la legge greca in
forza della quale è stato pronunciato il divorzio». 32
In questo caso il Tribunale ha qualificato l’accordo sugli alimenti tra ex
coniugi come una nozione autonoma (una delle conseguenze economiche
del divorzio) e ha poi indicato quale legge applicabile alla validità di tale
accordo la legge sulla base della quale il divorzio era stato pronunciato.
È alquanto sorprendente quindi che in questo quadro generale il Libro
verde sulle obbligazioni alimentari non scelga tra interpretazione autonoma
e riferimento al diritto nazionale per la definizione di «obbligazioni alimentari». 33 Sembra infatti che una nozione generale e autonoma sia presente
negli atti comunitari e possa servire sia ai fini dei conflitti di leggi, sia per la
determinazione della giurisdizione e per l’esecuzione delle sentenze.
Questo esempio mostra chiaramente che la scelta di un percorso diretto
e predeterminato per l’interpretazione dei termini giuridici utilizzati negli
atti comunitari di diritto internazionale privato è difficile e che è necessario
seguire una strada piú flessibile caso per caso, che tenga in considerazione
l’incoerenza degli atti e degli strumenti adottati nei diversi settori, ognuno
dei quali ha un diverso ambito di applicazione e un diverso scopo. Questa
conclusione non è particolarmente incoraggiante in un settore che muove i
primi passi come quello del diritto internazionale privato, ma rispecchia o
corrisponde alla situazione che si verifica anche in altri settori dello stesso
diritto comunitario e negli ordinamenti nazionali.
32
33
Tribunale di primo grado, 21 aprile 2004, M. c. Corte di giustizia cit.
COM (2004)254 del 15 aprile 2004.
FRANCESCO SALERNO
professore ordinario nell’università degli studi di ferrara
LE MODIFICHE STRUTTURALI APPORTATE
DAL PROTOCOLLO N. 14 ALLA PROCEDURA
DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO *
Sommario: 1. Le riforme procedurali del protocollo ed il quadro normativo generale. – 2. Il
ruolo del Giudice unico. – 3. Le nuove funzioni del Comitato di tre giudici. – 4. Le attribuzioni della Camera. – 5. La posizione della Grande Camera. – 6. La composizione
amichevole delle controversie. – 7. Il rafforzamento della garanzia collettiva: il diritto
d’intervento del Commissario dei diritti dell’uomo. – 8. Segue: il potere di azione del Comitato dei ministri per la domanda di una sentenza interpretativa o di inottemperanza. –
9. Conclusioni.
1. Con il protocollo n. 14 di emendamento alla convenzione europea dei
diritti dell’uomo (di seguito CEDU) 1 si apportano una serie di modifiche
all’organizzazione ed al procedimento della Corte europea dei diritti dell’uomo (di seguito Corte). Le ragioni di questo intervento riformatore sono
determinate, per un verso, dalla mole crescente dei ricorsi individuali (piú
di 40.000 nel 2004) e, per un altro, dall’esigenza di introdurre meccanismi
processuali di garanzia «collettiva» della CEDU e delle decisioni pronunziate dalla Corte. Tali innovazioni operano all’interno del sistema giurisdizionale esistente fondato sulla Corte «unica» e il doppio canale dei ricorsi:
statali ed individuali. In considerazione della grande quantità di ricorsi
individuali che vengono considerati irricevibili (il 90%), si è configurata
una profonda semplificazione della relativa procedura, che tuttavia lascia
impregiudicato il diritto d’azione della «vittima» dinanzi alla Corte onde
salvaguardare il sistema di garanzie offerte dalla CEDU. 2 Se ne rafforza nel
* Il presente scritto sviluppa la relazione tenuta al convegno di Ferrara su «La nuova
procedura dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo dopo il Protocollo XIV (29-30
aprile 2005)».
1
Adottato il 13 maggio 2004, n. 194 della serie dei trattati del Consiglio d’Europa
(STCE); per il relativo testo e per i dati relativi alle ratifiche http://conventions.coe.int. Al
24 gennaio 2006 il protocollo risulta ratificato da ventitre Stati e firmato da tutti gli Stati
membri del Consiglio d’Europa ad eccezione della Russia. Il Parlamento italiano ha approvato la legge 15 dicembre 2005 n. 280 (in Gazz. Uff., n. 4 del 5 gennaio 2006, p. 29 ss.),
con cui viene data l’autorizzazione alla ratifica del protocollo.
2
«Il a été estimé que le principe selon lequel toute personne a le droit de saisir la Cour
devait être fermement maintenu» (Protocole n. 14 à la Convention de sauvegarde des Droits de
l’Homme et des Libertés fondamentales amendant le système de contrôle de la Convention.
Rapport explicatif, Strasbourg, 2004, par. 34, di seguito «Rapport explicatif»; vedi anche Comité Directeur pour les Droits de l’Homme, Garantir l’efficacité à long terme de la Cour eu-
378
dottrina
contempo la valenza di «instrument constitutionnel de l’ordre public européen», 3 consentendo il diritto di intervento e di azione ad organismi, quali
il Commissario dei diritti umani ed il Comitato dei ministri, preposti alla
effettiva garanzia collettiva della CEDU. 4 Perciò la Corte, pur restando un
organismo unico, acquista una maggiore articolazione organizzativa per
razionalizzare l’esame di ricorsi individuali in base al loro grado di rilevanza
onde riservare l’esame approfondito solo ai casi piú significativi. Ma risulta
altresı́ piú complessa la procedura dinanzi alla Corte per il sopraggiungere
di un potere d’azione a tutela di interessi collettivi in capo ad entità diverse
dai ricorrenti originari.
In quanto l’intervento riformatore si innesta nella struttura tradizionale
del sistema di tutela configurato dalla CEDU in specie con il protocollo n.
11, si mantengono alcune caratteristiche fondamentali del sistema. Perciò la
riforma del meccanismo di ricorsi individuali non tocca la procedura dei
ricorsi, pur assai scarsi, degli Stati, i quali però vengono ad essere comunque interessati dalle modifiche intervenute sul versante dei meccanismi
processuali di garanzia collettiva. Ma il carattere a volte assai radicale delle
innovazioni contenute nel protocollo n. 14 introduce alcuni elementi di
«istituzionalizzazione» rispetto ai quali si flette tanto il diritto al giudice
nazionale da parte dello Stato contro cui è stato presentato un ricorso
individuale (assicurato invece nella Camera e nella Grande Camera ai sensi
dell’art. 27, secondo comma), 5 quanto la funzione di accertamento della
Corte.
Per attuare questa riforma, la Corte dovrà plausibilmente apportare
adeguate modifiche al proprio regolamento di procedura (di seguito
«RP») ovvero «reinterpretare» alcune disposizioni processuali. In proposito
si deve tener conto che la riforma apportata dal protocollo n. 14 soprav-
ropéenne des Droits de l’Homme, CM(2003) 55, Strasbourg, 8 avril 2003, par. 16). L’atteggiamento normativo risente notevolmente della posizione ferma assunta dalla Corte in proposito: «Le droit de recours individuel a acquis au fil des ans une importance capitale et figure
parmi les clefs de voute du mécanisme de sauvegarde des droits et libertés énoncés dans la
Convention» (6 febbraio 2003, Mamatkulov et Abdurasulovic c. Turquie, requêtes n. 46827/
99 e 46951/99, par. 106, in http://cmiskp.echr.int); il principio viene ribadito dalla Grande
Camera nel giudizio di riesame dello stesso caso: «La disposition consacrée au droit de recours individuel... est l’un des piliers essentiels de l’efficacité du système de la Convention»
(4 febbraio 2005, Mamatkulov c. Turquie, par. 100, in http://cmiskp.echr.int).
3
Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 marzo 1995, Loizidou c. Turquie (exceptions
préliminaires), in Publications de la Cour européenne des droits de l’homme, Série A, Arrêts
et Décisions, n. A/310, par. 75.
4
Anche questo è un concetto piú volte ribadito dalla Corte: 23 marzo 1995, Loizidou c.
Turquie cit., par. 70; piú di recente 4 febbraio 2005, Mamatkulov c. Turquie cit., par. 100.
5
È del resto regola generalmente osservata nelle giurisdizioni internazionali garantire
allo Stato parte del processo il diritto di designare un proprio giudice nazionale ad hoc quando non ve ne sia uno nel collegio precostituito (art. 31 dello statuto della Corte internazionale
di giustizia).
francesco salerno
379
viene ancora una volta nei confronti di una organizzazione giudiziaria – la
Corte europea dei diritti dell’uomo – che diversamente da altre giurisdizioni
internazionali ed europee (come la Corte internazionale di giustizia o la
Corte di giustizia delle Comunità europee), è sprovvista di un vero e proprio «statuto», fatte salve le norme contenute nella CEDU quale modificata
per effetto dei vari protocolli che si sono susseguiti. Comparando questa
disciplina con quella degli «statuti» di altri giudici internazionali, emerge
una relativa povertà di principi e regole quanto alla organizzazione della
Corte ed alla sua procedura. Perciò la Corte si è sovente trovata nella
necessità di colmare queste lacune, inserendo nel proprio regolamento di
procedura – che l’assemblea plenaria del collegio adotta ai sensi dell’art. 26
lett. d della CEDU senza che venga approvato dal Comitato dei ministri –
istituti che tradizionalmente sono inseriti nello statuto del giudice internazionale e che sono vere e proprie regole generali del diritto internazionale
processuale: si pensi in particolare alle sentenze di interpretazione e revisione (articoli 79 e 80 RP) o ai provvedimenti cautelari (art. 39 RP). Tale
iniziativa della Corte non costituisce una forzatura rispetto alle funzioni che
la CEDU le assegna. Infatti, non solo è difficilmente controvertibile che il
giudice internazionale possa applicare in modo autonomo norme di diritto
internazionale generale o principi generali di diritto in materia processuale
anche in assenza di precise indicazioni statutarie, 6 ma a ciò egli viene
abilitato quando gli viene riconosciuta la competenza ad emanare il proprio
regolamento di procedura. Le norme in esso formulate esprimono un potere di normazione «delegato» alla giurisdizione permanente. 7 Esercitando
i poteri «inerenti» alla propria organizzazione, il giudice internazionale
introduce nel regolamento – infra o praeter legem – quelle norme che ritiene
indispensabili per la stessa effettività della funzione giudiziaria: 8 in tale
prospettiva il regolamento di procedura può anche introdurre istituti non
contemplati nell’atto istitutivo.
Nell’ambito della CEDU gli Stati parti non hanno in genere posto
6
Cfr. Corte internazionale di giustizia, Avis consultatif du 13 juillet 1954, Effet de jugements du Tribunal administratif des Nations Unies accordant l’indemnité, in Cour internationale de justice, Recueil des arrêts, avis consultatifs et ordonnances, 1954, p. 56 s.
7
Anzilotti, Corso di diritto internazionale, 3a ed., Roma, 1928, p. 267; Scerni, Saggio
sulla natura giuridica delle norme emanate dagli organi creati con atti internazionali, Genova,
1930, p. 15 ss.; Rosenne, The Law and Practice of the International Court, 1920-1996, The
Hague, 1997, p. 1071 ss.; per Morelli, La sentenza internazionale, Padova, 1931, p. 114, si
tratterebbe di norme proprie all’ordinamento interno dell’organizzazione giudiziaria, ma nella prassi le corti internazionali ne fanno un uso assai piú ampio (vedi anche infra).
8
Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 giugno 1973, Ringeisen c. Austria, in Publications cit., n. A/16, par. 13. Non sono configurabili poteri «neutri» nell’esercizio della giurisdizione internazionale ed in specie da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (cosı́
invece Saccucci, Il caso Mamatkulov dinanzi alla Corte europea dei diritti umani: un problematico revirement in tema di efficacia delle misure provvisorie, in Riv. dir. int., 2004, p. 128).
380
dottrina
obiezioni sul ruolo assai incisivo svolto dalla Corte in materia processuale.
Del resto è significativo che gli stessi Stati abbiano recepito nel protocollo
n. 14 indicazioni contenute in precedenza solo nel regolamento di procedura (come avvenuto per la soluzione amichevole delle controversie e la
sentenza di interpretazione), 9 mostrando di condividere alcuni profili innovativi contenuti nell’architettura complessiva del sistema come sviluppato
nella prassi giudiziaria. Del resto una simile acquiescenza, oltre che essere
abbastanza pacifica nella prassi delle corti internazionali, trova maggiore
giustificazione in un sistema come quello della CEDU, la cui valenza di
«ordine pubblico europeo» si ricollega largamente alla effettività della procedura.
L’integrazione che la Corte ha cosı́ apportato alle norme processuali
della CEDU richiamandosi, nel regolamento di procedura o nella propria
prassi, a regole generali in materia processuale è stata finora pienamente
compatibile con le coordinate di fondo indicate dagli Stati parti e con il già
ricordato carattere «vitale» della procedura dei ricorsi individuali. Lo conferma il silenzio assoluto del protocollo n. 14 riguardo al modo in cui si è
affermato nel sistema della CEDU il valore vincolante dei provvedimenti
cautelari richiamati dal regolamento di procedura nel silenzio della CEDU
al riguardo. L’asserzione di tale valore da parte della Corte internazionale di
giustizia nel caso LaGrand 10 ha indotto la Corte europea dei diritti dell’uomo a modificare nel caso Mamatkulov, con due concordi pronunce
della Camera (2003) e della Grande Camera (2005), 11 il proprio precedente
orientamento negativo quale espresso nel caso Cruz Varas c. Suède del
1991: 12 sulla circostanza che la CEDU (diversamente dallo statuto della
Corte internazionale di giustizia) non menzioni l’istituto dei provvedimenti
cautelari è prevalso l’obbligo che gli Stati parti della CEDU hanno di
assicurare l’effettività della funzione giudiziaria internazionale.
L’adattamento alle regole o ai modelli giudiziari di altre Corti avviene in
piena aderenza alle esigenze di effettività proprie della giurisdizione europea. Del resto, la natura di obblighi solidali e collettivi propria della CEDU
è di gran lunga superiore a quello che normalmente si configura nel sistema
processuale della Corte internazionale di giustizia, sicché non sembra una
forzatura la determinazione della Corte di mutuare nel sistema della CEDU
il modello della giurisdizione internazionale piú tradizionale.
9
Infra, par. 6 e 8.
Ordinanza 3 marzo 1999 come apprezzata nella sentenza 27 giugno 2001, par. 100 s. (in
Riv. dir. int., 2001, p. 750 ss.): la Corte si fonda giust’appunto sull’obbligo degli Stati membri di
cooperare al rispetto delle sue decisioni in base al combinato disposto dell’art. 41 dello statuto
(nella sua piú favorevole versione francese) e dell’art. 94 della Carta dell’ONU.
11
6 febbraio 2003 cit., par. 109 s.; 4 febbraio 2005 cit., par. 103 ss.
12
In Publications cit., n. A/201, par. 94 ss.
10
francesco salerno
381
2. Per misurare le innovazioni strutturali del protocollo n. 14 sul «diritto vivente» sviluppato dalla giurisprudenza europea, si deve partire dalla
prevista istituzione del Giudice unico per la prima fase di ricevibilità dei
ricorsi individuali (nuovi articoli 26, terzo comma e 27 della CEDU). Questa figura è parte integrante della ordinaria composizione della Corte, essendo stato respinta l’ipotesi affacciatasi nel corso dei lavori preparatori di
assegnare ad altre persone – sia pure indipendenti e imparziali – la competenza ad esaminare la ricevibilità dei ricorsi individuali. 13 Diversamente,
coinvolgendo teoricamente l’intero organico in tale funzione, si determina
un allungamento verticale della struttura giurisdizionale europea, determinando una figura assolutamente rara nelle giurisdizioni internazionali permanenti in quanto preclude allo Stato parte della controversia di godere del
diritto al proprio giudice nazionale (art. 26, terzo comma del protocollo). Il
solo significativo precedente cui accostare l’innovazione del protocollo è il
giudizio in reféré previsto nel procedimento dinanzi al Tribunale di primo
grado delle Comunità europee (art. 14, secondo comma del relativo regolamento di procedura), ma per un novero assai limitato di procedimenti.
Invece la competenza del Giudice unico introdotta dal protocollo è generale per ogni sorta di ricorso individuale.
L’innovazione organizzativa si inserisce nell’attuale struttura della Corte
ripartita in quattro sezioni (in futuro ne sarà istituita una quinta), ognuna
delle quali è articolata al proprio interno in un Comitato di tre giudici con
competenza limitata a decidere sulla sola irricevibilità del ricorso ed in una
Camera di sette giudici che decide tanto la ricevibilità che il merito del
ricorso, sia esso individuale o statale. Per ridurre l’inutile gravame di lavoro
di due successive fasi sull’esame della ricevibilità del medesimo ricorso
individuale, l’attuale regolamento di procedura della Corte ha già introdotto la figura del giudice relatore (art. 48 ss. RP). Designato dal Presidente
della sezione (art. 49, secondo comma RP), il giudice relatore valuta se il
materiale del ricorso meriti di essere esaminato dal Comitato o dalla Camera (art. 49, terzo comma lett. b RP) e dunque canalizza il ricorso verso
l’uno o l’altro organismo senza con ciò pregiudicare la loro diversa determinazione sui termini della questione. Il giudice relatore opera in modo
sommario: non è neppure richiesto il rispetto del contraddittorio, anche se
egli può chiedere ulteriore documentazione alle parti (art. 49, terzo comma
lett. a RP). Nell’introdurre la figura del Giudice unico, l’art. 27, primo
comma, come modificato dal protocollo n. 14, riprende nella sostanza le
attuali funzioni del giudice relatore, collocandolo in modo autonomo alla
13
Cfr. Comité Directeur pour les Droits de l’Homme, Rapport intérimaire du CDDH au
Comité des Ministres: «Garantir l’efficacité à long terme de la Cour européenne des Droits de
l’Homme» (di seguito «Rapport intérimaire»), CM(2002) 146, Strasbourg, 18 ottobre 2002,
par. 23.
382
dottrina
base della nuova «piramide» giurisdizionale europea. 14 Infatti il Giudice
unico decide sulla sola irricevibilità del ricorso individuale tanto da cancellare la causa dal ruolo allorché una decisione del genere possa essere presa
«sans examen complémentaire». Nel Rapporto esplicativo del protocollo è
chiarito che «le juge prendra de telles décisions uniquement dans les affaires parfaitement claires, dans lesquelles l’irrecevabilité de la requête s’impose d’emblée». 15 Non si indicano parametri piú specifici di riferimento,
per quanto sia plausibile che essi vadano dedotti dalla giurisprudenza costante della sezione cui afferisce il Giudice unico o da quella unitaria della
Corte, pur se rappresentata da una singola decisione della Grande Camera. 16 Lo conferma la norma transitoria (art. 20, secondo comma) del
protocollo, in base alla quale nei primi due anni di attività dopo la sua
entrata in vigore solo la Camera e la Grande Camera potranno pronunciarsi
sulle nuove condizioni di ricevibilità indicate nell’art. 35. 17
Se non dichiara il ricorso irricevibile, il Giudice unico lo trasmette al
Comitato o alla Camera in rapporto al diverso tipo di competenze sul
merito che – come si vedrà – il protocollo n. 14 riconosce loro. La funzione
«decisoria» del Giudice unico è duplice: per un verso, cancellare dal ruolo
ricorsi individuali manifestamente irricevibili e, per un altro, canalizzare
quelli non manifestamente irricevibili davanti al Comitato o alla Camera
secondo che si tratti di ricorsi ripetitivi o meno. 18 In questa duplice funzione il Giudice unico è assistito da personale amministrativo qualificato
della Corte. 19 Stando alla formulazione testuale del protocollo, la decisione
del Giudice unico avviene senza necessità di contraddittorio e sulla base
della sola documentazione presentata dal ricorrente, tanto che difficilmente
egli potrebbe avere l’opportunità, ora consentita al giudice relatore, di
approfondire i punti dubbi richiedendo un’ulteriore documentazione. La
posizione che il Giudice riveste in questa fase della (ir)ricevibilità non può
tanto meno essere assimilata al ruolo svolto in passato dalla Commissione
europea dei diritti dell’uomo nell’originario procedimento della CEDU: in
quel sistema la procedura di ricevibilità era improntata al contraddittorio
tra le parti e la Commissione solitamente concludeva in senso affermativo
per la ricevibilità solo se vi era un consistente fumus nel ricorso individuale.
14
Sicilianos, L’objectif primordial du Protocole n. 14 à la Convention européenne des
droits de l’homme: alléger la charge de travail de la Cour, in La réforme du système de contrôle
contentieux de la Convention européenne des droits de l’homme, sous la direction de CohenJonathan et Flauss, Bruxelles, 2005, p. 64.
15
Rapport explicatif, par. 67.
16
Ivi, par. 68.
17
Ivi, par. 67.
18
Infra, par. 3 e 4.
19
Il nuovo art. 24 introdotto dal protocollo prevede che, quando la Corte opera «en
formation de juge unique», essa «est assistée de rapporteurs qui exercent leurs fonctions sous
l’autorité du président de la Cour. Ils font partie du greffe de la Cour».
francesco salerno
383
Il carattere sostanzialmente unilaterale e documentale del procedimento
previsto dal protocollo n. 14 davanti al Giudice unico gli rimette invece
la competenza a dichiarare prima facie il ricorso irricevibile in base alle sole
prove addotte dal ricorrente: questi deve pertanto presentare un’adeguata
documentazione se vuole evitare la decisione contraria alla ricevibilità e la
conseguente inappellabile cancellazione del ricorso dal ruolo.
Il trattamento processuale del ricorso individuale (diversamente da
quello statale) pone perciò a carico del ricorrente l’onere della prova rispetto al fumus di tutte le condizioni di ricevibilità indicate nell’art. 35,
compreso il carattere non adeguato dei rimedi nazionali. 20 Particolarmente
gravoso è questo onere allorché il ricorso non implichi «un pregiudizio
importante» (terzo comma): 21 in tale circostanza il Giudice unico potrà
valutare «non manifestamente irricevibile» il ricorso solo se esiste una
obiettiva esigenza interpretativa della CEDU. 22 Non può infine escludersi
che, su istanza dell’interessato, il Giudice unico rilasci un provvedimento
cautelare, in specie se ritiene che si tratti di un caso grave. Già in base al
sistema attuale il provvedimento cautelare può essere rilasciato nella fase
iniziale di esame della ricevibilità. 23 Benché il Giudice unico non sia competente ad esaminare nel merito il ricorso, egli potrebbe avvalersi della
competenza cautelare della Corte per evitare che, nelle more della trasmissione del fascicolo al Comitato o alla Camera, si consumino effetti pregiudizievoli irreversibili a danno del ricorrente. Diversamente andrebbe configurata nel regolamento di procedura una competenza cautelare del Presidente della sezione a svolgere questa funzione cautelare in attesa che si
costituisca il collegio competente. 24
3. Profondamente innovativo è il protocollo n. 14 con riguardo alle
competenze del Comitato di tre giudici. L’attuale disciplina della CEDU
20
L’onere probatorio viene notevolmente semplificato nei casi in cui il ricorso rientri in
una violazione di carattere strutturale, il cui accertamento ad opera della Corte è già conosciuto dal Giudice unico: infra, spec. par. 3.
21
Va osservato che, nel porre questa condizione, l’art. 35, terzo comma non sembra fare
distinzione tra i vari diritti tutelati dalla CEDU.
22
Per questo nuovo criterio di ricevibilità l’art. 20 del protocollo stabilisce la competenza della Camera e della Grande Camera nei primi due anni di applicazione della riforma procedurale: in tal senso vedi anche il Rapport explicatif, par. 83 s. nonché la dichiarazione fatta
dal Belgio al momento della sua firma.
23
Cfr. l’ordinanza del 30 novembre 1999 sul caso Öcalan c. Turquie, requête n. 46221/
99, riportata nella sentenza sullo stesso caso del 12 marzo 2003, par. 5 (in http://cmiskp/
echr/coe.int), in cui si chiedeva alla Turchia di sospendere l’esecuzione della pena capitale
fintanto che la Corte non avesse esaminato l’ammissibilità del ricorso.
24
Da questo punto di vista l’attuale struttura della Corte europea dei diritti dell’uomo
appare assai piú decentrata della Corte di giustizia comunitaria, nel cui àmbito il rilascio dei
provvedimenti cautelari è di competenza del solo Presidente: cfr. Morviducci, Le misure
cautelari nel processo comunitario, Padova, 2004, p. 99 ss.
384
dottrina
(art. 28) rimette a tale organismo solo la decisione – da prendere all’unanimità – sulla irricevibilità del ricorso individuale. Il protocollo ribadisce
l’attuale composizione di tre giudici del Comitato (sicché dovrebbero costituirsi 12 collegi di questo tipo all’interno della Corte) nonché il criterio
deliberativo all’unanimità per le sue decisioni (art. 29, primo comma).
Vengono però ampliate le funzioni del Comitato. Esso non si limita ad
esaminare in contraddittorio la ricevibilità del ricorso ma ne valuta anche
il merito, se la questione è risolvibile sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte (art. 28, primo comma lett. b). Poiché la decisione del
Comitato non è suscettibile di riesame, il parametro giurisprudenziale «costante» da utilizzare è quello uniforme della Corte nel suo insieme e non
l’eventuale indirizzo autonomo della sezione cui afferisce il Comitato. Perciò la competenza di merito del Comitato risulta nella sostanza circoscritta
ai c.d. «casi-clone» («arrêts-clones»), vale a dire ricorsi presentati da individui diversi ma vertenti sulla medesima questione di diritto e di fatto
rispetto alla quale si sia delineata una giurisprudenza costante della Corte.
Statisticamente sono i casi piú numerosi (il 65% secondo cifre ufficiali), 25
rispetto ai quali si manifesta assolutamente inadeguato anche l’eventuale
rimedio interno preposto appositamente a «filtrare» ricorsi ripetitivi. 26 In
un rapporto del Comité Directeur pour les Droits de l’Homme del 18
ottobre 2002 si chiarisce che deve trattarsi di «affaires se rapportant à
une pratique ou un texte législatif précis sur lesquelles la Cour s’est déjà
prononcée dans un arrêt». 27 È evidente il riferimento alla prassi della Corte
di adottare ad opera della Grande Camera una «sentenza-pilota» quando
ritenga che la violazione della CEDU abbia carattere strutturale dovuto ad
un disfunzionamento della legislazione o della prassi di uno Stato, 28 fonte a
sua volta di numerosi ricorsi individuali. Il Comitato di tre giudici non
potrebbe quindi pronunciarsi su un caso che evidenzi una violazione strutturale rispetto alla quale manchi una precedente sentenza-pilota della
Corte. Ma si è anche escluso che il Comitato si pronunci su ricorsi, ancorché ripetitivi, suscettibili di configurare nello specifico caso concreto una
violazione «grave» dei diritti dell’uomo eventualmente di natura diversa da
quelle di carattere «strutturale». 29 In queste ipotesi il Comitato non può
25
Cfr. Comité Directeur pour les Droits de l’Homme, Garantir l’efficacité à long terme
de la Cour européenne des Droits de l’Homme: CM(2003)55 cit., par. 8.
26
Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 26 ottobre 2000, Kudla c. Pologne, requête
n. 30210/96, par. 154 ss. (in http://cmiskp/echr/coe.int).
27
Rapport intérimaire, par. 68.
28
In questi casi, secondo la definizione datane dalla Corte nella sentenza 22 giugno
2004, Broniowski c. Pologne, requête n. 31443/96, par. 189 (in http://cmiskp/echr/coe.int),
la violazione denunciata nel ricorso «tire son origine d’un problème à grande échelle résultant
d’un dysfonctionnement de la législation [nationale] et d’une pratique administrative et qui a
touché, et peut encore toucher à l’avenir, un grand nombre de personnes».
29
Rapport intérimaire, par. 68.
francesco salerno
385
assumere alcuna decisione di merito, perché l’una e l’altra tipologia di
decisioni appartengono alla «parte alta» dell’architettura giurisdizionale
europea. Del resto la competenza della Camera scatta automaticamente
in assenza di decisione da parte del Comitato (art. 29, primo comma),
per cui non è neppure necessario configurare una formale declinatoria di
competenza da parte del Comitato.
L’accertamento sulla natura ripetitiva e non grave del ricorso è già
operato dal Giudice unico allorché, appurata la «non-irricevibilità» del
ricorso, valuti pertinente la prosecuzione della procedura dinanzi al Comitato anziché davanti alla Camera, dovendo egli considerare che la decisione
del Comitato non potrà mai essere oggetto di riesame ad opera della Camera e tanto meno della Grande Camera. 30 È pertanto plausibile che il
Giudice unico svolga tale determinazione in modo molto selettivo, inviando
il ricorso alla Camera ogni qual volta esistano divergenze interpretative in
seno alla Corte ovvero se il caso sollevi una questione nuova, specie in
termini di violazione grave o strutturale della CEDU. Ove il Giudice unico
abbia valutato erroneamente i presupposti della competenza del Comitato,
il collegio di tre giudici rifiuterà di decidere, cosı́ declinando la propria
competenza a favore della Camera, la quale – a sua volta – sarà libera di
declinarla ulteriormente a favore della Grande Camera.
Pur cosı́ delimitate, le nuove competenze del Comitato coprono ratione
materiae ogni violazione lamentata quale che sia l’oggetto del ricorso individuale, lo Stato contro cui viene esperito ovvero la consistenza della riparazione dovuta all’individuo. Resta invece meno chiaro il rapporto che
sussiste tra la sentenza-pilota della Corte e la ricevibilità dei ricorsi ripetitivi
che afferiscono alla medesima violazione strutturale. In una recente giurisprudenza della Corte, 31 l’esame di questi ricorsi è stato «congelato» in
attesa non solo della decisione della Grande Camera sul «caso-pilota» ma
anche che lo Stato condannato (la Polonia) prendesse le misure richieste in
un termine «ragionevole». Se la Corte – come pare – dovesse insistere in
tale indirizzo, verrebbe inevitabilmente condizionata anche la competenza
del Comitato, tanto piú che la Corte cancella dal proprio ruolo le cause
ripetitive se lo Stato condannato ha nel frattempo preso misure di portata
strutturale conseguenti alla sentenza-pilota. 32
Ai sensi del nuovo art. 28, primo comma lett. b, come modificato dal
protocollo, il Comitato dei tre giudici valuta congiuntamente le questioni di
30
«Un renvoi devant la Grande Chambre... serait en effet incompatible avec le but de
cette disposition et en réduirait considérablement les effets escomptés» (Comité Directeur
pour les Droits de l’Homme, Garantir l’efficacité à long terme de la Cour européenne des
Droits de l’Homme cit.).
31
Corte europea dei diritti dell’uomo, 22 giugno 2004, Broniowski c. Pologne cit., par.
198.
32
Rapport intérimaire, par. 69.
386
dottrina
ricevibilità e quelle di merito. Pur trattandosi di una procedura accelerata, 33 le sue decisioni costituiscono a tutti gli effetti sentenze «definitive»
della Corte, sulla cui esecuzione scatta la «supervisione» del Comitato dei
ministri. Il tipo di funzioni assegnato al Comitato lo abilita pienamente al
rilascio di provvedimenti cautelari.
In quanto la competenza del Comitato di decidere sul merito del ricorso
sia subordinata alla giurisprudenza costante della Corte, sussiste un sostanziale onere della prova a carico dello Stato convenuto di provare che non
sussista un tale indirizzo. Ciò spiega il riferimento del Rapporto esplicativo
ad una procedura «à la fois simplifiée et accélérée», 34 nel senso che la Corte
porta a conoscenza dello Stato interessato il trattamento processuale che
intende dare al ricorso con specifico riferimento all’esistenza di una giurisprudenza costante destinata verosimilmente a «ripetere» precedenti condanne. La procedura successiva dipende dall’atteggiamento dello Stato: se
questo condivide la valutazione della Corte non vi sarà bisogno di instaurare il contraddittorio. 35 Inoltre, in base al protocollo, non è membro di
diritto del Comitato il giudice nazionale dello Stato contro cui il ricorso
viene avanzato (secondo quanto già avviene nell’attuale Comitato sulla
ricevibilità ai sensi dell’art. 53, primo comma RP); egli potrà partecipare
a questa fase della procedura se invitato dal Comitato in sostituzione di un
suo membro, assumendo cosı́ piene funzioni. La valutazione discrezionale
del Comitato dipenderà plausibilmente dalla necessità di verificare la condizione di giurisprudenza costante a seguito della eventuale eccezione sollevata dallo Stato. Qualora il giudice nazionale intendesse condividere questa obiezione, egli potrebbe impedire con il suo voto contrario la valida
deliberazione del Comitato, con la conseguenza di rimettere il ricorso alla
Camera.
4. Il protocollo n. 14 ribadisce la posizione della Camera a valutare «in
primo grado» ricevibilità e merito dei ricorsi statali, mentre la sua competenza quanto all’esame dei ricorsi individuali dipende dall’esito dei precedenti «filtri» operati dal Giudice unico e dal Comitato dei tre giudici. In
questa seconda ipotesi la competenza della Camera non è piú piena come
nell’attuale sistema ma sussiste solo se la Camera stessa sia stata direttamente investita del ricorso da parte del Giudice unico ovvero se il Comitato
non ha deciso all’unanimità. Considerato che i casi ripetitivi sono di competenza del Comitato, alla Camera dovrebbero spettare i ricorsi individuali
non ripetitivi oltre che tutti i ricorsi statali; in ogni caso resta ferma la
33
Ivi, par. 39.
Rapport explicatif, par. 69.
35
Ivi, par. 69; cfr. anche Savarese, Il protocollo n. 14 alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. dir. int., 2004, p. 721.
34
francesco salerno
387
possibilità che la Camera declini la sua competenza a favore della Grande
Camera (art. 30).
Diversamente da quanto previsto per i ricorsi statali, la Camera può
decidere in modo simultaneo sulla questione di ricevibilità e di merito dei
ricorsi individuali (art. 29, primo comma nella nuova versione). Le esigenze
di filtro dei ricorsi individuali poste dal protocollo hanno determinato un
allungamento della giurisdizione europea all’interno delle singole sezioni,
tanto che sul singolo caso può registrarsi il coinvolgimento processuale di
tutti e tre i livelli – Giudice unico, Comitato dei tre giudici e Camera – se il
Comitato, ricevuto il ricorso dal Giudice unico, non si pronuncia sul ricorso. La procedura dinanzi alla Camera rientra nel modello usuale del
processo internazionale, con la presenza obbligatoria del giudice nazionale
dello Stato contro cui il ricorso è stato presentato. Il protocollo ha peraltro
configurato la possibilità che il Comitato dei ministri, su richiesta della
Corte, riduca da sette a cinque il numero dei giudici componenti il collegio
della Camera (art. 26, secondo comma). La formula normativa è innovativa
perché rende superfluo il ricorso ad una apposita procedura di revisione
della CEDU e potrebbe servire da esempio per ulteriori futuri aggiustamenti all’organizzazione della Corte. Nel contempo, la riduzione del collegio ridimensiona in qualche modo la posizione della Camera nell’architettura della giurisdizione europea, ma tiene conto della tendenza piuttosto
significativa delle attuali Camere a declinare la propria competenza a favore
della Grande Camera quando vi siano questioni complesse da definire.
5. Con il protocollo n. 14 la Grande Camera anzitutto rafforza la propria tradizionale competenza conseguente o alla declinazione della competenza da parte della Camera (art. 30 CEDU) o all’istanza di riesame avverso
una decisione della Camera (art. 43). Nella prima ipotesi stabilisce l’indirizzo su «casi-chiave» («arrêts-clés») che la Camera reputa tali, nella seconda ipotesi la decisione della Camera viene riesaminata se analoga natura
viene riconosciuta al ricorso da parte dell’apposito comitato-filtro di cinque
giudici della Grande Camera. Non è invece suscettibile di riesame la sentenza di merito – e per ciò stesso definitiva – del Comitato, dal momento
che una simile decisione deve per sua natura rientrare nella giurisprudenza
consolidata della Corte. La struttura della Grande Camera resta inalterata,
nonostante le osservazioni critiche che pur erano state sollevate a proposito
della presenza nel collegio di riesame sia del Presidente della sezione da cui
proviene la decisione originaria sia del giudice nazionale dello Stato convenuto già membro ovviamente del collegio camerale iniziale. La parziale
identità del collegio nel giudizio di riesame con quello che ha pronunciato
la prima decisione sembrerebbe in effetti contraddire il requisito di indipendenza della Grande Camera rispetto ad un caso da riesaminare. Ma si
deve tener presente che nella procedura di riesame la Grande Camera non
funge tanto da giudice di appello quanto assicura – in ragione delle stesse
388
dottrina
condizioni di ricevibilità della domanda – la determinazione unitaria della
Corte e – con essa – l’effettività della CEDU.
Il protocollo n. 14 accentua questa posizione della Grande Camera,
assegnandole la competenza esclusiva ad esaminare la domanda del Comitato dei ministri tesa a sollecitare una sentenza di condanna dello Stato che
risulti non aver adempiuto ad una precedente decisione della Corte (art. 46,
quarto comma). 36 Con questa nuova procedura si intende evidentemente
formalizzare – nel modo piú certo possibile – una condizione grave di
illecito rispetto alla CEDU attraverso un giudizio solenne che si attaglia
solo alla Grande Camera.
6. Anche le modifiche introdotte dal protocollo n. 14 alla procedura di
composizione amichevole delle controversie si pongono in continuità con
l’obiettivo di rendere maggiormente effettivo il sistema di tutela della
CEDU.
Attualmente la composizione amichevole è possibile solo dopo la fase
della ricevibilità (art. 38) ed interessa un numero di casi pari a circa il 10%
rispetto a quelli decisi con sentenze di merito. 37 L’art. 39 modificato dal
protocollo configura tale soluzione «in ogni fase della procedura» e pertanto
investe anche la fase della ricevibilità. 38 Scopo di questa disposizione è quello
di favorire il piú possibile la composizione amichevole cosı́ da alleggerire il
carico di contenzioso della Corte. Il nuovo art. 39 della CEDU recepisce pure
l’indicazione già presente nell’art. 62, terzo comma dell’attuale regolamento
di procedura, per cui la Corte approva la soluzione amichevole della controversia purché coerente rispetto ai principi della CEDU. Andrebbero pertanto definite le modalità attraverso cui la procedura continua in assenza di
un interesse procedurale delle parti: 39 un intervento in questa direzione
potrebbe aver luogo ad opera del Commissario dei diritti umani. 40
In armonia con l’art. 43, terzo comma RP, in base al quale occorre
decidere con sentenza la cancellazione di un ricorso già dichiarato ricevibile, la Corte ha avviato la prassi di pronunciarsi con sentenza anche sulla
composizione amichevole della controversia, dando un significato piú pregnante all’attuale art. 39 della CEDU che prefigura una generica «decisione» al riguardo. 41 In considerazione di ciò è da escludere che la valuta36
Infra, par. 8.
In base alle statistiche giudiziarie del 2004, si registrano 68 sentenze sulla composizione amichevole delle controversie rispetto ad altre 626 sentenze di merito: Cour européenne
des droits de l’homme, Aperçu 2004, p. 32, in http://echr.coe.int.
38
Savarese, op. cit., p. 724.
39
Vedi però il precedente costituito dalla sentenza 24 luglio 2003, Karner c. Austriche,
requête n. 40016/98, par. 27 e 28, in http://cmiskp.echr.coe.int.
40
Infra, par. 7.
41
Per perplessità al riguardo vedi Villani, Il protocollo n. 14 alla convenzione europea
dei diritti dell’uomo, in Comunità int., 2004, p. 495.
37
francesco salerno
389
zione sull’esito della composizione amichevole possa riguardare il Giudice
unico. Lo impedisce non solo il carattere documentale che caratterizza la
procedura in questa fase ma soprattutto la circostanza che il Giudice unico
non ha alcuna competenza sul merito, necessaria per valutare la congruità
della soluzione rispetto ai principi della CEDU.
È invece piena la competenza che spetta, al riguardo, al Comitato dei
tre giudici, salvo il limite derivante dalla giurisprudenza consolidata della
Corte. È noto peraltro che proprio il carattere quasi equitativo dell’apprezzamento dovuto dalla Corte sull’ipotesi di composizione amichevole della
controversia ha dato luogo ad una giurisprudenza autonoma tra le diverse
sezioni. Se perdurasse una simile divergenza, il Comitato non potrebbe
pronunciarsi sul tentativo di composizione amichevole della controversia
e quindi la questione diventerebbe automaticamente di competenza della
Camera o, in caso di sua declinatoria, della Grande Camera.
Nell’eventualità che una sentenza-pilota da parte della Grande Camera
abbia indicato misure di riparazione in forma specifica per rimuovere un
«disfunzionamento» di carattere strutturale, perdura una specifica aspettativa dell’iniziale ricorrente all’adempimento dell’obbligo «secondario» da
parte dello Stato. Perciò è anche configurabile, come accaduto nel caso
Broniowski, una composizione amichevole tra il singolo ricorrente e lo Stato
in merito anche alla fine di questa specifica controversia sull’attuazione
della decisione. 42 La valutazione circa la sua congruità con i principi della
CEDU deve necessariamente rientrare nella competenza della Grande Camera che ha accertato l’iniziale violazione strutturale; trattandosi di una
considerazione da svolgere in evidente continuità con la sentenza di condanna, si comprende l’orientamento di assegnare nuovamente il caso allo
stesso collegio che ha pronunciato l’originaria sentenza di condanna, cosı́ da
ritenere definitivamente chiuso il contenzioso.
7. Il nuovo art. 36, terzo comma della CEDU, come modificato dal protocollo n. 14 prevede che il Commissario dei diritti umani del Consiglio
d’Europa partecipi alla procedura davanti alla Camera ed alla Grande Camera. Il protocollo non ha accolto l’originaria proposta avanzata dallo stesso
Commissario di riconoscere al medesimo una sorta di actio popularis del tutto
autonoma da quella dei ricorsi individuali o statali e suscettibile di prescindere
dal previo esaurimento dei ricorsi interni. 43 La posizione processuale ricono42
Vedi Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 settembre 2005, Affaire Broniowski c.
Pologne, requête n. 31443/96, par. 36, in http://cmiskp.echr.coe.int: «il est évidemment souhaitable pour le bon fonctionnement du mécanisme de la Convention que redressement individuel et redressement général aillent de pair».
43
Commissaire aux droits de l’homme, 4e Rapport Annuel janvier-décembre 2003 au Comité des Ministres et à l’Assemblée parlementaire, CommDH(2004)10, Strasbourg, 15 dicembre 2004, p. 17.
390
dottrina
sciuta al Commissario non è però assimilabile – come pure è stato fatto –
all’istituto processuale dell’amicus curiae. Diversamente da questo, che partecipa al processo europeo in funzione ausiliare della Corte e previo assenso del
suo Presidente, 44 il Commissario è titolare di un autonomo diritto di intervento nella nuova procedura dinanzi alla Corte. 45 Lo si evince dal combinato
disposto dell’art. 36, terzo comma con l’art. 36, primo comma della nuova
CEDU, che contempla il tradizionale diritto di intervento riservato allo Stato
di cittadinanza del ricorrente. L’art. 36, terzo comma si esprime esattamente
negli stessi termini riguardo ai diritti processuali del Commissario, attribuendogli il diritto di presentare osservazioni scritte e di prendere parte alle
udienze. Se parte effettiva del processo, il Commissario è titolare di ogni
potere afferente a tale status e quindi può anche chiedere provvedimenti
cautelari e presentare domanda di sentenza di interpretazione o di revisione.
Il diritto autonomo di intervento del Commissario è senz’altro espressivo della
garanzia collettiva dei diritti umani cui in definitiva risponde la costituzione
stessa di questo organo del Consiglio d’Europa.
La funzione propria del Commissario è quella di promuovere il rispetto
effettivo dei diritti dell’uomo in specie identificando «les insuffisances legislatives» di un paese membro, 46 vale a dire quelle situazioni che concorrono a determinare violazioni di ordine strutturale della CEDU. Perciò
l’intervento del Commissario nel processo non può motivatamente riguardare la procedura del ricorso individuale davanti al Comitato dei tre giudici,
limitata alla condanna dello Stato per «casi-clone» dall’esito scontato. In
considerazione dell’interesse collettivo che ne giustifica l’azione, il Commissario potrà evidenziare dinanzi alla Camera o alla Grande Camera i casi di
«debolezza strutturale» del paese convenuto 47 ovvero denunciare una violazione grave ad opera del medesimo. Il Commissario si potrà anche esprimere sull’esito della procedura di composizione amichevole della controversia, in particolare se soddisfacente in rapporto ai principi della CEDU.
Potrebbe quindi contestare anche l’accordo tra le parti, tanto piú se l’individuo abbia dovuto accettarlo in considerazione della sua posizione di
debolezza nei confronti dello Stato. 48
44
Art. 36, secondo comma CEDU e art. 44, secondo comma RP.
Cohen-Jonathan, Propos introductif, in La réforme du système de contrôle contentieux de la Convention européenne des droits de l’homme cit., p. 15; Flauss, La réforme de
la réforme. Propos conclusifs sous forme d’opinion séparée, ivi, p. 173. Si era inizialmente profilata anche la possibilità di riconoscere al Commissario un potere di azione su questioni di
interesse generale: Comité Directeur des Droits de l’Homme-Groupe de rédaction sur le renforcement du mécanisme de protection des droits de l’homme, Réponse de la Cour européenne des droits de l’homme au rapport intérimaire du CDDH rédigé à la suite de la 46ème session
administrative plénière du 2 février 2004, CDDH-GDR(2004)001 Rév., par. 25.
46
Commissaire aux droits de l’homme, 4e Rapport Annuel cit., p. 9.
47
Ivi, p. 18.
48
Rapport explicatif, par. 87.
45
francesco salerno
391
La presenza di un organo autonomo quale il Commissario potrebbe
infine consentire di proseguire il procedimento anche in caso di disinteresse
delle parti, quando il ricorso presenti aspetti interpretativi ed applicativi di
indubbio interesse per l’effettività complessiva della CEDU. In una circostanza del genere il Commissario dei diritti umani viene a svolgere un ruolo
di «impulso» processuale analogo a quello che nel sistema originario della
CEDU veniva svolto dalla Commissione europea dei diritti dell’uomo.
8. L’esigenza fortemente avvertita secondo cui l’esecuzione della sentenza europea deve essere assorbita nella sfera di garanzia «collettiva»
spiega la scelta del protocollo n. 14 di potenziare il sistema giurisdizionale
europeo rispetto a tale fase, riconoscendo al riguardo una specifica posizione processuale al Comitato dei ministri. Questa attribuzione avviene in
correlazione con la nota competenza del Comitato dei ministri di svolgere
una funzione di supervisione dell’esecuzione delle decisioni della Corte (art.
46, secondo comma). In base al protocollo, il Comitato dei ministri ha il
diritto di sollecitare la Corte a pronunciare una sentenza di interpretazione
di una qualunque sentenza definitiva (nuovo art. 46, terzo comma) ovvero
una sentenza di condanna per inottemperanza («action de manquement»)
dello Stato che non abbia adempiuto al rispetto della precedente sentenza
di condanna della Corte (nuovo art. 46, quarto comma). Mentre però la
domanda di sentenza interpretativa può essere presentata da una qualunque parte del processo (art. 79 RP), è esclusivamente di pertinenza del
Comitato dei ministri la richiesta di una sentenza di inottemperanza dello
Stato. Il fondamento di entrambi i poteri processuali sta nel fatto che
questo organismo è preposto alla supervisione degli effetti esecutivi della
sentenza per la parte di sua competenza. Perciò esso diventa anche titolare
di un interesse ad agire sia per l’interpretazione che per la mancata esecuzione della sentenza. La competenza che il sistema riconosce al Comitato
dei ministri è certamente da quello gestita in termini «politici», ma non piú
condizionati dalla regola dell’unanimità, poiché è sufficiente che la delibera
con cui viene richiesta la sentenza di interpretazione o di inottemperanza sia
approvata a maggioranza dei due terzi.
Diversi sono i presupposti per la richiesta dell’una o dell’altra decisione
da parte del Comitato dei ministri.
Per ciò che concerne la richiesta di una sentenza di interpretazione, è
plausibile che essa venga formulata solo se il Comitato dei ministri, preposto alla supervisione dell’esecuzione della sentenza emessa dalla Corte,
ritenga che vi siano incertezze interpretative al riguardo. Nel diritto internazionale processuale la richiesta di una sentenza di interpretazione
trova origine nella matrice arbitrale della giurisdizione internazionale e
si fonda sul «diritto» di una parte processuale alla sentenza «certa».
Poiché il Comitato dei ministri non è parte del processo originario dinanzi alla Corte, deve ritenersi che tale organo si configuri come titolare
392
dottrina
«in solido» della garanzia di certezza del diritto nell’ambito della CEDU,
quale espressa dalla pronuncia della Corte. 49 Difficilmente praticabile
nella formula arbitrale tradizionale per il carattere «isolato» della stessa
(sicché la richiesta era in concreto esperibile in immediata successione al
momento della decisione di merito), la domanda di una sentenza di
interpretazione è senz’altro agevolata dal carattere «permanente» della
giurisdizione internazionale, consentendone la proposizione anche dopo
molto tempo 50 e canalizzando possibilmente il giudizio di interpretazione
nella medesima sezione o camera nel cui àmbito è stata pronunciata la
decisione originaria (art. 129 del regolamento di procedura del Tribunale
internazionale sul diritto del mare). 51 Anche nella prassi della Corte
europea dei diritti dell’uomo la richiesta di una decisione «interpretativa»
attiene al significato ed alla portata della sentenza emanata. 52 In considerazione del legame con la sentenza precedente, «l’oggetto» della domanda interpretativa è parte integrante della precedente causa e non
aggiunge alcunché alla cosa giudicata: la sua efficacia vincolante vale solo
nei limiti della decisione oggetto di interpretazione 53 e pertanto viene
respinta ogni richiesta di interpretazione che ne esorbita. 54 Non è pertanto configurabile una sentenza di interpretazione fondata su fatti sopravvenuti alla decisione. Il principio di stabilità della decisione – che è
un corollario del piú generale principio di conservazione dei valori nell’ordinamento giuridico internazionale – restringe notevolmente l’ammissibilità della sentenza di interpretazione. Nel sistema della CEDU si è
escluso che il Comitato dei ministri possa utilizzare la richiesta di una
sentenza di interpretazione al fine di far apprezzare dalla Corte se le
49
Resta peraltro irrisolto dal protocollo il modo in cui il Comitato verrà rappresentato
dinanzi alla Corte, anche se pare difficilmente ammissibile che ciò possa essere stabilito dalla
sola Corte.
50
Cfr. la domanda, peraltro di incerta collocazione nell’ipotesi ora in esame, presentata
dalla Nuova Zelanda alla Corte internazionale di giustizia il 21 agosto 1995 con riferimento
alla precedente sentenza del 20 dicembre 1974 sugli esperimenti nucleari, quindi ben dopo
ventuno anni: per il testo completo dell’ordinanza della Corte del 22 settembre 1995 cfr. Riv.
dir. int., 1996, p. 126 ss.
51
Anche l’art. 21 par. 5 dell’Intesa operante in seno all’OMC sulla soluzione delle controversie stabilisce il potere del panel originario di pronunciarsi su divergenze interpretative;
tale decisione è suscettibile di impugnazione davanti all’organismo di appello; cfr. in proposito Vellano, L’organo di appello dell’OMC, Napoli, 2001, p. 57, nota 117.
52
Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 giugno 1973, Ringeisen c. Austria cit.; 7
agosto 1996, Allenet de Ribemont c. France, in Recueil des arrêts et décisions, 1996-III, p. 903
ss.; 3 luglio 1997, Hentrich c. France, ivi, 1997-IV, p. 1285 ss.
53
Corte permanente di giustizia internazionale, 16 dicembre 1927, Interprétation des arrêts n. 7 et 8 (Usine de Charzow), in CPJI, Recueil des arrêts, Série A, n. 13 (e http://www.icj.org), p. 21.
54
Corte internazionale di giustizia, 25 marzo 1999, Demande en interprétation de l’arrêt
et du 11 juin 1998 en l’affaire de la frontière terrestre et maritime entre le Cameroun et la Nigéria, in http://www.icj-cij.org, par. 12-16 ed ivi ulteriori richiami girisprudenziali.
francesco salerno
393
modifiche apportate alla legislazione nazionale siano congrue rispetto alla
sentenza. 55 Nel sistema attualmente vigente il Comitato dei ministri ha un
largo margine di apprezzamento sulle misure poste in essere dallo Stato
condannato, tanto che se ne è osservato «une approche plutôt ad hoc et
casuistique». 56 Forse tale considerazione è troppo severa: certamente il
Comitato segue un proprio orientamento quando, attraverso le risoluzioni
«interimaires», precisa le possibili riforme strutturali e valuta eventuali
progressi compiuti in tal senso dallo Stato. 57 Ma è difficile ipotizzare un
contrasto in seno al Comitato dei ministri (tanto da giustificare una delibera a maggioranza) sull’interpretazione della sentenza senza poter configurare una controversia sull’esatto significato degli obblighi esecutivi
che gravano sullo Stato. 58 Si potrebbe verificare che la Corte non abbia
adeguatamente precisato nella sentenza di condanna i criteri di riparazione ovvero stabilito le opzioni per lo Stato condannato in specie per ciò
che riguarda il coordinamento tra la restitutio in integrum e il risarcimento del danno. 59 Invero lo Stato condannato potrebbe esercitare il
diritto di proporre egli stesso una domanda di interpretazione, ma finora
non è sembrato intenzionato a farlo. Tanto l’Assemblea parlamentare
(risoluzione n. 1226/2000) che il Comitato dei ministri (risoluzione del
55
Rapport explicatif, par. 97.
Commissione di Venezia, parere n. 209/2002 cit., par. 26.
Su tale prassi cfr. Sundberg, Control of Execution of the Judgments of he Court of
Human Rights. The Role of the Directorate General of Human Rights, in La convenzione europea dei diritti dell’uomo: 50 anni d’esperienza. Gli attori e i protagonisti della convenzione: il
passato, l’avvenire, a cura di Zanghı́ e Vasak, Torino, 2002, p. 106.
58
La circostanza che questo potere di azione del Comitato dei ministri di chiedere una
sentenza di interpretazione sia collegato alla sua competenza esclusiva nella supervisione dell’esecuzione della sentenza esclude che si possa configurare un analogo diritto processuale in
capo ad ogni Stato parte della CEDU (vedi invece l’auspicio in tal senso espresso dall’Assemblea parlamentare nella citata risoluzione n. 1226/2000, ai sensi dell’art. 79 par. 1 RP).
59
Nella sentenza Öcalan c. Turquie del 12 maggio 2005, requête n. 46221/99, par. 210
(in http://cmiskp.echr.coe.int), si riassume la duplice possibilità che, a titolo eccezionale, la
Corte possa indicare «le type de mesures à prendre» prospettando, in rapporto alla natura
della violazione, o «plusieurs options dont le choix et l’accomplissement restent à la discrétion de l’Etat concerné» ovvero «exclusivement l’une de ces mesures». Questa seconda indicazione sembra rispettata nella materia dei diritti di libertà, in specie quando «la nature
même de la violation constatée n’offre pas réellement de choix parmi différentes sortes de
mesures susceptibles d’y remédier» (Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 aprile 2004, Assadnizé c. Georgie, requête n. 71503/01, punto 14 lett. a del dispositivo, nonché par. 202 s.
della motivazione, per il testo completo: http://cmiskp.echr.coe.int), meno quando siano in
giuoco diritti economici. Nella sentenza 14 ottobre 2004, Assymomitis c. Grèce, requête n.
67629/01/01, par. 73 (in http://cmiskp.echr.coe.int), la Corte chiarisce che, «si la nature de
la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’Etat défendeur de la réaliser, la
Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée
la satisfaction qui lui semble appropriée».
56
57
394
dottrina
12 maggio 2004) 60 hanno sollecitato la Corte ad assumere un orientamento piú deciso a tale proposito, con particolare riguardo alle violazioni
di carattere strutturale. 61 La citata sentenza Broniowski del 22 giugno
2004 dimostra già una maggiore sensibilità della Corte sul punto, 62 nell’occasione dettata dal forte impatto che la mancata modifica della legislazione polacca avrebbe potuto avere sul carico di lavoro della Corte. Ma
quando la Corte ritiene, al di là di queste valutazioni contingenti, 63 di
dover precisare (meglio) il contenuto dell’obbligo di riparazione, la relativa determinazione giudiziaria ha sempre natura dichiarativa. 64 La diversa tesi che le assegna valenza «dispositiva» (in quanto porrebbe
«quella norma che le parti non sono riuscite a porre mediante accordo») 65 fa perno sull’assenza di regole generali in materia ora invece
affermate e vincolanti nei confronti dello Stato responsabile dell’illecito. 66
Si viene cosı́ ad estendere il confronto «giurisdizionale» con lo Stato
responsabile della rilevata violazione della CEDU anche nella fase di esecuzione della sentenza, 67 tanto piú se la sentenza europea sia suscettibile di
60
Res(2004)3.
È principio costantemente ribadito dalla Corte «que ses arrêts ont un caractère déclaratoire pour l’essentiel et qu’en général, il appartient au premier chef à l’Etat en cause, sous le
contrôle du Comité des Ministres, de choisir les moyens à utiliser dans son ordre juridique
interne pour s’acquitter de son obligation au regard de l’article 46 de la Convention» (12
maggio 2005, Öcalan c. Turquie cit., par. 210, ed ivi ulteriori richiami giurisprudenziali). Diversamente l’art. 63, primo comma della convenzione americana dei diritti umani prevede
che, in caso di sua violazione, «the Court shall rule that the injured party be ensured the enjoyment of his right or freedom that was violated»; vedi anche il richiamo espresso all’art. 63
da parte della Commissione di Venezia nel suo parere n. 209/2002 (Exécution des jugements
de la Cour européenne des Droits de l’Homme), in http://venice.coe.int.
62
Cit. supra, nota 28, par. 190 ss. Cfr. anche Lambert-Abdelgawad, La Cour européenne au secours du Comité des ministres pour une meilleure exécution des arrêts «pilotes»,
in Rev. trim. droits homme, 2005, p. 203 ss.
63
Su cui vedi le forti critiche del giudice Zupancic nell’opinione autonoma annessa alla
sentenza Broniowski c. Pologne del 22 giugno 2004, requête n. 31443/96 cit., pur concorde
nel merito con la Corte. In verità la pronuncia di una sentenza-pilota con riferimento ad una
violazione strutturale attiene ad un illecito massiccio da parte dello Stato.
64
Vedi ad es., Corte internazionale di giustizia, 31 marzo 2004, Avena, par. 9 del dispositivo finale (per il testo integrale: Riv. dir. int., 2004, p. 773 ss. nonché in http://
www.icj-cij.org).
65
Morelli, op. cit., p. 292 s.
66
Cfr. gli articoli 34 ss. del Progetto di articoli (c.d. Draft) sulla responsabilità degli Stati, adottato nel 2001 dalla Commissione di diritto internazionale e richiamato dall’Assemblea
generale delle Nazioni Unite nella ris. 56/83 del 12 dicembre 2001. Pur sprovvisto della forma classica della convenzione di codificazione, il Draft è in buona parte ricognitivo di principi
e regole generali, in specie per ciò che concerne il contenuto dell’obbligo secondario di riparazione. Per un richiamo a principi generali di diritto internazionale in materia cfr. Corte internazionale di giustizia, 25 settembre 1997, sul caso Gabcikovo-Nagymaros, in Riv. dir. int.,
1997, p. 1092 ss., specificamente par. 152.
67
Nella sentenza Broniowski c. Pologne del 22 giugno 2004, requête n. 31443/96 cit.,
par. 193, la Corte sottolinea la necessità che «les mesures adoptées doivent être de nature
61
francesco salerno
395
effetti diretti nell’ordinamento nazionale. 68 Rispetto a questo confronto
assume valenza complementare la domanda di interpretazione del Comitato
dei ministri in quanto tale organo ritenga, nella sua funzione di supervisione
nell’attuazione della sentenza, che il contenuto dell’obbligo di riparazione
non sia stato sufficientemente (meglio) determinato ed accertato dalla
Corte: in sostanza la ratio riformatrice è nel senso di stringere maggiormente il dialogo «inter-istituzionale» tra la Corte ed il Comitato dei ministri
a sostegno della certezza del diritto nella fase dell’esecuzione.
Con una logica analoga si è riconosciuto al Comitato dei ministri il
diritto di chiedere una sentenza di inottemperanza dello Stato già condannato dalla Corte. Si è voluta realizzare una sorta di manovra a tenaglia tra
Corte e Comitato dei ministri nei confronti dello Stato condannato, cosı́ da
evidenziare in modo ancora piú fermo la responsabilità dello Stato senza
dover accedere alle «options nucléaires» della sua espulsione o sospensione
dal Consiglio d’Europa (secondo gli articoli 8 e 9 dello statuto). 69 La nuova
procedura non ha precedenti nel sistema della CEDU e potrebbe con
cautela essere assimilata alla procedura di infrazione prevista dall’attuale
art. 228, secondo comma del trattato CE, in base al quale la Commissione
può chiedere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la condanna
dello Stato inadempiente rispetto ad una precedente sentenza comunitaria.
L’assimilazione tra le due procedure è però solo parziale per la diversa
posizione del Comitato dei ministri rispetto alla Commissione CE. Anzitutto sul piano processuale, atteso che – diversamente dalla Commissione –
il Comitato dei ministri non ha alcun diritto di intervento nel processo
originario che ha dato luogo alla iniziale sentenza di condanna. Inoltre,
mentre la Commissione è un’istituzione autonoma, il Comitato dei ministri
è un’entità intergovernativa che delibera in questo caso a maggioranza dei
due terzi. La particolare gravità della procedura cosı́ avviata giustifica la
competenza esclusiva della Grande Camera (art. 31 lett. b).
à remédier à la défaillance structurelle dont découle le constat de violation formulé par la
Cour, de manière que le système instauré par la Convention ne soit pas surchargé par un
grande nombre de requêtes résultant de la même cause».
68
Per una valutazione comparata vedi Sundberg, op. cit., p. 101; a tale tendenza va
aggiunto il recente orientamento espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 3 ottobre
2005, n. 35616/05, inedita, per la quale non andrebbe eseguita una sentenza penale contumaciale italiana che per la Corte europea dei diritti dell’uomo era stata pronunciata in violazione dell’art. 6 della CEDU.
69
Comité Directeur des Droits de l’Homme-Groupe de rédaction sur le renforcement
du mécanisme de protection des droits de l’homme, Réponse de la Cour européenne des droits
de l’homme au rapport intérimaire du CDDH, par. 28. Resta sempre possibile che la stessa
Corte evidenzi nella sentenza di condanna la circostanza che lo Stato non ha adempiuto precedenti decisioni: tale eventualità, sottolineata nella risoluzione n. 1226/2000 dell’Assemblea
parlamentare, non ha tuttavia gli stessi effetti di un accertamento derivante dall’esercizio dell’azione di inottemperanza.
396
dottrina
Pare alquanto dubbio che la richiesta di una sentenza di condanna per
inottemperanza possa essere avanzata rispetto ai «casi-clone» di pertinenza
del Comitato dei tre giudici. 70 Pare pure assai remota l’ipotesi che il Comitato dei ministri attivi la procedura di inottemperanza nell’eventualità che lo
Stato non abbia provveduto a rifondere il singolo ricorrente avente diritto
all’equa soddisfazione indicata dalla Corte nella sua sentenza «definitiva».
Secondo l’art. 6 dell’attuale regolamento interno del Comitato (adottato il 10
gennaio 2001), la vittima può far conoscere a tale organo le proprie osservazioni in merito. Ma non si può escludere che la vittima si rivolga direttamente
alla Corte per far valere le proprie rimostranze senza che sia necessario
attendere il previo esaurimento dei ricorsi interni. 71 È invece verosimile
che il Comitato dei ministri rivolga alla Corte la domanda per la pronuncia
di una sentenza di inottemperanza per rendere maggiormente «obiettiva» la
violazione strutturale della CEDU ovvero la prassi dello Stato reiteratamente
condannato per casi ripetitivi che non ottempera all’equa soddisfazione dovuta agli aventi diritto in base alle decisioni della Corte. Non sembra però che
il Comitato dei ministri possa chiedere – analogamente a quanto accade nel
processo comunitario – una sanzione pecuniaria a carico dello Stato inadempiente. Inizialmente prospettata dall’Assemblea parlamentare (risoluzione n.
1226/2000), l’ipotesi è stata abbandonata nel seguito dei lavori preparatori
del protocollo, anche per l’opposizione della Corte ad una misura che appariva «particulièrement gênante». 72 Il protocollo non contiene indicazioni
circa la facoltà per lo Stato condannato di chiedere alla Corte una sentenza
meramente accertativa del proprio grado di adempimento che potrebbe
prevenire un’eventuale iniziativa processuale del Comitato dei ministri. Ma
è da ritenere che il Comitato avanzerà la domanda per la sentenza di inottemperanza in relazione ad un «refus pérsistant de prendre toute mesure
d’exécution utile». 73 D’altronde, se perdura una violazione di carattere strutturale, continueranno anche i ricorsi ripetitivi: in occasione di uno di questi lo
Stato precedentemente condannato potrebbe sollecitare la Corte (ma nella
formazione della Camera o Grande Camera) a valutare nuovamente la questione accertando l’avvenuto «aggiustamento» strutturale.
Al Comitato dei ministri non viene indicato dal protocollo un termine
formale di decadenza per sollevare la domanda di interpretazione o di
inottemperanza. A proposito della prima, l’attuale art. 79 RP della Corte
prefigura il termine di un anno dalla pronuncia della originaria decisione,
ma ciò non potrebbe rilevare in rapporto alle problematiche interpretative
70
Supra, par. 3.
Cfr. Commissione di Venezia, parere 209/2002 cit., par. 93.
72
Comité Directeur des Droits de l’Homme-Groupe de redaction sur le renforcement
du mecanisme de protection des droits de l’homme, Réponse de la Cour européenne des droits
de l’homme au rapport intérimaire du CDDH, par. 27.
73
CM(2003)55.
71
francesco salerno
397
che si pongono nella fase di esecuzione di una sentenza. Un ampio margine
di discrezionalità andrebbe anche riconosciuto al Comitato dei ministri che
volesse sollevare la richiesta di una sentenza che accerti l’inottemperanza
dello Stato. Bisogna comunque osservare una certa evoluzione nella prassi
del Comitato a proposito delle violazioni di ordine strutturale: da un atteggiamento relativamente paziente in cui si sono concessi allo Stato responsabile della violazione tempi anche assai lunghi per porvi rimedio, il Comitato si è di recente orientato a stabilire la priorità per l’esecuzione di quelle
sentenze che identificano un problema di ordine strutturale suscettibile di
generare ricorsi ripetitivi: 74 è evidente che dalla maggiore tempestività
dell’intervento riparatore dello Stato possono derivare benefici in ordine
all’economia processuale della stessa Corte.
9. Le profonde innovazioni strutturali che il protocollo n. 14 apporta
all’organizzazione ed alla procedura della Corte europea dei diritti dell’uomo
nascono dall’esigenza politica di razionalizzare il carico di lavoro della Corte
di fronte ad un numero ormai imponente di ricorsi individuali. Le soluzioni
escogitate razionalizzano l’impegno della Corte e sono coerenti con la sua
funzione principale di assicurare l’effettività complessiva del sistema.
Per effetto delle modifiche, il giudice europeo è chiamato a svolgere il
proprio ruolo soprattutto attraverso «grands arrêts» che risolvano le questioni interpretative di fondo della CEDU ovvero stabiliscano la natura grave
e strutturale della violazione ad opera di uno Stato come anche a ribadirla in
caso di inottemperanza della sentenza di condanna. È rispetto a queste ipotesi che mantiene valore la piena equiparazione processuale tra ricorsi individuali e ricorsi statali; perciò i ricorsi individuali palesemente irricevibili o
ripetitivi vengono assorbiti in una procedura variamente semplificata.
La diversa articolazione della procedura comporta una piú complessa
organizzazione della Corte, che si sviluppa ormai su quattro livelli decisionali:
il Giudice unico, il Comitato dei tre giudici, la Camera di sette (o cinque)
giudici, la Grande Camera. Per mantenere la coerenza di una simile articolazione giudiziaria all’interno dello schema di una «Corte unica», diventano
necessariamente condizionanti sui livelli inferiori la giurisprudenza «costante» e i «grands arrêts»: infatti sia il Giudice unico che il Comitato dei
tre giudici nell’esercizio delle rispettive funzioni devono uniformarsi o richiamarsi ai precedenti giudiziari della Corte. Il sistema giurisdizionale della
CEDU si avvia a riconoscere in questo modo validità erga omnes alle decisioni
della Corte, senza però creare il vincolo formale del precedente (stare decisis),
restando sempre possibile la modifica di orientamenti interpretativi consolidati ad opera principalmente della Grande Camera.
Proprio grazie a questo allungamento verticale della propria organiz74
Rapport explicatif, par. 16.
398
dottrina
zazione, la Corte non solo è in grado di «trattare» tutti i ricorsi individuali
ma anche di proiettare la sua funzione giurisdizionale sul contenuto e
l’attuazione della misura «riparatoria» che lo Stato condannato deve predisporre per assicurare il rispetto della CEDU. La piena «giurisdizionalizzazione» di questa fase è garanzia di effettività della CEDU come anche
elemento di certezza del diritto per lo stesso individuo, che ben può
affidarsi ad una pronuncia della Corte per ottenere quella riparazione in
forma specifica sovente evitata con la piú semplice formula della soddisfazione economica.
Il diverso trattamento processuale della vittima in relazione al tipo di
questione sollevata non lede il suo diritto di azione che resta comunque
assicurato. Piuttosto è la Corte che lo flette in rapporto alla propria funzione di accertamento del diritto secondo il contenuto e la natura delle
violazioni prospettate. 75 La circostanza che il ricorso individuale (come
anche quello statale) dia luogo a valutazioni diverse quanto al tipo di violazione dipende dalla diversa struttura dell’illecito. Queste differenze non
rispondono a valutazioni arbitrarie ma a considerazioni obiettivamente configurabili sul piano del diritto internazionale generale e largamente acquisite
nel sistema della CEDU. 76 E di riflesso anche la Corte finisce con l’articolare la propria funzione ora nella «monetizzazione» dell’equa soddisfazione 77 ora nei «grands arrêts» sulla violazione della CEDU ovvero sulle
modalità di riparazione in forma specifica.
In ragione di ciò pare difficile considerare il protocollo n. 14 come un
passo inequivocabile verso la trasformazione della Corte europea dei diritti
dell’uomo in una Corte costituzionale europea. Anzi, proprio la stretta
afferenza del trattamento processuale del ricorso con la tipologia dell’illecito paventato o accertato denota una funzione piú spiccatamente internazionale della Corte. Il modo «razionale» di discriminare i ricorsi individuali
ne è una conferma. Non può spettare oltretutto al giudice europeo dare
direttamente soddisfazione, in modo analogo, a 60.000 e piú ricorsi individuali che in prospettiva perverrebbero ogni anno alla Corte (alla quale
ormai afferisce «un bacino di utenza» di oltre ottocento milioni di individui): oggettivamente diverso è il loro rapporto con le esigenze di effettività
della normativa internazionale. Al giudice europeo compete principalmente
la funzione di assicurare il rispetto uniforme dell’ordine pubblico europeo
rispetto ad una vasta comunità di Stati.
75
Cfr. Villani, op. cit., p. 489.
Cfr. Wildahaber, La rèforme est une necessité impérieuse, in http://coe.int.
77
Su tale profilo di «juridiction patrimoniale» della Corte vedi Flauss, La réforme cit.,
pp. 168 e 177.
76
COMMENTI
LO SVILUPPO DEL DIRITTO DEL COMMERCIO
INTERNAZIONALE NEI LAVORI DELL’UNCITRAL
DALLA XXXVI ALLA XXXVIII SESSIONE
di ANGELICA BONFANTI
dottoranda di ricerca nell’università di milano
Sommario: Sez. I: I lavori conclusi dall’UNCITRAL nelle sessioni XXXVI, XXXVII e
XXXVIII. – 1. Considerazioni introduttive. – 2. La legge modello sul project financing.
– 3. La guida sulle procedure d’insolvenza. – 4. La convenzione sull’utilizzo delle comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali. – Sez. II: I lavori in corso di realizzazione. – 5. L’aggiornamento dell’UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Constructions and Services. – 6. I lavori sull’arbitrato commerciale internazionale. – 7. La
convenzione sul trasporto internazionale. – 8. La guida sul credito garantito.
1. La Commissione delle Nazioni Unite per il diritto del commercio
internazionale (UNCITRAL), nel corso delle proprie XXXVI, XXXVII e
XXXVIII sessioni, ha raggiunto significativi risultati nell’elaborazione di
strumenti giuridici e nell’approfondimento dello studio di settori particolarmente interessanti e attuali del commercio internazionale. 1 Tra il 2003 e
il 2005 la Commissione ha infatti concluso i lavori già iniziati nelle precedenti sessioni 2 sul project financing, l’insolvenza transfrontaliera e l’utilizzo
delle comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali, pervenendo
all’adozione di strumenti giuridici di natura ed efficacia diversa. Inoltre,
pur senza giungere a risultati definitivi, la Commissione ha proseguito le
proprie attività di studio e negoziazione in materia di acquisto pubblico di
beni e servizi, arbitrato, trasporto e credito garantito. I risultati e i progressi compiuti nei numerosi e differenti settori confermano l’intensità
dell’impegno con cui l’UNCITRAL sta procedendo all’unificazione del
1
I rapporti della Commissione e dei Working Group, oltre che gli studi e i documenti
elaborati dall’UNCITRAL, sui quali di seguito ci si soffermerà, sono reperibili al sito
www.uncitral.org e nei volumi United Nation Commission on International Trade Law Yearbook, pubblicati a New York.
2
Sui lavori svolti nelle sessioni precedenti, cfr. Bertoli, L’unificazione del diritto del
commercio internazionale: i lavori dell’UNCITRAL dal 1997 al 2002, in questa Rivista,
2003, p. 399 ss. e i riferimenti bibliografici ivi indicati alle altre rassegne già pubblicate in
questa Rivista.
400
commenti
diritto del commercio internazionale, realizzata non solamente attraverso
l’adozione di testi convenzionali, ma anche, qualora le circostanze lo richiedano, mediante la predisposizione di leggi modello e guide, ossia di
atti di soft law finalizzati a rivolgere indicazioni e raccomandazioni ai
legislatori nazionali che intendano disciplinare, nel proprio ordinamento,
le materie trattate.
2. Nel corso della propria XXXVI sessione, svoltasi dal 30 giugno all’11
luglio 2003, l’UNCITRAL ha adottato le Model Legislative Provisions on
Privately Financed Infrastructure Projects, 3 ossia la legge modello sul project
financing, 4 operazione giuridica ed economica finalizzata alla realizzazione
di infrastrutture e alla prestazione di servizi di interesse pubblico con l’apporto di capitali privati, remunerati attraverso i proventi derivanti dall’affidamento della gestione dell’infrastruttura all’ente finanziatore, nazionale o
straniero. 5
L’elaborazione delle Model Provisions, concepite come addendum all’UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects, 6 era stata decisa dalla Commissione nel 2001 e affidata al Working
Group I. 7 L’esigenza di adottare la legge modello risiedeva nella constatazione dell’eccessiva flessibilità dei principi previsti dalla guida sul project
financing, l’utilità pratica dei quali era sensibilmente ridotta a causa della
vaghezza e dell’indeterminatezza del loro contenuto. Il Working Group ha
condotto le proprie attività nel 2001 e nel 2002 e ha approvato, nel corso
della propria quinta sessione, il testo redatto dal Segretariato, 8 costituito da
51 norme modello, divise in cinque sezioni, dedicate rispettivamente alle
3
UNCITRAL Model Legislative Provisions on Privately Financed Infrastructure Projects,
New York, 2004 (di seguito «Model Provisions»). Il testo è reperibile al sito http://www.uncitral.org/pdf/english/texts/procurem/pfip/model/annex1-e.pdf.
4
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtysixth session (30 June-11 July 2003), General Assembly Official Records. Fifty-eighth Session.
Supplement n. 17 (A/58/17), par. 12 ss. Le Model Legislative Provisions on Privately Financed
Infrastructure Projects sono state raccomandate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
all’attenzione degli Stati con la risoluzione n. 58/76 dell’8 gennaio 2004.
5
Sul project financing cfr. Ferrari, Fracchia, Project financing e opere pubbliche: problemi e prospettive alla luce delle recenti riforme, Milano, 2004; Vaccà (a cura di), Il project
financing: soggetti, disciplina, contratti, Milano, 2002; Battista, Il project financing in Italia:
esperienze e prospettive, in Dir. comm. int., 1998, p. 681 ss.; Draetta, Vaccà (a cura di), Il
project financing: caratteristiche e modelli contrattuali, Milano, 1997.
6
UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects, doc. A/
CN.9/SER.B/4, il cui testo è reperibile al sito http://www.uncitral.org/pdf/english/texts/procurem/pfip/guide/pfip-e.pdf. Sulla guida si veda Bertoli, op. cit., p. 417 ss.
7
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyfourth session (25 June-13 July 2001), General Assembly Official Records. Fifty-sixth session.
Supplement n. 17 (A/56/17), par. 361-369.
8
Report of the Working Group on Privately Financed Infrastructure Projects on the work
of its fifth session (Vienna, 9-13 September 2002), doc. A/CN.9/521 del 26 settembre 2002.
commenti
401
disposizioni generali, 9 alla selezione del concessionario, 10 al contenuto e
all’esecuzione del contratto di concessione, 11 alla sua durata, estensione ed
estinzione 12 e alla soluzione delle controversie. 13
La Commissione ha dovuto, in primo luogo, decidere sui rapporti tra le
Model Legislative Provisions e la guida: nonostante l’ampio sostegno alla
proposta di depennare e sostituire le raccomandazioni previste dalla Legislative Guide con le norme modello che vertono sugli stessi aspetti, la
Commissione ha ritenuto opportuno procedere alla pubblicazione consolidata dei due strumenti, tenuto conto che la legge modello costituisce un’evoluzione della precedente guida, indispensabile al fine di comprenderne le
scelte. 14 Nel 2004 l’UNCITRAL ha pubblicato una raccolta congiunta delle
Model Legislative Provisions on Privately Financed Infrastructure Projects e
delle raccomandazioni generali sull’allocazione del rischio e sul sostegno
governativo. Il preambolo della legge modello prevede che le sue disposizioni, insieme alle raccomandazioni, siano finalizzate ad assistere gli organi
legislativi nazionali nella redazione di norme interne in materia di project
financing e invita coloro che le utilizzano a farne un uso congiunto, assieme
alle note esplicative apposte alle medesime e funzionali a fornire chiarimenti
utili ai fini della comprensione. Le Model Legislative Provisions, d’altra
parte, non hanno pretese d’esaustività: esse non intendono disciplinare tutti
i settori legislativi che, anche indirettamente, possono influire sulla regolamentazione del project financing, tra i quali la promozione e la protezione
degli investimenti, l’acquisizione forzata di beni di proprietà privata, il
diritto societario, la legislazione fiscale e la protezione dell’ambiente e dei
consumatori.
La legge modello regola con particolare attenzione le modalità e le
procedure da seguire nella selezione del concessionario, improntate ai principi, già espressi nella raccomandazione n. 1 della Legislative Guide, della
trasparenza, della giustizia e della sostenibilità del progetto nel lungo ter9
Model provisions, n. 1-4.
Ibidem, n. 5-27.
11
Ibidem, n. 28-42. La legge modello definisce in modo piuttosto impreciso il contratto
di concessione, ossia il contratto che lega l’autorità pubblica e il finanziatore privato nella realizzazione dell’infrastruttura, ed elenca in termini non esaustivi alcune delle previsioni che dovrebbe contemplare. L’accordo dovrebbe indicare il contenuto delle prestazioni reciproche,
le garanzie, la propria durata e le proprie modalità d’estinzione. Esso dovrebbe inoltre specificare se il concessionario, eventualmente di nazionalità straniera, sia obbligato a stabilire
una sede sul territorio dello Stato dell’amministrazione contraente. La ratio di quest’ultima
previsione consiste nella necessità di garantire che il fornitore del servizio pubblico rispetti
le disposizioni nazionali sulla trasparenza in materia fiscale. Cfr. par. 14 del cap. IV della UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects cit.
12
Model provisions, n. 43-48.
13
Ibidem, n. 49-51.
14
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-sixth session cit., par. 18-21.
10
402
commenti
mine. Le Model Provisions non intendono, in ogni caso, sostituire completamente la regolamentazione prevista a livello nazionale in materia di gare
d’appalto, ma si limitano a formulare alcune regole, specificamente dedicate
al project financing, rispetto alle quali sarebbe opportuno che il legislatore
nazionale intervenisse, differenziandole dalla disciplina comune. 15
Con riferimento alla legge applicabile, la Model Provision n. 29 dispone
che «Unless otherwise provided, the project agreement should be governed
by the law of the host country». 16 Questa disposizione si inserisce nell’ampio dibattito sul diritto applicabile agli State Contracts, ossia agli accordi
conclusi tra l’autorità pubblica di uno Stato e un investitore straniero, la cui
natura giuridica e regolamentazione sono controverse in dottrina. 17 L’UNCITRAL rileva che l’autonomia internazionalprivatistica delle parti non
può che risultare fortemente limitata in quegli ordinamenti, prevalentemente di civil law, in cui il contratto che regola il project financing è
considerato un accordo di natura pubblicistica ed è sottoposto, per alcuni
aspetti, alla disciplina del diritto amministrativo, le cui disposizioni possono
avere natura imperativa. 18 In questi casi l’autonomia dei contraenti è subordinata all’interesse pubblico, in nome del quale si potrebbero giustificare il controllo operato dall’autorità statale sull’adempimento da parte del
privato e il potere di questa di modificare i termini contrattuali e di determinare l’estinzione del contratto. 19 Altri aspetti invece di natura spiccatamente contrattuale, quali la formazione, la disciplina della validità e dell’inadempimento dell’accordo, rimangono affidati alla regolamentazione di
15
Model Provision n. 5.
La Model Provision n. 29 riproduce quanto previsto dalla Recommendation n. 41 dell’UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects cit. Cfr. Draft addendum to the UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects,
doc. A/CN. 9/522 del 4 dicembre 2002, par. 58.
17
Si vedano Leben, La théorie du contrat d’État et l’évolution du droit international des
investissements, in Recueil des Cours, t. 302, 2003, p. 197 ss.; Id., Quelques réflexions théoriques à propos des contrats d’État, in Souveraineté étatique et marchés internationaux à la fin du
20ème siècle. Mélanges en l’honneur de Ph. Kahn, Paris, 2000, p. 119 ss.; Juillard, Contrats
d’Etat et investissement, in Cassan (éd.), Contrats internationaux et Pays en développement,
Paris, 1989, p. 159 ss.; Lalive, Contrats entre États ou entreprises étatiques et personnes privées: développements récents, in Recueil des Cours, t. 1983-III, p. 9 ss.; Weil, Droit international et contrats d’Etat, in Le droit international: unité et diversité. Mélanges offerts à P. Reuter, Paris, 1981, p. 549 ss.; Id., Problèmes relatifs aux contrats passés entre un État et un particulier, in Recueil des Cours, t. 1969-III, p. 97 ss.
18
Cfr. par. 6 del cap. IV e par. 25 del cap VII della UNCITRAL Legislative Guide on
Privately Financed Infrastructure Projects cit.
19
L’obiettivo di tutelare l’interesse pubblico costituisce il fondamento delle Model Provisions n. 41 e n. 42, che prevedono che l’autorità competente abbia il diritto di sostituirsi
provvisoriamente o di sostituire in modo definitivo il concessionario privato nella prestazione
del servizio pubblico, qualora questi dimostri di non poter garantire un effettivo e continuativo adempimento delle proprie obbligazioni. Cfr. Report of the United Nations Commission
on International Trade Law on its thirty-sixth session cit., par. 139-142.
16
commenti
403
diritto privato e possono, pertanto, essere sottoposti alla disciplina dell’ordinamento scelto dalle parti. 20
3. Trascorsi cinque anni dal conferimento del relativo mandato al Working Group V e avendone già approvato il testo in linea generale nel 2003,
nel corso della propria XXXVII sessione 21 l’UNCITRAL ha adottato la
Legislative Guide on Insolvency Law, raccomandata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite all’attenzione degli Stati membri con risoluzione n.
59/40 del 2 dicembre 2004.
La Legislative Guide 22 è composta da 198 raccomandazioni divise in
due sezioni, la prima dedicata all’individuazione degli obiettivi e della
struttura piú adeguata alla disciplina dell’insolvenza, la seconda relativa
all’indicazione del contenuto delle norme fondamentali. La guida esamina
gli aspetti principali che la disciplina in materia dovrebbe contemplare,
confronta e commenta gli effetti positivi o l’inadeguatezza delle soluzioni
già previste nei diversi ordinamenti e indirizza ai propri destinatari le indicazioni ritenute piú utili ed efficaci. La sua funzione è dunque diversa da
quella dell’UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency, adottata nel
1997: 23 mentre quest’ultima contiene disposizioni modello che il legislatore
potrebbe riprodurre nell’ordinamento nazionale, la guida è costituita da
approfondimenti comparatistici in materia d’insolvenza oltre che da valutazioni e suggerimenti rivolti al legislatore anche al fine di bilanciare, da un
lato, le esigenze del debitore nell’affrontare la propria crisi finanziaria nel
modo piú veloce ed efficiente e, dall’altro, gli interessi degli stakeholders
coinvolti, in particolare dei creditori insoddisfatti. 24
La Legislative Guide on Insolvency Law fornisce raccomandazioni circa
le procedure d’insolvenza che coinvolgono persone sia fisiche sia giuridiche
e rivolge al legislatore nazionale indicazioni in materia di apertura e svolgimento della procedura concorsuale, gestione e distribuzione dell’attivo fal-
20
Cfr. par. 6 del cap. IV della UNCITRAL Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects cit. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire anche con riguardo agli
ordinamenti che non conoscono una distinzione giuridica espressa tra contratti di natura privata e amministrativa Cfr. par. 26-27 del cap. VII della UNCITRAL Legislative Guide cit.
21
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-seventh session (14-20 June 2004), General Assembly Official Records. Fifthy-ninth Session.
Supplement n. 17 (A/59/17), par. 12 ss.
22
Cfr. Legislative Guide on Insolvency Law, New York, 2005, disponibile al sito http://
www.uncitral.org/pdf/english/texts/insolven/05-80722_Ebook.pdf.
23
Sull’UNCITRAL Model Law on Cross-Border Insolvency si vedano Bertoli, op. cit.,
p. 407 ss.; Malatesta, I lavori dell’Uncitral dalla ventitreesima (1990) alla ventinovesima
(1996) sessione, in questa Rivista, 1997, p. 264 ss.; Silverman, Advances in Cross-Border Insolvency Cooperation: The Uncitral Model Law on Cross-Border Insovency, in ILSA Journal
Int. Comp. Law, p. 265 ss.
24
Legislative Guide on Insolvency Law cit., pp. 1-2.
404
commenti
limentare, azione revocatoria e procedura di riorganizzazione. Tra gli obiettivi che la normativa sull’insolvenza dovrebbe perseguire figurano la certezza giuridica, l’efficienza e la trasparenza, la stabilità e la crescita economica e finanziaria, il trattamento non discriminatorio ed equo dei creditori,
l’adozione di criteri chiari e non arbitrari sulla distribuzione dell’attivo
fallimentare e il coordinamento a livello internazionale in materia d’insolvenza transfrontaliera. 25
Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, la guida raccomanda 26 che
la normativa sull’insolvenza disponga che la giurisdizione nazionale sussiste
con riferimento a debitori che presentano un nesso sufficientemente stretto
con lo Stato in questione. In particolare, tra i criteri di collegamento a
questo proposito previsti dai diversi ordinamenti statali, l’UNCITRAL ritiene che quelli piú adeguati si fondino sulla localizzazione del centro degli
interessi principali o sulla presenza di uno stabilimento. 27 Al primo l’UNCITRAL si era già riferita nella Model Law on Cross-Border Insolvency, 28
quale criterio rilevante nella determinazione della giurisdizione competente
nel procedimento principale, ispirandosi a quanto previsto dal regolamento
(CE) n. 1346/2000. 29 La guida raccomanda, analogamente a quanto disposto dalla Model Law 30 e, in parte, dal succitato regolamento comunitario, 31
che a livello nazionale si presuma la coincidenza della localizzazione del
centre of main interests con lo Stato in cui si trova la sede statutaria, per le
25
Ibidem, pp. 9-20.
Ibidem, pp. 41-44.
27
Recommendation n. 10 della Legislative Guide on Insolvency Law cit.
28
Artt. 2 lett. b e 16 par. 3 della Model Law on Cross Border Insolvency cit.
29
Considerando n. 13 del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio del 29 maggio
2000, relativo alle procedure d’insolvenza, riprodotto in questa Rivista, 2002, p. 241 ss. Sul
regolamento cfr. De Cesari, Diritto internazionale privato e processuale comunitario. Atti in
vigore e in formazione nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, Torino, 2005, p. 167 ss.; Benedettelli, Centro degli interessi principali del debitore e forum shopping nella disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza transfrontaliera, in questa Rivista, 2004, p. 499 ss.;
Carbone, Il regolamento (CE) n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza, in Carbone, Frigo, Fumagalli (a cura di), Diritto processuale civile e commerciale comunitario, Milano, 2004, p. 89 ss.; Daniele, Il regolamento 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza:
spunti critici, in Picone (a cura di), Diritto internazionale privato e diritto comunitario, Padova, 2004, p. 289 ss.; De Cesari, Montella, Le procedure d’insolvenza nella nuova disciplina
comunitaria. Commentario articolo per articolo del Regolamento CE n. 1346/2000, Milano,
2004; Moss, Fletcher, Isaac, The EC Regulation on Insolvency Proceedings: a Commentary
and Annotated Guide, Oxford, 2002; Daniele, Legge applicabile e diritto uniforme nel regolamento comunitario relativo alle procedure d’insolvenza, in questa Rivista, 2002, p. 33 ss.; Fumagalli, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Riv. dir. proc., 2001, p.
677 ss.
30
Art. 16 par. 3 della Model Law on Cross-Border Insolvency.
31
Art. 3 par. 1 del regolamento (CE) n. 1346/2000; il medesimo strumento non stabilisce invece alcuna presunzione con riferimento alle persone fisiche. Cfr. De Cesari, op. cit., p.
179.
26
commenti
405
persone giuridiche, e la residenza abituale, per quelle fisiche. 32 Per quanto
concerne la nozione di «stabilimento», invece, la guida prevede che si
intenda «any place of operations where the debtor carries out a non-transitory economic activity with human means and goods or services». 33 Tale
definizione, identica a quella adottata dalla Model Provision n. 2 lett. f della
legge modello, differisce, nella parte in cui si riferisce all’utilizzo di servizi,
da quella prevista dal regolamento n. 1346/2000 per individuare il criterio
rilevante ai fini dell’instaurazione delle procedure secondarie. 34
Alla determinazione della legge applicabile, la Legislative Guide dedica
le raccomandazioni n. 30-34, sottolineando che, nella misura in cui la
struttura societaria del debitore è collegata a piú Stati, è necessario che le
norme di diritto internazionale privato del foro individuino l’ordinamento
che regola la validità e l’efficacia dei diritti istituiti e delle istanze avanzate
sul suo patrimonio, oltre che gli effetti e il trattamento cui saranno sottoposti a seguito dell’apertura del procedimento. 35 La lex concursus, analogamente a quanto disposto dall’art. 4 del regolamento comunitario, 36
disciplina l’instaurazione, lo svolgimento, la conclusione e gli effetti del
procedimento. In particolare, secondo la raccomandazione n. 31, l’ordinamento dello Stato d’apertura della procedura concorsuale regola, tra gli
altri, l’identificazione dei debitori, la tipologia dei procedimenti, le modalità
di conservazione e disposizione e i criteri di distribuzione dell’attivo fallimentare, la revoca degli atti pregiudizievoli nei confronti dei creditori e il
trattamento dei creditori garantiti. La guida prevede, invece, disposizioni
eccezionali, analoghe a quelle contenute nel citato regolamento, 37 con riferimento ai sistemi di pagamento e ai mercati finanziari, 38 oltre che ai
contratti di lavoro, che potrebbero continuare ad essere regolati dalla lex
contractus. 39 Infine, la Legislative Guide nota che numerosi ordinamenti
nazionali stabiliscono deroghe alla lex concursus anche con riferimento alla
disciplina dei diritti di garanzia e dell’azione revocatoria. 40
32
Recommendation n. 11 della Legislative Guide on Insolvency Law cit.
Recommendation n. 12 della Legislative Guide on Insolvency Law cit.
34
Art. 2 lett. h del regolamento (CE) n. 1346/2000. Sull’utilizzo e sul significato delle
nozioni di centre of main interest e establishment nella Model Law e nel regolamento comunitario n. 1346/2000 cfr. Developments in Insolvency Law: adoption of the Uncitral Model
Law on Cross-Border Insolvency, use of cross-border protocols and court-to-court communication guidelines and case-law on interpretation of «centre of main interests» and «establishment»
in the European Union, doc. A/CN.9/580 del 15 aprile 2005, par. 60 ss.
35
Recommendation n. 30; Legislative Guide on Insolvency Law cit., p. 68.
36
Sulla legge applicabile secondo il regolamento (CE) n. 1346/2000 cfr. De Cesari, op.
cit., p. 204 ss.
37
Artt. 9 e 10 del regolamento (CE) n. 1346/2000.
38
Recommendation n. 32 della Legislative Guide on Insolvency Law cit., p. 70.
39
Recommendation n. 33 della Legislative Guide on Insolvency Law cit., p. 70.
40
Legislative Guide on Insolvency Law cit., p. 71.
33
406
commenti
4. Nel corso della XXXVIII sessione l’UNCITRAL ha approvato la
convenzione sull’utilizzo delle comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali, 41 adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con
risoluzione n. 60/21 del 23 novembre 2005 42 e aperta alla firma degli Stati
nel periodo intercorrente tra il 16 gennaio 2006 e il 16 gennaio 2008. La
decisione di approfondire alcuni aspetti relativi al commercio elettronico
era stata assunta nel 2000 dalla medesima Commissione, 43 che aveva individuato nella contrattazione telematica, nella soluzione on-line delle controversie e nella dematerializzazione dei titoli rappresentativi di merci gli
aspetti del commercio elettronico di maggior interesse.
La prima questione da definire riguardava la forma giuridica che il
futuro atto avrebbe dovuto assumere. Il Working Group IV si era interrogato, innanzitutto, sull’opportunità di adottare uno strumento ad hoc in
materia o di estendere ai contratti telematici l’applicazione delle norme
della convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980 sulla vendita internazionale
(CISG), già vigenti con riferimento ai contratti internazionali conclusi in
forma tradizionale. 44 Pur avendo rilevato l’adeguatezza, in via generale,
delle disposizioni di questa convenzione a regolare anche i contratti conclusi mediante comunicazioni elettroniche e salva la necessità di adeguare il
contenuto di alcune disposizioni alle esigenze del mezzo, 45 il Working
Group aveva concluso che la redazione di uno strumento unico e vincolante, finalizzato a disciplinare la complessiva materia, sarebbe stata piú
funzionale e avrebbe consentito piú rapidamente il raggiungimento della
certezza e dell’uniformità giuridica. 46
41
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session, 4-15 July 2005, General Assembly Official Records Sixtieth Session Supplement
n. 17 (A/60/17). Sull’e-commerce, con particolare riferimento alla disciplina internazionale e
agli aspetti di natura internazionalprivatistica, si vedano, tra gli altri, Bariatti, La compétence
internationale et le droit applicable au contentieux du commerce électronique, in questa Rivista,
2002, p. 19 ss.; Fallon, Meeusen, Le commerce électronique, la directive 2000/31/CE et le
droit international privé, in Revue critique, 2002, p. 435 ss.; Smith, The Third Industrial Revolution: Law and Policy for the Internet, in Recueil des Cours, t. 282, 2000, p. 229 ss. Il testo
della convenzione sull’utilizzo delle comunicazioni elettroniche nei contratti internazionali è
riprodotto in questo fascicolo della Rivista, p. 583 ss.
42
La risoluzione è pubblicata nel documento A/RES/60/21 del 9 dicembre 2005.
43
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-third session (2 June-7 July 2000), General Assembly Official Records Fifty-firth Session. Supplement n. 17 (A/55/17), par. 384 ss.
44
Cfr. Legal aspects of electronic commerce. Possible future work in the field of electronic
contracting: an analysis of the United Nations Convention on Contracts for the International
Sale of Goods. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.IV/WP.91 del 9 febbraio 2001.
45
Cfr. Legal aspects of electronic commerce. Possible future work in the field of electronic
contracting: an analysis of the United Nations Convention on Contracts for the International
Sale of Goods. Note by the Secretariat cit., par. 56-57.
46
Cfr. Report of the Working Group on Electronic Commerce on its thirty-eighth session
(New York, 12-23 March 2001), doc. A/CN.9/484 del 21 marzo 2001, par. 83-84, 95. Al con-
commenti
407
La convenzione cosı́ adottata è costituita da quattro sezioni, dedicate
rispettivamente all’ambito d’applicazione (artt. 1-3), alle disposizioni generali (artt. 4-7), all’utilizzo delle comunicazioni elettroniche nei contratti
internazionali (artt. 8-14) e alle norme finali (artt. 15-25).
La convenzione si fonda sui principi della libertà delle forme 47 e dell’equivalenza funzionale tra forma scritta ed elettronica. 48 Ciò implica che una
comunicazione contrattuale non deve essere considerata invalida o inefficace
in ragione dell’utilizzo del supporto telematico e che, qualora l’ordinamento
nazionale imponga il rispetto di specifici requisiti di forma, il formato elettronico, in grado di garantire l’accessibilità nel futuro, l’integrità e la provenienza originale delle informazioni, deve essere equiparato a quello scritto. 49
La delimitazione dell’ambito d’applicazione della convenzione è stata a
lungo oggetto di dibattito nel corso dei lavori preparatori. La versione
definitiva dell’art. 1 prevede che la convenzione si applichi «to the use of
electronic communications in connection with the formation or performance of a contract between parties whose places of business are in different States». Lo strumento in esame regola le comunicazioni 50 trasmesse,
tra gli altri, mediante il sistema EDI (electronic data interchange), la posta
elettronica, il telegramma e il telex e disciplina non solo gli aspetti del
commercio elettronico inerenti alla formazione dell’accordo ma anche
quelli relativi alla sua esecuzione. 51 Rimangono invece esclusi i contratti
conclusi per uso personale, familiare o domestico. 52
trario, nel proprio commento del 21 febbraio 2003, l’International Chamber of Commerce
(ICC) rilevava che la negoziazione di una convenzione sulla contrattazione telematica da parte
dell’UNCITRAL era prematura, poiché non risultavano ancora specificamente identificate le
esigenze concrete cui lo strumento avrebbe dovuto riferirsi, e inadeguata a causa della significativa durata dei tempi di redazione e di adattamento a livello nazionale, oltre che per le
difficoltà che si sarebbero dovute affrontare in caso di emendamento. L’ICC riteneva invece
che lo strumento di soft law, la cui redazione era a quel tempo contemplata nella propria
agenda (ICC Guidelines on Marketing and Advertising Using Electronic Media, adottate dall’ICC nel dicembre del 2004. Il testo è reperibile al sito http://www.iccwbo.org/) avrebbe
comportato una serie di vantaggi connessi alla flessibilità e alla velocità con cui avrebbe potuto essere completato e, dunque, concretamente utilizzato. Cfr. Legal aspects of electronic
commerce. Electronic contracting: provision for a draft convention. Comments by the International Chamber of Commerce, doc. A/CN.9/WG.IV/WP.101 del 25 febbraio 2003.
47
Art. 9 par. 1 della convenzione.
48
Art. 8 par. 1 della convenzione.
49
Art. 9 della convenzione; Report of the United Nations Commission on International
Trade Law on its thirty-eighth session cit., par. 56-76.
50
Secondo l’art. 4 lett. a, per «communications» la convenzione intende «any statement,
declaration, demand, notice or request, including an offer or the acceptance of an offer, that
the parties are required to make or choose to make in connection with the formation or performance of a contract».
51
Report of the Working Group on Electronic Commerce on its thirty-ninth session (New
York, 11-15 March 2002), doc. A/CN.9/509 del 21 marzo 2001, par. 21-25.
52
Art. 2 par. 1 lett. a della convenzione.
408
commenti
Come si è rilevato, l’art. 1 si allontana da quanto disposto dall’art. 1 par.
1 lett. a della CISG, secondo il quale tale convenzione si applica a contratti
conclusi tra parti aventi i propri place of business in Stati diversi e, al tempo
stesso, contraenti. La convenzione sull’utilizzo delle comunicazioni elettroniche non prevede la necessità di tale ultima localizzazione. La norma in
esame deve essere letta, tuttavia, congiuntamente al successivo art. 19, che
attribuisce alle parti la facoltà di riservarsi di applicare lo strumento in esame
esclusivamente qualora gli Stati coinvolti ne siano al tempo stesso contraenti.
La Commissione ha inoltre deciso di eliminare, in quanto superflua, la
possibilità (originariamente prevista dall’art. 18 lett. b) che gli Stati dichiarino di applicare la convenzione nei casi in cui a tale esito conduca l’applicazione delle norme di diritto internazionale privato. Secondo l’UNCITRAL
infatti lo strumento in esame dovrebbe operare esclusivamente sulla base del
rinvio, da parte delle norme di conflitto del foro, all’ordinamento di uno
Stato contraente quale legge regolatrice del contratto: il requisito, originariamente previsto come eccezione, assume pertanto carattere generale. 53
Anche nell’ipotesi in cui lo Stato del foro sia uno di quelli contraenti, la
convenzione dovrebbe operare solamente in quanto parte della lex contractus richiamata dalle norme di diritto internazionale privato.
Ottenuto il parere favorevole della World Intellectual Property Organization (WIPO), 54 il Working Group ha inoltre deciso di eliminare dall’art.
2, relativo alle ipotesi espressamente escluse dall’ambito d’applicazione
ratione materiae della convenzione, il riferimento, precedentemente contemplato, ai contratti aventi per oggetto la licenza di diritti di proprietà
intellettuale. 55 Di conseguenza, la convenzione non disciplina solamente i
contratti di vendita di beni mobili materiali, ma anche, a differenza della
CISG, 56 i contratti di licenza di software, tipologia particolarmente utilizzata nell’industria informatica.
53
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 16-24.
54
Legal aspects of electronic commerce. Electronic contracting: provisions for a draft convention. Comments by the World Intellectual Property Organization, doc.A/CN.9/WG.IV/
WP.106 del 15 ottobre 2003.
55
Report of the Working Group on Electronic Commerce on its forty-third session (New
York, 15-19 March 2004), doc. A/CN.9/548 del 1º aprile 2004, par. 107.
56
Alcune sentenze nazionali hanno stabilito che la CISG può essere applicata anche con
riferimento a contratti di vendita di software prodotti in serie, rimanendo invece esclusa la
possibilità che il medesimo strumento disciplini la vendita di software personalizzati. Quest’ultima ipotesi sarebbe riconducibile, infatti, alla previsione contenuta all’art. 3 par. 2,
che esclude che la CISG regoli i contratti in cui la parte preponderante delle obbligazioni
del fornitore consiste nella prestazione di servizi. Cfr. i casi n. 122 e n. 281 del Case Law
on UNCITRAL texts (CLOUT), consultabile al sito http://www.uncitral.org/uncitral/en/case_law.html. Sul punto si vedano Schlechtriem, Schwenzer (eds.), Commentary on the
UN Convention on the International Sale of Goods (CISG), Oxford, 2005, p. 28 ss.; Fakes,
The Application of the United Nations Convention on Contracts for the International Sale of
commenti
409
Ai sensi dell’art. 10, le comunicazioni contrattuali in formato elettronico
si intendono spedite e ricevute nei luoghi in cui si trovano concretamente i
place of business di mittente e destinatario. Peraltro, allontanandosi da
quanto stabilito dalla direttiva dell’Unione europea n. 2000/31, 57 la convenzione non impone alle parti che operano on-line di rivelare la localizzazione del proprio stabilimento. Una previsione in questo senso è stata
esclusa solo recentemente: nel 2001 il Working Group IV, affrontando la
questione dell’internazionalità del contratto telematico, rilevava infatti l’opportunità che la convenzione, al fine di favorire l’utilizzo e l’affidamento nei
confronti del supporto elettronico, imponesse al contraente on-line l’obbligo di indicare la localizzazione del proprio place of business. Ciò avrebbe
consentito alla controparte di conoscere da subito e con certezza se il
contratto che stava per concludere fosse internazionale. Ne sarebbe, tuttavia, derivato un onere eccessivo a carico del contraente. Inoltre, sottolineava
il Gruppo, la convenzione non doveva essere considerata lo strumento
adeguato a prevedere tale obbligo: altri atti, finalizzati, ad esempio, alla
tutela dei consumatori erano, sotto questo profilo, piú appropriati. 58 L’art.
7, tuttavia, dispone di non pregiudicare l’applicazione di quelle disposizioni
della legge regolatrice che attribuiscono alle parti l’obbligo di fornire indicazioni specifiche circa la propria identità e la collocazione del proprio
stabilimento. 59 L’art. 6 esclude infine che la localizzazione del supporto
tecnologico o del sistema informativo 60 o l’attribuzione di un particolare
domain name o la titolarità di uno specifico indirizzo e-mail 61 costituiscano
di per sé elementi di presunzione a favore della localizzazione del place of
Goods to Computer, Software and Database Transactions, in Software Law Journal, 1990, p.
559 ss.; Contracts for the Sale of Goods to Be Manufactured or Produced and Mixed Contracts
(Article 3 CISG), CISG Advisory Council Opinion no. 4, 24 October 2004, reperibile al sito
www.cisg.law.pace.edu; Legal aspects of electronic commerce. Possible future work in the field
of electronic contracting cit., par. 20-25.
57
Art. 5 par. 1 della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione,
in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno, riprodotta in questa Rivista,
2001, p. 514 ss.
58
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 42- 44. Per «information system» la convenzione intende «a system
for generating, sending, receiving, storing or otherwise processing data messages». Cfr. art.
4 lett. f della convenzione.
59
Art. 7 della convenzione.
60
Art. 6 par. 4 della convenzione.
61
Art. 6 par. 5 della convenzione. Sono state pertanto superate le resistenze di quelle
delegazioni che avrebbero voluto che la previsione contenuta all’art. 6 par. 5 fosse eliminata:
esse sostenevano che la norma risultava superflua, con riferimento a quegli Stati in cui il domain name viene concesso senza il soddisfacimento di alcun requisito di natura geografica e
erronea per quei paesi nei quali, al contrario, l’assegnazione si fonda sulla verifica di alcune
condizioni, tra cui quella inerente allo stabilimento sul territorio. Cfr. Report of the Working
Group on Electronic Commerce on its thirty-ninth session cit., par. 56-59.
410
commenti
business. La disposizione si allinea con quanto previsto dalla già citata
direttiva comunitaria 2000/31, che esclude che il luogo dello stabilimento
coincida con il luogo in cui si trova il service provider. 62
5. Tra il 2003 e il 2005 l’UNCITRAL ha inoltre proseguito, pur senza
concluderli, i propri studi in materia di acquisto pubblico di beni e servizi,
arbitrato, trasporto e credito garantito.
Per quanto concerne il primo settore, la Commissione ha rilevato l’opportunità di procedere all’aggiornamento dei contenuti dell’UNCITRAL
Model Law on Procurement of Goods, Constructions and Services, 63 strumento di grande utilità nell’adozione di normative nazionali in materia di
appalto pubblico. La Model Law, ispirata ai principi della trasparenza, della
competizione, della giustizia, dell’efficienza e dell’economia, dovrebbe essere modificata e integrata in quelle parti ormai inadeguate a disciplinare
prassi emerse nel lasso di tempo intercorso dalla sua entrata in vigore.
L’intervento dovrebbe concentrarsi, in particolare, su quegli aspetti influenzati dall’utilizzo diffuso di comunicazioni elettroniche nella conclusione di
contratti di approvvigionamento. 64 Tra le questioni piú meritevoli di attenzione il Gruppo ha individuato, inoltre, quelle relative all’utilizzo di aste online, di accordi quadro e di liste di fornitori, oltre che il perseguimento di
obiettivi di politica sociale, ambientale e industriale e la disciplina dei
rimedi per reagire all’inadempimento.
La Model Law dovrebbe essere formulata in maniera neutrale rispetto
allo specifico mezzo utilizzato e dovrebbe favorire il ricorso, opzionale, a
procedure informatiche nella conclusione di contratti d’appalto pubblico:
l’autorità statale dovrebbe essere in grado, senza obbligo di giustificazione,
di scegliere il mezzo ritenuto piú adeguato ed efficiente, purché ciò non
comporti eccessivi ostacoli nella conclusione dell’accordo o si riveli discriminatorio. 65 L’utilizzo di metodi telematici dovrebbe essere condizionato,
infine, ad adeguati controlli e al rispetto dei requisiti della certezza, della
confidenzialità e dell’autenticità delle comunicazioni. 66
62
Cfr. considerando n. 19 e art. 2 lett. c della direttiva 2000/31/CE cit.
UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Constructions and Services, adottata il 15 giugno 1994 dall’UNCITRAL e reperibile al sito http://www.uncitral.org/pdf/english/texts/procurem/ml-procurement/ml-procure.pdf. Sulla legge modello cfr. Arrowsmith, Public Procurement: An Appraisal of the UNCITRAL Model Law as a Global Standard,
in Int. Comp. Law Quarterly, 2004, p. 17 ss.
64
Report of the Working Group I (Procurement) on the work of its sixth session (Vienna
30 August-3 September), doc. A/CN.9/568 del 17 settembre 2004.
65
Report of the Working Group I (Procurement) on the work of its seventh session (New
York, 4-8 April 2005), doc. A/CN.9/575 del 12 aprile 2005, par. 24 ss.
66
In questo senso, sono stati formulati un art. 4-bis che, pur senza regolarlo in maniera
dettagliata, prevede il principio dell’equivalenza funzionale tra i mezzi di comunicazione e sono allo studio sia ipotesi di revisione dell’art. 5, che dovrebbe disciplinare gli standard di ac63
commenti
411
6. Per quanto concerne i lavori della Commissione relativi all’arbitrato, 67 affidati nel 1999 68 allo studio del Working Group II, essi si sono
prevalentemente concentrati sulla disciplina delle misure cautelari e sui
requisiti di forma dell’accordo compromissorio nell’arbitrato commerciale
internazionale. 69
A quest’ultimo proposito, sono state avanzate differenti ipotesi di revisione dell’art. 7 dell’UNCITRAL Model Law on International Commercial
Arbitration 70 con lo scopo di semplificare i requisiti di forma dal medesimo
previsti e di consentire che la legge modello tenga conto anche dei piú recenti
strumenti di comunicazione. In questo senso, una prima proposta prevede
che il requisito della forma scritta sia rispettato anche nelle ipotesi in cui
l’accordo compromissorio è redatto in formato elettronico, attraverso l’utilizzo del sistema EDI, della e-mail, del telegramma o del telefax, purché i
messaggi siano registrati e accessibili nel futuro. 71 La proposta messicana,
improntata al massimo favor validitatis, tende invece a eliminare dall’art. 7 il
requisito della forma scritta, limitandone la rilevanza ai soli fini probatori. 72
cessibilità delle informazioni rilevanti, sia proposte di emendamento delle disposizioni della
Model Law incompatibili con l’indizione e lo svolgimento di aste on-line. Cfr. Report of
the Working Group I (Procurement) on the work of its sixth session cit., par. 30-41; Report
of the Working Group I (Procurement) on the work of its seventh session cit.; Possible revision
to the UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Constructions and Services-Drafting
materials addressing the use of electronic communications in public procurement. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.I/WP.38 e A/CN.9/WG.I/WP.38/Add.1 del 19 luglio 2005;
Possible Revision to the UNCITRAL Model Law on Procurement of Goods, Constructions
and Services-Drafting Materials for the use of electronic reverse auctions in public procurement.
Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.1/WP.40/Add.1 del 5 agosto 2005.
67
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-eighth session cit., par. 173-179.
68
Cfr. Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-second session, (17 May - 4 June 1999), General Assembly Official Record. Fifty-fourth Session. Supplement n. 17 (A/54/17), par. 333 ss.
69
Cfr. Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its
forty-third session (Vienna, 3-7 October 2005), doc. A/CN.9/589 del 12 ottobre 2005, par. 1.
70
UNCITRAL Model Law on International Commercial Arbitration, adottata dall’UNCITRAL il 21 giugno 1985 e reperibile al sito http://www.uncitral.org/uncitral/en/uncitral_texts/arbitration/1985Model_arbitration.html. Sulla legge modello cfr. Binder, International
Commercial Arbitration and Conciliation in Uncitral Model Law Jurisdictions, London, 2005.
71
Cfr. Settlement of Commercial Disputes. Preparation of a Model Legislative Provision
on written form for the arbitration agreement. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.II/
WP.136 del 19 luglio 2005.
72
Cfr. Settlement of Commercial Disputes. Preparation of uniform provisions on written
form for arbitration agreements. Proposal by the Mexican Delegation. Note by the Secretariat,
doc. A/CN.9/WG.II/WP.137 del 20 aprile 2005; Settlement of Commercial Disputes. Preparation of uniform provisions on written form for arbitration agreements. Amendment proposal
by the Mexican Delegation. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.II/WP.137/Add.1 del
20 settembre 2005; Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the
Work of its forty-third session cit., par. 109-110.
412
commenti
Secondo parte del Working Group quest’ultima formulazione contrasterebbe
inevitabilmente con l’art. II della convenzione di New York del 10 giugno
1958, che prevede: «Each Contracting State shall recognise an agreement in
writing under which the parties undertake to submit to arbitration all or any
differences». Potrebbe pertanto accadere che lodi emanati sulla base di accordi d’arbitrato orali non siano riconosciuti ed eseguiti ai sensi della suddetta convenzione. Alla soluzione di tale divergenza non potrebbe contribuire la dichiarazione interpretativa dell’art. II par. 2 73 della convenzione, la
cui preparazione da parte del Working Group è stata discussa nella propria
XXXIV sessione: per quanto tesa ad invitare gli Stati contraenti a interpretare la nozione di «forma scritta» in maniera flessibile, la dichiarazione non
sarebbe, infatti, vincolante. 74 Infine, tenuto conto dei diversi orientamenti
circa il valore del richiamo da parte di contratti orali di clausole arbitrali
scritte contenute in accordi separati, il Gruppo ha ritenuto di riformulare
il par. 5 dell’art. 7 della Model Law in modo tale da disporre che la validità dei
suddetti richiami sia vagliata alla luce del diritto applicabile. 75
I lavori del Working Group relativi alla disciplina delle misure cautelari
da parte del collegio arbitrale si sono concentrati sulla revisione dell’art. 17
della Model Law e sull’inserzione di un articolo 17-bis, dedicato al riconoscimento e all’esecuzione delle suddette misure, e di un articolo 17-ter,
inerente all’adozione di misure cautelari relative a procedimenti arbitrali
da parte di giudici nazionali dello Stato sede dell’arbitrato o di un Paese
diverso. 76 Dubbia rimane la struttura che le disposizioni emendate dovranno assumere nella Model Law: gli articoli sono stati attualmente riuniti
in un nuovo capitolo, il IV-bis, dal titolo, ancora controverso, Interim
Measures and Preliminary Orders. 77
73
L’art. II par. 2 della convenzione di New York recita: «The term ‘‘agreement in writing’’ shall include an arbitral clause in a contact or an arbitration agreement, signed by the
parties or contained in an exchange of letters or telegrams».
74
Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its fortythird session cit., par. 111. Sulla Dichiarazione interpretativa cfr. Bertoli, op. cit., p. 428 ss.
75
Settlement of Commercial Disputes. Preparation of a model legislative provision on
written form for the arbitration agreement. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.II/
WP.136 del 19 luglio 2005.
76
Sulla versione piú aggiornata delle proposte di revisione cfr. Report of the Working
Group on Arbitration and Conciliation on the work of its forty-third session cit. Al riguardo
si veda Donovan, The Allocation of Authority between Courts and Arbitral Tribunals to Order Interim Measures: a Survey of Jurisdictions, the Work of UNCITRAL and a Model Proposal, in Van den Berg (ed.), New Horizons in International Commercial Arbitration and
Beyond, The Hague, 2005.
77
Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its fortythird session cit., par. 104-106. Secondo alcune delegazioni la materia relativa alla disciplina
delle misure cautelari non avrebbe dovuto essere integrata nell’art. 17 ma trattata, nel suo
complesso, in uno specifico allegato o in uno strumento totalmente autonomo. È stato inoltre
rilevato che, al fine di agevolare l’adozione dell’art. 17, sarebbe stato utile scorporarne la par-
commenti
413
Per quanto concerne la disciplina dei provvedimenti cautelari concessi
inaudita altera parte, questione ancora dibattuta, il Gruppo ha recentemente raggiunto un’intesa sul testo dell’art. 17 par. 7 (il cosiddetto compromise text). 78 È stato infatti deciso di introdurre una clausola opting-out
sull’applicazione della norma medesima, di considerare i provvedimenti
cautelari di natura meramente procedurale e di escludere, nell’art. 17-bis,
la possibilità di sottoporli a esecuzione forzata. 79 Il Working Group è stato
invitato dalla Commissione a presentare il proprio progetto finale di revisione in occasione della sessione prevista per il 2006. 80
La Commissione ha infine preso nota del suggerimento avanzato dal
Working Group II nella propria XLII sessione, 81 secondo cui l’UNCITRAL, una volta terminata la revisione della Model Law, dovrebbe concentrarsi sulla soluzione delle controversie intra-societarie, di quelle aventi ad
oggetto diritti su beni immobili, di quelle in materia d’insolvenza o di
concorrenza sleale. Infine, l’UNCITRAL dovrebbe approfondire la tematica relativa alla soluzione on-line delle controversie e verificare l’opportunità di procedere alla revisione delle Arbitration Rules, adottate il 28 aprile
1976.
te dedicata all’adozione dei provvedimenti cautelari e disciplinarla in un distinto articolo; altra proposta tendeva invece a riunire i paragrafi degli artt. 17 e 17-bis dedicati ad aspetti analoghi. Cfr. Settlement of Commercial Disputes. Interim measures of protection. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.II/WP.138 dell’8 agosto 2005, par. 72-73; Settlement of Commercial Disputes. Interim measures of protection. Note by the Secretariat cit., par. 68, Report of the
United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-eighth session cit., par.
176.
78
Cfr. Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its
forty-second session, doc. A/CN.9/573 del 27 gennaio 2005, par. 12 ss. Sono state pertanto
superate le resistenze delle delegazioni che ritenevano che l’adozione di provvedimenti cautelari su richiesta di parte fosse incompatibile con la natura volontaria dell’arbitrato e con i
principi della giustizia e dell’equità e gli orientamenti degli Stati secondo cui la clausola di
opting-out non era indispensabile, in ragione della natura non vincolante della Model Law
o avrebbe dovuto essere sostituita con una soluzione opting-in, piú affine alla natura volontaria dell’arbitrato. Cfr. Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the
work of its forty-second session cit., par. 16-19; Report of the Working Group on Arbitration
and Conciliation on the work of its forty-first session, doc. A/CN.9/569 del 4 ottobre 2004,
par. 16.
79
Cfr. Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its
forty-second session cit., par. 27. La discussione sull’articolo è proseguita nel corso della XLIII
sessione del Working Group, in seno alla quale la maggioranza delle delegazioni, nonostante
le ampie resistenze, ha espresso la volontà di non modificare ulteriormente il compromise text.
Cfr. Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its fortythird session cit., par. 49-55.
80
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 177.
81
Report of the Working Group on Arbitration and Conciliation on the work of its fortysecond session cit., par. 100; Report of the United Nations Commission on International Trade
Law on its thirty-eighth session cit., par. 178.
414
commenti
7. Negli anni in esame l’UNCITRAL ha compiuto significativi progressi
anche nella redazione di uno strumento pattizio sulla disciplina del trasporto multimodale door-to-door, ossia del rapporto contrattuale che include segmenti di trasporto via terra, prima o dopo quelli via mare. Constatata la varietà delle regolamentazioni a livello nazionale e la frammentarietà della disciplina internazionale, costituita da una fitta rete di
convenzioni che regolano in modo differente le varie fasi del trasporto,
con il rischio di sovrapposizioni e conflitti, 82 il Working Group IV è stato
incaricato nel 2001 di procedere allo studio della materia e alla redazione
dello strumento, in collaborazione con numerose istituzioni internazionali,
quali il Comité Maritime International, l’International Road Transport
Union e l’Intergovernmental Organization for International Carriage by
Rail. Ad oggi il Gruppo ha quasi terminato la seconda lettura del progetto
e ha espresso l’intenzione di concludere il proprio lavoro entro la fine del
2006 per mettere la Commissione nella condizione di poterlo adottare nel
2007. 83
Il progetto si compone di 21 capitoli, che disciplinano le obbligazioni, il
regime della responsabilità, l’utilizzo dei documenti di trasporto, la giurisdizione o la sottoposizione ad arbitrato nella soluzione delle controversie e altri
aspetti relativi all’esecuzione di quei contratti di trasporto che prevedono
luoghi (o porti) di carico e di consegna situati in Stati diversi, di cui almeno
uno contraente. 84 Il Working Group non si è invece ancora espresso in modo
definitivo sull’ipotesi di estendere l’operatività della convenzione ai casi in cui
siano le parti a prevederlo o a sottoporre il contratto alla legge di uno Stato
contraente. Alcune delegazioni, constatato che il richiamo di uno strumento
convenzionale uniforme quale norma regolatrice del contratto di trasporto è
ampiamente diffuso nella prassi commerciale e dei trasporti, hanno rilevato
che la facoltà di estendere l’applicazione della convenzione dovrebbe essere
garantita quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti. 85
82
Sulla frammentarietà della disciplina del trasporto, a livello nazionale e internazionale,
cfr. Boschiero, Documenti di trasporto e vendita internazionale: problemi e soluzioni, in Dir.
mar., 2001, p. 292 ss. Sull’opportunità di procedere alla redazione di uno strumento vincolante che disciplini a livello internazionale il trasporto intermodale cfr. Bariatti, Quale modello normativo per un regime giuridico dei trasporti realmente uniforme?, ivi, p. 483 ss.
83
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 184.
84
Draft Convention on the carriage of goods [wholly or partly] [by sea]. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.III/WP.56 dell’8 settembre 2005, art. 8. Sul progetto cfr. UNCITRAL’s Attempt towards Global Unification of Transport Law. The CMI Draft Convention on
the Carriage of Goods by Sea and its Impact on Multimodal Transport, in Transportrecht, 2004,
p. 273 ss. Per quanto concerne la disciplina internazionale del contratto di trasporto marittimo cfr. Lapeyre, Transport maritime et régime portuaire, in Recueil des Cours, t. 308, 2004, p.
253 ss.
85
Cfr. Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its fifteenth session (New York, 18-25 April 2005), doc. A/CN.9/576 del 13 maggio 2005, par. 61.
commenti
415
Peraltro, ai sensi della convenzione, l’autonomia contrattuale delle parti
non è assoluta: il Gruppo ritiene che le norme sull’adeguatezza delle qualità
nautiche e quelle sugli obblighi d’informazione da parte del vettore nei
confronti dello spedizioniere siano imperative; 86 analogamente l’art. 94
del progetto elaborato dal Segretariato nel settembre del 2005 87 dispone
che le previsioni contrattuali che direttamente o indirettamente limitano o
escludono le obbligazioni o la responsabilità del vettore siano invalide. È
ancora controversa, invece, la natura inderogabile delle disposizioni convenzionali relative alle obbligazioni o al regime della responsabilità dello
spedizioniere, del caricatore, del destinatario e delle altre parti contrattualmente coinvolte. A tale proposito si rileva che se il fine della norma in
esame è quello di tutelare i piccoli spedizionieri, evidentemente la previsione dovrebbe essere eliminata. 88
La convenzione prevede, inoltre, specifiche disposizioni sull’utilizzo del
mezzo telematico e sulla circolazione di documenti di trasporto elettronici
nell’esecuzione del contratto di trasporto multimodale. Quando vettore e
spedizioniere si siano accordati in questo senso, il documento elettronico
dovrebbe essere equiparato a quello cartaceo. 89 Con specifico riferimento
ai documenti di trasporto, il progetto prevede che essi debbano contenere
le informazioni inerenti alla natura, alla quantità e alle condizioni delle
merci consegnate dal mittente e che il vettore possa, al momento dell’emissione del documento e negli specifici casi elencati all’art. 41 del progetto,
intervenire sulle indicazioni di cui non abbia ragionevolmente potuto controllare la fondatezza in quanto relative, ad esempio, a beni inseriti in
containers sigillati. La ratio delle cosiddette riserve motivate risiede nella
possibilità, per il vettore, di incidere sull’efficacia che le informazioni contenute nel documento di trasporto esercitano nella determinazione della sua
responsabilità: 90 la loro assenza comporta, infatti, nei confronti del caricatore, una prima facie evidence della ricezione da parte del vettore dei beni
descritti; nei rapporti con il destinatario, essa costituisce, invece, una conclusive evidence. 91
86
Ibidem, par. 20-23.
Draft Convention on the carriage of goods [wholly or partly] [by sea]. Note by the Secretariat cit.
88
Alcune delegazioni sottolineano invece l’opportunità di individuare già nel capitolo
ottavo, dedicato appunto alla disciplina delle obbligazioni dello spedizioniere, quali previsioni siano imperative. Cfr. Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its
fifteenth session cit., par. 78-79.
89
Draft Convention on the carriage of goods [wholly or partly] [by sea]. Note by the Secretariat cit., artt. 5-6; Cfr. Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its
fifteenth session cit., par. 186-187.
90
Boschiero, Documenti di trasporto e vendita internazionale cit., pp. 502-504.
91
Draft Convention on the carriage of goods cit., art. 43; Boschiero, Documenti di trasporto e vendita internazionale cit., pp. 503-504; Zunarelli, Documenti del trasporto: natura
87
416
commenti
Interessanti sono infine le disposizioni convenzionali relative alla disciplina della giurisdizione nelle controversie nascenti dal contratto di trasporto.
L’inserimento, nel capitolo XV, di tali norme, da un lato, persegue l’obiettivo
della certezza e della prevedibilità giuridica e, dall’altro, tende a rafforzare la
tutela del caricatore/ricevitore delle merci, utente del servizio e contraente
debole del contratto di trasporto, al quale viene conferita la possibilità di
scegliere presso quale giudice, tra quelli indicati convenzionalmente, convenire il vettore. 92 L’art. 75 dispone infatti che il foro competente a giudicare
delle azioni proposte nei confronti del vettore sia quello indicato come tale
dalla legge dello Stato in cui è situato e nel quale sono localizzati, alternativamente, il domicilio del convenuto o il luogo di consegna o di riconsegna dei
beni, cosı́ come contrattualmente previsti. 93 È ancora controversa, invece,
l’introduzione del criterio fondato sulla localizzazione dei porti di carico o
scarico, 94 sostenuta, in particolare, dalla delegazione statunitense, secondo la
quale essi dovrebbero ragionevolmente rappresentare gli unici fori presso cui
il vettore e la maritime performing party 95 potrebbero essere contestualmente
convenuti. Peraltro, i danni ai beni trasportati, dei quali sia preteso il risarcimento, si verificano con maggior probabilità al momento del carico o dello
scarico e, conseguentemente, prove e testimonianze dovrebbero essere piú
facilmente reperibili presso i porti. 96 L’art. 75 prevede infine la competenza
del giudice del foro contrattualmente indicato dalle parti, chiarendo che
l’ipotesi non deve essere confusa con quella disciplinata dall’art. 76 e relativa
alla giurisdizione esclusiva. Controversa rimane invece la necessità, sottolineata da alcune delegazioni, di limitare la facoltà di prorogare la giurisdizione
a favore dei soli giudici di Stati contraenti. 97
giuridica, circolazione e valore probatorio. Il punto di vista di un civil lawyer, in Dir. mar., 2001,
pp. 599-601.
92
Sulla qualificazione dell’utente del servizio come contraente «debole» del contratto di
trasporto, cfr. Lopez de Gonzalo, Giurisdizione civile e trasporto marittimo, Milano, 2005,
p. 101 ss.
93
Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its fifteenth session
cit., par. 118.
94
Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its fourteenth session
cit., par. 128.
95
Per marittime performing party si intende la parte che contrattualmente si impegna a
svolgere, su richiesta o sotto la supervisione e il controllo del vettore, attività di carico, scarico, stivaggio, trasporto, ricezione o consegna delle merci nel periodo intercorrente tra il momento in cui queste pervengono al porto di carico e quello in cui giungono al porto di scarico.
Cfr. Draft Convention on the carriage of goods cit., art. 1 lett. e e f.
96
Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its fifteenth session
cit., par. 121; Transport Law: Preparation of a draft convention on the carriage of goods [wholly
or partly] [by sea]. Proposal by the United States of America regarding the inclusion of ‘‘ports’’
in draft article 75 of the draft convention in the chapter on jurisdiction, doc. A/CN.9/WG.III/
WP.58 del 16 novembre 2005.
97
Report of the Working Group III (Transport Law) on the work of its fifteenth session
cit., par. 123 ss.
commenti
417
La formulazione dell’art. 75 è in larga parte analoga a quella dell’art. 21
par. 1 della convenzione di Amburgo del 31 marzo 1978 sul trasporto
marittimo di merci (c.d. regole di Amburgo) e dell’art. 26 par. 1 della
convenzione di Ginevra del 24 maggio 1980 sul trasporto multimodale di
merci, entrambe non ancora in vigore nel nostro Stato. 98 Lo scopo dell’art.
75, cosı́ come quello delle norme dianzi richiamate, consiste nel rafforzare
la tutela offerta all’avente diritto al carico: le norme acquistano pertanto una
connotazione materiale, in virtú della quale la convenzione autorizza, seppur non esplicitamente, l’adizione di fori che potrebbero coincidere con il
forum actoris. 99 Peraltro, solamente i criteri del domicilio del convenuto e
del luogo di scarico coincidono con quelli previsti dagli artt. 2 e 5 n. 1 del
regolamento (CE) n. 44/2001. 100
La previsione della giurisdizione esclusiva di un foro è prassi diffusa nel
commercio internazionale ed è convenzionalmente consentita, pur nel rispetto di condizioni idonee a prevenire abusi, soprattutto nei contratti
d’adesione, ai danni della parte contrattualmente piú debole. Secondo il
progetto convenzionale la proroga di giurisdizione deve essere provata per
iscritto (o nel formato elettronico) e deve indicare chiaramente il tribunale
competente, che può essere solo localizzato negli Stati contraenti, e la
natura esclusiva della giurisdizione. L’art. 76 si allontana, pertanto, da
quanto disposto dall’art. 26 par. 1 lett. d della convenzione di Ginevra
sul trasporto multimodale, secondo cui le parti possono designare contrattualmente un giudice competente, purché localizzato in uno Stato contraente, solamente in via addizionale e alternativa ai fori già convenzionalmente previsti. 101
8. Per quanto concerne, infine, la disciplina del credito garantito,
l’UNCITRAL ha invitato il Working Group VI, cui è affidato dal 2001
l’incarico di redigere la guida in materia, a terminare i propri lavori entro
la sessione del 2006. 102 Il progetto di guida è costituito da dodici capi-
98
Ci si riferisce alle regole di Amburgo in quanto la convenzione di Bruxelles del 1924
sul trasporto marittimo, come modificata dai protocolli del 1968 e del 1979 (c.d. Hague-Visby
Rules), attualmente in vigore in Italia, non contiene norme in tema di giurisdizione. Sulle regole di Amburgo, cfr. La Mattina, Le prime applicazioni delle Regole di Amburgo tra autonomia privata, diritto internazionale privato e diritto uniforme dei trasporti, in questa Rivista,
2004, p. 597 ss.
99
Lopez de Gonzalo, L’esercizio della giurisdizione civile in materia di trasporto marittimo e intermodale, in Dir. mar., 2001, p. 523 ss.
100
Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale, riprodotto in questa Rivista, 2001, p. 815 ss.
101
Lopez de Gonzalo, Giurisdizione civile e trasporto marittimo cit., p. 259 ss.
102
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 187.
418
commenti
toli, che prevedono raccomandazioni, indirizzate ai legislatori nazionali,
sull’ambito d’applicazione, la costituzione, l’opponibilità ai terzi, l’ordine
di priorità nel soddisfacimento dei crediti, l’attuazione forzata, l’insolvenza e le norme di conflitto in materia di credito garantito.
Secondo l’UNCITRAL l’armonizzazione della disciplina di questo settore dovrebbe agevolare la concessione del credito, con evidenti effetti
positivi, sia nel breve sia nel lungo termine, sul commercio internazionale.
Essa dovrebbe inoltre comportare vantaggi per l’economia dei paesi in via
di sviluppo, riducendo le disuguaglianze nell’accesso al credito tra le parti
ivi localizzate e quelle site in paesi industrializzati. 103 Tra gli obiettivi della
guida figurano quello di facilitare l’ottenimento del credito garantito, di
bilanciare gli interessi contrapposti delle parti coinvolte e di valorizzare il
rispetto della trasparenza e della certezza giuridica. 104 A questo fine, la
guida suggerisce di strutturare le operazioni in modo tale che sia consentito
sfruttare il massimo valore dei beni, raccomanda l’istituzione di ordini di
priorità nel soddisfacimento dei crediti e l’introduzione di un regime che
consenta ai creditori di far valere i propri diritti in maniera agevole e
prevedibile. 105
Secondo la Commissione il Working Group VI dovrebbe interpretare il
proprio mandato in senso ampio affinché la guida, finalizzata a rivolgere
raccomandazioni ai legislatori nazionali che intendono disciplinare a livello
interno la materia, possa delinearsi come uno strumento utile e sia in grado di
contribuire nel modo piú efficace allo sviluppo del regime normativo della
concessione del credito mediante la costituzione di garanzie. 106 Pur essendo
l’attenzione del Gruppo concentrata sulla disciplina del credito garantito su
beni mobili, in particolare d’inventario, il Working Group ha ritenuto opportuno includere nell’ambito d’applicazione della guida, attraverso la predisposizione di capitoli aggiuntivi o la modifica delle raccomandazioni rilevanti,
anche la concessione di garanzie su titoli di credito trasferibili, 107 conti
103
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtythird session cit., par. 455 ss.; Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirty-fourth session cit., par. 346 ss.
104
Security interests. Recommendation on the draft legislative guide on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.0/WG.VI/WP.21 del 2 giugno 2005; Security interests. Draft legislative guide on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/
WG.VI/WP.22/Add.1 del 24 giugno 2005, par. 37 ss.
105
Security interests. Draft legislative guide on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.22/Add.1 cit., par. 5, 8.
106
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyfifth session (17-28 June 2002), General Assembly Official Records. Fifty-seventh Session. Supplement n. 17 (A/57/17), par. 198 ss.
107
Security interests. Recommendation on the draft legislative guide on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.0/WG.VI/WP.21 cit.; Report of the Working Group
VI (Security Interests) on the work of its eighth session (5-9 September 2005), doc. A/CN.9/
588 del 15 settembre 2005, par. 115 ss.
commenti
419
bancari 108 e profitti. 109 Il Gruppo ha inoltre recentemente deciso di estendere l’ambito d’operatività della guida ai diritti sulla proprietà intellettuale. 110 Tale inclusione è stata valutata positivamente, rilevata soprattutto
la tendenza da parte delle piccole e medie imprese a equiparare i diritti in
esame agli altri beni utilizzati come garanzie nella concessione del credito. La
loro esclusione avrebbe pertanto l’effetto di limitare l’utilità pratica della
guida, che non sarebbe in grado di indirizzare ai legislatori nazionali indicazioni su una materia particolarmente attuale. L’ampliamento ai diritti sulla
proprietà intellettuale dovrebbe essere realizzato attraverso la collaborazione,
già attiva, del Working Group con la WIPO e dovrebbe tenere conto, nella
formulazione delle relative raccomandazioni, delle esigenze degli operatori e
della comunità finanziaria, oltre che della necessità di coordinare la disciplina
dei diritti in questione con la regolamentazione cui i medesimi sono sottoposti in altri strumenti normativi, soprattutto internazionali. 111 Rimangono,
invece, esclusi dall’ambito d’applicazione i diritti sui beni immobili, soggetti
a regolamentazioni specifiche negli ordinamenti nazionali.
Particolarmente interessante è il capitolo XI della guida, elaborato dal
Gruppo in collaborazione con l’UNIDROIT e la Conferenza dell’Aja di
diritto internazionale privato e dedicato alla predisposizione di raccomandazioni sulle norme di conflitto che la disciplina nazionale dovrebbe prevedere con riferimento alla costituzione dei diritti di garanzia, alla loro
opponibilità ai terzi, alla loro attuazione forzata e alla disciplina delle
obbligazioni che legano creditore garantito e concedente. 112 In via gene108
Security interests. Draft legislative guide on secured transactions. Report of the Secretary-General, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.18 del 1º dicembre 2004, par. 6 ss.; Security interests.
Draft legislative guide on secured transactions. Report of the Secretary-General, doc. A/CN.9/
WG.VI/WP.18/Add.1 dell’8 dicembre 2004; Report of the Working Group VI (Security interests) on the work of its seventh session (24-28 January 2005), doc. A/CN.9/574 del 3 febbraio
2005, par. 70 ss.
109
Report of the United Nations Commission on International Trade Law on its thirtyeighth session cit., par. 186; Security interests. Recommendation on the draft legislative guide
on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.0/WP.VI/WP.21 cit.; Report of
the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session, par. 75 ss.
110
Ibidem, par. 70.
111
In questo senso, la raccomandazione n. 3 lett. h del progetto dispone che la guida si
applichi ai diritti sulla proprietà intellettuale e che gli Stati che decidono di adottare la propria regolamentazione sul punto debbano controllare la compatibilità delle disposizioni con
gli impegni assunti a livello internazionale e con le previsioni già esistenti nell’ordinamento
nazionale, in modo da garantire, contestualmente, la realizzazione del regime piú efficiente
nella materia del credito garantito e la protezione del diritto di proprietà intellettuale, cosı́
come disciplinata nel diritto interno e internazionale. Cfr. Security interests. Recommendation
on the draft legislative guide on secured transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.0/
WP.VI/WP.21 cit.; Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its
eighth session cit., par. 74.
112
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.21/Add.5 del 15 giugno 2005; Recommendations on
420
commenti
rale, la guida raccomanda ai legislatori di escludere la possibilità del rinvio
oltre ad opera delle norme di conflitto della legge richiamata e, in primo
luogo, li invita a prevedere che la costituzione, l’opposizione ai terzi e
l’ordine di priorità nel soddisfacimento dei diritti su beni materiali siano
regolati dalla legge dello Stato in cui i beni onerati sono situati (lex rei
sitae). 113 Qualora, tuttavia, i beni in questione non siano localizzabili in un
solo Stato, il diritto applicabile dovrebbe essere quello dello Stato in cui si
trova la sede, l’amministrazione centrale o la residenza abituale del concedente la garanzia. 114 Quando invece i beni onerati siano in transito o
destinati all’esportazione, il diritto applicabile potrebbe essere, in via concorrente, quello dello Stato di destinazione. 115 È fatta salva, in ogni caso,
la regolamentazione dell’opposizione dei diritti ai terzi ai sensi della legge
dello Stato che ne proceda alla registrazione. 116
I criteri individuati dalla Legislative Guide corrispondono in larga parte
a quelli previsti dalla legge 31 maggio 1995 n. 218 di riforma del sistema
italiano di diritto internazionale privato. L’art. 51 comma 1 dispone, infatti,
che i diritti reali siano regolati dalla legge dello Stato in cui i beni si trovano
e prevede espressamene di applicarsi anche con riferimento a diritti reali
istituiti su beni mobili. La lex rei sitae determina, pertanto, i soggetti che
possono essere titolari dei diritti reali e circoscrive l’oggetto e il contenuto
della relativa situazione giuridica. 117 L’art. 52 della legge n. 218/1995 dispone che i diritti reali sui beni (mobili) in transito siano regolati, invece,
dalla legge dello Stato di destinazione. 118 La corrispondente raccomandazione della Legislative Guide differisce, pertanto, dall’art. 52, nella parte in
cui prevede che il criterio della destinazione concorra con quello della
localizzazione del bene.
the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the Secretariat, doc. A/CN.9/
WG.VI/WP.24 del 15 novembre 2005. La guida prevede che le norme di conflitto possano
essere applicate, in quanto compatibili, anche a istituti idonei a svolgere funzioni di garanzia,
quali la riserva di proprietà e il leasing finanziario. Su quest’ultimo cfr. Mariani, Il leasing
finanziario internazionale tra diritto uniforme e diritto internazionale privato, Padova, 2004.
113
Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session
cit., par. 85-88.
114
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 143.
115
Ibidem, par. 142; Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of
its eighth session cit., par. 97.
116
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 140.
117
Si vedano Benvenuti, Art. 51, in Legge 31 maggio 1995, n. 218, a cura di Bariatti, in
Nuove leggi civ. comm., 1996, p. 1325 ss.; Luzzatto, Art. 51, in Pocar, Treves, Carbone,
Giardina, Luzzatto, Mosconi, Clerici, Commentario del nuovo diritto internazionale
privato, Padova, 1996 , p. 251 ss.
118
Cfr. Benvenuti, Art. 52, in Legge 31 maggio 1995, n. 218 cit., p. 1335 ss.; Luzzatto, Art. 52, in Pocar e altri, Commentario cit., p. 254 ss.
commenti
421
L’art. 51 comma 2 della legge italiana di diritto internazionale privato dispone, inoltre, che la sottoposizione alla lex rei sitae non operi
con riferimento alla disciplina dell’acquisto e della perdita del diritto,
qualora quest’ultimo sia attribuito a titolo derivativo. In presenza di un
contratto istitutivo di diritti reali rilevano, pertanto, gli ordinamenti
degli Stati cui la stessa legge di riforma rinvia per regolare le situazioni
giuridiche alla cui presenza può riconnettersi la circolazione del diritto
reale. Nel caso di attribuzione del diritto di garanzia a titolo contrattuale
si ammette che il diritto richiamato ai sensi della convenzione di Roma
del 1980 regoli il titolo quale presupposto dell’acquisto del diritto reale,
mentre alla lex rei sitae rimanga affidata, oltre alla già menzionata disciplina del diritto in esame, la regolamentazione degli effetti reali e dei
modi d’acquisto del diritto. 119 La distinzione tra efficacia obbligatoria e
reale del contratto è presente anche nel progetto di Legislative Guide: il
Gruppo ha deciso che le obbligazioni del creditore garantito e del
concedente devono essere regolate dalla legge indicata dalle parti o, in
mancanza di scelta, dal diritto applicabile al contratto di garanzia, 120 a
differenza dei diritti reali che, come detto, sono sottoposti alla disciplina
della lex rei sitae.
119
Cfr. Benvenuti, Art. 51 cit., p. 1331 ss.; Luzzatto, Art. 51 cit., p. 252 s. La convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, richiamata dall’art. 57
della legge n. 218/1995, determina in modo specifico la legge applicabile ai contratti aventi
per oggetto diritti di garanzia sui soli beni immobili, nulla disponendo, invece, con riferimento alle obbligazioni contrattuali relative a diritti reali su beni mobili. La presunzione prevista
dall’art. 4 comma 3 della convenzione, cosı́ come la norma dettata all’art. 4 comma 1 lett. d
della proposta di regolamento Roma I, recentemente adottata dalla Commissione (Proposal
for a Regulation of the European Parliament and the Council on the Law Applicable to Contractual Obligations (Rome I), COM(2005)650 final del 15 dicembre 2005) prevedono, infatti,
che i contratti aventi ad oggetto diritti reali sugli immobili siano regolati dalla lex rei sitae. In
questo modo la convenzione e la proposta, che recepiscono la nota distinzione tra regolamentazione del titolo, sottoposta alla disciplina della lex contractus, e contenuto e modo d’acquisto del diritto reale, disciplinati dalla legge di situazione del bene, determinano la coincidenza
tra i due ordinamenti regolatori. Per quanto concerne, invece, la costituzione a titolo derivativo di diritti reali su beni mobili, il contratto è regolato, ai sensi della convenzione, dalla legge
dello Stato che presenta il collegamento piú stretto, come presuntivamente determinato ai
sensi dell’art. 4 comma 2 o individuato alla luce dell’art. 4 comma 5. La proposta di regolamento Roma I interviene sulla formulazione della norma relativa alla determinazione della
legge applicabile in mancanza di scelta ad opera delle parti, prevedendo specifiche regole
con riferimento a tipologie contrattuali predefinite e stabilendo, quale norma di chiusura dell’art. 4, il rinvio alla legge dello Stato della residenza del prestatore caratteristico o, in via residuale, dello Stato con cui il contratto è piú strettamente collegato. Sulla convenzione di Roma e le relative prospettive di modifica cfr. Boschiero, Verso il rinnovamento e la trasformazione della convenzione di Roma: problemi generali, in Picone (a cura di), op. cit., p.
319 ss.
120
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 147; Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session cit., par. 102-103.
422
commenti
I diritti sui beni immateriali, dispone la guida, dovrebbero invece
essere regolati in via esclusiva dal diritto dello Stato in cui è localizzato
il concedente la garanzia. 121 Il Gruppo si riserva, a questo proposito, di
valutare se il criterio in esame sia adeguato anche in relazione ai diritti
sulla proprietà intellettuale o se, come suggerito dalla WIPO, la raccomandazione necessiti, a tale fine, di essere modificata a favore della lex loci
protectionis. 122
Il Working Group non si è invece ancora pronunciato in modo definitivo sulla legge nazionale che dovrebbe regolare la costituzione, l’opponibilità, l’ordine di priorità nel soddisfacimento dei crediti, l’attuazione
forzata, i diritti e gli obblighi della banca in presenza di diritti di garanzia
istituiti su conti bancari. La guida dispone che detti aspetti siano sottoposti alla regolamentazione della legge applicabile al contratto bancario o
a quella cui essi sono espressamente rimessi dal contratto medesimo,
purché in tali Stati sia localizzata una sede della banca, regolarmente
operante in questo settore. 123 Qualora tali condizioni non siano soddisfatte, la raccomandazione rinvia, per quanto concerne i criteri di collegamento, a quanto disposto dall’art. 5 della convenzione dell’Aja sulla
legge applicabile ad alcuni diritti su titoli detenuti presso un intermediario, 124 che prevede che si applichi il diritto dello Stato in cui si trova la
sede della banca presso cui è stato aperto il conto o, in via residuale, in
cui la banca è stata costituita o ha il proprio centro degli interessi principali. Alcune delegazioni si sono invece mostrate favorevoli all’introduzione di un criterio piú flessibile, originariamente individuato in quello
del collegamento piú stretto. 125 Tale ipotesi è stata criticata in quanto
suscettibile di condurre a risultati giuridicamente non prevedibili. Tuttavia, è stato anche rilevato che l’applicazione del criterio in esame potrebbe agevolare il raggiungimento della certezza giuridica ex ante, ossia
121
Ibidem, par. 137.
Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session
cit., par. 89.
123
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 139 ss.
124
Convention on the Law Applicable to Certain Rights in Respect of Securities Held
With an Intermediary, adottata dalla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato il
13 dicembre 2002 e riprodotta in questa Rivista, 2003, p. 318 ss. Sulla convenzione si vedano
Bernasconi, Sigman, The Hague Convention on the Law Applicable to Certain Rights in
Respect of Securities Held with an Intermediary (Hague Securities Convention), in Unif.
Law Rev., 2005, p. 117 ss.; Germain, Kessedjian, La loi applicable à certains droits sur
des titres détenus auprès d’un intermédiaire. Le projet de convention de la Haye de décembre
2002, in Revue critique, 2004, p. 49 ss.; Struycken, Convention on the Law Applicable to
Certain Rights in Respect of Securities Held with an Intermediary, in Neth. Int. Law Rev.,
2003, p. 103 ss.
125
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 139 ss.
122
commenti
423
ancor prima che l’operazione garantita sia conclusa. Peraltro, la riconduzione della materia alla disciplina della legge indicata nel contratto bancario, data la natura generalmente confidenziale dell’accordo, presenterebbe aspetti indubbiamente problematici, almeno con riferimento all’opposizione del diritto ai terzi. Il Working Group ha, infine, deciso di
eliminare il riferimento al collegamento piú stretto e di riferirsi, in via
esclusiva, al luogo della sede della banca presso cui il conto è stato
aperto. 126 Quest’ultima formulazione, corrispondente ad una delle alternative previste dalla citata convenzione dell’Aja, è conforme all’art. 9
della direttiva 2002/47/CE del 6 giugno 2002 relativa ai contratti di
garanzia finanziaria, il quale dispone che i diritti reali di garanzia costituiti su strumenti finanziari in forma scritturale, ossia la garanzia finanziaria fornita a titolo di garanzia reale, siano sottoposti alla legge dello
Stato in cui è situato il conto di pertinenza, cioè il conto su cui la
garanzia medesima è registrata. 127
Ancora controverso è il diritto applicabile all’attuazione forzata dei
diritti di garanzia: le opzioni al vaglio sono due, l’una favorevole al diritto
dello Stato in cui l’esecuzione ha luogo, l’altra tesa al rinvio alla legge
regolatrice dell’accordo. 128
Infine, il Gruppo deve ancora pronunciarsi in modo definitivo sull’opportunità di escludere che l’apertura di una procedura concorsuale incida
sulla determinazione della legge applicabile ai diritti reali di garanzia. 129
Una decisione in senso favorevole da parte del Working Group avrebbe
l’effetto di avvicinare il contenuto della Legislative Guide a quanto previsto
dall’art. 5 del regolamento (CE) n. 1346/2000 sulle procedure d’insolvenza, alla luce del quale i diritti reali su beni localizzati in Stati membri
diversi da quello di apertura della procedura concorsuale, costituiti a garanzia del pagamento di somme da parte del debitore, devono essere
riconosciuti come validamente costituiti e regolati dalla lex rei sitae. 130 Il
regolamento tutela, in questo modo, le aspettative legittime e la certezza
delle transazioni negli Stati membri e consente al creditore garantito di
126
Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session
cit., par. 91-95.
127
Direttiva n. 2002/47/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 giugno 2002
relativa ai contratti di garanzia finanziaria, in Gazz. Uff. Com. eur., n. L 168 del 27 giugno
2002. Cfr. Bariatti, Le garanzie finanziarie nell’insolvenza transnazionale: l’attuazione della
direttiva 2002/47/CE, in questa Rivista, 2004, p. 841 ss., spec. p. 862 ss.
128
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.24 cit., par. 149; Report of the Working Group VI (Security Interests) on the work of its eighth session cit., par. 106 ss.
129
Recommendations on the draft Legislative Guide on Secured Transactions. Note by the
Secretariat, doc. A/CN.9/WG.VI/WP.21/Add. 3 del 15 giugno 2005.
130
Cfr. Bariatti, Le garanzie finanziarie nell’insolvenza transnazionale cit., p. 857 ss.;
De Cesari, Montella, op. cit., 142 ss.
424
commenti
prevedere gli effetti dell’insolvenza del debitore: 131 la deroga all’applicazione della lex concursus gli attribuisce un’ampia discrezione nella determinazione della legge applicabile ai diritti reali su beni mobili, attraverso la
localizzazione, non fraudolenta, 132 del bene in uno Stato membro diverso
da quello in cui sono situati il centro degli interessi principali o le dipendenze del debitore. 133
131
Si veda il considerando n. 24 del regolamento (CE) n. 1346/2000.
Cfr. il punto n. 105 del Rapporto Virgós-Schmit, in Moss, Fletcher, Isaac, The
EC Regulation on Insolvency Proceedings cit., p. 261 ss. Il rapporto costituisce la relazione
esplicativa alla convenzione sulle procedure d’insolvenza del 1995, mai entrata in vigore, le
cui norme sono state in gran parte riprodotte nel regolamento n. 1346/2000.
133
La deroga all’applicazione della lex concursus, in ogni caso, non è assoluta. Secondo
l’art. 4 par. 2 lett. m del regolamento (CE) n. 1346/2000 il creditore garantito rimane infatti
soggetto alle azioni revocatorie previste dal diritto dello Stato d’apertura della procedura, salvo che provi la sottoposizione dell’atto alla legge di un altro Stato membro, che non ne consente l’impugnazione. Cfr. Bariatti, Le garanzie finanziarie nell’insolvenza transnazionale
cit., p. 859 ss.; De Cesari, Montella, op. cit., p. 142 ss.; Carbone, Cataldo, Azione revocatoria: esercizio della giurisdizione e legge applicabile, in Dir. comm. int., 2004, p. 27 ss.
132
GIURISPRUDENZA ITALIANA
Corte di Cassazione, sentenza 2 febbraio 2005 n. 2093
Presidente, Lo Savio - Consigliere Rel., Magno - P.M., Cafiero (concl. conf.)
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Catanzaro contro M.C.
(avv. Baldini, Calabretta) e M.W.M. (intimata).
Il termine di trenta giorni per decidere sulla restituzione di un minore illecitamente sottratto, il quale decorre dalla data di ricezione della richiesta di rimpatrio del
minore stesso, secondo l’art. 7 della legge 15 gennaio 1994 n. 64, è di carattere
ordinatorio.
Ai sensi degli articoli 3 e 4 della convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sulla
sottrazione internazionale dei minori, deve essere ordinato il rimpatrio del minore
qualora la sottrazione sia stata effettuata in violazione dei diritti di custodia nello
Stato in cui questi aveva la residenza abituale, la cui localizzazione configura una
valutazione di fatto. 1*
Svolgimento del processo. 1. Con istanza proposta tramite la competente
Autorità centrale, la signora M.I.W.M., cittadina polacca, chiese l’immediato rientro nella residenza abituale, sita in Polonia, del figlio O.H.C., nato a Cracovia il 14
luglio 2000 dalla sua unione naturale con M.C., che l’aveva condotto in Italia, a
Celico (CS), presso la propria abitazione, il 1º marzo 2004 e l’aveva quivi trattenuto contro la volontà di essa istante, esercente la potestà genitoriale ed affidataria
del figlio in virtú di provvedimento del Tribunale regionale di Cracovia-Nowa
Huta.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di
Catanzaro, informato del caso tramite l’Autorità centrale italiana – designata con
l. 15 gennaio 1994 n. 64, di autorizzazione alla ratifica (fra l’altro) della convenzione
stipulata a L’Aja il 25 ottobre 1980, sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minorenni (di seguito indicata, per brevità, come convenzione «L’Aja
1980») – propose ricorso, in data 29 marzo 2004, al medesimo Tribunale, ai sensi
dell’art. 7 legge citata, per la decisione sul rimpatrio.
3. Nel giudizio intervenne il padre del minore, che si oppose al chiesto rimpatrio; furono altresı́ ascoltati il console generale di Polonia, signora Anna Bednarek,
ed il Pubblico Ministero, che espresse parere favorevole al rimpatrio immediato. Il
* Tra le sentenze della Cassazione citate in motivazione sono state pubblicate in questa
Rivista: 10 ottobre 2003 n. 15145, ivi, 2004, p. 1023 ss.; 29 novembre 2001 n. 15192, ivi,
2002, p. 188 s. (breve); 19 dicembre 2003 n. 19544, ivi, 2004, p. 1050; 25 febbraio 2002
n. 2748, ivi, 2002, p. 720 ss.; 8 novembre 2001 n. 13823, ivi, 2002, p. 433 ss.; 23 giugno
1998 n. 6235, ivi, 1999, p. 311; 20 marzo 1998 n. 2954, ivi, 1999, p. 74 ss.; 28 marzo
2000 n. 3701, ivi, 2000, p. 1087.
426
giurisprudenza italiana
Tribunale per i minorenni, dopo avere acquisito la documentazione trasmessa dalla
istante ed assunte informazioni sulla situazione del minore tramite la Questura
locale, con decreto depositato il 28 maggio 2004 rigettò l’istanza, avendo ritenuto
che il piccolo O.H. doveva considerarsi abitualmente residente in Italia, non in
Polonia come preteso dalla madre.
4. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Catanzaro, con due motivi, cui
resiste C.M. mediante controricorso.
Motivi della decisione. 5. Col primo motivo di gravame il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Catanzaro censura per
manifesta ed evidente violazione di legge il provvedimento impugnato, perché
pronunziato il 27 maggio 2004, dopo quasi due mesi dalla richiesta, in spregio al
chiaro disposto normativo (art. 7 comma 3 legge n. 64/1994) che fissa in trenta
giorni il termine per provvedere sulla domanda di rimpatrio.
6. Col secondo motivo il ricorrente critica, per manifesta ed evidente violazione
o falsa applicazione di norme, il concetto di «residenza abituale sostanziale» del
minore, accolto dal Tribunale per i minorenni in contrasto con la normativa interna
ed internazionale; concetto giuridicamente erroneo dal quale il giudice a quo
avrebbe ricavato la conclusione di abituale residenza di O. in Italia, in contrasto
anche con le risultanze processuali.
7. Il primo motivo di ricorso è infondato.
7.1. Come già ritenuto da questa Suprema Corte (Cass., n. 3334/2003), con
giurisprudenza condivisa dal Collegio, il termine assegnato al tribunale per decidere
sull’istanza di restituzione del minore illecitamente sottratto (trenta giorni dalla data
di ricezione della richiesta: art. 7 comma 3 legge n. 64/1994, che cosı́ traduce, sul
piano del diritto interno, la clausola contenuta nell’art. 11 L’Aja 1980, dove è
previsto un termine di sei settimane, salvo giustificazione del ritardo) è di carattere
ordinatorio, non essendo normativamente prevista alcuna decadenza né la nullità
della pronuncia emessa oltre detto termine. Pertanto, non è causa di nullità del
decreto impugnato l’essere stato emesso sessanta giorni dopo il deposito in cancelleria, da parte del Pubblico Ministero, della richiesta di esame dell’istanza di rimpatrio.
8. Il secondo motivo di censura è fondato.
8.1. La motivazione del decreto impugnato prende esattamente le mosse da una
duplice precisazione, concernente i due presupposti fondamentali per la pronunzia
dell’ordine di rimpatrio in conformità alla convenzione in parola, la quale esige:
8.1.1. che la sottrazione sia stata attuata «in violazione dei diritti di custodia»
(droit de garde) esercitati in conformità alla legge dello Stato in cui il minore aveva la
residenza abituale immediatamente prima dell’espatrio (art. 3 comma 1 lett. a L’Aja
1980);
8.1.2. che il minore trasferito all’estero avesse la propria residenza abituale in
uno degli Stati contraenti «immediatamente prima» della violazione del diritto di
custodia (art. 4 L’Aja 1980).
8.2. Il Tribunale perviene tuttavia alla conclusione di rigetto dell’istanza di
rimpatrio giudicando:
8.2.1. quanto alla sussistenza del diritto di custodia in capo alla W., che non è
provata la conoscenza da parte di C.M. del provvedimento, pronunziato dal Tri-
giurisprudenza italiana
427
bunale regionale di Cracovia-Nowa Huta, di affidamento del minore O.H. alla
madre.
8.2.2. Quanto al concetto di residenza abituale – asseritamente non definito da
L’Aja 1980 ed estraneo all’ordinamento italiano, ma recepito in giurisprudenza
quale «situazione di mero fatto corrispondente alla presenza protratta sul territorio» valutabile in base a componenti oggettive e soggettive –, che farebbe difetto,
nella specie, l’elemento soggettivo, ossia la volontà del padre, esercente la potestà
genitoriale, di stabilire la residenza del figlio in luogo diverso da quello (Camigliatello Silano) in cui i genitori naturali avevano, in origine, progettato concordemente
di vivere col figlio e nel quale questi si era stabilmente inserito, prima che la donna
decidesse arbitrariamente, nell’estate 2003, di portare con sé il figlio in Polonia; di
talché il C., riportando il figlio in Italia, avrebbe legittimamente esercitato una
facoltà riconosciutagli dalla legge e non avrebbe violato le clausole convenzionali.
9. Il concetto di residenza abituale del minore accolto dal Tribunale per i
minorenni di Catanzaro, criticato dal Procuratore della Repubblica ricorrente,
non è condivisibile, alla luce delle clausole convenzionali, della normativa e della
giurisprudenza formatasi in materia.
10. Si premette che L’Aja 1980 fa riferimento alla residenza abituale del minore
ad un duplice scopo:
10.1. stabilire il luogo da cui il minorenne non deve essere arbitrariamente
distolto ed in cui, se allontanato, deve essere immediatamente riaccompagnato
(preambolo e art. 4);
10.2. individuare il titolare del diritto di custodia, legittimato ad agire per il
rimpatrio, riconoscendolo nella persona o nell’ente che esercita tale diritto in conformità all’ordinamento dello Stato in cui il minore aveva la residenza abituale
immediatamente prima (Cass., n. 15145/2003, n. 15192/2001, n. 9501/1998) del
trasferimento o del non ritorno illecito (art. 3).
11. Tanto premesso, si osserva, d’accordo con la prevalente dottrina, anche
internazionale, e con la giurisprudenza in argomento (Cass., n. 19544/2003, n.
15145/2003), che «residenza abituale del minore», secondo L’Aja 1980, è il luogo
in cui egli – essendovi stato mantenuto o condotto per qualsiasi motivo – trova e
riconosce (normalmente, ma non necessariamente, grazie ad una stabile permanenza) il centro dei suoi legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi
della sua quotidiana vita di relazione. Il giudizio relativo alla localizzazione concreta
della residenza abituale del minore configura dunque una valutazione di fatto,
insuscettibile di riesame in sede di legittimità se esente da vizi logici e giuridici
(Cass., n. 19544/2003).
12. Il provvedimento impugnato è chiaramente affetto da tali vizi, parzialmente
rilevati dal Pubblico Ministero presso il giudice a quo col secondo motivo di
censura ora in esame (par. 9) e corrispondenti ai seguenti rilievi.
12.1. In ordine alla titolarità del diritto di custodia (par. 8.1.1, 8.2.1, 10.2), va
rilevato che il Tribunale regionale di Cracovia-Nowa Huta aveva disposto l’affidamento del minore alla madre per tutta la durata del procedimento ivi instaurato;
sicché non c’è dubbio che ella fosse titolare di un diritto di custodia, ai limitati fini
dell’applicazione di L’Aja 1980, essendo il bambino residente in Polonia «immediatamente prima» della sottrazione operata dal padre. D’altra parte, nella procedura di rimpatrio disciplinata da L’Aja 1980 nessuna rilevanza è ascrivibile al fatto
che il provvedimento di attribuzione del droit de garde, pronunziato dal giudice
428
giurisprudenza italiana
straniero, non sia stato riconosciuto o non sia riconoscibile nell’altro Stato o non sia
stato portato a conoscenza dell’altro genitore, residente in uno Stato diverso: tale
provvedimento (od anche una disposizione normativa avente contenuto e finalità
analoghi: attribution de plein droit) è infatti preso in considerazione all’unico scopo
di stabilire se il «rapimento» (legal kidnapping) sia avvenuto in danno di persona o
ente avente titolo alla custodia del minore (Cass., n. 19544/2003) e quindi legittimato ad azionare gli strumenti convenzionali per chiedere l’immediato ritorno.
In ogni caso, l’allegazione dell’ignoranza o di una pretesa non riconoscibilità in
Italia (per violazione dei diritti di difesa) del provvedimento straniero; il fatto che la
sottrazione sia stata operata dal genitore avente la potestà ai sensi della legge italiana;
o che l’altro genitore aveva a sua volta operato una sottrazione illecita (Cass., n.
15145/2003), non rendono legittimo il comportamento della persona che, agendo
di sua iniziativa, senza il rispetto della procedura convenzionale, realizza comunque il
presupposto materiale per l’applicazione di L’Aja 1980, consistente nella sottrazione
del fanciullo al titolare del diritto di custodia e nel successivo allontanamento dal
luogo di abituale residenza, con trasferimento in altra nazione.
12.2. In ordine all’esatta interpretazione del concetto di residenza abituale del
minore, nella procedura applicativa di L’Aja 1980, si osserva che questa, diversamente da quanto ritiene il giudice a quo, non si compendia in un «elemento
obiettivo costituito dalla presenza protratta del minore sul territorio» ed in un
elemento «soggettivo», costituito dal potere del genitore di stabilire la residenza
del figlio dove ritenga piú opportuno: il luogo di residenza, verso il quale deve
essere disposto «il ritorno immediato del minore» è quello che risulta da un’indagine di puro fatto (par. 11), la quale prescinde dalla considerazione dell’eventuale
diritto soggettivo del genitore di pretendere – anche ragionevolmente, ma in un
distinto procedimento – una diversa collocazione del figlio.
12.3. Nel presente contesto processuale, centrato sull’interesse del minore a
non essere allontanato arbitrariamente o ad essere immediatamente ricondotto nel
luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana, presso la persona che ne abbia
la legittima custodia ai sensi della legge locale, non rileva peraltro l’allegazione di
una condotta pregressa della madre, che avrebbe a sua volta, nell’estate dell’anno
precedente, sottratto il bambino al padre. Simile condotta sarebbe stata valutabile
nell’analoga procedura eventualmente introdotta dal padre all’epoca del preteso
«rapimento» o potrà essere considerata in altro giudizio, finalizzato alla pronunzia
di provvedimenti concernenti, nel merito, l’affidamento del figlio.
12.4. Parimenti irrilevante, al fine della pronunzia di rientro immediato, è l’affermazione tendente a negare l’abitualità della residenza in Polonia, sul presupposto di
un precedente progetto comune di vita e di abitazione dei genitori, mettendo altresı́ a
confronto la durata («elemento temporale») del periodo trascorso dal minore in
Calabria con quella del soggiorno in Polonia. L’individuazione della residenza abituale del minore, in conformità a L’Aja 1980, non dipende infatti dai progetti di vita,
eventualmente concordi, degli adulti, ma dal mero fatto della presenza del minore in
un determinato luogo, col concorso delle circostanze sopra indicate (par. 11).
12.5. L’azione di C.M. neppure è giustificabile sotto il profilo di un preteso
legittimo esercizio della facoltà, insita nel quadro della potestà genitoriale, di scegliere il luogo di residenza del figlio e, pertanto, di condurvelo: non tanto perché,
secondo il diritto interno (art. 317-bis cod. civ.), l’esercizio della potestà, in caso di
genitori naturali non conviventi, spetta in esclusiva al genitore col quale il figlio
giurisprudenza italiana
429
convive, residuando all’altro solo il potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione
e sulle condizioni di vita del figlio; quanto perché, nel giudicare sulla richiesta
d’immediato rimpatrio del minore in applicazione di L’Aja 1980, non si ha riguardo
agli elementi indicanti il diritto degli adulti di stabilire opportunamente la residenza
del figlio minorenne, bensı́ unicamente al suo interesse di fare immediato rientro
nello Stato e presso la persona a cui fu sottratto (Cass., n. 2748/2002, n. 13823/
2001, n. 6235/1998, n. 2954/1998); a prescindere dall’esistenza di altro ed eventualmente discordante titolo giuridico di affidamento, derivante dalla legge o da
provvedimento valido in uno Stato diverso o sul piano internazionale (Cass., n.
15192/2001, n. 3701/2000, n. 9501/1998).
Anzi, a tal proposito, l’art. 16 di L’Aja 1980 precisa che, una volta informate del
trasferimento illecito del minore, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato
in cui egli fu condotto debbono soprassedere dal prendere qualunque decisione sul
merito dell’affidamento, salvo che nessuna domanda di rimpatrio pervenga in
tempo ragionevole. D’altra parte, e naturalmente, l’ordine di rientro del minore,
emesso in ossequio a questa convenzione, non inficia nel merito il giudizio sull’affidamento (art. 19).
13. Per tutte le ragioni esposte, in accoglimento del ricorso per quanto di
ragione, devesi cassare il decreto impugnato, emesso dal Tribunale per i minorenni
di Catanzaro; non essendo peraltro necessari ulteriori accertamenti di fatto, devesi
decidere la causa nel merito, ordinando l’immediato rientro del minore nella sua
residenza abituale in Polonia, presso la madre, titolare del diritto di custodia secondo l’ordinamento polacco.
Nulla per le spese, essendo proposto il ricorso dal Pubblico Ministero.
P.Q.M., la Corte di Cassazione accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa
il decreto impugnato e, giudicando nel merito, ordina l’immediato rientro del
minore O.H.C. nella sua residenza abituale in Polonia, presso la madre M.M.W.
Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 3 maggio 2005 n. 9106
Primo Presidente agg., Carbone - Consigliere Rel., Lo Piano - P.M., Uccella (concl. conf.)
LKW Walter Internationale Transportorganisation AG (avv. Forti, Lorizio, Torre) contro
Trans Italia s.r.l. (intimata).
Ad una controversia originata da un contratto di trasporto su strada consensualmente risolto dalle parti ed avente ad oggetto l’ammontare dell’importo che una di
esse deve all’altra per compensarla delle spese sostenute è applicabile il regolamento
(CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Bruxelles I) e non la convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956 sul contratto di trasporto
internazionale di merci su strada (CMR).
Per il combinato disposto dell’art. 5 n. 1 del regolamento (CE) n. 44/2001,
430
giurisprudenza italiana
dell’art. 57 della legge 31 maggio 1995 n. 218 e dell’art. 4 della convenzione di Roma
del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, il giudice
italiano è competente a conoscere di una controversia in cui si deduca il pagamento di
una somma di denaro dovuta in forza di un contratto di trasporto consensualmente
risolto perché, in base alla legge italiana applicabile alla fattispecie in quanto legge di
residenza del prestatore caratteristico, una somma di denaro deve essere pagata al
domicilio del creditore al tempo della scadenza.
(La Corte) Osserva. 1. La Trans Italia s.r.l., con sede in Italia, convenne in
giudizio, davanti al giudice di pace di Mercato San Severino, la LKW Walter
International Transportorganisation AG, con sede in Austria, e ne chiese la condanna al pagamento di euro 2.324,06.
Espose:
che, nel novembre 2001, aveva concluso con la convenuta tre contratti di
trasporto;
che la merce da trasportare sarebbe dovuta essere caricata a Gijon (Spagna) e
scaricata a Florina (Grecia);
che la convenuta le aveva indicato il 6 novembre 2001 come giorno destinato al
caricamento della merce;
che, in quella data aveva inviato tre camion, ma la merce da trasportare non era
stata caricata perché non ancora pronta;
che il 7 novembre 2001 la LKW le aveva comunicato di far tornare indietro i
camion;
che la comunicazione era stata confermata il giorno successivo;
che, con le suddette comunicazioni, la LKW l’aveva autorizzata ad addebitarle
la somma di lire 5.000.000 per il viaggio dei tre camion;
che la LKW aveva, successivamente, rifiutato di adempiere l’obbligo assunto.
2. La LKW Walter International Transportorganisation AG si costituı́ in giudizio e, in via pregiudiziale, chiese che fosse dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice italiano, essendo applicabile al rapporto la convenzione di Ginevra del 19
maggio 1956, cosicché, in base all’art. 31 di detta convenzione, la giurisdizione
sarebbe appartenuta ai giudici austriaci o spagnoli o greci, in base, rispettivamente
al luogo di domicilio del convenuto, al luogo di caricamento della merce ed al luogo
di consegna della stessa. In via subordinata, chiese il rigetto della domanda, assumendo di essersi impegnata a corrispondere soltanto l’importo di lire 500.000 e non
quello di lire 5.000.000 indicato dall’attrice.
3. La LKW Walter International Transportorganisation AG ha poi proposto
ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, con il quale chiede che sia
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
4. La Trans Italia s.r.l. non ha svolto attività difensiva.
5. Il Procuratore generale ha chiesto che sia dichiarata la giurisdizione del
giudice italiano.
6. La LKW Walter International Transportorganisation AG ha depositato
memoria ai sensi degli artt. 375 e 378 cod. proc. civ.
7. La ricorrente deduce:
la domanda della Trans Italia ha ad oggetto il rimborso di costi connessi
all’invio di camion presso il luogo di caricamento della merce ed al fatto che gli
stessi avevano dovuto stazionare sul posto, fino a quando i trasporti non erano stati
giurisprudenza italiana
431
annullati, a causa della mancata messa a disposizione della merce da parte del
mittente spagnolo;
il fondamento di tale domanda è, quindi, riconducibile al principio – di cui è
espressione, nell’ordinamento italiano, l’art. 1686 cod. civ. – secondo cui il vettore,
che non abbia potuto iniziare il trasporto per causa a lui non imputabile, ha diritto
al rimborso delle spese;
tra le parti è stato concluso un contratto di trasporto al quale è applicabile la
convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956, espressamente richiamata per iscritto;
in base all’art. 31 di detta convenzione la giurisdizione appartiene al giudice
austriaco o spagnolo o greco;
in via subordinata, la giurisdizione del giudice italiano è esclusa in applicazione
del regolamento (CE) n. 44 del 2001.
8. Il ricorso è infondato.
8.1. L’attrice ha fatto valere in giudizio il suo diritto ad ottenere dalla società
convenuta il pagamento della somma di lire 5.000.000. Tale diritto fa derivare non
dal contratto di trasporto stipulato con la convenuta, ma dall’obbligo da questa
assunto di rimborsarle le spese relative all’invio di tre camion sul luogo di caricamento della merce, atteso che, in conseguenza del fatto che la merce da trasportare
non era pronta (e non lo sarebbe stata in tempi brevi), la merce non aveva potuto
essere caricata ed il trasporto non aveva potuto essere eseguito.
La convenuta non contesta di avere assunto l’impegno di rimborsare l’attrice,
ma deduce soltanto che la cifra da costei indicata non corrisponde a quella che essa
si era obbligata a corrispondere.
8.2. La tesi della società attrice è, quindi, che il contratto di trasporto è stato
risolto consensualmente e che tra le parti è intervenuto un accordo in ordine al
rimborso delle spese sostenute dal trasportatore per dare inizio alla esecuzione del
contratto. In una simile fattispecie, non può essere ritenuto che l’obbligazione
dedotta in giudizio trovi la sua causa nel contratto di trasporto; essa invece nasce
dall’impegno assunto dalla società convenuta, proprio a seguito della volontaria e
concorde risoluzione del contratto di trasporto, di rimborsare alla società italiana
una determinata somma (sul cui ammontare è nata la controversia) per compensarla
delle spese sostenute per l’invio dei tre camion in Spagna, luogo nel quale avrebbe
dovuto essere effettuato il carico e quindi essere eseguito il contratto di trasporto.
Non pertinente appare pertanto il richiamo del ricorrente agli artt. 1685 e 1686
cod. civ. ed all’art. 12 della convenzione di Ginevra.
8.3. Una volta esclusa l’applicabilità della convenzione di Ginevra, l’individuazione del giudice competente a decidere della controversia deve essere effettuato in
base al regolamento (CE) n. 44 del 2001, applicabile nella specie, poiché l’azione è
stata proposta posteriormente alla sua entrata in vigore.
8.4. La regola generale, dettata dall’art. 2 del regolamento, è che le persone
domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro.
Tuttavia, ai sensi del successivo art. 5, è consentito all’attore di citare la persona, domiciliata nel territorio di uno Stato membro, in un altro Stato membro; in
particolare, in materia contrattuale, qual è quella ricorrente nella fattispecie, il
convenuto può essere citato davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione
dedotta in giudizio deve essere eseguita.
432
giurisprudenza italiana
Tale luogo deve essere indivuato in base al diritto internazionale privato dello
Stato del giudice avanti al quale il convenuto è stato chiamato in giudizio.
Ai sensi dell’art. 57 della l. 31 maggio 1995 n. 218 (Riforma del sistema italiano
di diritto internazionale privato) le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso
regolate dalla convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la l. 18 dicembre 1984 n. 975. L’art. 4,
primo comma di detta convenzione dispone che, nel caso in cui le parti non
abbiano scelto la legge che regola il contratto, questo è regolato dalla legge del
paese col quale presenta il collegamento piú stretto.
Ai sensi del secondo comma del citato art. 4 della convenzione si presume che il
contratto presenti il collegamento piú stretto con il paese in cui la parte che deve
fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto,
la propria residenza abituale o, se si tratta di una società, associazione o persona
giuridica, la propria amministrazione centrale.
Nella specie la prestazione caratteristica è quella che faceva capo alla Trans
Italia, poiché alla base dell’accordo raggiunto dalle parti, in ordine al compenso per
le spese sostenute, stava appunto la risoluzione consensuale del contratto di trasporto, che doveva essere eseguito dalla Trans Italia.
Il rapporto ha quindi il collegamento piú stretto con l’Italia, alla cui legge deve
essere fatto riferimento per stabilire quale è il luogo in cui l’obbligazione dedotta in
giudizio (nella specie pagamento di una somma determinata di denaro) deve essere
eseguita. Ai sensi del terzo comma dell’art. 1182 cod. civ. l’obbligazione avente per
oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha
al tempo della scadenza (che peraltro coincide con quello che il creditore aveva nel
momento in cui era sorta l’obbligazione).
Ne consegue che la Trans Italia, avente sede in Italia, bene poteva citare in
giudizio davanti al giudice italiano, ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 44
del 2001, la società LKW, avente sede in Austria.
9. È dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.
10. Non deve provvedersi sulle spese poiché la parte intimata non ha svolto
attività difensiva in questa sede.
P.Q.M., la Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del
giudice italiano.
Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 20 maggio 2005 n. 10606
Primo Presidente agg., Carbone - Consigliere Rel., Proto - P.M., Uccella (concl. conf.)
Interedil s.r.l. in liquidazione (avv. Limentani, Savito, Vassalle) contro Intesa Gestione Crediti s.p.a. (avv. Costantino).
Ai sensi dell’art. 3 par. 1 del regolamento (CE) n. 1346/2000, sussiste la giurisdizione italiana ad aprire una procedura principale d’insolvenza nei confronti di una
giurisprudenza italiana
433
società che, pur avendo trasferito la sede statutaria in un altro Stato membro, abbia in
Italia il centro degli interessi principali, giacché al trasferimento della sede statutaria
non sono conseguiti né un’effettiva attività imprenditoriale nella nuova sede, né il
trasferimento del centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa della
società.
Considerato in fatto. 1. Nelle more del procedimento promosso, con
istanza depositata il 28 ottobre 2003 presso il Tribunale di Bari, dalla Intesa Gestione Crediti s.p.a. per la dichiarazione di fallimento della Interedil in liquidazione
s.r.l., quest’ultima, con atto notificato il 13 dicembre 2003, ha proposto ricorso per
regolamento preventivo di giurisdizione, chiedendo che sia dichiarato il difetto di
giurisdizione del giudice italiano.
Premesso che la società ha avuto sede legale a Monopoli (Bari) sino al 18 luglio
2001, data del suo trasferimento a Londra (prima presso gli uffici della società
proprietaria ATP Konney Lt, e, dal successivo 27 novembre, con uffici propri), e
che, attualmente, essa in Italia dispone soltanto di beni immobili, sottoposti peraltro a procedura esecutiva ad istanza della stessa Intesa Gestione Crediti, la ricorrente – pur non contestando la propria nazionalità italiana e, conseguentemente, la
sottoposizione della società alla disciplina positiva nazionale ai sensi dell’art. 25
della legge n. 218 del 1995 – sostiene il difetto di giurisdizione del giudice italiano
a norma dell’art. 9 l. fall. Ha resistito con controricorso la Intesa Gestione Crediti
s.p.a., che ha chiesto la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 96 cod. proc.
civ., per lite temeraria.
2. Il Procuratore generale, al quale gli atti sono stati trasmessi a norma dell’art.
375 cod. proc. civ., ha concluso la propria requisitoria, chiedendo che sia dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.
La Interedil ha depositato memorie.
Considerato in diritto. 1. La società Interedil in liquidazione, a sostegno
dell’istanza di regolamento di giurisdizione con la quale chiede che sia dichiarato il
difetto di giurisdizione del giudice italiano, deduce che, ai fini della dichiarazione di
fallimento (anche) nello Stato italiano dell’imprenditore che abbia sede all’estero,
l’art. 9, comma secondo l. fall. esige che in Italia esista (quantomeno) una succursale
o una sede secondaria dell’impresa. La giurisdizione del giudice italiano sarebbe
conseguentemente esclusa allorché l’imprenditore (come nella fattispecie) abbia in
Italia soltanto beni o interessi, dovendosi in tal caso adire il giudice straniero; salva
la delibazione della sentenza definitiva per agire sui beni della società esistenti in
Italia.
2. La resistente replica, osservando, in particolare, che, a norma del regolamento (CE) n. 1346 del 2000, la competenza giurisdizionale sarebbe del giudice
italiano, in quanto, nonostante il trasferimento nominale della società a Londra, il
centro degli interessi principali della Interedil è rimasto in Italia. Aggiunge che,
comunque (in mancanza dell’apertura della procedura principale nel Regno Unito),
in Italia sussisterebbero, secondo lo stesso regolamento, le condizioni per l’apertura
di una procedura territoriale, essendo questa correlata all’esistenza nel nostro paese
di una dipendenza dell’impresa, e alla richiesta di un creditore con sede in Italia.
3.1. La questione che il motivo propone ricade nell’ambito di applicazione della
l. 31 maggio 1995 n. 218 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale
privato): dell’art. 3 comma 2, nella parte in cui (tendendo a far coincidere la
434
giurisprudenza italiana
competenza giurisdizionale con quella per territorio) esso rinvia, per stabilire l’ambito della giurisdizione italiana in materia fallimentare, all’art. 9 del r.d. 16 marzo
1942 n. 267; nonché dell’art. 25, che individua (comma 1) il criterio di collegamento nella legge del luogo in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione
delle società (richiamato al comma 2 anche per le successive vicende societarie), e,
al comma 3, regola gli effetti del trasferimento della sede statutaria.
3.2. Essendo entrato in vigore il 31 maggio 2002 il regolamento (CE) n. 1346/
2000, relativo alle procedure di insolvenza (obbligatorio, a norma dell’art. 47, in
tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri), è,
tuttavia, alla disciplina comunitaria che, per individuare il giudice investito nella
fattispecie di potere giurisdizionale all’interno della Unione europea, occorre fare
riferimento. Infatti, da un lato, anche alla stregua dell’oggetto della domanda (art.
386 cod. proc. civ.) proposta dalla Intesa Gestione Crediti davanti al tribunale
fallimentare, è indubbia la natura transfrontaliera della procedura concorsuale di
cui è stata invocata l’apertura (presentando questa elementi di estraneità rispetto al
territorio dello Stato e, correlativamente, momenti di collegamento con il Regno
Unito); dall’altro, il trasferimento della sede statutaria della società non ha, pacificamente, inciso sulla soggettività dell’ente.
3.3. Secondo l’art. 3 del regolamento, il potere di dichiarare aperta una procedura concorsuale di carattere transfrontaliero spetta (par. 1) ai giudici dello Stato
nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore; che, per le
società e le persone giuridiche, si presume, salvo prova contraria, coincida con il
luogo in cui si trova la sede statutaria.
Non contenendo il regolamento la definizione di centro degli interessi principali, è, poi, compito del giudice nazionale stabilire – tenendo conto delle indicazioni
contenute nel considerando 12 (tale si dovrebbe intendere il luogo in cui il debitore
esercita in modo abituale e pertanto riconoscibile dai terzi la gestione dei suoi
interessi) – quale sia in concreto, alla stregua del proprio ordinamento (ma salvaguardando l’esigenza di un’applicazione uniforme, in linea con il carattere sopranazionale del regolamento), la sede effettiva della società, e se il centro dei suoi
interessi principali coincida effettivamente con la sede statutaria.
3.4. In mancanza di una disciplina comunitaria sul trasferimento della sede
sociale in altro Stato membro della CE, spetta, egualmente, al giudice nazionale
accertare, secondo la legge del luogo di costituzione della società (ai sensi dell’art.
25 legge n. 218 del 1995, già richiamata sub 3.1.), gli effetti del trasferimento
all’estero della sede statutaria.
4. Nella fattispecie, anche se, a seguito della delibera in data 18 luglio 2001 con
la quale la società ha deciso di trasferire la propria sede legale da Monopoli a
Londra, la Interedil risulta, sul piano formale, priva di una propria sede in Italia,
sulla base dell’esame degli atti processuali, deve ritenersi vinta la presunzione che il
centro degli interessi principali dell’impresa coincida con il luogo in cui è stata
formalmente fissata la nuova sede statutaria.
Infatti, come ha rilevato nella sua requisitoria il P.G., in Italia la Interedil
continua a possedere immobili di rilevante valore; ha contratto obbligazioni nei
confronti del dante causa della odierna resistente; continua ad avere esecuzione il
contratto di affitto con il quale è stato concesso alla società Puglia Alberghiera il
godimento di due complessi alberghieri. Mentre la notifica del provvedimento di
comparizione delle parti in relazione all’istanza di sostituzione del custode nella
giurisprudenza italiana
435
procedura esecutiva immobiliare presso la sede londinese ha avuto esito negativo
(essendo la società risultata sconosciuta a quell’indirizzo), e l’ultimo liquidatore
della Interedil, all’udienza del 5 giugno 2003 davanti al Tribunale di Bari, ha
dichiarato di avere rassegnato le proprie dimissioni e di non conoscere il nuovo
liquidatore; né il trasferimento all’estero risulta comunicato al registro delle imprese
di Bari.
In questo contesto, alla stregua dei criteri già richiamati (sub 3.3. e 3.4.), si deve
concludere che al trasferimento della sede legale della società a Londra non è
seguita un’effettiva attività imprenditoriale (pur nei limiti di un’impresa in liquidazione) nella nuova sede, e che, tanto meno, ne è conseguito il trasferimento del
centro dell’attività direttiva, amministrativa e organizzativa della società; sicché la
presunzione in ordine alla coincidenza della sede effettiva con la sede legale non
può non operare che con riferimento alla sede anteriore.
5. In definitiva, correttamente davanti al giudice italiano è stato, pertanto,
depositato ricorso per l’apertura della procedura concorsuale nei confronti della
Interedil s.r.l.
6. Non sussistono le condizioni per la condanna della ricorrente ai sensi dell’art.
96 cod. proc. civ.
Resta assorbito l’esame di ogni ulteriore questione.
7. Va, dunque, dichiarata la giurisdizione del giudice italiano. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M., la Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice italiano.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
Corte di Cassazione, ordinanza 26 maggio 2005 n. 11183
Presidente, Giuliano - Consigliere Rel., Segreto - P.M., Uccella (concl. conf.)
Swissair S.A. (avv. Arnaboldi) contro Mehlman Corona (avv. Bignami, Carrozzo) e Aeroporti
Roma Handling s.p.a. (intimato).
L’art. 28 della convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 sul trasporto aereo
internazionale, il quale prevede che l’azione di responsabilità deve essere radicata, a
scelta dell’attore, davanti al tribunale del domicilio del vettore, o della sede principale
della sua attività o del luogo ove questi possiede uno stabilimento per mezzo del quale
il contratto è stato concluso, o ancora del luogo di destinazione, pone una norma di
competenza giurisdizionale e non di competenza interna che resta assoggettata al
regime dell’ordinamento giuridico in cui l’attore decide di iniziare il giudizio. 1*
* Tra le sentenze della Corte di Cassazione citate in motivazione può leggersi in questa
Rivista: s.u., 15 giugno 1993 n. 6630, ivi, 1995, p. 121 ss.
436
giurisprudenza italiana
1. La Swissair, con sede in Kloten (Zurigo) ha proposto regolamento di competenza avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma depositata il 28 aprile 2003, con
la quale veniva dichiarata la giurisdizione e la competenza di quel Tribunale a
conoscere della controversia instaurata da Mehlman Corona Maria Pia nei suoi
confronti e nei confronti della s.p.a. Aeroporti di Roma Handling, per il risarcimento dei danni subiti a seguito di parziale furto di cose mobili da uno dei bagagli
di sua pertinenza, consegnatole in Roma, a seguito di viaggio aereo internazionale
da Ginevra a Fiumicino. Riteneva il giudice di merito che non era stata sollevata
l’eccezione dell’incompetenza territoriale con riferimento ai fori facoltativi di cui
all’art. 20 cod. proc. civ., per cui doveva ritenersi radicata la competenza del
Tribunale di Roma.
Avverso questa decisione la convenuta Swissair ha proposto regolamento di
competenza, assumendo l’incompetenza del Tribunale di Roma, poiché trattandosi di trasporto internazionale aereo si sarebbe dovuto applicare l’art. 28 della
convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, ratificata con l. 19 maggio 1932 n.
841, e successive modifiche, con la conseguenza che, essendo inapplicabili i fori
del domicilio del vettore o della sede principale dell’impresa o quello della conclusione del contratto (tutti in Svizzera), competente era il Tribunale di Civitavecchia, poiché in quel circondario trovavasi l’aeroporto di Fiumicino, luogo di
destinazione e sede della società Aeroporti di Roma. Entrambe le parti hanno
presentato memorie.
2. Ritiene questa Corte che vada affermata la competenza per territorio del
Tribunale di Roma.
Secondo l’art. 28 della convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 (come
integrata dal protocollo dell’Aja del 28 settembre 1955) «1. l’azione di responsabilità dovrà essere portata, a scelta dell’attore, nel territorio di una delle Alte Parti
contraenti sia davanti al tribunale del domicilio del vettore, della sede principale
della sua attività o del luogo ove questi possiede uno stabilimento per mezzo del
quale il contratto è stato concluso, sia davanti al tribunale del luogo di destinazione.
2. Le regole di procedura saranno quelle del tribunale adito».
Preliminarmente va osservato che le S.U. di questa Corte, decidendo in sede di
regolamento preventivo di giurisdizione, hanno ritenuto che, anche se il riferimento
al tribunale del luogo di destinazione, contenuto nel citato art. 28 della convenzione, dovesse essere inteso non soltanto come criterio di collegamento ai fini della
determinazione dello Stato cui va attribuita la competenza internazionale, ma contemporaneamente come attributivo di competenza interna, ai fini della questione di
giurisdizione è sufficiente accertare che l’azione è stata proposta nello Stato in cui si
trova il luogo di destinazione, a nulla rilevando che il giudice investito sia, o non sia,
munito di competenza interna (S.U., 15 giugno 1993 n. 6630).
3. La dottrina ha criticato l’eventualità prospettata, sia pure in termini di
incertezza ermeneutica, nel contesto della motivazione, circa la valutazione del
riferimento al tribunale del luogo di destinazione, contenuto nel citato articolo,
come attributivo anche di competenza interna. Ritiene questa Corte che la norma
in questione attenga esclusivamente alla giurisdizione e non anche alla competenza
interna.
Infatti rispecchia la logica ispiratrice della predisposizione di un testo uniforme
corredare la disciplina ivi recepita con la previsione di specifiche disposizioni sulla
competenza giurisdizionale degli Stati contraenti, mirante a garantire che anche in
giurisprudenza italiana
437
sede di applicazione del regime convenzionale non venga pregiudicato il disegno
unitario, che caratterizza appunto siffatto regime, impedendo il caso di conflitti tra
giudicati diversi.
Si inquadra in tale contesto anche la norma dell’art. 28 della convenzione di
Varsavia, con la quale il legislatore uniforme ha predisposto un meccanismo operativo, atto a consentire l’individuazione dello Stato aderente, ove è giustificato
radicare la giurisdizione delle controversie relative al trasporto aereo internazionale.
La norma in questione, individua, quindi, la cosiddetta «competenza giurisdizionale» tra vari fori alternativi.
La specificazione dei richiamati fori alternativi, contemplati dall’art. 28 cit., integra
appunto solo criteri di collegamento giurisdizionale, e non già meri criteri di competenza, che rimane soggetta al regime interno dell’ordinamento giuridico, in cui l’attore
decide di iniziare il giudizio, in conformità del suddetto dettato della norma.
4. Infatti, il comma 2 del citato articolo 28 statuisce, in conformità con la linea di
politica legislativa che caratterizza la normativa di diritto uniforme concernente la
materia della navigazione, che, individuata la giurisdizione, secondo i principi di cui al
comma primo, «le regole di procedura saranno quelle del tribunale adito» e, tra le
regole di procedura, vi sono anche quelle determinanti la competenza territoriale.
Ove, si dovesse ritenere, come sostiene la ricorrente, che la norma in questione
avesse voluto anche regolare la competenza interna, oltre che la giurisdizione,
dovrebbe necessariamente ritenersi che essa avrebbe determinato non solo la competenza per territorio, ma anche una competenza per materia in favore del tribunale: e ciò non è sostenuto da alcuno.
Escluso che l’art. 28 della convenzione di Varsavia fissi, oltre che dei principi
in tema di giurisdizione, anche criteri di competenza territoriale, ne consegue che,
ove la giurisdizione si appartenga ai giudici italiani, il riparto della competenza
(sia per territorio che per valore) è regolato dalle norme del nostro ordinamento.
5. In tema di eccezione di incompetenza il convenuto, che nelle cause relative a
diritti di obbligazione, eccepisce l’incompetenza per territorio ha l’onere di contestare tempestivamente, con il primo atto difensivo la competenza del giudice adito
con riferimento a ciascuno dei diversi criteri concorrenti, di cui agli artt. 18, 19 e 20,
con la conseguenza che, in difetto di tale specifica e tempestiva contestazione, la
competenza resta radicata presso il giudice adito, in forza del criterio di competenza
non contestato, senza che possa assumere rilievo la successiva indicazione di nuove
ragioni di incompetenza (Cass. s.u., 23 aprile 1999 n. 248). Nella specie la contestazione della competenza effettuata dall’istante Swissair è fondata esclusivamente
sugli assunti criteri di competenza di cui all’art. 28 della convenzione di Varsavia, e
segnatamente sul rilievo che la competenza andava individuata con riferimento al
luogo di destinazione del viaggio aereo, cioè Fiumicino, mentre non risulta contestata la competenza territoriale dell’adito Tribunale di Roma, in relazione ai profili
di competenza di cui all’art. 20 cod. proc. civ., e segnatamente ai profili del forum
delicti e del forum destinatae solutionis.
La ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute
dalla Corona Maria Pia.
P.Q.M., (la Corte), dichiara la competenza del Tribunale di Roma. Condanna
la ricorrente al pagamento delle spese di questo regolamento sostenute da Corona
Mehlman Maria Pia...
438
giurisprudenza italiana
Corte di Cassazione, sentenza 9 giugno 2005 n. 12169
Presidente, Losavio - Consigliere Rel., Forte - P.M., Apice (concl. conf.)
Ministero dell’interno e Ministero degli affari esteri (avv. dello Stato) contro M. (avv. Casoli).
Nel disporre che il cittadino extracomunitario possa chiedere il ricongiungimento
familiare per i figli minori «a carico», l’art. 29 comma 1 lett. b del d.lgs. 25 luglio
1998 n. 286 prevede che il soggetto richiedente il ricongiungimento sia quello che
provvede e dovrà provvedere al sostentamento del figlio al quale chiede di riunirsi,
tanto che, a norma dell’art. 29 comma 3 lettere a e b deve dimostrare l’esistenza di un
alloggio idoneo e di redditi sufficienti; né il fatto che la potestà sul figlio spetti all’altro
genitore può avere rilievo per negare il diritto del cittadino extracomunitario a riunirsi
ai figli minori, quando al loro sostentamento egli provveda in via esclusiva, non
contribuendovi l’altro genitore, il cui assenso è necessario, in base allo stesso art.
29 comma 1 lett. b proprio per assicurare comunque l’esercizio della potestà genitoriale in Italia al soggetto che richiede il ricongiungimento; tale previsione risulta in
linea con l’art. 18 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20
novembre 1989, secondo cui gli Stati parte si impegnano a riconoscere il principio per
cui entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento e allo
sviluppo del bambino, cui è del resto conforme l’art. 30 della Costituzione.
Nel sistema della legge nazionale del minore, applicabile ai sensi dell’art. 36 della
legge 31 maggio 1995 n. 218, la titolarità esclusiva della potestà genitoriale in capo al
padre non appare ostativa al fatto che lo stesso consenta alla convivenza dei suoi figli
con la madre, alla quale in tal caso è delegato l’esercizio concreto della potestà.
Svolgimento del processo. M.J., cittadina del Marocco dotata di permesso
di soggiorno, ottenuto il nulla osta della Questura di Perugia al ricongiungimento al
suo secondo marito e ai figli minori C.M. e C.Mo. nati dal suo primo matrimonio
rispettivamente nel 1986 e nel 1988, ricorreva al Tribunale di Perugia ex art. 30
comma 6 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (T.U. sull’immigrazione, da ora T.U.,
n.d.e.), contro il diniego del visto di ingresso in Italia ai figli da parte dell’Ambasciata italiana a Rabat.
Secondo il Consolato generale in Rabat competente al rilascio del visto, in base
alla documentazione esibita dall’istante ai sensi dell’art. 29 comma 1 lett. a e b del
T.U. e dell’art. 6 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 (regolamento di attuazione del
T.U.), con l’atto di ripudio del 25 settembre 1992, il primo marito dell’istante,
aveva escluso la M. dalla tutela dei minori, riservandola a se stesso, come consentito
dalla normativa interna, senza fare alcun cenno alla minore M., nata durante il
matrimonio, essendo la esclusione della tutela limitata al solo Mo.
Ad avviso dell’autorità consolare, pur essendo agli atti una dichiarazione di una
sorella della istante che dichiarava che i figli erano mantenuti dalla madre, il visto
non poteva rilasciarsi, perché solo al padre spettava l’esercizio della potestà genitoriale, secondo il diritto marocchino.
Il Tribunale di Perugia accoglieva il ricorso, perché, ai sensi della lett. b del
citato art. 29 T.U., i minori dovevano ritenersi «a carico» dell’istante, che provvedeva al mantenimento dei figli, ai quali doveva quindi rilasciarsi il visto d’ingresso.
giurisprudenza italiana
439
Il reclamo dei due Ministeri, ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ., era rigettato,
con decreto del 25 marzo 2004, dalla Corte d’Appello di Perugia, che condannava i
reclamanti alle spese del grado.
Secondo i reclamanti, per la Moudawana, cioè il codice dello stato delle persone
vigente in Marocco, applicabile come «legge nazionale del figlio» ex art. 36 della l.
31 maggio 1995 n. 218, la rappresentanza legale dei minori compete solo al padre,
spettando alla madre solo in caso di morte dell’altro genitore.
Ad avviso della Corte territoriale, tale disparità di posizione dei genitori rispetto ai figli, di cui alla normativa del Marocco, è contraria all’ordine pubblico
internazionale e al principio costituzionale della parità dei coniugi oltre che al loro
obbligo comune di mantenere i figli (art. 29 Cost.); di conseguenza, al caso va
applicata la legge italiana, ex art. 16 della legge n. 218 del 1995.
Poiché la M. provvede al mantenimento dei figli, ai sensi dell’art. 3 par. 1 della
convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 ratificata in
Italia dalla l. 27 maggio 1991 n. 176, occorre tenere conto dell’interesse superiore
dei minori, che in Marocco erano affidati ad una zia nel disinteresse del padre, che
aveva dichiarato di consentire al loro espatrio per il ricongiungimento alla madre;
pertanto, il diritto all’unità familiare dei minori imponeva il rilascio del nulla osta e
il reclamo delle Amministrazioni doveva essere rigettato.
Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso, con quattro motivi, il
Ministero dell’interno e quello degli affari esteri e la M. si è difesa con controricorso.
Motivi della decisione. 1.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione
degli artt. 29 comma 1 lett. b del T.U., e 136, 147, 148 e 149 della Moudawana
(Codice dello stato e delle persone e delle successioni vigente nel Regno del Marocco), da applicare in Italia ai sensi degli artt. 36 e 16 della l. 31 maggio 1995 n.
218, oltre che dell’art. 29 Cost., pure per insufficiente e contraddittoria motivazione.
In ordine alla posizione di diseguaglianza della madre rispetto al padre nella
legislazione marocchina, il decreto impugnato confonde il concetto di «carico»
familiare con quello di obbligo di mantenimento dei figli nell’applicare il limite
dell’ordine pubblico.
Erroneamente la Corte di merito afferma infatti che la normativa del Marocco
contrasta con l’art. 29 Cost., fondamento del principio d’ordine pubblico internazionale della parità dei coniugi, e quindi ostativo, ai sensi dell’art. 16 della legge n.
218/95, all’applicazione in Italia della normativa straniera.
La norma della Costituzione citata, pur ponendo a base del matrimonio l’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi, chiarisce che quest’ultima è disciplinata
nei limiti della legge ordinaria, la quale ha attribuito fino al 1975 la potestà genitoriale al solo padre, senza violare la Carta fondamentale.
In sostanza, riconoscere al solo padre la potestà sui figli minori, non viola
l’uguaglianza tra i coniugi e la diversità di compiti dei due genitori, propria del
diritto islamico e di quello del Regno del Marocco, non contrasta con tale uguaglianza.
Le diverse tradizioni culturali del mondo islamico e del Regno del Marocco
rispetto a quelle occidentali, giustificano pienamente la disciplina positiva del diritto di famiglia di quel paese, che attribuisce compiti diversi ai due genitori, ma
non viola l’art. 29 Cost. e l’ordine pubblico internazionale.
440
giurisprudenza italiana
Il concetto di «carico» dell’art. 29 comma 1 lett. b T.U. non va inteso in senso
materiale, ma comprende quello della rappresentanza legale del minore, per il
quale, nelle ipotesi come quella oggetto di causa, nella quale la madre richiedente
il nulla osta provvede al mantenimento dei figli minori, questi non possono considerarsi a suo carico, se l’istante non sia la loro rappresentante legale come titolare
della potestà genitoriale, perché nel caso il mero consenso del padre all’espatrio dei
figli comunque non conferisce alla madre il potere-dovere di esercitare una potestà
che la legge le nega.
La potestà genitoriale di entrambi i genitori non è principio d’ordine pubblico
internazionale, che corrisponde cioè alle esigenze di diversi ordinamenti interni,
potendosi attuare in modi diversi nei diversi paesi in conformità alle loro tradizioni
e culture.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ancora violazione dell’art. 29
comma 1 lett. b del T.U. e delle norme sopra citati del Regno del Marocco, in
rapporto all’art. 36 della legge n. 218 del 1995 oltre che della convenzione sui diritti
del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, ratificata in Italia dalla l. 27
maggio 1991 n. 176, pure per insufficiente motivazione, ex art. 360, primo comma
n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.
Erroneamente la Corte territoriale ha presunto, in base ad un atto notarile, che
i figli della istante fossero affidati a una zia materna, deducendo dal consenso
all’espatrio dato dal padre una situazione di fatto, per la quale vi sarebbe stato
un interesse superiore dei minori a ricongiungersi con la madre.
Solo se la M. avesse avuto la potestà genitoriale sui minori, ella avrebbe potuto
avere l’affidamento dei figli, che hanno diritto all’unità familiare con il padre che su
loro esercita le potestà di legge, per cui devono restare in Marocco.
1.3. Il terzo motivo di ricorso, lamentando le stesse violazioni di legge e insufficienze motivazionali del secondo, deduce che, pure in difetto della potestà genitoriale, la M. deve mantenere i figli minori, ma che è errato che il concetto di carico
familiare di cui al T.U., possa tradursi nei soli obblighi di mantenimento, potendosi
in tal modo eludere la normativa locale e internazionale.
1.4. Con il quarto motivo d’impugnazione si lamenta violazione dell’art. 92 cod.
proc. civ., pure per insufficiente motivazione, sussistendo nel caso ragioni per
compensare le spese del secondo grado, non considerate in alcun modo dalla Corte
d’Appello.
2. Il ricorso è infondato.
Lo stesso art. 29 lett. b-bis del T.U., introdotto dalla l. 23 agosto 2002 n. 189,
impone, con riferimento ai figli maggiorenni ai quali lo straniero ha diritto a ricongiungersi che gli stessi siano a suo «carico», nessun rilievo avendo nel caso la
potestà genitoriale, prevedendosi solo che detti figli «non possano per ragioni
oggettive provvedere al proprio sostentamento».
Se per i figli maggiorenni il concetto di «carico» è connesso a uno «stato di
salute che comporti invalidità totale», per i minori lo stesso concetto, sia nel diritto
interno che in quello internazionale, integra sempre e solo quello del collegamento
tra due soggetti per il quale uno ha «l’onere» del sostentamento dell’altro, che non è
in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Il c.d. «carico» integra nel T.U. una fattispecie nella quale colui che chiede il
ricongiungimento è il soggetto che provvede e dovrà provvedere al sostentamento
del familiare al quale chiede di riunirsi, tanto che deve dimostrare l’esistenza di un
giurisprudenza italiana
441
alloggio idoneo e di redditi sufficienti (art. 29 comma 3 lett. a e b), funzionali
all’adempimento del «carico» esistente anche dopo la materiale riunione del gruppo
familiare in Italia.
Nel caso di specie la M. è, secondo il decreto impugnato, l’unico genitore che
vuole convivere con i figli ai quali chiede di ricongiungersi per curare meglio la loro
crescita ed educazione, già provvedendo da sola al loro sostentamento e mantenimento, nel disinteresse del padre.
Nessun riferimento specifico ad altri concetti, come quello di «potestà» sui
minori dei genitori, esclusiva o concorrente, può avere rilievo per negare il diritto
dello straniero extracomunitario a riunirsi ai figli minori, quando al loro sostentamento egli provveda in via esclusiva, non contribuendovi l’altro genitore, il cui
assenso è necessario (art. 29 comma 1 lett. b), proprio per assicurare comunque
l’esercizio della potestà genitoriale in Italia al soggetto che richiede il ricongiungimento.
Nella legislazione interna la qualifica di minore «a carico» è sempre collegata
alla convivenza e al sostentamento di lui dal soggetto che deve ottemperare all’onere di mantenimento, vi sia tenuto da solo o con altri (cfr., di recente, Cass., 6
agosto 2003 n. 11876, 2 aprile 2003 n. 5060), tanto che, anche in sede di revoca
della potestà genitoriale, è possibile porre «a carico» del genitore privato di tale
potestà, il figlio minore, imponendogli di contribuire al suo mantenimento (Cass., 4
novembre 1997 n. 10779).
Perfino sul piano fiscale, la detrazione per carichi familiari si collega al sostentamento del soggetto il cui carico per il contribuente è attestato dallo stesso con
apposita dichiarazione (Cass., 24 luglio 2003 n. 11492).
Sul piano sovranazionale, la convenzione sui diritti del fanciullo di New York,
se individua nelle figure dei genitori i responsabili legali del minore (art. 5), chiarisce che gli Stati firmatari si impegnano a riconoscere il principio per il quale
«entrambi i genitori hanno comuni responsabilità in ordine all’allevamento e allo
sviluppo del bambino» (art. 18), prevedendo la figura eventuale di un responsabile
finanziario, in modo che il fanciullo goda di un livello di vita atto a garantire il suo
sviluppo psico-fisico e sociale (art. 27 commi 1 e 4).
Sia in sede interna che internazionale il concetto di figlio minore «a carico»
si identifica con quello di fanciullo il cui sostentamento è garantito dal genitore
che subisce detto onere, indipendentemente da ogni connessione con il concetto
di potestà genitoriale e quindi, per detto profilo, il ricorso è certamente infondato.
In tale contesto, piú dell’art. 29 rileva l’art. 30 Cost., per il quale entrambi i
genitori hanno ı́l dovere di mantenere, educare e istruire i figli, cioè di averli a loro
«carico», in conformità a quanto sancito dall’art. 18 della convenzione di New York
sopra citata.
In relazione ai principi esposti e al fatto che il visto per l’ingresso in Italia è dato
previo accertamento dell’esistenza di sufficienti garanzie in ordine alla convivenza
nel territorio nazionale dei minori con il genitore che ivi soggiorna e chiede il
ricongiungimento, quest’ultimo, come si è accennato, deve dimostrare l’esistenza
di un alloggio idoneo ad ospitare le persone per le quali è chiesto il ricongiungimento e redditi sufficienti a mantenerli, come previsto dall’art. 29 del T.U., che
quindi non dà rilievo ostativo all’ingresso in Italia ai problemi che sorgono dall’esigenza di rappresentanza legale dei minori, ritenendoli risolti dal consenso del
442
giurisprudenza italiana
genitore che resta all’estero all’espatrio dei figli al fine di unirsi al genitore che li
mantiene.
In sostanza, analogamente a quanto accadeva prima della riforma del diritto
familiare in Italia del 1975 e accade ancora oggi, può ritenersi che il legislatore
abbia distinto la titolarità della potestà genitoriale dall’esercizio di essa (art. 315 ss.
cod. civ.), che spetta di regola al genitore convivente e non a quello che non abita
con il figlio minore, il quale con il suo assenso all’espatrio dei figli ha consentito
pure all’esercizio della potestà da parte della madre.
Quando, come nel caso, il padre che, per il diritto del Regno del Marocco è
unico titolare della potestà di genitore, incontestatamente non vive con i figli minori
che, in base a quanto accertato dalla Corte territoriale, sono mantenuti dalla sola
madre, che non coabita con loro solo perché emigrata in Italia per ragioni di lavoro,
non sussiste ragione per il rifiuto del visto sul passaporto all’ingresso in Italia dei
minori, dato che l’assenso all’espatrio del padre titolare della potestà è incompatibile con la pregressa revoca della tutela per la madre di cui all’atto di ripudio, e in
concreto la annulla.
Nel sistema della legge del minore, applicabile ai sensi dell’art. 36 della legge n.
218 del 1995, la titolarità esclusiva della potestà genitoriale in capo al padre non
appare ostativa al fatto che lo stesso consenta la convivenza dei suoi figli con la
madre, alla quale in tal caso è delegato l’esercizio concreto della potestà, della quale,
di regola, ella può divenire titolare solo dopo la morte del marito in base alle norme
vigenti nel Regno del Marocco.
Risulta chiaro allora che i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili in
ordine ai vizi motivazionali dedotti comunque insussistenti ai sensi dell’art. 135
cod. proc. civ., essendo irrilevanti nel ricorso straordinario ex art. 111 Cost., perché
solo la totale mancanza di motivazione comporta violazione di legge rilevante in via
esclusiva in tale tipo d’impugnazione.
Le denunciate violazioni di legge non sussistono, perché emerge chiaro dalla
motivazione il sostanziale disinteresse del padre verso i figli minori che sono a
«carico» della madre che provvede al loro sostentamento mentre essi convivono
in Marocco con una zia materna; risulta dimostrata dal provvedimento impugnato
la piena rispondenza all’interesse dei minori del ricongiungimento alla madre, che,
riunendosi ai figli e con loro convivendo, potrà provvedere oltre che al loro sostentamento anche alla loro educazione e crescita, esercitando su loro la potestà
genitoriale in assenza del padre, che ne è e resta il titolare in base alla legge
marocchina.
Il diritto dei minori a non restare separati da quello dei genitori che li mantiene
e prova la concreta volontà di occuparsi di loro e di abitare con loro, cioè nel caso
dalla controricorrente, è garantito dalla stessa convenzione di New York (artt. 9 e
10) e corrisponde all’interesse dei minori e pertanto, pure per detto profilo, l’impugnazione non può che essere rigettata.
Inammissibile è poi il quarto motivo di ricorso che censura la corretta applicazione della regola della soccombenza in sede di appello, regola che dovrà applicarsi anche in questa fase, ponendosi a carico dei ricorrenti le spese del presente
giudizio di cassazione nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare alla
controricorrente le spese di questa fase del processo.
giurisprudenza italiana
443
Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 15 giugno 2005 n. 12792
Primo Presidente agg., Carbone - Consigliere Rel., Marziale - P.M. Martone (concl.
parz. conf.)
Industrial and Commercial Bank Ltd (avv. Zanchini, Colesanti) contro Intesa BCI s.p.a. (avv.
Briguglio, Luzzatto, Pedersoli, Tarzia, Campeis) e Sofia Palace International Ltd, Cenacle Holding SA, Amarena Nath Gosh, Philip Martin Pigozzo, Global Trade & Consultancy Pte Ltd (intimati).
È inammissibile un regolamento di giurisdizione qualora sia stata eccepita la
previa pendenza di altra causa, instaurata all’estero tra le stesse parti, il giudizio
italiano non sia stato sospeso ai sensi dell’art. 7 della legge 31 maggio 1995 n. 218,
la causa all’estero sia giunta a sentenza e questa sia passata in giudicato, poiché gli
effetti che il riconoscimento automatico della sentenza straniera produce all’interno
dell’ordinamento italiano potrebbero rivelarsi preclusivi delle statuizioni sulla giurisdizione. 1*
Ritenuto in fatto. 1. Con atto notificato il 25 febbraio 2000, il Banco
Ambrosiano Veneto s.p.a. (al quale è subentrata in corso di causa, a seguito di
incorporazione, la Banca Intesa BCI s.p.a.) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Udine, il signor Philip Martino Pigozzo, responsabile del Nucleo operativo
merci della propria filiale di Udine, il signor Amarendra Nath Gosh, cittadino
indiano, la Cenacle Holding SA, con sede in Lussemburgo, la Sofia Palace International Ltd, con sede nelle isole Vergini Britanniche, la Global Trade & Consultancy Pte Ltd (d’ora innanzi, Global Trade) con sede in Singapore, nonché la
Industrial & Commercial Bank Ltd con sede in Singapore (d’ora innanzi, ICB),
esponendo:
che il Pigozzo, eludendo i controlli interni e senza averne i poteri, aveva aperto
presso la filiale di Udine sei conti correnti in valuta estera, intestandone due al Gosh
e quattro alla società Cenacle Holding che a lui faceva capo, e aveva quindi consentito che su detti conti correnti fossero accreditati numerosi assegni privi di
copertura tratti per lo piú su banche dell’estremo oriente, tra le quali la ICB;
che, in tal modo, il Pigozzo era riuscito a garantire al Gosh la disponibilità
immediata di ingentissime somme di denaro che, appena accreditate, venivano
repentinamente trasferite, a mezzo assegni od ordini di bonifico, su conti esteri
intestati a soggetti giuridici sempre riferibili al Gosh;
che, alla data dell’11 gennaio 2000, risultavano insoluti, perché privi di copertura, 13 assegni tratti sulla ICB di Singapore dalla Sofia Palace International, della
quale il Gosh era amministratore, in favore della Cenacle Holding, per un importo
complessivo di circa USD 26.000.000, che solo in minima parte era stato rimborsato;
che il Pigozzo aveva inoltre proceduto, senza averne i poteri e senza alcuna
* Le sentenze della Corte di Cassazione citate in motivazione, tutte rese a sezioni unite,
possono leggersi in questa Rivista: 8 luglio 1996 n. 6196, ivi, 1977, p. 473 s. (breve); 12 dicembre 1988 n. 6756, ivi, 1990, p. 134 ss.; 30 novembre 1988 n. 6502, ibidem, 130 ss.
444
giurisprudenza italiana
giustificazione, all’emissione, a nome di essa esponente, di due lettere di credito
irrevocabili a prima richiesta (Stand-by letters of credit) in favore della ICB;
che la prima di tali lettere di credito era stata emessa l’11 giugno 1999 nell’interesse del Gosh per un importo di USD 3.000.000 mentre la seconda era stata
rilasciata il 16 settembre 1999 nell’interesse di altra società legata al Gosh
(Supership Management Pte Ltd), successivamente denominata Global Trade &
Consultancy Pte Ltd) per un ammontare stabilito inizialmente in USD 4.000.000 e
aumentato, in un secondo momento, a USD 12.000.000.
Tanto premesso, il Banco Ambrosiano chiedeva: a) che i convenuti fossero
condannati, in solido tra loro, al pagamento della somma di USD 25.023.414,57
pari al «residuo importo» dei 13 assegni rimasti insoluti; b) che le due lettere di
credito, delle quali la ICB aveva chiesto l’escussione, fossero dichiarate nulle e di
nessun effetto e che, conseguentemente fosse dichiarata l’inesistenza del diritto
della ICB ad escuterle; c) che i convenuti, inoltre, fossero altresi condannati, sempre
in via tra loro solidale, al risarcimento di ogni ulteriore danno derivato dalla tentata
escussione delle due lettere di credito o da qualsiasi atto o fatto dedotto in quel
giudizio.
1.1. La Global Trade rimaneva contumace. Tutti gli altri convenuti si opponevano, invece, all’accoglimento delle domande attrici.
La Cenacle Holding avanzava, a sua volta, domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna del Banco al risarcimento dei danni.
La ICB eccepiva, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del giudice
italiano e proponeva successivamente, con ricorso notificato il 16 giugno 2000 al
Banco Ambrosiano, regolamento di giurisdizione, con il quale chiedeva che fosse
dichiarata la giurisdizione del giudice di Singapore, deducendo, altresi, di avere
promosso innanzi a detto giudice, con atto del 16 febbraio 2000 (e, quindi, prima
della instaurazione della presente causa) un giudizio onde ottenere la condanna del
Banco Ambrosiano al pagamento delle somme dovute in base alle due lettere di
credito. E chiedeva, conseguentemente, la sospensione del giudizio di merito, sia ai
sensi dell’art. 367 cod. proc. civ., che ai sensi dell’art. 7, l. 31 maggio 1995 n. 218.
1.2. Il giudizio di merito era sospeso dal giudice istruttore dei Tribunale di
Udine con ordinanza del 18 luglio 2003, ai sensi dell’art. 367 cod. proc. civ. In
precedenza lo stesso giudice aveva inibito, con ordinanza del 12 luglio 2002, l’escussione, sotto qualsiasi forma, delle due lettere di credito.
1.3. Banca Intesa (già Banco Ambrosiano Veneto) si opponeva all’accoglimento
dell’istanza di regolamento e chiedeva che fosse affermata la giurisdizione del
giudice italiano.
1.4. Questa Corte, con ordinanza del 12 luglio 2002, ordinava l’integrazione del
contraddittorio nei confronti delle altre parti del giudizio di merito, entro 180
giorni dalla data di comunicazione di detta ordinanza.
La ricorrente provvedeva a tale incombente e produceva, altresı́, copia delle
sentenze pronunciate nel corso del giudizio instaurato in Singapore, precisando che
tali decisioni erano passate in giudicato ed avevano ricevuto piena e completa
esecuzione.
Sono state depositate memorie illustrative.
Considerato in diritto. 2. Il ricorso dovrebbe essere dichiarato improcedibile, secondo quanto si afferma nelle requisitorie del Procuratore generale, perché
giurisprudenza italiana
445
l’integrazione del contraddittorio non sarebbe avvenuta entro il termine (di 180
giorni dalla comunicazione dell’ordinanza) fissato da questa Corte il 12 luglio 2002.
Di qui la richiesta di improcedibilità.
L’assunto è però inesatto.
Dalle risultanze processuali si ricava, infatti, che l’atto di integrazione è stato
notificato: a) il 20 settembre 2002, al Gosh e alle società Cenacle Holding SA e
Sofia Palace International Ltd; b) il 24 settembre al Pigozzo; c) il 4 febbraio 2003
alla Global Trade & Consultancy Pte Ltd, secondo le modalità stabilite dall’art.
142, primo e secondo comma cod. proc. civ., dopo aver acquisito (il 22 gennaio
2003) l’attestazione dell’impossibilità di eseguire la notificazione nei modi prescritti
dalle convenzioni internazionali e dagli artt. 30 e 75, d.p.r. 5 gennaio 1967 n. 200 e,
quindi, in modo da assicurare, secondo quanto previsto dal terzo comma dello
stesso art. 142, che l’atto da notificare pervenga nella sfera di disponibilità del
destinatario.
La data del 4 febbraio 2003 corrisponde al giorno della consegna del plico da
notificare all’Ufficiale giudiziario e in cui quest’ultimo ha eseguito gli adempimenti
prescritti dai primi due commi del citato art. 142 cod. proc. civ. E tanto basta per
ritenere che, nell’ipotesi considerata, la notificazione si sia perfezionata (Cass., 8
luglio 1996 n. 6196, 12 dicembre 1988 n. 6756, 30 novembre 1988 n. 6502). Non vi
è dubbio, quindi, che anche quest’ultima notifica, posto che il termine assegnato
con l’ordinanza del 12 luglio 2002, tenuto conto della sospensione nel periodo
feriale, scadeva il 28 febbraio 2003.
L’istanza di regolamento non può, pertanto, essere dichiarata improcedibile
(recte: inammissibile) per tale ragione. Essa deve, peraltro, essere dichiarata inammissibile sotto un diverso profilo.
3. ICB contesta il difetto della giurisdizione del giudice italiano, deducendo: a)
che nelle lettere di credito è inserita una clausola di accettazione della giurisdizione
dell’autorità giudiziaria di Singapore; b) che la propria sede era ed è localizzata in
Singapore e che non esiste, in Italia, alcun rappresentante autorizzato a stare in
giudizio in nome e per conto di essa esponente; c) che, in contrario, non varrebbe
osservare che uno dei convenuti (il Pigozzo) ha il proprio domicilio in Italia, posto
che la domanda avanzata nei suoi confronti (avente ad oggetto la richiesta di
condanna al risarcimento dei danni derivati dalla illegittima negoziazione degli
assegni) trova il suo fondamento in una vicenda del tutto autonoma rispetto a
quella cui si ricollega la domanda diretta ad ottenere l’invalidazione delle lettere
di credito e che non ricorrono, quindi, i presupposti per affermare la giurisdizione
del giudice italiano sulla base di quanto stabilito dall’art. 6 par. 1 della convenzione
di Bruxelles e dall’art. 3 comma 2 l. 31 maggio 1995 n. 218, i quali dispongono, nel
loro combinato disposto, che «in caso di pluralità di convenuti, il convenuto può
essere citato davanti al giudice nella cui circoscrizione è situato ı́l domicilio di uno
di essi»; d) che il riconoscimento della giurisdizione del giudice italiano, rispetto alla
domanda di nullità delle lettere di credito, non potrebbe trovare giustificazione
neppure nell’art. 5 par. 3 della convenzione, dal momento che tale domanda è
certamente estranea alla materia «dei delitti e dei quasi delitti»; e) che, del resto,
la giurisdizione del giudice italiano dovrebbe essere ritenuta insussistente anche
rispetto alle domande dirette al recupero delle somme accreditate per gli assegni
posti all’incasso e rimasti insoluti, sia perché tali titoli recavano tutti la clausola
«pagabile in Singapore», sia perché, in ogni caso, essa esponente era rimasta del
446
giurisprudenza italiana
tutto estranea rispetto alla loro negoziazione e al loro accreditamento presso la filale
di Udine.
4. Banca Intesa (già Banco Ambrosiano Veneto) replica deducendo:
a) che il giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Udine è diretto ad ottenere
il risarcimento del danno subito dall’illecita attività di una serie di soggetti, alcuni
dei quali dipendenti dell’ICB, la cui attività si era concretizzata nel compimento di
atti tra loro diversi (emissione degli assegni e rilascio delle lettere di credito), ma
espressione di uno stesso disegno fraudolento e volti alla realizzazione del medesimo scopo illecito; b) che, in particolare, della fraudolenta e abusiva emissione
delle lettere di credito da parte di un proprio funzionario (il Pigozzo) in combutta
con il Gosh un dipendente della ICB (Samuel Lee), il quale aveva preso parte anche
alla negoziazione degli assegni, era stato pienamente consapevole; c) che, in ogni
caso, l’anomalia delle lettere di credito, le quali non recavano alcun riferimento al
rapporto sottostante e alle condizioni che avrebbero dovuto essere poste ai soggetti
garantiti, era evidente e avrebbe dovuto essere rilevata dalla banca beneficiaria; d)
che a giustificare l’applicazione dell’art. 6 par. 1 della convenzione è sufficiente
l’esistenza, tra le diverse domande, proposte da uno stesso attore contro diversi
convenuti di un nesso tale da rendere plausibile il rischio di decisioni contrastanti o
anche solo disarmoniche; e) che la clausola di «proroga» della giurisdizione in
favore dei giudici di Singapore era stata espressamente qualificata come «non
esclusiva» dalle parti; f) che il contesto nel quale il rilascio delle lettere di credito
deve essere inquadrato giustifica pienamente l’applicazione dell’art. 5 n. 3 della
convenzione, il quale, del resto, riveste carattere «residuale», estendendosi ad ogni
ipotesi di lesione dell’altrui sfera di interessi verificatasi al di fuori di un preesistente
rapporto da danneggiante [a] danneggiato; e) che la pretesa avanzata nei confronti
della ICB in relazione alla «vicenda assegni» ha natura risarcitoria ed è chiaramente
fondata su un illecito extracontrattuale; g) che la giurisdizione del giudice italiano
non sarebbe conseguentemente revocabile in dubbio, sia perché l’evento dannoso si
è verificato in Italia e sia perché il coinvolgimento della ICB risulterebbe in modo
inequivocabile dalla prospettazione della domanda.
5. ICB, pur proponendo il regolamento di giurisdizione, ha eccepito la previa
pendenza di un giudizio davanti all’autorità giudiziaria di Singapore instaurato al
fine di ottenere il pagamento delle somme portate dalle due lettere di credito. Il
giudizio di merito, come si è posto in evidenza (retro, par. 1.2), non è stato sospeso
ai sensi dell’art. 7 l. 31 maggio 1995 n. 218. Ma l’istante ha, in questa sede, dedotto
che il giudizio instaurato in Singapore si è nel frattempo concluso con la condanna
di Banca Intesa e che la sentenza è passata in giudicato.
La valutazione dell’efficacia di tale sentenza all’interno del nostro ordinamento
si pone come pregiudiziale rispetto alla decisione che questa Corte è chiamata ad
emettere, in quanto i suoi effetti potrebbero rivelarsi preclusivi (quanto meno in
parte) dell’ulteriore corso del presente giudizio e, in quanta tali, ostativi alla pronuncia di statuizioni sulla giurisdizione, trattandosi di decisioni che, anche se rese in
sede di regolamento, trovano pur sempre il loro ineliminabile presupposto nella
pendenza del giudizio di merito (Cass., 12 giugno 1995 n. 6597; 9 luglio 1997 n.
6226; 11 dicembre 2003 n. 18956).
La ricorrenza dei requisiti stabiliti dall’art. 64 della legge n. 218/95, cui è
subordinato il riconoscimento «automatico» dell’efficacia delle sentenze straniere,
non è pacifica tra le parti, ma non può essere accertata in questa sede, poiché tale
giurisprudenza italiana
447
indagine involge l’esame di questioni diverse da quelle specificamente contemplate
dall’art. 41 cod. proc. civ. e, del resto, potrebbe richiedere il ricorso a mezzi
istruttori incompatibili con la struttura e le caratteristiche del giudizio di cassazione
e di cui le parti possono avvalersi con pienezza di poteri nelle fasi di merito (Cass.,
25 luglio 2001 n. 10089).
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Ricorrono giusti motivi di compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M., la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile e compensa le
spese di giudizio.
Corte di Cassazione (s.u.), ordinanza 6 luglio 2005 n. 14208
Primo Presidente agg., Carbone - Consigliere Rel., Sabatini - P.M., Sabatini (concl. conf.)
Vtech Electronics Europe B.V. (avv. Coggiatti, Abbatescianni) contro Editrice Giochi s.p.a.
(avv. Todaro, Rucellai, Raffaelli).
Il regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile nonostante l’abrogazione
dell’art. 37, secondo comma cod. proc. civ. perché il rinvio recettizio operato dall’art.
41 cod. proc. civ. a tale norma va inteso come effettuato oggi all’art. 11 della legge 31
maggio 1995 n. 218 di riforma del diritto internazionale privato.
Il giudice italiano è competente ai sensi dell’art. 5 n. 1 del regolamento (CE) n.
44/2001 del 22 dicembre 2000 in relazione ad un contratto di distribuzione di merce,
a prescindere da un’eventuale clausola CIF, qualora le parti abbiano convenzionalmente pattuito la consegna in Italia e qualora la proroga di competenza in favore di
altro giudice non sia valida ai sensi dell’art. 23 del regolamento n. 44/2001 perché
non sottoscritta da entrambe le parti. 1*
Osserva in fatto e in diritto. 1. In accoglimento del ricorso in tal senso
proposto dalla società Editrice Giochi s.p.a., con sede in Milano, e basato sul
contratto inter partes del 10 luglio 2002, con il quale detta società era stata nominata distributore in esclusiva per l’Italia di giochi elettronici, con decreto del 25
novembre 2003 il giudice del Tribunale di Milano ha ingiunto alla società Vtech
Electronics Europe B.V., con sede in Olanda, il pagamento, in favore della ricorrente, della somma di euro 534.998,36, oltre interessi e spese. L’ingiunta ha proposto opposizione e quindi, pendente tale giudizio, ricorso per regolamento, con il
quale chiede dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice italiano. L’intimata
resiste con controricorso. Il P.M., in persona del dr. Fulvio Uccella, ha chiesto
* Tra le pronunce della Corte di Cassazione citate in motivazione possono leggersi in
questa Rivista: s.u., 25 gennaio 1995 n. 892, ivi, 1996, p. 107 ss.; s.u., ord. 7 marzo 2005
n. 4807, ivi, 2006, p. 161 ss.
448
giurisprudenza italiana
dichiararsi la giurisdizione del giudice italiano. Entrambe le parti hanno depositato
memoria.
2. La controricorrente ha ritualmente eccepito l’inammissibilità del regolamento, ex adverso richiesto, ed a sostegno di tali eccezioni adduce l’avvenuta
abrogazione (art. 73, l. 31 maggio 1995 n. 218) del secondo comma dell’art. 37
cod. proc. civ., e l’improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo a causa
della tardiva costituzione dell’opponente.
Entrambe le eccezioni sono infondate.
Quanto, infatti, alla prima, deve ribadirsi che, relativamente alle questioni sulla
sussistenza o meno della giurisdizione italiana nei confronti di soggetti stranieri, il
regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile ancorché il citato art. 37 cod.
proc. civ., a seguito della disposta abrogazione del secondo comma, menzioni ora il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei soli confronti della p.a. o di giudici
speciali, giacché il rinvio recettizio, operato dall’art. 41 cod. proc. civ. allo stesso art.
37 per la determinazione del campo di applicazione del regolamento di giurisdizione, deve intendersi ora riferito anche all’art. 11 della citata legge n. 218 del 1995,
che disciplina appunto la rilevabilità del difetto di giurisdizione del giudice italiano
(in tal senso, da ultimo, S.U., n. 4807/05).
Quanto alla seconda eccezione, ha affermato questa Corte (sentenza n. 3074 del
1990) che, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, proposto in pendenza del giudizio di opposizione avverso decreto ingiuntivo, deve escludersi la
possibilità di dedurre l’irritualità della instaurazione di detto giudizio e l’esecutività
del decreto opposto, trattandosi di questioni estranee alla giurisdizione e riservate al
giudice cui spetta di conoscere del fondamento della domanda: indirizzo avverso il
quale non vengono svolte argomentazioni idonee a riesaminarlo.
Le altre eccezioni, sollevate in memoria dalla stessa controricorrente, sono
invece inammissibili potendo la memoria stessa soltanto illustrare le questioni già
svolte nel (ricorso o nel) controricorso.
3. In contrasto con l’affermazione della odierna controricorrente, secondo la
quale i rapporti tra le parti sarebbero disciplinati dal contratto del 10 luglio 2002, la
ricorrente, con il primo motivo del ricorso, qualifica invece tale documento come
una mera bozza, e sostiene che il contratto fu in realtà stipulato il 5 dicembre dello
stesso anno con la clausola (n. 17.2) in forza della quale ciascuna parte si obbligò a
rimettere «irrevocabilmente tutte le controversie (ad esso) relative... alla giurisdizione esclusiva delle Corti d’Inghilterra»: clausola dalla quale la stessa ricorrente fa
derivare la giurisdizione di dette Corti ai sensi dell’art. 23 del regolamento (CE) n.
44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000.
Secondo la controricorrente, tale documento costituirebbe, al contrario, una
mera proposta contrattuale, della quale evidenzia la mancata sottoscrizione proprio
da parte della Vtech, e che sarebbe stata da essa revocata con lettera a costei inviata
il 17 aprile 2003.
La Corte osserva che, ai fini in esame, non è necessario stabilire quale dei due
atti abbia effettiva natura contrattuale, giacché il citato art. 23, posto a fondamento
della eccepita giurisdizione inglese, dispone tra l’altro al primo comma che «la
clausola attributiva di competenza deve essere conclusa: a) per iscritto o oralmente
con conferma scritta, o b) in una forma ammessa dalle pratiche che le parti hanno
stabilito tra loro, o c) nel commercio internazionale, in una forma ammessa da un
uso che le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere e che, in tale campo, è
giurisprudenza italiana
449
ampiamente conosciuto e regolamentato dalle parti di contratti dello stesso tipo nel
ramo commerciale considerato».
Come dedotto dalla controricorrente, agli atti – direttamente consultabili dalla
Corte, giudice anche del fatto in tema di giurisdizione – non risulta che il documento del 5 dicembre 2002 sia stato sottoscritto anche dalla Vtech, unica sottoscrizione essendo invece quella della odierna controricorrente, talché non può
ritenersi verificata l’ipotesi di cui alla lett. a) del citato art. 23, alla quale soltanto
si riferisce la ricorrente (che non fa menzione alcuna delle ipotesi sub b) e c) della
stessa norma) alla p. 9 della memoria.
Il primo motivo è, pertanto, infondato.
4. In via subordinata, e sulla diversa premessa della natura contrattuale del
documento del 10 luglio 2002, la ricorrente, con il secondo e terzo motivo del ricorso,
afferma che la giurisdizione appartiene al giudice olandese ai sensi dell’art. 5 dello
stesso regolamento (CE) n. 44/2001 e comunque in applicazione della convenzione di
Vienna sulla vendita di beni mobili, giacché la pattuizione della clausola CIF indica
che Vtech ha adempiuto alla propria obbligazione di consegna rimettendo i prodotti
al vettore a Rotterdam (Olanda): luogo – precisa – che radica la giurisdizione olandese in base alla predetta convenzione pur a prescindere dalla clausola CIF.
Al contrario, secondo la controricorrente, Vtech era obbligata a consegnare i
prodotti a Milano presso il magazzino di essa distributrice, e richiama al riguardo la
clausola contrattuale del seguente testuale tenore: «i prezzi comprendono tutti i
costi connessi con l’ordine, la produzione, la spedizione, l’assicurazione, la dogana
ed il trasporto (clausola CIF) per consegnare i prodotti in Italia presso il magazzino
da voi indicato» (tale il testo della clausola anche secondo la ricorrente: p. 17
memoria della stessa); richiama la e-mail, di cui a p. 21 del controricorso, a sostegno
di tale interpretazione della clausola contrattuale. In base a tale clausola, non
sembra possa revocarsi in dubbio che, diversamente da quanto preteso dalla ricorrente, costei era tenuta a consegnare la merce in Italia, tale essendo il luogo espressamente indicato nella clausola, il che comporta l’infondatezza del profilo (pp. 9-10
ricorso) della diversa tacita manifestazione della volontà contrattuale sul punto.
Non giova, a favore della tesi della ricorrente, la pattuizione, altresı́, della
clausola CIF, giacché essa – come questa Corte ha affermato (sentenza n. 892
del 1995) e va qui ribadito – comporta l’assunzione, da parte del venditore, del
costo del trasporto e degli oneri connessi, ma non implica di per sè lo spostamento
convenzionale del luogo di consegna espressamente indicato «in Italia».
L’altra tesi, sostenuta in memoria dalla stessa ricorrente (p. 17), secondo la
quale la clausola riguarderebbe, invece, esclusivamente i costi del trasporto, è
manifestamente riduttiva e, pertanto, anch’essa infondata.
Anche quindi a dar credito alla ricorrente – secondo la quale l’obbligazione
dedotta in giudizio è quella della consegna dei prodotti da essa forniti o che doveva
fornire: lo contesta la controricorrente, secondo la quale tale obbligazione ha invece
ad oggetto le somme di denaro che la Vtech le deve alla stregua del contratto inter
partes, che afferma atipico – la giurisdizione appartiene al giudice italiano proprio
sulla base dell’art. 5 n. 1 del regolamento (CE) n. 44/2001, richiamato dalla stessa
ricorrente: la norma stabilisce infatti che, in materia contrattuale, la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato
membro, davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è
stata o deve essere eseguita, e chiarisce che «ai fini della presente disposizione e
450
giurisprudenza italiana
salvo diversa convenzione, il luogo di esecuzione dell’obbligazione dedotta in giudizio è, nel caso di compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in
cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto»:
nella specie, l’Italia.
5. Dichiarata, pertanto, la giurisdizione italiana, ricorrono giusti motivi per
compensare le spese del presente procedimento.
P.Q.M., la Corte a sezioni unite pronunciando sull’istanza dichiara la giurisdizione del giudice italiano e compensa le spese del presente procedimento.
Tribunale di Milano, sentenza 6 luglio 2005
Presidente, Quatraro - Giudice Rel., Santolini
Sulla procedura di concordato preventivo proposta da Gabriel Tricot s.p.r.l. (avv. Torti).
Ai sensi dell’art. 3 par. 1 del regolamento (CE) n. 1346/2000, non sussiste la
giurisdizione italiana ad aprire una procedura principale d’insolvenza nei confronti di
una società avente la sede statutaria in un altro Stato membro, allorché non sia stata
fornita la prova contraria che si trovi in Italia il centro degli interessi principali, ossia il
centro principale di formazione della volontà sociale e di concentrazione degli interessi
della società stessa.
Sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 30 giugno 2005 e dato atto:
che in data 29 aprile 2005 la società belga Gabriel Tricot s.p.r.l. con sede in
Tournai (B), iscritta al Tribunale di Tournai, ha avanzato proposta di concordato
preventivo presso questo Tribunale in base alle disposizioni del regolamento comunitario n. 1346/2000, affermando che, ad onta di ogni diversa apparenza, essa
società ha, in realtà, sempre avuto il proprio centro propulsivo in Milano, prima in
via Cagnoni 10 presso la sede del Gruppo Trademarket e quindi, successivamente,
presso il domicilio del suo legale rappresentante signor Gualtiero Geri Mattei
Apriselli;
che il giudice relatore ha proceduto all’istruttoria;
che, nelle more dell’istruttoria, è intervenuta nel presente procedimento la
Fortis Banque SA, banca belga, la quale, dichiarandosi creditrice della Gabriel
Tricot s.p.r.l., ha eccepito la carenza di giurisdizione del giudice italiano ai sensi
del regolamento comunitario n. 1346/2000, e ciò in quanto la Gabriel Tricot ha la
propria sede legale ed il suo centro principale di interessi nel territorio belga;
che in data 30 giugno 2005, dinanzi a questo Tribunale in composizione collegiale, si è tenuta l’udienza ex art. 163 l. fall. per l’esame della domanda di concordato, udienza cui hanno partecipato sia la Gabriel Tricot s.p.r.l., sia la Fortis
Banque SA, concludendo come da verbale;
Osserva. Com’è noto l’art. 3 del regolamento comunitario n. 1346/2000 – che
giurisprudenza italiana
451
detta le norme in materia di foro competente per l’apertura delle procedure di
insolvenza imprenditoriale interessanti soggetti operanti in piú Stati membri della
Comunità – dispone che mentre in ogni Stato può aprirsi una procedura di liquidazione «secondaria» al limitato effetto di liquidare quegli specifici beni dell’imprenditore che si trovino nello Stato medesimo, la procedura «principale» d’insolvenza può essere disposta solamente in quello Stato membro in cui è situato il
centro degli interessi del debitore, presumendosi fino a prova del contrario che tale
centro di interessi sia «...il luogo in cui si trova la sede statutaria...».
Ebbene, nel caso in esame la Gabriel Tricot s.p.r.l., società di diritto belga con
formale sede legale a Tournai (B), non è stata in grado di fornire la suddetta prova
contraria consistente nella dimostrazione che il centro principale di formazione
della volontà sociale e di concentrazione degli interessi della società stessa si trova
in Italia.
Da un lato, infatti, gli atti acquisiti nel corso del presente procedimento attestano che:
la società ha la propria sede legale in Tournai, Avenue de Maire 200/A, e che
proprio in questo luogo si sono svolte le assemblee societarie e si sono assunte le
decisioni piú rilevanti relative alla vita della società, come emerge dal verbale
dell’assemblea straordinaria tenutasi il 27 aprile 2005, nella quale è stata approvata
la situazione contabile sino al 31 marzo 2005 e si è deliberato di richiedere a questo
Tribunale l’ammissione alla procedura di concordato preventivo (v. doc. 1 Gabriel
Tricot), nonché dal verbale di assemblea straordinaria del 29 ottobre 2004, nella
quale si deliberò, tra l’altro, l’acquisto di azioni di alcune società tunisine da parte
della Gabriel Tricot (v. doc. 12 Fortis Banque SA);
allo stesso indirizzo di Avenue de Maire 200/A sono prevenute le contestazioni sollevate dai clienti nei confronti della Gabriel Tricot, la quale, dal canto suo,
ha emesso le proprie fatture menzionando l’indirizzo medesimo (ved. doc. 14 e 13
Fortis Banque SA), al quale ultimo, peraltro, si è fatto e si fa costantemente
riferimento anche per tutti i rapporti contrattuali di carattere bancario intercorsi
nel tempo tra la Gabriel Tricot e Fortis Banque SA (doc. 2-3-4 prod. da quest’ultima);
la stessa Gabriel Tricot, infine, ha mostrato di ritenere che il proprio centro
principale della formazione della volontà sociale sia a Tournai, come risulta inequivocabilmente dalla richiesta di concordato giudiziario da essa precedentemente
inoltrata al Tribunale di quel luogo, prodotta nel presente procedimento da Fortis
Banque (doc. 16) e non contestata in alcun modo dalla Gabriel Tricot.
Ora, a fronte di tutte le emergenze sopra indicate (le quali consentono di
ritenere che non solo la «sede statutaria» della società ricorrente si trovi in Belgio,
ma che in tale paese vi sia anche, di fatto, il vero centro propulsivo della sua attività)
la Gabriel Tricot ha ritenuto di poter neutralizzare le emergenze medesime ribadendo – da ultimo con la memoria depositata all’udienza del 30 giugno 2005 – la
circostanza che l’impresa ha in Italia le sue strutture operative e produttive, come
testimonierebbe il fatto che la Fortis Banque prima di concedere il proprio credito
alla Gabriel Tricot mandò nel nostro paese alcuni suoi funzionari proprio per
valutare le strutture stesse.
Tale argomentazione, si rileva, è stata fatta propria anche dal Tribunale commerciale di Tournai per giungere all’affermazione che il principale centro d’interessi
della Gabriel Tricot si troverebbe in Italia.
452
giurisprudenza italiana
Ebbene, sullo specifico punto, è solo il caso di osservare che la Gabriel Tricot,
con riferimento a tale viaggio in Italia dei funzionari bancari belgi, si limita a citare
genericamente le proprie strutture operative, senza peraltro indicarne l’articolazione, la consistenza e la localizzazione, mentre il provvedimento del Tribunale
commerciale di Tournai, al riguardo, fa espresso riferimento «...(al)la filatura situata
in Prato....(al)la fabbrica di tessitura di Acqualagna....e (a)gli uffici di Milano...».
Dette affermazioni tuttavia – in base alle quali, si ribadisce, vorrebbe radicarsi
la competenza del giudice italiano in relazione alla domanda di concordato preventivo – risultano palesemente contraddette dallo stesso legale rappresentante
della Gabriel Tricot, Geri Mattei Apriselli, che, infatti, nella sua odierna domanda
di concordato preventivo, dichiara espressamente che le strutture produttrici dei
beni commercializzati dalla società istante si trovano (o forse, meglio, si trovavano –
ndr) in Tunisia, nel distretto di Megrine, mentre il medesimo non fa alcun riferimento né a Prato, né ad Acqualagna, né agli uffici di Milano, dichiarando, in
proposito, che la Gabriel Tricot, dopo il fallimento della società milanese Trademarket presso cui si svolgeva la sua gestione, è di fatto reperibile solo presso
l’abitazione dell’Apriselli medesimo, in Milano...
Concludendo, quindi, le argomentazioni in base alle quali si sarebbe voluto
provare ex art. 3 par. 1 del regolamento (CE) n. 1346/2000, che la Gabriel Tricot
ha in realtà il proprio centro formativo della volontà sociale e propulsivo dei suoi
interessi in uno Stato membro diverso da quello della formale sede statutaria, si
sono rivelate inconsistenti.
P.Q.M., il Tribunale 1) dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano
(nella specie Tribunale di Milano, sezione seconda civile, fallimentare) a pronunciarsi sulla domanda di concordato preventivo depositata in data 29 aprile 2005
dalla Gabriel Tricot s.p.r.l.; 2) dispone la comunicazione del presente provvedimento alla Gabriel Tricot s.p.r.l. presso il domicilio eletto in Milano...
Corte di Appello di Milano, sentenza 1º settembre 2005
Presidente, Pesce - Consigliere Rel., Gatto - P.M., Caliendo (concl. conf.)
M.A.I. (avv. Albrighi, Lagattolla) contro C.B. (avv. T. Ballarino, E. Ballarino).
Allorché una comparsa di riassunzione presenti tutti i requisiti di un autonomo
atto di citazione, essa può validamente instaurare (in applicazione del principio generale di conservazione degli atti viziati di cui all’art. 159, terzo comma cod. proc. civ.)
un giudizio per il riconoscimento di efficacia di una sentenza straniera ex art. 67 della
legge 31 maggio 1996 n. 218.
L’espressione «giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore» di cui
all’art. 72 della legge n. 218 del 1995 deve intendersi riferita ai giudizi di riconoscimento della sentenza straniera e non a quelli nel cui ambito tale sentenza sia stata
emessa.
giurisprudenza italiana
453
Ai sensi dell’art. 64 lett. a della legge n. 218 del 1995, può essere riconosciuta in
Italia una sentenza straniera di divorzio tra due cittadini italiani emessa dal giudice
dello Stato in cui l’attore era residente.
Non contrasta con l’ordine pubblico una sentenza straniera di divorzio emessa in
seguito all’accertamento dell’irrimediabile disfacimento della comunione coniugale. 1*
Svolgimento del processo. Con sentenza n. 2708/01 resa in data 8 novembre 2000-8 marzo 2001 il Tribunale di Milano: 1) dichiarava la propria incompetenza a pronunciarsi sulla domanda proposta da M.A.I. nei confronti di C.B. con
cui si chiedeva l’accertamento della «inefficacia della declaratoria di cessazione
degli effetti civili del matrimonio contratto in Milano tra C.B.» ed essa attrice,
emessa dalla Corte Suprema della California con sentenza 26 ottobre 1995 e trascritta nei registri dello stato civile del Comune di Milano, e sull’ulteriore domanda
di «nullità della eseguita trascrizione da parte dell’Ufficiale di stato civile di Milano
o quantomeno della sua inefficacia»; 2) rigettava la domanda proposta non solo nei
confronti di C.B. ma anche di G.G. con cui la M.A.I. chiedeva che venisse accertata
l’inefficacia del matrimonio contratto dai due convenuti il 7 dicembre 1995 e che
venisse dichiarata la nullità presso lo stato civile del Comune di Milano della
predetta trascrizione, o quantomeno la sua inefficacia, nonché la domanda con
cui chiedeva che venisse dichiarata la nullità della separazione consensuale tra
C.B. e G.G. omologata dal Tribunale di Milano con decreto in data 27 giugno
1997, disponendo la cancellazione della relativa annotazione apposta sull’atto di
matrimonio; 3) rimetteva la causa in istruttoria, come da separata ordinanza, per
accertare la persistenza dell’interesse ad agire dell’attrice in ordine alle altre formulate domande.
Con atto notificato il 17-18 luglio 2001 a C.B. personalmente ed al difensore
presso il quale lo stesso aveva eletto domicilio nel giudizio davanti al Tribunale,
M.A.I. riassumeva ai sensi dell’art. 50 cod. proc. civ. tale giudizio conclusosi con la
citata sentenza «limitatamente al capo in cui il Tribunale si dichiarava incompetente», mentre con separato atto proponeva appello contro gli altri capi.
Riassumendo il giudizio la M.A.I. chiedeva che venisse accertata la mancanza
dei presupposti per il riconoscimento in Italia della sentenza resa dalla Corte
Superiore della California, Contea di Orange, che aveva dichiarato lo scioglimento
del matrimonio tra M.A.I. e C.B., e che quindi venisse ordinato all’Ufficiale di stato
civile di procedere agli adempimenti conseguenti in ordine alle annotazioni di legge,
con il favore delle spese, diritti ed onorari. Tale domanda si fondava sull’asserita
incompetenza giurisdizionale della Corte americana a pronunciare la sentenza in
questione e sull’assunto dell’improponibilità della domanda di divorzio davanti al
giudice americano prima del passaggio in giudicato della sentenza di separazione
personale delle parti, il cui gravame era ancora pendente davanti alla Corte d’Appello di Milano.
C.B., ritualmente costituitosi, eccepiva, in via pregiudiziale, l’irritualità dell’o* Le sentenze della Cassazione, citate in motivazione, riprodotte in questa Rivista sono le
seguenti: 25 giugno 2002 n. 9247, ivi, 2003, p. 491 ss.; 21 aprile 1997 n. 3411, ivi, 1997, p.
971 ss.; 28 maggio 2004 n. 10378, ivi, 2005, p. 129 ss.; 13 dicembre 1978 n. 5919, ivi, 1979,
p. 542 ss.; 12 maggio 1998 n. 4770, ivi, 1999, p. 294 ss.
454
giurisprudenza italiana
perata riassunzione di un giudizio deciso con una sentenza che aveva pronunciato
anche su questioni diverse dalla competenza, e contestava, nel merito, la fondatezza
degli assunti avversari, concludendo per il rigetto dell’istanza di riassunzione e la
condanna di controparte alla rifusione delle spese del giudizio, di cui chiedeva la
distrazione in favore dei difensori che dichiaravano di averle interamente anticipate.
Nel corso del giudizio la M.A.I. chiedeva altresı́ la riunione alla presente causa
dell’altra pendente tra le stesse parti, contraddistinta dal n. 2332/01 di ruolo generale, relativa all’appello da lei proposto avverso quei capi della sentenza parziale
n. 2708/01 che erano stati oggetto di un rigetto nel merito, ma tale istanza non
trovava accoglimento.
Dopo il deposito di due memorie difensive, in cui entrambe le parti sviluppavano ulteriormente i reciproci assunti, e la sostituzione del consigliere relatore,
nonché dopo alcuni rinvii disposti al fine di acquisire agli atti il fascicolo di primo
grado, all’udienza del 12 marzo 2004 l’avv. Albrighi, che già in precedenza aveva
manifestato l’intenzione della propria assistita di presentare querela di falso con
riguardo alle annotazioni apposte in data 26 giugno 1998 ed in data 24 agosto 2000
in calce alla copia della sentenza di separazione n. 5990/93 del Tribunale di Milano,
laddove si certificava il passaggio in giudicato della sentenza stessa con data certa,
depositava procura notarile in forza della quale era autorizzato a presentare querela
di falso nell’interesse della M.A.I. in ordine alle annotazioni in questione.
La Corte, dopo aver sentito il C.B., che confermava di volersi avvalere dei
documenti sui quali erano poste le affermazioni impugnate di falso, con ordinanza
in data 12 marzo 2004, dichiarava l’irrilevanza dei documenti in questione ai fini
della decisione e fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Quindi all’udienza dell’8 febbraio 2005 le parti precisavano le rispettive conclusioni nei termini in epigrafe trascritti e la Corte tratteneva la causa in decisione,
alla scadenza dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e
delle eventuali repliche.
Motivi della decisione. La M.A.I. ha, con il presente giudizio, riassunto
davanti a questa Corte la causa conclusasi in primo grado con sentenza n. 2708, resa
dal Tribunale di Milano in data 8 novembre 2000-8 marzo 2001, dichiarativa
dell’incompetenza dell’autorità giudiziaria adita a pronunciarsi sulla domanda dalla
stessa proposta nei confronti di C.B., volta all’accertamento della sussistenza o
meno dei requisiti del riconoscimento di efficacia della sentenza resa il 26 ottobre
1995 dalla Corte Superiore della California, Contea di Orange, e trascritta nei
registri dello stato civile del Comune di Milano, che aveva dichiarato lo scioglimento del matrimonio contratto tra M.A.I. e C.B.
L’instaurazione del presente giudizio attraverso la comparsa di riassunzione,
anziché la sua introduzione con autonomo atto di citazione con il quale, in applicazione dell’art. 67 della legge n. 218/1995, deve essere invece ritualmente avviato il
procedimento ordinario davanti alla corte d’appello, che conosce della sussistenza o
meno dei requisiti del riconoscimento di efficacia della sentenza straniera come
giudice di merito in unico grado, non comporta, ad avviso di questo Collegio,
nullità alcuna, dovendo infatti trovare applicazione il principio generale di conservazione degli atti viziati dettato dall’art. 159, terzo comma cod. proc. civ. Tale
norma ben può operare nel caso di specie in cui la comparsa di riassunzione
presenta tutti i requisiti formali per il raggiungimento dello scopo, cioè tutti i
giurisprudenza italiana
455
requisiti di un autonomo atto di citazione e, quindi, essendo stata del resto notificata alla parte personalmente, deve ritenersi idonea ad instaurare il giudizio (v. in
tal senso, Cass., 14 maggio 1983 n. 3319).
Ciò premesso, assume priorità sul piano logico la questione relativa all’applicabilità o meno al presente giudizio della nuova disciplina per il riconoscimento
delle sentenze straniere dettata dagli artt. 64 ss. della l. 31 maggio 1995 n. 218. Tale
disciplina, ai sensi dell’art. 72, primo comma della citata legge si applica «in tutti i
giudizi iniziati dopo la data della sua entrata in vigore», da individuare nel 31
dicembre 1996, in base all’art. 74 della legge, come sostituito dall’art. 10, secondo
comma del d.l. 23 ottobre 1996 n. 542, convertito nella l. 23 dicembre 1996 n. 649.
Poiché è pacifico che l’espressione «giudizi iniziati» deve intendersi riferita,
secondo quanto è stato anche precisato dalla giurisprudenza di legittimità, ai giudizi
di riconoscimento della sentenza straniera e non, come vorrebbe la M.A.I., a quelli
nel cui ambito detta pronuncia sia stata emessa (Cass., 25 giugno 2002 n. 9247;
Cass., 21 aprile 1997 n. 3411), appare certa l’applicabilità della nuova normativa al
giudizio in esame, instaurato successivamente all’entrata in vigore della stessa.
L’effetto innovativo della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 218/1995 è
quello di rendere di generale applicazione il riconoscimento «automatico», nel
nostro Paese, delle sentenze straniere, prima previsto solo ed in via limitata da
alcune convenzioni internazionali.
Nel nuovo sistema quindi l’efficacia della sentenza straniera in Italia si manifesta immediatamente alla data del suo passaggio in giudicato nell’ordinamento di
origine, purché ricorrano i requisiti in via espressa indicati dall’art. 64 della legge
citata; e proprio in esecuzione di tale principio l’Ufficiale di stato civile del Comune
di Milano ha provveduto alla trascrizione della sentenza di divorzio qui in esame e
alla sua annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
Considerato che uno specifico accertamento, in sede giurisdizionale, della sussistenza dei predetti requisiti si impone, a norma del successivo art. 67, «in caso di
mancata ottemperanza o di contestazione della sentenza straniera...», si osserva che
nella fattispecie in oggetto viene contestata dalla M.A.I. la ricorrenza del requisito
generale e preliminare di «riconoscibilità» della sentenza straniera fissato nella lett.
a dell’art. 64 e relativo alla competenza giurisdizionale del giudice straniero.
Premesso che il contestato requisito è «fra l’altro del tutto coincidente in sè con
quello già noto alla pratica giurisprudenziale sotto il regime dell’abrogata formulazione dell’art. 797 cod. proc. civ.» (Cass., 28 maggio 2004 n. 10378), al fine di
valutare la sussistenza dello stesso acquisisce rilievo la circostanza che il C.B.,
all’epoca dell’instaurazione del giudizio di divorzio, era effettivamente residente e
domiciliato nello Stato di California, Contea di Orange.
Ne consegue che, sia sotto la vigenza dell’abbandonato sistema della «delibabilità» delle sentenze straniere (v. Cass., 13 dicembre 1978 n. 5919; Cass., 12
maggio 1998 n. 4770), che nel sistema attuale, ben poteva il giudice dello Stato
in cui la sentenza di divorzio è stata pronunciata conoscere della causa in quanto
sussistevano i presupposti previsti dalle proprie norme interne sulla competenza,
avendo il ricorrente avuto la propria residenza per sei mesi nello Stato di California
e per tre mesi nella Contea di Orange, cosı́ come erano anche rispettati i principi
dell’ordinamento italiano, secondo i quali, in forza dell’art. 4 della legge n. 898/
1970 e successive modifiche, la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso di irreperibilità o di residenza
456
giurisprudenza italiana
all’estero del coniuge convenuto, si propone davanti al tribunale del luogo di
residenza o di domicilio del ricorrente.
Peraltro questa norma è riconosciuta oggi come criterio di competenza internazionale del giudice straniero. Infatti, in materia di nullità e di annullamento del
matrimonio, di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la legge n.
218/1995, con la previsione di cui all’art. 32, stabilisce che la giurisdizione italiana
sussista, «oltre che nei casi previsti dall’art. 3, anche quando uno dei coniugi è
cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia». L’ultima parte del
secondo comma dell’art. 3 dispone che «rispetto alle altre materie (cioè a quelle
estranee alla convenzione di Bruxelles, ivi comprese quelle di stato e capacità delle
persone) la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza
per territorio», che, per la fattispecie in esame, sono appunto quelli previsti dal
citato art. 4.
Pertanto, applicando uno schema descrittivamente riconducibile all’area fenomenica della «reciprocità» e dando, quindi attuazione a quegli stessi principi in
base ai quali, in casi corrispondenti, il giudice italiano esercita concretamente la sua
giurisdizione nei confronti dello straniero (Cass., n. 10378/2004 cit.), ben poteva il
C.B., cittadino italiano, al tempo residente e domiciliato negli Stati Uniti, chiedere il
divorzio all’autorità giudiziaria territorialmente competente in tale paese, anche se
l’altro coniuge, sempre cittadino italiano, era residente in Italia.
Per quanto attiene alla sussistenza degli altri presupposti di cui all’art. 64
nessuna contestazione è stata sollevata dalla M.A.I. né con l’atto introduttivo del
giudizio né nella successiva memoria difensiva. Solo in comparsa conclusionale, per
la prima volta, viene evidenziata la possibile contrarietà della sentenza ai principi
dell’ordine pubblico italiano perché emessa, in contumacia della M.A.I., sulla base
di una semplice dichiarazione del C.B. che affermava l’esistenza di divergenze
inconciliabili e che, di per sè, non poteva costituire prova sufficiente della disgregazione del matrimonio. Secondo tale assunto, volto ad ampliare ulteriormente il
tema della lite successivamente all’udienza di precisazione delle conclusioni, la
sentenza della Corte della California sarebbe stata «esclusivamente pronunciata
sulla base di una dichiarazione dell’attore il quale attesta ad essere pronto a giurarla
in udienza se richiesto dalla Corte» (p. 6 conclusionale M.A.I.).
A prescindere dall’inammissibilità di tale nuovo motivo, cosı́ tardivamente
dedotto e cosı́ confusamente esposto, non pare che il tenore della dichiarazione
resa dal C.B. nella fase introduttiva del giudizio davanti alla Corte americana possa
ritenersi contrario all’ordine pubblico. Al riguardo pare invece opportuno sottolineare che lo scioglimento del matrimonio è stato pronunciato dall’autorità giudiziaria della California all’esito di un procedimento svoltosi nel rispetto dei diritti di
difesa delle parti, come emerge dalla regolarità delle notifiche in atti (doc. 11-18
fasc. M.A.I.), sulla cui base è stata dichiarata la contumacia di parte convenuta
all’udienza del 26 ottobre 1995, alla quale invece ha partecipato personalmente il
C.B. assistito dal suo difensore.
La sentenza è stata emessa, sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti, all’esito della valutazione delle risultanze acquisite agli atti, tra cui
il dato significativo prospettato nel ricorso dal C.B. (doc. 18) riguardante l’avvenuto
protrarsi della separazione dal giugno 1988.
Ed invero l’accertamento dell’irrimediabile disfacimento della comunione coniugale, mai posto in discussione dalle parti, costituisce l’unico ed inderogabile
giurisprudenza italiana
457
presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall’art. 3 della legge n. 898/
1970 e, come è stato di recente precisato dalla Suprema Corte (Cass., 28 maggio
2004 n. 10378), non può essere ritenuta contraria all’ordine pubblico la sentenza di
scioglimento del matrimonio pronunciata, fra cittadini italiani, dal giudice straniero
«per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e
situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana».
Questo rilievo sarebbe già di per sè sufficiente anche ad escludere ogni valenza
all’ulteriore eccezione sollevata dalla M.A.I. in merito all’impossibilità del riconoscimento nel nostro ordinamento interno della sentenza straniera di divorzio in
quanto emessa prima che fosse passata in giudicato la sentenza di separazione.
Sotto tale specifico profilo, tenuto però conto dell’importanza che le rispettive
difese delle parti hanno attribuito alla questione in oggetto, al punto tale da indurre
la M.A.I. ad impugnare di falso le annotazioni apposte in calce alla sentenza di
separazione che certificavano il passaggio in cosa giudicata della sentenza stessa, la
Corte ritiene comunque opportuno osservare come l’avvenuto passaggio in giudicato del capo della predetta sentenza che ha pronunciato la separazione personale
dei coniugi privi, in ogni caso alla radice, l’acceso dibattito di ogni interesse.
Ed invero, come già questa Corte ha avuto modo di affermare laddove, in sede
istruttoria, ha dichiarato l’irrilevanza dei documenti impugnati di falso ai fini della
decisione, dall’esame del ricorso in appello avverso la sentenza di separazione
proposto dal C.B. emerge chiaramente come il gravame abbia investito esclusivamente il capo relativo all’addebito, oltre a quello attinente le statuizioni di natura
economica. Nessun dubbio al riguardo può residuare atteso il tenore letterale della
domanda formulata nei seguenti termini: «in totale riforma della sentenza del
Tribunale di Milano n. 5990/93 del 20 gennaio-3 febbraio 1993, notificata il 30
agosto 1993, dichiarare la personale separazione dei coniugi C.B. e M.A.I., addebitandola a quest’ultima con assoluzione del marito». Ne consegue infatti che, in
carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell’art. 329, secondo comma cod. proc. civ., l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento
all’addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità implica il passaggio in giudicato del capo
sulla separazione, rendendo esperibile l’azione di divorzio pur in pendenza di detta
impugnazione (Cass. s.u., 3 dicembre 2001 n. 15248).
Alla stregua di tutte le considerazioni sopra svolte deve dunque concludersi, in
conformità a quanto sostenuto anche dal Procuratore generale, che, nel caso di
specie, ricorrono tutti i requisiti per il riconoscimento dell’efficacia della sentenza
emessa il 26 ottobre 1995 dalla Corte Superiore della California, Contea di Orange,
e per la sua trascrizione in Italia, non risultando neppure pendente nel nostro paese
una causa sul medesimo oggetto e tra le stesse parti ed essendo la sentenza in
questione certamente passata in giudicato.
Ne consegue il rigetto della domanda proposta da M.A.I. e la condanna di
quest’ultima, in applicazione del principio della soccombenza, alla rifusione in
favore di C.B. delle spese del procedimento (omissis).
P.Q.M., la Corte, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da
M.A.I. nei confronti di C.B., cosı́ provvede: a) rigetta la domanda proposta da
M.A.I.; b) condanna quest’ultima alla rifusione in favore di C.B. delle spese del
giudizio; c) rigetta la domanda proposta ex art. 96 cod. proc. civ. dal C.B.
458
giurisprudenza italiana
Tribunale di Trieste, decreto 23 settembre 2005
Giudice tavolare, Picciotto
Su ricorso di Santangelo.
Ai sensi dell’art. 12 della convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985 sulla legge
applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, è possibile nel regime tavolare iscrivere
direttamente nei registri un trasferimento immobiliare a favore di un trustee.
È ammissibile in linea di principio il c.d. trust interno, fermo restando il sindacato dell’autorità giudiziaria che, per quanto ispirato a un favor validitatis, deve in
concreto verificare la liceità di tale trust rispetto alle norme imperative e ai principi
cogenti dell’ordinamento italiano. 1*
Il giudice tavolare, letta la domanda proposta dal notaio dott. Furio Dei Rossi
per conto di Santangelo Paolo, quale trustee del trust «Nuvole Bianche», visti gli atti
ed esaminata la documentazione, osserva quanto segue.
Benché l’istituto del trust, inteso in termini necessariamente generali ed astratti,
sia stato recepito dall’ordinamento giuridico italiano fin dal 1º gennaio del 1992,
dopo l’adesione di Regno Unito, Italia ed Australia alla convenzione de L’Aja del 1º
luglio 1985, rimane tuttora aperto il dibattito – che qui non si ritiene necessario
affrontare – sulla natura delle norme cosı́ introdotte: se cioè si tratti di prescrizioni
di diritto uniforme sostanziale, ovvero di regole di diritto internazionale privato,
caratterizzate peraltro da alcune peculiarità direttamente connesse all’originalità
dell’istituto al quale si riferiscono. Le numerose pronunzie giudiziarie di merito,
quasi tutte favorevoli all’applicazione del trust, rendono in parte obsoleta sia questa
problematica, che, piú in generale, la stessa contrapposizione dottrinaria sull’astratta compatibilità dell’istituto con la tradizione giuridica italiana: la diatriba,
dopo un rapido sviluppo caratterizzato da toni di confronto poco consoni ad un
dibattito scientifico, si è piegata su se stessa, senza produrre risultati di sintesi,
acuendo progressivamente le divergenze sino a creare due vere e proprie correnti
in irriducibile contrasto. In ogni caso, il superamento della tesi sulla presunta
irriconoscibilità di un trust interno, conseguente alla qualifica della convenzione
(o meglio, della legge di ratifica) come norma di diritto internazionale privato,
sembra ormai adeguatamente giustificato dalla giurisprudenza di merito (per tutte,
Trib. Bologna, 1º ottobre 2003, Landini c. Trombetti e Sofir s.r.l.).
Numerose ed inequivoche sono peraltro le tracce della penetrazione dell’istituto a livello di prassi applicativa, forense e non: il riferimento al «diritto vivente»,
cosı́ disdegnato da una nota dottrina, fermamente critica nei confronti del trust,
richiede oggi un nuovo grado di apprezzamento, in questo come in altri settori del
diritto. Non ha mancato di sottolinearlo la Suprema Corte di Cassazione (Cass. s.u.,
n. 11096/2002) che, premiando proprio un «orientamento giurisprudenziale – già
diritto vivente – che inquadrava l’assegnazione della casa familiare tra i diritti
* Tra le sentenze citate in motivazione può leggersi in questa Rivista: Trib. Bologna, 1º
ottobre 2003, ivi, 2004, p. 294 ss.
giurisprudenza italiana
459
personali di godimento», ha evidenziato la volontà del legislatore di creare «una
nuova tipologia di atti trascrivibili» proprio al fine di rendere opponibili tali diritti.
Gli sforzi e le linee di tensione, che si possono individuare nei provvedimenti
resi dalla giurisprudenza di merito nei settori piú disparati (dal diritto di famiglia a
quello fallimentare, dal diritto successorio a quello societario), testimoniano della
scelta degli operatori pratici di affrancarsi da posizioni preconcette e di principio
per verificare in concreto l’utilità dello strumento, la liceità e la meritevolezza di
tutela dell’istituto, indubbiamente estraneo al nostro ordinamento giuridico. Non
viene piú colta l’impellente necessità di individuare un concetto unitario di trust, o
di forzare il suo inquadramento nelle figure negoziali tradizionali, con acrobatici
collegamenti tra istituti o delicate operazioni di genetica giuridica, frantumando e
ricomponendo molecole negoziali alla ricerca di una tipizzazione impossibile. Per
quanti sforzi si possano fare, il trust – che pure alberga nell’ordinamento positivo
italiano, per le ragioni sopra esposte – sfugge ad ogni qualificazione, è mutevole
d’assetto, è teleologicamente versatile, dimostrandosi in grado di tutelare, in modo
pieno e soddisfacente, interessi ed obiettivi che fino a ieri potevano essere perseguiti
in maniera parziale, meno diretta o efficace.
Nel caso in esame, si è al cospetto di un atto istitutivo di un trust interno di
scopo, il cui programma negoziale vale a costituire – al tempo stesso – il fine del
trust e la giustificazione dell’atto di trasferimento immobiliare di cui si chiede
pubblicità tavolare: diviene quindi operativo il combinato disposto degli artt. 11
e 13 della convenzione de L’Aja del 1º luglio 1985, che consente al giudice di
vagliare la compatibilità del trust e degli atti collegati (nonché della legge straniera
prescelta dalle parti) con l’ordinamento giuridico italiano; inoltre, la richiesta di
dare pubblicità tavolare al trasferimento immobiliare effettuato a favore del trustee
determina la diretta applicazione, nell’ordinamento giuridico italiano, dell’art. 12
della convenzione.
Al giudice tavolare, nel doveroso controllo di legittimità formale e sostanziale
che caratterizza il suo giudizio, e che gli impone l’accesso diretto e pregnante alla
causa del programma negoziale (accesso di fatto impedito in occasione di un precedente culminato nel rigetto del ricorso tavolare, da parte del giudice tavolare di
Cortina d’Ampezzo, e nel conseguente reclamo al Tribunale di Belluno, nel cui
provvedimento – si ritiene sommessamente – possono leggersi alcuni spunti per una
plausibile decisione favorevole al reclamante, qualora gli elementi portati all’esame
dei giudici fossero stati diversi) ai sensi dell’art. 26 della legge generale sui libri
fondiari, nel testo allegato al r.d. n. 499/1929, viene offerto un punto di osservazione privilegiato, e per certi versi piú ampio di quello del giudizio ordinario, in
quanto sganciato dalla contenziosità ed immerso in un’analisi ufficiosa del programma negoziale.
Questa occasione di approccio al trust consente, considerate anche le peculiarità del caso di specie, di muoversi lungo la strada che prima la giurisprudenza, sulla
scorta della dottrina, e poi il legislatore hanno solcato con i loro provvedimenti,
ponendo in essere un’inarrestabile disgregazione dei tradizionali assetti proprietari.
Questo cammino non può essere qui ripercorso nelle sue singole fasi, che vanno dal
riconoscimento alla successiva regolamentazione della multiproprietà, alla disciplina
dei fondi pensionistici, a quella dei beni gestiti da società fiduciarie, alla cartolarizzazione dei crediti: conviene piuttosto rinviare alla dottrina, ed ai non pochi
provvedimenti giudiziari, che ne hanno individuato i connotati piú importanti in
460
giurisprudenza italiana
termini di atipicità degli istituti, di legittimità delle segregazioni dei patrimoni, di
parcellizzazione del diritto di proprietà, di ampliamento dell’ambito applicativo
della trascrizione. A quest’ultimo riguardo si nota, e se ne farà applicazione concreta con questo provvedimento, che oggetto della pubblicità immobiliare non è di
per sé l’atto, quanto il suo effetto, nel senso che la trascrizione dell’atto è solo
strumentale al fine dell’opponibilità ai terzi della vicenda circolatoria che all’atto
si ricollega. La tassatività delle norme sulla trascrizione (in un parallelismo con il
sistema pubblicitario del libro fondiario che, piú avanti, si avrà modo di verificare
come perfettamente lecito) va riguardata non già sotto il profilo dell’atto, ma sotto
quello degli effetti. L’art. 2645 cod. civ., nello stabilire che deve rendersi pubblico,
agli effetti previsti dall’articolo precedente, «ogni altro atto o provvedimento che
produce in relazione ai beni immobili o a diritti immobiliari taluno degli effetti dei
contratti menzionati nell’art. 2643», pone appunto un principio di tipicità di risultati e non di atti, nel senso che va trascritto (ed in regime tavolare va iscritto)
qualsiasi atto che, pur non rientrando nello schema dei contratti, degli atti o
provvedimenti o delle sentenze indicati nell’art. 2643 cod. civ., tuttavia produca
uno o piú degli effetti ad essi rapportabili. Ma quanto alla tipologia effettuale, già
quasi quarant’anni fa la Suprema Corte di Cassazione (Cass., 11 novembre 1969 n.
3664) aveva esplicitato come gli effetti non dovessero essere del tutto identici a
quelli dei contratti menzionati nell’art. 2643 cod. civ., potendo essere anche e
solamente similari. In logica prosecuzione dell’insegnamento, Cass., 14 novembre
1997 n. 11250, ha poi precisato che merita pubblicità «Il negozio... finalizzato ad
incidere sul regime dominicale della res e, in particolare, su diritti considerati
dall’ordinamento inerenti al bene immobile oggetto della convenzione negoziale
e, pertanto, in assenza di contrario titolo, appartenenti al proprietario – o ai proprietari – dell’immobile medesimo» (nella fattispecie, si trattava della riserva, da
parte del costruttore di uno stabile, del diritto di proprietà del lastrico di copertura
e del relativo ius inaedificandi). In altri termini, tutto ciò che limita e comprime
strutturalmente il diritto reale deve essere suscettibile di pubblicità (in tal senso
anche Cass., 10 gennaio 1994 n. 213 che, avviando a soluzione un contrasto in seno
alla Suprema Corte, ha invocato un’interpretazione estensiva dell’art. 2653 n. 1 cod.
civ., al fine di assentire la trascrizione di una domanda giudiziale diretta ad imporre
il rispetto dei limiti legali della proprietà).
Per quanto sia precisa convinzione del giudice che l’art. 12 della convenzione
operi direttamente nel tessuto normativo interno, consentendo la trascrizione dell’atto di trasferimento della proprietà immobiliare ad un trustee, tuttavia questo
risultato deve essere verificato in concreto, per saggiare il rispetto dei principi
dell’ordinamento giuridico italiano: ciò sia con riguardo alla dimensione di tipicità
del diritto di proprietà in capo al trustee, sia quanto alla trascrivibilità dell’acquisto.
Ma prima di passare all’analisi delle questioni di fatto, vanno ora esplicitati i parametri cui si farà riferimento per l’apprezzamento del programma negoziale e quali
siano i confini dello stesso giudizio di meritevolezza.
Si sostiene infatti da parte di specifica dottrina, la quale ha esaminato l’istituto
del trust interno con riferimento alle varie figure negoziali regolate dall’ordinamento italiano, che all’inquadramento del trust in un negozio atipico, diretto a
realizzare interessi meritevoli di tutela, ostino sia il principio del numerus clausus
dei diritti reali che l’impossibilità, per definizione, di integrare le possibili lacune
negoziali facendo ricorso a figure tipizzate di negozi. Sembra però questa l’occa-
giurisprudenza italiana
461
sione per prendere le distanze da quella «furia tipizzatrice» che suole ricondurre
ogni negozio atipico allo schema tipico ad esso maggiormente somigliante, applicandogli poi brandelli di quella disciplina: l’atipicità del negozio non impone sempre un affanno qualificatorio, un identikit di genetica giuridica, potendo bensı́
l’interprete fermarsi alla mera individuazione, all’interno del negozio atipico, dei
suoi parametri generali (id est: efficacia obbligatoria o traslativa, natura corrispettiva o unilaterale o gratuita, aleatorietà o commutatività, e cosı́ oltre), per poi
adattare al caso di specie le regole generali dell’ordinamento, o quelle che, essendo
comuni alle figure negoziali maggiormente similari a quella atipica, vengono a
rappresentarne impronte indelebili. Non occorrerà quindi una perfetta sincronia
strutturale o effettuale con i negozi tipizzati, ma sarà sufficiente la mera possibilità
di condurre il negozio atipico a categorie apprezzate dall’ordinamento. Si rammenterà, del resto, che la Suprema Corte di Cassazione ha ammesso la configurabilità di
negozi traslativi atipici, purché sorretti da causa lecita, fondandola sul principio
dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 comma 2 cod. civ. (Cass., 9 ottobre
1991 n. 10612).
Le considerazioni che seguono, in ordine alla tipicità del diritto di proprietà del
trustee, saranno esposte quando le esigenze di motivazione richiederanno di affrontare i singoli momenti di emersione della problematica: oltre a quanto già scritto
sulla disgregazione dei tradizionali assetti proprietari, si rinvia alla parte piú strettamente tavolare del presente provvedimento.
Ciò detto quanto all’individuazione dei parametri per l’apprezzamento del
programma negoziale (per la cui approfondita analisi si rinvia oltre), e venendo
ai confini del giudizio di meritevolezza, giova rimarcare come la norma di cui all’art.
1322 cod. civ. vada collocata nella piú modesta cornice che, dopo l’adozione della
Costituzione, le compete secondo parte della dottrina, la quale giunge a parificare
questo giudizio a quello di liceità: l’interprete dovrebbe dunque limitarsi all’esame
della non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al
buon costume. È questa una delle piú condivisibili chiavi di lettura per spiegare la
mancanza di consapevoli apporti giurisprudenziali all’analisi della norma, una volta
abbandonato quel criterio dell’«utilità sociale» che, nella relazione al codice civile,
aveva giustificato la pur contestata adozione della norma. L’analisi sommaria delle
principali e piú recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione in materia
conferma che della norma viene operata una lettura ambigua, tutto sommato rapportabile ad altri e piú ricorrenti istituti, che non a quello – pur ampiamente
sbandierato – della «meritevolezza di interesse» (v. Cass., 5 gennaio 1994 n. 75
che riporta all’assenza di meritevolezza quella che, in realtà, sembra essere l’inidoneità in concreto della causa negoziale; Cass., 20 settembre 1995 n. 9975 che
sanziona, con la nullità per mancata realizzazione di interesse meritevole di tutela,
un negozio che limitava le possibilità del socio di liberarsi delle proprie quote,
ritenendolo però in concreto contrasto con il principio dell’ordinamento che vieta
l’assunzione di obbligazioni di durata indeterminata; Cass., 28 gennaio 2002 n. 982
che ha ritenuto la meritevolezza di una particolarissima pattuizione, in considerazione della «assimilabilità» del negozio atipico alla commissione gratuita).
Se è vero, secondo il tradizionale insegnamento della Corte Costituzionale, che
l’autonomia contrattuale è solo indirettamente tutelata dall’art. 41 Cost. e deve
comunque cedere di fronte a motivi di ordine superiore (economico e sociale)
considerati rilevanti dalla Costituzione, è però altrettanto incontroverso che il per-
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giurisprudenza italiana
seguimento dei valori costituzionali è compito riservato allo Stato, e non ai privati, e
che i principi sovraordinati fungono, riguardo all’autonomia contrattuale, quali
limitazioni inderogabili, piú che come finalità che i contraenti debbano prefiggersi.
Se quindi il trust come tanti altri negozi di importazione extranazionale, non è di
per sé ed in termini assoluti uno strumento idoneo a determinare squilibri «macroeconomici», rimanendo sostanzialmente irrilevante in un’ottica di utilità sociale,
allora coerenza vuole che il sindacato dell’autorità giudiziaria debba concentrarsi
– abbandonando i «massimi sistemi» – sulla liceità in concreto dello strumento
prescelto, per vedere se con la sua adozione ci si sia proposti di derogare a norme
imperative ed a principi generali. Per fare ciò, grazie alle prerogative riconosciute al
giudice tavolare e di cui sopra si è detto, non ci si potrà limitare ad un apprezzamento in negativo, ma si dovranno altresı́ «ricostruire sistematicamente gli effetti»
del negozio, per verificare se essi siano rapportabili a quelli previsti dall’ordinamento giuridico, e se si perseguano ulteriori obiettivi non altrimenti raggiungibili
con gli strumenti ordinari, altrimenti rimanendosi all’interno del fenomeno del
negozio misto, del collegamento negoziale, della frantumazione e ricomposizione
negoziale di cui si è scritto. Che si tratti di una valutazione simile se non uguale a
quella imposta dall’art. 1323 cod. civ. sulla liceità della causa, o se ne diverga
qualitativamente o quantitativamente, è una questione per la cui soluzione si può
fare rinvio alla dottrina che anche recentemente ne ha offerto un’attenta analisi.
Preme solo precisare che con riguardo al trust non appare sussistere il rischio di
globalizzante dominio di una nuova lex mercatoria, in quanto a regolamentare il
trust sono pur sempre i legislatori nazionali, i loro ordinamenti giuridici ed i relativi
apparati giudiziari, e non «gli uffici legali delle grandi multinazionali».
Queste considerazioni sui limiti dell’indagine sulla meritevolezza dell’assetto di
interessi risultano confortate dalla constatazione che l’effetto patrimoniale segregativo, il quale immancabilmente caratterizza il trust, deriva non solo dalle singole
fattispecie negoziali create dai contraenti, ma ancor prima (direttamente ai sensi
dell’art. 11 o, in via mediata, ai sensi dell’art. 2) dalle previsioni normative che la
convenzione dell’Aja impone – nei noti limiti – di riconoscere. Si tratta però – in
forza della previsione di cui all’art. 13 della convenzione – anche di analizzare se la
legge prescelta dalle parti per la regolamentazione del trust sia contraria all’ordinamento giuridico italiano, o sia utilizzata dalle parti per attuare una frode alla legge
nazionale: ma tutto ciò dovrà essere sindacato in una precisa prospettiva, da non
abbandonare a priori. Si rammenterà infatti che, essendo l’adozione di un trust
un’espressione di iniziativa economica di cittadini o di enti (tali essendo i settlors
nell’atto in esame) europei, l’esercizio di questa libertà fondamentale va considerato
legittimo fino a che non si provino (o non vengano colti d’ufficio, quando l’analisi
sia compiuta in un procedimento inaudita altera parte, come quello tavolare) «elementi indicativi di un abuso... nel singolo caso concreto», senza arrestarsi ad «una
valutazione generale ed astratta» (queste espressioni sono utilizzate da organi giudiziari comunitari).
In sintesi: sia l’autonomia negoziale, espressione diretta di libertà fondamentale
garantita dal trattato sull’Unione europea (tutelata a livello costituzionale solo indirettamente, in quanto l’art. 41, comma primo Cost. protegge l’autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della piú ampia libertà di iniziativa economica, che
si esercita normalmente in forma di impresa – Corte Cost., 22-30 giugno 1994, est.
Mengoni, n. 268), la quale si concreti nell’istituzione del trust, sia il riconoscimento
giurisprudenza italiana
463
della legge straniera concretamente regolatrice del rapporto di trust, devono formare oggetto di apprezzamento giudiziario: ma questo giudizio rimane caratterizzato, per utilizzare l’espressione adottata da prestigiosa dottrina, da un «favor
validitatis del trust», fondato – oltre che sulle considerazioni sopra svolte – anche
sugli art. 6 comma 2 (validità della scelta del tipo di trust, qualora disciplinato dalla
legge di rinvio) e 14 (applicabilità extraconvenzionale di leggi piú favorevoli al
riconoscimento di trust) della convenzione.
Fatta questa necessaria premessa, si osserva che quello in esame è un trust c.d.
interno (nazionali essendo i suoi protagonisti, i beni impiegati per la sua istituzione,
il luogo nel quale si realizzerà concretamente l’obiettivo che le parti si sono prefisse), è un trust di scopo, non caritatevole, e senza beneficiario (v. art. 10 del
negozio sull’appartenenza finale dei beni in trust in cui si individuano, tassativamente e senza possibili alternative, nei disponenti stessi i soggetti destinatari finali
del bene immobile trasformato e del denaro eventualmente residuato, una volta
raggiunto (o nell’impossibilità di raggiungere) lo scopo del trust.
Le parti hanno scelto, come legge regolatrice di questo trust, la Trust Jersey Law
1984 as amended 1996, sancendo comunque che le obbligazioni e le responsabilità
del trustee siano disciplinate cumulativamente dalla legge italiana e da quella di
Jersey, devolvendo alla giurisdizione italiana ed alla competenza del foro di Trieste
ogni controversia relativa all’istituzione, alla validità o agli effetti del trust.
Quanto alla sua prima caratteristica, ritiene questo giudice tavolare non piú
dubitabile la possibilità di adottare lo strumento del trust c.d. interno (le argomentazioni dottrinarie e giurisprudenziali a sostegno sono talmente puntuali e diffuse da
poter essere semplicemente richiamate, condividendole, nella coscienza di non
potere ad esse aggiungere nulla di originale), se non foss’altro per non discriminare,
in modo incostituzionale, il cittadino italiano da quello straniero che decidesse di
istituire un trust in tutto e per tutto «italiano» tranne che per la di lui cittadinanza e
per la legge regolatrice. È questo un argomento suggestivo, forse meno profondo
dogmaticamente degli altri comunemente spesi, e pur tuttavia capace di mostrare
con evidenza la sterilità dei tentativi di negare legittimità all’istituto del trust interno.
Con riguardo alla qualifica di trust di scopo, non charitable, si osserva che la
tipologia negoziale è sanzionata con la nullità dal diritto inglese, ma è stata oggetto
di recenti e ripetuti interventi normativi da parte di altri legislatori di common law
nell’ultimo ventennio, nella perpetua rincorsa delle nuove forme di contrattazione e
delle prassi emergenti. La crisi del concetto di charity, per un verso, e la necessità di
individuare (per operazioni di natura per lo piú finanziaria) un «centro di controllo
di un’operazione che non sia al tempo stesso un centro di profitto», hanno determinato il sorgere ed il prolificare di questo schema, all’interno del quale sono già
stati colti alcuni elementi invariabili ed imprescindibili: si tratta della presenza di
uno scopo chiaro e lecito da perseguire; della necessità di un enforcer dotato di
particolari poteri di controllo; dell’assenza di beneficiari, cioè di soggetti dotati dei
poteri e delle prerogative ad essi tradizionalmente spettanti: ciò in quanto di beneficiari, o di destinatari, si potrà parlare al momento in cui – e solo se – l’operazione si sarà perfezionata e lo scopo sarà stato perseguito.
Per adeguarsi ad altri Paesi (Bahamas, Cook Islands, Cipro, Belize, Cayman
Islands, e tanti altri) ed alla tumultuosa normazione in tema di trust di scopo, Jersey
ha emendato la propria già apprezzata legge fondamentale del 1984, inserendo tra
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giurisprudenza italiana
gli altri l’art. 10 A («trusts for non-charitable purposes») al fine di rimuovere la
sanzione di invalidità che, tradizionalmente, affettava i casi di istituzione di un trust
di scopo non caritatevole: ciò ha fatto imponendo – però – la nomina immancabile
di un enforcer che, nel caso di specie, esiste ed è dotato di poteri. La legge in
questione, nel suo complesso, e nelle singole previsioni applicabili alla fattispecie,
non contiene principi o regole contrarie all’ordine pubblico italiano.
Tornando, in modo analitico e non piú solo sistematico, all’analisi del programma negoziale, si osserva che il Comune di Duino-Aurisina e la Fondazione
CRTrieste, con le rispettive dotazioni immobiliare e mobiliare, intendono perseguire lo scopo di realizzare un’area destinata all’accoglienza dei bambini da 3 a 12
mesi (Giardino dei Lattanti), cosı́ da consentire alle famiglie di usufruire di un
nuovo servizio pubblico. Con il pieno trasferimento a suo favore della proprietà
del bene immobile da modificare e degli importi di denaro da impiegare, il trustee
viene investito di quanto gli serve per la realizzazione dello scopo, con precisi
obblighi di rendicontazione, particolarmente puntuali a causa della natura pubblica
del bene immobile e dell’entità dei fondi da impiegare. Le sue prerogative appaiono
quelle tradizionalmente riconosciute in negozi del genere, con l’ovvio divieto – però
– di alienare o diversamente gravare i beni in trust perché ciò determinerebbe
l’irrealizzabilità del programma negoziale.
Sembra del tutto intuibile che questi fini particolari non risultano perseguibili
in altro modo, sia da parte del Comune di Duino-Aurisina che della Fondazione
CRTrieste, se non a mezzo dell’istituzione di un trust.
Quanto all’ente territoriale, la presumibile carenza di fondi, il vincolo posto
dagli strumenti dell’evidenza pubblica, e tutte le implicazioni connesse alla gestione
di fondi pubblici, determinerebbero un irrigidimento delle scelte progettuali ed
esecutive, ed un ovvio allungamento dei tempi di realizzazione. Quanto alla Fondazione CRTrieste, lo scopo in oggetto non poteva essere raggiunto neanche con la
costituzione di una società strumentale, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 153/1999 e
della successiva normativa di settore, e ciò in quanto il bene oggetto dell’intervento
non è di proprietà o in disponibilità esclusiva della Fondazione stessa, bensı́ è bene
pubblico.
Passando al momento di verifica della liceità delle singole previsioni negoziali,
ritiene il giudice tavolare che non emerga alcuna violazione della legge di Jersey, e
pertanto possa dichiararsi in concreto la validità ed efficacia del trust, ai sensi
dell’art. 3 della Trust Jersey Law 1984.
In particolare:
il trust «esiste» in conformità a quanto previsto dall’art. 2 lett. b della Trust
Jersey Law 1984;
vi è un trasferimento effettivo di beni (art. 8), nel rispetto della lex rei sitae
(come si dirà a proposito della peculiare natura del bene immobile), ed in misura
sufficiente per il perseguimento dello scopo (art. 50 n. 1 lett. a);
lo scopo del trust appare lecito e soprattutto ha natura sostanziale – in osservanza della Trust Jersey Law 1984 as amended 1996, nella sua interpretazione
generalmente accettata, che esclude la legittimità di un trust con scopo «interno»
(nel senso che il trust dovrebbe venir meno a causa dell’errore del settlor nel
disporre del beneficial interest) – in quanto lo scopo è quello materiale dell’ingrandimento dell’edificio destinato ad ospitare l’asilo comunale;
giurisprudenza italiana
465
non sussiste l’invalidità di cui all’art. 10, anche perché si tratta di fattispecie
derogatoria, sussumibile nella previsione dell’art. 10 A;
i doveri del guardiano, come quelli del trustee, sono dettagliatamente previsti
nell’atto di trust: rimane una lacuna, integrabile ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., nel
senso che al difetto di espressa previsione dell’obbligo del trustee di consentire al
guardiano di accedere alla documentazione contabile (trattandosi di trust di scopo
non caritatevole) supplisce l’immediata e necessitata applicazione della norma (apparentemente inderogabile) di cui all’art. 25 lett. d, ultimo inciso della Trust Jersey
Law 1984, come novellata (amendement n. 3);
la durata del trust è ampiamente inferiore al secolo;
è prevista la remunerazione del trustee, peraltro in misura non nota;
i rapporti con i terzi e le forme di pubblicità sono adeguatamente disciplinati;
vi è disciplina dettagliata in ordine alla distribuzione dei beni al termine del
trust o in caso di anticipazione o estinzione.
L’atto istitutivo del trust non contiene poi pattuizioni che violino norme inderogabili specifiche o principi precettivi dell’ordinamento italiano: sarebbe mera
esercitazione accademica quella di affrontare la tematica del contrasto del trust
con la norma dell’art. 2740 cod. civ., viste le peculiarità del programma e, soprattutto, della natura del bene immobile e dei soggetti disponenti.
Quanto alla Fondazione CRTrieste, l’attività espletata rientra tra quelle statutarie, nel rispetto della normativa di settore, essendo perseguito uno scopo di chiara
utilità sociale, e in osservanza dei principi di economicità di gestione.
Quanto al Comune di Duino-Aurisina, la natura del bene immobile, appartenente al patrimonio indisponibile dell’ente territoriale, impone una riflessione.
Sembra ormai acquisito, in dottrina e giurisprudenza, che il bene patrimoniale
indisponibile non sia una res di per sé insuscettibile di appartenere ad altri all’infuori della Pubblica Amministrazione, come accade per il demanio; è piuttosto un
bene la cui strumentalità caratterizza e demarca i limiti della sua stessa commerciabilità, nel senso che di esso si può disporre l’attribuzione in godimento al privato
ma solo nel rispetto del pubblico interesse, e sotto forma di un diritto condizionato
(Cass. s.u., 22 novembre 1993 n. 11491 sull’utilizzo della concessione-contratto).
Orbene, il diritto tavolare trasferito in capo al trustee è caratterizzato da indubbia
impronta proprietaria, ma è particolarmente conformato, è funzionalmente vincolato al perseguimento dello scopo, oltre ad essere temporalmente e condizionatamente delimitato. Infatti la vicenda traslativa non trova altra giustificazione se non
quella della sua totale ed assorbente tensione alla realizzazione finale del programma negoziale; il bene trasferito non può essere diversamente utilizzato, non
può essere alienato o diminuito, ed il suo temporaneo e condizionato passaggio di
proprietà non determina la diminuzione o la cessazione dell’attività pubblica, che
viene disimpegnata nella parte di asilo non interessata dai lavori: l’alienazione non è
quindi di ostacolo, ma è finalizzata alla migliore futura realizzazione dell’interesse
pubblico. Si richiamano qui le precisazioni contenute nella delibera del Comune di
Duino-Aurisina (allegato B all’atto istitutivo di trust), in cui si descrive l’obiettivo
della «realizzazione dell’ampliamento in tempi estremamente ridotti rispetto al
normale iter procedurale» grazie all’istituzione del trust, e si attesta che «il trustee
durante l’esecuzione dei lavori di ampliamento... metterà a disposizione del Comune l’attuale sede dell’asilo nido in modo da non incidere sulla funzionalità del
servizio».
466
giurisprudenza italiana
Per queste ragioni, apprezzando le motivazioni che hanno spinto l’amministrazione pubblica a deliberare la stipula del trust e del contestuale atto di trasferimento, si ritiene che non sussista violazione della norma di cui all’art. 828, comma
secondo cod. civ., né la nullità del negozio ex art. 1418 cod. civ.
Terminando, vanno analizzate le problematiche squisitamente tavolari del ricorso in oggetto.
L’atto di trasferimento di proprietà dal settlor al trustee, per un tempo massimo
di due anni dalla data dell’atto costitutivo e salvo il verificarsi di una serie di
condizioni risolutive non meramente potestative, merita – ed anzi impone – la
forma piú completa di pubblicità tavolare, quella dell’intavolazione.
La merita in quanto si è comunque al cospetto di una vicenda derivativocostitutiva inter vivos che non sembra affatto legittimo limitare alla forma meno
pregnante della pubblicità-notizia, sotto forma di annotazione, dovendo piuttosto
culminare nell’intavolazione del diritto reale, in quanto il programma negoziale
stesso lo postula per la realizzazione di fini leciti, e perché lo strumento prescelto
lo consente. La previsione di cui all’art. 12, comma secondo del r.d. n. 499/1929
(sulla applicabilità delle norme che in regime ordinario stabiliscono la pubblicità
immobiliare, «in quanto non vi osti la diversa natura delle iscrizioni») non è di
ostacolo alla pubblicità nel libro fondiario; infatti, quand’anche si negasse l’immediata e diretta operatività dell’art. 12 della convenzione dell’Aja del 1º luglio 1985,
l’effetto ostensivo discenderebbe dalla previsione dell’art. 20 lett. h della legge
generale sui libri fondiari, nel testo allegato al r.d. n. 499/1929, secondo cui deve
formare oggetto di annotazione tavolare qualsiasi «atto o fatto, riferentesi a beni
immobili, per il quale le leggi estese, quelle anteriori mantenute in vigore o quelle
successive richiedano o ammettano la pubblicità – con la precisazione fondamentale
e spesso trascurata – a meno che questa debba eseguirsi nelle forme dell’art. 9 della
presente legge» (ossia sotto forma di iscrizione dei relativi diritti reali). Poiché
siamo al cospetto del trasferimento del diritto di proprietà, ossia del diritto reale
per eccellenza e quindi di un diritto tavolare, tale situazione giuridica soggettiva
deve essere intavolata, e non semplicemente annotata insieme al suo titolo. Se
invero ci si limitasse all’annotazione del titolo, ne deriverebbe che il trustee non
potrebbe disporre (nel caso, retrocedendolo) del diritto reale immobiliare nel modo
piú ampio possibile – pur nei limiti dei poteri e del programma negoziale –, in
quanto non sussisterebbe la «continuità tavolare» tra il soggetto tavolarmente
iscritto e l’alienante trustee, essendo solo annotato l’atto traslativo; ed ancora, un
creditore, il quale non potesse effettuare iscrizioni a peso della proprietà (mai
intavolata o prenotata a nome) del trustee, sarebbe – questo sı́! – un creditore
ingiustamente pregiudicato. Legittima quindi è la richiesta di intavolazione dello
specifico e concreto diritto di proprietà in capo al trustee.
La pubblicità tavolare si impone anche per altra ragione e sotto diversa forma.
Chiunque si trovi ad interferire giuridicamente con questo diritto tavolare – chè tale
è il diritto di proprietà del trustee – deve poter conoscere i suoi limiti e quelli della
legittimazione del suo titolare, ai sensi dell’art. 94, comma primo n. 2 della legge
generale sui libri fondiari, nel testo allegato al r.d. n. 499/1929. La pubblicità di tali
limiti è una esigenza intimamente connessa al sistema tavolare, a garanzia dei traffici
e dei crediti, proprio come lo è lo speculare dovere di rifiutare pubblicità di tutto
ciò che è ultroneo rispetto alle vicende reali o di rilevanza immobiliare. Nel caso di
specie, e senza che ciò possa valere sempre ed in ogni fattispecie di trust, quelle
giurisprudenza italiana
467
pattuite non sono limitazioni di carattere personale, connesse agli specifici rapporti
tra disponenti e trustee, ma veri e propri connotati strutturali del diritto reale, di cui
è doverosa la pubblicità. In altri termini: solo una forma di diritto di proprietà di
queste fattezze è idonea a consentire la realizzazione del programma negoziale che i
disponenti si sono prefissi, e tali sembianze devono essere pubblicizzate in via
diretta ed immediata.
Rimane quindi da precisare se la qualità di trustee in capo all’alienatario debba
essere solo annotata nel foglio B della proprietà, ovvero se debba essere direttamente l’intavolazione nel libro fondiario ad indicare la condizione di trustee dell’acquirente.
Come sopra espresso, ritiene il giudice tavolare che nel caso di specie, in considerazione della speciale provenienza del bene, del programma vincolato, delle caratteristiche del trust di scopo, e quindi per tutte le ragioni sopra evidenziate, si sia al
cospetto di una particolare forma di proprietà che imponga di esplicitare subito e
direttamente i limiti che la caratterizzano: il diritto tavolare, quale risultante dall’atto
istitutivo di trust, deve essere quindi iscritto in capo al trustee in tale qualità. In casi
diversi, nei quali la vicenda traslativa costituisca – ad esempio – il momento piú
rilevante del programma negoziale, e non un mero strumento per il miglior raggiungimento del vero scopo del trust, queste conclusioni potrebbero non essere piú valide,
rimanendo i vincoli mere clausole obbligatorie, non conformanti il diritto reale.
Giova solo precisare che, in regime tavolare, la nota problematica sulla natura
obbligatoria o reale dei vincoli imposti al trustee assume valenza piuttosto teorica.
Infatti al giudice tavolare spetta il potere-dovere di concedere l’iscrizione tavolare
solo se, ai sensi dell’art. 94, comma primo n. 2 della legge generale sui libri fondiari,
nel testo allegato al r.d. n. 499/1929, «non sussiste alcun giustificato dubbio sulla
capacità personale delle parti di disporre dell’oggetto a cui l’iscrizione si riferisce o
sulla legittimazione dell’istante». Qualora, quindi, il trustee decidesse di alienare il
bene costituito in trust senza rispettare i limiti posti a suo carico, ad esempio
cedendolo a terzi diversi dal beneficiario, il giudice tavolare dovrebbe negare l’iscrizione tavolare a favore dell’alienatario, senza porsi tanto il problema della natura
reale o personale dei vincoli violati, afferendo comunque essi alla capacità di disporre del bene: non si dimentichi che il regime tavolare sconosce l’istituto della
vendita a non domino.
Si precisa infine che la disposizione dell’art. 11 della convenzione esonera
dall’indagine sullo status e sul regime patrimoniale familiare del trustee.
Gli elementi negoziali accidentali e tipizzati, quali il termine finale e le condizioni di cui agli artt. 5, 9 e 10 dell’atto di trust, vanno annotati insieme all’atto che li
contiene, ai sensi dell’art. 20 lett. h della legge generale sui libri fondiari, nel testo
allegato al r.d. n. 499/1929.
Tutto ciò premesso, il giudice tavolare, in accoglimento del ricorso, cosı́ decreta: a) escorporare dal ct. 2º della PT. 173 del Comune Censuario di Malchina,
d’iscritta ragione del Comune di Duino-Aurisina, la p.c. 1859/2 pascolo e la p.c.
258 scuola e formare con le stesse il ct. 1º della nuova PT. 2524 del Comune
Censuario di Malchina; b) intavolare il diritto di proprietà del ct. 1º della PT.
2524 del Comune Censuario di Malchina a nome di Santangelo Paolo (...), quale
trustee del trust «Nuvole Bianche», con l’annotazione delle condizioni e dei termini
di cui agli artt. 5, 9 e 10 dell’atto di trust.
468
giurisprudenza italiana
Corte di Cassazione (s.u.), sentenza 28 ottobre 2005 n. 20995
Primo pres. agg., Carbone - Consigliere Rel., Picone - P.M. Calmieri (concl. conf.)
Pistelli (avv. Lotito, Aragiusto) contro Istituto universitario europeo (avv. Giardina, Fanfani).
Dalla convenzione relativa alla creazione dell’Istituto universitario europeo, firmata
a Firenze il 19 aprile 1972, dall’allegato protocollo sui privilegi e sulle immunità,
nonché dall’accordo di sede fra l’Istituto e il Governo italiano del 10 luglio 1975, risulta
riconosciuta all’Istituto, oltre alla soggettività internazionale, anche l’immunità dalla
giurisdizione dello Stato ospitante relativamente al rapporto di lavoro dei dipendenti; né
tale immunità contrasta con l’art. 24 della Costituzione, poiché è previsto il ricorso ad
una apposita Commissione e l’eventuale successivo intervento della Corte di giustizia
delle Comunità europee. 1*
Ritenuto in fatto. 1. La Corte di Appello di Firenze, con la sentenza sopra
specificata (4 luglio 2002, n.d.r.), ha rigettato l’impugnazione di Paola Pistelli contro la sentenza del Tribunale della stessa sede (n. 258 del 20 novembre 2000), con la
quale era stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano sulla controversia promossa nei confronti dell’Istituto universitario europeo – I.U.E. – per la
tutela di diritti derivanti dal rapporto di lavoro di addetta all’amministrazione
dell’ente (accertamento della natura subordinata del rapporto, qualificato come
autonomo dal 3 settembre 1994 al 31 ottobre 1994; dell’illegittimità della trasformazione a tempo parziale dal 1º aprile 1995; dell’invalida apposizione di termini di
durata ai contratti, con conseguente illegittimità della cessazione delle prestazioni
disposta dal 6 febbraio 1998; della corrispondenza delle mansioni alla qualifica BIV
dall’8 gennaio 1996).
2. La Corte di Firenze ha dichiarato di non condividere le argomentazioni che
sostengono la decisione assunta dalla Corte di Cassazione, a sezioni unite, con la
sentenza 18 marzo 1999 n. 149, dichiarativa della giurisdizione del giudice nazionale in relazione a controversia di lavoro promossa da dipendente dello stesso
Istituto. Secondo il giudizio della Corte territoriale, l’immunità dalla giurisdizione
italiana dell’I.U.E. sussisterebbe perché: la norma consuetudinaria par in parem non
habet iurisdictionem trova applicazione anche per le organizzazioni internazionali,
secondo numerose decisioni delle stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, e,
nella specie, veniva in considerazione un rapporto di lavoro costituito nell’ambito
delle finalità istituzionali dell’I.U.E. e si domandavano statuizioni incidenti sull’or* Tra le sentenze citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: Cass. s.u., 18
marzo 1999 n. 149, ivi, 2000, p. 472 ss.; Cass. s.u., 15 marzo 1999 n. 138, ivi, 2000, p. 788 s.
(breve); Cass. s.u., 18 marzo 1999 n. 150, ivi, 2000, p. 789 s. (breve); Cass. s.u., 9 settembre
1997 n. 8768, ivi, 1998, p. 816 ss.; Cass. s.u., 12 marzo 1999 n. 120, ivi, 2000, p. 134 s.;
Cass. s.u., 7 novembre 2000 n. 1150, ivi, 2002, p. 187 s. (breve); Cass. s.u., 27 gennaio
1977 n. 400, ivi, 1978, p. 346 ss.; Cass. s.u., 22 maggio 1991 n. 5794, ivi, 1992, p. 612
ss. (breve); Cass. s.u., 12 gennaio 1996 n. 174, ivi, 1997, p. 121 ss.; Cass. s.u., 23 gennaio
1990 n. 376, ivi, 1991, p. 493 ss. (breve); Corte Cost., 27 giugno 1996 n. 223, ivi, 1996, p.
795 ss.
giurisprudenza italiana
469
ganizzazione dell’ente; la convenzione istitutiva dell’Istituto e l’allegato protocollo,
nonché il successivo accordo di sede, attribuivano l’immunità dalla giurisdizione
dello Stato ospitante, contemplando i privilegi e le immunità necessarie alla missione, attribuendo allo statuto il potere di definire la disciplina del personale e di
prevedere una Commissione dei ricorsi quale unico organo deputato a dirimere le
controversie di impiego, con adeguate garanzie di indipendenza;
risultava, soprattutto, sancita l’immunità dalle esecuzioni e l’immunità dalla
giurisdizione del paese ospitante, in generale, degli organi e dei dipendenti disciplinati dallo statuto (categoria nella quale era compresa la Pistelli).
3. La cassazione della sentenza è domandata da Paola Pistelli con ricorso per
tre motivi; resiste con controricorso l’Istituto universitario europeo. Sono state
depositate dalle due parti memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Considerato in diritto. 1. Il ricorso è articolato in tre motivi: con il primo
si denuncia che erroneamente è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del
giudice italiano nell’assunto che fosse garantita all’I.U.E. immunità dalla giurisdizione; con il secondo si deduce che, alla stregua delle mansioni espletate, le domande proposte in giudizio esulavano comunque dall’area della c.d. immunità
ristretta garantita agli Stati esteri ed enti internazionali, siccome non incidenti sui
poteri d’imperio; con il terzo si afferma che non era garantita la fruizione di istituti
di tutela adeguati, alternativi alla giurisdizione dello Stato italiano.
Seguono, poi, numerose considerazioni relative alla fondatezza nel merito delle
pretese azionate, evidentemente non esaminabili in sede di impugnazione, mediante
ricorso per cassazione, di una statuizione declinatoria della giurisdizione.
2. I tre motivi vanno esaminati unitariamente perché attinenti all’unica questione della giurisdizione.
Nel nucleo essenziale, la ricorrente riprende le argomentazioni che sostengono
la decisione con la quale queste Sezioni Unite, decidendo in sede di regolamento
preventivo, hanno dichiarato sussistere la giurisdizione del giudice nazionale sulle
controversie di lavoro tra l’I.U.E. e i suoi dipendenti (Cass. s.u., 18 marzo 1999 n.
149), ribadendo l’orientamento anche nella motivazione della, pressoché coeva,
sentenza 15 marzo 1999 n. 138 (relativa alla Scuola europea di Varese-Ispra), e
ciò sul rilievo che all’Istituto, sebbene soggetto di diritto internazionale, le fonti
scritte non garantivano l’immunità dalla giurisdizione.
Questa precisazione è sufficiente per ritenere destituita di fondamento la richiesta del controricorrente di dichiarare inammissibile il ricorso per difetto di
specificità dei motivi, trattandosi di questione la cui soluzione è determinata dall’interpretazione di norme di diritto, perfettamente identificate dal ricorso.
3. Il ricorso va però ritenuto privo di fondamento.
Queste Sezioni Unite, infatti, a tanto sollecitate anche dalle articolate difese
dell’Istituto resistente e dalle argomentazioni che sostengono le conclusioni del
Pubblico Ministero, ritengono di dovere sottoporre a revisione la soluzione data
in precedenza alla questione di giurisdizione, per ragioni, peraltro, che per larga
parte confermano l’elaborazione della sentenza n. 149/1999 e, di conseguenza, non
coincidono interamente con l’apparato motivazionale della sentenza impugnata,
sostanzialmente condiviso dal controricorso.
4. A norma dell’art. 10, primo comma della Costituzione, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente ricono-
470
giurisprudenza italiana
sciute e da questa norma la giurisprudenza fa derivare l’immunità degli Stati esteri
dalla giurisdizione italiana, in base ad una consuetudine internazionale intesa al
rispetto dell’altrui sovranità. Tale immunità riguarda i rapporti giuridici estranei
all’ordinamento italiano, o perché gli Stati stranieri agiscono come soggetti di diritto
internazionale o perché agiscono come titolari di una potestà di imperio nell’ordinamento proprio ossia come enti sovrani.
5. L’immunità contuetudinaria si estende agli altri soggetti che rivestono, in senso
ampio, la qualità di organi dello Stato estero (enti pubblici, comunque denominati:
vedi Cass. s.u., 18 marzo 1999 n. 150; 12 giugno 1999 n. 331), compresi, in particolare, gli enti e istituti di carattere culturale (vedi Cass. s.u., 26 maggio 1994 n. 5126;
Académie de France à Rome; 9 settembre 1997 n. 8768; 12 marzo 1999 n. 120, Ecole
française de Rome; 9 ottobre 1998 n. 9995, The British Institute of Florence).
6. I confini dell’area dell’immunità sono segnati dalla non riconducibilità degli
atti ai poteri sovrani, compiuta cioè non iure imperii ma iure gestionis.
Con riguardo a questa distinzione e con specifico riferimento ai rapporti di
lavoro, dopo alcune incertezze, la giurisprudenza di queste Sezioni Unite si è
orientata nel senso che, nei confronti degli enti estranei all’ordinamento italiano
perché enti di diritto internazionale e immuni dalla giurisdizione, il giudice italiano
è titolare della potestà giurisdizionale per tutte le controversie inerenti a rapporti di
lavoro che risultino del tutto esterni alle funzioni istituzionali e all’organizzazione
dell’ente, costituiti, cioè, nell’esercizio di capacità di diritto privato (vedi Cass. s.u.,
7 novembre 2000 n. 1150); per gli altri rapporti, il medesimo giudice è carente della
potestà giurisdizionale atta ad interferire nell’assetto organizzativo e nelle funzioni
proprie degli enti, mentre può emettere provvedimenti di contenuto esclusivamente
patrimoniale. Ed ha precisato ulteriormente che, tra i provvedimenti di natura
esclusivamente patrimoniale, non può comprendersi la sentenza di condanna ad
un pagamento che debba essere logicamente preceduta da un accertamento del
danno da interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con prestazioni lavorative attinenti ai fini istituzionali dell’ente datore di lavoro: infatti tale
sentenza, una volta passata in giudicato, farebbe stato sia sull’obbligo di pagare, sia
(questione pregiudiziale logica) sull’obbligo di ricevere a tempo indeterminato le
prestazioni lavorative (Cass. s.u., 15 aprile 2005 n. 7791).
7. La norma consuetudinaria, peraltro, può essere derogata per volontà dello
stesso soggetto avente titolo all’immunità, mediante la stipula di convenzioni con le
quali si assoggetta senza limiti, generalmente in un ambito determinato, alla giurisdizione italiana, e, per lo piú, questo avviene distinguendo, nelle convenzioni, fra
dipendenti a statuto internazionale e dipendenti a statuto locale, i primi inseriti
nell’organizzazione propriamente pubblicistica dello Stato straniero ed i secondi
assunti per i bisogni locali di mano d’opera e per il soddisfacimento di esigenze
materiali, perciò non immuni, bensı́ assoggettati ai giudici dello Status fori (Cass.
s.u., 27 gennaio 1977 n. 400; 22 maggio 1991 n. 5794; 12 gennaio 1996 n. 174).
8. Le problematiche sopra descritte in sintesi sono divenute però piú complesse, specialmente in tempo recente, quando con frequenza sempre maggiore
sono apparsi sulla scena dell’ordinamento internazionale soggetti diversi dagli Stati
ed operanti, rispetto a questi, in posizione di maggiore o minore indipendenza. Si
tratta delle organizzazioni internazionali che gli Stati hanno costituito soprattutto
dopo la seconda guerra mondiale, onde soddisfare esigenze prima non avvertite, o
almeno non abbastanza avvertite, nella comunità delle genti.
giurisprudenza italiana
471
Per questi enti si pone, in primo luogo, il problema se debba essere riconosciuta
la personalità di diritto internazionale e la conseguente capacità di instaurare rapporti
giuridici anche con gli Stati. In difetto di esplicite definizioni pattizie, i caratteri
distintivi della personalità vengono sovente individuati proprio nelle immunità e
privilegi conferiti; si ritiene, tuttavia, che la capacità di partecipare a certe relazioni
e di essere centro di imputazione di effetti nell’ordinamento internazionale, sulla base
delle previsioni delle convenzioni istitutive, non comporta in tutti i casi l’equiparazione agli Stati, potendo anche accadere che all’organizzazione non sia garantita
l’immunità dalla giurisdizione nazionale (questa evenienza è stata riscontrata per la
Scuola europea di Varese-Ispra – istituita da alcuni degli Stati appartenenti all’Unione
europea: Cass. s.u., 15 marzo 1999 n. 138; 23 gennaio 1990 n. 376).
9. Fondamento di tale convincimento è che, per le organizzazioni internazionali
sicuramente in possesso della personalità di diritto internazionale, non è sicura la
formazione di una consuetudine che permetta di estendere a tutte il principio par in
parem non habet iurisdictionem, operante tra gli Stati e implicitamente richiamato
nell’art. 10, primo comma Cost.
Nell’impossibilità di porre su un piano di parità assoluta Stati ed organizzazioni
internazionali, privilegi ed immunità spettanti a queste possono derivare cosı́ solo
da specifiche fonti scritte e per il tramite dell’art. 11 Cost.
Queste fonti sogliono consistere non soltanto in accordi tra Stati, ossia tra i
soggetti che costituiscono l’organizzazione e che vengono chiamati Stati contraenti,
ma anche nei cosiddetti «accordi di sede», stipulati fra l’organizzazione, priva di un
proprio territorio, e lo Stato in cui essa stabilisce la sua sede, principale o secondaria. Tali accordi, oltre a rendere certi i rapporti con lo Stato ospitante, riguardano
bensı́ la complessiva condizione giuridica dell’organizzazione e le garantiscono
meglio l’autogoverno, ma a tal fine non stabiliscono necessariamente l’immunità
giurisdizionale, oppure la limitano con riferimento alle funzioni istituzionali o ai
beni destinati agli usi ufficiali.
10. Sulla base di queste premesse, queste Sezioni Unite affermarono, con la
sentenza n. 149 del 1999, il principio secondo cui l’attribuzione all’I.U.E., nella convenzione ratificata, della capacità di concludere accordi con governi statali, comporta
bensı́ il riconoscimento di una soggettività giuridica internazionale, che però non basta
ad equipararla ad uno Stato estero, tanto da assicurarle l’immunità giurisdizionale alla
stregua del principio par in parem non habet iurisdictionem, implicitamente recepito
attraverso l’art. 10 Cost. Tale immunità deve necessariamente risultare, espressamente
o per implicito, dalle norme pattizie internazionali relative all’organizzazione, oppure
da norme della legislazione nazionale compatibili con la Costituzione.
11. A tale principio di diritto va certamente data continuità. È, invece, l’approfondimento della verifica in concreto del se all’Istituto universitario europeo sia
stata, sulla base delle fonti scritte, garantita l’immunità dalla giurisdizione italiana,
con la previsione di adeguati strumenti di tutela per la risoluzione delle controversie, che conduce ad un esito difforme dal precedente indicato.
Il quadro normativo è costituito: a) dalla l. 23 dicembre 1972 n. 920 – Ratifica ed
esecuzione della convenzione relativa alla creazione di un Istituto universitario europeo, firmata a Firenze il 19 aprile 1972, con allegato protocollo sui privilegi e sulle
immunità – nel testo risultante dalla convenzione ratificata con l. 28 ottobre 1994 n.
637; b) d.p.r. 13 ottobre 1976 n. 990 – Esecuzione dell’accordo di sede tra il Governo
472
giurisprudenza italiana
della Repubblica italiana e l’Istituto universitario europeo, con allegati, firmato a Roma
il 10 luglio 1975 e del relativo scambio di note, effettuato a Firenze il 25 marzo 1976 –.
12. Le norme della convenzione attribuiscono all’Istituto personalità giuridica
(art. 1) e piena capacità giuridica in ciascuno degli Stati contraenti (art. 28), ne
definiscono i compiti (art. 2), impegnano gli Stati contraenti a prendere tutte le
misure atte a facilitare il compimento della missione dell’Istituto, nel rispetto della
libertà di ricerca e di insegnamento (art. 3). Ma è solo l’art. 4 ad interessare
specificamente il tema dell’immunità: «L’Istituto e il suo personale godono dei
privilegi e delle immunità necessari al compimento della loro missione, in conformità del protocollo allegato alla presente convenzione e che ne costituisce parte
integrante. L’Istituto conclude con il governo della Repubblica italiana un accordo
sulla sede, approvato all’unanimità dal Consiglio superiore». Assume rilevanza
anche l’art. 6, che pone al vertice dell’Istituto il Consiglio superiore, composto di
rappresentanti dei Governi degli Stati contraenti, cui conferisce il potere di adottare
i regolamenti di organizzazione e, in particolare, lo statuto del personale, atto che
deve definire il meccanismo secondo il quale saranno risolte le controversie tra
l’Istituto e i beneficiari dello statuto (par. 5 lett. c). È anche importante sottolineare
che i procedimenti volti alla revisione della convenzione possono avviarsi solo su
parere conforme del Consiglio superiore (art. 33).
Da considerare pure il disposto dell’art. 29: «Le controversie che possono
sorgere tra gli Stati contraenti o tra uno o piú Stati contraenti e l’Istituto sull’applicazione o sull’interpretazione della convenzione, e che non hanno potuto essere
risolte dal Consiglio superiore vengono, a richiesta di una parte della controversia,
sottoposte ad arbitrato. In questo caso il Presidente della Corte di giustizia delle
Comunità europee designa l’organo arbitrale che dovrà comporre la controversia.
«Gli Stati contraenti si impegnano ad eseguire le decisioni dell’organo arbitrale».
13. Le riferite disposizioni della convenzione non sembrano riconoscere all’Istituto soltanto la soggettività internazionale, ma anche l’immunità dalla giurisdizione dello Stato ospitante. Le conferme decisive sono contenute nelle disposizioni,
rilevanti nella controversia, dell’allegato protocollo sui privilegi e sulle immunità
dell’Istituto universitario europeo, idonee a specificare e chiarire la previsione
generale del menzionato art. 4 della convenzione.
13.1. Non attengono propriamente al problema della giurisdizione, ma contribuiscono a chiarire il quadro complessivo disegnato dalle norme e lo status riconosciuto all’I.U.E., le disposizioni concernenti le norme sostanziali da applicare al
personale dipendente. Ai sensi dell’art. 11 della convenzione, il regime delle prestazioni di sicurezza sociale è definito dallo statuto; dispone poi l’art. 3 dell’accordo
di sede: «Le leggi della Repubblica italiana sono applicabili all’interno della sede
dell’Istituto, fatti salvi la convenzione, il protocollo, il presente accordo, nonché le
norme emanate dal Consiglio superiore ai sensi dell’art. 6 della convenzione».
13.2. L’art. 1 attribuisce il beneficio dell’immunità di esecuzione nell’ambito delle
sue attività ufficiali (definite, dall’art. 17, come comprendenti il funzionamento amministrativo, le attività d’insegnamento e di ricerca), esclusa la materia della circolazione stradale, quanto ai danni (ma solo per le azioni civili) e alle infrazioni, nonché
l’esecuzione di decisioni arbitrali o giurisdizionali contemplate da disposizioni della
convenzione o del protocollo e fatto salvo il potere del Consiglio superiore di rinuncia
al beneficio in casi particolari, mediante deliberazione assunta all’unanimità.
giurisprudenza italiana
473
Va osservato al riguardo che, se è vero che, in linea generale, l’esclusione dalla
soggezione ad esecuzione forzata non è immunità dalla giurisdizione, ma questione
di merito da far valere nei procedimenti di esecuzione, la formulazione della norma
sembra, però, presupporre proprio l’immunità dalla giurisdizione; convince di ciò il
riferimento non ai beni ed averi impiegati, ma alle attività istituzionali; alle azioni
civili in materia di danno da circolazione stradale (non all’esecuzione derivante
dall’esercizio dell’azione); al riconoscimento degli effetti vincolanti delle pronunce
giurisdizionali o arbitrali solo se emanate secondo le previsioni dello statuto internazionale; al potere di rinunciare al «beneficio».
L’interpretazione, secondo cui l’immunità dall’esecuzione per le attività ufficiali
esprime il piú ampio concetto di esenzione dal vincolo derivante dall’intervento
delle giurisdizioni nazionali, trova significativa conferma nella presenza di una
disposizione apposita relativamente ai beni ed averi dell’Istituto, che non possono
essere oggetto di alcun provvedimento di coercizione amministrativa o preliminare
a un giudizio, come requisizione, confisca, espropriazione o sequestro conservativo,
eccetto che nei casi in cui opera l’esclusione del beneficio di cui all’art. 1 (art. 3).
13.3. A parte altre norme (inviolabilità dei locali e degli edifici dell’Istituto: art. 2;
immunità e privilegi concessi ai rappresentanti degli Stati contraenti ed ai loro consiglieri che partecipano alle riunioni del Consiglio superiore dell’Istituto, assimilati al
personale diplomatico: art. 7; generale rinvio ai trattamenti riservati alle organizzazioni internazionali), rilievo decisivo assumono le previsioni dell’art. 9, da leggere in
correlazione sempre con l’art. 4 della convenzione, a termini delle quali il presidente,
il segretario generale, i membri del corpo insegnante e i membri del personale
dell’Istituto godono, anche dopo aver cessato di essere al servizio dell’Istituto, dell’immunità di giurisdizione per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni
ed entro i limiti delle loro attribuzioni (fatta eccezione anche in questo caso della
materia della circolazione stradale). Non sembra possibile leggere in modo riduttivo
la disposizione attribuendole il significato che l’immunità dalla giurisdizione concerna
organi e personale, ma non l’Istituto, eventualmente per atti che gli sono imputati.
Sembra evidente che l’immunità dalla giurisdizione degli organi e del personale
rappresenta un’estensione dell’immunità garantita innanzi tutto all’Istituto. Come
dimostrano, del resto, le disposizioni che, dopo avere avvertito che le immunità e i
privilegi sono concessi alle persone fisiche non nel loro interesse personale, ma
dell’Istituto, riconoscono agli organi dell’Istituto medesimo la disponibilità dell’immunità, potendo decidere di toglierla (art. 14). Nello stesso ordine di principi si
inserisce il potere (art. 13) di distinguere, nello statuto del personale e con deliberazione assunta all’unanimità, i dipendenti che beneficiano delle immunità e dei privilegi e quelli esclusi, in tutto o in parte, dai benefici (secondo l’accertamento di merito,
la disposizione è stata attuata con la distinzione, operata dallo statuto del personale,
tra i collaboratori amministrativi «agenti», «agenti temporanei» ed «agenti ausiliari»
– categoria quest’ultima di appartenenza della Pistelli – tutti «beneficiari dello statuto», e «agenti locali», esclusi dai benefici e assoggettati alla giurisdizione competente in base alla legislazione vigente a Firenze).
L’argomento merita di essere chiuso con l’osservazione che la lettura riduttiva
porterebbe all’illogica conseguenza che l’Istituto potrebbe essere convenuto dal
dipendente dinanzi alla giurisdizione italiana, ma non potrebbe a sua volta convenirlo dinanzi alla stessa giurisdizione per lo stesso rapporto controverso, in rela-
474
giurisprudenza italiana
zione agli atti compiuti nell’esercizio delle attribuzioni e funzioni istituzionali (se
non provvedendo a togliere l’immunità).
14. L’indagine, però, non può considerarsi completata se non verificando la
conformità dell’immunità dell’I.U.E. dalla giurisdizione italiana al principio costituzionale della tutela giudiziaria (art. 24 Cost.). Ed infatti, Cass. s.u., n. 149/1999 afferma
che «la tutela giurisdizionale costituisce un principio cardine dell’ordinamento» (richiamando Cass. s.u., n. 12614 del 1998). Ora, tale principio cardine cede di fronte al
principio consuetudinario par in parem non habet iurisdictionem, riferito agli Stati, in
quanto il principio riflette l’eguale sovranità delle organizzazioni statali che costituisce
fondamento universalmente accettato dalla comunità internazionale, al quale la nostra
Costituzione dichiara di sottomettersi (art. 10). Ma una tale prevalenza non ha piú
giustificazione quando il sacrificio del «principio cardine» della Costituzione discende, non già dal fondamento dello stesso ordine internazionale, ma da un impegno
liberamente assunto dalla nostra Repubblica attraverso la sottoscrizione di una convenzione. In questo caso, proprio la necessità che l’impegno assunto si traduca in una
legge di ratifica per essere vincolante per i giudici, porta in primo piano i principi
fondamentali dell’ordinamento costituzionale, con i quali l’impegno deve essere compatibile, pena l’invalidità della legge di ratifica (vedi Corte Cost., n. 223 del 1996).
Di conseguenza, l’esclusione in radice del diritto degli interessati alla tutela
giurisdizionale dinanzi ad un organo indipendente delle situazioni giuridiche nascenti in un certo ambito dei rapporti, deve indurre a dubitare della legittimità
costituzionale della legge di ratifica di convenzioni recanti simili previsioni, ovvero,
ove sia possibile, a pervenire a risultati interpretativi costituzionalmente orientati.
14.1. Ma diverso discorso è a farsi per una convenzione che preveda soltanto la
sottrazione della cognizione di quelle situazioni al giudice italiano, tuttavia preoccupandosi di assicurare la tutela giurisdizionale delle stesse situazioni dinanzi a
giudice imparziale e indipendente, sia pure scelto con procedure e criteri diversi da
quelli vigenti nell’ordinamento nazionale. In tal caso non ricorre alcun vulnus di
«principi-cardine» della nostra Costituzione e non vi è ragione di non applicare la
convenzione, id est la legge che la ratifica.
Orbene, dall’esame della convenzione istitutiva dell’I.U.E. risulta che, accanto
all’esplicita affermazione dell’immunità dalla giurisdizione italiana per quanto attiene ai rapporti di lavoro del personale non locale, sono apprestati strumenti di
adeguata tutela giurisdizionale.
14.2. La previsione della convenzione (art. 6 par. 5 lett. c), secondo cui lo
statuto deve definire il meccanismo secondo il quale saranno risolte le controversie
tra l’Istituto e i beneficiari dello statuto medesimo, è stata attuata nel senso che,
esauriti i reclami interni, è concessa all’interessato istanza ad una Commissione, i cui
membri sono scelti dal Consiglio superiore da un elenco formato da un organismo
giurisdizionale internazionale.
La previsione della convenzione già appare sufficiente per ritenere che lo
strumento di composizione delle controversie sia stato previsto come esclusivo della
competenza giurisdizionale nazionale, non certo quale mero rimedio interno. La
conferma definitiva, comunque, la si trae dall’allegato n. 2 alla stessa convenzione,
nella parte in cui prevede che le disposizioni dell’art. 6 par. 5 lett. c non escludono
la possibilità che il Consiglio superiore designi la Corte di giustizia delle Comunità
europee – previa consultazione del Presidente di quest’ultima – quale istanza chiamata a dirimere le controversie tra l’Istituto ed il suo personale.
giurisprudenza italiana
475
La possibilità di sostituire alla competenza della Commissione, istituita dallo
statuto, la Corte di giustizia CE rivela definitivamente l’intento di attribuite all’istanza non la natura di mero rimedio interno, sperimentato il quale resta aperto
l’accesso alla tutela giurisdizionale, ma di mezzo esclusivo, di natura giurisdizionale,
della risoluzione delle controversie con i dipendenti.
14.3. I dati richiamati consentono perciò di confutare l’affermazione della
sentenza n. 149/1999, secondo cui sarebbe stato previsto un mero organo di giustizia interna, e un rimedio alternativo rispetto alla giustizia statale, o anche facoltativo, affermazione che, a ben guardare, ha rappresentato il fulcro di quella decisione. L’organo di risoluzione delle controversie, come si è constatato, è una vera e
propria istanza giurisdizionale. La scelta dei membri della Commissione all’interno
di un elenco formato da organismi giurisdizionali internazionali soddisfa i requisiti
di indipendenza e terzietà dell’organo deputato alla risoluzione delle controversie
tra il personale e l’Istituto, organo, come si è detto, considerato equivalente alla
Corte di giustizia CE. L’istituto, del resto, è stato creato da paesi aderenti all’Unione europea per valorizzare il patrimonio culturale dell’Europa e le sue tradizioni
costituzionali, nonché le sue istituzioni; non poteva, quindi fondarsi su di una
convenzione in contrasto con un valore cardine dell’istituzionalità europea e del
suo ius cogens, valore consacrato dall’art. 6 par. 2 del trattato sull’Unione europea
(come modificato dal trattato di Amsterdam: Gazz. Uff., 6 luglio 1998 n. 155, suppl.
ord.) – letto in connessione con l’art. 6 della CEDU e l’art. 46 lett. d dello stesso
trattato UE (si veda anche l’art. 14, patto sui diritti civili e politici) – e dall’art. II-47
par. 2 della carta fondamentale dei diritti dell’Unione.
15. Sulla base delle considerazioni svolte, pertanto, e tenuto conto che nella
controversia non è neppure prospettabile il limite dell’immunità ristretta, considerate le mansioni svolte dalla Pistelli e la natura delle domande, tutte non meramente
patrimoniali (vedi le considerazioni svolte al n. 6), il ricorso va rigettato e dichiarato
il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Sussistono, evidenti, giusti motivi per
compensare interamente le spese e gli onorari del giudizio di Cassazione.
P.Q.M., la Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso e dichiara il difetto di
giurisdizione del giudice italiano; compensa interamente le spese e gli onorari del
giudizio di cassazione.
Tribunale di Torino, sentenza 21 novembre 2005
Giudice unico, Rossi
Banco Nacional de Commercio Exterior s.n.c. (Bancomext) (avv. Speranza, Emanuele) contro Impresa de Telecomunicaciones del Cuba s.a. (Etecsa) (avv. Weigmann, Cravetto),
SA Telefonica Antiliana (Telan) (avv. Guadagnino) e Intesa BCI s.p.a. (avv. Jorio).
La presenza di una clausola arbitrale in un contratto di finanziamento funzionalmente collegato a un contratto di deposito contenente una clausola di scelta del foro a
476
giurisprudenza italiana
favore di un giudice italiano non fa venir meno la giurisdizione italiana in relazione
alle controversie sull’adempimento del contratto di deposito; stante l’autonomia della
causa dei due contratti il lodo arbitrale sul contratto di finanziamento non determina
effetti vincolanti nel giudizio relativo al contratto di deposito ad esso accessorio
dovendosi accertare gli effetti del decreto della Repubblica cubana invocato quale
causa di forza maggiore alla luce di quanto dispone il contratto di deposito e le
ripercussioni che possano determinarsi in conseguenza delle vicende del contratto di
finanziamento; l’impugnazione presso la Cour d’Appel di Parigi del lodo arbitrale
dichiarato efficace nell’ordinamento italiano e ivi non piú soggetto ad impugnazione
nel merito non rende necessaria una sospensione del procedimento relativo all’adempimento del contratto di deposito.
In presenza di una clausola contrattuale che disciplina espressamente l’evento
«forza maggiore» in maniera conforme a quanto previsto dalla legge italiana scelta
dalle parti come regolatrice del contratto, non costituisce factum principis configurante causa di forza maggiore un decreto governativo indirizzato esclusivamente a due
società controllate dallo Stato e volto a determinare la liberazione delle società dalle
obbligazioni da esse assunte, mancando i requisiti della generalità del provvedimento
e della estraneità dell’evento rispetto alla sfera giuridica del debitore.
Svolgimento del processo. Con ricorso cautelare proposto ex art. 700 cod.
proc. civ., depositato in data 30 maggio 2002, Bancomext esponeva:
che, in data 11 febbraio 2000, stipulava un contratto di deposito a garanzia –
denominato Escrew Agreement – soggetto al diritto italiano ed alla giurisdizione del
foro di Torino, con cui Telan ed Etecsa, società controllate dalla Repubblica cubana, garantivano la restituzione, con fondi destinati a transitare su tre conti accesi
presso Intesa BCI, dei finanziamenti erogati da Bancomext al Banco Nacional de
Cuba (da ora «Bancuba»), controllato totalitariamente dalla Repubblica cubana, in
base sia al contratto di apertura di credito, stipulato in data 25 novembre 1994, per
USD 350.000.000, sia a quello stipulato in data 5 marzo 2002 per USD
211.231.000;
che, secondo le intese inter partes, i conti in questione sarebbero stati alimentati
con i corrispettivi dovuti a Etecsa, quale concessionaria del servizio telefonico
cubano, da vari operatori internazionali per il traffico telefonico con la Repubblica
cubana;
che, a tal fine, in data 7 marzo 2002, Etecsa impartiva agli operatori telefonici
istruzioni di versare tali corrispettivi nel conto n. 9932216 01 (Cash Flow Account),
acceso presso Intesa BCI, dichiarando che tali istruzioni erano irrevocabili e non
potevano essere modificate senza il consenso di Bancomext;
che, con decreto in data 30 aprile 2002, testualmente motivato da un disaccordo rispetto a posizioni politiche assunte dal Segretario delle relazioni esterne del
Messico, il Consiglio dei ministri della Repubblica cubana disponeva che le obbligazioni assunte nei confronti di Bancomext da Telan e Etecsa dovessero intendersi
«senza vigore ed effetto»;
che Etecsa e Telan comunicavano a Bancomext di non poter eseguire l’Escrew
Agreement dalla data di emissione di tale decreto;
che, con lettera del 14 maggio 2002, Intesa BCI informava Bancomext di aver
ricevuto da Telan e Etecsa comunicazione secondo la quale il contratto si sarebbe
giurisprudenza italiana
477
risolto, nonché istruzioni di agire in deroga a quanto ivi pattuito relativamente ai
fondi depositati nei predetti conti;
che il 6 giugno 2002, Bancomext esercitava le facoltà rispettivamente previste
dagli artt. 9 e 14 dei contratti di apertura di credito in data 25 novembre 1994 e 5
marzo 2002, dichiarando anticipatamente esigibili i finanziamenti erogati;
che, il 10 giugno 2002, scadeva la rata di pagamento dovuta da Bancuba a
Bancomext in base al contratto di finanziamento, pari a USD 30.693.140,80, rata
che non era ancora stata pagata alla data di deposito del ricorso;
che, successivamente al decreto del Consiglio dei ministri della Repubblica
cubana, si tenevano incontri tra Bancuba e Bancomext che non avevano successo
non essendo individuata alcuna forma di garanzia del credito di Bancomext equivalente a quelle concesse da Telan e Etecsa o comunque altro modo di assicurare
negozialmente il rimborso del credito di Bancomext.
Tutto ciò esposto, Bancomext chiedeva al Tribunale di:
«Ordinare a Intesa BCI s.p.a. (...) ex art. 700 cod. proc. civ. di non dare
esecuzione ad alcun ordine di pagamento, prelevamento, trasferimento o comunque disposizione da parte di Telan e Etecsa a qualsiasi altro soggetto relativamente
alle somme depositate in tutti i conti descritti in narrativa e di ogni altro conto di
cui queste ultime sono titolari presso Intesa BCI s.p.a., eccezion fatta per i movimenti di fondi interni al descritto meccanismo di garanzia (cioè trasferimenti dal
Cash Flow Account all’Escrew Account I nonché dall’Escrew Account I all’Escrew
Account II) e per il trasferimento di fondo dall’Escrew Account II a Bancomext;
Nella denegata ipotesi di rigetto della domanda di cui al punto 1 che precede,
disporre ex artt. 670 e/o 671 cod. proc. civ. il sequestro di tutti i conti descritti in
narrativa e di ogni altro conto di cui Etecsa e Telan sono titolari presso Intesa BCI;
adottare, comunque, qualsiasi altro provvedimento che, in base alle descritte
circostanze, appaia idoneo a tutelare i diritti di Bancomext e ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (...)».
Etecsa e Telan si costituivano in giudizio e chiedevano il rigetto delle domande
proposte dal ricorrente, eccependo, in via preliminare, l’esistenza di una clausola
arbitrale prevista espressamente nel contratto di cessione dei diritti e nel contratto
d’apertura di credito.
Intesa BCI assumeva di serbare un atteggiamento di estraneità rispetto alla
controversia insorta tra le parti che avevano sottoscritto il contratto di deposito e
di mandato nei suoi confronti e dichiarava di ritenersi vincolata alle istruzioni
originarie e di derogarvi solo su eventuale esplicita indicazione dell’autorità giudiziaria. Chiedeva in ogni caso che «l’eventuale misura cautelare riguardi ogni movimentazione n. 9932216 01 (Cash Flow Account), n. 9932216 02 (Escrew Account I),
n. 9935004 01 (Escrew Account II) e riguardi esclusivamente tali conti, con conseguente esclusione di qualsiasi altro conto posto in essere presso la Banca ed acceso
dalle società Etecsa e Telan».
Con ordinanza 9 luglio 2002, il giudice di prime cure riteneva infondata l’eccezione preliminare rilevando che nei contratti di conto corrente avviati secondo i
meccanismi e le previsioni del contratto di deposito non erano inserite clausole
arbitrali e, nel merito, respingeva il ricorso osservando che Bancomext e gli altri
contraenti del contratto di apertura di credito avevano espressamente pattuito, tra
le cause che ne determinavano la risoluzione anticipata, anche l’emanazione di un
provvedimento del Governo cubano che impedisse l’ulteriore corso degli obblighi
478
giurisprudenza italiana
di Etecsa e Telan (cfr. art. 9.8 del contratto di apertura di credito). Rilevava, altresı́,
che l’art. 17 del contratto di deposito prevedeva, quale evento di forza maggiore,
tale da escludere la responsabilità per inadempimento contrattuale «una legge, un
regolamento, un decreto o un ordine, una direttiva, una richiesta o un requisito
imposto da un’Autorità competente (in ciascuno dei casi avente o meno forza di
legge)». Concludeva, pertanto, affermando che: «Appare conforme al tenore letterale e al contenuto di tali pattuizioni ritenere che le parti abbiano previsto e
negozialmente disciplinato l’ipotesi che si verifichino cause di risoluzione anticipata
del contratto e quindi del connesso meccanismo di restituzione del finanziamento
tramite cessione dei dividendi a Bancomext; tra queste cause inclusa l’emanazione
di un provvedimento del Governo cubano, tale da interferire sul meccanismo di
rimborso del credito, proprio del tipo di quello che è stato adottato».
Bancomext proponeva reclamo avverso l’ordinanza 9 luglio 2002 e il Tribunale,
con provvedimento 12 agosto 2002, in parziale accoglimento, statuiva che il decreto
cubano non potesse che produrre effetti nel periodo successivo alla sua data di
emanazione, con la conseguenza che Etecsa e Telan dovevano ritenersi tenute «al
puntuale rispetto degli obblighi assunti nel contratto di deposito» sino a tale data.
Autorizzava quindi «il sequestro conservativo su tutti i beni mobili ed immobili,
crediti anche presso terzi di Telan ed Etecsa, sino alla concorrenza di euro
33.000.000,00 per capitale, interessi e spese».
Con atto di citazione notificato in data 7 ottobre 2002, Bancomext deduceva
che:
l’Ecc.mo Collegio, in sede di reclamo, aveva esaminato con un approccio particolarmente prudente – giustificato dai tempi ristretti e dalla sommarietà della fase
cautelare – i rapporti tra le controparti ed il Governo della Repubblica di Cuba ai
fini della qualificazione del decreto cubano quale causa di forza maggiore e dell’interpretazione dell’art. 17 del contratto di deposito;
che, invece, in un giudizio a cognizione piena, sarebbe stato accertato che il
decreto cubano non costituisce una causa di forza maggiore, anche per l’assenza del
requisito dell’estraneità in quanto «l’ordine di non adempiere (era stato) impartito.
dal soggetto coincidente con il debitore»;
che l’art. 17 del contratto di deposito non contiene alcun elemento che differenzi la nozione di causa di forza maggiore ivi prevista da quella legale;
che comunque, se interpretato in modo da includere il decreto cubano, lo
stesso art. 17 sarebbe nullo in quanto diretto a rendere efficace nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che è contrario all’ordine pubblico.
Chiedevano, quindi, al tribunale: «In via principale: dichiararsi che il decreto
del Governo cubano del 30 aprile 2002 non costituisce causa di risoluzione dell’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000, come successivamente modificato, e che
pertanto tale contratto è tuttora efficace ed operante tra le parti, ed in conseguenza:
dichiararsi tenute e condannarsi le società Telan ed Etecsa, e per quanto di ragione,
la Intesa BCI a riprendere a dare piena esecuzione all’Escrew Agreement dell’11
febbraio 2000, in conformità alle clausole tutte in esso contenute, e ciò fino alla
totale estinzione del credito di Bancomext verso Bancuba per i finanziamenti di cui
è causa; condannarsi altresı́ Telan ed Etecsa, in via solidale tra loro, al pronto ed
immediato pagamento in favore di Bancomext di tutte le somme da esse versate e
versande o che avrebbero dovuto essere versate in conformità all’Escrew Agreement
giurisprudenza italiana
479
dell’11 febbraio 2002 sui conti presso Intesa BCI fino al momento dell’effettiva
ripresa dell’esecuzione dell’Escrew Agreement medesimo.
In via subordinata: dichiararsi tenute e condannarsi Etecsa e Telan, in via
solidale tra loro, al pronto e immediato pagamento in favore di Bancomext delle
somme versate, versande o che avrebbero dovuto essere versate sui conti dell’Escrew Agreement fino alla data del 30 aprile 2002, nella misura determinanda alla
stregua delle risultanze di causa.
In ogni caso: dichiarare tenute e condannarsi Telan ed Etecsa, in via solidale tra
loro, al risarcimento di tutti i danni (...)».
Etecsa si costituiva in giudizio e, sul piano processuale, segnalava che essa
convenuta e Telan avevano dato corso al procedimento arbitrale che governa la
risoluzione delle controversie per quanto riguarda sia il contratto principale di
finanziamento sia il contratto di cessione dei crediti di Telan. Evidenziava, altresı́,
che Bancomext si era costituito in tale procedimento svolgendo, in via riconvenzionale, domande dirette:
alla dichiarazione che l’emissione del decreto non esimerebbe Etecsa e Telan
dall’adempiere le loro obbligazioni contrattuali;
alla condanna di Etecsa e Telan a dare corso al meccanismo dell’Escrew Agreement;
domanda di condanna di Etecsa e Telan a consegnare a Bancomext le somme
depositate anteriormente all’emissione del tecreto sui conti Escrew I e Escrew II in
conformità a quanto previsto contrattualmente.
Assumeva, inoltre, che il contratto di deposito non è autonomo rispetto al
contratto principale bensı́ ne costituisce strumento accessorio e dipendente, sicché
i conti aperti da Etecsa presso Intesa BCI non sono che atti esecutivi degli impegni
stabiliti nel contratto di finanziamento.
Sosteneva, pertanto, che l’indagine volta ad accertare se Etecsa è ancora tenuta
a mantenere in vita gli impegni presi nel contratto di finanziamento esulava dalle
competenze del Tribunale di Torino, coinvolgendo l’esame di clausole di un contratto che le parti non avevano inteso sottomettere al giudice ordinario. Aggiungeva, in ogni caso, che il Tribunale di Torino non poteva esaminarle per avere
Bancomext proposto le stesse questioni in via riconvenzionale al Collegio arbitrale.
Nel merito riteneva che i vincoli delle parti relativamente al contratto di deposito erano venuti meno:
«1) per essere Etecsa sciolta dalle obbligazioni assunte nel contratto di finanziamento;
2) ed, in ogni caso, per quanto riguarda il deposito, per essere divenuta impossibile la prestazione di Etecsa e comunque per essersi verificata una delle cause
determinanti, per accordo tra le parti, la risoluzione del contratto».
Concludeva, pertanto, chiedendo al Tribunale: «In via principale
dichiarare inammissibili (in quanto devolute a competenza arbitrale) e/o respingere le domande di Bancomext;
revocare il sequestro conservativo autorizzato il 12 agosto 2002;
In via riconvenzionale:
accertare e/o dichiarare l’intervenuta risoluzione del contratto di deposito e per
l’effetto dichiarare che Etecsa può liberamente disporre delle somme depositate su
tutti i conti a sé intestati ed intrattenuti presso Intesa BCI;
480
giurisprudenza italiana
ordinare a Intesa BCI di accreditare tali somme secondo le indicazioni di
Etecsa;
condannare Bancomext a risarcire a Etecsa i danni da questa subiti per le cause
di cui in narrativa, nonché ex art. 96, secondo comma cod. proc. civ. in misura che
ci si riserva di indicare in corso di causa, se del caso procedendo alla liquidazione
anche in via equitativa».
Telan si costituiva ritualmente in giudizio, evidenziava la pendenza della procedura arbitrale ed eccepiva la carenza di giurisdizione del Tribunale adito. In
subordine, chiedeva al Tribunale di disporre la sospensione del giudizio ex art.
295 cod. proc. civ. Nel merito, previa chiamata del terzo Intesa BCI che veniva
autorizzata dal giudice con differimento dell’udienza di prima comparizione, chiedeva al Tribunale di accogliere le seguenti conclusioni:
«Respingere le domande attrici, per quanto necessario, accertata e dichiarata la
risoluzione dell’Escrew Agreement pronunciando liberatoria ex art. 1463 cod. civ. di
Telan dalle obbligazioni poste a suo carico dal medesimo.
In ogni caso, anche nei confronti della convenuta Intesa BCI, anche nell’ipotesi
di sospensione del giudizio, pronunciata la revoca/nullità del concesso sequestro
conservativo, emettere gli opportuni provvedimenti per assicurare il ripristino della
situazione antecedente al medesimo, ed ordinare ad Intesa BCI s.p.a. di restituire a
Telan le somme giacenti sui conti correnti presso di lei, per quanto di ragione.
Dichiarare tenuta e condannare Bancomext alla rifusione dei danni provocati a
Telan, da liquidarsi in separato giudizio».
All’udienza di prima comparizione, Intesa BCI si costituiva in giudizio evidenziando la propria estraneità alla controversia, sottolineando di essersi limitata ad
adempiere le proprie obbligazioni di Escrew Agreement e dichiarando di «rimettersi
al provvedimento che il sig. Giudice riterrà di assumere».
Le parti, su loro istanza, venivano autorizzate a comunicare comparse ex artt.
170 e 180 cod. proc. civ.; alle convenute e alla terza chiamata veniva altresı́ assegnato il termine perentorio per proporre le eccezioni processuali e di merito non
rilevabili d’ufficio.
Alla prima udienza di trattazione, il Giudice istruttore non poteva esperire il
tentativo di conciliazione non essendo presenti le parti personalmente. Le convenute Telan e Etecsa insistevano nell’istanza di sospensione del procedimento, stante
la pendenza del giudizio arbitrale in corso tra le parti. Chiedevano, in ogni caso, la
fissazione dei termini ex art. 183, comma quinto cod. proc. civ.
Con ordinanza riservata 11 dicembre 2003, il Giudice istruttore concedeva
termine per il deposito della traduzione asseverata dei documenti prodotti dalle
convenute Etecsa e Telan e rinviava la causa per i medesimi incombenti al 27
gennaio 2004.
Con ordinanza riservata 3 febbraio 2004 il Giudice istruttore, visto l’art. 7
comma 3 della l. 31 maggio 1995 n. 218, sospendeva il processo in attesa della
definizione del procedimento arbitrale radicato con domanda 19 novembre 2002
dinanzi al Tribunale internazione di arbitrato della Camera di Comercio Internazionale.
In data 29 ottobre 2004, Bancomext proponeva ricorso per la prosecuzione del
giudizio e depositava il lodo (poi modificato per la correzione di un errore materiale
con addendum 6 dicembre 2004, anch’esso emesso su istanza di Etecsa e Telan).
Il Giudice istruttore fissava quindi udienza di prosecuzione del giudizio in data
giurisprudenza italiana
481
15 dicembre 2004, all’esito della quale, con ordinanza riservata 16 dicembre 2004,
fissava i termini ex art. 183, ultimo comma cod. proc. civ.
Con le rispettive memorie ex art. 183, quinto comma cod. proc. civ., Etecsa e
Telan hanno sostenuto che il lodo, nella parte in cui le dichiarava tenute ad adempiere le obbligazioni di cui ai contratti di finanziamento e di cessioni dei diritti, non
influiva sulle domande svolte nel presente giudizio, in quanto esse riguardano altro
e diverso contratto – quello di deposito – su cui gli arbitri non si sono espressi per
esser le relative questioni di esclusiva competenza del Tribunale di Torino. Hanno
pertanto concluso che le domande da esse convenute proposte nel presente giudizio
potevano permanere come avanzate. Assumevano che, al contrario, il lodo comportava una riduzione nel petitum delle domande proposte da Bancomext, avendo
parte attrice proposto davanti agli arbitri domanda diretta alla condanna di Etecsa a
versare sui conti Escrew I e Escrew II quegli importi che avrebbero dovuto essere
versati su tali conti dopo l’emanazione del decreto e fino alla totale estinzione.
Bancomext con la prima memoria richiamava integralmente le domande proposte con l’atto di citazione. Con la memoria di replica asseriva che del tutto
immotivato era l’invito di Etecsa e Telan a ridimensionare il petitum nel presupposto di una parziale coincidenza tra le domande di quest’ultimo accolte dagli arbitri e
quelle proposte al Tribunale.
Assumeva, infatti, che la domanda diretta la pagamento in proprio favore delle
somme versate o versande o che avrebbero dovuto essere versate in conformità
dell’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000 sui conti presso Intesa BCI fino al
momento dell’effettiva ripresa dell’esecuzione dell’Escrew Agreement «pur potendo, riguardare un identico ‘‘bene della vita’’ (ossia le somme che in esecuzione
del lodo, Etecsa e Telan devono depositare nei conti accesi presso Intesa BCI), ... è
basata sull’Escrew Agreement, contratto che è pienamente efficace per le ragioni piú
volte esposte in questo giudizio. Pertanto, fermo restando che non potrà ricevere
due volte la stessa somma in sede di esecuzione del lodo e della sentenza, Bancomext non ha motivo di rinunciare ad una pronuncia di questo Ecc.mo Tribunale
sulla domanda sopra indicata».
Assegnati ulteriormente i termini per le deduzioni istruttorie, 14/18 aprile
2005, il Giudice istruttore respingeva le istanze istruttorie e fissava udienza di
precisazione delle conclusioni.
Sulle conclusioni come in epigrafe trascritte, precisate all’udienza del 22 giugno
2005, il Giudice istruttore assumeva la causa a decisione previa concessione dei
termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. per il deposito degli scritti defensionali.
Motivi della decisione. 1. Sull’eccezione di carenza di giurisdizione. L’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla convenuta Telan è priva di fondamento.
Sul punto appare pienamente condivisibile quanto statuito dal Tribunale di
Torino, nella fase cautelare in sede di reclamo, con ordinanza 12 agosto 2002:
«L’indubbio collegamento funzionale tra il contratto di apertura di credito ed il
contratto di deposito in garanzia (collegamento oggetto di espressa volontà delle
parti: cfr. clausola 10 dell’Escrew Agreement che prevede la prevalenza delle disposizioni del contratto di finanziamento in caso di controversia sui diritti ed obblighi
scaturenti dal contratto di deposito), non impedisce al singolo contratto di conservare la propria causa autonoma: nel caso in esame è evidente l’intento di conservare
482
giurisprudenza italiana
l’individualità di ciascun tipo negoziale (l’apertura di credito, il deposito a garanzia)
nonostante il nesso di reciproca interdipendenza che unisce teleologicamente i
negozi. Tale volontà è confermata dalla espressa previsione, nella clausola 22 dell’Escrew Agreement, di una diversa regolamentazione, rispetto al contratto preminente, della legge applicabile e della giurisdizione: le controversie relative al deposito in garanzia sono devolute all’autorità giudiziaria italiana, ed in particolare al
Tribunale di Torino, ed il contratto deve essere interpretato ed applicato in conformità al diritto italiano. Non vi sono dubbi – e l’intera impostazione del ricorso
introduttivo e del reclamo lo conferma – che l’azione cautelare introdotta da Bancomext investa l’esecuzione degli accordi contenuti nel contratto di deposito: la
sussistenza della giurisdizione di questo Tribunale non può essere messa in discussione per il solo fatto che il contratto azionato si inserisce in un’operazione mirante
ad un risultato economico unitario, che trae origine da un contratto sottoposto alla
clausola compromissoria» (pp. 4 e 5 dell’ordinanza 12 agosto 2002 – doc. 3 di parte
attrice).
Le argomentazioni svolte dal Tribunale nell’ordinanza 12 agosto 2002, peraltro
condivise e fatte proprie dalla pronuncia arbitrale, non possono che essere integralmente richiamate atteso che il thema decidendum dell’azione di merito è incentrato sull’accertamento degli effetti prodotti dal decreto n. 273, emesso dal Governo cubano, rispetto all’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000, e sulle conseguenze che ne derivano quanto agli obblighi contrattuali e risarcitori in capo alle
parti.
Alla luce delle considerazioni svolte, l’eccezione di carenza di giurisdizione deve
essere respinta.
2. Sulla sospensione. Telan, nelle conclusioni precisate all’udienza del 22 giugno
2005, ha proposto una nuova richiesta di sospensione del presente giudizio sino
all’esito del procedimento arbitrale, giacché il lodo risulta essere stato impugnato
avanti la Corte d’Appello di Parigi.
A prescindere dai rilievi che è stata la sola Etecsa – e non anche Telan – a
proporre un ricorso per l’annullamento ex artt. 1502 e 1504 del nuovo codice di
procedura francese dinanzi alla Corte d’Appello di Parigi, che sempre la sola Etecsa
ha proposto opposizione ex art. 840 cod. proc. civ. al decreto che ha accordato
esecuzione al lodo arbitrale di cui è causa, e che Etecsa non ha richiesto la sospensione del presente giudizio, appaiono assorbenti, per escludere la necessarietà della
sospensione, le considerazioni che il lodo 26 luglio 2004 è stato dichiarato efficace
nel nostro ordinamento; che non è piú soggetto ad impugnazione nel merito e che
risulta, in ogni caso, definitivo e vincolante per volontà espressa dalle parti all’art.
12.1 del contratto di finanziamento, clausola che statuisce che il lodo sarebbe stato
«definitivo ed obbligatorio per le parti».
Ciò posto non appaiono sussistere i presupposti per disporre l’invocata sospensione.
3. Sull’individuazione delle domande. Etecsa assume che sia le domande svolte
in via di principalità da Bancomext nel presente giudizio («...condannarsi altresı́
Telan ed Etecsa, in via solidale tra loro, al pronto ed immediato pagamento in
favore di Bancomext di tutte le somme da esse versate e versande o che avrebbero
dovuto essere versate in conformità all’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000 sui
conti presso Intesa BCI fino al momento dell’effettiva ripresa dell’esecuzione dell’Escrew Agreement medesimo...», sia quelle svolte in via subordinata («...Dichia-
giurisprudenza italiana
483
rare tenute e condannarsi Telan ed Etecsa, in via solidale tra loro, al risarcimento di
tutti i danni patiti e patiendi da Bancomext per le causali di cui in narrativa, danni
da liquidarsi in corso di causa alla stregua delle acquisende risultanze istruttorie e/o
in via equitativa...») corrispondano esattamente a quelle che Bancomext ha proposto nel procedimento arbitrale (condanna di Etecsa a versargli gli importi depositati
sui conti prima dell’emissione del decreto, nonché – anche a titolo risarcitorio – gli
importi che, se il decreto non fosse intervenuto, avrebbero dovuto essere versati sui
conti Escrew I e Escrew II dopo l’emanazione del decreto e fino alla totale estinzione dei crediti di Bancomext).
L’assunto di parte convenuta Etecsa non può essere condiviso.
Si osserva, infatti, che le domande proposte in via riconvenzionale da Bancomext nel procedimento arbitrale vertono esclusivamente sulle obbligazioni derivanti dai contratti di finanziamento e dal contratto di cessione dei diritti e non,
invece, sul contratto di deposito di cui è causa.
Inoltre, in relazione alla domanda diretta ad ottenere la condanna al pagamento
di somme di denaro depositate prima dell’emanazione del decreto n. 273 sui conti
Escrew I e Escrew II («ordinarsi alle attrici di consegnare a Bancomext le somme
depositate prima dell’emanazione del decreto n. 273, in conformità ai meccanismi
di rimborso previsti nei contratti di finanziamento» – vedi lodo arbitrale a p. 27 –),
il lodo arbitrale ha statuito che è il Tribunale di Torino competente a pronunciarsi
sul momento della liberazione delle risorse sequestrate e sul loro trasferimento al
beneficiario («Pretendere allora che sia questo Tribunale ad imporre al giudice
italiano il trasferimento e la consegna a Bancomext dei fondi esistenti sul conto
Escrew I e sul conto Escrew II, attualmente sequestrati per ordine del Tribunale di
Torino nella fase iniziale di un procedimento giudiziale, comporterebbe un’indebita
intromissione nel campo di azione di detta autorità, in contraddizione con la mancanza di competenza a pronunciarsi con riguardo al suddetto procedimento – sia
per l’aspetto cautelare che per quello di merito – di cui si è già detto nel risolvere il
Quesito n. 1» – vedi lodo arbitrale a p. 152).
La domanda di risarcimento dei danni proposta nel procedimento arbitrale
(«Condannarsi le attrici al risarcimento dei danni e dei pregiudizi equivalenti alle
somme che avrebbero dovuto pagare per ottemperare ai contratti di finanziamento,
insieme con gli interessi generati dalle stesse») si fonda, invece, sull’inadempimento
degli obblighi che scaturiscono dal contratto di finanziamento ed è dunque autonoma e distinta rispetto a quella proposta nel presente giudizio di condanna di
Etecsa e Telan al pagamento delle somme versate, versande o che avrebbero dovuto
essere versate in adempimento dell’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000, domanda che trova la sua fonte, per l’appunto, nell’adempimento delle autonome,
seppur funzionalmente collegate, obbligazioni assunte dalle parti con la sottoscrizione dell’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000.
Invero le due domande possono astrattamente riguardare un «identico bene
della vita» – come d’altra parte osservato da Bancomext – proprio per l’esistenza
del collegamento funzionale esistente tra i due contratti: il contratto di finanziamento prevede, infatti, che Bancuba provveda al pagamento del credito o in fondi
con disponibilità immediata presso il domicilio o mediante versamento sul conto
che Bancomext indichi a Bancuba e Telan per iscritto in conformità con il meccanismo stabilito nel conto Escrew II. L’Escrew Agreement – cosı́ come il contratto di
cessione di diritti – si pongono dunque quali negozi accessori rispetto al contratto
484
giurisprudenza italiana
di finanziamento, in funzione di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni in
esso assunte da Bancuba. Tale collegamento funzionale, pur non facendo venir
meno l’autonomia strutturale dei due contratti, comporta che le sorti e le vicende
del negozio principale possano produrre degli effetti su quello accessorio. Occorrerà, dunque, nel presente giudizio tenere in considerazione l’esistenza del collegamento negoziale per verificare quali siano i suoi eventuali effetti in relazione alle
domande proposte nel presente giudizio fondate sul contratto di deposito, senza
che tale collegamento possa ritenersi avere precluso l’esame di tali domande.
Si osserva, infine, che lo stesso Collegio arbitrale – proprio considerando i titoli
in base ai quali le domande sono state proposte – si è limitato a condannare le
società cubane all’adempimento delle obbligazioni di fare e non fare nascenti dai
contratti di finanziamento e di cessione dei diritti che si pongono quale presupposto
ai fini dell’adempimento degli obblighi nascenti dall’Escrew Agreement (ovvero per
Etecsa condanna a specificare gli importi e i periodi corrispondenti agli utili in
valuta accreditati a favore di Telan a partire dall’emissione del decreto n. 273,
nonché le risorse percepite mensilmente dai Carriers e a trasferire sul conto Escrew
II l’ammontare degli utili in valuta accreditati a Telan per i quali Etecsa aveva
omesso il versamento sul predetto conto o, in caso di inadempimento a tali obbligazioni, la condanna a depositare sul conto Escrew I, per ciascuno dei periodi
mensili che sono indicati, la somma minore tra i ricavi provenienti dai Carriers
per il traffico telefonico internazionale con Cuba certificati dal revisore dei conti
esterno di Etecsa e la sesta parte di capitale e interessi corrispondenti cronologicamente in base al programma di ammortamento).
Ciò posto la pronuncia arbitrale non comporta alcuna riduzione del petitum
quanto alle domande di condanna al pagamento delle somme versate, versande o
che avrebbero dovuto essere versate sui conti dell’Escrew Agreement fino alla
emanazione del decreto n. 273 e di risarcimento del danno.
4. Sui rapporti tra il lodo e la presente controversia. Bancomext assume che «Il
lodo determina effetti vincolanti nel presente giudizio con riguardo sia agli accertamenti di fatto compiuti dal Tribunale arbitrale, sia alla qualificazione giuridica del
decreto cubano».
L’assunto attoreo non può essere condiviso sia per quanto già statuito in punto
carenza di giurisdizione ovvero che: «L’indubbio collegamento funzionale tra il
contratto di apertura di credito ed il contratto di deposito in garanzia (collegamento
oggetto di espressa volontà delle parti: cfr. clausola 10 dell’Escrew Agreement che
prevede la prevalenza delle disposizioni del contratto di finanziamento in caso di
controversia sui diritti ed obblighi scaturenti dal contratto di deposito), non impedisce al singolo contratto di conservare la propria causa autonoma: nel caso in
esame è evidente l’intento di conservare l’individualità di ciascun tipo negoziale
(l’apertura di credito, il deposito a garanzia) nonostante il nesso di reciproca interdipendenza che unisce teleologicamente i negozi» (vedi ordinanza del Tribunale di
Torino 12 agosto 2002), sia per quanto ulteriormente sottolineato dal lodo arbitrale.
La pronuncia arbitrale, infatti, dopo aver fatto proprie le argomentazioni svolte
dall’ordinanza del Tribunale di Torino 12 agosto 2002 in punto carenza di giurisdizione, ha ulteriormente precisato che «Tutto quanto precede, di per sé sufficiente al diniego della competenza del Tribunale arbitrale ad occuparsi della con-
giurisprudenza italiana
485
troversia proposta da Bancomext davanti al Tribunale di Torino, è rafforzato dalle
seguenti considerazioni:
a) Il par. 22 dell’Escrew Agreement attuale (legge applicabile e giurisdizione)
non circoscrive l’ambito della giurisdizione italiana ai conflitti con l’agente Escrew:
il suo ambito è piú ampio e inoltre, esclusivo: «Le parti del presente contratto
convengono che la giurisdizione per qualunque fattispecie o procedimento relativo
a questo Accordo potrà essere esercitata solo dinanzi al tribunale competente di
Torino, Italia» (enfasi aggiunta).
b) Il par. 10 del contratto qui menzionato, denominato, come si è detto,
«limitazione di responsabilità», prevede – secondo l’opinione del Tribunale –
una prelazione di pattuizioni che il giudicante deve osservare per determinare i
diritti e le obbligazioni delle parti secondo l’Escrew Agreement attuale, senza che da
esso possa discendere il trasferimento della competenza dal giudice all’arbitro per
tale determinazione.
A quanto riportato ai precedenti punti 5 e 6, bisogna aggiungere, ulteriormente, che contrariamente al contratto di finanziamento e al contratto di cessione
di diritti, l’Escrew Agreement attuale regola in maniera specifica il tema della «forza
maggiore» nel suo par. 17, clausola che dovrà essere interpretata alla luce delle leggi
italiane, normativa estranea a quella prevista per l’analisi di merito affidata a questo
Tribunale» (lodo pp. 42 e 43).
Dalle considerazioni svolte dal collegio arbitrale si evince in modo chiaro che
l’oggetto dei due procedimenti è distinto nel titolo, vertendo quello arbitrale sui
contratti di finanziamento e cessione dei diritti e quello in esame sul contratto di
deposito (che – tra l’altro – contiene una clausola che disciplina espressamente la
forza maggiore), e che le parti non hanno voluto limitare l’ambito della giurisdizione italiana ai soli conflitti con l’agente Escrew – Intesa BCI, ma lo hanno voluto
invece estendere a qualunque fattispecie o procedimento relativo all’Escrew Agreement.
Tali osservazioni, che si condividono, comportano che il procedimento arbitrale non possa produrre in modo automatico «effetti vincolanti nel presente giudizio con riguardo sia agli accertamenti di fatto compiuti dal Tribunale arbitrale sia
alla qualificazione giuridica del decreto cubano» dovendosi, invece:
– accertare quali siano gli effetti che il decreto cubano produce sull’Escrew
Agreement, alla luce di quanto disposto dall’art. 17 del testo contrattuale rubricato
«forza maggiore»;
– verificare singolarmente quali possano essere le ripercussioni che le vicende
relative al contratto di finanziamento e di cessione dei crediti possano produrre sul
contratto di deposito oggetto del presente giudizio alla luce del nesso di interdipendenza che unisce teleologicamente i negozi.
5. Sulla nozione di «forza maggiore» alla luce dell’Escrew Agreement dell’11
febbraio 2000. L’esame della nozione della esimente della «forza maggiore», cui le
parti hanno inteso far riferimento nell’Escrew Agreement, deve essere condotto
avendo presente che l’art. 17 del regolamento contrattuale disciplina espressamente
l’evento della forza maggiore e che, ai sensi dell’art. 22, i contraenti hanno individuato nel diritto italiano la legge secondo la quale deve essere interpretato e applicato il contratto.
L’art. 17 dell’Escrew Agreement rubricato «forza maggiore» cosı́ recita: «Nessuna delle parti del contratto sarà responsabile per l’inadempimento ai propri
486
giurisprudenza italiana
doveri ed obbligazioni derivanti dal presente contratto nel caso in cui ciò sia dovuto
al verificarsi di un evento di forza maggiore per l’intera durata dell’evento.
Ai sensi del presente articolo, per «forza maggiore» si intende un atto divino,
un atto da parte di un pubblico nemico, una guerra civile, un’insurrezione, un
embargo, un incendio, un diluvio, un’esplosione, un terremoto, un incidente, un’epidemia, una legge, un regolamento, un decreto o un ordine, una direttiva, una
richiesta o un requisito imposto da un’autorità competente (in ciascuno dei casi
avente o meno forza di legge), uno sciopero, una controversia sindacale o ogni altra
causa al di fuori del controllo delle parti del contratto».
La clausola contrattuale richiamata, dopo aver enunciato al primo comma che
l’evento della forza maggiore è causa di esclusione della responsabilità per l’inadempimento delle parti ai doveri e obblighi derivanti dal contratto, al secondo
comma indica cosa si intenda per «forza maggiore». Dalla lettura della disposizione
si evince, peraltro, che le parti non hanno definito la esimente della forza maggiore
indicandone gli elementi costitutivi. Esse, invece, hanno strutturato la clausola in
due parti: la prima che contiene una elencazione dei fatti naturali (un incendio, un
diluvio, un terremoto, un’epidemia) o umani (quali il c.d. factum principis costituito
da «una legge, un regolamento, un decreto o un ordine, una direttiva o un embargo» o altri fatti umani quali «un atto da parte di un pubblico nemico, una guerra
civile, un’insurrezione, un’esplosione, un incidente») che costituiscono eventi di
«forza maggiore»; la seconda costituita dalla disposizione di chiusura «o ogni altra
causa al di fuori del controllo delle parti».
Dalla lettura delle ipotesi di «forza maggiore» espressamente elencate dalle
parti si ricava chiaramente che la regolamentazione pattizia fa riferimento a quei
fatti naturali (un incendio, un diluvio, un terremoto, un’epidemia) o umani (un atto
da parte dı́ un pubblico nemico, una guerra civile, un’insurrezione, un embargo,
una legge, un regolamento, un decreto o un ordine, una direttiva») che nel nostro
ordinamento sono normalmente considerati ipotesi di forza maggiore, in quanto
connotati dai concorrenti elementi della imprevedibilità, della inevitabilità/irresistibilità e della estraneità alle parti.
Tali elementi sono frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che
ha connotato l’esimente della forza maggiore quale evento che, in forza dell’art.
1218 cod. civ., costituisce causa che rende non imputabile al debitore l’inadempimento o il ritardo nella prestazione.
Appare opportuno richiamare sul punto alcune pronunce della Suprema Corte
che hanno delineato i tratti caratteristici della esimente della «forza maggiore».
Nella sentenza n. 10980/2003, i giudici, con riferimento al fatto umano costituito dalla commissione di un furto hanno statuito che: «La particolare disposizione
dell’art. 1693 cod. civ. (in tema di perdita e di avarie di cose trasportate) pone a
carico del vettore una presunzione di responsabilità ex recepto, che può invero
essere vinta soltanto dalla prova specifica della derivazione del danno da un evento
positivamente identificato e del tutto estraneo al vettore stesso, ricollegabile alle
ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore, le quali, per il furto, sussistono,
soltanto in caso di assoluta inevitabilità, nel senso che la sottrazione deve essere
stata compiuta con violenza o minaccia ovvero in circostanze tali da renderla
imprevedibile ed inevitabile (ex plurimis: Cass., n. 317/90; Cass., n. 10392/91;
Cass., n. 10262/92)»;
Nella pronuncia n. 7543/2002, la Suprema Corte, in relazione ad un atto della
giurisprudenza italiana
487
stazione appaltante ha sostenuto che: «Contrariamente, infatti a quanto mostra di
ritenere la società ricorrente che in siffatta categoria (leggasi nella categoria della
forza maggiore) comprende soltanto eventi naturali (significativamente distinti dall’art. 30 d.p.r. n. 1063/1962), fra le ipotesi di forza maggiore la giurisprudenza ha
sempre incluso anche il c.d. factum principis individuabile in ordini o divieti dell’autorità amministrativa, dettati da interessi generali, che rendano impossibile la
prestazione indipendentemente dal comportamento dell’obbligato e senza alcuna
colpa da parte sua riguardo alle cause che l’hanno determinata»;
Nella pronuncia del 9 agosto 1990 n. 8099 la Suprema Corte nel delineare i
tratti che devono connotare il c.d. factum principis ha cosı́ statuito: «È sulla scorta di
questo criterio di generale applicazione in tema di adempimento delle obbligazioni
(art. 1176 cod. civ.) che deve valutarsi la condotta del mandatario per stabilire se lo
stesso sia venuto meno alle sue obbligazioni, incorrendo in una responsabilità
risarcitoria nei confronti del mandante. Cosı́, se a giustificazione dell’inadempimento sia addotto il factum principis a liberare il mandatario inadempiente da
responsabilità è necessario che l’ordine o il divieto dell’autorità sia configurabile
come fatto totalmente estraneo alla volontà dell’obbligato e ad ogni suo obbligo di
ordinaria diligenza, nel senso che il debitore non abbia omesso di sperimentare quei
rimedi (amministrativi e/o giurisdizionali) che nel caso concreto, nei limiti segnati
dal criterio della diligenza del buon padre di famiglia, avrebbero dovuto apparirgli
necessari o utili per rimuovere l’ostacolo all’esecuzione del mandato costituito da
quell’ordine o da quel divieto.
Appurato, allora, che l’art. 17 dell’Escrew Agreement 1) non individua gli
elementi costitutivi dell’evento della «forza maggiore»; 2) non contiene una elencazione esaustiva degli eventi che costituiscono la «forza maggiore», stante l’inserimento della clausola di chiusura «o ogni altra causa al di fuori del controllo delle
parti del contratto»; 3) inserisce nell’elenco quei fatti naturali e umani che il nostro
ordinamento considera eventi di «forza maggiore» se ed in quanto connotati dai
concorrenti requisiti della imprevedibilità, della inevitabilità/irresistibilità e della
estraneità alle parti, ad avviso della scrivente deve concludersi che i contraenti
hanno voluto far riferimento agli abituali contenuti che vengono riconosciuti alla
esimente della «forza maggiore» nell’ordinamento italiano, con una particolare
sottolineatura per il carattere della estraneità dell’evento al debitore che si evince
dalla clausola di chiusura: «o ogni altra circostanza al di fuori del controllo delle
parti del contratto».
Individuata la nozione di forza maggiore cui i contraenti hanno inteso far
riferimento, occorre ora esaminare se l’emanazione da parte del Governo cubano
del decreto n. 273 del 30 aprile 2002 rappresenti un evento di forza maggiore.
6. Sulla possibilità di qualificare il decreto n. 273 quale evento di «forza maggiore». Il decreto n. 273 è stato emesso in data 30 aprile 2002 dal Consiglio dei
ministri di Cuba (doc. 7 di parte Etecsa).
Il decreto è del seguente tenore:
«Premesso che: le recenti dichiarazioni del Segretario delle relazioni con l’estero del Messico, vincolando i crediti concessi da parte del Banco Nacional de
Comercio Exterior S.N.C. (Bancomext) in favore del Banco Nacional de Cuba al
disaccordo politico sorto tra i Governi di Cuba e del Messico, costituiscono una
minaccia per il normale sviluppo degli enti cubani vincolati a questo credito, come
488
giurisprudenza italiana
Impresa de Telecomunicaciones de Cuba (Etecsa) e Telefonica Antillana S.A. (Telan) e un inammissibile proposito di opprimere e screditare il nostro paese.
Premesso che: un’azione dolosa promossa da parte del Segretario delle relazioni
con l’estero del Messico in relazione a questa operazione può dar luogo a grandi
pregiudizi per Etecsa e Telan, enti che hanno un ruolo fondamentale nel settore
delle telecomunicazioni del nostro paese.
Premesso che: il settore delle comunicazioni è fondamentale per lo sviluppo
integrale del paese, essendosi investiti nello stesso notevoli mezzi, al fine di ottenere
un sistema che risponda agli avanzamenti economici e sociali di Cuba e, nelle attuali
circostanze, le garanzie concesse da parte di Etecsa e Telan possono compromettere
seriamente questo sviluppo.
Premesso che: si fa imprescindibile proteggere Etecsa e Telan al fine di evitare
che siano coinvolte nel disaccordo politico esistente, per via di pregiudizi che
questo potrebbe dar luogo al paese se non vengono prese immediatamente le
misure piú opportune.
Tutto quanto ciò premesso: il Comitato esecutivo del Consiglio dei Ministri,
per i poteri che gli sono conferiti dalla legge, emette il seguente decreto n. 273.
Primo: disporre che rimangano senza vigore le garanzie che offrono Etecsa e
Telan per proteggere le obbligazioni contratte da parte del Banco Nacional de
Cuba con il Banco Nacional de Comercio Exterior S.N.C. Pertanto Etecsa e Telan
dovranno realizzare immediatamente tutti gli atti necessari per la messa in atto di
quanto ivi disposto. Etecsa e Telan debbono conformarsi al presente decreto,
rimanendo immediatamente senza vigore qualsiasi obbligazione contratta dalle
stesse verso Bancomex e qualsiasi disposizione o istruzione relativa a dette obbligazioni.
Secondo: il Governo della Repubblica di Cuba si assume pienamente le garanzie che offrono attualmente Etecsa e Telan.
Disposizione finale unica - Il presente decreto sarà in vigore dalla data della sua
sottoscrizione. Città di La Habana, Palazzo della Revolucione, 30 aprile 2002».
Etecsa e Telan assumono che il decreto n. 273, quale provvedimento autoritativo con effetti permanenti, emesso dal Governo cubano – atto le cui origini
(mediate e immediate) sono ad esse convenute estranee – costituisca un evento di
«forza maggiore» che impedisce loro di dare ulteriore corso alle obbligazioni assunte con la sottoscrizione dell’Escrew Agreement.
Etecsa, in particolare, richiama le seguenti conclusioni contenute nel parere
chiesto al prof. R.L. (...): «Da questo punto di vista, non mi sembra seriamente
contestabile che il decreto cubano n. 273 del 2002, considerato nel quadro della
situazione complessiva nella quale è venuto ad inserirsi, rientri pienamente nell’elencazione pattizia, di cui all’art. 17 dell’Escrew Agreement, delle situazioni che
impediscono alle parti Etecsa e Telan la regolare esecuzione delle loro obbligazioni
in base a tale accordo. Non è dubbio, infatti, che l’atto costituisca uno di quei
‘‘regulation, decree, or order ...issued by a competent authority’’ di cui parla l’art.
17: si tratta di un atto normativo vincolante emanato secondo l’ordinamento giuridico cubano, con sede nel territorio di quella Repubblica, nei confronti delle quali
il potere delle autorità cubane di disciplinare normativamente il comportamento
non può essere posto in discussione, trattandosi di una delle piú naturali manifestazioni del potere sovrano del loro Stato nazionale. Neppure è dubbio che l’emanazione del decreto costituisca causa diretta ed immediata della mancata esecuzione
giurisprudenza italiana
489
delle obbligazioni contrattuali di Etecsa e Telan secondo l’Escrew Agreement (e che,
quindi, la ‘‘failure to comply’’ prevista dall’art. 17 sia proprio ‘‘due to the occurrence’’ dell’evento di forza maggiore come ivi definito). Infine, non si può contestare che si tratti di una causa ‘‘beyond the control’’ delle parti del contratto:
trattandosi all’evidenza, di un atto sovrano emanato dal Governo cubano, rispetto
al quale Etecsa e Telan non avevano la possibilità di porre in essere comportamenti
intesi ad evitarne l’emanazione o a provocarne la revoca».
Quanto all’elemento della estraneità dell’evento, Etecsa contesta il seguente
ragionamento svolto dal Collegio arbitrale:
«Non si può ritenere che Etecsa e Telan siano aliene al Governo di Cuba e,
pertanto, che ricorra il requisito della ‘‘estraneità’’ dell’agente che ha determinato
l’evento descritto come forza maggiore, quando in base alle prove nel processo si
può affermare che tale agente: a. è quello che determinò e autorizzò la creazione
delle attrici; b. attraverso enti di sua piena proprietà, possiede il 100% di Telan e il
70% di Etecsa; c. ha la capacità di determinare la volontà, l’amministrazione e la
gestione di Telan ad esercitare un ruolo determinante, anche se non esclusivo,
nell’amministrazione e nella gestione di Etecsa; d. ha giocato un ruolo da protagonista nella negoziazione e nella sottoscrizione dei contratti di finanziamento e del
contratto di cessione dei diritti – inclusa la rappresentanza delle attrici per la
sottoscrizione di questi – contratti che contengono obbligazioni assunte da Etecsa
e Telan volte ad ottenere l’accesso a determiante risorse a favore del Governo di
Cuba e non delle attrici» (pp. 122-123, par. 33 del lodo...
Etecsa, infatti, assume che pur non rilevando nel presente giudizio l’argomentare degli arbitri, in ogni caso la loro tesi non regge in quanto:
la costituzione nel 1983 da parte del governo cubano di Etecsa – soggetto terzo
con personalità giuridica autonoma – cui dapprima ha chiamato a partecipare una
società telefonica di diritto messicano e poi attualmente il Gruppo Telecom, non
può avere alcun rilievo rispetto ad un decreto emesso venti anni dopo; le decisioni
di Etecsa sono prese col voto favorevole del 75% dei soci, dunque anche col
consenso del socio straniero, con ciò essendo smentite non solo l’influenza diretta
dello Stato cubano sulla vita della società, ma anche l’affermazione che Telan sola
ne determina l’indirizzo; per escludere che il debitore possa avvalersi di una causa
esimente l’adempimento ex art. 1463 cod. civ. occorre che il debitore non abbia egli
stesso dato origine all’evento, ma nel caso di specie Etecsa non ha «creato» il
decreto essendo lo stesso stato emanato dal Governo cubano. Sul punto, Etecsa
richiama ulteriormente il parere del prof. R.L. nella parte in cui afferma che: «Al
contrario a me sembra evidente che una cosa è l’estraneità delle parti rispetto
all’evento che si afferma di forza maggiore, ed altra cosa è il collegamento esistente
fra le parti stesse ed il soggetto che ha provocato l’evento. Il ragionamento degli
arbitri potrebbe essere giustificato, se fosse dimostrabile che in virtú di tale collegamento le società avevano operato, od erano in grado di operare, per provocare o
favorire la produzione di quell’evento» (doc. 51 di parte Etecsa, p. 11).
Bancomext, al contrario, assume che il decreto n. 273 non costituisca evento di
«forza maggiore» non potendo tale provvedimento essere qualificato quale factum
principis.
Sostiene, in particolare, nella comparsa conclusionale che: «Per poter essere
qualificato come factum principis e produrre tale effetto liberatorio, l’evento deve
presentare i seguenti requisiti concorrenti: la generalità, nel senso che deve essere
490
giurisprudenza italiana
‘‘un provvedimento legislativo od amministrativo, dettato da interessi generali che
renda impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato’’ (Cass., 11 gennaio 1982 n. 119); l’estraneità alla sfera giuridica del debitore, nel senso che: ‘‘ove a giustificazione dell’inadempimento del mandato sia
adottato il factum principis a liberare il mandatario dalla responsabilità è necessario
che l’ordine o il divieto dell’autorità costituisca un fatto totalmente estraneo alla
volontà dell’obbligato’’ (Cass., 9 agosto 1990 n. 8099 e 16 marzo 1970 n. 582);
l’imprevedibilità, nel senso che non può essere invocato l’‘‘impossibilità con riferimento ad un ordine o divieto dell’autorità amministrativa (factum principis) sopravvenuto, e che fosse ragionevolmente prevedibile, secondo la comune diligenza,
all’atto dell’assunzione dell’obbligazione’’ (Cass., 23 febbraio 2000 n. 2059 e 28
novembre 1998 n. 12093); l’irresistibilità, nel senso che ‘‘di fronte all’intervento
dell’autorità, l’obbligato non deve restare inerte, né porsi in condizione di soggiacervi senza rimedio’’ dovendo invece ‘‘sperimentare ed esaurire tutte le possibilità
che gli si offrono per vincere e rimuovere la resistenza e il rifiuto della pubblica
autorità’’ (Cass., 25 marzo 1970 n. 818) – cfr. comparsa conclusionale Bancomext
pp. 32 e 33.
Cosı́ individuati gli elementi costitutivi dell’evento forza maggiore in presenza
di un factum principis, Bancomext ritiene che gli stessi siano quelli che hanno
guidato la decisione del Collegio arbitrale, di tal ché deve concludersi che il decreto
n. 273 «difetta del requisito della generalità rappresentando un esempio scolastico
di provvedimento ad personam, esclusivamente volto a soddisfare gli interessi patrimoniali del Governo cubano e di due società da esso controllate ai danni di un
creditore straniero» (p. 34 della comparsa conclusionale di Bancomext).
Aggiunge, in ogni caso, che «anche nel nostro ordinamento, il principio della
terzietà dell’azionista di controllo di una società rispetto alle obbligazioni da quest’ultima assunte non può essere dilatato ‘‘sino al punto di disconoscere la commistione di interessi ravvisabile nell’azione del socio che, in virtú dei suoi poteri quale
organo di governo ed in qualche modo abusando della separazione entro certi limiti
garantita fra soci e società, possa influire in modo determinante sull’attività economica della società (cfr. il parere del Prof. F.P., pp. 6 e 7)» – vedasi doc. 42 di parte
Bancomext – «Invero, la giurisprudenza riconosce che, se si ammettesse che un
‘‘socio di maggioranza di una società per azioni possa modificare discrezionalmente
gli impegni assunti dalla società senza che questa ne debba rispondere’’, si determinerebbe ‘‘una confusione ed un appiattimento contra legem della società nel suo
pacchetto di maggioranza’’ (Tribunale di Genova, 28 marzo 2001 (...)» – cfr.
comparsa conclusionale Bancomext, pp. 35 e 36).
Orbene, ad avviso della scrivente l’esame della portata del decreto n. 273,
condotto alla luce della nozione di «forza maggiore» – come delineata al precedente
punto 5 – porta a ritenere che il provvedimento emesso dal Governo cubano non
possa considerarsi quale causa di forza maggiore che esime le convenute Etecsa e
Telan dall’esecuzione delle obbligazioni che le stesse hanno assunto sottoscrivendo
l’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000.
Si evidenzia, infatti, che la giurisprudenza costante, richiamata d’altra parte
anche nel parere del Prof. R.L. (doc. 51 di parte Etecsa, p. 7), individua il factum
principis in qualsiasi provvedimento legislativo o amministrativo, inteso alla tutela di
interessi generali, che renda impossibile la prestazione indipendentemente dal com-
giurisprudenza italiana
491
portamento dell’obbligato (Cass., n. 7543/2002; Cass., 11 gennaio 1982 n. 119;
Cass., 25 marzo 1970 n. 818).
Il decreto n. 273 non è volto alla tutela di un interesse generale, risultando al
contrario emanato per un caso particolare: esso disciplina unicamente i rapporti
contrattuali intercorsi tra Bancomext, Etecsa e Telan in relazione alle obbligazioni
assunte con i contratti di finanziamento 25 novembre 1994 e successive modifiche e
5 marzo 2002, di cessione dei diritti 25 novembre 1994 e di deposito 11 febbraio
2000, disponendo una liberazione immediata e totale delle obbligazioni assunte
dalle imprese Etecsa e Telan in forza dei richiamati contratti.
Il decreto n. 273, dunque, è privo del carattere della generalità sia in quanto
soggettivamente destinato solo alle società Telan e Etecsa, sia in quanto il suo
contenuto non è volto alla tutela di interessi generali, bensı́ esclusivamente a determinare la liberazione delle società dalle obbligazioni da esse assunte nei confronti
di Bancomext con i contratti di finanziamento, di cessione dei diritti e, per quanto
interessa la presente decisione, con l’Escrew Agreement.
La mancanza di tale requisito potrebbe di per sé ritenersi sufficiente per concludere che il decreto n. 273 non costituisce evento di forza maggiore idoneo ad
escludere la responsabilità delle società cubane Etecsa e Telan per la mancata
esecuzione dell’Escrew Agreement in forza della regolamentazione pattizia.
Appare, peraltro, difettare nel caso di specie l’ulteriore requisito della forza
maggiore, particolarmente sottolineato dalle parti nella disposizione di chiusura
dell’art. 17, ovvero che l’evento sia «al di fuori del controllo delle parti del contratto».
Se, infatti, è vero che formalmente Etecsa e Telan sono soggetti giuridici distinti
dal Governo cubano, sono circostanze non contestate che Telan è controllata al
100% dal Governo di Cuba e che Etecsa lo è al 70%.
Sul punto non appare condivisibile quanto sostenuto dal Prof. R.L., secondo il
quale: «una cosa è l’estraneità delle parti rispetto all’evento che si afferma di forza
maggiore, ed altra cosa è il collegamento esistente fra le parti stesse ed il soggetto
che ha provocato l’evento» (doc. 51 di parte Etecsa, p. 11).
Si ritiene, invece, che quando sussista un tale collegamento tra il soggetto
destinatario del provvedimento emanato dall’autorità medesima – collegamento
insito nel controllo totalitario o maggioritario dei soggetti destinatari del provvedimento da parte dell’autorità che lo emana – si viene a determinare una cosı́ rilevante
commistione di interessi che l’atto della pubblica autorità può valere quale causa di
esonero dalla responsabilità del soggetto controllato, solo a condizione che con
l’atto stesso non si realizzi esclusivamente l’interesse particolare dell’autorità nell’entità economica interessata. In tale ultimo caso, infatti, viene meno l’elemento
della estraneità, in quanto il socio utilizza la sua veste di autorità non per realizzare
l’interesse generale, ma esclusivamente per tutelare il suo interesse particolare nell’entità economica che controlla.
L’emanazione da parte del governo di Cuba del decreto n. 273 rientra nella
ipotesi da ultimo delineata nella quale, dunque, si configura una ipotesi di abuso da
parte del socio che, approfittando della sua veste di autorità, incide con un atto
autoritativo – privo tra l’altro del carattere della generalità – per liberare le società,
di cui è socio totalitario o maggioritario, dalle obbligazioni che le stesse avevano
assunto in forza accordi negoziali con soggetti terzi.
Alla luce delle considerazioni svolte, deve concludersi che il decreto n. 273 non
492
giurisprudenza italiana
costituisce evento di forza maggiore idoneo ad escludere la responsabilità delle
società cubane Etecsa e Telan per la mancata esecuzione dell’Escrew Agreement.
8. Sulle domande proposte da Bancomext. (Omissis)
9. Sulle domande proposte da Telan e Etecsa. (Omissis)
10. Sulle spese di causa. (Omissis)
P.Q.M., il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando, disattesa ogni
contraria istanza, eccezione e deduzione, nel contraddittorio delle parti dichiara che
il decreto del Governo cubano del 30 aprile 2002 non costituisce causa di risoluzione dell’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000, come successivamente modificato, e per l’effetto, condanna le società Empresa de Telecomunicaciones de Cuba
S.A., Telefonica Antillana S.A. e Intesa BCI s.p.a. a riprendere a dare piena esecuzione all’Escrew Agreement dell’11 febbraio 2000. (Omissis)
GIURISPRUDENZA IN BREVE
Corte di Cassazione, sentenza 13 aprile 2004 n. 6993, Nunoo (avv. Pettinari) c. Prefetto di Savona (intimato).
Il precetto di cui all’art. 13 comma 7 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, secondo cui
il decreto di espulsione di cittadino extracomunitario è comunicato all’interessato
unitamente a traduzione in una lingua da lui conosciuta, è soddisfatto dalla traduzione
nella lingua ufficiale del paese del medesimo, essendo del tutto irrilevante che l’espellendo non sia in grado di intendere tale idioma; l’istanza di sanatoria, proposta
attraverso la dichiarazione di emersione, se precedente il decreto di espulsione lo
rende illegittimo, alla luce del disposto dell’art. 2 comma 1 del decreto legge 9
settembre 2002 n. 195, convertito in legge 9 ottobre 2002 n. 222, per il quale non
possono adottarsi provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato nei
confronti di lavoratori «in emersione» salvo che risultino pericolosi per la sicurezza
dello Stato; se posteriore espone il decreto di espulsione, in base all’art. 2 comma 2
dello stesso decreto legge, al rischio di revoca ex tunc quale effetto dell’accoglimento
della domanda.
Con sentenza 13 aprile 2004 n. 6993, la Corte di Cassazione (pres. Losavio, rel.
Macioce, p.m. Abbritti, diff.), ha cassato il decreto del Tribunale di Savona che
confermava, su ricorso di una cittadina extracomunitaria, il decreto prefettizio di
espulsione della stessa, sulla base delle seguenti motivazioni:
«La censura – che perviene alla inconsistente pretesa per la quale l’atto dovrebbe essere comunicato all’espulso anche mediante traduzione nel «dialetto» al
medesimo comprensibile – neanche si avvede della secca quanto corretta affermazione del Tribunale per la quale essendo l’inglese – lingua nella quale il decreto
opposto venne tradotto – la lingua ufficiale della Federazione della Nigeria, la
giurisprudenza italiana
493
traduzione in tal lingua avrebbe assolutamente soddisfatto il requisito posto dalla
norma (traduzione nella lingua conosciuta dall’espellendo) in termini di presunzione legale di conoscenza. Ed alla corretta statuizione del Giudice del merito,
peraltro in linea con la ferma giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass.,
n. 1080/04; n. 889/04; n. 490/04; n. 19586/03), deve aggiungersi il rilievo per il
quale è del tutto irrilevante che l’espellendo possa essere – magari a cagione del suo
eventuale analfabetismo – non in grado di intendere neanche l’idioma che il suo
paese ha adottato come lingua «ufficiale». Con il secondo motivo poi la ricorrente
denunzia la violazione degli artt. 13, 13 bis e 14 del decreto legislativo n. 286 del
1998 per avere il Tribunale escluso che in sede di opposizione alla espulsione si
possano far valere i vizi del decreto di trattenimento nel CPTA, non prospettati in
sede propria. Il rilievo è privo di alcun pregio, avendo il Tribunale esattamente
rilevato che a norma dell’art. 14 comma 6 del d.lgs. n. 286 del 1998 avverso la
convalida della misura è previsto il ricorso per cassazione con la conseguenza per la
quale non si scorge né possibilità – né tampoco ragione alcuna – per consentire che,
preclusa ogni questione per mancato ricorso avverso la convalida, la stessa questione sia deducibile innanzi a giudice diverso (anche in ragione della competenza
per territorio) da quello che la norma prevede essere chiamato, nell’immediatezza, a
giudicare della legittimità del trattenimento.
«Totalmente inconsistente è, poi, il terzo motivo con il quale la ricorrente si duole
del fatto che il Tribunale abbia dichiarato priva di alcuna prova la mera prospettazione di un fumus persecutionis rilevante ex art. 19 comma 1 del d.lgs. n. 286 del 1998,
ove rimpatriata in Nigeria (ed in ragione – si lascia intendere – dei suoi costumi
sessuali), non scorgendosi, infatti, perché mai il Tribunale avrebbe dovuto ritenere
appartenente al notorio una siffatta generica ipotesi di rischio. Fondata è invece la
censura contenuta nel quarto motivo, con il quale si lamenta la violazione dell’art. 33
della legge n. 189 del 2002 e dell’art. 2 della legge n. 222 del 2002. Il Tribunale,
infatti, nel prendere in esame la difesa della ricorrente, che adduceva l’istanza di
sanatoria (proposta attraverso la dichiarazione di emersione) quale causa di esclusione della potestà espulsiva del Prefetto, ha ritenuto di esaminare il fatto della
«attivazione» della procedura di emersione delibandone l’esito negativo (in considerazione della ragione della espulsione, fondata su motivo diverso da quello del mancato rinnovo del permesso). Ebbene, il Giudice del merito ha commesso duplice
grave errore di diritto. Da un canto il Tribunale non si è avveduto, nella sua prognosi
sull’esito della domanda di emersione, che l’ipotesi espulsiva de qua che era stata
posta dall’art. 1 del decreto legge n. 195 del 2002, comma 8 lett. a (nel senso di
escludere dal beneficio della regolarizzazione gli espulsi, salvo che l’espulsione fosse
stata adottata per il mancato rinnovo del titolo), era stata in sede di conversione (legge
n. 222 del 2002 entrata in vigore il 13 ottobre 2002) ulteriormente ristretta, comprendendosi nella «sanabilità» anche gli espulsi ad indiscutibile reinserimento sociale.
Dall’altro canto, e la ragione appare affatto assorbente, il Tribunale ha profondamente errato proprio nel compiere lo scrutinio di sanabilità, che allo stesso assolutamente non competeva. Ed infatti, a fronte della prospettazione, da parte dell’espulso ricorrente avverso il decreto del Prefetto, della pendenza della procedura di
emersione, spettava al Giudice solo accertare la data e la certezza dell’inoltro della
dichiarazione di cui all’art. 1 del decreto legge n. 195 del 2002 convertito in legge n.
222 del 2002, con la conseguenza che: 1) ove la domanda di sanatoria avesse preceduto l’espulsione, certamente questa sarebbe stata illegittima, avendo riguardo al
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giurisprudenza italiana
chiaro disposto dell’art. 2 comma 1 del decreto legge n. 195 del 2002 citato convertito
in legge n. 222 del 2002 (la cui ratio è quella di impedire che siano drasticamente
allontanati lavoratori che, alla luce del sole, hanno richiesto di essere sanati) per il
quale fino alla conclusione della procedura non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti dei lavoratori «in
emersione» salvo che risultino pericolosi per la sicurezza dello Stato; 2) ove, invece,
la domanda fosse stata posteriore, nessun impedimento sarebbe derivato all’esercizio
del potere espulsivo, il cui decreto sarebbe, però rimasto esposto al rischio di una
revoca ex tunc, quale effetto dell’accoglimento della domanda (art. 2 comma 2 del
decreto legge n. 195 del 2002 citato convertito in legge n. 222 del 2002)».
Corte di Cassazione, sentenza 20 aprile 2004 n. 7473, Ministero dell’interno e Questura di Perugia (avv. dello Stato) c. x.y. (intimata).
Contro il decreto del tribunale che decida in ordine al ricorso avverso il diniego a
cittadino extracomunitario del permesso di soggiorno per motivi familiari può essere
proposto reclamo alla corte d’appello, in base all’art. 739 cod. proc. civ., richiamato
dall’art. 30 comma 6 del d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286; l’esigenza della convivenza tra i
coniugi ai fini del rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari a seguito di
matrimonio del cittadino extracomunitario con cittadino italiano discende, oltre che
dal sistema dell’intero d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e dalla necessità di evitare
matrimoni solo formali e strumentali, dall’art. 28 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394
(regolamento di attuazione del testo unico) secondo cui, in caso di divieto di espulsione, il permesso di soggiorno è rilasciato allo straniero che si trovi nelle condizioni
previste dall’art. 19 lett. c del d. lgs. 25 luglio 1998 n. 286 e cioè che conviva con il
coniuge cittadino italiano.
Con sentenza 20 aprile 2004 n. 7473, la Corte di Cassazione (pres. Losavio, rel.
Forte, p.m. Abbritti, conf.), ha cassato il decreto della Corte d’Appello di Perugia
con cui questa annullava il decreto del Tribunale di Perugia, che aveva a sua volta
rigettato il ricorso di cittadina extracomunitaria contro il diniego di permesso di
soggiorno, sulla base delle seguenti motivazioni:
«Il primo motivo di ricorso è infondato, perché ai sensi dell’art. 739 cod. proc.
civ., richiamato con l’intera normativa sul rito camerale dall’art. 30 comma 6 del
d.lgs. n. 186 del 1998, in ordine al ricorso avverso il diniego del permesso di
soggiorno per motivi familiari, decide il tribunale in camera di consiglio, contro i
cui decreti ‘‘si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello, che pronuncia
anch’essa in camera di consiglio’’ (cosı́ l’art. 739 cod. proc. civ. citato).
«Pure infondato è il secondo motivo di ricorso, per la parte in cui censura la
Corte d’Appello per avere denegato al Tribunale il potere di riesaminare l’atto
oggetto di ricorso oltre i limiti del suo contenuto e del ricorso contro lo stesso,
senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, esattamente rilevato in sede d’appello
con il provvedimento impugnato.
«Se è vero che l’A.G.O. deve accertare l’esistenza del diritto al permesso di
giurisprudenza italiana
495
soggiorno, ciò deve farsi entro i limiti del diniego oggetto di ricorso e delle domande della parte, non potendo il giudice ordinario rilevare carenze di requisiti per
ottenere il permesso di cui sopra, non risultanti dall’atto impugnato né rilevate
dall’autorità amministrativa, che potrà comunque rifiutare il permesso, pure dopo
l’annullamento del diniego, per carenze dei requisiti necessari a domandarlo, non
evidenziate in precedenza.
«È invece fondato il motivo di ricorso per la parte in cui lamenta la violazione
di norme di diritto, dal decreto della Corte d’Appello, per non aver ritenuto
necessario l’esigenza della convivenza tra i coniugi nel caso di permesso di soggiorno per motivi familiari rilasciato a seguito di matrimonio dello straniero che lo
richiede con cittadino italiano.
«Invero, oltre che dal sistema dell’intero T.U. di cui al d.lgs. n. 286 del 1998 e
dall’esigenza di evitare matrimoni solo formali e strumentali per ottenere il permesso di soggiorno, già prima della novella dell’art. 30 comma 1 bis del d.lgs. n. 286
del 1998, che impone la revoca del permesso in caso di mancata convivenza dei
coniugi, l’art. 28 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394 (regolamento di attuazione del
d.lgs. n. 286 del 1998 sull’immigrazione) prevede il permesso di soggiorno per gli
stranieri dei quali è vietata l’espulsione, per effetto del matrimonio con cittadino
italiano purché sussistano i requisiti dell’art. 19 del d.lgs. n. 286 del 1998, lett. c, e
quindi in quanto lo straniero convivesse con il coniuge.
«È inverosimile che altro permesso di soggiorno per motivi familiari identico a
quello di cui all’art. 39 comma 1 del d.lgs. n. 286 del 1998, lett. c, potesse concedersi allo straniero coniugato con cittadino italiano anche se non con lui convivente
prima della riforma del 2002 e quindi correttamente questa Corte ha ritenuto
necessaria la convivenza nel matrimonio per ottenere il permesso di soggiorno
per motivi familiari di cui alla indicata normativa (cosı́ Cass., 22 maggio 2003 n.
8034)».
Corte di Cassazione, sentenza 22 aprile 2004 n. 7668, A.B.F. (avv. F. e I. Starace) c.
Ministero dell’interno e Ufficio territoriale del Governo di Foggia (intimati).
L’onere di provare la data di ingresso sul territorio nazionale, al fine di verificare
la decorrenza del termine di otto giorni entro cui il cittadino extracomunitario può
richiedere il titolo di soggiorno, in base agli artt. 5 comma 2 e 13 comma 2 del d.lgs.
25 luglio 1998 n. 286, incombe allo straniero che venga colto in Italia senza il
permesso in questione; la certificazione della data di ingresso si ottiene mediante
apposizione sul passaporto del timbro di ingresso all’atto dell’attraversamento della
frontiera né l’avere lo straniero già conseguito un visto di ingresso da altro paese
dell’area Schengen può esimere il beneficiario dall’osservare l’onere in discorso, previsto dall’art. 7 comma 2 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, posto che altro è il suo diritto
all’accesso in base al visto uniforme di cui all’art. 13 comma 2 della legge 30 settembre
1993 n. 388 di esecuzione della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen
del 19 giugno 1990, altro la mera registrazione della data del suo ingresso.
496
giurisprudenza italiana
Con sentenza 22 aprile 2004 n. 7668, la Corte di Cassazione (pres. Losavio, rel.
Macioce, p.m. Maccarone, conf.), ha rigettato il ricorso contro il decreto con cui il
Tribunale di Foggia aveva a sua volta respinto il ricorso di un cittadino extracomunitario contro il decreto prefettizio di espulsione, cosı́ tra l’altro motivando:
«Rammentato che, come questa Corte ha piú volte affermato, l’onere di provare la data di ingresso sul territorio nazionale – al fine di verificare la decorrenza
del termine per la richiesta del titolo di soggiorno ai fini di cui agli artt. 5 comma 2 e
13 comma 2 lett. b) del T.U. emanato con d.lgs. n. 286/98 – incombe sullo straniero
che venga colto in Italia senza il permesso in questione (Cass., n. 5650/03; n. 5267/
03; n. 10911/03), va anche osservato che la certificazione della data di ingresso si
ottiene mediante apposizione sul passaporto di timbro di ingresso (art. 7 comma 2
regolamento di attuazione del T.U. approvato con decreto del Presidente della
Repubblica n. 394/99) da parte delle autorità italiane all’atto dell’attraversamento
della frontiera. Né, come assume il ricorrente, l’avere lo straniero già conseguito
visto di ingresso da altro paese dell’area Schengen può esimere il beneficiario
dall’osservare l’onere in discorso, posto che altro è il suo diritto all’accesso in base
al visto uniforme di cui all’art. 13 comma 2 della legge n. 388/93 di ratifica dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 (sic) ed altro è la mera registrazione della
data del suo ingresso, necessaria perché, da quella data ed entro otto giorni, il
soggetto regolarmente entrato possa chiedere il titolo di soggiorno. D’altro canto,
e venendo al caso sottoposto, il Tribunale ha affermato che la prova della data di
ingresso (26 maggio 2002), idonea a far ritenere superato, al momento del controllo, lo spatium concesso per la richiesta, sarebbe stata direttamente desumibile
dalle ammissioni dell’interessato rese alla Polizia all’atto del suo controllo, e dalla
stessa inserite nella scheda di identificazione: avverso tale accertamento la difesa
della parte ricorrente prospetta la inutilizzabilità della scheda stessa, perché essa
non sarebbe stata tradotta né le dichiarazioni raccolte ritualmente e verbalizzate né
il tutto debitamente inserito nel processo attraverso la produzione da parte del
Prefetto. Tale profilo di censura appare irricevibile, posto che i rilievi sulla ‘‘scheda’’
de qua (mera sintesi di informative acquisite dal Tribunale come informazioni rese
dalla p.a.) avrebbero dovuto dall’interessato essere formulati innanzi al giudice del
merito e non certo proposti, per la prima volta, in sede di legittimità».
Corte di Cassazione, sentenza 3 giugno 2004 n. 10568, Nebojsa (avv. Cappuccio) c.
Prefettura della Provincia di Bologna (avv. dello Stato).
Sussiste la causa di forza maggiore prevista dall’art. 13 comma 2 lett. b del d.lgs.
25 luglio 1998 n. 286, ove si dispone che essa impedisce l’espulsione di cittadino
extracomunitario per il caso di mancata richiesta di permesso di soggiorno nel termine
prescritto, nell’ipotesi in cui l’atto non sia stato compiuto a causa di una forza esterna
al volere dello straniero che abbia irresistibilmente influito sulla sua possibilità di
agire, escludendola totalmente; né essa può ravvisarsi nello stato di detenzione e
neppure nel fatto che lo straniero detenuto sia indotto in errore dagli educatori del
carcere in merito alla possibilità di ritardare la richiesta del permesso.
giurisprudenza italiana
497
Con sentenza 3 giugno 2004 n. 10568, la Corte di Cassazione (pres. De Musis,
rel. Adamo, p.m. Sepe, conf.), ha rigettato il ricorso di un cittadino extracomunitario contro il provvedimento con cui il Tribunale di Bologna aveva respinto l’opposizione contro il decreto prefettizio di espulsione pronunciato ai danni del medesimo, per non avere egli rinnovato nel termine di sessanta giorni il permesso di
soggiorno. Il ricorrente lamentava, in particolare, che gli educatori del carcere gli
avessero assicurato che avrebbe potuto richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno dopo la sua scarcerazione. La Corte, tra l’altro, cosı́ motiva:
«Invero va rilevato che sussiste la causa di forza maggiore prevista dall’art. 13
lett. b del d.lgs. n. 286/1998 nell’ipotesi in cui l’atto dovuto non sia stato compiuto
dallo straniero a causa di una forza esterna al suo volere che abbia irresistibilmente
influito sulla sua possibiità di agire, escludendola totalmente.
«Deve quindi escludersi che lo stato di detenzione costituisca di per sé sola
causa di forza maggiore posto che, anche se lo stato di detenzione limita il detenuto
nelle sue possibilità di movimento, non esclude tuttavia che lo stesso, tramite la
direzione del carcere, possa inviare alle competenti autorità istanze o richieste.
«Riguardo quindi all’errore nel quale il Nebojsa sarebbe stato indotto dagli
educatori del carcere si rileva che trattasi di questione che esula dal concetto di
forza maggiore e che costituisce questione di merito risolta negativamente per il
ricorrente dal Tribunale, con una motivazione succinta ma sufficiente, riportata nel
ricorso dal Nebojsa, che non ha spiegato però i motivi per i quali la riportata
motivazione dovrebbe ritenersi inficiata da vizi logici o di diritto».
Corte di Cassazione, sentenza 10 giugno 2004 n. 10983, Purice (avv. Casamassima)
c. Ministero dell’interno (avv. dello Stato) e Questura di Roma (intimata).
In quanto atto amministrativo, l’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale non è soggetto al disposto dell’art. 111 della Costituzione, modificato dall’art.
1 comma 7 della legge costituzionale 23 gennaio 1999 n. 2, secondo cui contro le
sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali è sempre ammesso ricorso per cassazione, potendo invece
essere convalidato con decreto camerale del tribunale impugnabile con ricorso per
cassazione ex art. 14 comma 6 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286.
Con sentenza 10 giugno 2004 n. 10983, la Corte di Cassazione (pres. Losavio,
rel. Forte, p.m. Abbritti, conf.), ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino extracomunitario avverso un ordine del Questore di Roma di lasciare il territorio nazionale, cosı́ motivando:
«Invero l’art. 111 Cost., modificato dall’art. 1 della l. cost. 23 gennaio 1999 n.
2, al comma 7, nel sancire che ‘‘contro le sentenze e ...i provvedimenti sulla libertà
personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre
ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge’’, non prevede detto potere
per gli atti amministrativi, che non possono essere oggetto dell’impugnativa in
Cassazione. Nel caso l’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale poteva
498
giurisprudenza italiana
essere convalidato dal Tribunale con decreto emesso dopo un procedimento camerale, impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 14 comma 6 del d.lgs. n.
286/98».
Corte di Cassazione, sentenza 25 giugno 2004 n. 11862, nei ricorsi riuniti proposti
da Ministero degli affari esteri (avv. dello Stato) c. Daminelli e Navarez (intimati)
e da Daminelli e Navarez (avv. Biscotto, Mazzetti) c. Ministero degli affari esteri
(avv. dello Stato).
In relazione al provvedimento del tribunale, adottato all’esito di procedimento
camerale, sul ricorso di cittadino extracomunitario ex art. 30 comma 6 del d.lgs. 25
luglio 1998 n. 286 avverso il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del
permesso di soggiorno per motivi familiari, il quale investe la denunciata lesione di
veri e propri diritti soggettivi, è esperibile il ricorso per cassazione sulla base dell’art.
111 Cost.; il decreto emesso dal giudice monocratico di tribunale su tale ricorso è
reclamabile dinanzi alla corte d’appello; la competenza speciale prevista dall’art. 30
comma 6, che prevede che il ricorso sia presentato al pretore (oggi al tribunale in
composizione monocratica) del luogo in cui l’interessato risiede, è diretta a favorire
l’accesso al giudice della parte piú bisognosa e prevale sul foro erariale di cui all’art. 6
del regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611. La deduzione della corte d’appello secondo
cui il requisito della vivenza a carico, prescritto dall’art. 29 comma 1 lett. c del d. lgs.
25 luglio 1998 n. 286 quale requisito per il ricongiungimento familiare, sia integrato
in una situazione in cui le rimesse di denaro in favore del genitore di cui si chieda il
ricongiungimento siano state effettuate da soggetto diverso dal richiedente, non integra una violazione di legge né un vizio di motivazione deducibile in cassazione.
Con sentenza 25 giugno 2004 n. 11862, la Corte di Cassazione (pres. Losavio,
rel. Petitti, p.m. De Augustinis, parz. diff.), ha rigettato il ricorso del Ministero degli
affari esteri contro il decreto con cui la Corte d’Appello di Brescia confermava il
decreto del Tribunale di Bergamo, il quale aveva accolto il ricorso di due cittadini
extracomunitari contro un provvedimento di diniego di visto di ingresso per ricongiungimento familiare; essa al contempo rigettava il controricorso degli stranieri nei
confronti del Ministero. La Corte ha, tra l’altro, cosı́ motivato:
«Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che giudizio conseguente al
ricorso dell’interessato, ex art. 30 comma 6 del d.lgs. n. 286 del 1998, avverso il
diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per
motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell’autorità amministrativa
in materia di diritto all’unità familiare, investe la denunciata lesione di veri e propri
diritti soggettivi (Cass., 20 agosto 2003 n. 12223). Nei confronti dei provvedimenti
che definiscono tali ricorsi, adottati all’esito del procedimento in camera di consiglio ex art. 737 ss. cod. proc. civ., deve pertanto ritenersi esperibile il ricorso per
cassazione ex art. 111 Cost. (Cass., 26 luglio 2000 n. 9793).
«Per ragioni di ordine logico, deve essere esaminato prioritariamente il motivo
di ricorso incidentale. Esso è infondato, giacché questa Corte ha già avuto modo di
giurisprudenza italiana
499
affermare che il decreto emesso dal giudice monocratico di tribunale sul ricorso
dell’interessato, proposto ex art. 30 comma 6 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286,
avverso il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di
soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti in materia di
diritto all’unità familiare è reclamabile dinanzi alla corte di appello (Cass., 20 agosto
2003 n. 12223; Cass., 26 novembre 2003 n. 18047).
«Venendo quindi alI’esame del ricorso principale, è infondato il primo motivo, con il quale la ricorrente amministrazione rinnova l’eccezione di incompetenza territoriale, sostenendo che nei procedimenti di cui all’art. 30 comma 6 del
d.lgs. n. 286 del 1998 la competenza territoriale dovrebbe essere individuata in
base al foro erariale e non anche con riferimento al luogo in cui risiede l’istante. In
proposito, è sufficiente rilevare che questa Corte ha già ritenuto che l’operatività
del criterio di competenza del foro erariale, ai sensi dell’art. 6 del regio decreto n.
1611 del 1933 e dell’art. 25 cod. proc. civ., è destinata a venir meno in presenza
della norma sulla competenza di carattere speciale posta dall’art. 30 comma 6 del
d.lgs. n. 286 del 1998, il quale, nel prevedere che contro il diniego di nulla osta al
ricongiungimento familiare l’interessato può presentare ricorso al pretore (ora
tribunale in composizione monocratica) del luogo in cui risiede, appare chiaramente diretto a favorire l’accesso al giudice della parte piú bisognosa (Cass., 1º
aprile 2003 n. 5004).
«Infondato è altresı́ ii secondo motivo di ricorso, con il quale l’amministrazione
ricorrente deduce il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 29 comma 1 lett.
c del d.lgs. n. 286 del 1998, sostenendo che la Corte di Appello avrebbe errato nel
ritenere integrato il requisito della vivenza a carico, prescritto dalla citata norma
quale requisito per il ricongiungimento familiare, pur in una situazione in cui le
rimesse di denaro in favore del genitore, di cui si chiedeva il ricongiungimento,
erano state effettuate da soggetto diverso dal richiedente.
«Occorre premettere che, come chiarito in precedenza, avverso il provvedimento emesso dalla corte di appello all’esito del procedimento di reclamo ex art.
739 cod. proc. civ., è proponibile il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111
Cost. È noto che con tale mezzo può essere dedotto soltanto il vizio di violazione di
legge, mentre il vizio di motivazione può essere fatto valere esclusivamente nel caso
di mancanza o di mera apparenza della motivazione, che integrano una nullità
riconducibile all’art. 360, comma primo n. 4 cod. proc. civ. (Cass., 10 gennaio
2003 n. 150; Cass., 10 febbraio 2003 n. 1951; Cass., 10 maggio 2003 n. 7178; Cass.,
17 settembre 2003 n. 13657).
«Orbene, questa Corte ha chiarito che il vizio di violazione di legge consiste nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un
problema interpretativo della stessa; di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa Corte dall’art. 65 ord. giud. Viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa impinge nella tipica valutazione del giudice di merito ed è esterna
all’esatta interpretazione della norma di legge. L’applicazione della norma ad una
fattispecie concreta asseritamente ricostruita (dal provvedimento impugnato) in
modo erroneo o carente non ridonda affatto in violazione di quella norma, ma
costituisce espressione di un giudizio di merito la cui censura è possibile, in sede
di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l’una e l’altra
500
giurisprudenza italiana
ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa ovvero erronea applicazione della legge in ragione della
carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo
evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima è mediata dalla
contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 7 agosto 2003 n. 11936, in
motivazione; in senso analogo, v. anche Cass., 29 aprile 2002 n. 6224).
«Nella specie, la Corte di Appello di Brescia ha ritenuto integrati i requisiti
previsti dall’art. 29 comma 1 lett. c del d.lgs. n. 286 del 1998, avendo accertato che
la figlia del Navarez, sorella della richiedente, odierna resistente, ha effettuato
ripetute rimesse di denaro in favore del padre, economicamente non autosufficiente
in patria e che Bella Navarez ha, a sua volta, dimostrato, unitamente al coniuge
Daminelli, il possesso dei requisiti previsti dal comma 3 dell’art. 29 citato. In tale
situazione, ha osservato il Giudice del merito, non risulta rilevante che le rimesse in
denaro in favore del genitore siano state effettuate dalla figlia Minerva piuttosto che
dalla resistente Bella, sussistendo e ricorrendo in ogni caso i tre requisiti previsti
dalla legge, compreso quello della dipendenza economica del Navarez dalle figlie,
interinalmente soddisfatto per il tramite di una di esse.
«In sostanza, con il riferimento al soddisfacimento interinale, da parte di una
delle figlie, delle esigenze economiche del padre economicamente non autosufficiente, la Corte di Appello ha implicitamente ritenuto che il requisito della vivenza a
carico fosse riferibile anche alla figlia Bella, odierna resistente. A fronte di tale
valutazione in fatto, la censura svolta dall’amministrazione ricorrente si risolve, in
sostanza, nella contestazione, non già dell’astratta riferibilità della fattispecie alla
norma, ma dell’accertamento, svolto in concreto dal Giudice di merito, in ordine
alla sussistenza dei requisiti previsti dalla norma. Con il che risulta evidente come il
vizio denunciato sia riferibile non alla applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del
1998, ma alla motivazione del provvedimento; si è quindi in presenza di un vizio
non deducibile in sede di ricorso straordinario, dovendosi escludere che la censura
in concreto proposta possa essere ricondotta a quella, che sola può essere ritenuta
ammissibile, di assoluta mancanza o mera apparenza della motivazione, peraltro
non dedotta dalla ricorrente».
Corte di Cassazione, sentenza 7 luglio 2004 n. 12428, Lubinska (avv. Macciotta, Viterbo) c. Prefettura di Torino (intimata).
Il controllo giurisdizionale previsto dall’art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 per
i decreti prefettizi di espulsione di cittadino extracomunitario si estende, nelle stesse
forme, ai provvedimenti adottati dal Prefetto sulle istanze di revoca dei decreti di
espulsione nonché ai provvedimenti di revoca della revoca dei decreti di espulsione,
cui si applica anche la norma, di cui all’art. 13 comma 8, che fissa in cinque giorni
dalla comunicazione del provvedimento il termine per impugnarlo; giudice competente, in base all’art. 13 comma 9, è il tribunale in composizione monocratica del
luogo in cui ha sede l’autorità che ha emesso uno dei provvedimenti summenzionati, il
quale decide in camera di consiglio, applicandosi dunque l’art. 28 cod. proc. civ., che
giurisprudenza italiana
501
prevede l’inderogabilità della competenza per territorio nel caso dei procedimenti
camerali, e risultando pertanto inapplicabile il cumulo soggettivo di cui all’art. 33
cod. proc. civ. in relazione all’impugnazione di provvedimenti relativi all’espulsione
emessi da diversi Prefetti; manifestamente infondata è la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 33 cod. proc. civ. e 13 comma 9 del d.lgs. 25 luglio 1998
n. 286; la mancanza nel provvedimento impugnato dell’indicazione dell’autorità cui
ricorrere e del termine per proporre impugnazione impedisce la decadenza del diritto
di proporre impugnazione.
Con sentenza 7 luglio 2004 n. 12428, la Corte di Cassazione (pres. Losavio, rel.
Fioretti, p.m. De Augustinis, diff.), ha avuto modo di chiarire vari aspetti relativi
alla impugnazione di provvedimenti prefettizi di rigetto dell’istanza di revoca di un
decreto di espulsione o di revoca della revoca di un decreto di espulsione. La Corte
ha, tra l’altro, cosı́ motivato:
«Questa Corte ha già affermato nella sentenza 2513 del 2002, resa a sezioni
unite, il principio – che questo collegio pienamente condivide non ravvisando serie
ragioni per discostarsene – secondo cui, in tema di disciplina dell’immigrazione,
sono assoggettati a controllo giurisdizionale non solo i decreti di espulsione del
Prefetto – come risulta dalla lettera dell’art. 13 del testo unico approvato con d.lgs.
25 luglio 1998 n. 286 – ma anche i provvedimenti adottati dal Prefetto sulle istanze
di revoca dei provvedimenti di espulsione; tale controllo, per ragioni di coerenza sul
piano sistematico e di effettività della tutela delle situazioni soggettive garantite,
deve ritenersi riservato al giudice ordinario, nelle forme previste dagli artt. 13
commi 8 e 10 e 13 bis del medesimo testo unico. Tale principio, sempre per ragioni
di coerenza sul piano sistematico e di effettività della tutela delle situazioni giuridiche garantite, non può non valere anche per la impugnazione dei provvedimenti di
revoca della revoca del provvedimento di espulsione, ai quali deve essere, quindi,
applicata integralmente la medesima normativa che disciplina l’impugnazione dei
provvedimenti di espulsione, compresa la norma (art. 13 comma 8 del d.lgs. n. 286/
98) che fissa in cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento il termineper
impugnarlo.
«Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
«La ricorrente sostiene che il termine di cinque giorni non poteva farsi decorrere dalla data di comunicazione del provvedimento, non essendole stato comunicato unitamente alla traduzione in una lingua dalla stessa conosciuta.
«Il giudice a quo ha presunto che la ricorrente conoscesse e comprendesse
la lingua italiana per il fatto che la stessa si trova in Italia dall’anno 1997 e per
aver essa stessa affermato di aver contratto matrimonio con cittadino italiano in
data 7 settembre 2000, ritenendo che tali elementi possedessero le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza richieste dall’art. 2729, primo comma
cod. civ.
«Tale motivazione non è suscettibile di sindacato in Cassazione, consentendo di
individuare con chiarezza il processo logico seguito dal giudice ed essendo immune
da errori logici e giuridici.
«Parimenti infondato è il quarto motivo di ricorso.
«L’art. 13 comma 9 del d.lgs. n. 286/98, come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n.
113/99 individua quale giudice competente a provvedere sull’impugnazione dell’espulsione e, quindi, anche per quanto sopra detto, sull’impugnazione del provve-
502
giurisprudenza italiana
dimento di rigetto della istanza di revoca della espulsione o del provvedimento di
revoca della revoca del provvedimento di espulsione, il pretore (attualmente, per
effetto del disposto dell’art. 244 del d.lgs. n. 51 del 1998, la competenza a conoscere delle opposizioni al decreto prefettizio di espulsione dello straniero è stata
trasferita dal pretore al tribunale in composizione monocratica) del luogo in cui ha
sede l’autorità che ha emesso uno dei provvedimenti summenzionati.
«La stessa norma dispone che il giudice decide ‘‘nei modi di cui agli artt. 737 e
seguenti cod. proc. civ.’’, vale a dire applicando la disciplina prevista per i procedimenti in camera di consiglio.
«L’art. 28 cod. proc. civ., dopo aver stabilito che la competenza per territorio
può essere derogata per accordo delle parti, prevede alcuni casi in cui la competenza per territorio è inderogabile, tra i quali sono compresi i procedimenti in
camera di consiglio.
«Tra questi rientra anche il presente procedimento.
«Ne deriva che la competenza territoriale stabilita ai sensi del citato comma 9
dell’art. 13 del d.lgs. n. 286/98 costituisce un caso di competenza per territorio
funzionale.
«Ne deriva altresı́ la inapplicabilità dell’art. 33 cod. proc. civ. sul cumulo
soggettivo.
«In virtú di tale disposizione due o piú cause contro piú persone domiciliate
o residenti in luoghi appartenenti a diverse circoscrizioni giudiziarie, se connesse
per l’oggetto o per il titolo, possono essere proposte al giudice del luogo di
residenza o domicilio di una di esse per essere decise nello stesso processo e
ciò in deroga ai criteri di competenza territoriale previsti dagli artt. 18 e 19 cod.
proc. civ.
«Tale disposizione, in quanto deroga, determinando uno spostamento di competenza, agli ordinari criteri di competenza territoriale, può ritenersi applicabile
solo se detti criteri sono relativi e derogabili; non può piú trovare applicazione
quando, invece, hanno carattere assoluto ed inderogabile.
«Pertanto non può trovare applicazione nel presente processo, in quanto la
regola per individuare, nel caso di specie, il giudice territorialmente competente ha,
come su dimostrato, carattere assoluto ed inderogabile.
«Rettamente, quindi, il giudice a quo ha escluso la propria competenza territoriale relativamente alla impugnazione dei provvedimenti della Prefettura di Oristano del 20 marzo 2001 e della Prefettura di Lucca del 15 gennaio 2002.
«La sollevata eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 33 cod. proc. civ.
e dell’art. 13 comma 9 del d.lgs. n. 686/1998 per contrasto con gli artt. 3 e 24 della
Costituzione è manifestamente infondata.
«Non sussiste alcuna disparità di trattamento tra chi può avvalersi dell’art. 33
cod. proc. civ. e lo straniero che debba impugnare provvedimenti di espulsione o di
rigetto della istanza di revoca della espulsione o di revoca della revoca della espulsione, notificati allo stesso nella medesima data, dinanzi a giudici diversi, per la
semplice ragione che la disposizione dell’art. 33 cod. proc. civ. è applicabile soltanto ad ipotesi di competenza territoriale derogabile, restando escluso dal suo
ambito di applicazione ogni caso (di cui all’art. 28 cod. proc. civ.) di competenza
per territorio funzionale.
«Né può fondatamente assumersi che la brevità del termine per impugnare piú
provvedimenti, emessi da differenti autorità territoriali di fronte a giudici apparte-
giurisprudenza italiana
503
nenti a circoscrizioni territoriali diverse, violi il diritto di difesa garantito dall’art. 24
della Costituzione.
«Ciò perchè il fatto che il termine di cinque giorni per impugnare provvedimenti emessi in date diverse, tra loro lontane (come si evince dal provvedimento
impugnato, il provvedimento della Prefettura di Oristano è stato emesso il 28
marzo 2001, quello della Prefettura di Torino il 18 maggio 2001, quello della
Prefettura di Lucca il 15 gennaio 2002), decorresse, nel caso di specie, per tutti
i provvedimenti, dalla medesima data di notifica del 26 aprile 2002, è un fatto
meramente casuale imputabile all’essersi la ricorrente resa irreperibile con l’attuare vari spostamenti sul territorio nazionale, mentre la brevità del termine, di cui
sopra, non è tale da impedire, in situazioni normali, la possibilità di difesa in
giudizio.
«Fondato è, invece, il terzo motivo di ricorso.
«Il giudice a quo ha omesso di esaminare la censura della attuale ricorrente, con
la quale la stessa aveva evidenziato che i provvedimenti impugnati non contenevano
la indicazione dell’autorità cui ricorrere né del trermine per proporre la relativa
impugnazione.
«L’art. 3 comma 4 della l. 7 agosto 1990 n. 241 dispone che in ogni atto
notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile
ricorrere.
«Secondo l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che il collegio
condivide, la mancanza di tali indicazioni nel provvedimento impugnato impedisce
la decadenza dal diritto di proporre impugnazione (cfr. Cass., n. 9080/97; Cass., n.
6976/2000; Cass., n. 9725/2000)».
Corte di Cassazione, sentenza 24 novembre 2004 n. 22206, Prefetto della provincia
di Pescara (avv. dello Stato) c. Krasnov e Lazariuk.
Il trattenimento illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 13 comma 2
lett. b del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 comporta l’emissione automatica del decreto di
espulsione del cittadino extracomunitario, il quale non può addurre a propria giustificazione l’ignoranza del termine di otto giorni per la richiesta del permesso di soggiorno; né la sussistenza di un nucleo familiare in Italia è sufficiente a legittimare la
permanenza di un cittadino straniero, dal momento che l’art. 28 comma 1 del testo
unico prevede il diritto al mantenimento dell’unità familiare per i soli stranieri regolarmente presenti nel territorio dello Stato.
Con sentenza 24 novembre 2004 n. 22206, la Corte di Cassazione (pres. De
Musis, rel. Ragonesi, p.m. Uccella, conf.), ha ribadito alcuni punti già chiariti nella
propria consolidata giurisprudenza. Essa ha, tra l’altro, cosı́ motivato:
«È appena il caso di rilevare che le condizioni ed i requisiti per l’ingresso e la
permanenza dello straniero nel territorio nazionale sono disciplinati dalla legge
dello Stato senza che esista alcun diritto dello straniero ad accedere e permanere
a sua discrezione in Italia.
504
giurisprudenza italiana
«Fatta questa ovvia premessa, la Corte osserva che in tema di espulsione amministrativa dello straniero, la ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 13 comma 2 lett.
b del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 (trattenimento illegale nel territorio dello Stato),
comporta l’emissione del decreto di espulsione con carattere di automaticità con
esclusione di qualsivoglia potere discrezionale del Prefetto al riguardo e senza che
assumano alcun rilievo né la circostanza che lo straniero sia entrato regolarmente in
Italia, né che vi svolga attività lavorativa, in assenza dell’attivazione della specifica
procedura di sanatoria al riguardo (Cass., n. 17694/03).
«In maniera del tutto erronea pertanto il Tribunale di Pescara ha ritenuto che il
mancato assolvimento di detto onere non costituisse valido motivo per procedere
alla emanazione del provvedimento di espulsione.
«Né il Krasnov può validamente addurre a propria giustificazione l’ignoranza
del termine di otto giorni richiesto dalla legge per chiedere il permesso di soggiorno, come erroneamente ritenuto dal Tribunale di Pescara.
«Questa Corte ha infatti in svariate circostanze affermato che l’ignoranza del
termine in questione non può essere dallo straniero invocata come esimente, atteso
che l’ignoranza inevitabile della legge, rilevante agli effetti del principio stabilito
dall’art. 5 cod. pen. è solo quella che colpisce la generalità dei cittadini per il modo
stesso in cui la norma è posta, e quindi non si identifica con l’errata percezione
individuale del dettato normativo, comunque motivata (Cass., n. 10145/02), senza
dire che in ogni caso, sarebbe onere dell’interessato che deduce la mancanza di
colpa nell’inosservanza del termine per la richiesta del permesso di soggiorno dare
la prova della allegata ignoranza inevitabile della norma precettiva che impone allo
straniero di richiedere detto permesso al Questore entro otto giorni dal suo ingresso
in Italia, non essendo sufficiente la mera deduzione della non conoscenza della
legge italiana (Cass., n. 15408/01).
«Il provvedimento impugnato si rivela altresı́ errato, conformemente a quanto
dedotto dall’amministrazione ricorrente, in relazione al fatto che il Krasnov si sia
introdotto e trattenuto illegalmente in Italia per ricongiungersi alla propria asserita
moglie.
«Ai fini, infatti, dell’accertamento dell’illegittimità dell’espulsione amministrativa dello straniero ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286, il diritto al
mantenimento dell’unità della propria famiglia riconosciuto dall’art. 28 comma 1
alle condizioni sostanziali e nel rispetto delle regole procedurali previste dai successivi artt. 29 e 30, viene in considerazione solamente per gli stranieri regolarmente
presenti nel territorio dello Stato italiano, e cioè ‘‘titolari di carta di soggiorno o di
permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno’’.
«Pertanto, a far ritenere legittima la permanenza in Italia dei cittadini stranieri
non in regola con la normativa sull’ingresso nel territorio dello Stato non è, di per
sé, sufficiente l’esistenza di un nucleo familiare; né tale disciplina si pone in
contrasto con alcun principio, desumibile dall’art. 2 Cost., relativo alla tutela
del diritto all’unità familiare, atteso che il legislatore ordinario può legittimamente
limitare tale diritto, per bilanciare l’interesse dello straniero al mantenimento del
nucleo familiare con gli altri valori costituzionali sottesi dalle norme in tema di
ingresso e soggiorno degli stranieri (cfr. Corte Cost., ord. n. 286 del 2001; Cass., n.
12226/03)».
giurisprudenza italiana
505
Corte di Cassazione, sentenza 5 gennaio 2005 n. 209, Ministero degli affari esteri
(avv. dello Stato) c. Dakoli (intimata).
In materia di visti relativi ai ricongiungimenti familiari, spetta alla Questura, ai
sensi dell’art. 6 comma 2 del d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, rilasciare il nulla osta, dopo
aver verificato la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1 dello stesso articolo,
mentre compete all’autorità consolare di verificare, sulla base di tale nulla osta, ai
fini del rilascio del visto, i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al
lavoro e di convivenza stabiliti dall’art. 6 comma 2, laddove devono ritenersi comprese
anche le ulteriori condizioni di natura economica in cui la persona destinataria del
visto di ingresso si trovi nei rapporti con il richiedente, postulando l’art. 29 comma 1
lett. c del d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 che trattisi di «genitori a carico».
Con sentenza 5 gennaio 2005 n. 209, la Corte di Cassazione (pres. Saggio, rel.
Giuliani, p.m. Velardi, conf.), ha accolto il ricorso del Ministero degli affari esteri
avverso il decreto della Corte d’Appello di Firenze che aveva dichiarato inammissibile il suo reclamo avverso decreto del Tribunale di Firenze: quest’ultimo aveva
accolto il ricorso con cui una cittadina extracomunitaria impugnava il provvedimento mediante il quale l’Ambasciata italiana in Albania aveva denegato il rilascio
del visto d’ingresso ai propri genitori. La Corte ha avuto cosı́ modo di chiarire il
ruolo dell’autorità consolare nel rilascio dei visti relativi ai ricongiungimenti familiari. Essa ha, tra l’altro, cosı́ motivato:
«Giova, al riguardo, premettere come la materia dei visti relativi ai ricongiungimenti familiari trovi la propria analitica regolamentazione nell’art. 6 del d.p.r. 31
agosto 1999 n. 394, ai sensi del quale il richiedente deve munirsi preventivamente
del nulla osta della Questura, indicando le generalità delle persone per le quali
chiede il ricongiungimento e presentando la documentazione meglio specificata al
comma 1 dello stesso art. 6, onde, verificata la sussistenza degli altri requisiti e
condizioni, la Questura medesima rilascia, entro novanta giorni dalla ricezione della
domanda e della documentazione anzidetta, il nulla osta condizionato alla effettiva
acquisizione, da parte dell’autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di
convivenza (art. 6 comma 2), laddove tale autorità, ricevuto il nulla osta di cui al già
richiamato comma 2 (ovvero, se sono trascorsi novanta giorni dalla presentazione
della domanda di nulla osta, ricevuta copia della domanda medesima e degli atti
contrassegnati a norma del comma 1) ed acquisita la documentazione comprovante
i presupposti di cui al comma 2, rilasciano il visto di ingresso, previa esibizione del
passaporto e della documentazione di viaggio (art. 6 comma 3).
«Tanto premesso, si osserva come, dalla lettura della disposizione sopra riportata, sia dato di ricavare:
«a) che alle Questure, chiamate a rilasciare preventivamente ‘‘il nulla osta
condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell’autorità consolare italiana,
della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore
età o inabilità al lavoro e di convivenza’’ (art. 6 comma 2 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 394 del 1999), compete la verifica della sussistenza dei requisiti
e delle condizioni segnatamente risultanti dalle lettere a, b e c del comma 1 del già
citato art. 6;
«b) che all’autorità consolare compete, invece, la verifica degli anzidetti ‘‘pre-
506
giurisprudenza italiana
supposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza’’, di
cui al comma 2 del medesimo art. 6, là dove, però, simili presupposti sono da
intendere non soltanto nel senso dei presupposti d’identità e di qualità soggettiva
intrinseci alla persona destinataria del visto di ingresso, ma altresı́ nel senso delle
ulteriori condizioni, di natura economica, in cui quest’ultima si trovi nei rapporti
con il richiedente, postulando la lett. c del comma 1 dell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del
1998 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdotta
dall’art. 23 comma 1 lett. a della l. 30 luglio 2002 n. 189), che trattasi di ‘‘genitori
a carico’’.
«Ad una simile conclusione induce il rilievo secondo cui, giusta quanto trapare
dal comma 3 dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999,
le Questure risultano in possesso della (sola) documentazione di cui al comma 1 del
medesimo art. 6, mentre l’acquisizione della documentazione comprovante i presupposti di cui al già richiamato comma 2 compete esclusivamente alle autorità
consolari, non apparendo, del resto, ragionevole una interpretazione la quale finisca
per demandare alle questure una verifica mal suscettibile, per sua stessa natura, di
essere compiuta in Italia, quando, invece, una simile verifica, trattandosi di requisiti
(di natura economica) da accertare essenzialmente in relazione a soggetti che si
trovano all’estero, meglio si presta ad essere quivi effettuata, ovvero appunto dalle
rappresentanze diplomatiche e consolari.
«Né varrebbe, in contrario, osservare che, a norma dell’art. 29 comma 7 del
d.lgs. n. 286 del 1998 il Questore emette il provvedimento richiesto, ovvero un
provvedimento di diniego del nulla osta, ‘‘verificata l’esistenza dei requisiti di cui al
presente articolo’’, atteso che il riferimento a tali requisiti deve essere inteso come
relativo a quelli di cui al comma 3 del medesimo art. 29 (corrispondenti a quelli di
cui al comma 1 lett. c e b dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n.
394 del 1999), costituiti dalla disponibilità, rispettivamente, di un alloggio rientrante nei parametri minimi e di un reddito annuo sufficiente derivante da fonti
lecite.
«Appare, dunque, palese come, qualora si riconosca, secondo le considerazioni
di cui sopra, che la verifica circa la sussistenza delle condizioni soggettive di cui
all’art. 29 comma 1 lett. c del d.lgs. n. 286 del 1998 (ivi compreso il ‘‘rapporto
economico’’, oltre quello strettamente parentale, intercorrente tra i due interessati,
ovvero tra lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare ed il genitore per il
quale detto ricongiungimento è domandato), compete all’autorità consolare italiana, detta autorità ben possa (impregiudicato, evidentemente, il relativo sindacato
giurisdizionale richiesto sul punto dall’interessato, a norma dell’ultimo comma
dell’art. 30 del già richiamato d.lgs. n. 286 del 1998, a seguito del diniego del
rilascio del visto di ingresso per siffatto ricongiungimento) disattendere la valutazione eventualmente compiuta al riguardo dalla Questura, senza con ciò sostituirsi a
quest’ultimo ufficio che, come si è visto, non gode in proposito di alcuna competenza specifica ed esclusiva oltre quella che si incentra, sulla base della verifica della
sussistenza ‘‘degli altri requisiti e condizioni’’ meglio sopra indicati (quelli, cioè, di
cui all’art. 29 comma 3 del d.lgs. n. 286 del 1998 e all’art. 6 comma 1 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999), nel rilascio del nulla osta, il quale,
essendo fondato sulla verifica appunto di requisiti e condizioni ‘‘differenti’’, non
risulta di per sé vincolante agli effetti del rilascio del visto per ricongiungimento
familiare e che, quindi, neppure esclude un apprezzamento di segno contrario da
giurisprudenza italiana
507
parte dell’autorità consolare, chiamata, ai sensi del comma 3 dell’art. 6 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999, non solo a ricevere il nulla osta di
cui al comma 2 dello stesso art. 6, ma altresı́ ad acquisire la documentazione
comprovante i presupposti (ulteriori) di cui a quest’ultimo comma.
Corte Costituzionale, sentenza 18 febbraio 2005 n. 78, nei giudizi riuniti di legittimità promossi dal Tribunale di Vicenza, dal TAR della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, dal Tribunale di Catania, dal Tribunale di Prato e dal TAR
del Veneto; con l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. dello
Stato).
Sono costituzionalmente illegittimi, con riferimento all’art. 3 Cost., l’art. 33
comma 7 lett. c della legge 30 luglio 2002 n. 189, di modifica alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo, e l’art. 1 comma 8 lett. c del decreto legge 9
settembre 2002 n. 195, contenente disposizioni urgenti in materia di legalizzazione
del lavoro irregolare di cittadini extracomunitari, convertito con modificazioni nella
legge 9 ottobre 2002 n. 222, nella parte in cui fanno derivare automaticamente il
rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione nei suoi confronti di una denuncia per uno dei reati per i quali gli artt. 380 e 381
cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza.
Con sentenza 18 febbraio 2005 n. 78, la Corte Costituzionale (pres. Contri, rel.
Amirante), ha cosı́ argomentato la declaratoria di illegittimità costituzionale delle
norme impugnate, relative, l’una (art. 33 comma 7 lett. c della l. 30 luglio 2002 n.
189) ai lavoratori domestici, l’altra (art. 1 comma 8 lett. c del d.l. 9 settembre 2002
n. 195) ai dipendenti delle imprese:
«Se è indubitabile che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire i
requisiti che i lavoratori extracomunitari debbono avere per ottenere le autorizzazioni che consentano loro di trattenersi e lavorare nel territorio della Repubblica, è
altresı́ vero che il suo esercizio deve essere rispettoso dei limiti segnati dai precetti
costituzionali. A prescindere dal rispetto di altri parametri, per essere in armonia
con l’art. 3 Cost. la normativa deve anzitutto essere conforme a criteri di intrinseca
ragionevolezza (cfr. sentenze n. 62 e n. 283 del 1994).
«Ora, nel nostro ordinamento la denuncia, comunque formulata e ancorché
contenga l’espresso riferimento a una o a piú fattispecie criminose, è atto che nulla
prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto indicato come
autore degli atti che il denunciante riferisce. Essa obbliga soltanto gli organi competenti a verificare se e quali dei fatti esposti in denuncia corrispondano alla realtà e
se essi rientrino in ipotesi penalmente sanzionate, ossia ad accertare se sussistano le
condizioni per l’inizio di un procedimento penale.
«Considerazioni analoghe sono alla base della sentenza n. 173 del 1997 la
quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 ter, ultimo comma l.
26 luglio 1975 n. 354, rilevò che era l’automatismo delle conseguenze ricollegate
alla sola denuncia a urtare contro il principio di ragionevolezza.
508
giurisprudenza italiana
«Le norme censurate fanno irragionevolmente derivare dalla denuncia conseguenze molto gravi in danno di chi della medesima è soggetto passivo, imponendo il
rigetto dell’istanza di regolarizzazione che lo riguarda e l’emissione nei suoi confronti dell’ordinanza di espulsione; conseguenze tanto piú gravi qualora s’ipotizzino
denunce non veritiere per il perseguimento di finalità egoistiche del denunciante e
si abbia riguardo allo stato di indebita soggezione in cui, nella vigenza delle norme
stesse, vengono a trovarsi i lavoratori extracomunitari.
«Si deve pertanto dichiarare, in riferimento all’art. 3 Cost., l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate nella parte in cui fanno derivare automaticamente
il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla presentazione nei suoi confronti di una denuncia per uno dei reati per i quali gli artt.
380 e 381 cod. proc. pen. prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza».
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA
Corte di giustizia, sentenza 17 gennaio 2006 nella causa C-1/04
Presidente, Skouris - Avvocato generale, Ruı́z-Jarabo Colomer
Sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) nella
causa Staubitz-Schreibe.
L’art. 43, prima frase del regolamento (CE) del Consiglio n. 1346/2000 del 29
maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, deve essere interpretato nel senso
che il regolamento si applica se non è stata adottata alcuna decisione di apertura di
una procedura di insolvenza prima della sua entrata in vigore, il 31 maggio 2002,
anche se la domanda di decisione di apertura è stata proposta anteriormente a tale
data.
L’art. 3 par. 1 del regolamento (CE) n. 1346/2000 deve essere interpretato nel
senso che il giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli
interessi principali del debitore al momento della proposizione da parte di quest’ultimo della domanda di apertura della procedura d’insolvenza resta competente ad
aprire la detta procedura quando il detto debitore trasferisca il centro dei propri
interessi principali nel territorio di un altro Stato membro successivamente alla proposizione della domanda, ma anteriormente all’apertura della procedura. 1*
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 3
par. 1 del regolamento (CE) del Consiglio del 29 maggio 2000 n. 1346, relativo alle
procedure di insolvenza (Gazz. Uff. Com. eur., L 160, p. 1, in prosieguo: il «regolamento»).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento di ricorso
interposto dinanzi al Bundesgerichtshof dalla sig.ra Staubitz-Schreiber (in prosieguo: la «ricorrente nella causa principale»), dopo che la sua domanda di apertura di
una procedura di insolvenza («Insolvenzverfahren») era stata respinta dall’Amtsgericht Insolvenzgericht di Wuppertal e successivamente, su ricorso, dal Landgericht
Wuppertal.
Contesto normativo
3. Secondo il suo quarto e sesto considerando, il regolamento stabilisce norme
sulla competenza per l’apertura delle procedure di insolvenza che presentano implicazioni transfrontaliere, nonché per le decisioni che ne scaturiscono direttamente
e sono ad esse strettamente connesse. Esso contiene altresı́ disposizioni in materia
di riconoscimento di tali decisioni e in materia di legge applicabile, e, in particolare,
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
510
giurisprudenza comunitaria
ha lo scopo di dissuadere le parti dal trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da
uno Stato ad un altro al fine di ottenere una migliore situazione giuridica.
4. Emerge dal dodicesimo considerando del regolamento che questo prevede
l’apertura della procedura principale d’insolvenza nello Stato membro nel quale è
situato il centro degli interessi principali del debitore. Tale procedura ha portata
universale e tende in via di principio a comprendere tutti i beni del debitore, salvo,
in particolare, l’apertura di procedure secondarie parallele, nello Stato o negli Stati
membri in cui il debitore ha una dipendenza e i cui effetti sono limitati ai beni
situati in tale Stato o tali Stati.
5. Ai sensi dell’art. 1 par. 1 del regolamento, esso si applica, salvo i casi
particolari elencati nel suo par. 2 «alle procedure concorsuali fondate sull’insolvenza del debitore che comportano lo spossessamento parziale o totale del debitore
stesso e la designazione di un curatore».
6. Ai sensi dell’art. 2 del regolamento, si deve intendere per:
«a) ‘‘procedura di insolvenza’’, le procedure concorsuali di cui all’art. 1 par. 1.
L’elenco di tali procedure figura nell’allegato A;
«...
«d) ‘‘giudice’’, l’organo giudiziario o qualsiasi altro competente di uno Stato
membro legittimato ad aprire una procedura di insolvenza o a prendere decisioni
nel corso di questa;
«e) ‘‘decisione’’, in relazione all’apertura di una procedura d’insolvenza o alla
nomina di un curatore, la decisione di qualsiasi giudice competente a aprire tale
procedura o a nominare un curatore;
«f) ‘‘momento in cui è aperta la procedura di insolvenza’’, il momento in cui la
decisione di apertura, sia essa definitiva o meno, comincia a produrre effetti;
«...»
7. L’art. 3 del regolamento prevede le norme seguenti in materia di competenza
internazionale:
«1. Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato
membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore.
Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria.
«2. Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di
uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire
una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una
dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro. Gli effetti di tale procedura
sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio.
«3. Se è aperta una procedura di insolvenza ai sensi del par. 1, le procedure
d’insolvenza aperte successivamente ai sensi del par. 2 sono procedure secondarie.
Tale procedura è obbligatoriamente una procedura di liquidazione.
«4. Una procedura d’insolvenza territoriale di cui al par. 2 può aver luogo
prima dell’apertura di una procedura principale d’insolvenza di cui al par. 1 soltanto nei seguenti casi:
«a) allorché, in forza delle condizioni previste dalla legislazione dello Stato
membro in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore, non si può
aprire una procedura d’insolvenza di cui al par. 1,
«ovvero
«b) allorché l’apertura della procedura territoriale d’insolvenza è richiesta da
giurisprudenza comunitaria
511
un creditore il cui domicilio, residenza abituale o sede è situata nello Stato membro
nel quale si trova la dipendenza in questione, ovvero il cui credito deriva dall’esercizio di tale dipendenza».
8. L’art. 4 par. 1 del regolamento indica come legge applicabile alla procedura
di insolvenza e ai suoi effetti «la legge dello Stato membro nel cui territorio è aperta
la procedura, in appresso denominato ‘‘Stato di apertura’’». Varie eccezioni alla
legge dello Stato di apertura sono tuttavia previste dagli artt. 5-15 del regolamento.
9. A tenore dell’art. 16 par. 1 del regolamento «[l]a decisione di apertura della
procedura di insolvenza da parte di un giudice di uno Stato membro, competente in
virtú dell’art. 3, è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri non appena essa
produce effetto nello Stato in cui la procedura è aperta. Tale disposizione si applica
anche quando il debitore, per la sua qualità, non può essere assoggettato a una
procedura di insolvenza negli altri Stati membri».
10. Ai sensi dell’art. 17 par. 1 del regolamento «[l]a decisione di apertura di
una procedura di cui all’art. 3 par. 1, produce in ogni altro Stato membro, senza
altra formalità, gli effetti previsti dalla legge dello Stato di apertura, salvo disposizione contraria del presente regolamento e fintantoché, in tale altro Stato membro
non è aperta altra procedura di cui all’art. 3 par. 2».
11. L’art. 38 del regolamento prevede che «[a]llorché, per garantire la conservazione dei beni del debitore, il giudice di uno Stato membro competente ai sensi
dell’art. 3 par. 1, nomina un curatore provvisorio ai fini di garantire la conservazione dei beni del debitore, tale curatore provvisorio è legittimato a chiedere tutti i
provvedimenti conservativi per i beni del debitore che si trovano in un altro Stato
membro, previsti dalla legge di detto Stato, per il periodo che separa la richiesta
dalla decisione di apertura di una procedura di insolvenza».
12. A titolo di disposizioni transitorie, l’art. 43 del regolamento prevede, sotto il
titolo «Applicazione nel tempo»:
«Le disposizioni del presente regolamento si applicano soltanto alle procedure
di insolvenza aperte dopo la sua entrata in vigore. Gli atti compiuti dal debitore
prima dell’entrata in vigore del presente regolamento continuano ad essere disciplinati dalla legge ad essi applicabile al momento del loro compimento».
13. L’art. 44 del regolamento dispone altresı́, sotto il titolo «Rapporti con le
convenzioni», quanto segue:
«1. Una volta entrato in vigore, il presente regolamento sostituisce nelle relazioni tra gli Stati membri, per le materie che ne sono oggetto, le convenzioni
stipulate fra due o piú Stati membri, ...
«2. Le convenzioni di cui al par. 1 continuano a produrre effetti nelle materie
disciplinate dal presente regolamento per quanto riguarda le procedure iniziate
prima dell’entrata in vigore di quest’ultimo.
«...».
14. In applicazione del proprio art. 47, il regolamento è entrato in vigore il 31
maggio 2002. L’allegato A menziona l’«Insolvenzverfahren» del diritto tedesco in
quanto procedura d’insolvenza di cui all’art. 2 lett. a dello stesso regolamento.
Controversia nella causa principale e questione pregiudiziale
15. La ricorrente nella causa principale risiedeva in Germania, ove gestiva
un’impresa individuale di commercio di apparecchi e di accessori di telecomunicazione. Essa ha smesso di gestire tale impresa nel corso dell’anno 2001 e, il 6
512
giurisprudenza comunitaria
dicembre 2001, ha domandato l’apertura di una procedura di insolvenza sul proprio patrimonio dinanzi all’Amstgericht-Insolvenzgericht di Wuppertal. Il 1o aprile
2002 essa ha trasferito la propria residenza in Spagna per viverci e lavorarci.
16. Con ordinanza del 10 aprile 2002, tale giudice ha rifiutato di aprire la
procedura di insolvenza richiesta, in ragione di una mancanza di attivi. Il ricorso
presentato dalla ricorrente nella causa principale contro tale ordinanza è stato
respinto dal Landgericht Wuppertal, con ordinanze del 14 agosto 2002 e del 15
ottobre 2003, in quanto i giudici tedeschi non erano competenti ad aprire la
procedura d’insolvenza, in conformità dell’art. 3 par. 1 del regolamento, poiché
il centro degli interessi principali della ricorrente nella causa principale si trovava in
Spagna.
17. La ricorrente nella causa principale ha presentato un ricorso dinanzi al
Bundesgerichtshof, al fine di ottenere l’annullamento delle ordinanze menzionate
e il rinvio della causa dinanzi al Landgericht Wuppertal. Essa sostiene che la
competenza internazionale dovrebbe essere esaminata in relazione alla situazione
esistente al momento in cui la domanda di apertura della procedura d’insolvenza è
stata depositata, ossia, nel caso di specie, prendendo in considerazione il suo domicilio in Germania nel dicembre 2001.
18. Il giudice di rinvio afferma, innanzitutto, che la causa ad esso sottoposta nel
caso di specie rientra nel campo di applicazione del regolamento, in conformità
degli artt. 43 e 44 par. 2 di questo, dal momento che non è stata adottata alcuna
decisione positiva di apertura di una procedura d’insolvenza prima dell’entrata in
vigore, il 31 maggio 2002, del detto regolamento.
19. Il detto giudice osserva, inoltre, che la ricorrente nella causa principale ha
trasferito il centro dei propri interessi principali in Spagna dopo avere domandato
in Germania l’apertura di una procedura d’insolvenza, ma prima che una tale
procedura fosse aperta e producesse i suoi effetti secondo la legislazione tedesca.
20. In queste circostanze, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il
processo e sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il giudice dello Stato membro, al quale sia stata presentata la domanda di
avvio della procedura di insolvenza, resti competente a decidere in merito all’apertura di detta procedura quando il debitore, successivamente alla proposizione della
domanda ma anteriormente all’apertura della procedura stessa, abbia trasferito il
centro dei propri interessi principali nel territorio di un altro Stato membro, ovvero
se la competenza venga invece trasferita al giudice dell’altro Stato membro».
Sulla questione pregiudiziale
21. L’art. 43, prima frase del regolamento enuncia il principio che regola le
condizioni di applicazione nel tempo del regolamento stesso. Tale disposizione
deve essere interpretata nel senso che esso si applica se non è stata adottata alcuna
decisione di apertura di una procedura di insolvenza prima della sua entrata in
vigore, il 31 maggio 2002, anche se la domanda di decisione di apertura è stata
proposta anteriormente a tale data. È proprio quanto avviene nel caso di specie,
poiché la domanda della ricorrente nella causa principale è stata proposta il 6
dicembre 2001 e poiché non è stata adottata alcuna decisione di apertura della
procedura d’insolvenza prima del 31 maggio 2002.
22. Ne deriva che, nella causa principale, il giudice del rinvio deve valutare la
propria competenza ai sensi dell’art. 3 par. 1 del regolamento.
giurisprudenza comunitaria
513
23. Tale disposizione, che prevede che sono competenti ad aprire la procedura
d’insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli
interessi principali del debitore, non precisa se il giudice inizialmente adito resti
competente qualora il debitore abbia trasferito il centro dei propri interessi principali dopo la presentazione della domanda di apertura della procedura ma prima
dell’adozione della decisione di apertura.
24. Tuttavia, un trasferimento di competenza dal giudice inizialmente adito
verso un giudice di un altro Stato membro su tale fondamento sarebbe contrario
agli obiettivi perseguiti dal regolamento.
25. Infatti, al quarto considerando di quest’ultimo, il legislatore comunitario
ricorda il suo intento di dissuadere le parti della procedura dal trasferire i beni o i
procedimenti giudiziari da uno Stato membro ad un altro al fine di ottenere una
migliore situazione giuridica. Tale obiettivo non sarebbe raggiunto se il debitore
potesse trasferire il centro dei propri interessi principali in un altro Stato membro
tra la presentazione della domanda di apertura e l’adozione della decisione di
apertura della procedura e determinare, in questo modo, il giudice competente
nonché il diritto applicabile.
26. Un tale trasferimento di competenza sarebbe altresı́ contrario allo scopo,
ricordato al secondo e all’ottavo considerando del regolamento, di un funzionamento efficace, migliorato e accelerato delle procedure transfrontaliere, in quanto
esso obbligherebbe i creditori a ricercare continuamente il debitore là dove questi
decidesse di stabilirsi in modo piú o meno definitivo e, in pratica, rischierebbe di
tradursi spesso in un allungamento della procedura.
27. Inoltre, il mantenimento della competenza del primo giudice adito assicura
una maggiore certezza del diritto ai creditori che hanno valutato i rischi da assumere in caso di insolvenza del debitore rispetto al luogo in cui si trovava il centro
degli interessi principali di questi al momento in cui essi stringevano rapporti
giuridici con lui.
28. La portata universale della procedura d’insolvenza principale, l’apertura,
ove opportuno, di procedure secondarie, nonché la possibilità per il curatore provvisorio designato dal giudice inizialmente adito di chiedere provvedimenti conservativi e protettivi sui beni del debitore che si trovano in un altro Stato membro,
costituiscono peraltro garanzie importanti per i creditori, che permettono di garantire la maggior copertura possibile del patrimonio del debitore, in particolare qualora quest’ultimo abbia trasferito il centro dei propri interessi principali successivamente alla domanda di apertura della procedura, ma prima che si apra la procedura.
29. Si deve dunque rispondere al giudice a quo che l’art. 3 par. 1 del regolamento deve essere interpretato nel senso che il giudice dello Stato membro nel cui
territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore al momento della
proposizione da parte di quest’ultimo della domanda di apertura della procedura
d’insolvenza resta competente ad aprire la detta procedura quando il detto debitore
trasferisca il centro dei propri interessi principali nel territorio di un altro Stato
membro successivamente alla proposizione della domanda, ma anteriormente all’apertura della procedura.
Sulle spese
30. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento
514
giurisprudenza comunitaria
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M., la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’art. 3 par. 1 del regolamento (CE) del Consiglio del 29 maggio 2000 n. 1346,
relativo alle procedure di insolvenza, deve essere interpretato nel senso che il
giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi
principali del debitore al momento della proposizione da parte di quest’ultimo
della domanda di apertura della procedura d’insolvenza resta competente ad aprire
la detta procedura quando il detto debitore trasferisca il centro dei propri interessi
principali nel territorio di un altro Stato membro successivamente alla proposizione
della domanda, ma anteriormente all’apertura della procedura.
Corte di giustizia, parere 7 febbraio 2006 n. 1/03
Presidente, Skouris
Sulla domanda formulata dal Consiglio dell’Unione europea.
La conclusione della nuova convenzione di Lugano, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale, rientra interamente nella competenza esclusiva della Comunità europea,
poiché la nuova convenzione di Lugano pregiudicherebbe l’applicazione uniforme e
coerente delle norme comunitarie per quanto riguarda sia la competenza giurisdizionale sia il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e il corretto funzionamento del
sistema globale istituito da tali norme. 1*
1. La domanda riguarda la competenza esclusiva o concorrente della Comunità
europea a concludere la nuova convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, destinata a sostituire l’attuale convenzione di Lugano (in prosieguo: l’«accordo previsto» o la «nuova convenzione di Lugano»).
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
Tra le pronunce della Corte di giustizia citate in motivazione possono leggersi in questa Rivista: parere n. 2/00 del 6 dicembre 2001, ivi, 2002, p. 777 ss.; parere n. 2/94 del 28 marzo
1996, ivi, 1997, p. 201 ss.; parere n. 1/94 del 15 novembre 1994, ivi, 1995, p. 460 ss.; 31
marzo 1971, in causa 22/70, ivi, 1971, p. 679 ss.; parere n. 2/91 del 19 marzo 1993, ivi,
1993, p. 998 ss.; parere n. 2/92 del 24 marzo 1995, ivi, 1995, p. 499 ss.; 2 luglio 1985, in causa
148/84, ivi, 1986, p. 425 ss.; 10 febbraio 1994, in causa C-398/92, ivi, 1994, p. 877 ss.; 5 novembre 2002, in causa C-466/98, ivi, 2003, p. 1099 ss. (breve); 1 marzo 2005, in causa C-281/
02, ivi, 2005, p. 498 ss.
giurisprudenza comunitaria
515
2. Ai sensi dell’art. 300 n. 6 CE «[i]l Parlamento europeo, il Consiglio, la
Commissione o uno Stato membro possono domandare il parere della Corte di
giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del presente trattato. Quando la Corte di giustizia abbia espresso parere negativo, l’accordo può entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite dall’art. 48 del trattato
sull’Unione europea».
Esposizione del contesto della domanda di parere
Le disposizioni pertinenti del trattato CE
3. La terza parte del trattato CE comprende un titolo IV, inserito dal trattato di
Amsterdam e modificato dal trattato di Nizza, che contiene il fondamento normativo per l’adozione della legislazione comunitaria in particolare nel settore della
cooperazione giudiziaria in materia civile.
4. A tale proposito, l’art. 61 lett. c CE cosı́ dispone:
«Allo scopo di istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, il Consiglio adotta:
«...
«c) misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, come
previsto all’art. 65».
5. L’art. 65 CE è formulato come segue:
«Le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che
presenti implicazioni transfrontaliere, da adottare a norma dell’art. 67 e per quanto
necessario al corretto funzionamento del mercato interno, includono:
«a) il miglioramento e la semplificazione:
«del sistema per la notificazione transnazionale degli atti giudiziari ed extragiudiziali;
«della cooperazione nell’assunzione dei mezzi di prova;
«del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, comprese le decisioni extragiudiziali;
«b) la promozione della compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale,
«c) l’eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili,
se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri».
6. L’art. 67 par. 1 CE recita:
«Per un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del trattato di
Amsterdam, il Consiglio delibera all’unanimità su proposta della Commissione o su
iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento europeo».
7. Va inoltre rilevato che, ai sensi dell’art. 69 CE, il titolo IV della terza parte
del trattato CE «si applica nel rispetto delle disposizioni del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda e del protocollo sulla posizione della Danimarca». Come risulta dal rispettivo tenore di questi due protocolli, il protocollo
sulla posizione della Danimarca (in prosieguo: il «protocollo danese») e quello sulla
posizione del Regno Unito e dell’Irlanda funzionano diversamente. Quest’ultimo
protocollo, infatti, permette al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord
nonché all’Irlanda di essere vincolati, se lo vogliono, da misure adottate a norma
dell’art. 61 lett. c CE senza tuttavia essere obbligati a rinunciare al detto protocollo
in quanto tale. Una tale possibilità è preclusa, invece, al Regno di Danimarca. Di
516
giurisprudenza comunitaria
conseguenza, i regolamenti adottati sulla base del detto titolo IV nel settore della
cooperazione giudiziaria in materia civile non vincolano la Danimarca e non sono
applicabili nei suoi confronti.
8. L’art. 293 CE (già art. 220 del trattato CE), che rientra nella sesta parte del
trattato, la quale contiene le disposizioni generali e finali, cosı́ dispone:
«Gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a
garantire, a favore dei loro cittadini:
«...
«la semplificazione delle formalità cui sono sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle sentenze arbitrali».
9. Altre disposizioni del trattato sono state utilizzate come fondamento normativo di strumenti comunitari settoriali che contengono norme accessorie sulla competenza. Il Consiglio cita, come esempi, il titolo X del regolamento (CE) del Consiglio del 20 dicembre 1993 n. 40/94, sul marchio comunitario (Gazz. Uff. Com. eur.,
1994, L 11, p. 1), basato sull’art. 235 del trattato CE (divenuto art. 308 CE), e l’art.
6 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 n.
96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di
servizi (ibidem, 1997, L 18, p. 1), basata sugli artt. 57 n. 2 del trattato CE (divenuto,
in seguito a modifica, art. 47 n. 2 CE) e 66 del trattato CE (divenuto art. 55 CE).
Gli strumenti comunitari esistenti alla data della domanda di parere
Il regolamento (CE) n. 44/2001
10. Il regolamento (CE) del Consiglio del 22 dicembre 2000 n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Gazz. Uff. Com. eur., 2001, L 12, p. 1),
istituisce un regime generale di competenza giurisdizionale e di riconoscimento
nonché di esecuzione delle decisioni applicabile nella Comunità in materia civile
e commerciale.
11. Il detto regolamento ha sostituito, per tutti gli Stati membri ad eccezione
del Regno di Danimarca, la convenzione concernente la competenza giurisdizionale
e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, conclusa a Bruxelles il
27 settembre 1968 (Gazz. Uff. Com. eur., 1972, L 299, p. 32) sulla base dell’art. 220,
quarto trattino del trattato CEE (divenuto art. 220, quarto trattino del trattato CE,
a sua volta divenuto art. 293, quarto trattino CE), come modificata dalla convenzione del 9 ottobre 1978, relativa all’adesione del Regno di Danimarca, dell’Irlanda
e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (ibidem, L 304, p. 1 e –
versione modificata – p. 77), dalla convenzione del 25 ottobre 1982, relativa all’adesione della Repubblica ellenica (ibidem, L 388, p. 1), dalla convenzione del 26
maggio 1989, relativa all’adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese (ibidem, L 285, p. 1) e dalla convenzione del 29 novembre 1996, relativa
all’adesione della Repubblica d’Austria, della Repubblica di Finlandia e del Regno
di Svezia (ibidem, 1997, C 15, p. 1; in prosieguo: la «convenzione di Bruxelles»).
12. Conformemente al protocollo danese, il regolamento n. 44/2001 non si
applica alla Danimarca. Al contrario, ai sensi dell’art. 3 del protocollo sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda, tali Stati membri hanno notificato la loro
intenzione di partecipare all’adozione e all’applicazione del detto regolamento.
giurisprudenza comunitaria
517
13. La Corte di giustizia è competente ad interpretare il regolamento n. 44/
2001 alle condizioni definite agli artt. 68 CE e 234 CE.
La convenzione di Bruxelles
14. Siccome, in virtú del protocollo danese, il regolamento n. 44/2001 non è
vincolante per il Regno di Danimarca e non si applica nei suoi confronti, è ancora la
convenzione di Bruxelles che si applica ai rapporti tra il detto Stato membro e gli
Stati soggetti al regolamento n. 44/2001. Tuttavia, occorre rilevare che, il 19 ottobre
2005, a Bruxelles è stato firmato un accordo tra la Comunità europea e il Regno di
Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firma approvata a nome della
Comunità con decisione del Consiglio del 20 settembre 2005 n. 2005/790/CE
(Gazz. Uff. Un. eur., L 299, p. 61), con riserva della decisione del Consiglio relativa
alla conclusione di tale accordo.
15. D’altro canto, l’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 è circoscritto dall’art. 299 CE, che definisce l’ambito di applicazione territoriale del trattato, laddove la convenzione di Bruxelles, in quanto convenzione di diritto internazionale, si applica ad alcuni territori d’oltremare appartenenti a vari Stati membri. Trattasi, per la Repubblica francese, dei territori d’oltremare e di Mayotte e,
per i Paesi Bassi, di Aruba; gli altri Stati membri, invece, non sono interessati. Per i
detti territori la convenzione continua, dunque, a trovare applicazione.
16. Conformemente al protocollo relativo all’interpretazione da parte della
Corte di giustizia della convenzione del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale,
firmato a Lussemburgo il 3 giugno 1971 (Gazz. Uff. Com. eur., 1975, L 204, p. 28),
la Corte di giustizia è competente ad interpretare la convenzione di Bruxelles.
La convenzione di Lugano
17. La convenzione di Lugano concernente la competenza giurisdizionale e
l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, firmata a Lugano il
16 settembre 1988 (Gazz. Uff. Com. eur., L 319, p. 9; in prosieguo: la «convenzione
di Lugano»), trova origine nella creazione dell’Associazione europea di libero scambio (in prosieguo: l’«AELS») e nell’istituzione, fra gli Stati contraenti di quest’ultima e gli Stati membri dell’Unione europea, di un sistema analogo a quello della
convenzione di Bruxelles. Essa è stata ratificata dagli Stati interessati, ad eccezione
del Principato del Liechtenstein. In conseguenza della successiva adesione di molti
Stati membri dell’AELS all’Unione europea, i soli Stati contraenti che non sono
membri di quest’ultima sono ormai la Repubblica d’Islanda, il Regno di Norvegia e
la Confederazione svizzera, cui si è aggiunta la Repubblica di Polonia, che ha
ratificato la detta convenzione il 1º novembre 1999. Tuttavia, quest’ultimo Stato
è divenuto membro dell’Unione europea il 1º maggio 2004.
18. La convenzione di Lugano è parallela a quella di Bruxelles nel senso che è
diretta a far applicare, nei rapporti tra uno Stato aderente alla convenzione di
Bruxelles e uno Stato membro dell’AELS aderente alla convenzione di Lugano,
nonché nei rapporti tra gli Stati membri dell’AELS aderenti alla convenzione di
Lugano inter se, un regime che, con qualche eccezione, è pressoché identico a
quello istituito dalla convenzione di Bruxelles.
19. La Corte di giustizia non è competente ad interpretare la convenzione di
518
giurisprudenza comunitaria
Lugano. Tuttavia, il protocollo n. 2, relativo all’interpretazione uniforme della
convenzione, ha istituito un sistema di scambio di informazioni per quanto riguarda
le decisioni giurisdizionali emesse in applicazione di tale convenzione e gli Stati
membri dell’Unione europea e gli Stati non membri della stessa hanno sottoscritto
dichiarazioni per assicurare un’interpretazione quanto piú possibile uniforme di tale
convenzione e delle disposizioni equivalenti a quelle di quest’ultima nella convenzione di Bruxelles. Peraltro, il protocollo n. 3 della convenzione di Lugano, relativo
all’applicazione dell’art. 57 di quest’ultima, prevede che, se uno Stato contraente
ritiene che una disposizione contenuta in un atto delle istituzioni comunitarie sia
incompatibile con la convenzione, gli Stati contraenti prenderanno senza indugio in
considerazione emendamenti di detta convenzione, salva restando l’applicazione
della procedura prevista dal detto protocollo n. 2.
Cronistoria dei lavori preparatori per l’accordo previsto
20. Nel corso di una sessione tenutasi nei giorni 4 e 5 dicembre 1997 il Consiglio ha incaricato un gruppo ad hoc formato dai rappresentanti degli Stati membri
dell’Unione nonché della Repubblica d’Islanda, del Regno di Norvegia e della
Confederazione svizzera di avviare lavori preparatori ad una revisione parallela
delle convenzioni di Bruxelles e di Lugano. I negoziati rispondevano, in sostanza,
alla duplice funzione di modernizzare il regime delle due convenzioni e di eliminare
le loro reciproche discrepanze.
21. Il mandato di tale gruppo ad hoc si basava sull’art. 220 del trattato CE e i
lavori del detto gruppo sono terminati nell’aprile 1999. Quest’ultimo ha infatti
raggiunto un accordo su un testo volto a rivedere le convenzioni di Bruxelles e
di Lugano. Tale accordo è stato approvato a livello politico dal Consiglio nella sua
2184ª sessione tenutasi il 27 e 28 maggio 1999 (doc. 7700/99 JUSTCIV 60, del 30
aprile 1999).
22. Dopo l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, che ha conferito alla
Comunità nuove competenze relative alla cooperazione giudiziaria in materia civile,
non era piú possibile inserire le modifiche proposte dal gruppo ad hoc in merito al
regime della convenzione di Bruxelles rivedendo quest’ultima ex art. 293 CE. La
Commissione ha perciò sottoposto al Consiglio, il 14 luglio 1999, una proposta di
regolamento diretta ad inserire nel diritto comunitario il risultato dei lavori di tale
gruppo. È cosı́ che, il 22 dicembre 2000, il Consiglio ha adottato, sulla base degli
artt. 61 lett. c CE e 67 par. 1 CE, il regolamento n. 44/2001, entrato in vigore il 1º
marzo 2002.
23. Con riferimento alla convenzione di Lugano, la Commissione ha presentato,
il 22 marzo 2002, una raccomandazione di decisione del Consiglio che autorizza la
Commissione a intavolare negoziati per l’adozione di una convenzione tra la Comunità e la Danimarca – tenendo conto del protocollo sulla posizione di quest’ultima – [da un lato,] l’Islanda, la Norvegia, la Svizzera e la Polonia, dall’altro, sulla
competenza giudiziaria, sul riconoscimento e sull’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che sostituisca la convenzione di Lugano del 16 settembre 1988 [doc. SEC(2002) 298 def.].
24. Nella 2455ª sessione, svoltasi il 14 e 15 ottobre 2002, il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad intavolare negoziati per l’adozione di una nuova convenzione di Lugano, fatta salva la questione se la conclusione di quest’ultima rientri
giurisprudenza comunitaria
519
nella competenza esclusiva della Comunità o in una competenza concorrente tra
quest’ultima e gli Stati membri. Esso ha altresı́ adottato direttive di negoziato.
25. Nella 2489ª sessione, tenutasi il 27 e 28 febbraio 2003, il Consiglio ha deciso
di sottoporre la presente domanda di parere alla Corte di giustizia.
Oggetto dell’accordo previsto e domanda di parere del Consiglio
26. Ai punti 8-12 della sua domanda di parere il Consiglio descrive nei seguenti
termini l’oggetto dell’accordo previsto:
«8. L’accordo previsto stabilirebbe una nuova convenzione (di Lugano) concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. L’oggetto e il contenuto dell’accordo previsto
derivano dalle direttive di negoziato le quali, a loro volta, si riferiscono al testo della
revisione (doc. 7700/99) e al regolamento n. 44/2001 del Consiglio, in quanto
l’obiettivo è quello di allineare, per quanto possibile, le disposizioni sostanziali
dell’accordo previsto a quelle del regolamento n. 44/2001.
«9. A norma del punto 1 delle direttive di negoziato nell’accordo previsto
dovrebbe infatti figurare il testo della revisione che ha formato oggetto di un
accordo in sede di Consiglio del 27 e 28 maggio 1999 e il testo dei titoli II-V
dovrebbe essere adeguato in modo da corrispondere quanto piú possibile al testo
del regolamento n. 44/2001, essendo inteso che i testi dell’accordo ed i relativi
protocolli dovranno essere adeguati per tener conto del fatto che la Comunità sarà
parte contraente.
«10. Si prevede pertanto di impostare le disposizioni sostanziali dell’accordo
previsto nel seguente modo:
«nel titolo I (‘‘Campo di applicazione’’) dovrebbe figurare il testo dell’art. 1 del
testo della revisione;
«il titolo II (‘‘Della competenza’’), dovrebbe corrispondere, per quanto possibile, al capo II del regolamento n. 44/2001. Tuttavia, l’art. 12bis par. 5 del testo
della revisione sostituirebbe, se del caso, il disposto dell’art. 14 par. 5 del regolamento n. 44/2001;
«il titolo III (‘‘Del riconoscimento e dell’esecuzione’’) dovrebbe corrispondere,
per quanto possibile, al capo III del regolamento n. 44/2001. La disposizione sul
gratuito patrocinio conterrebbe tuttavia un secondo paragrafo;
«il titolo IV (‘‘Atti autentici e transazioni giudiziarie’’) dovrebbe corrispondere,
per quanto possibile, al capo IV del regolamento n. 44/2001;
«il titolo V (‘‘Disposizioni generali’’) dovrebbe corrispondere, per quanto possibile, alle disposizioni del capo V del regolamento n. 44/2001.
«11. Il punto 2 delle direttive di negoziato, riguarda le disposizioni dei titoli VII
e successivi dell’accordo previsto.
«A norma del punto 2 lett. a delle direttive di negoziato ‘‘la convenzione va
completata in modo da definire le relazioni col diritto comunitario e in particolare
col regolamento n. 44/2001. In tal senso dovrebbe essere d’applicazione il regime
già previsto all’art. 54 ter della convenzione di Lugano del 1988. In particolare, le
decisioni pronunciate in uno Stato membro devono essere riconosciute ed eseguite
in un altro Stato membro in conformità del diritto comunitario’’.
«I punti 2 lett. b e c delle direttive di negoziato riguardano gli accordi relativi a
materie particolari e gli accordi di non riconoscimento.
«I punti 2 lett. d ed e delle direttive di negoziato dispongono che l’accordo
520
giurisprudenza comunitaria
previsto deve contenere disposizioni che consentano di disciplinare la situazione
particolare della Danimarca, dei territori francesi d’oltremare e delle Antille olandesi e Aruba. Mentre il regolamento n. 44/2001 non si applica né alla Danimarca né
ai territori francesi d’oltremare e nemmeno alle Antille olandesi e ad Aruba, l’accordo previsto dovrebbe in linea di massima applicarsi anche al paese e ai territori
suddetti, in analogia a quanto avviene in base alla convenzione di Lugano del 1988.
«Il punto 2 lett. f delle direttive di negoziato dispone che l’accordo previsto
entrerà in vigore solo dopo essere stato ratificato da almeno due parti contraenti.
Fatte salve l’applicazione delle disposizioni transitorie e la sua entrata in vigore nei
confronti delle parti contraenti interessate, l’accordo previsto sostituirà tra le parti
contraenti interessate la convenzione di Lugano del 1988.
«12. Il testo della revisione prevede inoltre talune modifiche delle disposizioni
finali della convenzione di Lugano del 1988, segnatamente quelle relative all’adesione alla convenzione, nonché delle disposizioni dei protocolli n. 1, 2 e 3 allegati
alla convenzione».
27. La domanda di parere del Consiglio è cosı́ formulata:
«La conclusione della nuova convenzione di Lugano [concernente la] competenza [giurisdizionale], [il] riconoscimento e [l’]esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, quale prevista ai punti da 8 a 12 della presente memoria,
rientra interamente nella competenza esclusiva della Comunità o nella competenza
condivisa tra la Comunità e gli Stati membri?».
28. In udienza il Consiglio ha precisato che la questione della competenza a
concludere accordi internazionali relativi alla cooperazione giudiziaria in materia
civile, ai sensi dell’art. 65 CE, si pone frequentemente nella pratica e che tra gli Stati
membri non vi è accordo su tale punto. A suo avviso, nella domanda di parere, esso
non sostiene né la tesi di una competenza esclusiva né quella di una competenza
concorrente, ma ha cercato di analizzare i vari aspetti della giurisprudenza della
Corte nella maniera piú corretta possibile.
Osservazioni scritte degli Stati membri e delle istituzioni
29. Conformemente all’art. 107 n. 1, primo comma del regolamento di procedura, la domanda di parere è stata notificata alla Commissione nonché al Parlamento, che hanno presentato osservazioni. In applicazione dell’art. 24, secondo
comma dello statuto della Corte di giustizia, quest’ultima ha invitato anche gli Stati
membri a pronunciarsi sulla detta domanda. Sono state cosı́ depositate osservazioni
scritte da parte dei governi tedesco, ellenico, spagnolo, francese, dell’Irlanda, del
governo italiano, olandese, portoghese, finlandese, svedese e del Regno Unito.
Sulla ricevibilità della domanda
30. Il Consiglio, sostenuto dai governi spagnolo, francese e finlandese, nonché
dal Parlamento e dalla Commissione, afferma che la domanda di parere è ricevibile.
31. Infatti, la domanda sarebbe conforme ai requisiti dell’art. 107 par. 2 del
regolamento di procedura della Corte, ai cui termini «il parere può riguardare tanto
la compatibilità con le disposizioni del trattato CE di un accordo progettato quanto
la competenza della Comunità o delle sue istituzioni a concludere tale accordo».
Con riguardo alla nozione di ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli
Stati membri, sarebbe giurisprudenza costante che una domanda di parere che
verte sul punto se un accordo rientri nella piena competenza esclusiva della Co-
giurisprudenza comunitaria
521
munità o in una competenza concorrente fra quest’ultima e gli Stati membri sia
ricevibile (parere n. 2/00 del 6 dicembre 2001, in Raccolta, p. I-9713, punto 19).
Orbene, nella fattispecie la domanda del Consiglio riguarderebbe proprio questo
punto.
32. D’altra parte, per verificare se l’accordo in questione sia «previsto» nel
senso dell’art. 300 n. 6 CE, si ricorda che, secondo la Corte, sarebbe sufficiente
che l’oggetto dell’accordo sia conosciuto (parere n. 2/94 del 28 marzo 1996, in
Raccolta, p. I-1759, punto 11). Tale sarebbe il caso nella fattispecie, dato che le
direttive di negoziato determinano sufficientemente l’oggetto e il contenuto dell’accordo, cosı́ come le materie che esso deve disciplinare.
Sul merito
33. Nella sua domanda di parere il Consiglio illustra i tre profili del problema
della competenza della Comunità a concludere l’accordo previsto. Esso verifica
anzitutto l’eventuale esistenza di una competenza esterna esplicita, poi l’eventuale
esistenza di una competenza esterna implicita e, infine, l’eventuale esclusività di tale
competenza.
Sull’esistenza di una competenza esterna esplicita
34. Il Consiglio, sostenuto su tale punto da tutti gli Stati membri che hanno
presentato osservazioni alla Corte nonché dal Parlamento e dalla Commissione,
rileva che la materia dell’accordo previsto rientra nel campo di applicazione degli
artt. 61 lett. c CE e 67 CE. Tale fondamento normativo non prevedrebbe esplicitamente una competenza esterna della Comunità.
Sull’esistenza di una competenza esterna implicita
35. Secondo il Consiglio, tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte nonché il Parlamento e la Commissione, per determinare se esista
una competenza esterna implicita sarebbe pertinente fare riferimento al parere n. 1/
76 del 26 aprile 1977 (in Raccolta, p. 741), quale precisato dal parere n. 1/94 del 15
novembre 1994 (ibidem, p. I-5267), il cui contenuto è stato riassunto dalla Corte
nelle sue sentenze dette «cieli aperti», vale a dire le sentenze 5 novembre 2002,
cause C-467/98, Commissione c. Danimarca (ibidem, p. I-9519, punto 56); C-468/
98, Commissione c. Svezia (ibidem, p. I-9575, punto 53); C-469/98, Commissione c.
Finlandia (ibidem, p. I-9627, punto 57); C-471/98, Commissione c. Belgio (ibidem,
p. I-9681, punto 67); C-472/98, Commissione c. Lussemburgo (ibidem, p. I-9741,
punto 61); C-475/98, Commissione c. Austria (ibidem, p. I-9797, punto 67), e C476/98, Commissione c. Germania (ibidem, p. I-9855, punto 82).
36. Essi affermano che, in base al principio sancito nel citato parere n. 1/76,
una competenza esterna implicita esiste non soltanto in tutti i casi in cui i poteri
inerenti alla competenza interna siano stati già esercitati al fine di adottare provvedimenti destinati all’attuazione delle politiche comuni, ma anche qualora i provvedimenti comunitari di carattere interno vengano adottati solo in occasione della
stipulazione e dell’attuazione dell’accordo internazionale. Pertanto, la competenza
ad impegnare la Comunità nei confronti di Stati terzi potrebbe derivare in modo
implicito dalle disposizioni del trattato relative alla competenza interna, se ed in
quanto la partecipazione della Comunità all’accordo internazionale sia necessaria
alla realizzazione di uno degli obiettivi di quest’ultima (v. parere n. 1/76 cit., punti 3
522
giurisprudenza comunitaria
e 4, nonché sentenze cieli aperti cit., in particolare sentenza Commissione c. Danimarca, punto 56).
37. Nella sua giurisprudenza successiva la Corte avrebbe precisato, quanto in
particolare all’esistenza di una competenza implicita esclusiva, che l’ipotesi contemplata nel citato parere n. 1/76 è quella in cui la competenza interna può essere
esercitata utilmente soltanto contemporaneamente alla competenza esterna (parere
n. 1/94 cit., punto 89), quando cioè la conclusione dell’accordo internazionale è
necessaria per realizzare determinati obiettivi del trattato che non possono essere
raggiunti mediante l’instaurazione di norme autonome (formulazione utilizzata
nelle sentenze cieli aperti cit., segnatamente nella sentenza Commissione c. Danimarca, punto 57). Secondo l’espressione utilizzata dalla Corte al punto 86 del detto
parere n. 1/94, la realizzazione dell’obiettivo della Comunità dovrebbe essere «indissolubilmente collegata» alla conclusione dell’accordo internazionale.
38. Il Consiglio sottolinea che la Comunità ha già adottato norme interne
concernenti la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni in materia civile e commerciale, il che giustificherebbe la sua competenza
implicita a concludere l’accordo previsto. Esso cita in proposito il regolamento n.
44/2001 ma anche, come esempi, il titolo X del regolamento n. 40/94 e l’art. 6 della
direttiva n. 96/71.
39. Esso precisa che la necessità di concludere l’accordo previsto non è stata
invocata né dagli Stati membri né dalla Commissione. Secondo il Parlamento, una
tale necessità non esiste. Infatti, la cooperazione giudiziaria in materia civile di cui
all’art. 65 CE ben potrebbe limitarsi a misure rivolte ai giudici e alle autorità dei soli
Stati membri, senza che tali misure incidano sui rapporti con gli Stati terzi, come
enuncia il tenore del detto articolo, che precisa come le misure previste siano
adottate «per quanto necessario al corretto funzionamento del mercato interno».
40. Secondo il governo tedesco, una tale necessità è comunque esclusa, dato
che la normativa interna non impone la partecipazione contemporanea di Stati
terzi.
41. Il governo ellenico, per il quale la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale costituiscono
tre ambiti autonomi disciplinati solo in parte dal regolamento n. 44/2001, ritiene
che la parte di ciascuno di tali ambiti cui non si applica il detto regolamento non sia
indissolubilmente collegata alla conclusione di una convenzione internazionale.
Affermare il contrario contrasterebbe con l’autonomia del diritto processuale internazionale. In quanto normativa comunitaria parziale, il detto regolamento non
giustificherebbe, dunque, una competenza esterna esclusiva alla stregua dei criteri
espressi nel succitato parere n. 1/76.
42. I governi finlandese e del Regno Unito fanno valere che la conclusione
dell’accordo previsto può essere disgiunta dall’esercizio della competenza comunitaria interna. Quest’ultimo governo invoca a titolo di prova il fatto che la convenzione di Lugano è stata stipulata dieci anni dopo la firma di quella di Bruxelles e
che l’adozione del regolamento n. 44/2001, intervenuta molto prima dell’aggiornamento della convenzione di Lugano, non ha suscitato nessuna riserva.
Sull’esistenza di una competenza esclusiva fondata sui principi sanciti nella sentenza
AETS
43. Secondo il Consiglio, tutti gli Stati membri che hanno presentato osserva-
giurisprudenza comunitaria
523
zioni alla Corte, nonché il Parlamento e la Commissione, la giurisprudenza pertinente per valutare l’esclusività o meno di una competenza esterna implicita della
Comunità è la sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione c. Consiglio,
detta «AETS» (in Raccolta, p. 263), come precisata dai pareri n. 2/91 del 19 marzo
1993 (ibidem, p. I-1061), e n. 1/94 cit., e riformulata dalla Corte nelle citate
sentenze cieli aperti, distinguendo tre ipotesi.
44. I punti 17 e 18 della citata sentenza AETS sono cosı́ redatti:
«17. In particolare, tutte le volte che (per la realizzazione di una politica
comune prevista dal trattato) la Comunità ha adottato delle disposizioni contenenti,
sotto qualsivoglia forma, norme comuni, gli Stati membri non hanno piú il potere –
né individualmente, né collettivamente – di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni
che incidano su dette norme.
«18. Man mano che queste norme comuni vengono adottate, infatti, si accentra
nella Comunità la competenza ad assumere e ad adempiere – con effetto per l’intera
sfera in cui vige l’ordinamento comunitario – degli impegni nei confronti degli Stati
terzi».
45. I punti 81-84 della citata sentenza Commissione c. Danimarca sono cosı́
redatti:
«81. Occorre ancora definire a quali condizioni gli accordi internazionali presi
in considerazione possano incidere sulla portata delle norme comuni o alterare la
stessa e, di conseguenza, stabilire in che termini la Comunità acquisisca una competenza esterna grazie all’esercizio della sua competenza interna.
«82. Secondo la giurisprudenza della Corte, questo si verifica quando gli accordi internazionali rientrano nell’ambito di applicazione delle norme comuni (sentenza AETS cit., punto 30) o comunque [in] un settore già in gran parte disciplinato
da tali norme (parere n. 2/91 cit., punto 25). In quest’ultima ipotesi, la Corte ha
statuito che gli Stati membri non possono, se non tramite le istituzioni comuni,
assumere impegni internazionali, e ciò anche se non vi siano contraddizioni tra
questi ultimi e le norme comuni (parere n. 2/91 cit., punti 25 e 26).
«83. Pertanto, allorché la Comunità include nei suoi atti legislativi interni
clausole relative al trattamento da riservare ai cittadini di paesi terzi o conferisce
espressamente alle proprie istituzioni una competenza a negoziare con i paesi terzi,
essa acquista una competenza esterna esclusiva in misura corrispondente ai suddetti
atti (citati pareri n. 1/94, punto 95, e n. 2/92 [del 24 marzo 1995, in Raccolta, p. I521,] punto 33).
«84. Lo stesso vale, anche in mancanza di clausola espressa che autorizzi le
istituzioni a negoziare con i paesi terzi, quando la Comunità realizza un’armonizzazione completa in un determinato settore, poiché il mantenimento da parte degli
Stati membri di una certa libertà di negoziare coi paesi terzi potrebbe incidere, ai
sensi della precitata sentenza AETS, sulle norme comuni cosı́ adottate (v. citati
pareri n. 1/94, punto 96, e n. 2/92, punto 33)».
46. Il governo del Regno Unito invita la Corte a riesaminare il principio enunciato al punto 82 della citata sentenza Commissione c. Danimarca per motivi attinenti ai principi generali del trattato circa i limiti delle competenze della Comunità
e alla coerenza interna della giurisprudenza relativa all’effetto di un accordo internazionale nel senso della citata sentenza AETS.
47. Il detto governo fa valere, in primo luogo, che il secondo elemento del
criterio seguito dalla Corte al punto 82 della citata sentenza Commissione c. Dani-
524
giurisprudenza comunitaria
marca, che rinvia al punto 25 del citato parere n. 2/91, vale a dire la formula
«comunque [in] un settore già in gran parte disciplinato da... norme [comuni]»,
non è né chiaro né preciso, il che genera incertezze ed è inaccettabile in materia di
limitazione delle competenze degli Stati membri, atteso che, conformemente all’art.
5, primo comma CE, la Comunità dispone solo di competenze di attribuzione.
48. Esso rileva, in secondo luogo, che tale elemento del criterio appare difficilmente conciliabile con i singoli casi di incidenza ai sensi della citata sentenza
AETS presentati come esempi di tale secondo elemento ai punti 83 e 84 della citata
sentenza Commissione c. Danimarca. Il detto elemento non sarebbe infatti pertinente per determinare se esista un effetto nel senso della sentenza AETS allorché
siano incluse in un atto clausole relative al trattamento di cittadini di Stati terzi,
poiché l’esclusività della competenza sarebbe circoscritta alle materie specifiche
disciplinate da tale atto. Sarebbe piuttosto il primo elemento del criterio generale
a doversi applicare, vale a dire la formula «quando gli accordi internazionali rientrano nell’ambito di applicazione delle norme comuni». Lo stesso varrebbe nella
terza ipotesi, relativa alla realizzazione di un’armonizzazione completa, il che
esclude necessariamente che il settore in questione sia solo «in gran parte» disciplinato da norme comunitarie. La rinuncia a tale elemento del criterio permetterebbe di definire con maggior precisione l’effetto nel senso della citata sentenza
AETS, al tempo stesso assicurando l’osservanza da parte degli Stati membri del loro
obbligo di leale cooperazione ove agiscano sul piano internazionale.
49. Esaminando la prima ipotesi formulata al punto 83 della citata sentenza
Commissione c. Danimarca, che rinvia ai punti 95 del citato parere n. 1/94, e 33 del
citato parere n. 2/92, e cioè «allorché la Comunità include nei suoi atti legislativi
interni clausole relative al trattamento da riservare ai cittadini di paesi terzi», il
Consiglio, sostenuto dai governi tedesco e francese, rileva che essa non ricorre per
quanto riguarda il regolamento n. 44/2001. Dagli artt. 2 e 4 di quest’ultimo risulterebbe, infatti, che il criterio pertinente per l’applicazione del detto regolamento è
il domicilio e non la cittadinanza.
50. Il governo italiano rileva che si potrebbe argomentare nel senso di un’estensione implicita del regolamento n. 44/2001 nei confronti dei cittadini di paesi
terzi, dato che l’art. 4 dello stesso regolamento stabilisce che, nei confronti di coloro
che non sono domiciliati nella Comunità, la competenza è disciplinata dalla legge di
ciascuno Stato membro e che gli artt. 32-37 di tale regolamento istituiscono un
sistema di riconoscimento delle decisioni emesse dai giudici degli altri Stati membri.
51. La Commissione ritiene che il regolamento n. 44/2001 contenga «clausole
relative al trattamento da riservare ai cittadini di paesi terzi», in quanto gli artt. 2 e 4
di tale regolamento ne prevedono l’applicazione ai rapporti interstatali, oltre i
confini esterni della Comunità, senza alcuna limitazione geografica e senza circoscrivere l’ambito di applicazione personale.
52. Il regolamento n. 44/2001 avrebbe cosı́ incorporato le regole di competenza
territoriale degli Stati membri relative ai convenuti domiciliati fuori dalla Comunità,
e ciò giustificherebbe la competenza esclusiva di quest’ultima a concludere l’accordo previsto.
53. Il governo svedese fa valere che una regolamentazione della cooperazione
giudiziaria in materia civile non è rivolta direttamente ai singoli, bensı́ ai giudici che
devono metterla in atto. Per determinare l’ambito di applicazione del regolamento
n. 44/2001 è di decisiva importanza appurare, dunque, non se ad un cittadino di un
giurisprudenza comunitaria
525
paese terzo si applichino o meno le disposizioni di tale regolamento, bensı́ se un
organo giudiziario abbia la propria sede nell’Unione.
54. Esaminando la seconda ipotesi prevista al punto 83 della citata sentenza
Commissione c. Danimarca, che rinvia ai punti 95 del citato parere n. 1/94 e 33 del
citato parere n. 2/92, e cioè allorché la Comunità «conferisce espressamente alle
proprie istituzioni una competenza a negoziare con i paesi terzi», il Consiglio,
sostenuto almeno implicitamente dalla maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, è del parere che essa non ricorra nella fattispecie.
55. La Commissione osserva di essere stata regolarmente autorizzata dal Consiglio ad avviare negoziati internazionali relativi a disposizioni da includere in alcuni
strumenti internazionali e concernenti le regole di competenza internazionale nonché di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni, senza che gli Stati membri
abbiano mai rivendicato la possibilità di negoziare da soli le regole di competenza
applicabili a convenuti domiciliati al di fuori del territorio degli Stati membri.
56. Il governo italiano, il Parlamento e la Commissione ricordano, peraltro, la
differenza tra il tenore dell’art. 71 par. 1 del regolamento n. 44/2001, ai cui termini
«[i]l presente regolamento lascia impregiudicate le convenzioni, di cui gli Stati
membri siano parti contraenti, che disciplinano la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materie particolari», e quello dell’art. 57 par. 1 della convenzione di Bruxelles, secondo il quale «[l]a presente
convenzione non deroga alle convenzioni di cui gli Stati contraenti sono o saranno
parti e che, in materie particolari, disciplinano la competenza giurisdizionale, il
riconoscimento o l’esecuzione delle decisioni». Dalla soppressione delle parole «o
saranno parti» nell’art. 71 essi deducono che il detto regolamento sia implicitamente basato sulla premessa che solo la Comunità sia competente a concludere
accordi generali in materia civile e commerciale. Secondo il Parlamento, questa
interpretazione s’impone a fortiori riguardo alla convenzione di Lugano, che concerne l’intera materia disciplinata da tale regolamento.
57. Il governo portoghese contesta una tale deduzione. Esso sostiene che il
tenore dell’art. 71 del regolamento n. 44/2001 mostra come le norme enunciate in
quest’ultimo prevalgano sempre su tutte le altre regole risultanti da convenzioni
generali che disciplinano le medesime situazioni. Ad ogni buon conto, l’accordo
previsto disciplina in linea di principio situazioni alle quali il detto regolamento non
si applica.
58. Esaminando, infine, la terza ipotesi formulata al punto 84 della citata
sentenza Commissione c. Danimarca, che rinvia ai punti 96 del citato parere n. 1/
94 e 33 del citato parere n. 2/92, cioè «quando la Comunità realizza un’armonizzazione completa in un determinato settore», il Consiglio prende in considerazione,
in primo luogo, la determinazione del settore pertinente, in secondo luogo, l’incidenza eventuale della «clausola di disgiunzione» dell’accordo previsto e, in terzo
luogo, l’incidenza eventuale dell’identità delle disposizioni dell’accordo previsto e
delle norme comunitarie interne.
Determinazione del settore pertinente
59. Per determinare il settore pertinente, il Consiglio, cosı́ come la maggior
parte degli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte, ritiene che
non basti attenersi al titolo del settore stesso, ma che occorra comparare in concreto
gli ambiti di applicazione materiale, personale e territoriale del regolamento n. 44/
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giurisprudenza comunitaria
2001 con quelli dell’accordo previsto e verificare se le clausole di quest’ultimo
incidano sulle disposizioni di diritto comunitario. Tuttavia, il governo italiano rileva
che la Corte non ha mai posto in essere una valutazione circa l’incidenza dell’assunzione degli impegni internazionali da parte degli Stati membri su disposizioni
comunitarie, ma si è sempre limitata a comparare i settori disciplinati da un accordo
internazionale, da un lato, e dalla normativa comunitaria, dall’altro.
60. Parecchi dei detti governi sottolineano che la portata del settore in questione dev’essere analizzata tenendo conto del fondamento normativo del regolamento n. 44/2001 nonché dell’art. 65 CE. Ai sensi di tale disposizione, la Comunità
sarebbe competente ad adottare misure «per quanto necessario al corretto funzionamento del mercato interno». L’Irlanda e il governo portoghese osservano anche
che l’espressione utilizzata alla lett. b del detto articolo non è «il ravvicinamento
delle norme», bensı́ «la promozione della compatibilità delle regole applicabili negli
Stati membri ai conflitti di leggi e di competenza giurisdizionale», il che lascerebbe
intendere che non esiste un’attribuzione interna globale in materia di competenza,
di riconoscimento e di esecuzione, ma piuttosto che una siffatta attribuzione è
soggetta ad un’analisi casistica. Il governo svedese mette in evidenza anche la
differenza esistente tra riconoscimento reciproco e armonizzazione delle regole di
fondo per sostenere che, in mancanza di una tale armonizzazione, l’estensione a
Stati terzi di un sistema di riconoscimento delle decisioni non può essere imposta a
uno Stato membro senza che quest’ultimo abbia consentito a considerare il sistema
giuridico del paese terzo rispondente ai requisiti di certezza del diritto al punto di
poter rinunciare alla protezione che esso assicura ai propri cittadini.
61. Al contrario, ad avviso del governo italiano, le disposizioni del regolamento
n. 44/2001 istituiscono un regime completo in materia di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.
Tale interpretazione sarebbe confermata dalla giurisprudenza della Corte concernente la convenzione di Bruxelles, secondo la quale quest’ultima avrebbe istituito
un procedimento d’exequatur che costituirebbe un complesso autonomo e completo, ivi compreso il campo dei mezzi di impugnazione (sentenza 2 luglio 1985,
causa 148/84, Brasserie du pêcheur, in Raccolta, p. 1981, punto 17). Ne consegue
che la competenza a stipulare l’accordo previsto si accentrerebbe esclusivamente in
capo alla Comunità.
62. Il Parlamento sostiene che la nozione di settore deve comprendere soltanto
l’ambito di applicazione materiale del regolamento n. 44/2001 e che non sarebbe
pertinente considerare il suo ambito d’applicazione personale e territoriale. Esso
conclude che l’accordo previsto rientra completamente nell’oggetto del regolamento – vale a dire in un insieme di regole volte a determinare, nelle controversie
transfrontaliere, la competenza giurisdizionale e le condizioni di riconoscimento e
di esecuzione negli Stati vincolati dall’accordo e dal detto regolamento, delle decisioni in materia civile e commerciale – e che, pertanto, la Comunità è competente in
via esclusiva a stipulare un tale accordo.
63. Secondo la Commissione, l’accordo previsto rientra interamente nel settore
d’applicazione del regolamento n. 44/2001, poiché tutte le situazioni di cui il detto
accordo tratta sono già incluse nell’ambito delle regole comunitarie intese ad evitare
conflitti negativi o positivi di competenza. Occorrerebbe tener presente, infatti, che
le regole sulla competenza, quand’anche facciano rinvio al diritto nazionale, sono
pur sempre regole di diritto comunitario. Allo stesso modo, i casi di incompetenza
giurisprudenza comunitaria
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dei giudici della Comunità non sono lacune o vuoti che uno Stato membro potrebbe colmare, bensı́ scelte definitive del legislatore comunitario.
64. Quanto al settore disciplinato dal capo II del regolamento n. 44/2001,
relativo alla competenza dei giudici degli Stati membri, il Consiglio e la maggior
parte dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte ricordano il tenore
dell’art. 4 par. 1 di tale regolamento, ai cui termini «[s]e il convenuto non è
domiciliato nel territorio di uno Stato membro, la competenza è disciplinata, in
ciascuno Stato membro, dalla legge di tale Stato, salva l’applicazione degli artt. 22 e
23». Essi ne deducono che il detto regolamento può essere interpretato nel senso
che il suo capo II si applica, in linea di principio, solo quando il convenuto è
domiciliato nel territorio di uno Stato membro e che, salvo alcune eccezioni, gli
Stati membri resterebbero liberi di determinare la competenza dei loro giudici
quando il convenuto non sia domiciliato nella Comunità. L’accordo previsto non
andrebbe a sovrapporsi, quindi, alla regola comunitaria.
65. Il governo francese osserva come sia possibile considerare che l’art. 4 par. 1
del regolamento n. 44/2001 istituisce una delega di competenza della Comunità agli
Stati membri, il che giustificherebbe una competenza comunitaria. Esso esprime,
però, il proprio disaccordo con questa interpretazione e sottolinea, insieme al governo del Regno Unito, come tale disposizione abbia valore declaratorio in quanto
discende dall’art. 2 par. 1 dello stesso regolamento, il quale circoscrive l’applicazione
della regola generale sulla competenza ai convenuti domiciliati in uno Stato membro.
Una siffatta interpretazione sarebbe confermata dall’impiego dell’indicativo al nono
considerando del regolamento, che recita: «[i] convenuti non domiciliati in uno
Stato membro sono generalmente soggetti alle norme nazionali in materia di competenza vigenti nel territorio dello Stato membro del giudice adito».
66. Il governo finlandese contesta anche la tesi secondo cui l’art. 4 par. 1 del
regolamento n. 44/2001 equivarrebbe all’adozione di regole comuni nel senso della
citata sentenza AETS. Se è vero che, nella sentenza 10 febbraio 1994, causa C-398/
92, Mund e Fester (in Raccolta, p. I-467), la Corte ha dichiarato che sia la convenzione di Bruxelles sia le disposizioni nazionali cui essa rinvia sono legate al trattato,
nella causa all’origine di tale sentenza non si sarebbe trattato dell’interpretazione
dell’art. 4 di tale convenzione (che corrisponde all’art. 4 del detto regolamento),
bensı́ di una situazione in cui le due parti erano domiciliate in uno Stato contraente
della detta convenzione. Peraltro, il fatto che una disposizione rinvii al trattato non
significherebbe automaticamente che le questioni attinenti al settore di applicazione
di tale disposizione rientrino nella competenza comunitaria, dal momento che il
trattato non si limiterebbe a trasferire una certa competenza alla Comunità, ma
fisserebbe anche obblighi agli Stati membri nell’esercizio delle loro competenze (v.,
in particolare, sentenza 5 novembre 2002, causa C-466/98, Commissione c. Regno
Unito, ibidem, p. I-9427, punto 41). Infine, le convenzioni concluse dagli Stati
membri in materia di competenza giurisdizionale sarebbero anch’esse incluse nella
nozione di «legge di [uno] Stato [membro]» utilizzata all’art. 4 par. 1 del medesimo
regolamento e non sarebbe giustificato pensare che solo per incorporazione a
quest’ultimo di una certa regola la Comunità sia diventata competente in via esclusiva a concludere accordi internazionali in materie afferenti al settore di applicazione della medesima regola.
67. Il Consiglio e la maggior parte degli Stati membri che hanno presentato
osservazioni alla Corte rilevano che il regolamento n. 44/2001 prevede un certo
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giurisprudenza comunitaria
numero di casi in cui, facendo eccezione al principio espresso al suo art. 4 par. 1, la
competenza dei giudici degli Stati membri è determinata dalle disposizioni del
medesimo regolamento anche se il convenuto non è domiciliato in uno Stato membro. Si tratterebbe:
delle competenze esclusive elencate all’art. 22 (per esempio, le controversie in
materia di diritti immobiliari, di validità delle decisioni di persone giuridiche, di
validità di un’iscrizione nei pubblici registri, di esecuzione di decisioni);
della proroga di competenza di cui all’art. 23 (in caso di conclusione di una
clausola attributiva di competenza);
delle disposizioni di competenza che tutelano una parte ritenuta piú debole:
in campo assicurativo (art. 9 par. 2);
in materia di contratti conclusi da un consumatore (art. 15 par. 2);
in materia di contratti individuali di lavoro (art. 18 par. 2);
delle disposizioni relative alla litispendenza e alla connessione (artt. 27-30).
68. Secondo il Consiglio e la maggior parte degli Stati membri che hanno
presentato osservazioni alla Corte, l’accordo previsto, in forza di tali eccezioni,
potrebbe alterare la parte del regolamento n. 44/2001 relativa alla competenza
dei giudici. Il governo tedesco ritiene, infatti, che le regole di competenza previste
dal detto accordo possano alterare o modificare nella loro portata le regole sulla
competenza del detto regolamento e che, relativamente ad alcune parti della nuova
convenzione di Lugano, la Comunità abbia quindi una competenza esclusiva. Secondo il governo portoghese, tuttavia, l’eccezione non può invalidare la regola e
non è necessario, al riguardo, contemplare tutte le situazioni in cui potrebbe eventualmente sorgere una competenza esclusiva della Comunità.
69. Tale sarebbe altresı́ il caso di una clausola quale quella contenuta nell’art.
54 ter par. 2 della convenzione di Lugano, che prevedrebbe una serie di ipotesi in
cui l’accordo previsto si applicherebbe comunque (in materia di competenza esclusiva, di proroga di competenza, di litispendenza e di connessione e di riconoscimento e di esecuzione, qualora lo Stato d’origine o lo Stato richiesto non sia
membro delle Comunità).
70. Una clausola del genere potrebbe incidere sul settore di applicazione del
regolamento n. 44/2001. Cosı́, le regole dell’accordo previsto relative alle competenze esclusive imporrebbero la competenza di un giudice di uno Stato terzo anche
qualora il convenuto sia domiciliato nella Comunità. Questi pochi casi eccezionali
non potrebbero tuttavia pregiudicare la portata generale del detto regolamento e
giustificare una competenza esclusiva della Comunità.
71. Al riguardo, l’Irlanda formula tre osservazioni. Anzitutto, sarebbe difficile
accertare in quale situazione concreta una disposizione quale l’art. 54 ter par. 2
della convenzione di Lugano possa cagionare un conflitto tra il regolamento n. 44/
2001 e l’accordo previsto, dato che tutte le situazioni contemplate da questa disposizione non rientrano nel campo di applicazione del detto regolamento. Poi,
visto che questa disposizione sarebbe identica al detto art. 54 ter par. 2, nella sua
versione attualmente in vigore, e che la Comunità sarebbe stata parte contraente
della nuova convenzione di Lugano, la quale dovrebbe essere un accordo misto,
non si può affermare che gli Stati membri stiano contraendo con Stati terzi obblighi
che incidono su regole comunitarie. La situazione sarebbe dunque differente da
quella in cui uno Stato membro contrae obblighi con Stati terzi senza la partecipazione della Comunità. Infine, il fatto che una clausola quale il detto art. 54 ter
giurisprudenza comunitaria
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par. 2 abbia un effetto su regole comunitarie avrebbe come unica conseguenza che
la Comunità disporrebbe di una competenza esclusiva a negoziare questa sola
disposizione, mentre gli Stati membri resterebbero competenti in merito alle altre
disposizioni dell’accordo previsto.
72. Per quanto riguarda la competenza dei giudici, il Parlamento sostiene che il
regolamento n. 44/2001 non si applica soltanto a controversie asseritamente intracomunitarie, bensı́ anche qualora, dinanzi a un giudice di uno Stato membro, sia
citato un convenuto non domiciliato nella Comunità. Secondo il Parlamento, è il
legislatore comunitario ad aver stabilito la regola sulla competenza sancita all’art. 4
del suddetto regolamento e gli Stati membri non sono competenti a modificarla.
Tutt’al piú essi potrebbero emendare le loro leggi nazionali vigenti con autorizzazione comunitaria. La portata del suddetto art. 4 sarebbe, dunque, alterata dall’accordo previsto, perché i convenuti domiciliati negli Stati contraenti della convenzione di Lugano non potrebbero piú essere citati dinanzi ad un giudice di uno Stato
membro in base alle regole nazionali sulla competenza, mentre, ai sensi del citato
art. 4, in linea di principio esse possono essere fatte valere nei confronti di tutti i
convenuti domiciliati al di fuori della Comunità.
73. Seguendo lo stesso iter logico del Parlamento, la Commissione ritiene che
l’incidenza sul regolamento n. 44/2001 sia l’oggetto stesso del negoziato. Quanto
alle regole sulla competenza, l’accordo previsto avrebbe anche come necessaria
conseguenza la neutralizzazione della norma prevista all’art. 4 del detto regolamento, che conferisce una competenza residua ai giudici di uno Stato membro
nei confronti dei convenuti domiciliati in uno Stato non membro della Comunità,
ma che partecipi alla convenzione di Lugano. Il citato art. 4 sarebbe dunque
compromesso se si permettesse agli Stati membri di concludere clausole siffatte
per estendere l’effetto di tale articolo ad altri Stati terzi.
74. La Commissione contesta perciò gli argomenti diretti a giustificare una
competenza degli Stati membri sulla base dell’art. 4 del regolamento n. 44/2001.
Essa fa valere in primo luogo, sostenuta su tale punto dal Parlamento, che la norma
enunciata al detto articolo è stata introdotta dal legislatore comunitario e che per
questo gli Stati membri non sono piú competenti a decidere che, nei loro rapporti
con gli Stati terzi, non si applichino piú le leggi nazionali, bensı́ norme differenti.
Essa osserva, in secondo luogo, che ogni norma sulla competenza, negoziata nell’ambito dell’accordo previsto, applicabile nei confronti di convenuti domiciliati
fuori della Comunità, pregiudicherebbe le norme sulla competenza armonizzate,
dal momento che l’obiettivo di queste ultime è di evitare i conflitti positivi o
negativi di competenza ed episodi di litispendenza o di decisioni inconciliabili.
75. Quanto alla parte del regolamento n. 44/2001 relativa al riconoscimento e
all’esecuzione delle decisioni, vale a dire il capo III dello stesso, il Consiglio e la
maggior parte degli Stati membri che hanno presentato osservazioni alla Corte
osservano che i campi di applicazione dell’accordo previsto e di tale regolamento
non coincidono in nessun modo. Il governo tedesco, in particolare, fa valere che il
detto regolamento non si applica alle decisioni «estranee» alla Comunità. Il governo
portoghese si interroga sulla maniera in cui il mutuo riconoscimento di decisioni
provenienti da giudici di Stati membri della Comunità possa essere pregiudicato
dall’introduzione di regole di riconoscimento delle decisioni di giudici di Stati non
membri di quest’ultima. Infatti, il regolamento n. 44/2001 riguarda il riconoscimento e l’esecuzione, da parte di uno Stato membro, di una decisione emessa da un
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giurisprudenza comunitaria
giudice di un altro Stato membro, mentre l’accordo previsto concerne il riconoscimento e l’esecuzione, da parte di uno Stato membro, di una decisione emessa da
un giudice di uno Stato terzo e, da parte di uno Stato terzo, di una decisione emessa
da un giudice di uno Stato membro.
76. La Commissione, al contrario, rileva che anche il capo III del regolamento
n. 44/2001 sarebbe pregiudicato da disposizioni negoziate dagli Stati membri. Essa
sottolinea che il detto regolamento e l’accordo previsto contengono un solo ed
unico corpo di regole applicabili in linea di principio indipendentemente dallo
Stato in cui è situato il giudice da cui promana la decisione.
77. Il Parlamento è del medesimo parere. A suo avviso, anche le disposizioni
enunciate nel regolamento n. 44/2001 sarebbero pregiudicate dall’accordo previsto,
perché il fatto di limitare l’applicazione di tale capo III alle sole decisioni di altri
Stati membri costituisce una scelta deliberata del legislatore. L’obbligo di trattare
allo stesso modo le decisioni emesse negli Stati contraenti della convenzione di
Lugano, che discenderà dalla nuova convenzione di Lugano, modificherebbe questa situazione giuridica.
La «clausola di disgiunzione»
78. Il Consiglio e la maggior parte degli Stati membri che hanno presentato
osservazioni alla Corte esaminano l’incidenza eventuale della «clausola di disgiunzione» prevista al punto 2 lett. a delle direttive di negoziato, che rinvia ai principi
stabiliti dall’art. 54 ter della convenzione di Lugano. Come osserva il governo
ellenico, questa clausola ha l’effetto di «disgiungere» una materia circoscritta, in
modo tale da istituire una competenza esclusiva della Comunità, dal resto dell’accordo previsto. La detta clausola, come formulata all’art. 54 ter par. 1 della convenzione di Lugano, avrebbe essenzialmente l’effetto che, inter se, gli Stati membri
applicherebbero il regolamento n. 44/2001 e non la nuova convenzione di Lugano.
79. Il Consiglio e i detti governi prendono posizione su tale punto facendo
riferimento alla giurisprudenza della Corte come risulta dalle citate sentenze cieli
aperti, in particolare dal punto 101 della sentenza Commissione c. Danimarca, cosı́
formulato:
«101. Tale constatazione non può essere rimessa in questione dal fatto che il
suddetto art. 9 [dell’accordo bilaterale detto di «open sky» (cielo aperto) nell’ambito del trasporto aereo, concluso nel 1995 tra il Regno di Danimarca e gli Stati
Uniti d’America] impone, per i trasporti aerei ai quali si applica il regolamento
[(CEE) del Consiglio del 23 luglio 1992 n. 2409, sulle tariffe aeree per il trasporto
di passeggeri e di merci (Gazz. Uff. Com. eur., L 240, p. 15)], l’osservanza di tale
regolamento. Infatti, per quanto lodevole sia stata questa iniziativa del Regno di
Danimarca diretta a preservare l’applicazione del regolamento n. 2409/92, è tuttavia evidente che l’inadempimento di tale Stato membro risulta dal fatto che esso
non era autorizzato ad assumere da solo un siffatto impegno, anche se il contenuto
di quest’ultimo non è in contrasto con il diritto comunitario».
80. Il Consiglio rileva che, nel citato parere n. 2/91, la Corte ha preso in
considerazione una clausola che figura nella convenzione n. 170 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, concernente la sicurezza nell’utilizzazione dei prodotti chimici sul lavoro, che consentiva ai membri di quest’ultima di applicare
norme interne piú vincolanti. A fortiori si dovrebbe tener conto di una regola quale
giurisprudenza comunitaria
531
quella enunciata all’art. 54 ter par. 1 della convenzione di Lugano, che prevede
l’applicazione di norme interne invece di quelle dell’accordo previsto.
81. Il governo del Regno Unito, in particolare, sottolinea la differenza esistente
tra la clausola di cui alle citate sentenze cieli aperti e quella dell’art. 54 ter della
convenzione di Lugano. A differenza delle cause all’origine di tali sentenze, in cui
l’ambito di applicazione dell’accordo detto di «open sky» concluso nel 1995 con gli
Stati Uniti d’America e contestato dalla Commissione si sovrapponeva a quello delle
regole comunitarie, la clausola figurante all’art. 54 ter par. 1 intende definire la
portata rispettiva dei due insiemi di regole, vale a dire assicurare che le regole
contenute nei due strumenti disciplinino materie diverse. Come osserva il governo
tedesco, sarebbe stato possibile utilizzare un’altra tecnica giuridica e formulare le
regole di riconoscimento e di esecuzione in maniera piú restrittiva, in modo che esse
si applicassero solamente ai rapporti tra gli Stati membri e gli altri Stati contraenti
della detta convenzione.
82. Al contrario, il Parlamento rinvia alla citata sentenza Commissione c. Danimarca e conclude che, anche se nell’accordo previsto fosse inserita una disposizione corrispondente all’art. 54 ter della convenzione di Lugano e non sussistessero
contraddizioni fra il detto accordo e il regolamento n. 44/2001, non spetterebbe
agli Stati membri stipulare tale accordo.
83. Osservando che una clausola di disgiunzione figura, il piú delle volte, in un
accordo di tipo «misto», la Commissione sostiene che l’auspicio del Consiglio,
espresso nelle direttive di negoziato, di includere una clausola siffatta nell’accordo
previsto può essere considerato un tentativo infelice di pregiudicare il carattere
misto di un tale accordo. A suo parere, l’esclusività della competenza esterna della
Comunità, cosı́ come il fondamento normativo di una regolamentazione comunitaria, deve basarsi su elementi oggettivi e verificabili da parte della Corte e non sul
mero inserimento di una clausola di disgiunzione nell’accordo internazionale in
questione. Nel caso in cui un tale requisito non sia soddisfatto, il carattere esclusivo
o meno della competenza della Comunità potrebbe costituire oggetto di manipolazioni.
84. Al riguardo, la Commissione s’interroga sulla necessità di una clausola
finalizzata a disciplinare i rapporti tra una normativa che istituisce un regime
comunitario e una convenzione internazionale che abbia vocazione ad estendere
tale regime a Stati terzi, il che non dovrebbe ipso facto incidere sul diritto comunitario in vigore. Dato che l’accordo in questione coprirebbe settori in cui si è
operata un’armonizzazione totale, l’esistenza di una clausola di disgiunzione sarebbe irrilevante.
85. La Commissione sottolinea il carattere particolare di una clausola di disgiunzione in un accordo internazionale di diritto internazionale privato, ben diversa da una clausola di disgiunzione classica. Nella fattispecie, l’obiettivo non
sarebbe preservare l’applicazione del regolamento n. 44/2001 ogni volta che esso
sia applicabile, bensı́ disciplinare in maniera coerente l’applicazione distributiva del
detto regolamento e dell’accordo previsto.
L’identità delle disposizioni dell’accordo previsto e delle norme comunitarie interne
86. Il Consiglio esamina, infine, l’incidenza dell’identità delle disposizioni dell’accordo previsto e delle norme interne. L’analisi è condotta tenendo conto della
posizione dell’avvocato generale Tizzano esposta al par. 72 delle conclusioni pre-
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giurisprudenza comunitaria
sentate nelle cause all’origine delle citate sentenze cieli aperti. Secondo l’avvocato
generale Tizzano «nelle materie coperte da norme comuni gli Stati membri non
poss[o]no concludere accordi internazionali neppure se il loro testo riproducesse
letteralmente quello delle norme comuni o rinviasse a queste. La conclusione di
simili accordi, infatti, potrebbe pregiudicare l’applicazione uniforme del diritto
comunitario sotto due distinti profili. In primo luogo, perché il ‘‘recepimento’’ delle
norme comuni negli accordi non varrebbe a garantire... che tali norme siano poi
effettivamente applicate in modo uniforme... In secondo luogo, perché detto ‘‘recepimento’’ porterebbe comunque ad un’alterazione della natura e del regime
giuridico delle norme comuni, anche con il forte e concreto rischio di una loro
sottrazione al controllo esercitato dalla Corte in forza del trattato».
87. Secondo il Consiglio, in considerazione dell’identità delle disposizioni sostanziali dei due strumenti, vale a dire il regolamento n. 44/2001 e l’accordo
previsto, e dell’obiettivo dello sviluppo parallelo di quest’ultimo e delle norme
comunitarie interne, si potrebbe concludere che la Comunità detiene una competenza esclusiva per quanto concerne l’insieme dell’accordo previsto.
88. Tuttavia, si potrebbe anche ritenere che, vista la differenza tra i due ambiti
in questione, l’identità delle disposizioni dell’accordo previsto e del regolamento n.
44/2001 sia irrilevante. In particolare, dato che l’art. 4 par. 1 del regolamento n. 44/
2001 consentirebbe agli Stati membri di disciplinare la competenza dei giudici per i
casi in cui il convenuto non sia domiciliato in uno Stato membro, i detti Stati
sarebbero liberi di «riprodurre» le norme di tale regolamento nelle loro leggi
nazionali, senza che ciò pregiudichi il regolamento medesimo. La detta interpretazione del Consiglio è sostenuta dai governi tedesco, ellenico, dall’Irlanda, dai governi portoghese e finlandese. Il governo tedesco, in particolare, precisa che l’esistenza di una competenza comunitaria non può essere dedotta dalla sola formulazione concreta di una disposizione. L’attribuzione di competenza indicherebbe chi
determinerà la formulazione della disposizione.
89. Il Parlamento fa riferimento alle conclusioni dell’avvocato generale Tizzano
nelle cause all’origine delle citate sentenze cieli aperti e conclude che la Comunità
ha una competenza esclusiva in materia.
90. Esso contesta l’argomento del Consiglio secondo cui l’identità delle disposizioni dell’accordo previsto e del regolamento n. 44/2001 escluderebbe qualunque
possibilità di contrasto tra gli stessi. Esso ritiene, da un lato, che l’esistenza o meno
di una contraddizione non sia decisiva per valutare la portata della competenza
comunitaria e, dall’altro, che l’applicazione di un tale accordo possa portare ad
escludere alcune disposizioni del regolamento e dunque a pregiudicarle, nonostante
l’identità delle disposizioni in causa.
91. La Commissione considera che l’obiettivo dei negoziati relativi alla nuova
convenzione di Lugano, che è quello di esportare puramente e semplicemente, nelle
relazioni con Stati terzi non membri della Comunità, le norme comuni del regolamento n. 44/2001, comporta che la competenza comunitaria a condurre tali negoziati sia necessariamente esclusiva.
92. Essa ricorda il parallelismo e i nessi tra la convenzione di Bruxelles e quella
di Lugano e fa valere che, se è stata conclusa una convenzione distinta, è unicamente perché era impossibile richiedere a Stati terzi di aderire ad una convenzione
basata sull’art. 293 CE che attribuisce la competenza alla Corte di giustizia. Essa
giurisprudenza comunitaria
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indica che vari meccanismi erano stati introdotti per preservare la coerenza nell’interpretazione delle due convenzioni.
93. Secondo la Commissione, l’obiettivo di trasposizione pura e semplice, nella
nuova convenzione di Lugano, di regole comuni escluderebbe ogni competenza
degli Stati membri, perché sarebbe in contrasto con l’unità del mercato comune e
con l’applicazione uniforme del diritto comunitario. Solo la Comunità assicurerebbe la coerenza delle proprie regole comuni se elevate a rango internazionale.
94. In aggiunta all’argomento dedotto in merito alla giurisprudenza della Corte,
e in una prospettiva piú ampia, il Parlamento richiama l’attenzione di quest’ultima
sui problemi di ordine giuridico e pratico che possono sorgere in caso di accordo
misto, in particolare in merito alla necessità di consentire la ratifica dell’accordo
previsto da parte di tutti gli Stati membri. Esso sottolinea anche la necessità di
coerenza tra i profili interno ed esterno della politica comunitaria in sede di creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
95. In merito all’argomento vertente sul fatto che l’accordo previsto non pregiudicherà l’applicazione del regolamento n. 44/2001 ma, al contrario, lo rafforzerà
estendendone l’applicazione ad altri Stati europei, il governo francese, prendendo
in considerazione il fatto che tale accordo vincola, oltre ad alcuni Stati terzi, tutti gli
Stati membri, si domanda se la Comunità non debba essere considerata l’unica ad
avere il diritto di disporre della propria normativa, a prescindere dalla questione se
il detto accordo pregiudichi la normativa comunitaria oppure la favorisca. Gli Stati
membri resterebbero competenti a concludere altri accordi con gli Stati terzi, che
non vincolerebbero tutti gli Stati membri, e sempre che i detti accordi non pregiudichino l’applicazione di tale regolamento. Secondo il detto governo, la Comunità
detiene quindi una competenza esclusiva a stipulare nel caso specifico l’accordo
previsto.
Osservazioni orali degli Stati membri e delle istituzioni
96. Al fine di consentire agli Stati membri che hanno aderito all’Unione europea dopo il deposito della domanda di parere di presentare osservazioni su quest’ultima, la Corte ha organizzato un’udienza che si è svolta il 19 ottobre 2004. Vi
hanno preso parte il Consiglio, i governi ceco, danese, tedesco, ellenico, spagnolo,
francese, l’Irlanda, i governi olandese, polacco, portoghese, finlandese e del Regno
Unito, nonché il Parlamento e la Commissione. La maggior parte delle osservazioni
presentate alla Corte verteva sulle quattro questioni in merito alle quali quest’ultima
aveva invitato con lettera gli Stati membri e le istituzioni a pronunciarsi nel corso di
tale udienza. Tali questioni riguardavano:
la pertinenza del tenore degli artt. 61 CE e 65 CE, in particolare dell’espressione «necessario al corretto funzionamento del mercato interno» di cui all’art. 65
CE;
la pertinenza della questione intesa ad accertare in che limiti uno Stato membro
possa negoziare con uno Stato terzo, ad esempio, un accordo bilaterale che disciplini le problematiche trattate nel regolamento n. 44/2001, ma senza adottare
necessariamente gli stessi criteri contenuti in quest’ultimo;
la possibilità di stabilire una distinzione tra le disposizioni relative alla competenza giurisdizionale e quelle concernenti il riconoscimento e l’esecuzione delle
decisioni, nonché
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giurisprudenza comunitaria
l’eventuale necessità di uno sviluppo o di una precisazione della giurisprudenza
esistente.
Sulla prima questione posta dalla Corte
97. Per quanto riguarda la pertinenza del tenore degli artt. 61 CE e 65 CE, in
particolare dell’espressione «per quanto necessario al corretto funzionamento del
mercato interno» di cui all’art. 65 CE, il governo tedesco, sostenuto dal governo
francese, dal Parlamento e dalla Commissione, rileva che tale espressione è pertinente solo per valutare se, adottando il regolamento n. 44/2001, la Comunità abbia
esercitato correttamente la sua competenza interna. A suo avviso, ogni atto comunitario interno adottato sulla base dell’art. 65 CE deve soddisfare tale condizione.
Per contro, per rilevare l’esistenza di una competenza comunitaria esterna nel
settore disciplinato da tale regolamento non sarebbe indispensabile che l’accordo
previsto sia anch’esso necessario al corretto funzionamento del mercato interno.
Infatti, tale competenza esterna dipenderebbe semplicemente dalla questione intesa
ad accertare in che limiti un siffatto accordo pregiudichi o alteri la portata di una
norma comunitaria interna. Secondo il governo francese, se la circostanza che l’art.
65 CE si riferisca solo alle misure necessarie al corretto funzionamento del mercato
interno privasse la Comunità di una competenza a concludere accordi internazionali, la giurisprudenza derivata dalla citata sentenza AETS sarebbe vanificata.
98. Per contro, il governo del Regno Unito, sostenuto da molti altri governi,
ritiene che l’art. 65 CE definisca, ai sensi del suo stesso tenore, la portata e l’intensità del regime comunitario interno. In particolare, il detto tenore dimostrerebbe
che il regolamento n. 44/2001 non porta ad un’armonizzazione completa delle
disposizioni degli Stati membri in materia di conflitto di giurisdizioni. Sebbene si
possa considerare che varie norme enunciate da tale regolamento abbiano una certa
portata esterna, quali, in particolare, la norma generale sulla competenza basata
sulla circostanza che il domicilio del convenuto sia situato nell’Unione, il punto
essenziale sarebbe che le dette norme fanno parte di un regime interno diretto a
risolvere i conflitti di competenza tra i giudici degli Stati membri di quest’ultima.
Tenuto conto della portata interna degli artt. 61 CE e 65 CE, questi ultimi non
possono costituire il fondamento normativo per stabilire un codice comunitario
completo che istituisca norme relative alla competenza internazionale della Comunità.
99. Inoltre, il governo ceco, sostenuto dai governi ellenico, spagnolo e finlandese, rileva che il tenore degli artt. 61 CE e 65 CE dimostra che la competenza
comunitaria interna è limitata dall’obiettivo specifico del corretto funzionamento
del mercato interno. Di conseguenza, la competenza comunitaria esterna dovrebbe
essere limitata dallo stesso obiettivo. D’altra parte, il governo finlandese rileva che,
nel caso della convenzione di Lugano, poiché le parti contraenti non membri
dell’Unione non sono interessate dall’istituzione di uno spazio di libertà, sicurezza
e giustizia, o dalla realizzazione del mercato interno, sarebbe difficile supporre che
l’accordo previsto possa essere necessario al corretto funzionamento del mercato
interno.
Sulla seconda questione posta dalla Corte
100. Per quanto riguarda la pertinenza della questione intesa ad accertare in
che limiti uno Stato membro possa negoziare con uno Stato terzo un accordo
giurisprudenza comunitaria
535
bilaterale che disciplini le problematiche trattate nel regolamento n. 44/2001, ma
senza adottare necessariamente gli stessi criteri contenuti in quest’ultimo, la maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, nonché il
Parlamento, ritengono che la sola questione pertinente sia se gli obblighi derivanti
dall’accordo bilaterale rientrino o meno nell’ambito di applicazione di tale regolamento. Non vi sarebbe quindi alcuna differenza a seconda del fatto che tale accordo, dal punto di vista del suo contenuto, corrisponda o meno alle norme comunitarie.
101. Un tale accordo bilaterale dovrebbe quindi essere redatto con circospezione per garantire che le sue disposizioni non riguardino le materie disciplinate dal
regolamento n. 44/2001, eventualmente per mezzo di una clausola di disgiunzione.
I governi tedesco, ellenico e finlandese, in particolare, sostengono che la presenza di
una tale clausola è determinante. Per contro, la Commissione ritiene che l’esistenza
stessa di una clausola di disgiunzione costituisca la prova evidente di un’incidenza ai
sensi della citata sentenza AETS.
102. In udienza, il governo spagnolo ha rilevato che, in alcune materie diverse
da quelle disciplinate dal regolamento n. 44/2001, uno Stato membro conserva la
libertà di concludere accordi con gli Stati terzi. Per quanto riguarda gli accordi
concernenti le materie disciplinate dal detto regolamento, tale governo ha chiesto
alla Corte di precisare la sua giurisprudenza, facendo valere che determinati Stati
membri possono avere un interesse particolare a condurre negoziati con uno Stato
terzo su talune materie per ragioni sia di vicinanza geografica, sia relative all’esistenza di legami storici tra i due Stati in questione.
103. Secondo il Parlamento, la scelta, in un accordo bilaterale concluso tra uno
Stato membro e uno Stato terzo, di un criterio di collegamento diverso dal domicilio del convenuto, criterio considerato dal regolamento n. 44/2001, inciderebbe
necessariamente su quest’ultimo. Cosı́, un accordo bilaterale che utilizzi il criterio
della cittadinanza sarebbe incompatibile con il detto regolamento in quanto, a
seconda del testo applicato e del criterio considerato, sarebbero competenti due
giudici diversi.
Sulla terza questione posta dalla Corte
104. Per quanto riguarda l’eventuale necessità di stabilire una distinzione tra le
disposizioni relative alla competenza giurisdizionale e quelle concernenti il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, vari governi, in particolare i governi ceco,
tedesco, ellenico, portoghese e finlandese, sostengono che una tale distinzione è
necessaria. Secondo il governo finlandese, ad esempio, dal sistema del regolamento
n. 44/2001 risulta che il capo relativo alla competenza giurisdizionale e quello
concernente il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni non sono connessi. Si
tratterebbe quindi di due normative separate ed autonome, inserite nello stesso
strumento giuridico.
105. Per contro, il governo spagnolo sostiene che non bisogna operare una tale
distinzione. Da un lato, sarebbe possibile rilevare che i due ambiti di applicazione
delle disposizioni citate comprendono parti che non sono coperte dal diritto comunitario. Dall’altro, le due categorie di disposizioni formerebbero un tutt’uno alla
luce del fatto che l’obiettivo del regolamento n. 44/2001 è quello di ottenere una
semplificazione in materia di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni.
106. Analogamente, il Parlamento e la Commissione rilevano che non è giu-
536
giurisprudenza comunitaria
stificato scindere l’accordo previsto in due parti distinte ed affermare una competenza esclusiva della Comunità per una di queste ultime e una competenza concorrente per l’altra. Secondo la Commissione, tutto il meccanismo semplificato di
riconoscimento e di esecuzione delle decisioni, sia quello istituito dal regolamento
n. 44/2001 sia quello derivante dalla convenzione di Lugano, si basa sul fatto che le
norme relative alla competenza siano armonizzate e che gli Stati membri nutrano
una fiducia reciproca sufficiente per evitare che i giudici degli Stati richiesti siano
tenuti ad esaminare, caso per caso, se la competenza dei giudici dello Stato d’origine sia stata rispettata. Da questo punto di vista, la materia della competenza e
quella del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni non possono essere
distinte.
Sulla quarta questione posta dalla Corte
107. Per quanto riguarda l’eventuale necessità di uno sviluppo o di una precisazione della giurisprudenza esistente, la grande maggioranza dei governi che
hanno presentato osservazioni alla Corte auspica un chiarimento della giurisprudenza derivante dalla citata sentenza AETS. Inoltre, gli stessi governi sostengono la
posizione adottata da quello del Regno Unito nelle sue osservazioni scritte, secondo
cui occorrerebbe riconsiderare uno dei criteri menzionati in tale giurisprudenza,
ossia quello relativo alla circostanza che gli impegni internazionali rientrino in un
settore già «in gran parte» disciplinato da norme comuni. Secondo il governo
spagnolo, ad esempio, la Corte dovrebbe essere estremamente prudente prima di
applicare al caso oggetto della presente domanda di parere la dottrina delle competenze esterne implicite, che è stata sviluppata in merito a cause appartenenti al
settore economico, in cui i criteri applicabili sono molto diversi da quelli che
devono essere impiegati nel diritto internazionale privato. Secondo l’Irlanda, sarebbe necessaria un’armonizzazione completa affinché possa essere rilevata l’esistenza di una competenza esterna comunitaria implicita.
108. Per contro, secondo il governo francese e la Commissione, la competenza
esclusiva della Comunità deriva dal fatto che la nuova convenzione di Lugano è
diretta ad estendere ad alcuni Stati terzi il sistema di cooperazione attuato dal
regolamento n. 44/2001.
109. Infine, per quanto riguarda la pertinenza del solo fatto che l’accordo
previsto è diretto a riprodurre le norme comunitarie, la maggior parte dei governi
sostiene che gli Stati membri sono liberi di ritrascrivere le disposizioni del diritto
comunitario nei loro impegni internazionali per cui non vi è competenza esterna
della Comunità. La questione centrale sarebbe quella dell’idoneità o meno dell’accordo previsto ad incidere sulle norme comunitarie interne, e non quella del parallelismo delle competenze in quanto tale.
Presa di posizione della Corte
Sulla ricevibilità della domanda
110. La domanda di parere, presentata dal Consiglio, verte sulla natura esclusiva o concorrente della competenza a concludere la nuova convenzione di Lugano.
111. Il Consiglio è una delle istituzioni indicate all’art. 300 par. 6 CE. L’oggetto
e le grandi linee dell’accordo previsto sono stati sufficientemente descritti come
richiede la Corte (pareri n. 1/78 del 4 ottobre 1979, in Raccolta, p. 2871, punto 35 e
n. 2/94 cit., punti 10-18).
giurisprudenza comunitaria
537
112. D’altra parte, secondo un’interpretazione consolidata della Corte, quest’ultima può essere interpellata sulle questioni che riguardano la ripartizione delle
competenze tra la Comunità e gli Stati membri a stipulare un determinato accordo
con Stati terzi (v., in ultimo, parere n. 2/00 cit., punto 3). L’art. 107 par. 2 del
regolamento di procedura corrobora tale interpretazione.
113. Ne consegue che la domanda di parere è ricevibile.
Sul merito
Sulla competenza della Comunità a concludere accordi internazionali
114. La competenza della Comunità a concludere accordi internazionali può
non soltanto essere attribuita espressamente dal trattato, ma altresı́ derivare implicitamente da altre disposizioni del trattato e da atti adottati, nell’ambito di tali
disposizioni, dalle istituzioni comunitarie (v. sentenza AETS cit., punto 16). La
Corte ha inoltre concluso che, ogniqualvolta il diritto comunitario abbia attribuito
a tali istituzioni determinati poteri sul piano interno, onde realizzare un certo
obiettivo, la Comunità è competente ad assumere gli impegni internazionali necessari per raggiungere tale obiettivo, anche in mancanza di espresse disposizioni al
riguardo (citati pareri n. 1/76, punto 3 e n. 2/91, punto 7).
115. Tale competenza della Comunità può essere esclusiva o concorrente con
gli Stati membri. Per quanto riguarda una competenza esclusiva, la Corte ha rilevato che l’ipotesi contemplata nel citato parere n. 1/76 è quella in cui la competenza
interna può essere esercitata utilmente soltanto contemporaneamente alla competenza esterna (v. citati pareri n. 1/76, punti 4 e 7 e n. 1/94, punto 85), quando cioè è
necessaria la conclusione di un accordo internazionale per realizzare determinati
obiettivi del trattato che non potevano essere raggiunti mediante l’instaurazione di
norme autonome (v., in particolare, sentenza Commissione c. Danimarca cit.,
punto 57).
116. Al punto 17 della citata sentenza AETS la Corte ha stabilito il principio
secondo cui, qualora siano state adottate norme comuni, gli Stati membri non
hanno piú il potere – né individualmente, né collettivamente – di contrarre con
gli Stati terzi obbligazioni che incidano su dette norme. Anche in un caso simile la
Comunità dispone di una competenza esclusiva a concludere gli accordi internazionali.
117. Nell’ipotesi oggetto del presente parere, tale principio è pertinente per
valutare l’esclusività o meno di una competenza esterna della Comunità.
118. Al punto 11 del citato parere n. 2/91 la Corte ha indicato che il detto
principio si applica anche quando sono state adottate disposizioni in settori non
rientranti in politiche comuni e, in particolare, in settori in cui esistono disposizioni
di armonizzazione.
119. La Corte ha ricordato a tale proposito che, in tutti i settori che rientrano
negli scopi del trattato, l’art. 10 CE impone agli Stati membri di facilitare la
Comunità nell’adempimento dei propri compiti e di astenersi da qualsiasi misura
che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi suddetti (parere n. 2/91 cit.,
punto 10).
120. Prendendo posizione in merito alla parte III della convenzione n. 170
dell’Organizzazione internazionale del lavoro, concernente la sicurezza nell’utilizzazione dei prodotti chimici sul lavoro, parte che rientra in un settore già in gran parte
disciplinato da norme comunitarie, la Corte ha preso in considerazione il fatto che
538
giurisprudenza comunitaria
queste ultime fossero state gradualmente emanate da piú di 25 anni nella prospettiva di un’armonizzazione sempre piú completa e volta tanto ad eliminare gli ostacoli agli scambi derivanti dalle disparità tra le normative degli Stati membri quanto
a garantire la tutela della popolazione e dell’ambiente. Essa ha concluso che tale
parte della detta convenzione era atta ad incidere su tali norme comunitarie e che,
pertanto, gli Stati membri non potevano, al di fuori dell’ambito comunitario, assumere impegni siffatti (parere n. 2/91 cit., punti 25 e 26).
121. Nel citato parere n. 1/94 e nelle menzionate sentenze cieli aperti, la Corte
ha elencato tre ipotesi in cui ha riconosciuto una competenza esclusiva della Comunità. Tuttavia, queste tre ipotesi, che sono state oggetto di ampie discussioni
nell’ambito della domanda di parere in esame e che sono ricordate al punto 45 del
presente parere, sono solo esempi la cui formulazione trova la sua origine nei
contesti particolari presi in considerazione dalla Corte.
122. Infatti, statuendo in termini molto piú generici, la Corte ha riconosciuto
una competenza esclusiva della Comunità, in particolare, laddove la conclusione di
un accordo da parte degli Stati membri sia incompatibile con l’unicità del mercato
comune e con l’applicazione uniforme del diritto comunitario (sentenza AETS cit.,
punto 31) o laddove, in ragione della natura stessa delle disposizioni comunitarie
esistenti, quali atti legislativi che contengono clausole relative al trattamento da
riservare ai cittadini di Stati terzi o all’armonizzazione completa di una determinata
questione, ogni accordo relativo a tale materia incida necessariamente sulle disposizioni comunitarie ai sensi della citata sentenza AETS (v., in tal senso, parere n. 1/94
cit., punti 95 e 96, nonché sentenza Commissione c. Danimarca cit., punti 83 e 84).
123. Per contro, la Corte non ha riconosciuto una competenza esclusiva della
Comunità allorché, in ragione della natura di prescrizioni minime sia delle disposizioni comunitarie sia di quelle di una convenzione internazionale, quest’ultima
non poteva impedire la piena applicazione del diritto comunitario da parte degli
Stati membri (parere n. 2/91 cit., punto 18). Del pari, la Corte non ha riconosciuto
la necessità di una competenza esclusiva della Comunità motivata dal rischio che
accordi bilaterali creino distorsioni di flussi di servizi nel mercato interno, rilevando
che nessuna disposizione del trattato impediva alle istituzioni di organizzare, mediante le norme comuni da esse adottate, azioni concertate nei confronti di Stati
terzi o di prescrivere i comportamenti che gli Stati membri dovevano adottare verso
l’esterno (parere n. 1/94 cit., punti 78 e 79, nonché la sentenza Commissione c.
Danimarca cit., punti 85 e 86).
124. In tale contesto, occorre ricordare che la Comunità dispone solo di competenze di attribuzione e che, pertanto, l’esistenza di una competenza, per di piú
non espressamente prevista da trattato e di natura esclusiva, deve basarsi su conclusioni derivanti da un’analisi concreta del rapporto esistente tra l’accordo previsto
e il diritto comunitario in vigore e da cui risulti che la conclusione di un tale
accordo può incidere sulle norme comunitarie.
125. In alcuni casi, l’esame e il confronto dei settori disciplinati sia dalle disposizioni comunitarie sia dall’accordo previsto sono sufficienti ad escludere ogni
incidenza su tali disposizioni (citati pareri n. 1/94, punto 103; n. 2/92, punto 34 e n.
2/00, punto 46).
126. Tuttavia, non è necessario che sussista una concordanza completa tra il
settore disciplinato dall’accordo internazionale e quello della normativa comunitaria. Qualora occorra determinare se il criterio indicato dalla formula «di un settore
giurisprudenza comunitaria
539
già in gran parte disciplinato da norme comunitarie» (parere n. 2/91 cit., punti 25 e
26) sia soddisfatto, l’analisi deve basarsi non solo sulla portata delle disposizioni in
questione, ma anche sulla natura e sul contenuto delle stesse. Occorre inoltre
prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del diritto comunitario
nel settore interessato, ma anche le sue prospettive di evoluzione, qualora esse siano
prevedibili al momento di tale analisi (v., in tal senso, parere n. 2/91 cit., punto 25).
127. La necessità di prendere in considerazione non solo l’ampiezza del settore
disciplinato, ma anche la natura e il contenuto delle disposizioni comunitarie è
espressa anche nella giurisprudenza della Corte, ricordata al punto 123 del presente
parere, secondo cui la natura delle prescrizioni minime contenute sia nelle disposizioni comunitarie sia in quelle dell’accordo internazionale può portare alla conclusione della mancanza di incidenza, anche se le disposizioni comunitarie e quelle
dell’accordo disciplinano lo stesso settore.
128. In definitiva, è essenziale garantire un’applicazione uniforme e coerente
delle disposizioni comunitarie ed un corretto funzionamento del sistema che esse
istituiscono al fine di preservare la piena efficacia del diritto comunitario.
129. D’altra parte, un’eventuale iniziativa diretta ad evitare contraddizioni tra il
diritto comunitario e l’accordo previsto non esime dal verificare, prima di concludere tale accordo, se quest’ultimo sia tale da incidere sulle norme comunitarie (v. in
particolare, in tal senso, parere n. 2/91 cit., punto 25, e sentenza Commissione c.
Danimarca cit., punti 101 e 105).
130. A tale proposito, l’esistenza, in un accordo, di una clausola detta «di
disgiunzione», ai cui sensi il detto accordo non pregiudica l’applicazione, da parte
degli Stati membri, delle disposizioni pertinenti di diritto comunitario, non costituisce una garanzia della mancata incidenza delle disposizioni dell’accordo sulle
norme comunitarie mediante una delimitazione del rispettivo ambito di applicazione di entrambe le norme, ma, al contrario, può apparire come l’indice dell’incidenza su tali norme. Un simile meccanismo diretto a prevenire ogni conflitto al
momento dell’esecuzione dell’accordo non è di per sé un elemento determinante
che consente di risolvere la questione se la Comunità disponga di una competenza
esclusiva a concludere il detto accordo o se la competenza appartenga agli Stati
membri, questione che dev’essere risolta prima della conclusione di quest’ultimo
(v., in tal senso, sentenza Commissione c. Danimarca cit., punto 101).
131. Infine, il fondamento normativo su cui si basano le disposizioni comunitarie e piú in particolare la condizione relativa al corretto funzionamento del mercato interno prevista all’art. 65 CE sono, in quanto tali, irrilevanti al fine di verificare se un accordo internazionale incida su disposizioni comunitarie. Il fondamento normativo di una regolamentazione interna è infatti determinato dalla
componente principale di quest’ultima, mentre la disposizione di cui si esamina il
pregiudizio subito può essere anche solo una componente accessoria di tale regolamentazione. La competenza esclusiva della Comunità è diretta, in particolare, a
preservare l’efficacia del diritto comunitario e il corretto funzionamento dei sistemi
istituiti dalle sue norme, indipendentemente dagli eventuali limiti previsti dalla
disposizione del trattato su cui le istituzioni si sono basate per adottare tali norme.
132. Se un accordo internazionale comprende norme che presuppongono
un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri
in un settore in cui il trattato esclude una tale armonizzazione, la Comunità non
dispone della competenza necessaria a concludere il detto accordo. Tali limiti della
540
giurisprudenza comunitaria
competenza esterna della Comunità riguardano l’esistenza stessa di tale competenza
e non la sua esclusività.
133. Da quanto precede risulta che occorre effettuare un’analisi globale e
concreta al fine di verificare se la Comunità disponga della competenza a concludere un accordo internazionale e se tale competenza sia esclusiva. A tal fine, occorre
prendere in considerazione non solo il settore disciplinato sia dalle norme comunitarie sia dalle disposizioni dell’accordo previsto, ove esse siano note, ma anche la
natura e il contenuto di tali norme e disposizioni, al fine di assicurarsi che l’accordo
non sia tale da pregiudicare l’applicazione uniforme e coerente delle norme comunitarie e il corretto funzionamento del sistema che esse istituiscono.
Sulla competenza della Comunità a concludere la nuova convenzione di Lugano
134. La domanda di parere non riguarda l’esistenza stessa della competenza
della Comunità a concludere l’accordo previsto, bensı́ la questione se tale competenza sia esclusiva o concorrente. A tale proposito, è sufficiente rilevare che la
Comunità ha già adottato disposizioni interne concernenti la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che si tratti del regolamento n. 44/2001, adottato sulla base degli artt. 61 lett.
c CE e 67 par. 1 CE, o di disposizioni specifiche contenute in normative settoriali,
quali il titolo X del regolamento n. 40/94 o l’art. 6 della direttiva n. 96/71.
135. Il regolamento n. 44/2001 è stato adottato per sostituire, tra gli Stati
membri ad eccezione del Regno di Danimarca, la convenzione di Bruxelles. Esso
si applica in materia civile e commerciale, nei limiti previsti dal suo ambito di
applicazione quale definito all’art. 1 dello stesso regolamento. Poiché l’obiettivo e
le disposizioni di quest’ultimo sono ripresi, in gran parte, dalla detta convenzione, si
farà riferimento, all’occorrenza, all’interpretazione di tale convenzione fornita dalla
Corte.
136. L’accordo previsto è diretto a sostituire la convenzione di Lugano, qualificata come «convenzione parallela alla convenzione di Bruxelles» nel quinto
considerando del regolamento n. 44/2001.
137. Anche se il testo derivante dai lavori di revisione delle due suddette
convenzioni nonché le direttive di negoziato della nuova convenzione di Lugano
sono noti, occorre sottolineare che non esiste alcuna certezza in merito al testo
definitivo che sarà adottato.
138. Sia il regolamento n. 44/2001 sia l’accordo previsto contengono essenzialmente due parti. La prima parte di tale accordo comprende norme sulla competenza dei giudici, come quelle oggetto del capo II del regolamento n. 44/2001 e le
disposizioni specifiche di cui al punto 134 del presente parere. La seconda parte
comprende norme relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni, come
quelle oggetto del capo III del regolamento n. 44/2001. Queste due parti saranno
oggetto di un’analisi distinta.
Sulle norme relative alla competenza dei giudici
139. Lo scopo di una norma sulla competenza dei giudici è quello di stabilire,
in una determinata ipotesi, quale sarà il giudice competente a conoscere di una
controversia. A tal fine, la norma contiene un criterio che consente di «collegare» la
controversia al giudice che sarà riconosciuto competente. I criteri di collegamento
variano, in genere, in funzione dell’oggetto della controversia. Tuttavia, essi pos-
giurisprudenza comunitaria
541
sono anche tener conto della data in cui è stato proposto il ricorso, di caratteristiche
proprie del ricorrente o del convenuto, o ancora di qualsiasi altro elemento.
140. La pluralità dei criteri di collegamento utilizzati da diversi ordinamenti
giuridici genera conflitti tra le norme sulla competenza. Tali conflitti possono essere
risolti da disposizioni esplicite della lex fori o dall’applicazione di principi generali
comuni a vari ordinamenti giuridici. Può accadere inoltre che una legge lasci al
ricorrente la scelta tra piú giudici la cui competenza è determinata in ragione di vari
criteri di collegamento distinti.
141. Da tali elementi risulta che una normativa internazionale la quale contenga
norme che consentono di risolvere i conflitti tra varie norme sulla competenza
elaborate da diversi ordinamenti giuridici utilizzando criteri di collegamento diversi
può costituire un sistema particolarmente complesso che, per essere coerente,
dev’essere il piú globale possibile. La minima lacuna in tali norme potrebbe infatti
provocare una competenza concorrente di piú giudici a statuire su una stessa
controversia, ma anche una totale assenza di tutela giurisdizionale, nel caso in cui
nessun giudice possa essere riconosciuto competente a statuire su una tale controversia.
142. Negli accordi internazionali conclusi dagli Stati membri o dalla Comunità
con Stati terzi, tali norme sui conflitti di competenza stabiliscono necessariamente
criteri di competenza dei giudici non solo degli Stati terzi, ma anche degli Stati
membri e, di conseguenza, riguardano materie disciplinate dal regolamento n. 44/
2001.
143. Tale regolamento, e in particolare il suo capo II, è diretto ad unificare le
norme sui conflitti di competenza in materia civile e commerciale, non solo per
controversie intracomunitarie, ma anche per quelle che presentino un elemento di
estraneità, al fine di eliminare gli ostacoli al funzionamento del mercato interno che
possono derivare dalle disparità esistenti tra le normative nazionali in materia (v.
secondo considerando del regolamento n. 44/2001 e, per quanto riguarda la convenzione di Bruxelles, sentenza 1º marzo 2005, causa C-281/02, Owusu, in Raccolta, p. I-1383, punto 34).
144. Il detto regolamento contiene un insieme di disposizioni che formano un
sistema globale e si applicano non solo ai rapporti tra vari Stati membri, laddove
riguardano ora procedimenti pendenti dinanzi a giudici di vari Stati membri, ora
decisioni emesse da giudici di uno Stato membro al fine del loro riconoscimento e
della loro esecuzione in un altro Stato membro, ma anche ai rapporti tra uno Stato
membro ed uno Stato terzo.
145. Statuendo in merito alla convenzione di Bruxelles, la Corte ha ricordato a
tale proposito che l’applicazione delle norme sulla competenza presuppone l’esistenza di un elemento di estraneità e che il carattere internazionale del rapporto
giuridico di cui trattasi non deve necessariamente derivare, per quanto attiene
all’applicazione dell’art. 2 della convenzione di Bruxelles, dall’implicazione di piú
Stati contraenti, in ragione del merito della controversia o del rispettivo domicilio
delle parti della controversia. L’implicazione di uno Stato contraente e di uno Stato
terzo, sulla base, ad esempio, del domicilio dell’attore e di un convenuto nel primo
Stato e dell’ubicazione del fatto controverso nel secondo è parimenti tale da attribuire carattere internazionale al rapporto giuridico in esame. Tale situazione, infatti, è atta a sollevare, nello Stato contraente, questioni relative alla determinazione
della competenza giurisdizionale nell’ordinamento internazionale, il che costituisce
542
giurisprudenza comunitaria
proprio una delle finalità della convenzione di Bruxelles, come emerge dal terzo
considerando del suo preambolo (sentenza Owusu cit., punti 25 e 26).
146. Del resto, la Corte ha dichiarato che le norme della convenzione di
Bruxelles in materia di competenza esclusiva o di proroga espressa della competenza sono parimenti applicabili a rapporti giuridici concernenti unicamente uno
Stato contraente ed uno o piú Stati terzi (sentenza Owusu cit., punto 28). Essa ha
inoltre rilevato, in merito alle norme della convenzione di Bruxelles in materia di
litispendenza e di connessione, nonché di riconoscimento e di esecuzione, che
riguardino procedimenti pendenti dinanzi a giudici di diversi Stati contraenti o
decisioni pronunciate da giudici di uno Stato contraente ai fini del loro riconoscimento e della loro esecuzione in un altro Stato contraente, che le controversie
oggetto di tali procedimenti o di tali decisioni possono avere un carattere internazionale che coinvolge uno Stato contraente e uno Stato terzo e possono aver
provocato, per tale ragione, il ricorso alla regola generale sulla competenza di cui
all’art. 2 della convenzione di Bruxelles (sentenza Owusu cit., punto 29).
147. In tale contesto occorre rilevare che il regolamento n. 44/2001 contiene
disposizioni che disciplinano il suo rapporto con le altre norme di diritto comunitario esistenti o future. Cosı́, il suo art. 67 fa salva l’applicazione delle disposizioni
che, in materie particolari, disciplinano la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e che sono contenute negli atti comunitari o
nelle legislazioni nazionali armonizzate in esecuzione di tali atti. Inoltre, l’art. 71
par. 1 di tale regolamento fa salva l’applicazione delle convenzioni aventi lo stesso
oggetto delle precedenti disposizioni di cui gli Stati membri siano già parti contraenti. A tale proposito, dal par. 2 lett. a dello stesso articolo risulta che il regolamento non osta a che il giudice di uno Stato membro che sia parte di una siffatta
convenzione possa fondare la propria competenza su tale convenzione anche se il
convenuto è domiciliato nel territorio di uno Stato membro che non è parte contraente della medesima.
148. Alla luce della natura globale e coerente del sistema delle norme sui
conflitti di competenza elaborato dal regolamento n. 44/2001, l’art. 4 par. 1 di
quest’ultimo, ai cui sensi «[s]e il convenuto non è domiciliato nel territorio di uno
Stato membro, la competenza è disciplinata, in ciascuno Stato membro, dalla legge
di tale Stato, salva l’applicazione degli articoli 22 e 23», dev’essere interpretato
come facente parte del sistema istituito da tale regolamento, dal momento che
quest’ultimo disciplina la situazione prevista con riferimento alla legislazione dello
Stato membro il cui giudice è adito.
149. Per quanto riguarda tale riferimento alla legislazione nazionale in questione, anche supponendo che su di essa possa basarsi una competenza degli Stati
membri a concludere un accordo internazionale, si deve necessariamente rilevare
che, secondo lo stesso tenore del citato art. 4 par. 1, l’unico criterio utilizzabile è
quello del domicilio del convenuto, purché non si applichino gli artt. 22 e 23 del
regolamento.
150. Inoltre, pur rispettando quanto disposto dall’art. 4 par. 1 del regolamento
n. 44/2001, l’accordo previsto potrebbe nondimeno venire in conflitto con altre
disposizioni dello stesso regolamento. Cosı́, trattandosi di una persona giuridica,
convenuta in una controversia e domiciliata al di fuori di uno Stato membro, il
detto accordo, in ragione dell’utilizzazione del criterio del domicilio del convenuto,
potrebbe venire in conflitto con le disposizioni del medesimo regolamento relative
giurisprudenza comunitaria
543
alle succursali, alle agenzie o alle altre sedi d’attività prive di personalità giuridica,
quali gli artt. 9 par. 2, per le controversie in materia di contratti di assicurazione, 15
par. 2, per le controversie in materia di contratti conclusi dai consumatori, o 18 par.
2, per le controversie in materia di contratti individuali di lavoro.
151. Pertanto, dall’esame del solo regolamento n. 44/2001 risulta che, in ragione del sistema globale e coerente delle norme sulla competenza che esso prevede, ogni accordo internazionale che stabilisca anche un sistema globale di norme
sui conflitti di competenza come quello elaborato dal detto regolamento sarebbe
tale da incidere sulle dette norme sulla competenza. Occorre nondimeno proseguire
l’analisi effettuando l’esame dell’accordo previsto, al fine di verificare se quest’ultimo corrobori tale affermazione.
152. La nuova convenzione di Lugano avrebbe lo stesso oggetto del regolamento n. 44/2001, ma un ambito di applicazione territoriale piú esteso. Le sue
disposizioni attuerebbero la stessa sistematica del regolamento n. 44/2001, in particolare utilizzando le stesse norme sulla competenza, il che, secondo la maggior
parte dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte, garantirebbe la
coerenza tra i due strumenti giuridici e, pertanto, eviterebbe che le norme comunitarie siano pregiudicate dalla detta convenzione.
153. Tuttavia, se l’identità di oggetto e di formulazione tra le norme comunitarie e le disposizioni dell’accordo previsto sono elementi che devono essere presi in
considerazione per il controllo dell’esistenza del pregiudizio di tali norme da parte
di detto accordo, tali elementi non possono, da soli, dimostrare l’assenza del detto
pregiudizio. Per quanto riguarda la coerenza derivante dall’applicazione delle stesse
norme sulla competenza, essa non è sinonimo di assenza di pregiudizio in quanto
l’applicazione di una norma sulla competenza stabilita dall’accordo previsto può
portare alla designazione di un giudice competente diverso da quello che sarebbe
stato designato ai sensi delle disposizioni del regolamento n. 44/2001. Cosı́, laddove
la nuova convenzione di Lugano contenga articoli identici agli artt. 22 e 23 del
regolamento n. 44/2001 e conduca su tale base alla designazione come foro competente di uno Stato terzo parte contraente di tale convenzione, mentre il convenuto è domiciliato in uno Stato membro, in assenza della convenzione, quest’ultimo
Stato sarebbe il foro competente, mentre con la convenzione è competente lo Stato
terzo.
154. La nuova convenzione di Lugano conterrebbe una clausola di disgiunzione analoga a quella di cui all’art. 54 ter della convenzione attuale. Tuttavia, come
è stato rilevato al punto 130 del presente parere, una tale clausola, che è diretta a
prevenire i conflitti al momento dell’applicazione dei due strumenti giuridici, non
consente di per sé di risolvere la questione, preliminare alla conclusione stessa
dell’accordo previsto, se la Comunità detenga una competenza esclusiva a concludere quest’ultimo. Al contrario, una tale clausola può apparire come l’indice di un
rischio di incidenza delle disposizioni di tale accordo sulle norme comunitarie.
155. D’altronde, come ha rilevato la Commissione, una clausola di disgiunzione
in un accordo internazionale di diritto internazionale privato ha natura particolare
ed è diversa da una clausola di disgiunzione classica. Nel caso di specie, lo scopo
non è quello di preservare l’applicazione del regolamento n. 44/2001 ogni volta che
ciò sia possibile, bensı́ di disciplinare in maniera coerente il rapporto fra tale
regolamento e la nuova convenzione di Lugano.
156. Inoltre, va rilevato che la clausola di disgiunzione di cui all’art. 54 ter par.
544
giurisprudenza comunitaria
1 della convenzione di Lugano comprende alcune eccezioni previste al par. 2 lett. a
e b del medesimo articolo.
157. Cosı́, l’art. 54 ter par. 2 lett. a della convenzione di Lugano prevede che
quest’ultima si applica comunque qualora il convenuto sia domiciliato nel territorio
di uno Stato contraente di tale convenzione che non è membro dell’Unione europea. Orbene, nel caso in cui, ad esempio, il convenuto sia una persona giuridica che
possiede una succursale, un’agenzia o un’altra sede d’attività priva di personalità
giuridica in uno Stato membro, tale disposizione può pregiudicare l’applicazione
del regolamento n. 44/2001, in particolare dei suoi artt. 9 par. 2, per le controversie
in materia di contratti di assicurazione, 15 par. 2, per le controversie in materia di
contratti conclusi dai consumatori, o 18 par. 2, per le controversie in materia di
contratti individuali di lavoro.
158. Lo stesso vale per le altre due eccezioni alla clausola di disgiunzione
prevista dalla convenzione di Lugano, vale a dire, ai sensi dell’art. 54 ter par. 2
lett. a, in fine, qualora gli artt. 16 e 17 di tale convenzione, relativi rispettivamente
alle competenze esclusive e alla proroga di competenza, attribuiscano la competenza ai giudici di uno Stato contraente che non è membro dell’Unione europea e,
ai sensi dell’art. 54 ter par. 2 lett. b, in materia di litispendenza o di connessione
contemplate dagli artt. 21 e 22 della medesima convenzione, ove siano state proposte azioni in uno Stato contraente che non è membro dell’Unione europea e in
uno Stato contraente che è membro di quest’ultima. Infatti, l’applicazione di tale
convenzione, nell’ambito delle eccezioni menzionate, può impedire quella delle
norme sulla competenza previste dal regolamento n. 44/2001.
159. Alcuni governi, in particolare quello portoghese, sostengono che queste
poche eccezioni non possono mettere in discussione la competenza degli Stati
membri a concludere l’accordo previsto, competenza che dev’essere determinata
dalle disposizioni principali di tale accordo. Allo stesso modo, l’Irlanda fa valere che
sarebbe sufficiente che la Comunità negoziasse solo la disposizione relativa a tali
eccezioni, mentre gli Stati membri resterebbero competenti a stipulare le altre
disposizioni del detto accordo.
160. Tuttavia, occorre sottolineare che, come è stato indicato ai punti 151-153
del presente parere, le disposizioni principali dell’accordo previsto possono incidere sulla natura globale e coerente delle norme sulla competenza previste dal
regolamento n. 44/2001. Le eccezioni alla clausola di disgiunzione nonché la necessità di una presenza comunitaria al momento dei negoziati, indicata dall’Irlanda,
sono solo indici dell’esistenza di un pregiudizio delle norme comunitarie in determinate circostanze.
161. Dall’analisi delle disposizioni della nuova convenzione di Lugano relative
alle norme sulla competenza risulta che tali disposizioni pregiudicano l’applicazione
uniforme e coerente delle norme comunitarie relative alla competenza giurisdizionale e il corretto funzionamento del sistema che queste ultime istituiscono.
Sulle norme relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia civile
e commerciale
162. La maggior parte dei governi che hanno presentato osservazioni alla Corte
sostengono che le norme relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni
in materia civile e commerciale costituiscono un settore separabile da quello delle
norme sulla competenza, il che giustificherebbe un’analisi distinta del pregiudizio
giurisprudenza comunitaria
545
delle norme comunitarie da parte dell’accordo previsto. A tale proposito, essi fanno
valere che l’ambito di applicazione del regolamento n. 44/2001 è limitato, in quanto
il riconoscimento riguarda solo decisioni emesse in altri Stati membri, e che ogni
accordo avente un ambito di applicazione diverso, in quanto riguarda decisioni
«estranee alla Comunità», non sarebbe tale da incidere sulle norme comunitarie.
163. Tuttavia, come sostengono altri governi nonché il Parlamento e la Commissione, va rilevato che le norme sulla competenza e quelle relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni, di cui al regolamento n. 44/2001, non costituiscono insiemi distinti ed autonomi, ma sono strettamente connesse. Come la
Commissione ha ricordato in udienza, il meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione, enunciato all’art. 33 par. 1 di tale regolamento, secondo
cui le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati
membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, e che conduce,
in via di principio, ai sensi dell’art. 35 par. 3 del medesimo regolamento, all’assenza
di controllo della competenza dei giudici dello Stato membro d’origine, è giustificato dalla fiducia reciproca tra gli Stati membri e, in particolare, da quella che il
giudice dello Stato richiesto ripone nel giudice dello Stato di origine, tenuto conto
segnatamente delle norme sulla competenza diretta enunciate al capo II del detto
regolamento. Per quanto riguarda la convenzione di Bruxelles, la relazione sulla
detta convenzione presentata dal sig. Jenard (Gazz. Uff. Com. eur., 1979, C 59, p. 1,
in particolare p. 46), indicava che: «[l]e rigorose norme di competenza enunciate al
titolo II, le garanzie concesse al convenuto contumace nell’art. 20, hanno fatto venir
meno la necessità d’imporre, al giudice davanti al quale è invocato il riconoscimento
o richiesta l’esecuzione, l’accertamento della competenza del giudice originario».
164. Varie disposizioni del regolamento n. 44/2001 attestano il nesso esistente
tra il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e le norme sulla competenza.
Cosı́, il controllo della competenza del giudice d’origine, a titolo eccezionale, è
mantenuto ai sensi dell’art. 35 par. 1 del regolamento qualora siano in causa le
disposizioni del detto regolamento relative alle competenze esclusive, alle competenze in materia di contratti di assicurazione e di contratti conclusi da consumatori.
Gli artt. 71 par. 2 lett. b e 72 del medesimo regolamento stabiliscono altresı́ un tale
rapporto tra le norme sulla competenza e quelle relative al riconoscimento e all’esecuzione di dette decisioni.
165. D’altra parte, le disposizioni del regolamento n. 44/2001 prevedono le
possibilità di conflitti tra decisioni emesse tra le medesime parti da giudici diversi.
Cosı́, l’art. 34 punto 3 di tale regolamento precisa che le decisioni non sono riconosciute se sono in contrasto con una decisione emessa tra le medesime parti nello
Stato membro richiesto, mentre il punto 4 dello stesso articolo prevede che le
decisioni non sono riconosciute se sono in contrasto con una decisione emessa
precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese
terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, allorché
tale decisione presenta le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato
membro richiesto.
166. Inoltre, come è stato precisato al punto 147 del presente parere, l’art. 67
del regolamento citato disciplina il rapporto del sistema istituito da quest’ultimo
non solo con le altre disposizioni di diritto comunitario esistenti o future, ma anche
con le convenzioni esistenti che incidono sulle norme comunitarie relative al riconoscimento e all’esecuzione, indipendentemente dal fatto che tali convenzioni con-
546
giurisprudenza comunitaria
tengano norme sulla competenza o disposizioni relative al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni.
167. Infatti, per quanto riguarda le convenzioni di cui gli Stati membri sono
parti contraenti, di cui all’art. 71 del regolamento n. 44/2001, il par. 2 lett. b di tale
articolo prevede, al suo primo comma, che «le decisioni emesse in uno Stato
membro da un giudice che abbia fondato la propria competenza su una convenzione relativa a una materia particolare sono riconosciute ed eseguite negli altri Stati
membri a norma del presente regolamento». Il secondo comma della stessa disposizione enuncia che «[s]e una convenzione relativa ad una materia particolare di cui
sono parti lo Stato membro d’origine e lo Stato membro richiesto determina le
condizioni del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni, si applicano tali
condizioni». Infine, l’art. 72 di tale regolamento dispone che esso «lascia impregiudicati gli accordi anteriori alla sua entrata in vigore con i quali gli Stati membri si
siano impegnati, ai sensi dell’art. 59 della convenzione di Bruxelles, a non riconoscere una decisione emessa, in particolare in un altro Stato contraente della convenzione, contro un convenuto che aveva il proprio domicilio o la propria residenza
abituale in un paese terzo, qualora la decisione sia stata fondata, in un caso previsto
all’art. 4 della convenzione, soltanto sulle norme in materia di competenza di cui
all’art. 3, secondo comma della convenzione stessa».
168. Dall’esame del solo regolamento n. 44/2001 risulta quindi che, in ragione
del sistema globale e coerente che esso istituisce per quanto riguarda il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni, un accordo come quello previsto, indipendentemente dal fatto che contenga disposizioni relative alla competenza dei giudici o al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni, potrebbe incidere su tali norme.
169. In assenza di un testo definitivo della nuova convenzione di Lugano,
l’esame delle possibilità di pregiudizio delle norme comunitarie da parte di quest’ultima sarà svolto prendendo in considerazione, a titolo di esempi, le disposizioni
dell’attuale convenzione di Lugano.
170. L’art. 26, primo comma di quest’ultima convenzione enuncia il principio
secondo cui le decisioni rese in uno Stato contraente sono riconosciute negli altri
Stati contraenti senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Un tale
principio incide sulle norme comunitarie, poiché estende l’ambito di applicazione
del riconoscimento senza procedimento delle decisioni giurisdizionali, aumentando
cosı́ il numero di casi in cui saranno riconosciute decisioni rese da giudici di Stati
non membri della Comunità, la cui competenza non deriva dall’applicazione delle
disposizioni del regolamento n. 44/2001.
171. Per quanto riguarda l’esistenza di una clausola di disgiunzione nell’accordo previsto, come quella riportata all’art. 54 ter par. 1 della convenzione di
Lugano, non pare, come risulta dai punti 130 e 154 del presente parere, che la
sua presenza possa modificare tale affermazione per quanto riguarda l’esistenza di
una competenza esclusiva della Comunità a concludere il detto accordo.
172. Dall’insieme di tali elementi risulta che le norme comunitarie relative al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni non sono scindibili da quelle relative
alla competenza dei giudici, con cui le prime formano un sistema globale e coerente, e che la nuova convenzione di Lugano pregiudicherebbe l’applicazione uniforme e coerente delle norme comunitarie per quanto riguarda sia la competenza
giurisdizionale sia il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni e il corretto
funzionamento del sistema globale istituito da tali norme.
giurisprudenza comunitaria
547
173. Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che la Comunità
detiene una competenza esclusiva a concludere la nuova convenzione di Lugano.
Di conseguenza, la Corte (seduta plenaria) emette il seguente parere:
La conclusione della nuova convenzione di Lugano, concernente la competenza
giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale, cosı́ come prevista ai punti 8-12 della domanda di parere, riprodotti
al punto 26 del presente parere, rientra interamente nella competenza esclusiva
della Comunità europea.
GIURISPRUDENZA IN BREVE
Corte di giustizia (pres. Skouris, avv. gen. Léger), sentenza 18 gennaio 2005 nella
causa C-257/01, avente ad oggetto un ricorso di annullamento proposto dalla
Commissione delle Comunità europee sostenuta dal Regno dei Paesi Bassi contro
il Consiglio dell’Unione europea sostenuto dal Regno di Spagna.
Nel contesto particolare e transitorio della comunitarizzazione dell’acquis di
Schengen con il trattato di Amsterdam, sono legittimi i regolamenti (CE) n. 789/
2001 e n. 790/2001 del 24 aprile 2001 laddove riservano transitoriamente al Consiglio e in parte agli Stati membri la competenza per l’adozione dei provvedimenti di
esecuzione e di aggiornamento del Manuale comune e dell’Istruzione consolare comune, i quali definiscono le modalità pratiche di applicazione delle regole in materia
di passaggio delle frontiere esterne e di visti. 1*
1. La Commissione delle Comunità europee con il suo ricorso chiede l’annullamento del regolamento (CE) del Consiglio del 24 aprile 2001 n. 789, che conferisce al Consiglio competenze esecutive per quanto concerne talune disposizioni
dettagliate e modalità pratiche relative all’esame delle domande di visto (Gazz.
Uff. Com. eur., L 116, p. 2), e del regolamento (CE) del Consiglio del 24 aprile
2001 n. 790, che conferisce al Consiglio competenze esecutive per quanto concerne
talune disposizioni dettagliate e modalità pratiche relative all’esecuzione dei controlli e della sorveglianza alle frontiere (ibidem, L 116, p. 5; in prosieguo, congiuntamente, i «regolamenti impugnati»).
2. Con ordinanze del presidente della Corte in data 10 ottobre e 8 novembre
2001, il Regno di Spagna e il Regno dei Paesi Bassi sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni rispettivamente del Consiglio dell’Unione europea
e della Commissione.
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
548
giurisprudenza comunitaria
Contesto normativo
Le disposizioni pertinenti del trattato CE (omissis)
La convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, il Manuale comune e l’Istruzione consolare comune
7. Ai sensi dell’art. 1 del protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen
nell’ambito dell’Unione europea, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato che istituisce la Comunità europea dal trattato di Amsterdam (in prosieguo: il
«protocollo»), tredici Stati membri dell’Unione europea sono autorizzati a instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel campo di applicazione dell’acquis di
Schengen, come definito nell’allegato al detto protocollo.
8. In particolare rientrano nell’acquis di Schengen cosı́ definito, l’accordo fra i
governi degli Stati dell’Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di
Germania e della Repubblica francese, relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmato a Schengen il 14 giugno 1985 (Gazz. Uff. Com.
eur., 2000, L 239, p. 13; in prosieguo: l’«accordo di Schengen»), nonché la convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (ibidem, 2000, L 239, p. 19; in
prosieguo: la «CAAS»), firmata il 19 giugno 1990, comprese le decisioni del comitato esecutivo istituito dalla CAAS.
9. Il titolo II della CAAS contiene, ai capitoli 2 e 3, le regole in materia,
rispettivamente, di passaggio delle frontiere esterne e di visti.
10. Le modalità pratiche di applicazione di queste regole sono definite nel
Manuale comune (in prosieguo: l’«MC») per quanto concerne i controlli alle
frontiere e nell’Istruzione consolare comune indirizzata alle rappresentanze diplomatiche e consolari di prima categoria (Gazz. Uff. Com. eur., 2002, C 313, p.
1; in prosieguo: l’«ICC») per quanto concerne le domande di visto. Le versioni
definitive delle ICC e dell’MC sono state adottate dal Comitato esecutivo, in
forza dell’art. 132 della CAAS nonché sul fondamento degli artt. 3 n. 1, 5 n. 1,
6 n. 3, 8, 12 n. 3, e 17 di essa, con decisione 28 aprile 1999, riguardante le
versioni definitive del Manuale comune e dell’Istruzione consolare comune
[SCH/Com-ex (99) 13] (ibidem, 2000, L 239, p. 317; in prosieguo: la «decisione
n. 99/13»).
11. L’MC e l’ICC contengono sia disposizioni normative dettagliate sia istruzioni pratiche, destinate rispettivamente ai funzionari che effettuano i controlli alle
frontiere esterne delle parti contraenti e agli agenti consolari di esse per il trattamento corrente delle domande di visto.
12. Per quanto riguarda taluni aspetti dell’ICC, occorre ancora riferirsi a numerose decisioni del comitato esecutivo. Si tratta delle decisioni 16 dicembre 1998
[SCH/Com-ex (98) 56] (Gazz. Uff. Com. eur., 2000, L 239, p. 207; in prosieguo: la
«decisione n. 98/56») e 28 aprile 1999 [SCH/Com-ex (99) 14] (ibidem, 2000, L
239, p. 298; in prosieguo: la «decisione n. 99/14»), riguardante il manuale relativo
ai documenti sui quali può essere apposto un visto. Inoltre la decisione del comitato
esecutivo del 21 novembre 1994 [SCH/Com-ex (94) 15 rev.] (ibidem, 2000, L 239,
p. 165; in prosieguo: la «decisione n. 94/15») introduce la procedura automatizzata
per la consultazione delle autorità centrali di cui all’ex art. 17, secondo comma della
CAAS.
13. In forza dell’art. 2 n. 1, primo comma del protocollo, a decorrere dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, l’acquis di Schenghen si applica imme-
giurisprudenza comunitaria
549
diatamente ai tredici Stati membri di cui all’art. 1 di tale protocollo. La stessa
disposizione prevede che il Consiglio si sostituisca al comitato esecutivo nell’esercizio delle funzioni di quest’ultimo.
14. In applicazione dell’art. 2 n. 1, secondo comma, seconda frase del protocollo, il Consiglio ha adottato, il 20 maggio 1999, la decisione n. 1999/436/CE che
determina, in conformità delle pertinenti disposizioni del trattato che istituisce la
Comunità europea e del trattato sull’Unione europea, la base giuridica per ciascuna
delle disposizioni o decisioni che costituiscono l’acquis di Schengen (Gazz. Uff.
Com. eur., L 176, p. 17). Dall’art. 2 di tale decisione, letto in combinato disposto
con l’allegato A della medesima, risulta che gli artt. 62 CE e 63 CE costituiscono le
nuove basi giuridiche della decisione n. 99/13, mentre gli artt. 62 n. 2 lett. b punto
ii CE, 62 CE e 62 n. 2 lett. b CE costituiscono rispettivamente le nuove basi
giuridiche delle decisioni n. 98/56 n. 99/14 e n. 94/15.
La decisione n. 1999/468/CE
15. Secondo la formulazione dell’art. 1, primo comma della decisione del
Consiglio del 28 giugno 1999 n. 1999/468/CE, recante modalità per l’esercizio
delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (Gazz. Uff. Com. eur.,
L 184, p. 23; in prosieguo: la «seconda decisione sulla comitologia»),
«Salvi casi specifici e motivati, nei quali l’atto di base riserva al Consiglio il
diritto di esercitare direttamente talune competenze di esecuzione, queste sono
conferite alla Commissione conformemente alle pertinenti disposizioni dell’atto di
base. Tali disposizioni precisano gli elementi essenziali delle competenze cosı́ conferite».
I regolamenti impugnati
16. In seguito all’adozione della decisione n. 1999/436, è stato giudicato opportuno definire, in un atto comunitario, le procedure secondo cui dovevano essere
adottati i provvedimenti di esecuzione e di aggiornamento dell’MC e dell’ICC.
17. A tale proposito il Consiglio ha approvato i regolamenti n. 789/2001 e n.
790/2001 sulla base, rispettivamente, dell’art. 62 n. 2 e n. 3 CE e degli artt. 62 n. 2
lett. a e b CE e 67 par. 1 CE.
18. Ai sensi del secondo-quarto considerando del regolamento n. 789/2001 e
del secondo considerando del regolamento n. 790/2001, determinate «disposizioni
e modalità pratiche», relative rispettivamente all’esame delle domande di visto
nonché all’attuazione dei controlli alle frontiere e della sorveglianza alle frontiere
esterne, contenute rispettivamente nell’ICC e nell’MC, nonché negli allegati ad essi,
devono essere «modificate e aggiornate regolarmente per rispondere alle esigenze
operative» delle autorità competenti in materia.
19. Al riguardo i regolamenti impugnati istituiscono due procedure. Da una
parte, essi prevedono, al loro art. 1, che talune disposizioni ivi enumerate possano
essere modificate dal Consiglio all’unanimità. Dall’altra, l’art. 2 di tali regolamenti
istituisce una procedure mediante la quale gli Stati membri comunicano le modifiche che desiderano apportare a talune disposizioni o parti degli allegati elencati
delle ICC e dell’MC al segretario generale del Consiglio che comunica successivamente tali modifiche ai membri del Consiglio e alla Commissione.
550
giurisprudenza comunitaria
Il regolamento n. 789/2001 (omissis)
Giudizio della Corte
49. A titolo preliminare occorre constatare che, nel caso in esame, ai sensi
dell’art. 1, primo comma della seconda decisione sulla comitologia, le competenze
di esecuzione sono conferite alla Commissione, salvo casi specifici e motivati nei
quali l’atto di base riserva al Consiglio il diritto di esercitare direttamente talune
competenze di esecuzione. Cosı́ facendo, tale disposizione si limita a riprendere il
disposto sia dell’art. 202, terzo trattino CE sia dell’art. 253 CE.
50. A tale proposito, come la Corte ha giudicato nella sua sentenza 24 ottobre
1989, causa 16/88, Commissione c. Consiglio (in Raccolta, p. 3457, punto 10), dopo
le modifiche apportate dall’Atto unico europeo all’art. 145 del trattato CE (divenuto art. 202 CE), il Consiglio può riservarsi direttamente competenze di esecuzione solamente in casi specifici e tale decisione deve essere motivata in modo
circostanziato.
51. Ciò significa che il Consiglio è tenuto a giustificare debitamente, in funzione
della natura e del contenuto dell’atto di base da adottare o da modificare, un’eccezione alla regola secondo la quale, nel sistema del trattato, qualora occorra adottare
a livello comunitario provvedimenti di esecuzione di un atto di base, spetta normalmente alla Commissione di esercitare tale competenza.
52. Nel caso in esame, il Consiglio si è espressamente riferito, all’ottavo considerando del regolamento n. 789/2001 e al quinto considerando del regolamento n.
790/2001, al ruolo piú ampio degli Stati membri in materia di visti e di sorveglianza
delle frontiere, nonché alla sensibilità di tali settori, in particolare per quanto
riguarda le relazioni politiche con gli Stati terzi.
53. È innegabile che simili considerazioni sono contemporaneamente generali e
succinte. Tuttavia, analizzate nel contesto in cui esse devono essere ricollocate, esse
sono tali da rivelare chiaramente la giustificazione della riserva di esecuzione effettuata a favore del Consiglio e da permettere alla Corte di esercitare il suo controllo.
54. Infatti, in primo luogo occorre constatare che, prima dell’entrata in vigore
del trattato di Amsterdam, che ha preceduto di due anni l’adozione dei regolamenti
impugnati, la politica dei visti – ad eccezione della determinazione degli Stati terzi i
cui cittadini devono essere muniti di un visto al momento dell’attraversamento delle
frontiere esterne degli Stati membri, come prevista all’art. 100 C par. 1 del trattato
CE (abrogato dal trattato di Amsterdam) – nonché la politica delle frontiere esterne
erano completamente sottratte alla competenza della Comunità europea, ma rientravano nelle procedure organizzate nell’ambito del titolo VI del trattato sull’Unione europea.
55. In secondo luogo, il titolo IV del trattato CE comporta, agli artt. 67 CE e 68
CE, disposizioni derogatorie o particolari, a carattere evolutivo, per quanto riguarda le procedure di elaborazione del diritto derivato e di rinvio pregiudiziale.
Cosı́ l’art. 67 par. 1 e par. 2 CE prevede un periodo transitorio di cinque anni, dopo
l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, durante il quale, in linea di principio,
il Consiglio delibera all’unanimità su proposta della Commissione o ad iniziativa di
uno Stato membro, previa consultazione del Parlamento europeo. Dopo tale periodo, il Consiglio legifera esclusivamente su proposta della Commissione e può,
deliberando all’unanimità, assoggettare tutti o parte dei settori contemplati dal
giurisprudenza comunitaria
551
detto titolo IV alla procedura di cui all’art. 251 CE e adattare le disposizioni relative
alle competenze della Corte di giustizia.
56. Disposizioni di tale natura dimostrano la specificità della materia disciplinata dai regolamenti impugnati che, fino al 1º maggio 1999, rientrava per l’essenziale nelle procedure disciplinate nell’ambito del titolo VI del trattato sull’Unione
europea, poiché gli autori del trattato CE non hanno voluto riconoscere immediatamente un monopolio di iniziativa alla Commissione in tale materia.
57. In terzo luogo, le disposizioni tassativamente elencate all’art. 1 dei regolamenti impugnati hanno un contenuto nettamente circoscritto. Se è vero che esse
rappresentano una parte importante dell’ICC e dell’MC, ciò nondimeno esse non
esauriscono affatto la materia dei visti e del controllo delle frontiere esterne.
58. In quarto luogo, dall’ottavo considerando del regolamento n. 789/2001 e
dal quinto considerando del regolamento n. 790/2001 risulta che il Consiglio si è
impegnato a esaminare le condizioni in cui le competenze di esecuzione riservate da
tali regolamenti potrebbero essere conferite alla Commissione dopo un periodo
transitorio di tre anni.
59. Per l’insieme di tali ragioni, che emergono a sufficienza dai considerando
dei regolamenti impugnati e dal contesto in cui si inseriscono, occorre considerare
che il Consiglio ha potuto validamente ritenere di trovarsi in un caso specifico e ha
debitamente motivato, conformemente all’art. 253 CE, la decisione di riservarsi, a
titolo transitorio, la competenza di eseguire un insieme di disposizioni tassativamente elencate dell’ICC e dell’MC.
60. La circostanza che l’ottavo considerando del regolamento n. 789/2001 e il
quinto considerando del regolamento n. 790/2001 siano formulati in termine pressoché identici non è, di per sé, idonea a rimettere in questione tale conclusione,
tenuto conto precisamente degli stretti legami che indubbiamente esistono tra il
settore dei visti e quello del controllo alle frontiere.
61. Pertanto, il primo motivo invocato dalla Commissione a sostegno del suo
ricorso deve essere respinto.
Sul secondo motivo, relativo alla competenza di esecuzione conferita agli Stati membri
Argomenti delle parti (omissis)
Giudizio della Corte
65. Dall’art. 2 dei regolamenti impugnati risulta chiaramente che, nonostante
l’impiego del verbo «desiderare», ogni Stato membro può, esso stesso, talvolta di
concerto con altri Stati membri, modificare il contenuto di talune disposizioni o
allegati dell’ICC e dell’MC. Infatti, secondo la formulazione del decimo considerando del regolamento n. 789/2001 e del settimo considerando del regolamento n.
790/2001, «senza indugio i membri del Consiglio e la Commissione [sono informati] su tutte le modifiche», il che implica che il potere di modifica appartiene agli
Stati membri.
66. A tale proposito occorre constatare che, se l’art. 202, terzo trattino CE
disciplina la questione dell’attuazione in modo uniforme degli atti di base del
Consiglio o di quest’ultimo e del Parlamento europeo e, in tal modo, la ripartizione
delle competenze di esecuzione tra il Consiglio e la Commissione, tale disposizione
non riguarda la ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri.
67. Occorre esaminare se, per l’attuazione di talune disposizioni o allegati
552
giurisprudenza comunitaria
dell’ICC e dell’MC, il Consiglio fosse obbligato a ricorrere alle procedure comunitarie o se la competenza a modificare tali disposizioni o allegati potesse, senza
violare il diritto comunitario, essere conferita agli Stati membri.
68. Nel caso di specie, il Consiglio fa valere che le disposizioni che possono
essere modificate dagli Stati membri comportano solo informazioni di fatto che
esclusivamente questi ultimi sono in grado di fornire utilmente.
69. A tale proposito occorre ricordare che l’ICC e l’MC sono stati adottati dal
comitato esecutivo in un momento in cui la materia di cui trattasi rientrava nella
competenza intergovernativa. Il loro inserimento nell’ambito dell’Unione europea,
a partire dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, non ha avuto, di per sé,
l’effetto di privare immediatamente gli Stati membri delle competenze che essi
potevano esercitare in forza di tali atti per assicurare la loro corretta applicazione.
70. In tale contesto del tutto particolare e transitorio, in attesa degli sviluppi
dell’acquis di Schengen nell’ambito giuridico e istituzionale dell’Unione europea,
non si può rimproverare al Consiglio di avere introdotto una procedura di trasmissione da parte degli Stati membri delle modifiche che essi sono autorizzati ad
apportare, unilateralmente o di concerto con gli altri Stati membri, a talune disposizione dell’ICC o dell’MC il cui contenuto dipende esclusivamente da informazioni
di cui solo essi dispongono. Tale censura potrebbe essere accolta solo se venisse
accertato che la procedura cosı́ attuata potrebbe mettere a repentaglio l’applicazione efficace o corretta dell’ICC o dell’MC.
71. Tuttavia occorre constatare che la Commissione, che non ha contestato il
carattere fattuale delle informazioni contenute nelle disposizioni suscettibili di essere modificate dagli Stati membri né la circostanza che esse possono essere utilmente fornite solo da questi ultimi, non ha provato, e neppure tentato di dimostrare, per ciascuna di tali disposizioni, che era opportuno ricorrere a una procedura di aggiornamento uniforme dell’ICC e dell’MC per garantire la loro buona
applicazione. Essa si è limitata ad esaminare nella sua memoria di replica, a titolo di
esempio, gli allegati 4 e 5 dell’ICC.
72. Pertanto, la Corte ritiene di dover limitare il suo controllo alla valutazione
della legittimità dell’art. 2 del regolamento n. 789/2001 nella parte in cui esso si
riferisce agli allegati 4 e 5 dell’ICC, i soli esaminati dalla Commissione nelle sue
memorie.
73. A tale proposito, dall’art. 2 n. 2 del regolamento n. 789/2001 risulta che,
qualora uno Stato membro desideri apportare una modifica segnatamente agli
allegati 4, 5 B e 5 C dell’ICC, esso presenta anzitutto una proposta in tal senso
agli Stati membri che possono presentare osservazioni.
74. Per quanto riguarda, da un lato, l’allegato 4 dell’ICC, che contiene un
elenco di documenti rilasciati da ogni Stato membro e che danno diritto all’ingresso
senza visto, la Commissione fa valere che, secondo l’art. 21 n. 1 e n. 2 della CAAS, i
cittadini di Stati terzi, titolari di un titolo di soggiorno o di un’autorizzazione
provvisoria di soggiorno rilasciate da una parte contraente, possono, sotto la protezione di tale titolo e di un documento di viaggio rilasciato da questa stessa parte
contraente, circolare liberamente per un periodo massimo di tre mesi all’interno
della zona Schengen.
75. Se è vero che una modifica dell’elenco dell’allegato 4 dell’ICC ha un’immediata ripercussione sulle condizioni in cui si applica il detto art. 21 n. 1 e n. 2, ciò
nondimeno, ai sensi del n. 3 del medesimo articolo «le Parti contraenti comunicano
giurisprudenza comunitaria
553
al comitato esecutivo [a cui si è sostituito il Consiglio, in conformità dell’art. 2 n. 1
del protocollo] l’elenco dei documenti che esse rilasciano con valore di titolo di
soggiorno o di autorizzazione provvisoria di soggiorno e di documento di viaggio ai
sensi del presente articolo».
76. Orbene, alla luce delle disposizioni in parola e in mancanza di qualsiasi altra
disposizione comunitaria che avesse modificato, con riferimento a tale punto, il
regime della CAAS prima dell’adozione dei regolamenti impugnati, niente consente
di affermare che, non appena l’elenco dei documenti in questione è stato comunicato al comitato esecutivo (o al Consiglio), gli Stati membri non sono piú competenti a determinare la natura dei documenti valevoli come titolo di soggiorno e
autorizzazione provvisoria di soggiorno.
77. Di conseguenza, la Commissione non ha provato che la modifica dell’allegato 4 dell’ICC obbligava a ricorrere a una procedura uniforme di aggiornamento.
78. D’altra parte, per quanto riguarda l’allegato 5 dell’ICC, concernente le
ipotesi previste all’art. 17 n. 2 della CAAS, in cui il rilascio di un visto è subordinato
alla consultazione dell’autorità centrale della parte contraente investita, nonché, se
del caso, delle autorità centrali delle altre parti contraenti, occorre constatare, in
primo luogo, che, conformemente al punto 2.1 della parte II dell’ICC, la consultazione dell’autorità centrale nazionale, da parte della rappresentanza diplomatica o
consolare che istruisce la domanda di visto, è prevista «secondo i casi, le modalità e
i termini previsti dalla legislazione o dalla prassi interne». L’allegato 5 A dell’ICC
menziona per la precisione questi casi.
79. Orbene, la Commissione non è riuscita a dimostrare la ragione per cui il
ricorso a una procedura uniforme per l’aggiornamento dell’allegato 5 A dell’ICC
sarebbe stato necessario per la buona applicazione del punto 2.1 della parte II
dell’ICC, tenuto conto del rinvio alla legislazione e alla prassi interne effettuato
da tale disposizione.
80. In secondo luogo, il punto 2.2 della parte II dell’ICC riguarda i casi in cui la
rappresentanza diplomatica o consolare investita di una domanda di visto deve
richiedere l’autorizzazione della propria autorità centrale, che dovrà preliminarmente consultare le autorità centrali competenti di un’altra o di altre parti contraenti. Tale punto prevede che «[f]intantoché il comitato esecutivo [a cui si è
sostituito il Consiglio] non avrà elaborato la lista dei casi soggetti a consultazione
preliminare delle altre autorità centrali, si utilizzerà a tal fine l’elenco allegato alla
presente Istruzione consolare comune». Tale elenco figura precisamente all’allegato
5 B.
81. Orbene, la Commissione, che non contesta la circostanza che spetta a
ciascuno Stato membro determinare le domande di visto per cui è richiesta una
consultazione preliminare delle autorità centrali delle altre parti contraenti, non ha
provato la ragione per cui, nell’attesa di un elenco definitivo dei casi di mutua
consultazione decisi dal Consiglio, il ricorso a una procedura uniforme sarebbe
stato necessario per la buona applicazione del punto 2.2 della parte II dell’ICC
e, in particolare, per l’aggiornamento dell’allegato 5 B di essa.
82. In terzo luogo, il punto 2.3 della parte II dell’ICC, che rinvia all’elenco
stabilito all’allegato 5 C di essa, riguarda i casi in cui una domanda di visto è
presentata presso un’ambasciata o un consolato di uno Stato Schengen che rappresenta un altro Stato Schengen.
554
giurisprudenza comunitaria
83. La Commissione non ha provato e neppure cercato di dimostrare la ragione
per cui il ricorso a una procedura uniforme sarebbe stato necessario alla buona
applicazione del punto 2.3 della parte II dell’ICC e, in particolare, all’aggiornamento dell’allegato 5 C di essa.
84. Di conseguenza, occorre respingere il secondo motivo invocato dalla Commissione a sostegno del suo ricorso.
85. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso della Commissione deve essere respinto nel suo complesso.
Corte di giustizia (pres. Jann, avv. gen. Kokott), sentenza 20 gennaio 2005 nella
causa C-302/02, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Austria) nella causa Effing.
Le disposizioni del titolo II del regolamento (CEE) 14 giugno 1971 n. 1408/71,
relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai
loro familiari, che si spostano all’interno della Comunità, costituiscono un sistema
completo ed uniforme di norme di conflitto.
Ai sensi dell’art. 13 par. 2 lett. a e lett. f del regolamento (CEE) n. 1408/71, nel
caso in cui un detenuto abbia cessato qualsiasi attività lavorativa nello Stato membro
in cui abbia iniziato ad espiare la pena e, su propria richiesta, sia stato trasferito in un
istituto penitenziario ubicato nel proprio Stato membro d’origine al fine di ivi espiare
la rimanente detenzione, la legge applicabile all’interessato al fine della determinazione delle prestazioni familiari è la legge di quest’ultimo Stato membro.
Le disparità di trattamento eventualmente derivanti da differenze nelle normative
nazionali in materia di prestazioni familiari applicabili per effetto delle norme di
conflitto dettate dall’art. 13 par. 2 del regolamento (CEE) n. 1408/71 non costituiscono violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità di cui
agli articoli 12 CE e 3 del regolamento (CEE) n. 1408/71. 1*
1. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
del combinato disposto dell’art. 12 CE e dell’art. 3 del regolamento (CEE) del
Consiglio del 14 giugno 1971 n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari, che si spostano all’interno
della Comunità, nel testo di cui al regolamento (CE) del Parlamento europeo e del
Consiglio del 5 giugno 2001 n. 1386 (Gazz. Uff. Com. eur., L 187, p. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1408/71»).
2. Tale domanda è stata proposta nell’ambito del procedimento avviato in
nome e per conto del minore Nils Laurin Effing (in prosieguo: il «richiedente»),
in merito al diritto dell’interessato al mantenimento della corresponsione di anticipi
sugli alimenti.
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
Tra le sentenze della Corte di giustizia citate in motivazione può leggersi in questa Rivista: 15
marzo 2001, in causa C-85/99, ivi, 2002, p. 226 ss. (breve).
giurisprudenza comunitaria
555
Il contesto normativo (omissis)
Causa principale e questione pregiudiziale
15. Nella causa principale, il richiedente, Nils Laurin Effing, contesta la decisione delle autorità austriache di sospendere la corresponsione degli anticipi sugli
alimenti percepiti ai sensi dell’art. 4 punto 3 della UVG.
16. Il padre, sig. Ingo Effing, è cittadino tedesco. In base alle informazioni
contenute nella decisione di rinvio, quest’ultimo era abitualmente residente in
Austria ove svolgeva attività di lavoro dipendente. A tal riguardo il governo austriaco ha tuttavia precisato che l’interessato avrebbe goduto della copertura previdenziale austriaca in qualità di commerciante, sino al 30 giugno 2001. Nils Laurin
Effing è cittadino austriaco. Egli è stato affidato alla madre, con cui convive in
Austria.
17. Il 7 giugno 2000, il padre del richiedente nella causa principale veniva
sottoposto a carcerazione preventiva in Austria e successivamente condannato ad
una pena detentiva. Al figlio Nils Laurin Effing veniva quindi concesso, ai sensi
dell’art. 4 punto 3 dell’UVG, un anticipo mensile sugli alimenti, in ragione di euro
200,43 per il periodo intercorrente dal 1º giugno 2000 al 31 maggio 2003.
18. Il padre di Nils Laurin Effing iniziava ad espiare la pena detentiva alla quale
era stato condannato presso il carcere di Garsten, in Austria. Il 19 dicembre 2001
veniva trasferito nel proprio paese di origine, in Germania, per ivi espiare il resto
della pena. Come si legge nella decisione di rinvio, tale trasferimento è stato effettuato sulla base della convenzione.
19. Secondo le indicazioni fornite dal governo tedesco, la sanzione inflitta in
Austria al padre del richiedente nella causa principale sarebbe stata commutata, a
termini dell’art. 9 n. 1 lett. b della convenzione, in una pena detentiva prevista dalla
legge tedesca. Il governo medesimo ha parimenti fatto presente che, nel corso della
propria detenzione, precisamente nel periodo compreso dal febbraio al luglio del
2002 nonché dal settembre del 2002 al marzo del 2003, l’interessato avrebbe svolto
attività lavorativa retribuita, conformemente all’obbligo di lavoro che la legge tedesca impone ai detenuti. Dalle retribuzioni percepite sarebbero stati detratti i contribuiti per l’assicurazione contro la disoccupazione nonché quelli per l’assicurazione contro le malattie. Il 3 aprile 2003 il padre richiedente nella causa principale
veniva nuovamente posto il libertà.
20. A seguito del trasferimento in Germania del padre di Nils Laurin Effing, il
Bezirksgericht Donaustadt (Austria), giudice di primo grado, interrompeva, con
decisione pronunciata il 24 gennaio 2002, la corresponsione degli anticipi sugli
alimenti percepiti dal detto minore, a decorrere dalla fine del mese di dicembre
2001. A parere del detto giudice, i requisiti necessari per la concessione degli
anticipi non sarebbero piú sussistiti, atteso che il padre del richiedente nella causa
principale si trovava in stato di detenzione all’estero.
21. A seguito del ricorso proposto da Nils Laurin Effing, il Landesgericht für
Zivilrechtssachen Wien (Austria), adito quale giudice di appello, confermava la
decisione del giudice in prime cure. La concessione di un anticipo sugli alimenti
ai sensi dell’art. 4 punto 3 dell’UVG sarebbe subordinata al requisito che l’interessato espii la pena sul territorio austriaco.
22. Avverso tale decisione Nils Laurin Effing proponeva quindi ricorso per
cassazione dinanzi all’Oberster Gerichtshof, sostenendo che il trasferimento del
556
giurisprudenza comunitaria
debitore degli alimenti in un istituto penitenziario di un altro Stato membro non
poteva produrre la conseguenza di interrompere la corresponsione degli anticipi
sugli alimenti. A suo parere, dall’art. 4 punto 3 dell’UVG emerge che l’istituto
penitenziario situato sul territorio austriaco dev’essere assimilato a qualsiasi altro
istituto penitenziario sul territorio della Comunità.
23. L’Oberster Gerichtshof ritiene, dal canto suo, che l’art. 4 punto 3 dell’UVG
debba essere interpretato nel senso che esclude dal beneficio degli anticipi sugli
alimenti i discendenti a carico di cittadini stranieri che espiino nel loro paese
d’origine una pena detentiva cui siano stati condannati in Austria. Richiamandosi
ai lavori preparatori relativi ad una modifica di un precedente testo dell’UVG
intervenuta nel 1980, il detto giudice rileva, da un lato, che i minori il cui genitore,
debitore dell’obbligo alimentare, sconti una pena detentiva costituiscono vittime
innocenti di delitti commessi dai loro ascendenti e che meritano assistenza da parte
dello Stato. D’altro canto, il corrispondente obbligo dello Stato austriaco, vale a
dire provvedere a che i detenuti percepiscano un’adeguata retribuzione o vengano
posti in grado, in altro modo, di far fronte al loro obbligo alimentare, dovrebbe
essere limitato ai detenuti che svolgano attività lavorativa e che si trovino in un
istituto penitenziario situato sul territorio nazionale.
24. Ritenendo, tuttavia, che tale interpretazione dell’art. 4 punto 3 dell’UVG
potrebbe costituire una discriminazione fondata sulla nazionalità e, conseguentemente, una violazione degli artt. 12 CE e 3 del regolamento n. 1408/71, l’Oberster
Gerichtshof decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la
seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 12 CE nel combinato disposto con l’art. 3 del regolamento (CEE) del
Consiglio del 14 giugno 1971 n. 1408, ...debba essere interpretato nel senso che
esso osti all’applicazione di una normativa nazionale che sfavorisca i cittadini comunitari nell’attribuzione di anticipi sugli alimenti, quando il padre obbligato al
mantenimento sia detenuto nel proprio paese d’origine (non in Austria) con conseguente discriminazione del figlio – abitante in Austria – di un cittadino tedesco,
non venendogli concesso l’anticipo sugli alimenti per il fatto che il padre sconti nel
proprio paese d’origine (e non in Austria) una pena detentiva comminata in Austria».
Sulla questione pregiudiziale
Sull’applicabilità del regolamento n. 1408/71
25. Per quanto attiene, in primo luogo, alla sfera di applicazione ratione materiae del regolamento n. 1408/71, si deve rilevare, come effettuato dal giudice del
rinvio e dalle parti che hanno presentato osservazioni alla Corte, che la Corte è stata
già chiamata a pronunciarsi, nell’ambito del regolamento n. 1408/71, sulla natura
degli anticipi sugli alimenti previsti dall’UVG (sentenze 15 marzo 2001, causa C85/99, Offemanns, in Raccolta, p. I-2261, e 5 febbraio 2002, causa C-255/99,
Humer, ibidem, p. I-1205).
26. Dalle menzionate sentenze Offermanns, punto 49, e Humer, punto 33,
emerge che tali anticipi costituiscono prestazioni familiari ai sensi dell’art. 4 par.
1 lett. h del regolamento n. 1408/71.
27. Nella specie, è quindi sufficiente precisare che la circostanza che gli anticipi
sugli alimenti siano stati concessi a norma dell’art. 4 punto 3 dell’UVG, vale a dire
per il motivo che il padre del richiedente, debitore degli alimenti, espiava una pena
giurisprudenza comunitaria
557
detentiva, e non in applicazione della disposizione generale di cui all’art. 3 della
UVG, non può minimamente incidere sul fatto che gli anticipi di cui trattasi
debbano essere qualificati come «prestazioni familiari» ai sensi dell’art. 4 par. 1
lett. h del regolamento n. 1408/71. A termini dell’art. 1 lett. u) i del regolamento
medesimo, il termine «prestazioni familiari» designa tutte le prestazioni in natura o
in denaro destinate a compensare i carichi familiari. A tal riguardo, la Corte ha
affermato che l’espressione «compensare i carichi familiari», di cui all’art. 1 lett. u) i
del regolamento n. 1408/71, va interpretata nel senso che essa riguarda, in particolare un contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri
derivanti dal mantenimento («Unterhalt») di figli (v. sentenza Offermanns cit.,
supra, punto 41).
28. La concessione degli anticipi ai sensi dell’art. 4 punto 3 dell’UVG ricade
quindi parimenti nella sfera di applicazione ratione materiae del regolamento n.
1408/71.
29. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla sfera di applicazione ratione
personae del regolamento n. 1408/71, secondo il governo austriaco sarebbe inammissibile considerare un detenuto che sia stato trasferito in un altro Stato membro
per ivi espiare la propria pena quale lavoratore dipendente che si sia avvalso della
libera circolazione dei lavoratori garantita dal trattato CE.
30. A tal riguardo, l’art. 2 par. 1 del regolamento n. 1408/71 prevede che il
detto regolamento si applichi ai lavoratori subordinati o autonomi che siano o siano
stati soggetti alla legislazione di uno o piú Stati membri nonché ai loro familiari.
31. Le espressioni «lavoratori subordinati» e «lavoratori autonomi» di cui alla
detta disposizione sono definite all’art. 1 lett. a del regolamento medesimo. Esse
indicano ogni soggetto assicurato nell’ambito di uno dei regimi di previdenza
sociale menzionati dall’art. 1 lett. a contro gli eventi e alle condizioni indicati da
detta norma (sentenze 3 maggio 1990, causa C-2/89, Kits van Heijningen, in Raccolta, p. I-1755, punto 9, e 30 gennaio 1997, cause riunite C-4/95 e C-5/95, Stöber e
Piosa Pereira, ibidem, p. I-511, punto 27).
32. Come ricordato dalla Corte, segnatamente, nella sentenza 12 maggio 1998,
causa C-85/96, Martı́nez Sala (in Raccolta, p. I-2691, punto 36), ne consegue che
una persona possiede lo status di lavoratore ai sensi del regolamento n. 1408/71
quando è assicurata, sia pure contro un solo rischio, in forza di un’assicurazione
obbligatoria o facoltativa presso un regime previdenziale generale o speciale menzionato nell’art. 1 lett. a del regolamento n. 1408/71, e ciò indipendentemente
dall’esistenza di un rapporto di lavoro.
33. Ciò premesso, e contrariamente a quanto dedotto dal governo austriaco,
legittimamente il governo tedesco e la Commissione ritengono che il padre del
richiedente della causa principale costituisca un lavoratore ai sensi dell’art. 2 par.
1 del regolamento n. 1408/71, avendo beneficiato di un’assicurazione contro la
disoccupazione nel corso della maggiore parte del periodo controverso, vale a dire
nel corso del periodo di detenzione trascorso in Germania. Inoltre, l’elemento
transfrontaliero risiede nel fatto che il padre del richiedente nella causa principale
è un cittadino tedesco che ha svolto attività lavorativa sul territorio della Repubblica
d’Austria, Stato membro in cui, nel corso del periodo di detenzione, si è avvalso del
diritto ad essere trasferito, ai fini dell’espiazione della pena, nello Stato membro di
cui era originario.
558
giurisprudenza comunitaria
Sulla legge applicabile e sull’assenza di discriminazioni in base alla nazionalità
(omissis)
38. Si deve rilevare, con riguardo alle varie tesi sopra evocate, che le disposizioni del titolo II del regolamento n. 1408/71, in cui si colloca l’art. 13, costituiscono un sistema completo ed uniforme di norme di conflitto. Dette disposizioni
sono intese, segnatamente, ad evitare la simultanea applicazione di piú normative
nazionali e le complicazioni che possono derivarne (v. sentenza 11 giugno 1998,
causa C-275/96, Kuusijärvi, in Raccolta, p. I-3416, punto 28).
39. La legge applicabile ad un lavoratore che si trovi in una delle fattispecie
ricomprese nelle disposizioni del titolo II del regolamento n. 1408/71 dev’essere
quindi individuata sulla base delle disposizioni medesime. Certamente, come rilevato
dall’avvocato generale al par. 37 delle conclusioni, l’applicazione di disposizioni di un
altro ordinamento giuridico non è peraltro sempre esclusa. Come ricordato dalla
Commissione, una situazione di tal genere può presentarsi, in particolare, quando
due coniugi lavorino in due Stati membri diversi, le cui rispettive leggi prevedano
entrambe l’attribuzione di prestazioni familiari analoghe (v. a tal riguardo, la sentenza
9 dicembre 1992, causa C-119/91, McMenamim, in Raccolta, p. I-6393). Nella specie,
si deve tuttavia necessariamente rilevare che nessun elemento risultante dagli atti
sottoposti alla Corte lascia intendere che il ricorrente nella causa principale possa
ricadere nella sfera di applicazione del regolamento n. 1408/71 a titolo diverso da
quello di «familiare» del padre, ai sensi del regolamento medesimo.
40. L’art. 13 par. 2 lett. a del regolamento n. 1408/71 è diretto ad individuare la
legge applicabile in una fattispecie in cui il lavoratore eserciti, ai sensi del regolamento n. 1408/71, un’attività subordinata. In tal caso, il detto lavoratore è soggetto
alla legge dello Stato in cui svolge l’attività lavorativa.
41. Per contro, nell’art. 13 par. 2 lett. f del regolamento n. 1408/71 ricadono le
fattispecie in cui la legge di uno Stato membro cessi di essere applicabile all’interessato in quanto, in particolare, questi ha cessato l’attività lavorativa senza divenire
soggetto alla legge di un altro Stato membro per effetto delle norme enunciate dagli
artt. 13-17 del regolamento medesimo. In tal caso, l’interessato è assoggettato alla
legge dello Stato membro di residenza.
42. Per quanto attiene all’interpretazione dell’art. 13 par. 2 lett. a del regolamento
n. 1408/71, è pur vero che, anteriormente all’introduzione dell’art. 13 par. 2 lett. f del
regolamento medesimo, tale disposizione è stata interpretata nel senso che un lavoratore che cessi l’attività prestata nel territorio di uno Stato membro e che si sia recato
sul territorio di un altro Stato membro senza ivi svolgere attività lavorativa resta
soggetto alla legge dello Stato membro dell’ultima occupazione, qualunque sia il
periodo di tempo trascorso dalla cessazione dell’attività di cui trattasi e dall’estinzione
del relativo rapporto di lavoro (v. sentenza 12 giugno 1986, causa 302/84, Ten
Holder, in Raccolta, p. 1821, punto 15), salvoché tale cessazione non sia definitiva
(v. sentenze 21 febbraio 1991, causa C-140/88, Noij, ibidem, p. I-387, punti 9 e 10, e
10 marzo 1992, causa C-215/90, Twomey, ibidem, p. I-1823, punto 10).
43. Tuttavia, l’art. 13 par. 2 lett. f introdotto nel regolamento n. 1408/71 a
seguito della menzionata sentenza Ten Holder, implica che la cessazione di qualsiasi
attività lavorativa, a prescindere dal fatto che sia temporanea o definitiva, colloca la
persona interessata al di fuori della sfera di applicazione dell’art. 13 par. 2 lett. a. La
disposizione di cui alla lett. f del medesimo art. 13 par. 2 si applica quindi, segnatamente, ad una persona che abbia cessato l’attività lavorativa sul territorio di uno
giurisprudenza comunitaria
559
Stato membro ed abbia trasferito la sua residenza sul territorio di un altro Stato
membro (v. la sentenza Kuusijärvi cit., supra, punti 39-42 e 50).
44. Da tali precisazioni emerge che, in presenza di circostanze come quelle della
causa principale, in cui un detenuto abbia cessato qualsiasi attività lavorativa nello
Stato membro in cui abbia iniziato ad espiare la pena e che, su sua richiesta, sia stato
trasferito da un istituto penitenziario situato in tale Stato membro verso un istituto
penitenziario ubicato nel proprio Stato membro d’origine al fine di ivi espiare i
restanti quindici mesi di detenzione, la legge applicabile all’interessato, per effetto
delle norme di conflitto di cui all’art. 13 del regolamento n. 1408/71, non può essere
quella dello Stato membro dal quale il detenuto sia stato cosı́ trasferito.
45. In una fattispecie di tal genere, infatti, la legge applicabile non può essere
che quella dello Stato membro in cui l’interessato espii la restante parte della pena.
Tale criterio è di per sé sufficiente ai fini della soluzione della causa principale,
senza che sia necessario accertare l’eventuale applicabilità della legge tedesca, per
effetto dell’art. 13 par. 2 lett. f del regolamento n. 1408/71, quale legge dello Stato
di residenza dell’interessato, ovvero eventualmente, in considerazione delle precisazioni formulate nelle osservazioni nel governo tedesco, per effetto dell’art. 13 par.
2 lett. a del regolamento medesimo, quale legge dello Stato membro in cui l’interessato svolge attività lavorativa.
46. Si deve peraltro rilevare che gli artt. 73 e 74 del regolamento stesso prevedono che il lavoratore soggetto alla legge di uno Stato membro (o i lavoratori in
disoccupazione che beneficino di prestazioni di disoccupazione in base alla legge di
uno Stato membro), hanno diritto, per i familiari residenti sul territorio di un altro
Stato membro, alle prestazioni familiari previste dalle legge del primo Stato membro (v., a tal riguardo, in particolare la sentenza Kuusijärvi cit., supra, punto 68).
47. Ne consegue che il regolamento n. 1408/71 non può essere interpretato nel
senso che osti a che la legge di uno Stato membro subordini, in circostanze come
quelle della causa principale, la concessione di prestazioni familiari ai familiari di un
soggetto che abbia cessato qualsiasi attività professionale sul proprio territorio, alla
condizione di ivi conservare la propria residenza (v., in senso analogo, la sentenza
Kuusijarvii cit., supra, punti 50 e 51).
48. Per quanto attiene, in particolare, all’art. 3 del detto regolamento, si deve
rammentare che tale disposizione vieta qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità per quanto attiene alle condizioni alle quali le persone, cui sono applicabili le
disposizioni del regolamento medesimo, sono ammesse al beneficio della legislazione di ciascuno Stato membro «fatte salve le disposizioni particolari del presente
regolamento». Orbene, come precedentemente rilevato, dagli artt. 13 e 73 del
regolamento n. 1408/71 emerge che, in una fattispecie come quella oggetto della
causa principale, in cui il padre del richiedente ha cessato di svolgere qualsiasi
attività professionale in Austria e non risiede piú in tale paese, la concessione di
prestazioni familiari al detto richiedente è disciplinata dalla legge tedesca.
49. Per ragioni analoghe, si deve ritenere che, in una fattispecie come quella
oggetto della causa principale, nemmeno l’art. 12 CE, cui la questione pregiudiziale
fa parimenti riferimento in considerazione della nazionalità tedesca del padre del
richiedente, osta all’applicazione di una normativa, quale l’UVG, che subordini la
concessione di prestazioni familiari ai familiari di un detenuto alla condizione che la
detenzione abbia luogo sul territorio dello Stato membro medesimo.
50. A tal riguardo, si deve infatti ricordare che, a termini dell’art. 12 par. 1 CE,
560
giurisprudenza comunitaria
nel campo di applicazione del trattato e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla
nazionalità. Tale principio è stato attuato, per quanto riguarda i lavoratori subordinati, dagli artt. 39-42 CE, nonché dai provvedimenti comunitari emanati in base a
tali articoli e, in particolare, dal regolamento n. 1408/71. L’art. 3 di tale regolamento mira a garantire, in particolare, conformemente all’art. 39 CE, ai lavoratori
cui si applica il regolamento l’uguaglianza in materia di previdenza sociale, senza
distinzione di nazionalità (sentenza 28 giugno 1978, causa 1/78, in Raccolta, p.
1489, punti 9 e 11).
51. Inoltre, gli artt. 12 CE e 3 del regolamento n. 1408/71, se è pur vero che
mirano quindi ad eliminare le discriminazioni in base alla nazionalità eventualmente
risultanti dalla legge o dalle prassi amministrative di uno Stato membro, non possono produrre l’effetto di inibire disparità di trattamento eventualmente derivanti
da differenze nelle normative nazionali in materia di prestazioni familiari applicabili
per effetto delle norme di conflitto come quelle contenute all’art. 13 par. 2 del
regolamento n. 1408/71.
52. Da tutte le suesposte considerazioni consegue che la questione pregiudiziale
deve essere risolta nel senso che, in una fattispecie come quella oggetto della causa
principale, in cui un lavoratore abbia ottenuto, ai sensi dell’art. 2 par. 1 del regolamento n. 1408/71, il trasferimento, quale detenuto, nello Stato membro di cui sia
originario, per ivi espiare la restante parte della propria pena, trova applicazione,
nel settore delle prestazioni familiari e conformemente alle disposizioni di cui
all’art. 13 par. 2 del detto regolamento, la legge di tale Stato membro. Né le
disposizioni – segnatamente, l’art. 3 – del regolamento medesimo, né l’art. 12 CE
ostano a che, in una fattispecie di tal genere, la normativa di uno Stato membro
subordini la concessione di prestazioni familiari, come quelle previste dall’UVG a
favore dei familiari di un siffatto cittadino comunitario, al requisito che questi sia
detenuto sul territorio dello Stato medesimo.
Corte di giustizia (pres. Rosas, avv. gen. Stix-Hackl), sentenza 20 ottobre 2005 nella
causa C-511/03, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hoge
Raad der Nederlanden (Paesi Bassi) nella causa tra Staat der Nederlanden e Ten
Kate Holding Musselkanaal BV, Ten Kate Europrodukten BV, Ten Kate Produktie Maatschappij BV.
Il diritto comunitario non impone ad uno Stato membro alcun obbligo di proporre
un ricorso di annullamento, in conformità all’art. 230 CE, o per carenza, in conformità all’art. 232 CE, a vantaggio di uno dei suoi cittadini. Tuttavia, esso non osta, in
linea di principio, a che il diritto nazionale contempli un simile obbligo o preveda la
responsabilità dello Stato membro per non aver agito in tal senso. 1*
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
Tra le pronunce della Corte di giustizia citate in motivazione può leggersi in questa Rivista
l’ordinanza 13 luglio 1990, in causa 2/88 imm., ivi, 1991, p. 516 s. (breve).
giurisprudenza comunitaria
561
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda essenzialmente l’interpretazione del diritto comunitario con riferimento alla responsabilità che grava su uno
Stato membro astenutosi dal presentare ricorso contro la Commissione delle Comunità europee dinanzi alla Corte.
2. Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia che vede
contrapposto lo Stato olandese alle società Ten Kate Holding Musselkanaal BV,
Ten Kate Europrodukten BV e Ten Kate Produktie Maatschappij BV (in
prosieguo: la «Ten Kate e a.»), che sono società produttrici di proteine rientranti
nella fabbricazione del latte artificiale destinato a vitelli e ottenute dalla trasformazione di grassi provenienti da maiali. Tale controversia è diretta ad ottenere il riconoscimento della responsabilità dello Stato olandese per il danno
subito dalla Ten Kate e a. a causa dell’impossibilità per esse di commercializzare
tali proteine.
Contesto normativo (omissis)
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15. Il 24 febbraio 1998, la Ten Kate e a. hanno proposto, dinanzi al Rechtbank
te ‘s-Gravenhage (Tribunale dell’Aja), un ricorso mirante a far condannare lo Stato
olandese a risarcire il danno che esse hanno subito per non aver prodotto piú
proteine derivanti da grasso di maiale dal 30 luglio 1997 e per il fatto che la riserva,
costituita prima del 30 luglio 1997, non poteva piú essere venduta dopo tale data. A
sostegno di tale ricorso, esse fanno valere la responsabilità dello Stato quanto alle
misure da adottare per assicurarsi che la Commissione rilasciasse l’autorizzazione
richiesta. Esse sostengono, in particolare, che lo Stato avrebbe dovuto proporre
ricorso per carenza sulla base dell’art. 175 del trattato CE (divenuto art. 232 CE)
contro la Commissione.
16. Il giudice di primo grado ha respinto la detta domanda. In appello, il
Gerechtshof te ‘s Gravenhage (Corte d’appello dell’Aja) l’ha accolta.
17. Non è contestato da nessuna delle parti della controversia principale che la
Ten Kate e a. non potevano proporre esse stesse ricorso per carenza contro la
Commissione, poiché non erano individualmente interessate. D’altra parte, un
ricorso per risarcimento basato sull’art. 215 del trattato CE (divenuto art. 288
CE) non avrebbe potuto produrre come risultato che la Ten Kate e a. potessero
continuare la loro attività produttiva.
18. Lo Hoge Raad der Nederlanden (Corte di cassazione olandese) s’interroga
sul potere discrezionale dello Stato per quanto riguarda la proposizione di un
ricorso per carenza. Esso osserva che, nell’ambito delle relazioni politiche internazionali, lo Stato dispone di un ampio potere discrezionale. Il giudice del rinvio
ritiene che, per valutare la responsabilità dello Stato, occorra in primo luogo decidere se si debbano applicare le norme del diritto olandese o quelle del diritto
comunitario. Militerebbe a favore di quest’ultima soluzione il fatto che una decisione fondata sulle norme del diritto nazionale potrebbe condurre ad una discriminazione giuridica tra i cittadini dei diversi Stati membri in situazioni in cui sono
precisamente in causa diritti e pretese di questi Stati – e indirettamente dei loro
cittadini – nei confronti degli organi della Comunità europea.
19. Il detto giudice si interroga anche sull’esistenza di un diritto esclusivo di
iniziativa della Commissione a sottoporre un progetto di misure da adottare al
comitato veterinario permanente, secondo la procedura prevista dal combinato
562
giurisprudenza comunitaria
disposto dell’art. 17 della direttiva n. 90/425 e dell’art. 17 della direttiva n. 89/
662. L’esistenza di un simile diritto implicherebbe infatti che la Commissione
non sarebbe tenuta ad agire e che un ricorso per carenza non potrebbe essere
accolto.
20. Alla luce di ciò, lo Hoge Raad der Nederlanden ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se si debba risolvere in base alle norme del diritto olandese o in base a
quelle del diritto comunitario la questione se lo Stato sia tenuto, in un caso come
quello di specie, nei confronti di un cittadino come la Ten Kate, che ha un interesse
al riguardo ad avvalersi delle facoltà di ricorso riconosciute ad esso dall’art. 175 del
trattato CE... o dall’art. 173 del trattato CE (divenuto [, in seguito a modifica,] art.
230 CE) e, in caso di inosservanza di detto obbligo, a risarcire il danno subito per
tale motivo dal cittadino.
«2) Qualora si debba risolvere la questione sub 1 in tutto o in parte in base alle
norme del diritto comunitario:
«a) se il diritto comunitario possa, a determinate condizioni, comportare un
obbligo e una responsabilità come quelli considerati in detta questione;
«b) qualora la soluzione della questione sub 2 a sia in senso affermativo: quali
norme del diritto comunitario si debbano applicare per risolvere la questione sub 1
in un caso concreto come quello di specie. (Omissis)
Questioni pregiudiziali
Sulle prime due questioni
22. Con le sue prime due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il
giudice del rinvio chiede essenzialmente quale sia il diritto applicabile per stabilire
se uno Stato membro sia tenuto, verso uno dei suoi cittadini, a proporre un ricorso
di annullamento in conformità all’art. 230 CE o un ricorso per carenza in conformità all’art. 232 CE e se esso possa incorrere in una responsabilità per non averlo
fatto. Il detto giudice chiede parimenti se il diritto comunitario imponga un simile
obbligo e se esso contempli una simile responsabilità.
23. Occorre ricordare che, in conformità all’art. 5 CE, la Comunità agisce nei
limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati
dal trattato CE.
24. Peraltro, l’art. 234 CE prevede che la Corte è competente a pronunciarsi, in
via pregiudiziale, sull’interpretazione del trattato, degli atti compiuti dalle istituzioni
della Comunità e della Banca centrale europea, nonché degli statuti degli organismi
creati con atto del Consiglio dell’Unione europea, quando sia previsto dagli statuti
stessi.
25. Ne deriva che la Corte non è competente a pronunciarsi sull’interpretazione
delle norme nazionali (ordinanza 21 dicembre 1995, causa C-307/95, Max Mara, in
Raccolta, p. I-5083, punto 5; sentenza 3 ottobre 2000, causa C-58/98, Corsten,
ibidem, p. I-7919, punto 24, nonché ordinanza 19 gennaio 2001, causa C-391/
00, Colapietro, non pubblicata nella Raccolta, punti 8 e 9).
26. La Corte non può pertanto risolvere la questione se, secondo le norme del
diritto olandese, lo Stato possa essere tenuto verso uno dei suoi cittadini a proporre
un ricorso di annullamento o per carenza e se esso possa incorrere in una responsabilità per non averlo fatto.
27. Per quanto riguarda l’interpretazione del diritto comunitario, va in
giurisprudenza comunitaria
563
primo luogo constatato che la formulazione tanto dell’art. 230 CE quanto dell’art. 232 CE non impone agli Stati membri un obbligo di proporre ricorso. Al
contrario, l’art. 232 CE afferma che gli Stati membri «possono» adire la Corte
per far constatare una violazione del trattato consistente in una mancata pronuncia da parte di una delle istituzioni di cui al primo comma di tale disposizione.
28. Un simile obbligo non può peraltro essere dedotto dall’art. 10 CE, invocato
dalle resistenti nel procedimento principale a sostegno del loro asserto. Il principio
espresso da quest’articolo impone agli Stati membri e alle istituzioni doveri reciproci di leale collaborazione (sentenza 10 febbraio 1983, causa 230/81, Lussemburgo c. Parlamento, in Raccolta, p. 255, punto 37; ordinanza 13 luglio 1990, causa
2/88 Imm., Zwartveld, ibidem, p. I-3365, punto 17), ma non può essere interpretato
nel senso che uno Stato membro possa essere tenuto, verso uno dei suoi cittadini, a
proporre un ricorso di annullamento o per carenza.
29. Per contro, considerando le condizioni di ricevibilità dei ricorsi previste dai trattati e il diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, la Corte ha
interpretato il detto principio di leale collaborazione nel senso che i giudici
nazionali sono tenuti, per quanto possibile, ad interpretare e applicare le
norme procedurali nazionali che disciplinano l’esercizio delle azioni in maniera
da consentire alle persone fisiche e giuridiche di contestare in sede giudiziale la
legittimità di ogni decisione o di qualsiasi altro provvedimento nazionale relativo all’applicazione nei loro confronti di un atto comunitario di portata generale, eccependo l’invalidità di quest’ultimo (sentenza 25 luglio 2002, causa
C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores c. Consiglio, in Raccolta, p. I-6677,
punto 42). Lo stesso accade quando una persona fisica o giuridica fa valere
un’omissione di pronuncia ai sensi dell’art. 232 CE, reputandola contraria al
diritto comunitario.
30. Se il diritto comunitario non impone ad uno Stato membro alcun obbligo di
proporre un ricorso di annullamento o per carenza a vantaggio di uno dei suoi
cittadini, occorre tuttavia, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio,
verificare se tale diritto osti a che un diritto nazionale contempli un tale obbligo o
preveda un’eventuale responsabilità dello Stato in questione per non aver agito in
tal senso.
31. Al riguardo, non si capisce in che modo il diritto comunitario potrebbe
essere pregiudicato dalla circostanza che un diritto nazionale contenga un simile
obbligo o preveda la responsabilità dello Stato membro nella detta ipotesi. Tuttavia,
lo Stato membro potrebbe violare l’obbligo di leale collaborazione previsto all’art.
10 CE se non si riservasse un margine di discrezionalità quanto all’opportunità di
proporre ricorso, rischiando cosı́ di sommergere il giudice comunitario di ricorsi dei
quali una parte sarebbe evidentemente infondata, mettendo cosı́ a rischio il buon
funzionamento dell’istituzione.
32. Considerati questi elementi, occorre risolvere le prime due questioni dichiarando che il diritto comunitario non impone ad uno Stato membro alcun
obbligo di proporre un ricorso di annullamento, in conformità all’art. 230 CE, o
per carenza, in conformità all’art. 232 CE, a vantaggio di uno dei suoi cittadini.
Tuttavia, esso non osta, in linea di principio, a che un diritto nazionale contempli
un simile obbligo o preveda la responsabilità dello Stato membro per non aver agito
in tal senso.
564
giurisprudenza comunitaria
Corte di giustizia (pres. Jann, avv. gen. Tizzano), sentenza 22 novembre 2005 nella
causa C-144/04, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Arbeitsgericht München (Germania) nella causa Mangold contro Helm.
Il principio di parità di trattamento o di non discriminazione, in particolare in
ragione dell’età, in materia di occupazione e di lavoro è un principio generale del
diritto comunitario, il cui rispetto non dipende pertanto, come tale, dalla scadenza del
termine di trasposizione della direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 n. 2000/
78/CE, intesa a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate
sull’età. È compito del giudice nazionale assicurare, nell’ambito della sua competenza,
la tutela giuridica che detto principio assicura ai singoli, anche nei rapporti tra privati,
garantendone la piena efficacia e disapplicando le disposizioni eventualmente confliggenti della legge nazionale. 1*
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 2, 5 e 8 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18
marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), applicato con direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999 n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e
CEEP sul lavoro a tempo determinato (Gazz. Uff. Com. eur., L 175, p. 43), nonché
dell’art. 6 della direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 n. 2000/78/CE, che
stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione
e di condizioni di lavoro (ibidem, L 303, p. 16).
2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che contrappone il sig. Mangold al sig. Helm in merito al contratto di lavoro a tempo
determinato che lo vincola a quest’ultimo (in prosieguo: il «contratto»).
Contesto normativo (omissis)
Sulla ricevibilità del rinvio pregiudiziale (omissis)
Sulle questioni pregiudiziali (omissis)
Sulla seconda e terza questione
55. Con la seconda e terza questione, che vanno esaminate congiuntamente, il
giudice a quo vuole in sostanza sapere se l’art. 6 par. 1 della direttiva n. 2000/78
debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale quale
quella di cui alla causa a qua che autorizza, senza restrizioni, salvo che esista uno
stretto collegamento con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato
stipulato con lo stesso datore di lavoro, la stipula di contratti di lavoro a tempo
determinato qualora il lavoratore abbia raggiunto l’età di 52 anni. In caso affermativo, il giudice a quo si interroga sulle conseguenze che al giudice nazionale spetta
trarre da siffatta interpretazione.
56. Si deve a questo proposito ricordare che, conformemente all’art. 1, la
direttiva n. 2000/78 mira a fissare un quadro generale per la lotta, in materia di
occupazione e di lavoro, alle discriminazioni fondate su uno dei motivi previsti da
tale articolo, tra i quali, in particolare, figura l’età.
57. Orbene, l’art. 14 n. 3 del TzBfG, nel prevedere la possibilità per i datori di
* Testo non autentico tratto gratuitamente dal sito web ufficiale della Corte di giustizia.
giurisprudenza comunitaria
565
lavoro di concludere senza restrizioni contratti a tempo determinato con lavoratori
che hanno raggiunto l’età di 52 anni, istituisce una disparità di trattamento fondata
direttamente sull’età.
58. Dal momento che si tratta esattamente di disparità di trattamento fondate
sull’età, l’art. 6 par. 1 della direttiva n. 2000/78, dispone che gli Stati membri
possono prevedere che siffatte disparità di trattamento «non costituiscano discriminazioni laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi
di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi
per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari». Siffatte disparità
possono in particolare riguardare, secondo lo stesso paragrafo, secondo capoverso
lett. a «la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione di lavoro... per i giovani, i lavoratori anziani e i
lavoratori con persone a carico, onde favorire l’inserimento professionale o assicurare la protezione degli stessi» nonché, sub b e c, la fissazione di condizioni minime
di età in talune specifiche situazioni.
59. Come risulta dagli atti trasmessi alla Corte dal giudice a quo, tale normativa
ha chiaramente lo scopo di favorire l’inserimento professionale dei lavoratori anziani disoccupati nella misura in cui questi ultimi si trovano di fronte a difficoltà
gravi nella ricerca di una nuova occupazione.
60. La legittimità di un siffatto obiettivi di interesse generale non può essere
ragionevolmente messa in discussione, come del resto Commissione ha essa stessa
riconosciuto.
61. Pertanto, un obiettivo di tale natura deve, in linea di principio, ritenersi
giustificare «obiettivamente e ragionevolmente», come previsto dall’art. 6 par. 1,
primo comma della direttiva n. 2000/78, una disparità di trattamento in ragione
dell’età prevista dagli Stati membri.
62. Si deve ancora verificare, secondo la formulazione stessa della detta disposizione di tale direttiva, se gli strumenti utilizzati per realizzare tale legittimo obiettivo siano «appropriati e necessari» a tal fine.
63. A questo proposito, gli Stati membri dispongono incontestabilmente di un
ampio margine di valutazione discrezionale nella scelta delle misure atte a realizzare
i loro obiettivi in materia di politica sociale e di occupazione.
64. Tuttavia, come rilevato dal giudice a quo, l’applicazione di una normativa
nazionale come quella di cui alla causa a qua approda ad una situazione nella quale
indistintamente a tutti i lavoratori che hanno raggiunto l’età di 52 anni, siano essi
stati in disoccupazione o no prima della conclusione del contratto e quale sia stata la
durata del periodo dell’eventuale disoccupazione, possono essere validamente proposti, fino all’età alla quale essi potranno far valere il loro diritto alla pensione di
vecchiaia, contratti di lavoro a tempo determinato rinnovabili per un numero
indefinito di volte. Questa importante categoria di lavoratori, determinata esclusivamente in funzione dell’età, rischia pertanto, per una parte sostanziale della carriera professionale dei detti lavoratori, di essere esclusa dal beneficio della stabilità
dell’occupazione, la quale costituisce pertanto, come risulta dall’accordo quadro,
un elemento portante della tutela dei lavoratori.
65. Una siffatta normativa, nella misura in cui considera l’età del lavoratore di
cui trattasi come unico criterio di applicazione di un contratto di lavoro a tempo
determinato, senza che sia stato dimostrato che la fissazione di un limite di età, in
566
giurisprudenza comunitaria
quanto tale, indipendentemente da ogni altra considerazione legata alla struttura
del mercato del lavoro di cui trattasi e dalla situazione personale dell’interessato sia
obiettivamente necessaria per la realizzazione dell’obiettivo dell’inserimento professionale dei lavoratori anziani in disoccupazione, deve considerarsi eccedente quanto
è appropriato e necessario per realizzare la finalità perseguita. Il rispetto del principio di proporzionalità richiede infatti che qualsiasi deroga ad un diritto individuale, prescrive di conciliare, per quanto possibile, il principio di parità di trattamento con l’esigenza del fine perseguito (v. in questo senso, sentenza 19 marzo
2002, causa C-476/99, Lommers, in Raccolta, p. I-2891, punto 39). Una siffatta
normativa nazionale non può pertanto giustificarsi ai sensi dell’art. 6 par. 1 della
direttiva n. 2000/78.
66. La circostanza che, alla data della stipula del contratto, il termine di trasposizione della direttiva n. 2000/78 non era ancora scaduto non è tale da rimettere
in discussione tale constatazione.
67. Infatti, in primo luogo, la Corte ha già giudicato che in pendenza del
termine per la trasposizione di una direttiva, gli Stati membri devono astenersi
dall’adottare disposizioni che possono compromettere gravemente il risultato prescritto dalla direttiva stessa (sentenza Inter-Environnement Wallonie cit., punto 45).
68. A questo proposito poco rileva il fatto che la norma di diritto nazionale
controversa, adottata dopo l’entrata in vigore della direttiva di cui trattasi, riguardi
o no la trasposizione di tale direttiva (v, in questo senso, sentenza 8 maggio 2003,
causa C-14/02, ATRAL, in Raccolta, p. I-4431, punti 58 e 59).
69. Orbene, nella causa a qua, l’abbassamento da 58 a 52 anni dell’età oltre la
quale è possibile stipulare contratti di lavoro a tempo determinato, previsto dall’art.
14 n. 3 del TzBfG, è intervenuto nel dicembre 2002 e tale misura dovrebbe essere
applicata fino al 31 dicembre 2006.
70. Il solo fatto che, nella specie, la normativa nazionale scada il 31 dicembre
2006, cioè alcune settimane solo dopo la scadenza della data di trasposizione che lo
Stato membro interessato deve rispettare, non è di per sé decisivo.
71. Infatti, da un lato, dalla formulazione stessa del secondo capoverso dell’art.
18 della direttiva n. 2000/78, risulta che, qualora uno Stato membro, come nella
specie la Repubblica federale di Germania, decida di avvalersi di un periodo supplementare di 3 anni a partire dal 2 dicembre 2003 per trasporre tale direttiva,
detto Stato presenta «ogni anno una relazione alla Commissione sulle misure adottate per combattere le discriminazioni basate sull’età..., e sui progressi realizzati in
vista dell’attuazione della direttiva».
72. Tale disposizione implica pertanto che lo Stato membro, che beneficia cosı́
eccezionalmente di un termine di trasposizione piú lungo, adotti progressivamente
misure concrete al fine di riavvicinare fin da tal momento la sua normativa al
risultato prescritto da tale direttiva. Orbene, tale obbligo sarebbe privato di ogni
effetto utile, se fosse consentito al detto Stato membro di adottare, durante il
termine di attuazione della direttiva, misure incompatibili con gli obiettivi di tale
direttiva.
73. Dall’altro lato, come rilevato dall’avvocato generale al par. 96 delle sue
conclusioni, al 31 dicembre 2006 una gran parte dei lavoratori soggetti alla normativa controversa nella causa a qua – e tra essi anche il sig. Mangold – avrà compiuto
il 58esimo anno di età e ricadrà quindi ancora nel regime speciale istituito dall’art.
14 n. 3 del TzBfG, anche se per tale categorie di persone, l’esclusione dalla garanzia
giurisprudenza comunitaria
567
della stabilità dell’occupazione tramite un contratto di lavoro a tempo indeterminato è già definitiva, a prescindere dalla scadenza, alla fine dell’anno 2006, dell’applicabilità della condizione di età fissata in 52 anni.
74. In secondo luogo, e soprattutto, la direttiva n. 2000/78 non sancisce essa
stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro.
Infatti, tale direttiva, come risulta dall’art. 1, ha il solo obiettivo di «stabilire un
quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali», dal momento che il
principio stesso del divieto di siffatte forme di discriminazione, come risulta dai
considerando 1 e 4 della detta direttiva, trova la sua fonte in vari strumenti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.
75. Il principio di non discriminazione in ragione dell’età deve pertanto essere
considerato un principio generale del diritto comunitario. Quando una normativa
nazionale rientra nella sfera di applicazione di quest’ultimo, come è il caso dell’art.
14 n. 3 del TzBfG, in quanto misura di attuazione della direttiva n. 1999/70 (v. a
questo proposito, il punto 64 della presente sentenza), la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di detta normativa con tale
principio (v., in questo senso, sentenza 12 dicembre 2002, causa C-442/00, Rodrı́guez Caballero, in Raccolta, p. I-11915, punti 30-32).
76. Di conseguenza, il rispetto del principio generale di parità di trattamento, in
particolare in ragione dell’età, non dipende, come tale, dalla scadenza del termine
concesso agli Stati membri per trasporre una direttiva intesa a stabilire un quadro
generale per la lotta alle discriminazioni fondate sull’età, in particolare per quanto
riguarda l’organizzazione degli opportuni strumenti di ricorso, l’onere della prova,
la protezione contro le ritorsioni, il dialogo sociale, le azioni positive e altre misure
specifiche di attuazione di una siffatta direttiva.
77. Ciò considerato, è compito del giudice nazionale, adito con una controversia che mette in discussione il principio di non discriminazione in ragione dell’età,
assicurare, nell’ambito della sua competenza, la tutela giuridica che il diritto comunitario attribuisce ai singoli, garantendone la piena efficacia e disapplicando le
disposizioni eventualmente confliggenti della legge nazionale (v., in questo senso,
sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal, in Raccolta, p. 629, punto 21, e
5 marzo 1998, causa C-347/96, Solred, ibidem, p. I-937, punto 30).
78. Considerato tutto quanto sopra, la seconda e la terza questione vanno
risolte dichiarando che il diritto comunitario e, in particolare, l’art. 6 par. 1 della
direttiva n. 2000/78 debbono essere interpretati nel senso che ostano ad una normativa nazionale quale quella controversa nella causa a qua, la quale autorizza,
senza restrizioni, salvo che esista uno stretto collegamento con un precedente
contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato con lo stesso datore di lavoro,
la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore abbia
raggiunto l’età di 52 anni.
È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del principio
generale di non discriminazione in ragione dell’età disapplicando ogni contraria
disposizione di legge nazionale, anche quando il termine di trasposizione della detta
direttiva non è ancora scaduto.
DOCUMENTAZIONE
MODIFICHE ALLA LEGGE 4 FEBBRAIO 2005 N. 11 1*
(Legge 25 gennaio 2006 n. 29, in Gazz. Uff., n. 32 dell’8 febbraio 2006,
suppl. ord. n. 34/L)
Art. 2.
Modifica all’articolo 10 della legge 4 febbraio 2005 n. 11
1. Il comma 4 dell’articolo 10 della legge 4 febbraio 2005, n. 11, è sostituito dal seguente:
«4. I decreti legislativi di attuazione di normative comunitarie o di modifica di disposizioni attuative delle medesime, la cui delega è contenuta in leggi diverse dalla legge comunitaria annuale, fatti salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalle disposizioni della
legge di conferimento della delega, ove non in contrasto con il diritto comunitario, e in
aggiunta a quelli contenuti nelle normative comunitarie da attuare, sono adottati nel rispetto
degli altri principi e criteri direttivi generali previsti dalla stessa legge comunitaria per l’anno
di riferimento, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le
politiche comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia,
di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle finanze e con
gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della normativa».
DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DEL RISPARMIO E LA DISCIPLINA
DEI MERCATI FINANZIARI
(Legge 28 dicembre 2005 n. 262, in Gazz. Uff., n. 301 del 28 dicembre 2005,
suppl. ord. n. 208/L) 1**
Art. 6.
Trasparenza delle società estere
1. Nel testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive
* Si riproduce la modifica apportata dalla «Legge comunitaria 2005». La l. 4 febbraio
2005 n. 11 «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione
europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari» è pubblicata in questa
Rivista, 2005, p. 521 ss.
** Si pubblicano qui gli articoli ritenuti rilevanti; si segnalano inoltre l’art. 12, che dà
attuazione alla direttiva 2003/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre
2003, relativa al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari (sulla quale v. in questa Rivista, 2004, p. 1188), e l’art. 18 comma
1 lett. h, che modifica il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 e successive modificazioni, aggiungendo un nuovo
art. 165-bis.
documentazione
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modificazioni, alla parte IV, titolo III, capo II, dopo l’articolo 165-bis, introdotto dall’articolo
18, comma 1, lettera h), della presente legge, è aggiunta la seguente sezione:
«Sezione VI-bis. – Rapporti con società estere aventi sede legale in Stati che
non garantiscono la trasparenza societaria.
«Art. 165-ter. – (Ambito di applicazione). – 1. Sono soggette alle disposizioni contenute
nella presente sezione le società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati, di cui
all’articolo 119, e le società italiane emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in
misura rilevante, ai sensi dell’articolo 116, le quali controllino società aventi sede legale in
Stati i cui ordinamenti non garantiscono la trasparenza della costituzione, della situazione
patrimoniale e finanziaria e della gestione delle società, nonché le società italiane con azioni
quotate in mercati regolamentati o emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in
misura rilevante, le quali siano collegate alle suddette società estere o siano da queste controllate.
2. Si applicano le nozioni di controllo previste dall’articolo 93 e quelle di collegamento
previste dall’articolo 2359, terzo comma, del codice civile.
3. Gli Stati di cui al comma 1 sono individuati con decreti del Ministro della giustizia, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sulla base dei seguenti criteri:
a) per quanto riguarda le forme e le condizioni per la costituzione delle società:
1) mancanza di forme di pubblicità dell’atto costitutivo e dello statuto, nonché delle
successive modificazioni di esso;
2) mancanza del requisito di un capitale sociale minimo, idoneo a garantire i terzi
creditori, per la costituzione delle società, nonché della previsione di scioglimento in caso
di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, salvo il caso di reintegrazione entro un
termine definito;
3) mancanza di norme che garantiscano l’effettività e l’integrità del capitale sociale
sottoscritto, in particolare con la sottoposizione dei conferimenti costituiti da beni in natura
o crediti alla valutazione da parte di un esperto appositamente nominato;
4) mancanza di forme di controllo, da parte di soggetti o organismi a ciò abilitati da
specifiche disposizioni di legge, circa la conformità degli atti di cui al numero 1) alle condizioni richieste per la costituzione delle società;
b) per quanto riguarda la struttura delle società, mancanza della previsione di un organo
di controllo distinto dall’organo di amministrazione, o di un comitato di controllo interno
all’organo amministrativo, dotato di adeguati poteri di ispezione, controllo e autorizzazione
sulla contabilità, sul bilancio e sull’assetto organizzativo della società, e composto da soggetti
forniti di adeguati requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza;
c) per quanto riguarda il bilancio di esercizio:
1) mancanza della previsione dell’obbligo di redigere tale bilancio, comprendente almeno il conto economico e lo stato patrimoniale, con l’osservanza dei seguenti principi:
1.1) rappresentazione chiara, veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio;
1.2) illustrazione chiara dei criteri di valutazione adottati nella redazione del conto
economico e dello stato patrimoniale;
2) mancanza dell’obbligo di deposito, presso un organo amministrativo o giudiziario, del
bilancio, redatto secondo i principi di cui al numero 1);
3) mancanza dell’obbligo di sottoporre la contabilità e il bilancio delle società a verifica
da parte dell’organo o del comitato di controllo di cui alla lettera b) ovvero di un revisore
legale dei conti;
d) la legislazione del Paese ove la società ha sede legale impedisce o limita l’operatività
della società stessa sul proprio territorio;
e) la legislazione del Paese ove la società ha sede legale esclude il risarcimento dei danni
arrecati agli amministratori rimossi senza una giusta causa, ovvero consente che tale clausola
sia contenuta negli atti costitutivi delle società o in altri strumenti negoziali;
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f) mancata previsione di un’adeguata disciplina che impedisca la continuazione dell’attività sociale dopo l’insolvenza, senza ricapitalizzazione o prospettive di risanamento;
g) mancanza di adeguate sanzioni penali nei confronti degli esponenti aziendali che
falsificano la contabilità e i bilanci.
4. Con i decreti del Ministro della giustizia, di cui al comma 3, possono essere individuati, in relazione alle forme e alle discipline societarie previste in ordinamenti stranieri,
criteri equivalenti in base ai quali possano considerarsi soddisfatti i requisiti di trasparenza
e di idoneità patrimoniale e organizzativa determinati nel presente articolo.
5. I decreti di cui al comma 3 possono individuare Stati i cui ordinamenti presentino
carenze particolarmente gravi con riguardo ai profili indicati alle lettere b), c) e g) del
medesimo comma 3.
6. Con proprio regolamento la CONSOB detta criteri in base ai quali è consentito alle
società italiane di cui all’articolo 119 e alle società italiane emittenti strumenti finanziari
diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 di controllare imprese
aventi sede in uno degli Stati di cui al comma 5. A tal fine sono prese in considerazione le
ragioni di carattere imprenditoriale che motivano il controllo e l’esigenza di assicurare la
completa e corretta informazione societaria.
7. In caso di inottemperanza alle disposizioni emanate ai sensi dei commi 5 e 6, la
CONSOB può denunziare i fatti al tribunale ai fini dell’adozione delle misure previste
dall’articolo 2409 del codice civile.
«Art. 165-quater. – (Obblighi delle società italiane controllanti). – 1. Le società italiane
con azioni quotate in mercati regolamentati, di cui all’articolo 119, e le società italiane
emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante, ai sensi dell’articolo
116, le quali controllano società aventi sede legale in uno degli Stati determinati con i decreti
di cui all’articolo 165-ter, comma 3, allegano al proprio bilancio di esercizio o bilancio
consolidato, qualora siano tenute a predisporlo, il bilancio della società estera controllata,
redatto secondo i principi e le regole applicabili ai bilanci delle società italiane o secondo i
principi contabili internazionalmente riconosciuti.
2. Il bilancio della società estera controllata, allegato al bilancio della società italiana ai
sensi del comma 1, è sottoscritto dagli organi di amministrazione, dal direttore generale e dal
dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari di quest’ultima, che attestano la veridicità e la correttezza della rappresentazione della situazione patrimoniale e
finanziaria e del risultato economico dell’esercizio. Al bilancio della società italiana è altresı́
allegato il parere espresso dall’organo di controllo della medesima sul bilancio della società
estera controllata.
3. Il bilancio della società italiana controllante è corredato da una relazione degli
amministratori sui rapporti intercorrenti fra la società italiana e la società estera controllata,
con particolare riguardo alle reciproche situazioni debitorie e creditorie, e sulle operazioni
compiute tra loro nel corso dell’esercizio cui il bilancio si riferisce, compresa la prestazione
di garanzie per gli strumenti finanziari emessi in Italia o all’estero dai predetti soggetti. La
relazione è altresı̀ sottoscritta dal direttore generale e dal dirigente preposto alla redazione
dei documenti contabili societari. È allegato ad essa il parere espresso dall’organo di controllo.
4. Il bilancio della società estera controllata, allegato al bilancio della società italiana ai
sensi del comma 1, è sottoposto a revisione ai sensi dell’articolo 165 da parte della società
incaricata della revisione del bilancio della società italiana; ove la suddetta società di revisione
non operi nello Stato in cui ha sede la società estera controllata, deve avvalersi di altra idonea
società di revisione, assumendo la responsabilità dell’operato di quest’ultima. Ove la società
italiana, non avendone l’obbligo, non abbia incaricato del controllo contabile una società di
revisione, deve comunque conferire tale incarico relativamente al bilancio della società estera
controllata.
5. Il bilancio della società estera controllata, sottoscritto ai sensi del comma 2, con la
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relazione, i pareri ad esso allegati e il giudizio espresso dalla società responsabile della
revisione ai sensi del comma 4, sono trasmessi alla CONSOB.
«Art. 165-quinquies. – (Obblighi delle società italiane collegate). – 1. Il bilancio delle
società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati, di cui all’articolo 119, e delle
società italiane emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante, ai sensi
dell’articolo 116, le quali siano collegate a società aventi sede legale in uno degli Stati
determinati con i decreti di cui all’articolo 165-ter, comma 3, è corredato da una relazione
degli amministratori sui rapporti intercorrenti fra la società italiana e la società estera collegata, con particolare riguardo alle reciproche situazioni debitorie e creditorie, e sulle operazioni compiute tra loro nel corso dell’esercizio cui il bilancio si riferisce, compresa la
prestazione di garanzie per gli strumenti finanziari emessi in Italia o all’estero dai predetti
soggetti. La relazione è altresı́ sottoscritta dal direttore generale e dal dirigente preposto alla
redazione dei documenti contabili societari. È allegato ad essa il parere espresso dall’organo
di controllo.
«Art. 165-sexies. – (Obblighi delle società italiane controllate). – 1. Il bilancio delle
società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati, di cui all’articolo 119, e delle
società italiane emittenti strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante, ai
sensi dell’articolo 116, ovvero che hanno ottenuto rilevanti concessioni di credito, le quali
siano controllate da società aventi sede legale in uno degli Stati determinati con i decreti di
cui all’articolo 165-ter, comma 3, è corredato da una relazione degli amministratori sui
rapporti intercorrenti fra la società italiana e la società estera controllante, nonché le
società da essa controllate o ad essa collegate o sottoposte a comune controllo, con
particolare riguardo alle reciproche situazioni debitorie e creditorie, e sulle operazioni
compiute tra loro nel corso dell’esercizio cui il bilancio si riferisce, compresa la prestazione
di garanzie per gli strumenti finanziari emessi in Italia o all’estero dai predetti soggetti. La
relazione è altresı́ sottoscritta dal direttore generale e dal dirigente preposto alla redazione
dei documenti contabili societari. È allegato ad essa il parere espresso dall’organo di
controllo.
«Art. 165-septies. – (Poteri della CONSOB e disposizioni di attuazione). – 1. La CONSOB esercita i poteri previsti dagli articoli 114 e 115, con le finalità indicate dall’articolo 91,
nei riguardi delle società italiane di cui alla presente sezione. Per accertare l’osservanza degli
obblighi di cui alla presente sezione da parte delle società italiane, può esercitare i medesimi
poteri nei riguardi delle società estere, previo consenso delle competenti autorità straniere, o
chiedere l’assistenza o la collaborazione di queste ultime, anche sulla base di accordi di
cooperazione con esse.
2. La CONSOB emana, con proprio regolamento, le disposizioni per l’attuazione della
presente sezione».
2. Dopo l’articolo 193 del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58,
è inserito il seguente:
«Art. 193-bis. – (Rapporti con società estere aventi sede legale in Stati che non garantiscono la trasparenza societaria). – 1. Coloro che sottoscrivono il bilancio della società estera
di cui all’articolo 165-quater, comma 2, le relazioni e i pareri di cui agli articoli 165-quater,
commi 2 e 3, 165-quinquies, comma 1, e 165-sexies, comma 1, e coloro che esercitano la
revisione ai sensi dell’articolo 165-quater, comma 4, sono soggetti a responsabilità civile,
penale e amministrativa secondo quanto previsto in relazione al bilancio delle società italiane.
2. Salvo che il fatto costituisca reato, la violazione degli obblighi derivanti dall’esercizio
dei poteri attribuiti alla CONSOB dall’articolo 165-septies, comma 1, è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria prevista dall’articolo 193, comma 1».
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Art. 11.
(Circolazione in Italia di strumenti finanziari collocati presso investitori professionali
e obblighi informativi)
1. All’articolo 2412 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: 3*
a) dopo il terzo comma è inserito il seguente:
«Al computo del limite di cui al primo comma concorrono gli importi relativi a garanzie
comunque prestate dalla società per obbligazioni emesse da altre società, anche estere»;
b) il settimo comma è abrogato.
2. Al testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive
modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 30, il comma 9 è sostituito dal seguente:
«9. Il presente articolo si applica anche ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti
finanziari e dai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione, fermo restando
l’obbligo di consegna del prospetto informativo»;
b) la lettera f) del comma 1 dell’articolo 100 è abrogata;
c) dopo l’articolo 100 è inserito il seguente:
«Art. 100-bis. – (Circolazione dei prodotti finanziari) – 1. Nei casi di sollecitazione
all’investimento di cui all’articolo 100, comma 1, lettera a), e di successiva circolazione in
Italia di prodotti finanziari, anche emessi all’estero, gli investitori professionali che li trasferiscono, fermo restando quanto previsto ai sensi dell’articolo 21, rispondono della solvenza
dell’emittente nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali, per la
durata di un anno dall’emissione. Resta fermo quanto stabilito dall’articolo 2412, secondo
comma, del codice civile.
2. Il comma 1 non si applica se l’intermediario consegna un documento informativo
contenente le informazioni stabilite dalla CONSOB agli acquirenti che non siano investitori
professionali, anche qualora la vendita avvenga su richiesta di questi ultimi. Spetta all’intermediario l’onere della prova di aver adempiuto agli obblighi indicati dal presente comma»;
d) all’articolo 118, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. L’articolo 116 non si applica agli strumenti finanziari emessi dalle banche, diversi
dalle azioni o dagli strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere azioni».
3. Nella parte II, titolo II, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio
1998, n. 58, e successive modificazioni, dopo l’articolo 25 è aggiunto il seguente:
«Art. 25-bis. – (Prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione). – 1. Gli
articoli 21 e 23 si applicano alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi
da banche nonché, in quanto compatibili, da imprese di assicurazione.
2. In relazione ai prodotti di cui al comma 1 e nel perseguimento delle finalità di cui
all’articolo 5, comma 3, la CONSOB esercita sui soggetti abilitati e sulle imprese di assicurazione i poteri di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva di cui all’articolo 6, comma
2, all’articolo 8, commi 1 e 2, e all’articolo 10, comma 1, nonché i poteri di cui all’articolo 7,
comma 1.
3. Il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza o il comitato per il controllo sulla
gestione delle imprese di assicurazione informa senza indugio la CONSOB di tutti gli atti o i
fatti, di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una
violazione delle norme di cui al presente capo ovvero delle disposizioni generali o particolari
emanate dalla CONSOB ai sensi del comma 2.
4. Le società incaricate della revisione contabile delle imprese di assicurazione comunicano senza indugio alla CONSOB gli atti o i fatti, rilevati nello svolgimento dell’incarico, che
possano costituire una grave violazione delle norme di cui al presente capo ovvero delle
disposizioni generali o particolari emanate dalla CONSOB ai sensi del comma 2.
5. I commi 3 e 4 si applicano anche all’organo che svolge funzioni di controllo e alle
* V. il testo previgente dell’art. 2412 cod. civ. in questa Rivista, 2005, p. 532.
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società incaricate della revisione contabile presso le società che controllano l’impresa di
assicurazione o che sono da queste controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile.
6. L’ISVAP e la CONSOB si comunicano reciprocamente le ispezioni da ciascuna
disposte sulle imprese di assicurazione. Ciascuna autorità può chiedere all’altra di svolgere
accertamenti su aspetti di propria competenza».
DIRETTIVA 2005/56/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO
E DEL CONSIGLIO DEL 26 OTTOBRE 2005 RELATIVA ALLE FUSIONI
TRANSFRONTALIERE DELLE SOCIETÀ DI CAPITALI
(in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 310 del 25 novembre 2005) 1*
Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l’articolo 44,
vista la proposta della Commissione,
visto il parere del Comitato economico e sociale europeo, 1 deliberando secondo la
procedura di cui all’articolo 251 del trattato, 2
considerando quanto segue:
(1) Vi è una necessità di cooperazione e di raggruppamento tra società di capitali di
Stati membri diversi. Tuttavia, per quanto riguarda le fusioni transfrontaliere di società di
capitali, esse incontrano molte difficoltà a livello legislativo ed amministrativo nella Comunità. È pertanto necessario, al fine di garantire il completamento ed il funzionamento del
mercato unico, adottare disposizioni comunitarie volte a facilitare la realizzazione di fusioni
transfrontaliere tra diversi tipi di società di capitali soggette alle legislazioni di Stati membri
diversi.
(2) La presente direttiva facilita la fusione transfrontaliera delle società di capitali quali
da essa definite. È necessario che le legislazioni degli Stati membri consentano la fusione
transfrontaliera di una società di capitali nazionale con una società di capitali di un altro Stato
membro se la legislazione nazionale dello Stato membro in questione consente le fusioni fra
tali tipi di società.
(3) Per facilitare le operazioni di fusione transfrontaliera, è opportuno prevedere che, se
la presente direttiva non dispone altrimenti, ogni società partecipante ad una fusione transfrontaliera ed ogni terzo interessato restino soggetti alle disposizioni e alle formalità della
legislazione nazionale che sarebbe applicabile in caso di fusione nazionale. Nessuna delle
disposizioni e delle formalità della legislazione nazionale cui si fa riferimento nella presente
direttiva dovrebbe introdurre restrizioni alla libertà di stabilimento o di circolazione di
capitali, a meno che tali restrizioni non possano essere giustificate in base alla giurisprudenza
della Corte di giustizia e, in particolare, da esigenze di interesse generale e non siano necessarie e proporzionate al raggiungimento di tali esigenze imperative.
(4) È necessario che il progetto comune di fusione transfrontaliera sia realizzato negli
stessi termini per ciascuna delle società interessate nei diversi Stati membri. Si dovrebbe di
* Testo rilevante ai fini dell’accordo SEE. Le note qui di seguito riprodotte sono pubblicate nella Gazz. Uff. Un. eur. sopra indicata.
1
Gazz. Uff. Un. eur., n. C 117 del 30 aprile 2004, p. 43.
2
Parere del Parlamento europeo del 10 maggio 2005 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale) e decisione del Consiglio del 19 settembre 2005.
574
documentazione
conseguenza precisare il contenuto minimo di tale progetto comune, fermo restando che le
società in questione restano libere di mettersi d’accordo su altri elementi del progetto.
(5) Per proteggere gli interessi sia dei soci che dei terzi, per ogni società partecipante alla
fusione, sia il progetto comune di fusione transfrontaliera sia la realizzazione della fusione
transfrontaliera devono essere oggetto di pubblicità nell’apposito registro pubblico.
(6) Le legislazioni di tutti gli Stati membri dovrebbero prevedere l’elaborazione a livello
nazionale di una relazione sul progetto comune di fusione transfrontaliera da parte di uno o
piú esperti per ogni società che partecipi ad una fusione. Per limitare le spese di esperti
connesse alle fusioni transfrontaliere, si dovrebbe prevedere la possibilità di redigere una
relazione unica destinata a tutti i soci delle società che partecipano ad un’operazione di
fusione transfrontaliera. Il progetto comune di fusione transfrontaliera deve essere approvato
dall’assemblea generale di ciascuna di tali società.
(7) Per facilitare le operazioni di fusione transfrontaliera, il controllo del perfezionamento e della legittimità del processo decisionale di ogni società che partecipa ad una fusione
transfrontaliera dovrebbe essere effettuato dall’autorità nazionale competente per ciascuna di
tali società, mentre il controllo del perfezionamento e della legittimità della realizzazione della
fusione transfrontaliera dovrebbe spettare all’autorità nazionale competente per la società
derivante da detta fusione. Tale autorità nazionale può essere un tribunale, un notaio o
qualsiasi altra autorità competente designata dallo Stato membro interessato. È inoltre opportuno stabilire in virtú di quale legislazione nazionale è determinata la data alla quale la
fusione transfrontaliera acquista efficacia; tale legislazione è quella cui è soggetta la società
derivante dalla fusione transfrontaliera.
(8) Per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, occorrerebbe indicare gli effetti
giuridici della fusione transfrontaliera distinguendo a seconda che la società derivante dalla
fusione transfrontaliera sia una società incorporante o una nuova società. Ai fini della certezza
del diritto, non dovrebbe essere piú possibile dichiarare nulla la fusione transfrontaliera dopo
la data alla quale essa ha acquisito efficacia.
(9) La presente direttiva non pregiudica l’applicazione della normativa sul controllo delle
concentrazioni fra imprese, sia a livello comunitario da parte del regolamento (CE) n. 139/
2004 3 sia a livello degli Stati membri.
(10) La presente direttiva lascia impregiudicate la normativa comunitaria che disciplina
gli intermediari del credito e le altre società finanziarie e le disposizioni nazionali emanate in
conformità di detta normativa comunitaria.
(11) La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione di qualsiasi Stato membro
che prescriva informazioni sulla sede dell’amministrazione centrale o il centro di attività
principale proposto per la società derivante dalla fusione transfrontaliera.
(12) I diritti dei lavoratori diversi dai diritti di partecipazione dovrebbero continuare ad
essere disciplinati dalle disposizioni nazionali di cui alla direttiva 98/59/CE del Consiglio, del
20 luglio 1998, in materia di licenziamenti collettivi, 4 dalla direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, 5 dalla direttiva
2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un
quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori nella Comunità
europea, 6 nonché dalla direttiva 94/45/CE del Consiglio, del 22 settembre 1994, riguardante
l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la
3
Regolamento (CE) n. 139/2004 del Consiglio, del 20 gennaio 2004, relativo al controllo delle operazioni di concentrazione tra imprese («Regolamento comunitario sulle concentrazioni»), in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 24 del 29 gennaio 2004, p. 1.
4
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 225 del 12 agosto 1998, p. 16.
5
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 82 del 22 marzo 2001, p. 16.
6
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 80 del 23 marzo 2002, p. 29.
documentazione
575
consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie. 7
(13) Se i lavoratori hanno diritti di partecipazione in una delle società che partecipano
alla fusione, nelle circostanze previste dalla presente direttiva, e se la legislazione nazionale
dello Stato membro in cui ha sede la società derivante dalla fusione transfrontaliera non
prevede un livello di partecipazione identico a quello attuato nelle società che partecipano
alla fusione, anche in comitati dell’organo di vigilanza che abbiano poteri decisionali, oppure non contempla un diritto ad esercitare diritti di partecipazione identico per i lavoratori
di società derivanti dalla fusione transfrontaliera, vanno disciplinati la partecipazione dei
lavoratori nella società derivante dalla fusione transfrontaliera e il loro coinvolgimento nella
definizione di tali diritti. A tal fine, si applicano i principi e le procedure previsti nel
regolamento (CE) n. 2157/2001 del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, relativo allo statuto
della Società europea (SE) 8 e nella direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre
2001, che completa lo statuto della Società europea per quanto riguarda il coinvolgimento
dei lavoratori, 9 fatte salve tuttavia le modifiche ritenute necessarie in quanto la società
derivante dalla fusione transfrontaliera sarà soggetta alla legislazione nazionale dello Stato
membro in cui ha la sede sociale. Gli Stati membri possono provvedere, secondo quanto
previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/86/CE, a un rapido avvio
dei negoziati a norma dell’articolo 16 della presente direttiva, al fine di non ritardare
inutilmente le fusioni.
(14) Al fine di stabilire il livello di partecipazione dei lavoratori nelle società che partecipano alla fusione di cui trattasi, si dovrebbe tener conto anche della quota di rappresentanti
dei lavoratori tra i membri dell’organo di direzione che è competente per i centri di profitto
delle società, qualora sia prevista la partecipazione dei lavoratori.
(15) Poiché lo scopo dell’azione proposta, vale a dire l’adozione di una regolamentazione
comprendente elementi comuni applicabili a livello transnazionale, non può essere realizzato
in misura sufficiente dai singoli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni e degli
effetti dell’azione proposta, essere realizzato meglio a livello comunitario, la Comunità può
adottare misure, in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato. La
presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale scopo in ottemperanza al
principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.
(16) Conformemente al paragrafo 34 dell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio», 10 gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati a redigere e rendere pubbliche,
nell’interesse proprio e della Comunità, tabelle indicanti, per quanto possibile, la concordanza tra la presente direttiva e i provvedimenti di recepimento,
Hanno adottato la presente direttiva:
Articolo 1
Ambito d’applicazione
La presente direttiva si applica alle fusioni di società di capitali costituite in conformità
della legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale o il
centro di attività principale nella Comunità, a condizione che almeno due di esse siano
soggette alla legislazione di Stati membri diversi (in seguito denominate «fusioni transfrontaliere»).
7
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 254 del 30 settembre 1994, p. 64. Direttiva modificata dalla
direttiva 97/74/CE (Gazz. Uff. Com. eur., n. L 10 del 16 gennaio 1998, p. 22).
8
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 294 del 10 novembre 2001, p. 1. Regolamento modificato
dal regolamento (CE) n. 885/2004 (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 168 del 1º maggio 2004, p. 1).
9
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 294 del 10 novembre 2001, p. 22.
10
Gazz. Uff. Un. eur., n. C 321 del 31 dicembre 2003, p. 1.
576
documentazione
Articolo 2
Definizioni
Ai fini della presente direttiva, si intende per:
1. «società di capitali», in seguito denominata «società»:
a) una società ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 68/151/CEE; 11 o
b) una società dotata di capitale sociale e avente personalità giuridica, che possiede un
patrimonio distinto il quale risponde, da solo, dei debiti della società e che è soggetta in virtú
della sua legislazione nazionale alle condizioni di garanzia previste dalla direttiva 68/151/CEE
per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi;
2. «fusione» l’operazione mediante la quale:
a) una o piú società trasferiscono, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione,
la totalità del loro patrimonio attivo e passivo ad altra società preesistente – la società
incorporante – mediante l’assegnazione ai loro soci di titoli o quote rappresentativi del
capitale sociale della società incorporante ed eventualmente di un conguaglio in contanti
non superiore al 10% del valore nominale di tali titoli o di tali quote o, in mancanza di valore
nominale, della loro parità contabile; o
b) due o piú società trasferiscono, all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la
totalità del loro patrimonio attivo e passivo ad una società da loro costituita – la nuova
società – mediante l’assegnazione ai propri soci di titoli o quote rappresentativi del capitale
sociale della nuova società ed eventualmente di un conguaglio in contanti non superiore al
10% del valore nominale di tali titoli o quote o, in mancanza di valore nominale, della loro
parità contabile; o
c) una società trasferisce, a causa e all’atto dello scioglimento senza liquidazione, la
totalità del proprio patrimonio attivo e passivo alla società che detiene la totalità delle quote
o dei titoli rappresentativi del suo capitale sociale.
Articolo 3
Ulteriori disposizioni sull’ambito di applicazione
1. Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, la presente direttiva si applica anche alle fusioni
transfrontaliere allorché la legislazione di almeno uno degli Stati membri interessati consente che il conguaglio in contanti di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), superi il
10% del valore nominale o, in mancanza di valore nominale, della parità contabile dei titoli
o delle quote che rappresentano il capitale della società risultante dalla fusione transfrontaliera.
2. Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva alle
fusioni transfrontaliere a cui partecipa una società cooperativa, anche nei casi in cui
quest’ultima rientrerebbe nella definizione di «società di capitali» di cui all’articolo 2,
paragrafo 1.
3. La presente direttiva non si applica alle fusioni transfrontaliere a cui partecipa una
società avente per oggetto l’investimento collettivo di capitali raccolti presso il pubblico, che
opera secondo il principio della ripartizione del rischio e le cui quote, a richiesta dei possessori, sono riscattate o rimborsate, direttamente o indirettamente, attingendo alle attività di
detta società. Gli atti o le operazioni compiuti da tale società per garantire che la quotazione
in borsa delle sue quote non vari in modo significativo rispetto al valore netto d’inventario
sono considerati equivalenti a un tale riscatto o rimborso.
11
Prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per
renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente
dell’articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi
(Gazz. Uff. Com. eur., n. L 65 del 14 marzo 1968, p. 8). Direttiva modificata da ultimo dall’atto di adesione del 2003.
documentazione
577
Articolo 4
Condizioni relative alle fusioni transfrontaliere
1. Se la presente direttiva non dispone altrimenti:
a) le fusioni transfrontaliere sono possibili solo tra tipi di società a cui la legislazione
nazionale degli Stati membri interessati consente di fondersi; e
b) una società che partecipa ad una fusione transfrontaliera rispetta le disposizioni e le
formalità della legislazione nazionale cui è soggetta. Se la legislazione di uno Stato membro
consente alle autorità nazionali di opporsi, per motivi di interesse pubblico, ad una fusione a
livello nazionale, tale legislazione si applica anche a una fusione transfrontaliera se almeno
una delle società che partecipano alla fusione è soggetta al diritto di tale Stato membro. La
presente disposizione non si applica nella misura in cui è applicabile l’articolo 21 del regolamento (CE) n. 139/2004.
2. Le disposizioni e le formalità di cui al paragrafo 1, lettera b), riguardano, in particolare
il processo decisionale relativo alla fusione e, tenuto conto del carattere transfrontaliero della
fusione, la protezione dei creditori delle società che partecipano alla fusione, degli obbligazionisti e dei possessori di titoli o quote, nonché dei lavoratori per quanto riguarda i diritti
diversi da quelli disciplinati dall’articolo 16. Uno Stato membro può, in caso di società
partecipanti a una fusione transfrontaliera cui si applica la sua legislazione, adottare disposizioni volte ad assicurare una protezione adeguata dei soci di minoranza che si sono opposti
alla fusione transfrontaliera.
Articolo 5
Progetto comune di fusione transfrontaliera
L’organo di direzione o di amministrazione di ogni società che partecipa ad una fusione
prepara il progetto comune di fusione transfrontaliera. Tale progetto comprende almeno:
a) la forma, la denominazione e la sede statutaria delle società che partecipano alla
fusione e quelle previste per la società derivante dalla fusione transfrontaliera;
b) il rapporto di cambio dei titoli o delle quote rappresentativi del capitale sociale ed
eventualmente l’importo del conguaglio in contanti;
c) le modalità di assegnazione dei titoli o delle quote rappresentativi del capitale sociale
della società derivante dalla fusione transfrontaliera;
d) le probabili ripercussioni della fusione transfrontaliera sull’occupazione;
e) la data a decorrere dalla quale tali titoli o quote rappresentativi del capitale sociale
danno diritto alla partecipazione agli utili, nonché ogni modalità particolare relativa a tale
diritto;
f) la data a decorrere dalla quale le operazioni delle società che partecipano alla fusione si
considerano, dal punto di vista contabile, compiute per conto della società derivante dalla
fusione transfrontaliera;
g) i diritti accordati dalla società derivante dalla fusione transfrontaliera ai soci titolari di
diritti speciali o ai possessori di titoli diversi dalle quote rappresentative del capitale sociale o
le misure proposte nei loro confronti;
h) tutti i vantaggi particolari eventualmente attribuiti agli esperti che esaminano il progetto di fusione transfrontaliera nonché ai membri degli organi di amministrazione, di direzione, di vigilanza o di controllo delle società che partecipano alla fusione;
i) l’atto costitutivo e lo statuto della società derivante dalla fusione transfrontaliera;
j) se del caso, informazioni sulle procedure secondo le quali sono fissate a norma
dell’articolo 16 le modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori nella definizione dei loro
diritti di partecipazione nella società derivante dalla fusione transfrontaliera;
k) informazioni sulla valutazione degli elementi patrimoniali attivi e passivi che sono
trasferiti alla società derivante dalla fusione transfrontaliera;
l) la data della chiusura dei conti delle società partecipanti alla fusione utilizzati per
definire le condizioni della fusione transfrontaliera.
578
documentazione
Articolo 6
Pubblicazione
1. Il progetto comune di fusione transfrontaliera è pubblicato, per ciascuna delle società
che partecipano alla fusione, secondo le modalità previste dalla legislazione nazionale di
ciascuno Stato membro, a norma dell’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE, al piú tardi
un mese prima dell’assemblea generale che deve decidere al riguardo.
2. Per ciascuna delle società che partecipano alla fusione, e fatti salvi altri requisiti
imposti dallo Stato membro alla cui legislazione la società è soggetta, sono pubblicate nella
Gazzetta ufficiale dello Stato membro in questione le seguenti indicazioni:
a) la forma, la denominazione e la sede statutaria delle società che partecipano alla
fusione;
b) il registro presso il quale sono stati depositati gli atti di cui all’articolo 3, paragrafo 2,
della direttiva 68/151/CEE di ciascuna delle società che partecipano alla fusione e il loro
numero di iscrizione in tale registro;
c) l’indicazione, per ciascuna delle società che partecipano alla fusione, delle modalità
d’esercizio dei diritti da parte dei creditori e dei soci di minoranza delle società che partecipano alla fusione, nonché l’indirizzo presso il quale si possono ottenere gratuitamente
informazioni esaurienti su tali modalità.
Articolo 7
Relazione dell’organo di direzione o di amministrazione
L’organo di direzione o di amministrazione di ciascuna delle società partecipanti alla
fusione redige una relazione destinata ai soci, nella quale illustra e giustifica gli aspetti
giuridici ed economici della fusione transfrontaliera e spiega le conseguenze della fusione
transfrontaliera per i soci, i creditori e i lavoratori.
La relazione è messa a disposizione dei soci e dei rappresentanti dei lavoratori o, in
assenza di questi ultimi, dei lavoratori stessi, almeno un mese prima della data dell’assemblea
generale di cui all’articolo 9.
Qualora l’organo di direzione o di amministrazione di una delle società che partecipa ad
una fusione riceva in tempo utile un parere espresso dai rappresentanti dei lavoratori della
società, secondo quanto previsto dalla legge nazionale, il parere è allegato alla relazione.
Articolo 8
Relazione di esperti indipendenti
1. Una relazione di esperti indipendenti destinata ai soci e disponibile almeno un mese
prima della data della riunione dell’assemblea generale di cui all’articolo 9 è redatta per
ciascuna delle società che partecipano alla fusione. Tali esperti possono essere, a seconda
della legislazione dei singoli Stati membri, persone fisiche o giuridiche.
2. In alternativa ad esperti che operino per conto di ciascuna delle società che partecipano alla fusione, possono esaminare il progetto comune di fusione transfrontaliera e redigere
una relazione scritta unica destinata a tutti i soci uno o piú esperti indipendenti designati a tal
fine, su richiesta congiunta di tali società, da un’autorità giudiziaria o amministrativa dello
Stato membro alla cui legislazione è soggetta una delle società che partecipano alla fusione o
la società risultante dalla fusione, o abilitati da tale autorità.
3. La relazione degli esperti include almeno gli elementi previsti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 78/855/CEE del Consiglio, del 9 ottobre 1978, relativa alle fusioni
delle società per azioni. 12 Gli esperti hanno il diritto di chiedere a ciascuna delle società che
12
Gazz. Uff. Com. eur., n. L 295 del 20 ottobre 1978, p. 36. Direttiva modificata da ultimo dall’atto di adesione del 2003.
documentazione
579
partecipano alla fusione tutte le informazioni che ritengono necessarie per l’assolvimento del
loro compito.
4. L’esame del progetto comune di fusione transfrontaliera da parte di esperti indipendenti o la relazione degli esperti non sono richiesti qualora tutti i soci di ciascuna delle società
che partecipano alla fusione transfrontaliera vi rinuncino.
Articolo 9
Approvazione da parte dell’assemblea generale
1. Dopo aver preso conoscenza delle relazioni di cui agli articoli 7 e 8 l’assemblea
generale di ciascuna delle società che partecipano alla fusione decide sull’approvazione del
progetto comune di fusione transfrontaliera.
2. L’assemblea generale di ciascuna delle società che partecipano alla fusione transfrontaliera può subordinare la sua realizzazione alla condizione che l’assemblea stessa approvi
espressamente le modalità della partecipazione dei lavoratori nella società derivante dalla
fusione transfrontaliera.
3. Non è necessario che la legislazione di uno Stato membro richieda l’approvazione
della fusione da parte dell’assemblea generale della società incorporante se sono soddisfatte le
condizioni di cui all’articolo 8 della direttiva 78/855/CEE.
Articolo 10
Certificato preliminare alla fusione
1. Ogni Stato membro designa l’organo giurisdizionale, il notaio o altra autorità competente per controllare la legittimità della fusione transfrontaliera per la parte della procedura
relativa a ciascuna delle società che vi partecipano e che sono soggette alla sua legislazione
nazionale.
2. In ogni Stato membro interessato le autorità di cui al paragrafo 1 rilasciano senza
indugio a ciascuna delle società che partecipano alla fusione e che sono soggette alla legislazione di tale Stato un certificato attestante a titolo definitivo l’adempimento regolare degli
atti e delle formalità preliminari alla fusione.
3. Se la legislazione di uno Stato membro cui è soggetta una società che partecipa alla
fusione prevede una procedura di controllo e modifica del rapporto di cambio dei titoli o
delle quote o di compensazione dei soci di minoranza, senza che ciò impedisca l’iscrizione
della fusione transfrontaliera nel registro, tale procedura si applica unicamente se, al momento dell’approvazione del progetto di fusione transfrontaliera a norma dell’articolo 9,
paragrafo 1, le altre società che partecipano alla fusione, situate in Stati membri la cui
legislazione non prevede siffatta procedura, accettano esplicitamente la possibilità per i soci
di tale società che partecipa alla fusione di far ricorso alla procedura summenzionata, da
avviare dinanzi all’organo giurisdizionale che ha la competenza su tale società. In tali casi, le
autorità di cui al paragrafo 1 possono rilasciare il certificato di cui al paragrafo 2, anche se tale
procedura è già avviata. Il certificato deve tuttavia menzionare che la procedura è in corso. La
decisione relativa alla procedura è vincolante nei confronti della società derivante dalla
fusione transfrontaliera e di tutti i suoi soci.
Articolo 11
Controllo della legittimità della fusione transfrontaliera
1. Ogni Stato membro designa l’organo giurisdizionale, il notaio o altra autorità competente per controllare la legittimità della fusione transfrontaliera per la parte della procedura
relativa alla realizzazione della fusione transfrontaliera e, se necessario, alla costituzione di
una nuova società derivante dalla fusione transfrontaliera quando quest’ultima è soggetta alla
sua legislazione nazionale. Tali autorità controllano in particolare che le società che partecipano alla fusione transfrontaliera abbiano approvato il progetto comune di fusione transfron-
580
documentazione
taliera negli stessi termini e, se necessario, che le modalità relative alla partecipazione dei
lavoratori siano state fissate a norma dell’articolo 16.
2. A tale scopo, ciascuna delle società che partecipano alla fusione trasmette alle autorità
di cui al paragrafo 1 il certificato di cui all’articolo 10, paragrafo 2, entro sei mesi dal suo
rilascio nonché il progetto comune di fusione transfrontaliera approvato dall’assemblea generale di cui all’articolo 9.
Articolo 12
Efficacia della fusione transfrontaliera
La legislazione dello Stato membro cui è soggetta la società derivante dalla fusione
transfrontaliera determina la data a partire dalla quale la fusione transfrontaliera ha efficacia.
Tale data deve essere posteriore all’esecuzione dei controlli di cui all’articolo 11.
Articolo 13
Registrazione
La legislazione di ciascuno degli Stati membri a cui sono soggette le società partecipanti
alla fusione determina, per quanto riguarda il territorio di tale Stato, le modalità, a norma
dell’articolo 3 della direttiva 68/151/CEE, della pubblicità della realizzazione della fusione
transfrontaliera nel registro pubblico presso il quale ciascuna di queste società era tenuta a
depositare gli atti.
Il registro per l’iscrizione della società derivante dalla fusione transfrontaliera notifica
immediatamente al registro presso il quale ciascuna di queste società era tenuta a depositare
gli atti che la fusione transfrontaliera ha acquisito efficacia. La precedente iscrizione è cancellata, all’occorrenza, all’atto di ricezione della notifica, ma non prima.
Articolo 14
Effetti della fusione transfrontaliera
1. La fusione transfrontaliera realizzata secondo l’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e c),
comporta, a partire dalla data di cui all’articolo 12, gli effetti seguenti:
a) l’intero patrimonio attivo e passivo della società incorporata è trasferito alla società
incorporante;
b) i soci della società incorporata diventano soci della società incorporante;
c) la società incorporata si estingue.
2. La fusione transfrontaliera realizzata secondo l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b),
comporta, a partire dalla data di cui all’articolo 12, gli effetti seguenti:
a) l’intero patrimonio attivo e passivo delle società che partecipano alla fusione è trasferito alla nuova società;
b) i soci delle società che partecipano alla fusione diventano soci della nuova società;
c) le società che partecipano alla fusione si estinguono.
3. Qualora, in caso di fusione transfrontaliera di società cui si applica la presente direttiva, la legislazione di uno Stato membro prescriva formalità particolari per l’opponibilità ai
terzi del trasferimento di determinati beni, diritti e obbligazioni apportati dalle società partecipanti alla fusione, tali formalità sono adempiute dalla società derivante dalla fusione
transfrontaliera.
4. I diritti e gli obblighi delle società che partecipano alla fusione derivanti dai contratti
di lavoro individuali o dai rapporti di lavoro esistenti alla data in cui la fusione transfrontaliera acquista efficacia sono, in virtú dell’efficacia della fusione transfrontaliera, trasferiti alla
società derivante dalla fusione transfrontaliera alla data a partire dalla quale la fusione ha
efficacia.
5. Nessuna quota della società incorporante è scambiata con quote della società incorporata detenute:
documentazione
581
a) dalla società incorporante stessa o tramite una persona che agisce in nome proprio ma
per conto della società incorporante;
b) dalla società incorporata o tramite una persona che agisce in nome proprio ma per
conto della società incorporata.
Articolo 15
Formalità semplificate
1. Quando una fusione transfrontaliera mediante incorporazione è realizzata da una
società che detiene tutte le quote e tutti gli altri titoli che conferiscono diritti di voto nell’assemblea generale della società o delle società incorporate:
– non si applicano l’articolo 5, lettere b), c) ed e), l’articolo 8 e l’articolo 14, paragrafo 1,
lettera b),
– non si applica l’articolo 9, paragrafo 1, alla società o alle società incorporate.
2. Quando una fusione transfrontaliera mediante incorporazione è realizzata da una
società che detiene una quota pari o superiore al 90%, ma non la totalità delle quote e degli
altri titoli rappresentativi del capitale sociale che conferiscono diritti di voto nell’assemblea
generale della società o delle società incorporate, le relazioni di uno o piú esperti indipendenti, nonché i documenti necessari per il controllo sono richiesti soltanto qualora ciò sia
previsto dalla legislazione nazionale cui è soggetta la società incorporante o la società incorporata.
Articolo 16
Partecipazione dei lavoratori
1. Fatto salvo il paragrafo 2, la società derivante dalla fusione transfrontaliera è soggetta
alle disposizioni vigenti in materia di partecipazione dei lavoratori, ove esistano, nello Stato
membro in cui è situata la sua sede sociale.
2. Tuttavia, le eventuali disposizioni in vigore riguardanti la partecipazione dei lavoratori
nello Stato membro in cui è situata la sede sociale della società derivante dalla fusione
transfrontaliera non si applicano, se almeno una delle società che partecipano alla fusione
ha un numero medio di lavoratori, nei sei mesi precedenti la pubblicazione del progetto di
fusione transfrontaliera di cui all’articolo 6, superiore a 500 ed è gestita in regime di partecipazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 2, lettera k), della direttiva 2001/86/CE, oppure
se la legislazione nazionale applicabile alla società derivante dalla fusione transfrontaliera:
a) non prevede un livello di partecipazione dei lavoratori almeno identico a quello
attuato nelle società che partecipano alla fusione di cui trattasi, misurato con riferimento
alla quota di rappresentanti dei lavoratori tra i membri dell’organo di amministrazione o
dell’organo di vigilanza o dei rispettivi comitati o del gruppo dirigente competente per i
centri di profitto della società, qualora sia prevista la rappresentanza dei lavoratori; oppure
b) non contempla, per i lavoratori di stabilimenti della società derivante dalla fusione
transfrontaliera situati in altri Stati membri, un diritto ad esercitare diritti di partecipazione
identico a quello di cui godono i lavoratori impiegati nello Stato membro in cui è situata la
sede sociale della società derivante dalla fusione transfrontaliera.
3. Nei casi di cui al paragrafo 2 la partecipazione dei lavoratori nella società derivante
dalla fusione transfrontaliera e il loro coinvolgimento nella definizione dei relativi diritti sono
disciplinati dagli Stati membri, mutatis mutandis e fatti salvi i paragrafi da 4 a 7, secondo i
principi e le modalità di cui all’articolo 12, paragrafi 2, 3 e 4, del regolamento (CE) n. 2157/
2001 e a norma delle disposizioni seguenti della direttiva 2001/86/CE:
a) articolo 3, paragrafi 1, 2 e 3, paragrafo 4, primo comma, primo trattino, e secondo
comma, e paragrafi 5 e 7;
b) articolo 4, paragrafo 1, paragrafo 2, lettere a), g) e h), e paragrafo 3;
c) articolo 5;
d) articolo 6;
e) articolo 7, paragrafo 1, paragrafo 2, primo comma, lettera b), e secondo comma, e
582
documentazione
paragrafo 3. Tuttavia, ai fini della presente direttiva, le percentuali richieste nell’articolo 7,
paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2001/86/CE per l’applicazione delle
disposizioni di riferimento riportate nella parte terza dell’allegato di detta direttiva, sono
aumentate dal 25% al 33 1/3%;
f) articoli 8, 10 e 12;
g) articolo 13, paragrafo 4;
h) allegato, parte terza, lettera b).
4. Nello stabilire i principi e le modalità di cui al paragrafo 3, gli Stati membri:
a) conferiscono ai competenti organi delle società che partecipano alla fusione il diritto
di scegliere, senza negoziati preliminari, di essere direttamente assoggettati alle disposizioni di
riferimento per la partecipazione di cui al paragrafo 3, lettera h), stabilite dalla legislazione
dello Stato membro in cui sarà situata la sede sociale della società derivante dalla fusione
transfrontaliera, e di ottemperare a tali disposizioni a decorrere dalla data di iscrizione;
b) conferiscono alla delegazione speciale di negoziazione il diritto di decidere, alla
maggioranza dei due terzi dei suoi membri che rappresenti almeno due terzi dei lavoratori
e che comprenda i voti di membri che rappresentano i lavoratori di almeno due Stati membri
diversi, di non avviare negoziati o di porre termine ai negoziati già avviati e di attenersi alle
disposizioni in materia di partecipazione vigenti nello Stato membro in cui sarà situata la sede
sociale della società derivante dalla fusione transfrontaliera;
c) possono stabilire, qualora in seguito a negoziati preliminari si applichino le disposizioni di riferimento per la partecipazione e nonostante tali disposizioni, di limitare la quota di
rappresentanti dei lavoratori nell’organo di amministrazione della società derivante dalla
fusione transfrontaliera. Tuttavia, qualora in una delle società che partecipano alla fusione
i rappresentanti dei lavoratori costituiscano almeno un terzo dell’organo di amministrazione o
di vigilanza, tale limitazione non può in nessun caso tradursi in una quota di rappresentanti
dei lavoratori nell’organo di amministrazione inferiore a un terzo.
5. L’estensione dei diritti di partecipazione ai lavoratori della società derivante dalla
fusione transfrontaliera impiegati in altri Stati membri, di cui al paragrafo 2, lettera b),
non comporta alcun obbligo, per gli Stati membri che optano per questa formula, di tener
conto di tali lavoratori al momento di calcolare l’ordine di grandezza delle soglie che fanno
scattare i diritti di partecipazione in virtú della legislazione nazionale.
6. Se almeno una delle società che partecipano alla fusione è gestita in regime di partecipazione dei lavoratori e se la società derivante dalla fusione transfrontaliera sarà disciplinata
da un siffatto regime a norma delle disposizioni di cui al paragrafo 2, tale società è obbligata
ad assumere una forma giuridica che preveda l’esercizio dei diritti di partecipazione.
7. Qualora la società derivante dalla fusione transfrontaliera sia gestita in regime di
partecipazione dei lavoratori, essa è obbligata ad adottare provvedimenti per garantire la
tutela dei diritti di partecipazione dei lavoratori in caso di successive fusioni interne, entro tre
anni dalla data in cui prende effetto la fusione transfrontaliera, applicando, mutatis mutandis,
le disposizioni stabilite nel presente articolo.
Articolo 17
Validità
Non può essere pronunciata la nullità di una fusione transfrontaliera che ha acquisito
efficacia a norma dell’articolo 12.
Articolo 18
Riesame
Cinque anni dopo la data stabilita all’articolo 19, primo comma, la Commissione riesamina la presente direttiva in base all’esperienza acquisita nell’applicazione della medesima e,
se necessario, propone una modifica.
documentazione
583
Articolo 19
Attuazione
Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 15 dicembre 2007.
Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento
alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione
ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.
Articolo 20
Entrata in vigore
La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione
nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Articolo 21
Destinatari
Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.
CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE SULL’USO
DI COMUNICAZIONI ELETTRONICHE
NEI CONTRATTI INTERNAZIONALI 1*
(New York, 23 novembre 2005)
UNITED NATIONS CONVENTION ON THE USE OF ELECTRONIC
COMMUNICATIONS IN INTERNATIONAL CONTRACTS
The States Parties to this Convention,
Reaffirming their belief that international trade on the basis of equality and mutual
benefit is an important element in promoting friendly relations among States,
Noting that the increased use of electronic communications improves the efficiency of
commercial activities, enhances trade connections and allows new access opportunities for
previously remote parties and markets, thus playing a fundamental role in promoting trade
and economic development, both domestically and internationally,
Considering that problems created by uncertainty as to the legal value of the use of
electronic communications in international contracts constitute an obstacle to international
trade,
* Il testo della convenzione è stato adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
il 23 novembre 2005 al termine della sua 53º riunione plenaria (doc. A/RES/60/21 del 9 dicembre 2005). La convenzione è il risultato del lavoro intrapreso nel 2001 dalla Commissione
delle Nazioni Unite sul diritto del commercio internazionale (UNCITRAL), sui lavori della
quale si veda li scritto della dott. Bonfanti, in questo fascicolo della Rivista, p. 399 ss. La convenzione è stata aperta alla firma il 16 gennaio 2006, e lo rimarrà fino alla stessa data del
2008. Essa è stata firmata dalla Repubblica Centroafricana il 27 febbraio 2006, mentre al
28 marzo 2006 non risulta essere ancora stata ratificata da alcuno Stato né è possibile prevedere i tempi per la sua entrata in vigore.
584
documentazione
Convinced that the adoption of uniform rules to remove obstacles to the use of electronic
communications in international contracts, including obstacles that might result from the
operation of existing international trade law instruments, would enhance legal certainty and
commercial predictability for international contracts and help States gain access to modern
trade routes,
Being of the opinion that uniform rules should respect the freedom of parties to choose
appropriate media and technologies, taking account of the principles of technological neutrality and functional equivalence, to the extent that the means chosen by the parties comply
with the purpose of the relevant rules of law,
Desiring to provide a common solution to remove legal obstacles to the use of electronic
communications in a manner acceptable to States with different legal, social and economic
systems,
Have agreed as follows:
Chapter I - Sphere of application
Article 1
Scope of application
1. This Convention applies to the use of electronic communications in connection with
the formation or performance of a contract between parties whose places of business are in
different States.
2. The fact that the parties have their places of business in different States is to be
disregarded whenever this fact does not appear either from the contract or from any dealings
between the parties or from information disclosed by the parties at any time before or at the
conclusion of the contract.
3. Neither the nationality of the parties nor the civil or commercial character of the
parties or of the contract is to be taken into consideration in determining the application of
this Convention.
Article 2
Exclusions
1. This Convention does not apply to electronic communications relating to any of the
following:
(a) Contracts concluded for personal, family or household purposes;
(b) (i) Transactions on a regulated exchange; (ii) foreign exchange transactions; (iii)
inter-bank payment systems, inter-bank payment agreements or clearance and settlement
systems relating to securities or other financial assets or instruments; (iv) the transfer of
security rights in sale, loan or holding of or agreement to repurchase securities or other
financial assets or instruments held with an intermediary.
2. This Convention does not apply to bills of exchange, promissory notes, consignment
notes, bills of lading, warehouse receipts or any transferable document or instrument that
entitles the bearer or beneficiary to claim the delivery of goods or the payment of a sum of
money.
Article 3
Party autonomy
The parties may exclude the application of this Convention or derogate from or vary the
effect of any of its provisions.
documentazione
585
Chapter II - General provisions
Article 4
Definitions
For the purposes of this Convention:
(a) ‘‘Communication’’ means any statement, declaration, demand, notice or request,
including an offer and the acceptance of an offer, that the parties are required to make or
choose to make in connection with the formation or performance of a contract;
(b) ‘‘Electronic communication’’ means any communication that the parties make by
means of data messages;
(c) ‘‘Data message’’ means information generated, sent, received or stored by electronic,
magnetic, optical or similar means, including, but not limited to, electronic data interchange,
electronic mail, telegram, telex or telecopy;
(d) ‘‘Originator’’ of an electronic communication means a party by whom, or on whose
behalf, the electronic communication has been sent or generated prior to storage, if any, but
it does not include a party acting as an intermediary with respect to that electronic communication;
(e) ‘‘Addressee’’ of an electronic communication means a party who is intended by the
originator to receive the electronic communication, but does not include a party acting as an
intermediary with respect to that electronic communication;
(f) ‘‘Information system’’ means a system for generating, sending, receiving, storing or
otherwise processing data messages;
(g) ‘‘Automated message system’’ means a computer program or an electronic or other
automated means used to initiate an action or respond to data messages or performances in
whole or in part, without review or intervention by a natural person each time an action is
initiated or a response is generated by the system;
(h) ‘‘Place of business’’ means any place where a party maintains a non-transitory establishment to pursue an economic activity other than the temporary provision of goods or
services out of a specific location.
Article 5
Interpretation
1. In the interpretation of this Convention, regard is to be had to its international
character and to the need to promote uniformity in its application and the observance of
good faith in international trade.
2. Questions concerning matters governed by this Convention which are not expressly
settled in it are to be settled in conformity with the general principles on which it is based or,
in the absence of such principles, in conformity with the law applicable by virtue of the rules
of private international law.
Article 6
Location of the parties
1. For the purposes of this Convention, a party’s place of business is presumed to be the
location indicated by that party, unless another party demonstrates that the party making the
indication does not have a place of business at that location.
2. If a party has not indicated a place of business and has more than one place of
business, then the place of business for the purposes of this Convention is that which has
the closest relationship to the relevant contract, having regard to the circumstances known to
or contemplated by the parties at any time before or at the conclusion of the contract.
3. If a natural person does not have a place of business, reference is to be made to the
person’s habitual residence.
4. A location is not a place of business merely because that is: (a) where equipment and
586
documentazione
technology supporting an information system used by a party in connection with the formation of a contract are located; or (b) where the information system may be accessed by other
parties.
5. The sole fact that a party makes use of a domain name or electronic mail address
connected to a specific country does not create a presumption that its place of business is
located in that country.
Article 7
Information requirements
Nothing in this Convention affects the application of any rule of law that may require the
parties to disclose their identities, places of business or other information, or relieves a party
from the legal consequences of making inaccurate, incomplete or false statements in that
regard.
Chapter III - Use of electronic communications in international contracts
Article 8
Legal recognition of electronic communications
1. A communication or a contract shall not be denied validity or enforceability on the
sole ground that it is in the form of an electronic communication.
2. Nothing in this Convention requires a party to use or accept electronic communications, but a party’s agreement to do so may be inferred from the party’s conduct.
Article 9
Form requirements
1. Nothing in this Convention requires a communication or a contract to be made or
evidenced in any particular form.
2. Where the law requires that a communication or a contract should be in writing, or
provides consequences for the absence of a writing, that requirement is met by an electronic
communication if the information contained therein is accessible so as to be usable for
subsequent reference.
3. Where the law requires that a communication or a contract should be signed by a
party, or provides consequences for the absence of a signature, that requirement is met in
relation to an electronic communication if:
(a) A method is used to identify the party and to indicate that party’s intention in respect
of the information contained in the electronic communication; and
(b) The method used is either:
(i) As reliable as appropriate for the purpose for which the electronic communication
was generated or communicated, in the light of all the circumstances, including any relevant
agreement; or
(ii) Proven in fact to have fulfilled the functions described in subparagraph (a) above, by
itself or together with further evidence.
4. Where the law requires that a communication or a contract should be made available
or retained in its original form, or provides consequences for the absence of an original, that
requirement is met in relation to an electronic communication if:
(a) There exists a reliable assurance as to the integrity of the information it contains from
the time when it was first generated in its final form, as an electronic communication or
otherwise; and
(b) Where it is required that the information it contains be made available, that information is capable of being displayed to the person to whom it is to be made available.
5. For the purposes of paragraph 4 (a):
(a) The criteria for assessing integrity shall be whether the information has remained
documentazione
587
complete and unaltered, apart from the addition of any endorsement and any change that
arises in the normal course of communication, storage and display; and
(b) The standard of reliability required shall be assessed in the light of the purpose for
which the information was generated and in the light of all the relevant circumstances.
Article 10
Time and place of dispatch and receipt of electronic communications
1. The time of dispatch of an electronic communication is the time when it leaves an
information system under the control of the originator or of the party who sent it on behalf of
the originator or, if the electronic communication has not left an information system under
the control of the originator or of the party who sent it on behalf of the originator, the time
when the electronic communication is received.
2. The time of receipt of an electronic communication is the time when it becomes
capable of being retrieved by the addressee at an electronic address designated by the
addressee. The time of receipt of an electronic communication at another electronic address
of the addressee is the time when it becomes capable of being retrieved by the addressee at
that address and the addressee becomes aware that the electronic communication has been
sent to that address. An electronic communication is presumed to be capable of being
retrieved by the addressee when it reaches the addressee’s electronic address.
3. An electronic communication is deemed to be dispatched at the place where the
originator has its place of business and is deemed to be received at the place where the
addressee has its place of business, as determined in accordance with article 6.
4. Paragraph 2 of this article applies notwithstanding that the place where the information system supporting an electronic address is located may be different from the place
where the electronic communication is deemed to be received under paragraph 3 of this
article.
Article 11
Invitations to make offers
A proposal to conclude a contract made through one or more electronic communications which is not addressed to one or more specific parties, but is generally accessible to
parties making use of information systems, including proposals that make use of interactive
applications for the placement of orders through such information systems, is to be considered as an invitation to make offers, unless it clearly indicates the intention of the party
making the proposal to be bound in case of acceptance.
Article 12
Use of automated message systems for contract formation
A contract formed by the interaction of an automated message system and a natural
person, or by the interaction of automated message systems, shall not be denied validity or
enforceability on the sole ground that no natural person reviewed or intervened in each of the
individual actions carried out by the automated message systems or the resulting contract.
Article 13
Availability of contract terms
Nothing in this Convention affects the application of any rule of law that may require a
party that negotiates some or all of the terms of a contract through the exchange of electronic
communications to make available to the other party those electronic communications which
contain the contractual terms in a particular manner, or relieves a party from the legal
consequences of its failure to do so.
588
documentazione
Article 14
Error in electronic communications
1. Where a natural person makes an input error in an electronic communication exchanged with the automated message system of another party and the automated message
system does not provide the person with an opportunity to correct the error, that person, or
the party on whose behalf that person was acting, has the right to withdraw the portion of the
electronic communication in which the input error was made if:
(a) The person, or the party on whose behalf that person was acting, notifies the other
party of the error as soon as possible after having learned of the error and indicates that he or
she made an error in the electronic communication; and
(b) The person, or the party on whose behalf that person was acting, has not used or
received any material benefit or value from the goods or services, if any, received from the
other party.
2. Nothing in this article affects the application of any rule of law that may govern the
consequences of any error other than as provided for in paragraph 1.
Chapter IV - Final provisions
Article 15
Depositary
The Secretary-General of the United Nations is hereby designated as the depositary for
this Convention.
Article 16
Signature, ratification, acceptance or approval
1. This Convention is open for signature by all States at United Nations Headquarters in
New York from 16 January 2006 to 16 January 2008.
2. This Convention is subject to ratification, acceptance or approval by the signatory
States.
3. This Convention is open for accession by all States that are not signatory States as
from the date it is open for signature.
4. Instruments of ratification, acceptance, approval and accession are to be deposited
with the Secretary-General of the United Nations.
Article 17
Participation by regional economic integration organizations
1. A regional economic integration organization that is constituted by sovereign States
and has competence over certain matters governed by this Convention may similarly sign,
ratify, accept, approve or accede to this Convention. The regional economic integration
organization shall in that case have the rights and obligations of a Contracting State, to
the extent that that organization has competence over matters governed by this Convention.
Where the number of Contracting States is relevant in this Convention, the regional economic integration organization shall not count as a Contracting State in addition to its
member States that are Contracting States.
2. The regional economic integration organization shall, at the time of signature, ratification, acceptance, approval or accession, make a declaration to the depositary specifying the
matters governed by this Convention in respect of which competence has been transferred to
that organization by its member States. The regional economic integration organization shall
promptly notify the depositary of any changes to the distribution of competence, including
new transfers of competence, specified in the declaration under this paragraph.
3. Any reference to a ‘‘Contracting State’’ or ‘‘Contracting States’’ in this Convention
applies equally to a regional economic integration organization where the context so requires.
documentazione
589
4. This Convention shall not prevail over any conflicting rules of any regional economic
integration organization as applicable to parties whose respective places of business are
located in States members of any such organization, as set out by declaration made in
accordance with article 21.
Article 18
Effect in domestic territorial units
1. If a Contracting State has two or more territorial units in which different systems of
law are applicable in relation to the matters dealt with in this Convention, it may, at the time
of signature, ratification, acceptance, approval or accession, declare that this Convention is to
extend to all its territorial units or only to one or more of them, and may amend its declaration by submitting another declaration at any time.
2. These declarations are to be notified to the depositary and are to state expressly the
territorial units to which the Convention extends.
3. If, by virtue of a declaration under this article, this Convention extends to one or more
but not all of the territorial units of a Contracting State, and if the place of business of a party
is located in that State, this place of business, for the purposes of this Convention, is
considered not to be in a Contracting State, unless it is in a territorial unit to which the
Convention extends.
4. If a Contracting State makes no declaration under paragraph 1 of this article, the
Convention is to extend to all territorial units of that State.
Article 19
Declarations on the scope of application
1. Any Contracting State may declare, in accordance with article 21, that it will apply this
Convention only:
(a) When the States referred to in article 1, paragraph 1, are Contracting States to this
Convention; or
(b) When the parties have agreed that it applies.
2. Any Contracting State may exclude from the scope of application of this Convention
the matters it specifies in a declaration made in accordance with article 21.
Article 20
Communications exchanged under other international conventions
1. The provisions of this Convention apply to the use of electronic communications in
connection with the formation or performance of a contract to which any of the following
international conventions, to which a Contracting State to this Convention is or may become
a Contracting State, apply:
Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards (New
York, 10 June 1958);
Convention on the Limitation Period in the International Sale of Goods (New York, 14
June 1974) and Protocol thereto (Vienna, 11 April 1980);
United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods (Vienna,
11 April 1980);
United Nations Convention on the Liability of Operators of Transport Terminals in
International Trade (Vienna, 19 April 1991);
United Nations Convention on Independent Guarantees and Stand-by Letters of Credit
(New York, 11 December 1995);
United Nations Convention on the Assignment of Receivables in International Trade
(New York, 12 December 2001).
2. The provisions of this Convention apply further to electronic communications in
connection with the formation or performance of a contract to which another international
590
documentazione
convention, treaty or agreement not specifically referred to in paragraph 1 of this article, and
to which a Contracting State to this Convention is or may become a Contracting State,
applies, unless the State has declared, in accordance with article 21, that it will not be bound
by this paragraph.
3. A State that makes a declaration pursuant to paragraph 2 of this article may also
declare that it will nevertheless apply the provisions of this Convention to the use of electronic communications in connection with the formation or performance of any contract to
which a specified international convention, treaty or agreement applies to which the State is
or may become a Contracting State.
4. Any State may declare that it will not apply the provisions of this Convention to the use
of electronic communications in connection with the formation or performance of a contract to
which any international convention, treaty or agreement specified in that State’s declaration, to
which the State is or may become a Contracting State, applies, including any of the conventions
referred to in paragraph 1 of this article, even if such State has not excluded the application of
paragraph 2 of this article by a declaration made in accordance with article 21.
Article 21
Procedure and effects of declarations
1. Declarations under article 17, paragraph 4, article 19, paragraphs 1 and 2, and article
20, paragraphs 2, 3 and 4, may be made at any time. Declarations made at the time of
signature are subject to confirmation upon ratification, acceptance or approval.
2. Declarations and their confirmations are to be in writing and to be formally notified to
the depositary.
3. A declaration takes effect simultaneously with the entry into force of this Convention
in respect of the State concerned. However, a declaration of which the depositary receives
formal notification after such entry into force takes effect on the first day of the month
following the expiration of six months after the date of its receipt by the depositary.
4. Any State that makes a declaration under this Convention may modify or withdraw it
at any time by a formal notification in writing addressed to the depositary. The modification
or withdrawal is to take effect on the first day of the month following the expiration of six
months after the date of the receipt of the notification by the depositary.
Article 22
Reservations
No reservations may be made under this Convention.
Article 23
Entry into force
1. This Convention enters into force on the first day of the month following the expiration of six months after the date of deposit of the third instrument of ratification, acceptance,
approval or accession.
2. When a State ratifies, accepts, approves or accedes to this Convention after the
deposit of the third instrument of ratification, acceptance, approval or accession, this Convention enters into force in respect of that State on the first day of the month following the
expiration of six months after the date of the deposit of its instrument of ratification,
acceptance, approval or accession.
Article 24
Time of application
This Convention and any declaration apply only to electronic communications that are
made after the date when the Convention or the declaration enters into force or takes effect
in respect of each Contracting State.
documentazione
591
Article 25
Denunciations
1. A Contracting State may denounce this Convention by a formal notification in writing
addressed to the depositary.
2. The denunciation takes effect on the first day of the month following the expiration of
twelve months after the notification is received by the depositary. Where a longer period for
the denunciation to take effect is specified in the notification, the denunciation takes effect
upon the expiration of such longer period after the notification is received by the depositary.
Done at New York this twenty-third day of November two thousand and five, in a single
original, of which the Arabic, Chinese, English, French, Russian and Spanish texts are equally
authentic.
In witness whereof the undersigned plenipotentiaries, being duly authorized by their
respective Governments, have signed this Convention.
NOTIZIARIO
Dalla pratica legislativa, giudiziaria e internazionale
Trattati internazionali entrati in vigore per l’Italia (secondo i
comunicati apparsi nella Gazzetta Ufficiale dal gennaio 2006 al febbraio 2006).
N.B. Il supplemento ordinario n. 33 alla Gazz. Uff. n. 31 del 7 febbraio 2006
riporta l’elenco di 29 atti internazionali entrati in vigore per l’Italia nel periodo 16
giugno 2005-15 settembre 2005 non soggetti a legge di autorizzazione alla ratifica.
Trattati bilaterali
Etiopia – Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo
della Repubblica federale democratica di Etiopia per evitare le doppie imposizioni
in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con protocollo
aggiuntivo (Roma, 8 aprile 1997) e relativo scambio di note (Roma, 26 ottobre 1999
e 11 novembre 1999), resa esecutiva con l. 19 agosto 2003 n. 242 (GU 202, 1º
settembre 2003), in vigore dal 9 agosto 2005 (GU 48, 27 febbraio 2006).
Paraguay – Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica tra il
Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Paraguay
(Roma, 6 dicembre 2000), reso esecutivo con l. 20 giugno 2005 n. 136 (GU 165,
18 luglio 2005, s.o.), in vigore dal 16 dicembre 2005 (GU 48, 27 febbraio 2006).
Repubblica di Moldova – Convenzione consolare tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Moldova (Roma, 23 febbraio 2000),
resa esecutiva con l. 27 luglio 2004 n. 211 (GU 192, 17 agosto 2004), in vigore dal
1º settembre 2005 (GU 17, 21 gennaio 2006).
Uganda – Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo
della Repubblica dell’Uganda per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali (Kampala, 6 ottobre 2000), resa
esecutiva con l. 10 febbraio 2005 n. 18 (GU 45, 24 febbraio 2005, s.o.), in vigore
dal 18 novembre 2005 (GU 17, 21 gennaio 2006).
La legge comunitaria per il 2005. È stata pubblicata nella Gazz. Uff., n. 32
dell’8 febbraio 2006, suppl. ord. n. 34/L, la legge 25 gennaio 2006 n. 29 recante
«Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunità europee. Legge comunitaria 2005».
Fedele al modello introdotto con la l. 9 marzo 1989 n. 86 (c.d. La Pergola), ora
notiziario
593
abrogata, ed in linea di massima confermato dalla successiva l. 4 febbraio 2005 n.
11 (c.d. Buttiglione), la recente legge comunitaria persegue l’obiettivo dell’adattamento dell’ordinamento nazionale al diritto comunitario in tre diverse forme: delegando il Governo ad adottare appositi decreti legislativi (art. 1), autorizzando il
ricorso da parte del Governo ai regolamenti previsti dall’art. 11 della legge n. 11 del
2005 (art. 7) nonché, infine, con interventi diretti operati dalla legge comunitaria
stessa (art. 9 ss.).
In quanto alla prima delle modalità previste, l’art. 1 comma 1 della legge
comunitaria 2005 contiene la delega per il Governo ad adottare, entro il termine
di diciotto mesi dall’entrata in vigore della legge in commento, i decreti legislativi
recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi
di cui agli allegati A e B. Al comma 2 viene peraltro precisato che, nel rispetto
dell’art. 14 della l. 23 agosto 1988 n. 400, i decreti di cui si tratta sono adottati su
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro per le politiche
comunitarie e del Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia,
di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle
finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della direttiva.
Dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge, in virtú dell’art. 1 comma
3, gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione delle direttive comprese nell’elenco di cui all’allegato B nonché – laddove sia previsto il ricorso a sanzioni penali
– quelli relativi all’attuazione delle direttive ricomprese nell’elenco di cui all’allegato
A, vengono trasmessi alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica
affinché i competenti organi parlamentari esprimano il proprio parere entro quaranta giorni. Decorso tale termine, i decreti legislativi potranno essere adottati
anche in assenza di tale parere.
I «princı́pi e criteri direttivi generali della delega legislativa» di cui si tratta sono
enunciati all’art. 3. Essi si aggiungono a quelli contenuti nelle singole direttive da
attuare e fanno comunque salvi gli specifici princı́pi e criteri direttivi stabiliti dal
capo II della legge quali, ad esempio, quelli previsti all’art. 22 in merito all’attuazione della direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26
ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di
riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (cfr.
infra, p. 605 s.).
In forza dell’art. 1 comma 4, gli schemi dei decreti legislativi recanti attuazione
di alcune direttive espressamente individuate ed implicanti oneri finanziari devono
essere accompagnati dalla relazione tecnica di cui all’art. 11-ter comma 2 della l. 5
agosto 1978 n. 468 e successive modificazioni nonché dal parere delle commissioni
parlamentari competenti per i profili finanziari. Nel caso in cui il Governo non
intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’art. 81 comma 4 della Costituzione, i testi, corredati dei necessari
elementi integrativi di informazione, devono essere ritrasmessi alle Camere per i
pareri definitivi delle commissioni competenti per i profili finanziari, da esprimere
entro venti giorni.
Merita di essere segnalato il riferimento contenuto nell’art. 1 comma 7, secondo
il quale, in relazione a quanto disposto dall’art. 117 comma 5 della Costituzione e
dall’art. 16 comma 3 della legge n. 11 del 2005, si applicano le disposizioni dell’art.
11 comma 8 della medesima legge n. 11 del 2005. È divenuta pertanto superflua (ed
è difatti scomparsa) la corrispondente indicazione già prevista nelle precedenti
594
notiziario
edizioni della legge comunitaria annuale (si veda ad esempio l’art. 1 comma 6 della
l. 18 aprile 2005 n. 62: cfr. in proposito questa Rivista, 2005, p. 875 ss.).
Passando ad una sintetica rassegna delle direttive oggetto di delega legislativa,
elencate all’allegato A si segnalano, fra le altre: la direttiva 2004/10/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 febbraio 2004, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative all’applicazione dei princı́pi di buona pratica di laboratorio e al controllo della loro
applicazione per le prove sulle sostanze chimiche; la direttiva 2004/41/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, che abroga alcune direttive
recanti norme sull’igiene dei prodotti alimentari e le disposizioni sanitarie per la
produzione e la commercializzazione di determinati prodotti di origine animale
destinati al consumo umano e che modifica le direttive 89/662/CEE e 92/118/
CEE del Consiglio e la decisione 95/408/CE del Consiglio; la direttiva 2004/
107/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente; la direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre
2004, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi di
studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato; la direttiva 2005/
1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2005, che modifica le
direttive 73/239/CEE, 85/611/CEE, 91/675/CEE, 92/49/CEE e 93/6/CEE del
Consiglio e le direttive 94/19/CE, 98/78/CE, 2000/12/CE, 2001/34/CE, 2002/
83/CE e 2002/87/CE al fine di istituire una nuova struttura organizzativa per i
comitati del settore dei servizi finanziari; la direttiva 2005/29/CE del Parlamento
europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali
sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/
450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento
europeo e del Consiglio (cfr. questa Rivista, 2006, p. 339 s.).
Tra le numerose direttive di cui all’allegato B pare opportuno ricordare: la
direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla
protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; la direttiva 2000/60/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro
per l’azione comunitaria in materia di acque; la direttiva 2004/80/CE del Consiglio,
del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato; la direttiva 2004/
81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da
rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti
in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le
autorità competenti; la direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004,
recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta; la direttiva
2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della
parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e
servizi e la loro fornitura; la direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali. Interventi particolarmente significativi si riscontrano, in particolare, nel
settore dei trasporti, nel cui ambito si inseriscono la direttiva 2004/36/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla sicurezza degli aero-
notiziario
595
mobili di paesi terzi che utilizzano aeroporti comunitari; la direttiva 2004/49/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa alla sicurezza
delle ferrovie comunitarie e recante modifica della direttiva 95/18/CE del Consiglio
relativa alle licenze delle imprese ferroviarie e della direttiva 2001/14/CE relativa
alla ripartizione della capacità di infrastruttura ferroviaria, all’imposizione dei diritti
per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviaria e alla certificazione di sicurezza; la direttiva 2004/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, che
modifica la direttiva 91/440/CEE relativa allo sviluppo delle ferrovie comunitarie;
la direttiva 2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,
relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea; la direttiva 2004/82/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, concernente l’obbligo dei vettori di comunicare i dati relativi alle persone trasportate; la direttiva
2005/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, che
modifica le direttive del Consiglio 72/166/CEE, 84/5/CEE, 88/357/CEE e 90/
232/CEE e la direttiva 2000/26/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.
Degni di nota si presentano anche gli apporti in campo finanziario, con la direttiva
2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa
alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi
di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e la direttiva 2004/109/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione
degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui valori
mobiliari sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato e che modifica la direttiva 2001/34/CE. In materia societaria, invece, meritano di essere
ricordate la direttiva 2003/123/CE del Consiglio, del 22 dicembre 2003, che modifica la direttiva 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle
società madri e figlie di Stati membri diversi e la direttiva 2005/19/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005, che modifica la direttiva 90/434/CEE relativa al regime
fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed
agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi.
Come anticipato, è inoltre previsto che ad alcune direttive, ricompresse nell’allegato C richiamato dall’art. 7, venga data attuazione da parte del Governo con
regolamento autorizzato. Si tratta, in particolare, della direttiva 2003/103/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 novembre 2003, che modifica la direttiva 2001/25/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di
mare e della direttiva 2005/23/CE della Commissione, dell’8 marzo 2005, che
modifica la direttiva 2001/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare.
Restano da evidenziare due ulteriori ipotesi di deleghe. Ci si riferisce a quella,
di cui all’art. 5, inerente alla disciplina sanzionatoria di violazioni di diritto comunitario nonché quella, di cui all’art. 8, relativa al riordino normativo nelle materie
interessate dalle direttive comunitarie al fine di coordinare le medesime con le
norme legislative vigenti nelle stesse materie.
Venendo alle modifiche introdotte direttamente, è innanzitutto da ricordare,
all’art. 2, la sostituzione del comma 4 dell’art. 10 della legge n. 11 del 2005 in tema
di rispetto di principi e criteri direttivi nell’adeguamento del diritto interno al
diritto comunitario (cfr. questo fascicolo della Rivista, p. 508). Altri interventi
diretti riguardano la legge comunitaria 2004 (l. 18 aprile 2005 n. 62, sulla quale
596
notiziario
v. questa Rivista, 2005, p. 875 ss.): in primo luogo, all’art. 1 è aggiunto un nuovo
comma 5-bis che prevede la possibilità per il Governo di emanare disposizioni
integrative e correttive dei decreti legislativi adottati per l’attuazione delle direttive
2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, e 2004/25/CE, concernente le offerte pubbliche di acquisto (art. 16). In secondo luogo, si è proceduto
all’inserimento di un nuovo art. 29-bis recante «attuazione della direttiva 2003/41/
CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 giugno 2003, relativa alle attività
e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali» (art. 18).
Tra gli interventi in via diretta meritano inoltre di essere menzionate anche la
modifica dell’art. 55 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al r.d. 18
giugno 1931 n. 773, a parziale recepimento della direttiva 2004/57/CE della Commissione, del 23 aprile 2004 (art. 9), nonché l’introduzione di alcune disposizioni
integrative della disciplina di cui al d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, e successive
modificazioni, recante «attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/
CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio»
(art. 11). In forza dell’art. 17 risultano invece abrogati i commi 1 e 2 dell’art. 38 del
regolamento di cui al d.p.r. 23 aprile 2001 n. 290 in materia di semplificazione dei
procedimenti di autorizzazione alla produzione, alla immissione in commercio e alla
vendita di prodotti fitosanitari e relativi coadiuvanti. Un ulteriore intervento di
rilievo è rappresentato poi, all’art. 19, dall’abrogazione dell’art. 20 del d.lgs. 13
gennaio 1999 n. 18, recante attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero
accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti della Comunità.
In materia di utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi
da attività illecite si segnala l’introduzione di una nuova lettera s-bis) all’articolo 2
comma 1 del d.lgs. 20 febbraio 2004 n. 56 recante attuazione della direttiva 2001/
97/CE in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi da attività illecite (art. 21). È infine sostituito il comma 6
dell’art. 1 della l. 20 ottobre 1999 n. 380 in materia di delega al Governo per
l’istituzione del servizio militare volontario femminile.
Al fine di interrompere le procedure di infrazione 2003/2134 e 2003/2166
avviate dalla Commissione, l’art. 20 introduce una serie di modifiche al testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno
dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea di cui al d.p.r. 18 gennaio 2002
n. 54. Similmente, l’art. 25, per definire la procedura di infrazione 2001/5165,
modifica l’art. 134 comma 1-bis del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 recante il nuovo
codice della strada.
La legge comunitaria 2005 assicura il ristabilimento di una situazione di conformità dell’ordinamento giuridico italiano anche in relazione a due importanti
decisioni della Commissione. In primo luogo, l’art. 15, in attuazione della decisione C(2004)4746 della Commissione, del 14 dicembre 2004, prevede l’interruzione del regime di aiuti a favore delle imprese che hanno sostenuto spese per la
partecipazione espositiva di prodotti in fiere all’estero ai sensi dell’art. 1 comma 1
lett. b del decreto-legge 30 settembre 2003 n. 269 convertito, con modificazioni,
nella l. 24 novembre 2003 n. 326. In secondo luogo, l’art. 24, in attuazione della
decisione n. 2005/315/CE della Commissione, del 20 ottobre 2004, prevede l’interruzione del regime di aiuti a favore delle imprese che hanno realizzato investimenti nei comuni colpiti da eventi calamitosi nel 2002, di cui all’art. 5-sexies del
notiziario
597
d.l. 24 dicembre 2002 n. 282 convertito, con modificazioni, nella l. 21 febbraio
2003 n. 27.
Rispetto al disegno di legge originariamente presentato dal Ministro per le
politiche comunitarie, non si può non rilevare, infine, la soppressione nel testo
definitivo della legge comunitaria 2005 della disposizione volta ad abrogare l’art.
6 e l’art. 7 comma 8 del d.lgs. 12 giugno 2003 n. 178 recante «attuazione della
direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana» ed oggetto della procedura di infrazione 2003/5258 avviata
dalla Commissione nei confronti dell’Italia.
Attuazione della direttiva 2002/74/CE concernente la tutela dei
lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Nella Gazz. Uff., n. 220 del 21 settembre 2005 è pubblicato il d.lgs. 19 agosto
2005 n. 186 che attua la direttiva 2002/74/CE concernente la tutela dei lavoratori
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (in Gazz. Uff. Un. eur., n. L
270 dell’8 ottobre 2002). In particolare il decreto modifica l’art. 2 del d.lgs. 27
gennaio 2002 n. 80 e l’art. 2 della l. 29 maggio 1982 n. 297 ampliando la possibilità
di intervento del fondo di garanzia al caso in cui il datore di lavoro sia un’impresa
che abbia un’attività sul territorio di almeno due Stati membri e che sia costituita
secondo il diritto di un altro Stato membro e in tale Stato sia sottoposta ad una
procedura concorsuale, a condizione che il dipendente abbia abitualmente svolto la
sua attività in Italia. Vengono inoltre previste le modalità di copertura finanziaria
dei maggiori oneri che in tal modo potranno venire a gravare sul fondo stesso. Ai
sensi dell’art. 3 le modifiche introdotte sono applicabili alle procedure di insolvenza
aperte dopo la sua entrata in vigore, avvenuta il 6 ottobre 2005.
Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.
Nel suppl. ord. n. 13 alla Gazz. Uff., n. 12 del 16 gennaio 2006 è pubblicato il d.lgs.
9 gennaio 2006 n. 5 intitolato «Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80».
Tra le numerose disposizioni volte a modificare il r.d. 16 marzo 1942 n. 267 (legge
fallimentare) si segnala, per la sua diretta incidenza sull’ambito della giurisdizione
italiana, l’art. 7, ai sensi del quale:
«All’articolo 9 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, i commi secondo e
terzo sono sostituiti dai seguenti:
‘‘Il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza.
‘‘L’imprenditore, che ha all’estero la sede principale dell’impresa, può essere
dichiarato fallito nella Repubblica italiana anche se è stata pronunciata dichiarazione di fallimento all’estero.
‘‘Sono fatte salve le convenzioni internazionali e la normativa dell’Unione europea.
‘‘Il trasferimento della sede dell’impresa all’estero non esclude la sussistenza
della giurisdizione italiana, se è avvenuto dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 6 o la presentazione della richiesta di cui all’articolo 7.’’».
598
notiziario
Revisione della parte aeronautica del codice della navigazione.
Nel suppl. ord. n. 106/L alla Gazz. Uff., n. 131 dell’8 giugno 2005, è pubblicato il
d.lgs. 9 maggio 2005 n. 96 che opera una revisione della parte aeronautica del
codice della navigazione, a norma dell’art. 2 della l. 9 novembre 2004 n. 265.
Tra le numerose novità, si segnala in particolare la sostituzione integrale del capo
II del titolo V del libro I della parte II del cod. nav., regolante l’ammissione
dell’aeromobile alla navigazione e, in tale ambito, il nuovo art. 756 cod. nav. che
in materia di requisiti di nazionalità degli aeromobili, sostituendo quanto previamente previsto all’art. 751, dispone:
«Rispondono ai requisiti di nazionalità richiesti per l’iscrizione nel registro
aeronautico nazionale gli aeromobili che appartengono in tutto od in parte maggioritaria:
a) allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni e ad ogni altro ente pubblico
e privato italiano o di altro Stato membro dell’Unione europea;
b) ai cittadini italiani o di altro Stato membro dell’Unione europea;
c) a società costituite o aventi una sede in Italia o in un altro Stato membro
dell’Unione europea il cui capitale appartenga in tutto od in parte maggioritaria a
cittadini italiani o di altro Stato membro dell’Unione europea, ovvero a persone
giuridiche italiane o di altro Stato membro dell’Unione europea aventi le stesse
caratteristiche di compagine societaria e il cui presidente, la maggioranza degli
amministratori e l’amministratore delegato siano cittadini italiani o di altro Stato
membro dell’Unione europea.
«L’ENAC, in deroga a quanto previsto dal primo comma, può, con provvedimento motivato, consentire l’iscrizione nel registro aeronautico nazionale di aeromobili dei quali le società titolari di una licenza di esercizio abbiano l’effettiva
disponibilità, ancorché non ne siano proprietarie. In tale caso, nel registro aeronautico nazionale e nel certificato di immatricolazione deve essere fatto risultare, in
aggiunta alle indicazioni di cui all’art. 755, il titolo, diverso dalla proprietà, in base
al quale l’iscrizione è effettuata. Gli obblighi che il presente titolo pone a carico del
proprietario, in relazione all’ammissione dell’aeromobile alla navigazione, sono trasferiti sul soggetto che ha l’effettiva disponibilità dell’aeromobile.
«La proprietà ed i diritti reali di garanzia sugli aeromobili di cui al secondo
comma sono disciplinati dalla legge italiana».
Come già prima previsto gli aeromobili iscritti nel registro aeronautico nazionale hanno la marca di nazionalità, che il nuovo art. 752, senza piú rinviare alla
normativa d’attuazione (cfr. l’art. 757 nel testo previgente), identifica con la lettera
maiuscola «I».
Molte modifiche discendono dalla necessità di adeguare la disciplina nazionale
a quella comunitaria; in tal senso l’ordinamento dei servizi aerei, regolato dal nuovo
titolo VI del libro I della parte II del cod. nav., distingue tra servizi aerei intracomunitari (capo I, artt. 776-783) e servizi aerei extracomunitari (capo II, artt. 784787 cod. nav.), mentre i nuovi artt. 800 e 805 specificano che si considerano,
rispettivamente, diretti o provenienti dall’estero gli aeromobili destinati ad
uscire/entrare nel territorio doganale dell’Unione europea e che, di conseguenza,
gli aeromobili diretti verso, o provenienti da, Stati membri dell’Unione senza scalo
intermedio possono decollare/approdare da aerodromi non doganali. Merita infine
di essere menzionato il costante richiamo, accanto alle pertinenti disposizioni della
legge italiana e alle convenzioni internazionali in vigore, alla normativa comunitaria,
notiziario
599
che, se nulla aggiunge all’obbligatorietà della stessa, facilita tuttavia l’individuazione
delle pertinenti fonti normative; in tale senso si vedano ad es. i nuovi artt. 734 in
materia di licenze e attestati e titoli professionali, 794 relativa agli aeromobili stranieri.
Può segnalarsi inoltre il nuovo art. 941, che non ha corrispondenti nella disciplina previgente e che, nell’elencare le norme applicabili al trasporto di persone e di
bagagli, ivi compresa la responsabilità del vettore per lesioni personali del passeggero, oltre a richiamare gli artt. 414 e 417 cod. nav., menziona le «norme comunitarie ed internazionali»; nello stesso capo III del titolo I del libro III della parte II
il nuovo art. 943 dispone che anche i vettori aerei muniti di licenza di esercizio
rilasciata da uno Stato non comunitario sono obbligati al rispetto degli obblighi di
informazione previsti dal regolamento (CE) n. 2027/97, pena la sospensione dei
diritti di traffico con modalità da determinarsi con regolamento dell’ENAC; mentre
il successivo art. 947, anch’esso di nuova formulazione, stabilisce che in caso di
negato imbarco, di soppressione o ritardo della partenza o di interruzione del
viaggio, il passeggero gode dei diritti previsti dalla normativa comunitaria.
Infine, in relazione alle modifiche apportate al regime degli atti dello stato civile
in corso di navigazione (artt. 834-838 cod. nav.) deve essere menzionata l’abrogazione dell’art. 834 cod. nav., che consentiva il matrimonio a bordo di aeromobile
nel caso di imminente pericolo di vita.
Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte
europea dei diritti dell’uomo. Nella Gazz. Uff., n.15 del 19 gennaio 2006 è
pubblicata la l. 9 gennaio 2006 n. 12 intitolata «Disposizioni in materia di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo». La legge, entrata in
vigore il 3 febbraio 2006, consta di un unico articolo che modifica la l. 23 agosto
1988 n. 400 «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del
Consiglio dei ministri» integrando l’ art. 5 «Attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri » con l’aggiunta di una nuova lettera a-bis al comma 3. La nuova
disposizione prevede che il Presidente del Consiglio «promuove gli adempimenti di
competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente
alle Camere le medesime pronunce ai fini dell’esame da parte delle competenti
Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una
relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce».
Proroga dello stato di emergenza per contrastare l’afflusso di
extracomunitari. La Gazz. Uff., n. 260 dell’8 novembre 2005 pubblica il testo
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 ottobre 2005, recante
«Proroga dello stato di emergenza per proseguire le attività di contrasto dell’eccezionale afflusso di extracomunitari». Il provvedimento estende fino al 31 dicembre
2006 lo stato di emergenza per fronteggiare il persistente massiccio afflusso «caratterizzato da episodi di alta drammaticità» di extracomunitari irregolari che giungono in Italia per permettere alle amministrazioni competenti di porre in essere
ulteriori interventi e strategie «che assicurino un livello di operatività non inferiore a
quello attuale», assicurato dai diversi decreti del Presidente del Consiglio sussegui-
600
notiziario
tisi a partire da quello del 20 marzo 2002 (cfr. i successivi dell’11 dicembre 2002 e
del 7 novembre 2003, dei quali è data notizia in questa Rivista, 2003, p. 1223, e da
ultimo del 23 dicembre 2004, pubblicato in Gazz. Uff., n. 304 del 29 dicembre
2004).
Accordo sulla riammissione delle persone con la Repubblica federale iugoslava. Un nuovo accordo si aggiunge agli ormai numerosi conclusi
dall’Italia in materia di riammissione delle persone. Si tratta dell’accordo con la
Repubblica federale di Iugoslavia, con protocollo esecutivo, concluso a Belgrado il
28 gennaio 2003 ed entrato in vigore il 1º aprile 2005 (in Gazz. Uff., suppl. ord. al n.
215 del 15 settembre 2005). Nell’intento di prevenire e contrastare l’immigrazione
illegale, questo strumento, secondo uno schema ormai tipico, stabilisce l’obbligo di
riammettere senza formalità le persone che non soddisfano o non soddisfano piú i
requisiti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio della Parte richiedente, se viene
dimostrato che la persona è cittadina della Parte richiesta, circostanza appurabile
anche mediante un’intervista (art. 2. par. 1). Interessante è notare che la Iugoslavia
si assume tale obbligo solo in relazione alle persone cui è stato rilasciato il passaporto iugoslavo in base alla legge del 1996 e alle sue eventuali modifiche. Analoghi
obblighi sono assunti con riguardo a cittadini di Stati terzi o apolidi che provengono da uno Stato Parte (art. 3). Tra le altre disposizioni, di rilievo è la disciplina
delle ammissioni in transito di cittadini di Stati terzi o apolidi, qualora la parte
richiedente fornisca la prova di aver provveduto al loro accoglimento nello Stato di
destinazione (art. 5). Infine, allegato all’accordo, si trova un protocollo esecutivo ai
fini dell’attuazione dell’accordo, convenuto tra i rispettivi Ministeri degli interni, nel
quale in particolare si indicano le autorità competenti per la riammissione e l’ammissione in transito.
Accordo per facilitare il rilascio dei visti con la Federazione
russa. Allo scopo di sviluppare la cooperazione tra i due Stati, e in particolare
di agevolare gli scambi giovanili e moltiplicare i contatti tra i vari esponenti della
società civili, un accordo tra Italia e Russia per facilitare il rilascio dei visti ai
rispettivi cittadini è stato concluso a Mosca il 15 giugno 2004 ed è entrato in vigore
il 25 marzo 2005 (v. Gazz. Uff., suppl. ord. al n. 215 del 15 settembre 2005).
L’accordo, piuttosto complesso, può essere sintetizzato nei seguenti punti salienti.
I cittadini di uno Stato entrano, escono e transitano nel territorio dell’altro sulla
base dei documenti di identità riconosciuti validi dalle Parti per l’attraversamento
della frontiera nonché dei visti (art. 1). In particolare i documenti di identità sono
indicati in un apposito allegato e le parti si obbligano a scambiarsi per via diplomatica entro trenta giorni dall’entrata in vigore gli specimen degli stessi (art. 2).
Peraltro, i cittadini di una Parte cha abbiano perso la disponibilità dei loro documenti di identità possono lasciare il territorio dello Stato di permanenza e tornare
nel loro Stato sulla base di documenti rilasciati dalle rappresentanze diplomatiche o
dagli uffici consolari dello Stato di appartenenza, senza ottenere visti di uscita o altri
permessi dallo Stato in cui si trovano (art. 6). Apposite discipline sono dettate tra
l’altro per i membri delle rappresentanze diplomatiche (art. 8). È inoltre prevista la
possibilità di rilasciare visti secondo una procedura semplificata per una serie di
notiziario
601
persone, tra cui si segnalano in particolare studenti, personalità della cultura, partecipanti a manifestazioni sportive (art. 9), e imprenditori e uomini d’affari che
effettuano frequenti viaggi per motivi di lavoro (art. 12). Tra le varie clausole finali,
l’art. 20 consente la sospensione, completa o parziale, dell’accordo per ragioni di
ordine pubblico, sicurezza dello Stato o tutela della salute della popolazione.
Entrata in vigore internazionale della nuova convenzione di adesione alla convenzione di Roma del 1980. Il 14 aprile 2005 è stata firmata a
Lussemburgo, a margine del Consiglio «Giustizia e affari interni», la convenzione di
adesione dei dieci nuovi Stati membri dell’Unione europea alla convenzione di
Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali
(quale risulta dagli adattamenti e dalle modifiche ad essa apportati dalle convenzioni di adesione successivamente concluse), nonché contestualmente di adesione al
primo e al secondo protocollo relativi all’interpretazione da parte della Corte di
giustizia delle Comunità europee (in vigore dal 1º agosto 2004: v. questa Rivista,
2004, p. 1461 ss.). Tale convenzione, cui sono allegate tre dichiarazioni comuni
degli Stati membri, è pubblicata in Gazz. Uff. Un. eur., n. C 169 dell’8 luglio 2005.
La prima dichiarazione prevede che gli Stati stessi intraprendano le iniziative necessarie per ratificare la convenzione «entro un termine ragionevole e, se possibile,
prima del dicembre 2005». Nella seconda, invece, essi chiedono alla Commissione
di «presentare quanto prima e al piú tardi entro la fine del 2005 una proposta di
regolamento sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali» (c.d. Roma I).
Con la terza dichiarazione, infine, gli Stati membri, al fine di garantire un’applicazione quanto piú possibile efficace e uniforme delle disposizioni del primo protocollo relativo all’interpretazione da parte della Corte di giustizia, si dichiarano
pronti a organizzare, in collegamento con la Corte di giustizia, uno scambio di
informazioni concernenti le sentenze passate in giudicato, pronunciate in applicazione della convenzione di Roma dalle giurisdizioni indicate all’art. 2 di detto
protocollo. Tale scambio di informazioni presuppone che le competenti autorità
nazionali trasmettano alla Corte di giustizia le sentenze di cui sopra, affinché essa ne
curi la classificazione e l’utilizzazione documentaria e provveda, se necessario, alla
redazione di compendi e traduzioni e alla pubblicazione delle decisioni ritenute di
particolare importanza. La Corte comunicherà inoltre il materiale di documentazione alle competenti autorità nazionali degli Stati parti del protocollo, alla Commissione e al Consiglio.
A seguito di tale evento, il Segretariato generale del Consiglio ha ritenuto utile
procedere a una versione consolidata della convenzione di Roma e dei due protocolli relativi all’interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità
europee. Il testo consolidato dei tre summenzionati strumenti, che non ha carattere vincolante, può leggersi ibidem, n. C 334 del 30 dicembre 2005.
Si segnala che, al 21 febbraio 2006, la nuova convenzione di adesione è stata
ratificata da quattro Stati membri: segnatamente da Lettonia (26 gennaio 2006),
Slovenia (2 febbraio 2006), Paesi Bassi (13 febbraio 2006) e Svezia (13 febbraio
2006). Conseguentemente, ai sensi del suo art. 5 par. 1, la suddetta convenzione
entra in vigore, tra gli Stati che l’hanno ratificata, il 1º maggio 2006.
602
notiziario
Decisione sulla firma dell’accordo tra la Comunità europea e la
Danimarca relativo al regolamento (CE) n. 1348/2000 sulle notificazioni. Nella Gazz. Uff. Un. eur., n. L 300 del 17 novembre 2005 è stata pubblicata
la decisione del Consiglio 2005/794/CE del 20 settembre 2005, relativa alla firma
dell’accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca sulla notificazione e
comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, parafato il 17 gennaio 2005. L’accordo prevede l’applicazione delle disposizioni del regolamento n. 1348/2000 (in questa Rivista, 2001, p. 779 ss.) anche alla
Danimarca. Quest’ultima non parteciperà all’adozione di modifiche e di misure
attuative del regolamento n. 1348/2000 e non ne sarà vincolata salvo decisione
positiva in merito; il rifiuto di attuare le misure suddette comporterà tuttavia la
risoluzione dell’accordo con la Comunità (artt. 3 e 4). Di particolare interesse sono
le disposizioni sulla competenza della Corte di giustizia in merito all’interpretazione
ed esecuzione dell’accordo (artt. 6 e 7) e sulla negoziazione di accordi internazionali
che possano influire sul campo di applicazione del regolamento n. 1348/2000 (art.
5). L’accordo entrerà in vigore il primo giorno del sesto mese successivo alla data di
notifica, effettuata dalle parti contraenti, del completamento delle rispettive procedure per l’adozione dello stesso (art. 10); l’ambito applicativo è esteso all’intero
territorio comunitario.
Nuova modifica del regolamento relativo all’introduzione dell’euro. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 346 del 29 dicembre 2005 pubblica il
regolamento (CE) n. 2169/2005 del Consiglio del 21 dicembre 2005 recante
modifica del regolamento (CE) n. 974/98 relativo all’introduzione dell’euro (in
questa Rivista, 1998, p. 657). Nell’intento di fornire chiarezza e certezza riguardo
alle norme relative all’introduzione dell’euro in altri Stati membri, oltre agli
attuali dodici, è necessario stabilire disposizioni generali, per precisare come si
determineranno in futuro i vari periodi di transizione per il passaggio all’euro
(considerando 3), omettendo tutti i riferimenti ancora presenti alla «terza fase
dell’Unione economica e monetaria» (si vedano in particolare le nuove definizioni di data «di adozione dell’euro» e di «sostituzione del denaro liquido»
inserite alle lett. d ed e dell’art. 1, oltre che le conseguenti modifiche apportate
alle lett. c, g, h, i). Viene dunque allegato un elenco degli Stati membri attualmente partecipanti (tra cui risulta anche la Grecia il cui ingresso in area euro
aveva determinato una prima modifica del regolamento in esame; cfr. il regolamento n. 2596/2000, in Gazz. Uff. Un. eur., n. L 300 del 29 novembre 2000) che
potrà essere esteso quando altri Stati membri adotteranno l’euro come moneta
nazionale. È specificato che il periodo di transizione tra la sostituzione con l’euro
della rispettiva moneta nazionale degli Stati membri partecipanti e l’introduzione
delle banconote e delle monete metalliche in euro deve essere al massimo di tre
anni «e comunque quanto piú breve possibile» (considerando 5 e art. 1 par. 1
lett. h). Lo Stato che decida di non ricorrere al periodo di transizione, può in
ogni caso beneficiare di un periodo di «abbandono graduale» della durata massima di un anno, nel corso del quale nei nuovi strumenti giuridici – limitati a tipi
determinati, oppure adottati in settori determinati dallo stesso Stato – si potrà
continuare a far riferimento all’unità monetaria nazionale (considerando 6 e art.
1 par. 5). L’art. 14 del regolamento (CE) n. 974/98 è sostituito dal seguente:
notiziario
603
«Nel caso che, in strumenti giuridici esistenti il giorno precedente la data di
sostituzione del denaro liquido, vi siano riferimenti a un’unità monetaria nazionale, questi sono intesi come riferimenti all’unità euro, secondo il rispettivo tasso
di conversione. Si applicano le norme relative all’arrotondamento previste nel
regolamento (CE) n. 1103/97». Viene confermato infine che, nel periodo di
circolazione delle due monete, è possibile per il pubblico cambiare gratuitamente
le banconote e le monete metalliche nell’unità monetaria nazionale in banconote
e monete metalliche in euro, fatti salvi però determinati massimali eventualmente
stabiliti dalla legge nazionale o, in mancanza, dagli stessi enti creditizi, di cui è
peraltro data una specifica definizione all’ art. 1 par. 1 lett. k (considerando 7 e
art. 1 par 8).
Norme minime per le procedure relative al riconoscimento e alla
revoca dello status di rifugiato. Nella Gazz. Uff. Un. eur., n. L 326 del 13
dicembre 2005 è stata pubblicata la direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1º
dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. L’approccio del
legislatore comunitario alla materia non è stato quello di elaborare una procedura
uniforme che resta invece ancorata alla disciplina costituzionale ed amministrativa
di ciascun Stato membro, ma quello d’introdurre una piattaforma minima comune.
Queste regole minime comprendono alcune garanzie procedurali per il richiedente
asilo (es. informazioni sulla procedure, possibilità di un colloquio personale, diritto
all’assistenza e alla rappresentanza legale), delle garanzie relative al processo decisionale (ad es. le decisioni devono essere prese in modo individuale, obiettivo ed
imparziale, da personale specializzato in materia di asilo e di questioni relative ai
rifugiati), delle regole comuni per l’applicazione di alcuni concetti (es. domanda
inammissibile, domanda manifestamente infondata), il diritto ad un ricorso effettivo
davanti ad un giudice in caso di decisione negativa su una domanda di asilo. La
direttiva contiene, inoltre, disposizioni relative alla definizione di «paese sicuro». In
particolare, uno Stato membro può applicare il concetto di paese terzo sicuro solo
se le autorità competenti accertano che una persona richiedente asilo riceve in tale
paese un trattamento conforme ai criteri espressamente indicati all’art. 27 della
direttiva e nel rispetto della disciplina nazionale. Viene inoltre prevista l’elaborazione di una lista europea dei paesi terzi considerati di origine sicura (art. 29) che
non pregiudicherà, tuttavia, l’utilizzo di elenchi redatti a livello nazionale già presenti al momento dell’adozione della direttiva. Gli Stati hanno tempo fino al 1º
dicembre 2007 per dare attuazione alle suddette disposizioni. Per quanto concerne
l’art. 15, relativo al diritto all’assistenza e alla rappresentanza legale, la scadenza è,
tuttavia, prevista per il 1º dicembre 2008.
Dichiarazioni della Francia e dell’Ungheria di accettazione
della competenza pregiudiziale della Corte di giustizia di cui all’art.
35 del trattato UE. Nella Gazz. Uff. Un. eur., n. L 327 del 14 dicembre 2005 è
stata pubblicata, a cura del Consiglio, una «informazione» relativa alle dichiarazioni
della Repubblica francese e della Repubblica di Ungheria di accettazione della
competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi in via pregiudiziale sugli atti
604
notiziario
di cui all’art. 35 del trattato sull’Unione europea; tale norma prevede che con una
dichiarazione effettuabile in qualsiasi momento ogni Stato membro possa accettare
la competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione e sulla validità delle decisioni quadro, delle decisioni e delle convenzioni
stabilite nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. La
Francia ha dichiarato di accettare la competenza della Corte di giustizia delle
Comunità europee conformemente alle disposizioni stabilite nei par. 2 e 3 lett. b
dell’art. 35, conferendo in tal modo la facoltà di rinvio a ogni giurisdizione dello
Stato, mentre l’Ungheria ha dichiarato di accettare la competenza della Corte
secondo quanto stabilito ai par. 2 e 3 lett. a del medesimo articolo, sicché solo le
giurisdizioni avverso le cui decisioni non sia possibile proporre ricorso potranno
operare il rinvio. Viene inoltre riportata la situazione relativa alle dichiarazioni che
alcuni altri Stati membri avevano effettuato in precedenza.
Modifiche del protocollo sullo statuto della Corte di giustizia,
del regolamento di procedura del Tribunale di primo grado e decisione
del Presidente della Corte sul Tribunale della funzione pubblica. In
data 12 ottobre 2005, il Tribunale di primo grado delle Comunità europee ha adottato
alcune modifiche al proprio regolamento di procedura (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 298
del 15 novembre 2005) volte a chiarire, alla luce dell’esperienza applicativa, il dettato
di talune norme; ad adeguare ai principi contenuti nella direttiva 2003/8/CE, contenente norme minime comuni relative al patrocinio a spese dello Stato nelle controversie transfrontaliere, il capo VII del titolo II del regolamento, relativo al gratuito
patrocinio, che è interamente sostituito; e a regolamentare, in un nuovo titolo V, le
impugnazioni proposte contro le decisioni del Tribunale della funzione pubblica
dell’Unione europea. In relazione a questo ultimo, deve essere segnalata la decisione
del Presidente della Corte di giustizia (ibidem, n. L 325 del 12 dicembre 2005), del 2
dicembre 2005, con cui si dichiara che il Tribunale della funzione pubblica è regolarmente costituito e che, dal giorno successivo a quello della pubblicazione della
decisione, è competente in primo grado a pronunciarsi in merito alle controversie tra
le Comunità e i loro agenti, ai sensi dell’art. 1 dell’allegato I allo statuto della Corte. La
decisione tiene conto della nomina dei giudici del Tribunale, avvenuta con la precedente decisione del Consiglio 2005/577/CE, Euratom del 22 luglio 2005 (ibidem, n. L
197 del 28 luglio 2005); della designazione, in data 6 ottobre 2005, del Presidente ai
sensi dell’art. 4 dell’allegato I allo statuto della Corte (ibidem, n. C 271 del 29 ottobre
2005) e della nomina del cancelliere, avvenuta il 9 novembre 2005 (ibidem, n. C 296
del 26 novembre 2005); della avvenuta costituzione delle sezioni, della elezione dei
loro presidenti, della definizione dei criteri di attribuzione dei giudici alle sezioni, della
designazione del giudice che sostituisce il Presidente del Tribunale in qualità di
giudice dei procedimenti sommari e dell’avvenuta prestazione del giuramento da
parte del cancelliere in data 30 novembre 2005 (ibidem, n. C 322 del 17 dicembre
2005). Va infine segnalata una rettifica alla decisione del Consiglio 2005/696/CE,
Euratom, recante modifica del protocollo sullo statuto della Corte di giustizia al fine di
stabilire condizioni e limiti del riesame da parte della stessa Corte delle decisioni
emesse dal Tribunale di primo grado (sulla quale v. questa Rivista, 2006, p. 336 s.),
che corregge la numerazione dei nuovi articoli inseriti dalla stessa decisione nello
statuto della Corte (Gazz. Uff. Un. eur., n. L 301 del 18 novembre 2005).
notiziario
605
Direttiva contro l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 309 del
25 novembre 2005 pubblica la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del
terrorismo. Tale atto prosegue la politica comunitaria di lotta contro il riciclaggio e
finanziamento del terrorismo ed è diretta a sostituire la direttiva 91/308/CEE, che
viene abrogata.
La direttiva definisce le nozioni di «ente creditizio», «ente finanziario», «riciclaggio» e «finanziamento del terrorismo», nonché quella di reati gravi. Piú specificamente, l’art. 3 precisa che le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente,
costituiscono riciclaggio: «a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati
essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei
beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle
conseguenze giuridiche delle proprie azioni; b) l’occultamento o la dissimulazione
della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei
beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività; c) l’acquisto, la
detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro
ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione
a tale attività; d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti,
l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare,
istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione».
Il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da
riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato membro o di un paese terzo.
Per «finanziamento del terrorismo» si intende invece la fornitura o la raccolta di
fondi, in qualunque modo, direttamente o indirettamente, con l’intenzione di utilizzarli, in tutto o in parte, per compiere uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4
della decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 sulla lotta
contro il terrorismo, o sapendo che saranno utilizzati a tal fine.
La direttiva prevede che gli Stati membri impongano obblighi di verifica della
clientela ad enti e persone ad essa soggette, nelle seguenti ipotesi: «a) quando
instaurano rapporti d’affari; b) quando eseguono transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a euro 15000, indipendentemente dal fatto che siano
effettuate con un’operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate;
c) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile; d) quando vi sono
dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini
dell’identificazione di un cliente» (art. 8). Tali obblighi non sussistono quando il
cliente è a sua volta un ente creditizio o finanziario soggetto alla presente direttiva,
oppure un ente creditizio o finanziario situato in un paese terzo, che imponga
obblighi equivalenti a quelli previsti dalla presente direttiva e preveda il controllo
del rispetto di tali obblighi (art. 11). Sono inoltre previsti obblighi semplificati di
verifica o deroghe agli obblighi stessi in ipotesi specifiche (art. 11), nonché obblighi
rafforzati per ipotesi «sospette» (art. 13). È previsto che enti e persone soggetti alla
direttiva possano assolvere agli obblighi loro imposti mediante terze persone, in
particolare enti soggetti a registrazione professionale obbligatoria e che applichino
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notiziario
misure di adeguata verifica della clientela (art. 16). Sono poi imposti obblighi di
segnalazione di «ogni attività che essi considerino particolarmente atta, per sua
natura, ad avere una connessione con il riciclaggio o con il finanziamento del
terrorismo» (art. 20). Ciascuno Stato membro è inoltre tenuto ad istituire una unità
centrale nazionale, con il compito di ricevere (e nella misura consentita di richiedere), di analizzare e di comunicare alle autorità competenti le informazioni che
riguardano un possibile riciclaggio, un possibile finanziamento del terrorismo o che
sono richieste dalle disposizioni legislative o regolamentari nazionali. Sono previste
sanzioni per le ipotesi in cui le persone fisiche o giuridiche soggette alla direttiva
violino le disposizioni emanate nella sua applicazione.
Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla proposta
di direttiva sulla mediazione. Il 9 giugno 2005 il Comitato economico e
sociale europeo ha reso un parere, pubblicato in Gazz. Uff. Un. eur., n. C 286
del 17 novembre 2005, sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio su determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale
(cfr. questa Rivista, 2005, p. 297 s.). In linea generale, il Comitato accoglie con
favore l’iniziativa della Commissione. Muove tuttavia alcuni appunti su specifici
aspetti, tra i quali l’importanza di un’armonizzazione, pur minima, dei requisiti
necessari per l’esercizio dell’attività di mediatore.
Nuovi provvedimenti relativi a misure restrittive nei confronti di
Liberia e Uzbekistan. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 326 del 13 dicembre 2005
pubblica il regolamento (CE) n. 2024/2005 della Commissione del 12 dicembre
2005, che modifica il regolamento (CE) n. 872/2004 del Consiglio relativo ad
ulteriori misure restrittive nei confronti della Liberia (v. questa Rivista, 2004, p.
1492), ampliando ed aggiornando l’elenco delle persone soggette a tali misure,
contenuto nel suo allegato I (ibidem, 2005, p. 1238).
La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 299 del 16 novembre 2005 pubblica la posizione
comune 2005/792/PESC del Consiglio del 14 novembre 2005 concernente misure
restrittive nei confronti dell’Uzbekistan consistenti nel divieto di vendere, fornire o
trasferire a tale Stato armamenti e materiale connesso di qualsiasi tipo nonché di
fornire direttamente o tramite intermediari assistenza tecnica o finanziaria relativamente alla fornitura, alla fabbricazione, alla manutenzione all’utilizzo dei prodotti
menzionati. Il divieto in parola non si applica qualora le attività di cui sopra siano
dirette a vantaggio del personale impegnato in missioni di pace, né qualora si tratti
di fornire abbigliamento protettivo, per uso esclusivamente personale, a soggetti
facenti parte di progetti supportati dalle Nazioni Unite, dall’UE o dai suoi Stati
membri. L’art. 3 della posizione comune prevede inoltre che gli Stati membri
dell’Unione adottino «le misure necessarie per impedire l’ingresso nel loro territorio
delle persone di cui all’allegato II direttamente responsabili dell’impiego indiscriminato della forza ad Andijan e di ostacolare un’inchiesta indipendente». Tale
disposizione è tuttavia soggetta a deroghe nel caso in cui uno Stato membro debba
consentire l’ingresso di suoi cittadini nel proprio territorio, adempiere un obbligo
derivante dal diritto internazionale (tra quelli elencati al par. 3 dello stesso art. 3),
ovvero attuare azioni rese necessarie da ragioni umanitarie urgenti o dall’esigenza di
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607
consentire la partecipazione a conferenze intergovernative dei soggetti indicati
nell’allegato. In queste due ultime ipotesi tuttavia la deroga non può essere attuata
in mancanza di previa autorizzazione da parte del Consiglio.
Proposta della Commissione di regolamento «Roma I». Il 15 dicembre 2005 la Commissione europea ha presentato, sulla scorta del Libro verde del
gennaio 2003 e dell’ampio dibattito che ne è seguito (cfr. questa Rivista, 2003, p.
648 s.), una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali («Roma I»).
La proposta di regolamento si differenzia dalla vigente convenzione di Roma
del 19 giugno 1980 sotto vari aspetti. Con riguardo, in primo luogo, all’ambito di
applicazione materiale (art. 1), è espressamente esclusa la responsabilità precontrattuale, che dovrebbe ricadere nell’ambito del futuro regolamento Roma II (par. 2
lett. i), mentre non figura una disposizione analoga a quella dell’art. 1 par. 3 della
convenzione di Roma, che esclude i contratti di assicurazione per la copertura di
rischi localizzati nel territorio comunitario. In secondo luogo, per quanto concerne
le norme di conflitto uniformi, la proposta di regolamento mantiene la struttura
della convenzione del 1980, basata sulla previsione di norme generali per tutti i
contratti, derogate da norme speciali per i contratti con contraenti deboli, ma ne
innova per vari aspetti il contenuto. Cosı́, è ammessa la scelta come legge applicabile di «principi e norme di diritto sostanziale dei contratti, riconosciuti a livello
internazionale o comunitario», quali i principi UNIDROIT o i Principles of European Contract Law, ma sono comunque fatte salve, in caso di scelta della legge di
uno Stato terzo, le «disposizioni imperative del diritto comunitario che sarebbero
applicabili al caso di specie». Inoltre, è stata profondamente innovata la struttura
dell’art. 4 sulla legge applicabile in mancanza di scelta, stabilendo una serie di
criteri rigidi di collegamento per figure contrattuali tipiche, accompagnati da una
clausola d’eccezione. Da ultimo, per quanto concerne le norme di conflitto speciali,
mentre la norma sui contratti di lavoro è rimasta sostanzialmente inalterata (art. 6),
da un lato è stato modificato l’art. 5 sui contratti di consumo – sia con riguardo alla
portata materiale della disposizione, sia con riferimento al meccanismo conflittuale,
prevedendo l’applicazione della legge della residenza abituale del consumatore,
senza possibilità alcuna di scegliere una legge diversa neppure se piú protettiva –
e dall’altro è stato introdotto un nuovo art. 7 sui contratti conclusi da un intermediario.
Da segnalare ancora la previsione di una definizione delle norme di applicazione necessaria (art. 8 par. 1); la modifica delle norme sulla cessione del credito,
sulla surroga convenzionale (art. 13) e sulla surroga legale (art. 14), da un lato, e la
previsione di una norma specifica per il caso di pluralità di debitori solidali (art. 15),
dall’altro. Degni di menzione sono infine l’art. 22 («Rapporti con altre disposizioni
del diritto comunitario»), la cui lett. c riecheggia l’art. 1 par. 2 lett. d della proposta
di regolamento Roma II sulle obbligazioni extracontrattuali, nella versione proposta
dalla posizione in prima lettura adottata dal Parlamento europeo il 6 luglio 2005; e
l’art. 23 («Rapporti con convenzioni internazionali in vigore»), con il quale sono
fatte salve le convenzioni multilaterali in materie particolari di cui siano parti degli
Stati membri, che devono provvedere a darne comunicazione alla Commissione, ad
esclusione delle convenzioni dell’Aja, rispettivamente, del 1955 sulla vendita di cose
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mobili e del 1978 sui contratti di intermediazione e sulla rappresentanza «quando
tutti gli elementi pertinenti della situazione sono localizzati, al momento della
conclusione del contratto, in uno o piú Stati membri».
Proposta di regolamento del Consiglio in materia di obbligazioni alimentari e comunicazione della Commissione sulla procedura normativa. In data 15 dicembre 2005 la Commissione ha presentato
una proposta di regolamento del Consiglio sulla giurisdizione, la legge applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze e la cooperazione amministrativa in materia di obbligazioni alimentari (COM(2005) 649 def.). La proposta, accompagnata da un memorandum esplicativo, fa seguito a un Libro verde
(COM(2002) 254 def.) pubblicato il 15 aprile 2004 (cfr. questa Rivista, 2004, p.
1488) e mira ad attuare uno dei punti programmatici del piano di azione adottato congiuntamente dal Consiglio e dalla Commissione sulla base del c.d. Programma dell’Aja (v. rispettivamente, ibidem, 2005, p. 1230 ss. e p. 290 ss.),
ovvero la creazione in materia di obbligazioni alimentari di un titolo esecutivo
che possa circolare senza ostacoli nello spazio giudiziario europeo. Con riguardo
ai contenuti della proposta, in materia di giurisdizione il nuovo regolamento
prevede la possibilità di adire una serie di fori tra loro alternativi (art. 3) e alcuni
fori residuali (art. 6) mentre limita la facoltà della sola proroga espressa della
giurisdizione, pattuibile esclusivamente per iscritto, alle controversie che non
abbiano a oggetto il diritto a una prestazione alimentare nei confronti di un
minore; specifiche disposizioni sono previste in materia di litispendenza (art.
7) e di connessione (art. 9). Quanto all’individuazione della legge applicabile,
la proposta contiene una criterio generale (la legge dello Stato di residenza
abituale del creditore, art. 13) e una serie di deroghe, in favore della lex fori
(art. 13 comma 2), della legge scelta dalle parti tra i fori tassativamente elencati
(art. 14) e, in casi particolari, della legge dello Stato di residenza abituale del
debitore o della comune nazionalità delle parti, oppure, nel caso di obbligazione
tra ex coniugi, della legge piú strettamente collegata al rapporto matrimoniale.
Di rilievo, sempre in materia di legge applicabile, le disposizioni sul rinvio e
sull’applicazione del limite dell’ordine pubblico, che distinguono a seconda che
la legge richiamata in applicazione dei criteri previsti dal regolamento sia la legge
di uno Stato membro o quella di uno Stato terzo.
La proposta contempla anche alcune regole uniformi di diritto processuale
civile (artt. 22-24), funzionali all’abolizione dell’exequatur (artt. 25-36). Sono elencati cinque motivi di rifiuto o di sospensione dell’esecuzione, ovvero un cambiamento delle circostanze, l’introduzione di una nuova domanda volta modificare la
decisione precedente, il già avvenuto adempimento dell’obbligazione, l’operare
della prescrizione e l’esistenza o riconoscibilità nello Stato richiesto di una decisione
inconciliabile (art. 33). La decisione è parimenti automaticamente riconosciuta ed
esecutiva qualora preveda pagamenti mensili da operarsi tramite trattenuta sul
salario (art. 34) cosı́ come sono esecutivi gli atti pubblici e gli accordi tra le parti
che abbiano tale caratteristica in uno Stato membro (artt. 37, 38). Regole particolari
sono previste per le decisioni di sequestro di conti bancari da parte dell’autorità
competente per il merito (art. 35) e con riguardo ai privilegi che il credito alimentare gode nei confronti degli altri debiti del debitore (art. 36). Nove articoli (da 39 a
notiziario
609
47) sono dedicati alla cooperazione amministrativa, che deve svolgersi tramite autorità centrali e avvalendosi della Rete giudiziaria europea in materia civile. Quanto
infine ai rapporti con gli altri strumenti comunitari e internazionali, il futuro regolamento dovrebbe sostituire, nel proprio ambito di applicazione, il regolamento
(CE) n. 44/2001 (v. questa Rivista 2001, p. 815 ss.) e il regolamento (CE) n. 805/
2004 (ibidem, 2004, p. 792 ss.) e prevalere, nei rapporti tra Stati membri, su ogni
accordo internazionale; infine, in materia di obbligazioni alimentari non sarà piú
applicabile l’art. 19 del regolamento (CE) n. 1348/2000 (ibidem, 2001, p. 779 ss.),
sostituito da apposita regolamentazione.
La proposta di regolamento è accompagnata da una comunicazione della Commissione al Consiglio che invita il quest’ultimo ad assoggettare all’art. 251 del
trattato CE le misure adottate ai sensi dell’art. 65 del trattato in materia di obbligazioni alimentari (COM(2005) 648 def.). La comunicazione affronta il problema
dell’individuazione della corretta procedura normativa determinato dalla previsione
da parte dell’art. 67, come modificato dal trattato di Nizza, di un regime derogatorio riservato alle «misure» che contengono «aspetti connessi con il diritto di
famiglia», le quali devono essere adottate all’unanimità dal Consiglio, previo parere
consultivo del Parlamento europeo, anziché secondo la generale procedura di codecisione. Secondo la Commissione la proposta di regolamento è volta a regolare
una materia connessa al diritto di famiglia e dovrebbe perciò essere adottata secondo la procedura derogatoria di cui all’art. 67 par. 5 del trattato CE. Infatti,
sebbene il legislatore comunitario abbia sempre ritenuto che norme di diritto
comune in materia di cooperazione giudiziaria civile potessero essere estese alle
obbligazioni alimentari come a qualsiasi altro credito, la nuova proposta sulle
obbligazioni alimentari si inserisce in un contesto diverso, riguardando esclusivamente tale tipo di obbligazioni, che nel regolamento Bruxelles I e nel regolamento
sul titolo esecutivo europeo costituivano soltanto una parte accessoria del settore
d’applicazione delle norme comuni ai crediti civili. Tuttavia secondo la Commissione, la circostanza che il credito alimentare abbia una natura particolare non fa
venire meno il contenuto patrimoniale del diritto e il fatto che l’intervento legislativo della Comunità riguardi essenzialmente tale aspetto rende priva di giustificazione l’applicazione della regola dell’unanimità, che mira anzitutto a tener conto dei
modi di organizzazione familiare degli Stati membri. Per tale motivo la Commissione invita il Consiglio ad avvalersi della facoltà, prevista all’art. 67 par. 2, secondo
trattino del trattato CE, di prendere una decisione al fine di trasferire la materia
delle obbligazioni alimentari dall’unanimità alla codecisione. Alla comunicazione è
quindi allegata una proposta di decisione del Consiglio ai sensi della quale (art. 1)
«A partire dal 1º giugno 2006, il Consiglio delibera secondo la procedura di cui
all’art. 251 del trattato, per l’adozione delle misure di cui all’art. 65 del trattato nel
settore delle obbligazioni alimentari».
Proposta di decisione del Consiglio sull’adesione della CE alla
Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato. Il 9 dicembre
2005 la Commissione ha presentato una proposta di decisione del Consiglio sull’adesione della Comunità europea alla Conferenza dell’Aja di diritto internazionale
privato (COM(2005) 639 def.). La proposta è accompagnata da una relazione che
dà conto del contesto politico e giuridico nel quale essa si inserisce e dell’esito dei
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notiziario
negoziati sulle condizioni e sulle modalità di adesione alla Conferenza, stabilite
nell’atto finale della conferenza diplomatica tenutasi nel giugno 2005 all’Aja (lo si
veda in questa Rivista, 2006, p. 271 ss.); si prevede che le modifiche allo statuto
della Conferenza, necessarie per permettere l’adesione della Comunità, possano
entrare in vigore entro il 1º luglio 2006. La proposta di decisione consta di un
unico articolo, ove si stabilisce che la Comunità aderisca alla Conferenza dell’Aja
con la dichiarazione di accettazione dello statuto dell’organizzazione (allegato I),
non appena questa ultima abbia deciso ufficialmente di ammetterla come membro,
di quattro allegati e di una scheda ove vengono sintetizzati gli effetti finanziari
dell’adesione. Tra gli allegati particolare interesse riveste il II, intitolato «Dichiarazione di competenza della Comunità europea specificante le materie per le quali i
suoi Stati membri le hanno trasferito competenze». La presentazione di tale dichiarazione rappresenta una condizione di adesione ai sensi del nuovo art. 2-bis dello
statuto della Conferenza. In essa la Commissione riprende testualmente i contenuti
dell’art. 65 del trattato CE, elencando poi le misure sino ad ora adottate sulla base
di tale competenza; viene inoltre specificato che la Comunità ha adottato norme in
materia di diritto internazionale privato anche in base agli artt. 95 e 153 del trattato
CE e che, in ogni caso, le competenze comunitarie sono in continua evoluzione,
sicché la Comunità, assieme agli Stati membri, si farà carico di comunicare al
Segretariato della Conferenza ogni eventuale cambiamento. Sono poi delineati i
limiti delle competenze esterne della Comunità cosı́ come risultanti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia; viene infine dato conto della posizione particolare di
Danimarca, Irlanda e Regno Unito.
Libro verde sul risarcimento del danno per violazione del diritto
comunitario antitrust. Con il Libro verde del 19 dicembre 2005, sulle azioni di
risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie
(COM(2005) 672 def.), cui è allegato un ben piú dettagliato documento di lavoro,
la Commissione europea avvia un dibattito pubblico – le risposte devono pervenire
entro il 2 aprile 2006 – su uno degli aspetti principali dell’applicazione privatistica
delle norme comunitarie che vietano le pratiche anticoncorrenziali (artt. 81 e 82
CE), ossia in occasione di controversie civili dinanzi ai giudici nazionali. Diverse le
questioni che la Commissione pone all’attenzione delle parti interessate, al fine di
valutare la necessità di adottare misure comunitarie per facilitare la proposizione di
azioni di risarcimento del danno. Tra queste si possono segnalare, ad esempio, il
tema dell’ammissibilità della c.d. «eccezione di trasferimento» a terzi del pregiudizio subito da un comportamento anticoncorrenziale, strettamente connesso a quello
della legittimazione ad agire dell’acquirente indiretto; o ancora la possibilità di
consentire azioni collettive (o meglio di gruppo) per la tutela dei consumatori.
L’aspetto piú interessante è poi quello della determinazione della legge applicabile alle azioni di risarcimento del danno sulla base del futuro regolamento Roma
II (cfr. questa Rivista, 2004, p. 827 s.), ossia in particolare se sia all’uopo necessario
adottare una norma di conflitto specifica che, in deroga al criterio generale della lex
loci delicti, preveda l’applicazione della legge del mercato interessato, o l’applicazione generalizzata della lex fori o ancora consentire all’attore di scegliere tra un
ventaglio di leggi applicabili. È curioso osservare che il Libro verde fa riferimento al
testo della proposta di regolamento Roma II, cosı́ come modificata dalla Commis-
notiziario
611
sione alla luce della posizione espressa dal Parlamento europeo in prima lettura il 6
luglio 2005, pubblicata come documento COM(2006) 83 def. soltanto il 21 febbraio 2006.
In tema di scambio di informazioni estratte dal casellario giudiziario. La Gazz. Uff. Un. eur., n. L 322 del 9 dicembre 2005 pubblica la decisione
2005/876/GAI del Consiglio del 21 novembre relativa allo scambio di informazioni
estratte dal casellario giudiziario, la quale, al fine di agevolare la reciproca assistenza
giudiziaria tra Stati membri, prevede che ciascuno di essi provveda alla designazione di un’autorità centrale, responsabile dell’acquisizione e della trasmissione di
tali informazioni. A tal fine l’art. 2 della decisione prevede che ciascuna autorità
centrale debba immediatamente informare gli Stati membri, per il tramite delle
autorità a ciò designate, delle condanne penali e delle successive misure pronunciate nei confronti dei loro cittadini, iscritte nel casellario giudiziario. Inoltre l’art. 3
prevede che, mediante l’utilizzo di appositi moduli, che figurano in allegato alla
decisione, possano essere richiesti da ciascuna autorità estratti o informazioni tratti
dal casellario giudiziario relativi a procedimenti penali a carico di persone residenti
o cittadini dello Stato membro richiedente o di quello al quale la richiesta viene
rivolta. In ogni caso le informazioni cosı́ acquisite non potranno essere utilizzate al
di fuori del processo con riferimento al quale sono state domandate. Si prevede
infine che gli Stati membri debbano porre i essere le misure necessarie per dare
attuazione alla decisione entro il 21 maggio 2006.
Libro verde sui conflitti di giurisdizione e principio del ne bis in
idem nei procedimenti penali. Il 23 dicembre 2005 la Commissione ha presentato un Libro verde sui conflitti di giurisdizione e sul principio del ne bis in idem
nei procedimenti penali, pubblicato come documento COM(2005) 696 def. La
finalità del Libro verde, chiarita nella sua prima parte, è quella di avviare in seno
all’Unione europea una discussione sulle misure da intraprendere al fine di prevenire la pendenza di piú procedimenti penali relativi ai medesimi casi, considerato
che attualmente non esiste alcuna regola per coordinare l’esercizio della giurisdizione da parte di giudici di piú Stati membri in questa materia, se si eccettua
l’applicazione del principio del ne bis in idem, recepito dagli artt. 54-58 della
convenzione di attuazione dell’accordo di Schengen. Questa si limita tuttavia a
evitare che su uno stesso caso si pronunci un secondo giudice comunitario, una
volta che sia già stata emessa in uno Stato membro dell’Unione europea una
sentenza di condanna passata in giudicato, mentre non ha l’effetto di prevenire
che vengano instaurati piú procedimenti paralleli in Stati membri diversi nei confronti del medesimo imputato.
Sulla base di queste considerazioni la Commissione ha rilevato l’opportunità di
predisporre un meccanismo volto a favorire l’individuazione del foro piú appropriato per la decisione di una determinata controversia. La seconda parte del Libro
verde è appunto dedicata alla descrizione di tale possibile meccanismo. Anzitutto la
Commissione sottolinea che le autorità giudiziarie di uno Stato membro dovrebbero essere tenute ad informare quelle degli altri Stati membri ogniqualvolta un
procedimento penale pendente dinanzi ad esse presenti un collegamento con i
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notiziario
suddetti Stati. Dovrebbe seguire una fase di reciproche consultazioni fra le autorità
interessate, destinata a concludersi o con un accordo sul foro competente ovvero, in
caso di posizioni divergenti, con l’intervento di un mediatore, incaricato di facilitare
il consenso su tale foro. Qualora nemmeno tale soluzione sia praticabile, si dovrà
valutare l’opportunità di istituire un organo in seno all’Unione europea, competente
a decidere in modo vincolante quale sia il foro piú idoneo alla instaurazione di un
determinato procedimento penale. Il meccanismo cosı́ descritto deve poi essere
conciliato con il rispetto dei principi del giusto processo, specialmente qualora la
decisione sul foro competente derivi da un accordo vincolante fra le autorità dei
singoli Stati. Dovrà quindi, secondo la Commissione, essere esplorata la possibilità
di predisporre un meccanismo di tutela per l’imputato, volto ad evitare che esso
subisca le conseguenze di decisioni arbitrarie. In particolare dovrà essere disciplinata la possibilità di ricorso contro tali decisioni, nonché un potere di controllo
sulle stesse, finalizzato a verificarne la compatibilità con gli standard di tutela dei
diritti dell’uomo nonché con una serie di criteri indicati e descritti dal medesimo
Libro verde, che fungono da parametri per la corretta individuazione della giurisdizione competente per decidere un determinato caso: a tal fine essi tengono conto
del rispetto del principio di territorialità, degli interessi della vittima e dell’imputato
e di quelli dello Stato.
La terza parte del documento è invece dedicata all’esame degli strumenti normativi attualmente esistenti nel quadro europeo per disciplinare il principio del ne
bis in idem. Al di là delle considerazioni, peraltro già espresse, circa l’inefficacia di
tale regola ai fini della soluzione di eventuali conflitti di giurisdizione e dell’individuazione del foro piú appropriato alla decisione di una controversia, la Commissione osserva che, una volta predisposto il meccanismo descritto nel Libro verde, il
principio in parola dovrebbe essere coordinato con la nuova disciplina.
Sulla ripartizione delle competenze in materia penale fra il primo
e il terzo pilastro. La Commissione ha presentato in data 23 novembre 2005
una comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio in merito alle conseguenze
della sentenza 13 settembre 2005 della Corte (C-176/03, Commissione contro Consiglio), pubblicata come documento COM(2005) 583 def.
Con tale decisione (riprodotta in questa Rivista, 2005, p. 1147 ss.), la Corte ha
annullato la decisione quadro 2003/80/GAI del Consiglio, del 27 gennaio 2003,
relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale, sulla scorta del
rilievo secondo cui essa, «sconfinando nelle competenze che l’art. 175 TCE attribuisce alla Comunità, viola nel suo insieme, data la sua indivisibilità, l’art. 47 TUE»,
il quale sancisce la primazia del diritto comunitario sul titolo VI del trattato sull’Unione europea.
La Commissione rileva, in prima battuta, che la portata della sentenza si
estende «al di là dell’ambito della tutela ambientale», applicandosi «a tutte le
politiche comunitarie e libertà entro le quali esistono norme vincolanti la cui efficacia potrebbe essere garantita solo da sanzioni penali». La Commissione prosegue
rilevando che il chiarimento fornito dalla sentenza della Corte circa la ripartizione
delle competenze fra il primo e il terzo pilastro determina, in particolare, due
conseguenze di rilievo. La prima è che «le disposizioni di diritto penale necessarie
all’effettiva attuazione del diritto comunitario rientrano nel TCE. In tal modo viene
notiziario
613
posto fine al meccanismo di doppio testo (direttiva o regolamento e decisionequadro) del quale ci si è piú volte avvalsi in anni recenti. In altre parole, o il ricorso
a una disposizione penale specifica alla materia in questione è necessaria per garantire l’efficacia del diritto comunitario, nel qual caso la norma viene adottata
esclusivamente nel primo pilastro, oppure non risulta utile ricorrere al diritto penale a livello dell’Unione, o ancora esistono già disposizioni orizzontali sufficienti, e
a livello europeo non vi è motivo di legiferare in modo specifico». La seconda è
invece che «le disposizioni orizzontali di diritto penale volte a favorire la cooperazione giudiziaria e di polizia in senso lato, comprese le misure di reciproco riconoscimento delle decisioni di giustizia, quelle fondate sul principio di disponibilità,
oltre alle misure di armonizzazione del diritto penale in sede di creazione dello
spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia non connesse con l’attuazione delle
politiche o delle libertà fondamentali comunitarie, ricadono nel titolo VI del
TUE». La Commissione prosegue illustrando le conseguenze della sentenza sugli
atti adottati e sulle proposte pendenti. A tal fine, la comunicazione contiene, in
allegato, un elenco di decisioni quadro «erronee interamente o in parte», in ragione
della scelta non corretta della base giuridica.
La Commissione segnala quindi l’intenzione di «procedere rapidamente a regolarizzare tali testi, ripristinando basi giuridiche corrette». Secondo la Commissione, la «correzione» del diritto vigente alla luce della sentenza potrà assumere
varie forme. Una di esse consiste nel procedere a un riesame dei testi esistenti,
all’unico scopo di renderli conformi alla ripartizione delle competenze fra il primo e
il terzo pilastro, quale discende dalla sentenza della Corte. Qualora non fosse
possibile raggiungere un accordo fra Commissione, Parlamento e Consiglio per
non rimettere in discussione la sostanza degli atti, la Commissione è intenzionata
ad avvalersi del proprio potere di proposta non solo per ripristinare le corrette basi
giuridiche negli atti adottati, ma anche per privilegiare soluzioni sostanziali conformi alla sua valutazione dell’interesse comunitario.
Quanto alle proposte pendenti, la Commissione segnala che si limiterà a introdurre le opportune modifiche nelle proprie proposte, che per il resto seguiranno
l’intero iter decisionale applicabile alla loro base giuridica.
Sul contrasto alla tratta di esseri umani. La Gazz. Uff. Un. eur., n. C 311
del 9 dicembre 2005 pubblica una comunicazione del Consiglio in merito a un «Piano
UE sulle migliori pratiche, le norme e le procedure per contrastare e prevenire la
tratta di esseri umani». La comunicazione è esclusivamente diretta a descrivere i
principi generali a cui improntare l’attuazione del piano d’azione al fine di elaborare
norme comuni, migliori pratiche e meccanismi destinati a prevenire e contrastare la
tratta di esseri umani, la cui approvazione è richiesta dal Programma dell’Aja (v.
questa Rivista, 2005, p. 1230 ss.). Secondo il Consiglio, tale piano dovrebbe fondarsi
«sul riconoscimento del fatto che, per affrontare con efficacia la tratta di esseri umani,
occorre un approccio integrato incentrato sul rispetto dei diritti umani e che tenga
conto del carattere globale di questi ultimi», approccio quest’ultimo che «richiede
una risposta politica coordinata segnatamente nel settore della libertà, della sicurezza
e della giustizia, delle relazioni esterne, della cooperazione allo sviluppo, degli affari
sociali e dell’occupazione, della parità di genere e della non discriminazione». È
allegata una tabella, che descrive le azioni previste e i tempi necessari al fine di
614
notiziario
coordinare l’azione dell’Unione, delimitare il problema, prevenire la tratta, ridurre la
domanda di sfruttamento della mano d’opera, migliorare il quadro di intelligence
strategico e tattico sulla tratta di esseri umani e permettere un approccio improntato
all’intelligence, nonché per migliorare il coordinamento fra l’azione comunitaria e
quella degli Stati membri al fine della repressione della stessa, nonché per porre in
essere misure di protezione e sostegno delle vittime della tratta.
Raccomandazione della Commissione sulla gestione transfrontaliera collettiva dei diritti d’autore nel campo dei servizi musicali online. Nella Gazz. Uff. Un. eur., n. L 276 del 21 ottobre 2005 è pubblicata la raccomandazione 2005/737/CE, adottata dalla Commissione il 18 ottobre 2005, sulla
gestione transfrontaliera collettive dei diritti d’autore e dei diritti connessi nel campo
dei servizi musicali on-line autorizzati (si veda anche la rettifica, ibidem, L 284 del 27
ottobre 2005). La raccomandazione, che rileva anche nell’ambito dell’accordo SEE
ed è indirizzata sia agli Stati membri sia agli operatori economici del settore, considera il collegamento fra l’offerta di servizi musicali on-line autorizzati e la gestione di
una serie di diritti d’autore e di diritti connessi (considerando n. 4), che il Parlamento
europeo ha affermato debbano essere tutelati indipendentemente dalle frontiere
nazionali e dalle modalità di utilizzo (considerando n. 3). Tale tutela si realizza
attraverso la concessione di licenze per l’utilizzazione on-line delle opere musicali,
che tuttavia sono spesso limitate su base territoriale (considerando n. 6 e n. 7). In tale
contesto la Commissione raccomanda l’adozione di normative che prevedano una
licenza multiterritoriale e vengano quindi incontro alle esigenze degli utilizzatori
commerciali, garantendo al contempo i titolari dei diritti (considerando n. 8). In
particolare al par. 3 della raccomandazione si prevede che «I titolari dei diritti
dovrebbero avere il diritto di affidare a un gestore collettivo di diritti di loro scelta,
in un ambito territoriale di loro scelta, la gestione di qualsivoglia diritto on-line
necessario ai fini della prestazione di servizi musicali on-line autorizzati, indipendentemente dallo Stato membro di residenza o dalla cittadinanza del gestore collettivo
dei diritti o del titolare dei diritti»; la necessità di garantire la facoltà del titolare di
determinare l’ambito territoriale del mandato dei gestori collettivi dei diritti è ulteriormente ribadita al par. 5 lett. b. La cittadinanza e la residenza del titolare del diritto
e del gestore collettivo dovrebbe inoltre non avere alcuna rilevanza nel caso di
trasferimento della gestione multiterritoriale del diritto da un gestore collettivo ad
un altro (par. 5 lett. c). In favore degli operatori commerciali la Commissione raccomanda che la concessione di licenze da parte dei gestori collettivi avvenga in base a
criteri obiettivi e senza alcuna discriminazione tra gli utilizzatori. Infine gli Stati sono
invitati a predisporre efficaci meccanismi di risoluzione delle controversie, soprattutto in materia di tariffe, condizioni di concessione delle licenze, affidamento dei
diritti on-line finalizzato alla loro gestione e ritiro dei diritti on-line (par. 15). La
Commissione si riserva di rivalutare, anche in base ai rapporti annuali inviati dagli
Stati membri e dai gestori collettivi sulle misure adottate in relazione alla raccomandazione, la necessità di ulteriori interventi a livello comunitario (par. 16, 17, 18).
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
Luı́s de Lima Pinheiro (ed.), Seminário Internacional sobre a Comunitarização do Direito Internacional Privado, Edições Almedina, Coimbra,
2005, pp. 164.
L’agile volume qui presentato si colloca tra le ormai numerose pubblicazioni
che trattano della cosiddetta comunitarizzazione del diritto internazionale privato,
che negli ultimi decenni ha modificato per molti versi le prospettive della materia, a
causa del susseguirsi delle iniziative normative della Commissione e della traduzione di tali iniziative in numerosi atti comunitari vincolanti destinati a disciplinare i
conflitti di leggi e di giurisdizioni nell’ambito delle relazioni fra gli Stati membri
dell’Unione europea e delle relazioni fra essi e Stati terzi. La pubblicazione raccoglie gli atti di una riunione tenutasi a Lisbona il 7 e 8 maggio 2004 e si apre con
scritti dedicati alla problematica generale dell’armonizzazione del diritto internazionale privato in Europa (vedi in particolare quelli di J. Basedow sul coordimento
delle norme sui conflitti di leggi e di M. Tenreiro sullo spazio europeo di giustizia
civile, ma anche quello di L. de Lima Pinheiro sui rapporti fra comunitarizzazione
dei conflitti di leggi e stabilimento e prestazione di servizi), seguiti da contributi piú
specifici, intesi a dare una valutazione di un atto comunitario (come nel caso di
M.H. Brito con riguardo al regolamento sulla giurisdizione e l’esecuzione delle
sentenze in materia matrimoniale e di responsabilità parentale) o a prospettare
punti di vista su argomenti piú specifici (come è il caso degli scritti di T. Hartley
sulla posizione inglese in materia di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni,
di E. Jayme sulla riforma dell’art. 3 della convenzione di Roma del 1980, di D.
Moura Vicente sul commercio elettronico, di R. Moura Ramos sul diritto al nome,
di P. Lagarde sulle successioni e i regimi matrimoniali).
Pur nella loro brevità, si tratta in ogni caso di contributi vivaci e ricchi di spunti
interessanti per il lettore anche esperto della materia trattata, che consigliano di
aggiungere utilmente il volume ad altri già apparsi dedicati alle stesse tematiche.
Fausto Pocar
Mark Lattimer, Philippe Joseph Sands (eds.), Justice for Crimes
Against Humanity, Hart Publishing, Oxford and Portland (Ore.),
2003, pp. 512.
Nato all’ombra dei procedimenti inglesi per l’estradizione del dittatore cileno
Augusto Pinochet (i due curatori hanno partecipato al procedimento in rappresentanza di organizzazioni non governative), questo volume raccoglie contributi di
autorevoli studiosi e pratici. Il tema è la giustizia per i crimini contro l’umanità.
616
rassegna bibliografica
Gli studi sono ordinati in quattro parti. La prima, intitolata «Atrocity, Impunity,
Justice», comprende un contributo autobiografico e al tempo stesso denso di dottrina e di esperienza di Benjamin Ferencz, uno dei rappresentanti dell’accusa al
processo di Norimberga, uno studio sulla giurisdizione universale di C.K. Keith,
uno studio sull’immunità dei capi di Stato di Brigitte Stern, e un esame della
resistenza apposta dagli Stati alla possibilità di sottoporre a giudizio i loro cittadini
per crimini internazionali di T.L.H. McCormack. La seconda parte, intitolata «Justice in International and Mixed Law Courts» si occupa: dei Tribunali per i crimini
nell’ex Jugoslavia e nel Ruanda (G.T. Blewitt), della raccolta ed ammissibilità delle
prove e dei diritti dell’accusato (R. May), della Corte penale internazionale (Ch.
Bassiouni), dei tribunali misti e dei conflitti di giurisdizione (D.F. Orentlicher). La
terza parte si intitola «Justice in National Courts»: W.J. Aceves e P.L. Hoffman si
occupano degli Stati Uniti, C. Montgomery del Regno Unito, F. McKay delle
riparazioni dovute alle vittime, A. Clapham di problemi di sovranità, di immunità
e di giurisdizione universale davanti alla Corte internazionale di giustizia. La quarta
parte si intitola «Perspectives from Practitioners». A. Brohaine esamina la Commissione di verità e riconciliazione del Sud Africa, S. Kadri i procedimenti contro
Hastings Banda in Malawi, E. David i contributi dei tribunali penali internazionali
allo sviluppo del diritto penale internazionale, G. Bondman le azioni penali nel
Regno Unito; N. Rodley si sofferma infine sui meccanismi delle Nazioni Unite di
protezione dei diritti umani e lo sviluppo del diritto penale internazionale, mentre
R. Brody considera l’uso della giurisdizione universale per combattere l’impunità. I
due curatori hanno scritto l’introduzione, mentre a uno di essi, Mark Lattimer, è
dovuta la conclusione, dedicata alla applicazione dei diritti umani attraverso il
diritto penale internazionale.
Si tratta di una raccolta di estremo interesse che giustappone scritti di taglio
accademico dovuti a notissimi studiosi come B. Stern, E. David, A. Clapham, Ch.
Bassiouni, N. Rodley, a scritti, non meno e talora anche piú affascinanti, di pratici.
Pur nella varietà delle voci, non è un volume «neutrale». È un libro in cui la tutela
dell’umanità e dei suoi diritti di fronte all’arbitrio delle piú gravi violazioni è il
valore ispiratore comune a tutti gli autori. Dall’insieme dei contributi emerge chiaramente come la coscienza di questo valore si sia consolidata e come sia indubbio il
progresso del diritto internazionale in materia.
Tullio Treves
David Luff, Le droit de l’Organisation mondiale du commerce. Analyse critique, Bruylant-L.G.D.J., Bruxelles-Paris, 2004, pp. XIVL-1277.
Il diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, sull’onda dello sviluppo
della giurisprudenza dei panels e dell’Organo d’Appello istituiti per dirimere le
controversie relative ai connessi accordi sul commercio internazionale, suscita notevole interesse nei giuristi di tutto il mondo. Se è la letteratura in lingua inglese (anche
se non necessariamente ad opera di autori per cui essa sia madrelingua) a prevalere
nettamente, non si possono non ricordare, ad esempio, in italiano, i lavori di Picone e
rassegna bibliografica
617
Ligustro, quelli della Adinolfi, della Distefano e di Vellano, oltre a volumi collettanei
quale quello, pionieristico, che reca gli atti del convegno SIDI del 1997.
Il volume che si segnala, pur non essendo l’unica (si pensi al breve volume di
Th. Flory pubblicato nel 1999), è certamente la piú ampia opera generale in lingua
francese. Delle oltre millecento pagine della trattazione, piú della metà è occupata
da un esame dettagliato del GATT e di tutti gli altri accordi sul commercio internazionale, ivi compresa una trattazione relativamente succinta, all’inizio del volume,
degli aspetti istituzionali, e del sistema delle fonti. Seguono un’ampia parte seconda,
sulle «procedure» dell’OMC, in cui il sistema di soluzione delle controversie e altre
procedure affini sono trattati distesamente. La terza ed ultima parte, che, stranamente si presenta come «annesso», si intitola «Problematiche orizzontali e di attualità». In essa si tratta della protezione dell’ambiente, delle persone, dei consumatori e dei diritti sociali, nonché della politica culturale e della produzione letteraria, artistica e audiovisuale, nell’ambito dell’OMC.
L’A. fornisce un quadro completo, con un notevole grado di dettaglio, della
materia trattata. Le fonti normative sono utilizzate e analizzate a fondo, e il contributo della giurisprudenza riceve il giusto valore. Pur essendo l’A. chiaramente al
corrente dei principali contributi dottrinali (ivi compresi quelli italiani) la problematica teorica non sembra essere quella di suo maggiore interesse. L’approccio, in
coerenza con la sua esperienza professionale, è piú pratico che teorico. Ma si tratta
di una pratica ad altissimo livello.
Tullio Treves
Erik Schäfer, Herman Verbist, Christophe Imhoos, ICC Arbitration in Practice, 3rd ed., Kluwer Law International-Staempfli Publishers
Ltd, The Hague-Berne, 2005, pp. XXIII-380.
Il sistema arbitrale della Camera di Commercio internazionale (CCI) – il centro
piú noto e prestigioso di arbitrato organizzato e amministrato ovvero, secondo la
terminologia introdotta in Italia dal d.l. 2 febbraio 2006 n. 40, di arbitrato «secondo
regolamenti precostituiti» – è stato oggetto di pochi manuali e trattati, di diversa
impostazione e parzialmente datati a seguito dell’ultima revisione del Regolamento
(Rules of Arbitration, in vigore dal 1º gennaio 1998), e di non numerosi commentari.
Quello che qui si presenta merita una segnalazione distinta ed appare particolarmente pregevole per una serie di ragioni soggettive e oggettive diverse ma di pari
significato.
Innanzi tutto le caratteristiche personali dei tre autori (un tedesco, un belga e
uno svizzero), oggi tutti avvocati intensamente coinvolti nel contenzioso arbitrale
internazionale, ma precedentemente tutti consiglieri presso il Segretariato della
Corte internazionale di arbitrato della CCI. Essi cioè hanno a lungo operato come
i veri macchinisti nel cuore del motore arbitrale CCI, internamente cioè all’organismo effettivo di gestione quotidiana, propulsione e vigilanza dei procedimenti
618
rassegna bibliografica
arbitrali, il Segretariato, a prescindere dai poteri formali riservati ai componenti
della Corte e al suo Presidente.
Proprio nella loro veste di meticolosi e sistematici amministratori di vicende
arbitrali concrete i tre coautori hanno potuto accumulare un vasto patrimonio di
conoscenze, in larga parte inaccessibili o confidenziali, di cui si avverte l’importanza
e l’unicità nel commento, il quale affronta problemi e propone soluzioni che spesso
non emergono da una lettura seppure attenta del Regolamento arbitrale.
Gli autori sono pratici dotati di competenze ed esperienze specifiche e non si
perdono in quest’opera, fortunatamente breve, in sterili discussioni accademiche
(sebbene non siano mancati interessanti contributi degli stessi, e specialmente del
Verbist, anche in importanti sedi scientifiche). Essi forniscono istruzioni precise ed
indicazioni concrete su che cosa fare e come farlo in ogni fase del procedimento
arbitrale, dalla prima richiesta di arbitrato all’emissione e trasmissione del lodo.
Sono dunque la semplicità, la chiarezza e l’agilità di questo prontuario per l’uso
che distinguono quest’opera da trattati ormai classici – come quello di Craig, Park e
Paulsson, Guide to the 1998 Arbitration Rules, Parigi (nell’ultima edizione del 2000) –
o da commentari piú dotti ed approfonditi magari però curati prevalentemente da
processualcivilisti nazionali, come, in Italia, il recente lavoro di Briguglio e Salvaneschi,
Regolamento di arbitrato della Camera di Commercio Internazionale, Milano, 2005.
È banale ma opportuno constatare che la riuscita di un’opera si misura anche
dal numero delle sue edizioni: quella qui recensita è la terza di questo lavoro, dopo
la prima versione in tedesco del 2000, e la successiva in francese del 2002, prova
della forte domanda di questo tipo di genere letterario anche nella lingua maggiormente diffusa nell’arbitrato commerciale internazionale.
Un apprezzamento va manifestato anche per l’ampio materiale normativo contenuto nelle appendici dell’opera (e che comprende persino un «Curriculum vitae
modello» per gli arbitri CCI!), per l’illustrazione ragionata dei termini e delle
decadenze nella procedura CCI (cap. 5), per le informazioni statistiche del capitolo
7 (basate sui dati forniti dall’ICC lnternational Court or Arbitration Bulletin), per la
tabella comparata di riferimenti a legislazioni arbitrali nazionali selezionate e per le
dodici efficaci rappresentazioni grafiche, dedicate a chiarire visivamente procedure
complesse, quali le comunicazioni fra le parti, il Segretariato della Corte e il tribunale arbitrale, la formazione del tribunale arbitrale, le ricusazioni e sostituzioni di
arbitri, la richiesta e il versamento di anticipi sui costi del procedimento arbitrale.
Vorrei concludere con qualche esempio specifico di utili osservazioni e raccomandazioni degli autori che nascono proprio e solo dalla loro esperienza e dimestichezza con situazioni e problemi in cui si può imbattere chi pratica quotidianamente l’arbitrato CCI.
Il primo esempio riguarda la determinazione del numero degli arbitri in assenza
di indicazioni delle parti e la generica presunzione in favore dell’arbitro unico di cui
all’art. 7 comma 2 delle Rules. Il manuale recensito sottolinea – a questo proposito
– il criterio prioritario del valore della controversia e ci spiega che la Corte si
orienterà verso il tribunale monocratico quando tale valore sia inferiore a USD
1.500 (ma piú il tempo passa piú tale soglia minima si accresce...); tuttavia i commentatori ci avvertono che quando l’arbitrato coinvolge uno Stato, la scelta della
Corte propenderà per un tribunale collegiale.
Il secondo esempio ci trasferisce nell’area della lingua del procedimento. Qui,
dietro l’apparente e rigorosa «denazionalizzazione» del Regolamento arbitrale CCI
rassegna bibliografica
619
e la sua neutralità circa la lingua dell’arbitrato (art. 16: «in assenza di accordo fra le
parti, il tribunale arbitrale determina la lingua o le lingue dell’arbitrato, tenendo
conto delle circostanze rilevanti, tra cui la lingua del contratto») si nascondono
alcune insidie e alcuni problemi irrisolti.
Fra i secondi, il Regolamento non precisa la lingua di corrispondenza con il
Segretariato né la lingua in cui debbano essere redatte la domanda di arbitrato e la
replica alla stessa – nella fase cioè anteriore al procedimento arbitrale in senso
stretto – neppure quando non vi siano dubbi circa la lingua dell’arbitrato.
Gli autori, tuttavia, raccomandano, specialmente per motivi di speditezza e di
riduzione dei costi (di traduzione), di utilizzare una delle due lingue ufficiali della
Corte (francese e inglese), sebbene per prassi il Segretariato, dando prova di elasticità e disponibilità, accetti anche corrispondenza, richieste di arbitrato e risposte
scritte in lingue non ufficiali ma conosciute dai consiglieri responsabili dei singoli
procedimenti quali, in ogni caso, il tedesco, lo spagnolo o l’italiano.
Ancora, l’art. 22 del Regolamento impone agli arbitri di dichiarare chiusa la fase
istruttoria (o meglio il dibattimento o procedimento in senso stretto), quando ritenga
che le parti abbiano avuto una sufficiente opportunità di presentare il proprio caso. Il
richiamo alla necessità di questa dichiarazione formale di conclusione, spesso trascurata dagli arbitri meno esperti, è inesorabile, sia da parte del consigliere responsabile
del procedimento, sia da parte della Corte in sede di controllo del progetto di lodo,
ossia nell’esercizio di una funzione caratteristica dell’arbitrato CCI, ed unica al
mondo prima della recente introduzione di un meccanismo simile ma non identico
nell’arbitrato della CIETAC (China International Economic and Trade Arbitration
Commission). Si badi che la dichiarazione formale di chiusura dell’istruttoria è indispensabile anche per i lodi non definitivi o parziali, che sono ugualmente assoggettati
allo scrutinio preventivo della Corte ex art. 27.
Ulteriori spunti vengono offerti al lettore in tema di provvedimenti emessi
dall’arbitro.
Secondo l’art. 2 (iii) del Regolamento, un lodo può essere non definitivo (interim), parziale (partial) o definitivo (final). Questa tipologia, non tassativa, non viene
peraltro definita e nella pratica – con l’eccezione dei final awards – si assiste a non
poche incertezze nella definizione dei provvedimenti adottati dal tribunale in relazione al loro contenuto, specialmente per quanto riguarda l’alternativa fra lodo non
definitivo e ordinanza processuale (procedural order).
Non è raro il ricorso a interim awards in materia di giurisdizione o diritto
applicabile, liberi sostanzialmente anche gli arbitri CCI di qualificare come parziali
o invece non definitive decisioni diverse dal lodo conclusivo, in un campo dove
manca una coerenza lessicale rigorosa e una giurisprudenza arbitrale consolidata.
Come osservano gli autori di ICC Arbitration in Practice, queste variazioni
terminologiche non sono importanti in sé e per sé, ma possono condurre a situazioni in cui un tribunale arbitrale decide mediante ordinanza una questione che
avrebbe dovuto far oggetto di un lodo (p. 119).
Può accadere, naturalmente, anche l’inverso. E, come è ben noto, il problema
della forma del provvedimento è esasperato, ed è stato specificamente ed estesamente
discusso, nel caso delle misure cautelari e provvisorie, oggetto di un separato articolo
delle Rules. In linea con l’orientamento liberale prevalente nei regolamenti degli
arbitrati amministrati, l’art. 23 comma 1 del Regolamento CCI consente agli arbitri
di adottare tali misure mediante una ordinanza motivata oppure mediante un lodo.
620
rassegna bibliografica
Esaminato succintamente il pro e il contro di questa vexata quaestio il commento (pp. 115-116) nota che la scelta del tribunale dovrebbe dipendere in primo
luogo dalle regole processuali imperative della sede dell’arbitrato e dalla rapidità ed
efficacia attese dal provvedimento cautelare. In questo senso i commentatori sembrano preferire e raccomandare l’ordinanza processuale motivata, che sfugge al
controllo preventivo della Corte, diversamente dal lodo non definitivo (sebbene
non sia da escludere che tale lodo possa essere approvato con procedura di urgenza
dal solo Presidente della Corte in base all’art. 1.3).
Naturalmente, anche la speranza che la misura cautelare e provvisoria in forma
di lodo possa piú facilmente venire riconosciuta ed eseguita all’estero è illusoria,
considerato che nell’interpretazione prevalente la convenzione di New York del
1958 intende assicurare l’esecuzione solamente di decisioni non suscettibili di modifiche successive. Ciò vale, logicamente e a maggior ragione, per le misure cautelari
adottate mediante ordinanza (salvo il famoso caso della Germania); tuttavia i dati
disponibili mostrano che l’inottemperanza al provvedimento cautelare non è frequente, in ragione dell’elevata probabilità che il tribunale tenga conto di tale inottemperanza nel suo giudizio definitivo.
Gabriele Crespi Reghizzi
Marta Gonzalo Quiroga, Orden público y arbitraje internacional en el
marco de la globalización comercial (Arbitrabilidad y Derecho aplicable
al fondo del controversia internacional), Editorial Dykinson, Madrid,
2003, pp. 295;
Marta Gonzalo Quiroga, Arbitrabilidad de la controversia internacional en Derecho de la Competencia y Condiciones Generales de Contratacion: Arbitraje Internacional de Consumo, Seguros y Trabajo, Editorial
Alhulia, Madrid, 2003, pp. 309.
Questi due libri di una giovane studiosa spagnola esaminano, in modo complementare l’uno rispetto all’altro, il problema del ruolo dell’ordine pubblico nell’arbitrato internazionale, in una prospettiva tuttavia particolare e diversa dall’usuale.
La prima opera presenta un taglio generale e ricostruttivo. La tesi di fondo
dell’A. è che al grande sviluppo dell’arbitrato internazionale degli ultimi anni e alla
sua progressiva autonomia rispetto agli ordinamenti nazionali deve fare da contrappeso, per evitare possibili distorsioni e frodi alla legge, una concezione dell’ordine
pubblico altrettanto transnazionale; un ordine pubblico cioè non piú – o non solo
piú – strumento di difesa di valori nazionali, ma espressione di valori autenticamente universali, di cui tenere conto nelle varie fasi di un arbitrato internazionale.
Su questa base, l’A. analizza le modalità di intervento dell’ordine pubblico
sull’arbitrabilità delle controversie internazionali, sotto il duplice profilo della definizione e della legge applicabile. Quanto al primo problema, l’A., consapevole
dell’attuale eterogeneità della nozione – la cui precisazione è affidata alle legislazioni
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rassegna bibliografica
nazionali, ma su cui spesso appunto proprio l’ordine pubblico interferisce – propone alcuni criteri per delimitare in modo uniforme la sfera dei rapporti sottoponibili ad arbitrato. Anche con riguardo alla legge applicabile, inoltre, l’A. dimostra
come l’ordine pubblico, della lex contractus ma anche di leggi di Stati terzi, secondo
i noti meccanismi internazionalprivatistici che danno rilevanza anche a queste ultime, sia un momento di garanzia fondamentale, costituendo un limite alla pur
amplissima autonomia delle parti e/o dell’arbitro in materia.
Il secondo volume, sulla scorta dei principi e della metodologia esposti nel primo,
esamina piú specificamente il problema dell’arbitrabilità, con particolare riferimento
ad alcuni settori, quali da un lato il diritto della concorrenza e dall’altro le aree in cui è
frequente il ricorso a condizioni generali di contratto (in particolare, contratti di
consumo, di assicurazione e di lavoro), ma nei quali esigenze di tutela della c.d. parte
debole rendono in genere inammissibile l’inserimento di una convenzione arbitrale.
Anche in questo caso la nozione di ordine pubblico, denominato a seconda dei
casi «di direzione» o «di protezione», e il suo rapporto con la autonomia privata
sono centrali nell’esposizione. Nel primo capitolo, dedicato alla concorrenza, le
conclusioni dell’A. si pongono in linea con le piú recenti elaborazioni dottrinali
ed espressioni della pratica. Dunque, l’arbitrabilità della controversia non è esclusa
per il solo fatto che la controversia sia regolata da norme appartenenti all’ordine
pubblico; al contrario, alcuni profili, tra i quali soprattutto le conseguenze civili
degli illeciti in materia, possono essere attribuiti al giudice privato.
Piú articolato il discorso per i rapporti relativi alle condizioni generali nei
contratti considerati, svolto nel secondo capitolo. Dopo avere analizzato sia le
difficoltà che si frappongono al ricorso all’arbitrato in ciascuno dei settori specifici
esaminati, sia le aperture di molti ordinamenti al riguardo, l’A., pur con alcuni
distinguo (si veda per esempio la differenza tra contratti di lavoro conclusi con
dirigenti e quelli conclusi con persone svolgenti mansioni subordinate), conclude
che l’arbitrabilità nei rapporti internazionali è in linea di principio ancora oggi
esclusa. De lege ferenda, la soluzione preferita dall’A., direi coerentemente alla
sua concezione «universalistica», è la creazione di un’istituzione internazionale di
arbitrato appositamente deputata alla soluzione di tali controversie, che sia provvista dei poteri necessari per garantire l’adeguata protezione delle parti deboli.
Per quanto ovviamente basate in larga prevalenza, soprattutto la seconda, sul
diritto spagnolo, l’ampia visione comparatistica e il segnalato sforzo sistematico
rendono queste opere uno strumento utile a chiunque abbia interesse di approfondire i meccanismi di funzionamento dell’arbitrato internazionale.
Alberto Malatesta
Registrazione presso il Tribunale di Milano al n. 6418, in data 26-11-1963
Direttore responsabile: prof. Fausto Pocar
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