seleucia al tigri le terrecotte figurate

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seleucia al tigri le terrecotte figurate
Monografie di
M E S O P O T A M I A
XVI
CENTRO RICERCHE ARCHEOLOGICHE E SCAVI
DI TORINO
PER IL MEDIO ORIENTE E L’ASIA
MISSIONE IN IRAQ
VI
ROBERTA MENEGAZZI
SELEUCIA AL TIGRI
LE TERRECOTTE FIGURATE
DAGLI SCAVI ITALIANI E AMERICANI
Prefazione di Antonio Invernizzi
volume
I
LE LETTERE
FIRENZE
In copertina: Figura femminile nuda dagli scavi italiani (2.S103).
Copyright © 2014 by Casa Editrice Le Lettere - Firenze
ISBN 978 88 6087 554 9
ISBN e-book 978 88 6087 891 5
www.lelettere.it
Stampa: Tipografia ABC - Sesto Fiorentino (FI) - Settembre 2014
PREFAZIONE
Le campagne di scavo effettuate a Seleucia al Tigri tra il 1964 e 1976 e tra il 1985 e il 1989 dal Centro Ricerche
Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia hanno portato all’acquisizione di reperti straordinariamente abbondanti per tre classi di materiali: ceramica, glittica e coroplastica. Se la quantità della documentazione ceramica,
sia per quanto riguarda i vasi interi sia per i frammenti, può rientrare nella media della produzione mesopotamica, la
ricchezza e la qualità delle testimonianze della glittica e della coroplastica costituiscono invece un caso raro nella
Mesopotamia seleuco-partica.
Per la glittica si tratta della fortunata scoperta dell’edificio degli Archivi cittadini e del suo straordinario contenuto
di migliaia di sigillature d’argilla, oggetto della pubblicazione di un catalogo in tre volumi: Seleucia al Tigri. Le impronte di sigillo dagli Archivi, a cura di A. Invernizzi, testi di A. Bollati, V. Messina, P. Mollo («Mnème». Documenti,
culture, storia del Mediterraneo e dell’Oriente Antico, 3), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004.
Le testimonianze della coroplastica si basano invece non solo e non tanto sul ritrovamento sporadico di un gran
numero di frammenti praticamente in ogni livello della successione stratigrafica (come è stato per i reperti della Missione
dell’Università del Michigan), ma anche e soprattutto sul reperimento di tre gruppi omogenei di figurine riconducibili
alla produzione di tre diversi ateliers in tre diversi luoghi della città e in tre momenti distinti della sua vita. È subito
evidente che il caso eccezionale di disporre di differenti contesti organici di produzione offre condizioni di studio
eccezionalmente favorevoli. Si verificano infatti qui per la prima volta circostanze che permettono di appoggiare su dati
di scavo oggettivi e relativamente certi la valutazione dello sviluppo cronologico della coroplastica seleucena e della
stessa Mesopotamia coeva, in rapporto sia alle scelte iconografiche sia allo stile di esecuzione delle figurine.
L’abbondanza e la varietà della produzione di figurine di terracotta di Seleucia al Tigri e la loro relativa importanza
per le nostre conoscenze sulla cultura della Mesopotamia seleuco-partica e dell’Asia ellenizzata, erano da tempo cosa
nota, fin dalla pubblicazione nel 1939 ad opera di W. van Ingen del catalogo – pur parziale – degli esemplari portati
alla luce nel corso degli scavi americani. Vista la disponibilità di questo materiale, e valutato il fatto che i frammenti
recuperati dalla missione torinese nelle sue prime campagne, solitamente sporadici, portavano a un aumento significativo delle testimonianze e accrescevano i tipi iconografici correnti nella città, avevo assunto io stesso il compito di
redigere il catalogo dei reperti via via effettuati campagna dopo campagna. La stesura del catalogo dei nuovi reperti,
descrittivo ma strutturato in modo da riservare particolare attenzione agli aspetti storico-artistici della coroplastica
seleucena, procedeva quindi in parallelo con lo sviluppo degli scavi fin dalla prima campagna, con il proposito di giungere
a una pubblicazione in tempi rapidi.
Il dattiloscritto aveva ormai ampiamente superato un numero di cartelle che ne raccomandava la stampa, tanto più
che la presenza tra i reperti di un piccolo gruppo di figurine riconducibili a uno stesso atelier (v. qui la sezione P)
rappresentava una novità importante, quando il materiale disponibile aumentò a dismisura in tempi considerevolmente
rapidi e concentrati. Infatti lo scavo in corso sul lato ovest dell’agorà degli Archivi incominciò a rivelare i prodotti di
una bottega più antica e ancor più ricca rispetto al primo gruppo (v. qui la sezione W). Non solo, a queste acquisizioni
seguì, nel saggio sul lato sud della medesima piazza, il ritrovamento di un terzo gruppo di terrecotte, che includeva
non solo prodotti finiti, ma anche matrici e scarti di lavorazione (v. qui la sezione S).
La presenza di questo abbondantissimo nuovo materiale non imponeva soltanto un sensibile rivolgimento della
sistemazione del catalogo predisposto in precedenza, ma richiedeva di riconsiderare completamente gli stessi criteri
alla base della sua redazione. Esso rendeva anzitutto inevitabile un drastico ridimensionamento non solo degli aspetti
descrittivi ma anche e soprattutto dei commenti storico-artistici, che la mole inusitata dei dati necessariamente consigliava di demandare in gran parte a successivi approfondimenti e a studi specifici. La sorte del catalogo prima redatto
pertanto non poteva che essere quella di una sua definitiva archiviazione nel cestino.
Tuttavia, facendo fede al primitivo impegno di pubblicare le figurine di terracotta, nonostante la contemporanea
gestione di una provvisoria sistemazione del catalogo delle cretule degli Archivi, ancora da me curata, procedevo a una
prima sommaria catalogazione delle figurine e a una schedatura “telegrafica” di ogni piccolo frammento delle due
botteghe della piazza degli Archivi non inventariato nel registro ufficiale. Questi frammenti, che erano particolarmente
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numerosi, appartenevano per lo più a esemplari prodotti dalle medesime matrici. Era infatti ben evidente la loro importanza
per effettuare uno studio delle seriazioni nel relativo processo di fabbricazione.
Le operazioni di scavo a Seleucia dovettero però venire sospese per partecipare, a partire dal 1978, alle campagne
di salvataggio archeologico lanciate dalle Autorità iraqene nel bacino delle dighe in costruzione sulla Diyala prima, e
sull’Eufrate poi. Veniva di conseguenza sospesa anche la catalogazione dettagliata del corpus di figurine portate alla
luce a Seleucia, ma non veniva certo meno il proposito di approfittare delle straordinarie aperture offerte dal nuovo
materiale per una valutazione storico-artistica e cronologica di questa produzione. Al contrario, proprio questa disponibilità dava nel frattempo origine a un progetto ambizioso: la catalogazione e lo studio di tutto l’insieme delle terrecotte messe in luce a Seleucia dalla missione americana e da quella italiana.
L’impressione generale infatti era che nel complesso gli esemplari degli scavi americani già pubblicati da W. van
Ingen appartenessero soprattutto a fasi recenti del periodo partico, mentre buona parte di quelli degli scavi italiani non
solo documentavano fasi anteriori, ma offrivano appigli cronologici concreti per definire uno sviluppo cronologico della
produzione seleucena. D’altra parte il lavoro di W. van Ingen necessitava di aggiornamenti e correzioni, mentre restavano ancora inedite le figurine portate alla luce nell’ultima campagna della missione americana, e tra queste spiccava
un numero considerevole di esemplari particolarmente significativi. Il progetto fu accolto favorevolmente dalla direzione del Kelsey Museum of Archaeology dell’Università del Michigan ad Ann Arbor, e rivolgo i miei più vivi ringraziamenti a Elaine Gazda, Sharon Herbert e Margaret Cool Root per aver prestato con grande efficacia il loro supporto
alla realizzazione di un lavoro per la sua mole destinato a durare più anni.
In seguito il tempo preso dagli impegni accademici e della direzione generale delle missioni dei progetti Hamrin e
Haditha, iniziò ad essere intervallato da periodi di vacanze-studio ad Ann Arbor, durante i quali potei esaminare tutte
le figurine là conservate, prendere note e, in attesa di poterne farne il catalogo, scattare fotografie di lavoro di tutti
gli esemplari. Questa attività fu grandemente facilitata dall’assistenza preziosa prodigatami del personale addetto alla
conservazione delle collezioni del Kelsey Museum. A tutti coloro che nel tempo si sono succeduti nell’esercizio di queste
funzioni anche nei tempi successivi alla mia frequentazione, e in particolare a Robin Meador-Woodruf e a Sebastian
Encina, è rivolto il mio più sentito ringraziamento.
Il continuo accrescersi del carico degli impegni accademici e direttivi mise tuttavia termine alla mia possibilità di
curare direttamente l’edizione del corpus di figurine di Seleucia, e comportò la mia rinuncia allo studio complessivo
delle terrecotte così come già era avvenuto per la pubblicazione delle cretule degli Archivi. Dapprima lo studio di una
specifica classe di figurine fu assegnato all’A. come parte del materiale oggetto della sua tesi di laurea “L’iconografia
degli dei fanciulli nell’Oriente ellenistico” (1998). Visti i promettenti risultati di questo studio, l’intero progetto fu
affidato all’A. prima per la sua tesi di specializzazione (2002), e quindi per quella di dottorato (2007). Tanti anni non
furono sufficienti, data la mole del materiale, a concludere lo studio complessivo. Ma fortunatamente l’A. assicurò la
propria disponibilità a proseguire il suo impegno e a portare a termine l’edizione dell’intero corpus ben al di là della
conclusione del suo curriculum di studi universitari.
La stampa di questo suo catalogo che finalmente ora si realizza è frutto delle sue cure attente ed affettuose, non
solo avendo Ella proceduto all’esame diretto di tutti gli esemplari conservati ad Ann Arbor e di quanto degli scavi
italiani era ancora disponibile in Iraq, ma avendo potuto affrontare alcuni aspetti particolari, tecnici e storico-artistici,
di dettaglio. Molti approfondimenti non potendo essere accolti in un catalogo di questa estensione, non si può che
auspicare che Essa continui a rivolgere la sua attenzione alle figurine di Seleucia, il cui repertorio costituisce un punto
di riferimento centrale per le manifestazioni artistiche dell’Asia ellenizzata.
In tanto materiale mancano purtroppo le figurine degli scavi americani conservate in Iraq, a causa dei drammatici
eventi bellici, e manca lo studio delle seriazioni dei tipi riferibili alle botteghe della piazza degli Archivi. Questo argomento in particolare non poté essere affrontato a causa delle difficoltà operative conseguenti all’embargo subito dall’Iraq dopo la prima guerra del Golfo, e lo studio delle seriazioni fu infine impedito dall’obbligo imposto nel 2002 dalle
Autorità iraqene di seppellire nell’area archeologica di Seleucia tutti i frammenti di figurine ancora conservati in loco
nella sede della missione, prima che ne fosse stato possibile effettuare la schedatura ragionata in funzione di quell’obiettivo.
Tuttavia, malgrado questi limiti contingenti, è evidente l’importanza di disporre di un lavoro con caratteristiche di
sostanziale completezza e delle valutazioni organiche di un solo autore profondo conoscitore della materia. Per la
Mesopotamia seleuco-partica l’importanza delle figurine di terracotta va ben al di là dello specifico caso della coroplastica; esse costituiscono infatti un materiale altamente rappresentativo per giudicare del carattere della cultura generale
del Paese in quel periodo, della continuità con il millenario passato, dei mutamenti portati dal presente e delle interrelazioni instauratesi con altre culture, quella ellenistica e quella iranica soprattutto, sia nel campo artistico e iconografico sia in quello della religione, dato il peso quantitativo e qualitativo dei soggetti in senso lato religiosi. E ciò ad
un livello sociale generalizzato ma con particolare riferimento al livello delle classi popolari, situazione tanto più preziosa questa, nella quasi totale mancanza di opere di scultura e pittura nella Babilonia seleuco-partica. Il presente catalogo
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costituirà dunque un’opera insostituibile di riferimento e viene stampato con l’augurio che possa stimolare riflessioni
e approfondimenti di varia natura da parte dell’A. e degli studiosi della materia.
Al termine di questa prefazione ritengo doveroso rivolgere un affettuoso pensiero a Giorgio Gullini, che nel scegliere
Seleucia al Tigri come obiettivo degli scavi torinesi ha ben compreso il ruolo storico e culturale di primo piano svolto
dalla città in antico. Ritengo inoltre necessario ricordare in particolare due membri della missione torinese per il loro
specifico contributo alla cura delle figurine di terracotta: Enrico Bertazzoli per le prime cure di restauro e conservazione durante le campagne di scavo, e Grazia Perrone, autrice delle riprese fotografiche e da ultimo digitali di quasi
tutto il materiale. Senza dimenticare Stefano Rolle, che è riuscito ad armonizzare in maniera più che soddisfacente
immagini di varia epoca e tecnica, migliorando per quanto possibile anche le poche precarie riprese di lavoro da me
eseguite ad Ann Arbor qui talvolta utilizzate.
Antonio Invernizzi
RINGRAZIAMENTI
Al termine di un lavoro così lungo e impegnativo da diventare una parte della mia vita sono molte le persone che desidero
ringraziare. Il primo ringraziamento va ad Antonio Invernizzi, che anni fa mi ha affidato questo straordinario repertorio – probabilmente intravedendo in me doti di perseveranza che ancora non sapevo di possedere – e che nel tempo ha seguito, incoraggiato
e indirizzato la mia ricerca. Prezioso è stato il sostegno del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente
e l’Asia, che con Antonio Invernizzi prima, Stefano de Martino e Carlo Lippolis poi, ha offerto un indispensabile supporto ai miei
studi e ne ha reso possibile la pubblicazione.
Di fondamentale importanza sono stati i soggiorni ad Ann Arbor, ospite del Kelsey Museum of Archaeology: all’allora direttrice
Sharon Herbert, a Sebastian Encina, Claudia Chemello, Suzanne Davis, Michelle Fontenot e a tutto lo staff vanno i miei ringraziamenti più sinceri per aver agevolato in tutti i modi il mio lavoro. Per la stessa ragione, la mia gratitudine va a Brian P. Kennedy
e a Sandra Knudsen, direttore e conservatrice del Toledo Museum of Art di Toledo (Ohio), e a Enrica Pagella e Cristina Maritano,
direttrice e conservatrice del Museo Civico di Arte Antica – Palazzo Madama di Torino. Durante il breve periodo passato in Iraq,
ho condiviso la prima fase di schedatura dei materiali dagli scavi italiani con Ariela Bollati; coordinatore di quella missione di studio
era Paolo Fiorina, che mi piace ricordare in queste righe.
Molto utile, in tutte le fasi del lavoro, è stato il confronto con la compianta Maria Maddalena Negro Ponzi e con Carlo Lippolis,
Vito Messina, Eleonora Pappalardo ed Elisabetta Valtz, che qui desidero ringraziare. Ricche di spunti sono state le conversazioni
con St John Simpson e Janet Ambers, grazie ai quali mi è stato possibile affidare ai laboratori del Department of Conservation and
Scientific Research del British Museum le analisi sui pigmenti impiegati nella decorazione delle figurine. Sono grata a Giacomo
Chiari, direttore del Getty Conservation Institute di Los Angeles, per avermi dedicato il suo tempo durante un breve soggiorno a
Torino, aiutandomi nelle indagini sulla policromia.
La documentazione fotografica che accompagna il catalogo è in larghissima parte opera dell’infaticabile Grazia Perrone, fotografa della missione italiana a Seleucia negli anni ’60 e ’70 e compagna di avventure durante le più recenti trasferte negli Stati Uniti.
Per la digitalizzazione e il ritocco delle fotografie analogiche ringrazio Claudio Fossati e Irene Mondino. A Claudio Mondino va
il mio grazie per aver creato un database in grado di gestire una mole così grande di materiale. Per la revisione dei testi in inglese
ringrazio Daniel Di Salvo e Roberto Marsengo. Per il lungo e accurato lavoro di redazione ringrazio Stefano Rolle.
Un grazie affettuoso va alla mia famiglia per avere imparato a convivere con le “mie” terrecotte. L’ultimo, grande ringraziamento
va ai miei genitori e in particolare a mia madre, che per molto tempo mi ha sostenuta e appoggiata: a lei questo lavoro, e il mio
lavoro di ogni giorno, è dedicato.
INDICE
VOLUME I
Prefazione di Antonio Invernizzi .............................................................................................................
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V
Ringraziamenti ........................................................................................................................................
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VIII
Bibliografia .............................................................................................................................................
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I. SELEUCIA AL TIGRI: GLI SCAVI E LE TERRECOTTE FIGURATE ......................................
1. Seleucia al Tigri: la stagione delle ricerche sul terreno ..............................................................
2. La distribuzione delle terrecotte figurate .....................................................................................
3. Organizzazione del catalogo ........................................................................................................
4. Note per la lettura delle singole schede ......................................................................................
5. Contesti di ritrovamento e cronologia generale ...........................................................................
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III. I SOGGETTI DEL REPERTORIO SELEUCENO .......................................................................
1. I soggetti della tradizione vicino-orientale ..................................................................................
2. I soggetti di ispirazione occidentale ............................................................................................
3. Originalità e forza di irradiazione del repertorio seleuceno ........................................................
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IV. CRONOLOGIA E STILE ...............................................................................................................
1. Le indicazioni cronologiche fornite dai dati di scavo .................................................................
2. La distribuzione dei soggetti nelle principali fasi di vita della città ...........................................
3. Cronologia e stile delle figurine: alcune annotazioni ..................................................................
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V. FUNZIONE E SIGNIFICATO .......................................................................................................
1. I contesti di ritrovamento dei fittili .............................................................................................
2. Sulle funzioni e sul significato di alcuni dei soggetti più popolari .............................................
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English translation ..................................................................................................................................
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I. SELEUCIA ON THE TIGRIS: THE EXCAVATIONS AND THE TERRACOTTA
FIGURINES .........................................................................................................................
1. Seleucia on the Tigris: the site investigations ...................................................................
2. The distribution of the terracotta figurines .......................................................................
3. Outline of the catalogue ...................................................................................................
4. Reading the catalogue entries ...........................................................................................
5. Find contexts and general chronology ...............................................................................
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II. TECHNIQUES AND PROCESSES OF PRODUCTION ..................................................
1. Techniques ........................................................................................................................
2. Surface treatment ..............................................................................................................
3. The workshops at Seleucia: structure and organization ....................................................
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II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI
PRODUTTIVI .................................................................................................................................
1. Le tecniche di fabbricazione .......................................................................................................
2. La finitura delle figurine .............................................................................................................
3. Struttura e organizzazione delle botteghe seleucene ....................................................................
Appendice: ANALYTICAL RESULTS FOR PIGMENT TRACES ON SELECTED SELEUCID TERRACOTTA AND PLASTER
FIGURINES FROM THE KELSEY MUSEUM, di Emma Passmore ................................................................
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VI.
1.
2.
3.
4.
5.
INDICE
III. THE SUBJECTS ..................................................................................................................
1. The subjects of the Near Eastern tradition .......................................................................
2. The subjects of Western inspiration and their models ......................................................
3. Originality and spread of the Seleucian repertoire ...........................................................
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IV. CHRONOLOGY AND STYLE ............................................................................................
1. The information from the archaeological context .............................................................
2. The chronological distribution of the subjects ..................................................................
3. Chronology and style: some notes .....................................................................................
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V. FUNCTION AND MEANING .............................................................................................
1. The finding contexts of the figurines ................................................................................
2. Functions and meaning of some of the most popular subjects .........................................
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CATALOGO
Divinità ed esseri mitologici greci ...................................................................................................
Figure femminili nude e seminude .................................................................................................
Figure femminili panneggiate ..........................................................................................................
Nutrici .............................................................................................................................................
Recumbenti ......................................................................................................................................
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77
106
135
182
193
TAVOLE ....................................................................................................................................................
Tavv. 1-207
......................................................................................................................................
Tavv. A-H
TAVOLE
A COLORI
VOLUME II
VI.
6.
7.
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9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
CATALOGO
Figure maschili nude e seminude ...................................................................................................
Figure maschili vestite .....................................................................................................................
Figure in armi e combattenti ..........................................................................................................
Cavalieri ..........................................................................................................................................
Musici e danzatori ...........................................................................................................................
Fanciulli ..........................................................................................................................................
Grotteschi ........................................................................................................................................
Teste femminili ................................................................................................................................
Teste maschili ..................................................................................................................................
Teste di fanciulli ..............................................................................................................................
Figure di incerta classificazione ......................................................................................................
p.
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264
278
316
352
398
413
471
488
518
TAVOLE .................................................................................................................................................... Tavv. 208-468
VOLUME III
VI.
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18.
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20.
21.
22.
23.
24.
25.
CATALOGO
Maschere .........................................................................................................................................
Parti del corpo .................................................................................................................................
Animali ..........................................................................................................................................
Modellini .........................................................................................................................................
Oggetti ..........................................................................................................................................
Rilievi
..........................................................................................................................................
Elementi di decorazione ceramica e recipienti figurati ...................................................................
Elementi architettonici .....................................................................................................................
Matrici ..........................................................................................................................................
p.
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539
586
628
695
720
734
776
790
802
TAVOLE ............................................................................................................................ Tavv. 469-751
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I.
SELEUCIA AL TIGRI: GLI SCAVI E LE TERRECOTTE FIGURATE
I.1. Seleucia al Tigri: la stagione delle ricerche sul
terreno
Gli scavi americani
Nel corso del ventesimo secolo, il sito di Seleucia al
Tigri – nell’odierno Iraq, una trentina di chilometri a sud
di Baghdad – fu oggetto di intense e approfondite indagini sul terreno che videro avvicendarsi due grandi missioni archeologiche. Protagonisti della prima stagione di
ricerche furono gli archeologi della University of Michigan che fra il 1927 e il 1937, in collaborazione con i
musei di Toledo e Cleveland, condussero sei campagne
di scavo sotto la direzione di Leroy Waterman e, nell’ultima, di Robert H. McDowell1.
Le prime due campagne della missione archeologica
americana furono dedicate all’esplorazione di un piccolo tell a sud-est di Tell ‘Umar, il più imponente dei rilievi
artificiali che punteggiano il sito. Le indagini portarono
alla luce un edificio isolato, misurante all’incirca 55x40
m e composto da una serie di ambienti disposti intorno
a un cortile centrale. Sulla base di un’iscrizione frammentaria in greco rinvenuta all’interno di una delle stanze,
l’edificio venne interpretato come Heroon dedicato al culto
dei sovrani seleucidi. Costruito intorno agli anni 145140 a.C., esso rimase in uso, con rimaneggiamenti successivi, fino alla seconda metà del II sec. d.C.2.
A partire dalla terza stagione e fino al termine delle
indagini sul terreno nel 1937, gli sforzi degli archeologi
americani si concentrarono prevalentemente nell’area
dell’isolato di abitazione G6, localizzato a sud del grande canale navigabile che taglia approssimativamente in
due la città nel senso della lunghezza. Gli scavi, che
raggiunsero i livelli seleucidi solo in punti estremamente
limitati, portarono all’esplorazione completa delle fasi
partiche dell’isolato. La successione stratigrafica dei tre
livelli di occupazione individuati – rispettivamente datati
alla prima, alla piena e alla tarda età partica3 – consentì
di seguire l’evoluzione dell’architettura domestica, individuando nel periodo compreso fra la metà del I e gli
inizi del II sec. d.C. il momento di passaggio dalla casa
con cortile porticato a due colonne alla casa con iwan,
ambiente rettangolare completamente aperto su un lato
breve e affacciato su un cortile.
Durante l’ultima stagione di scavo si procedette inoltre all’esplorazione di due vaste aree aperte localizzate
immediatamente a nord del grande canale centrale, occupanti ciascuna uno spazio all’incirca corrispondente a
quatto isolati. Più estese furono le indagini dell’area
collocata in prossimità del limite orientale del perimetro
urbano, denominata Temple A. Al suo interno venne
identificato un grande cortile quadrato chiuso da un muro
in mattoni quasi completamente spogliato e circondato
da un corridoio coperto. Di fronte al lato meridionale
del cortile sorgeva un piccolo teatro in mattoni crudi, di
cui si conservavano dieci file di sedili. Un piccolo teatro
venne rinvenuto anche nella seconda delle due aree aperte
(Temple B), situata nella porzione occidentale della città, il cui scavo non venne completato per l’interrompersi
dei lavori al termine della sesta campagna di scavo. Per
entrambe le aree, che presentano evidenti analogie, fu
proposta un’interpretazione come santuari, sebbene non
vi siano elementi in grado di suggerire a quali divinità
essi fossero dedicati. Sulla base dei ritrovamenti monetali, il periodo di vita dei due complessi si collocherebbe
fra la prima età partica e la fine del II sec. d.C.4.
Della trincea aperta nel massiccio di Tell ‘Umar si darà
conto in seguito. In un tell di forma semicircolare collocato all’estremità meridionale dell’area archeologica –
oltre la grande strada est-ovest che correva lungo il
margine sud del perimetro urbano – e indagato per poche
settimane durante la campagna di scavo 1928-1929, gli
archeologi americani credettero di riconoscere il teatro
di Seleucia5.
Gli scavi italiani
Dopo un’interruzione di quasi trent’anni, le indagini
a Seleucia ripresero ad opera del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia.
Sotto la guida di Giorgio Gullini, gli archeologi italiani
condussero quattordici campagne di scavo: undici fra il
1964 e il 1976 e tre fra il 1985 e il 1989.
Le prime tre stagioni di lavori furono esclusivamente
dedicate all’indagine di Tell ‘Umar, il grande rilievo artificiale collocato all’estremità settentrionale del perime-
1
HOPKINS 1972, iii. I risultati degli scavi americani, oggetto di
pubblicazioni preliminari negli anni ’30 del secolo scorso (WATERMAN 1931; IDEM 1933), sono stati raccolti in HOPKINS 1972.
2
Ibidem, 13-25.
3
Le indagini della missione archeologica americana portarono
all’individuazione di quattro principali livelli di occupazione
(HOPKINS 1972, 6): il liv. IV corrisponde al periodo seleucide; il liv.
III alla fase partica iniziale (141 a.C.-43 d.C.); il liv. II alla piena
età partica (43-116 d.C.); il I alla tarda età partica (116-227 d.C.).
4
HOPKINS 1972, 119-126.
5
Ibidem, 26-27. Tale interpretazione, non supportata da prove
documentarie, fu messa in discussione da A. Invernizzi (INVERNIZZI
1989c), al quale si deve l’identificazione del teatro greco di Seleucia.
2
ROBERTA MENEGAZZI
Fig. 1 - Seleucia al Tigri, gli scavi.
tro urbano. L’area era già stata oggetto di studio da parte
della missione archeologica americana, che durante la
campagna di scavo del 1931-32 aveva aperto una trincea nella parte sud-orientale del massiccio6. L’esplorazione
del tell impegnò gli archeologi italiani fino al 1970: gli
scavi rivelarono una sequenza stratigrafica complessa, che
andava dal periodo seleucide a quello sassanide. Le strutture in crudo di periodo seleucide-partico – successivamente inglobate nelle sostruzioni di una torre di guardia
sassanide – si rivelarono essere i resti del grande teatro
cittadino. Tale interpretazione, elaborata dall’allora direttore di scavo A. Invernizzi in un momento successivo
alla chiusura delle indagini sul terreno7, è stata recentemente confermata dagli studi che hanno portato all’edizione finale dello scavo8.
Nel 1967, un secondo cantiere venne aperto a sudovest di Tell ‘Umar, lungo il margine occidentale di
un’area che gli studi topografici di G. Gullini avevano
individuato come un vasto spazio aperto9. I lavori, protrattisi nelle sei stagioni successive, portarono alla luce
le strutture che occupavano il lato occidentale della grande
piazza, in seguito identificata come agora cittadina. Al
di sotto delle abitazioni e delle botteghe di età partica
furono rinvenuti gli Archivi cittadini, ospitati nell’unica
struttura di epoca seleucide indagata in estensione: al suo
interno, ammassate sui pavimenti delle stanze giacevano
oltre 25.000 sigillature in argilla, combuste durante l’incendio che distrusse l’edificio nell’ultimo quarto del II
sec. a.C.10.
All’esplorazione del lato orientale dell’agora furono
dedicate le tre campagne di scavo condotte negli anni
’80, che portarono alla luce parte di una stoa a camere
di età seleucide coperta da botteghe e abitazioni di epoca successiva11. Un saggio aperto nel 1972 e ampliato
nel 1976 permise di individuare il limite meridionale della
piazza, portando alla luce una ricchissima serie di depositi di terrecotte figurate, frammenti ceramici ed elementi
di decorazione architettonica12. La vocazione artigianale
dell’area, suggerita dalla presenza dei depositi, fu confermata da alcuni sondaggi effettuati durante l’ultima
stagione di scavo13.
Presso un’area già oggetto di indagine da parte degli
archeologi americani, quella del cosiddetto Heroon, fu
aperto un sondaggio di 10x25 m che portò alla luce resti
di canalizzazioni e di strutture in crudo verosimilmente
datate al periodo partico14.
Parallelamente al procedere delle indagini nel settore
settentrionale, dove si concentrarono maggiormente gli
sforzi degli archeologi italiani, un cantiere di scavo venne aperto all’estremità meridionale della città15, lungo la
grande strada commerciale est-ovest già citata a proposito degli scavi americani. L’area, prima indicata come
via Porticata e successivamente denominata Piazza sud,
subì sensibili trasformazioni nel corso del tempo. Quartiere di abitazione durante il periodo seleucide, sviluppò
HOPKINS 1972, 8-12.
INVERNIZZI 1991b, 354-356.
8
MESSINA 2010.
9
GULLINI 1967.
10
Per l’edizione finale dello scavo sul versante occidentale della
piazza degli Archivi si veda MESSINA 2006. Per il catalogo delle
impronte di sigillo, si veda INVERNIZZI 2004.
11
VALTZ 1986; EADEM 1988; EADEM 1990.
12
MENEGAZZI 2009a. Nelle pagine che seguono, il saggio verrà
indicato come “saggio sud”.
13
VALTZ 1990, 22-23.
14
NEGRO PONZI 1968-69.
15
GRAZIOSI 1968-1969; NEGRO PONZI 1970-71; EADEM 1972.
6
7
I. SELEUCIA AL TIGRI: GLI SCAVI E LE TERRECOTTE FIGURATE
Fig. 2 - Seleucia al Tigri, distribuzione delle terrecotte dagli
scavi americani.
una più marcata vocazione commerciale e artigianale
durante la prima età partica. Successivamente, una parte degli edifici venne abbattuta per creare un vasto spazio aperto quadrangolare affacciato lungo il lato sud del
grande asse di scorrimento.
I.2. La distribuzione delle terrecotte figurate
I materiali dagli scavi americani
Sei stagioni di scavo portarono alla luce una notevole
quantità di materiali fra cui moltissime terrecotte figurate,
per lo più in condizioni frammentarie. Degli oltre 4.000
esemplari ritrovati, circa 600 furono consegnati all’Iraq
Museum di Baghdad; gli altri formano la ricchissima collezione del Kelsey Museum of Archaeology di Ann Arbor16.
Grazie all’accuratezza della documentazione prodotta in fase di scavo, possediamo indicazioni circa il luogo
di rinvenimento del 75% delle figurine rinvenute. Come
illustra il grafico riportato alla Fig. 2, la maggior parte
di esse proviene dalle due aree in cui si concentrò maggiormente l’attività della missione archeologica americana,
ovvero l’isolato di abitazione G6 e l’Heroon, mentre
soltanto il 5% proviene dagli altri cantieri di cui si è dato
conto nel paragrafo I.1. In alcuni casi, le schede relative
agli esemplari rinvenuti nell’isolato di abitazione e nell’Heroon forniscono indicazioni circa il contesto di giacitura degli oggetti (sul pavimento; all’interno di una giara;
in tomba; nella muratura in crudo); più spesso, tuttavia,
si limitano a riportare l’ambiente e il livello di rinvenimento. Si tratta in ogni caso di informazioni estremamente preziose. L’attribuzione dei singoli esemplari a uno
dei quattro livelli di vita individuati dalla missione archeologica americana17 consente ad esempio di osservare la distribuzione delle figurine all’interno delle fasi
partiche dell’isolato G6, attestando una concentrazione
maggiore di materiali nel periodo partico iniziale, a cui
corrisponde una progressiva flessione nella piena e tarda età partica18. Decisamente diversa la situazione registrata nell’area del cosiddetto Heroon, dove le figurine
per le quali possediamo indicazioni circa il livello di
provenienza si distribuiscono in maniera omogenea all’interno delle quattro fasi di vita della città, con una
concentrazione maggiore nei livelli seleucide e tardo
partico19.
3
Fig. 3 - Seleucia al Tigri, distribuzione delle terrecotte dagli
scavi italiani.
I materiali dagli scavi italiani
Ancora più numerose sono le terrecotte provenienti
dagli scavi italiani: oltre 9000, anch’esse in condizioni
generalmente frammentarie. Degli oltre 2600 esemplari
inventariati, 270 furono portati in Italia ed entrarono a
far parte delle collezioni del Museo d’Arte Antica - Palazzo Madama di Torino, mentre gli altri furono consegnati all’Iraq Museum di Baghdad20. Gli oltre 7000
frammenti non inventariati furono conservati per quasi
trent’anni nei magazzini della casa della missione italiana a Tell ‘Umar. Nel 2002 fu organizzata una campagna di schedatura al termine della quale, secondo le disposizioni del locale Dipartimento di Antichità21, essi furono interrati in una fossa appositamente scavata nelle
adiacenze dei sopra citati magazzini.
Come illustrato dal grafico alla Fig. 3, le figurine dagli
scavi italiani risultano ripartite in misura ineguale fra i
vari settori. La più alta percentuale di fittili (42%) proviene dalla più piccola delle aree investigate, il saggio
aperto sul versante meridionale della piazza degli Archivi. Su una superficie di 214 mq vennero rinvenute oltre
3000 figurine, per lo più frammentarie, accatastate in
strati di accumulo o gettate nelle grandi fosse scavate
all’interno dei piccoli ambienti individuati o nell’area
aperta ad essi antistante. I depositi, in numero di 15, si
16
Dal 2012, presso il Kelsey Museum è conservato anche il
piccolo lotto di terrecotte dagli scavi americani – una cinquantina
di esemplari – di proprietà del Toledo Museum of Art di Toledo
(Ohio).
17
Sulla ripartizione in livelli operata dalla missione archeologica americana si veda la nota 3.
18
Del totale delle figurine dell’isolato G6 di cui è riportato il
livello di rinvenimento, soltanto il 4% è riferibile alla fase seleucide (ricordiamo che i livelli seleucidi furono raggiunti soltanto in
punti molto limitati del cantiere). Il 50% è riferibile alla fase partica più antica (liv. III), il 36% a quella intermedia (liv. II) e il
10% a quella recente (liv. I).
19
Il 25% delle terrecotte dall’Heroon è stato rinvenuto nel liv.
IV, il 20% nel liv. III, il 20% nel liv. II e il 35% nel liv. I.
20
A pochi anni dall’inizio degli scavi italiani, nel 1969, una
nuova prassi giuridica pose termine alla fino ad allora praticata
divisione paritetica dei reperti archeologici fra le autorità iraqene
e le istituzioni straniere artefici degli scavi.
21
Lo SBAH, State Board of Antiquities and Heritage.
4
ROBERTA MENEGAZZI
Fig. 4 - Seleucia al Tigri, Tell ‘Umar e la piazza degli Archivi.
collocano lungo un arco cronologico che va dalla seconda metà del II sec. a.C. al II sec. d.C.22.
Dal quartiere di abitazioni sorto in età partica sui resti
dell’edificio degli Archivi proviene il 18% delle figurine
dagli scavi italiani. Tale percentuale non include le terrecotte rinvenute nei depositi localizzati nella porzione
nord-occidentale del quartiere, legati all’attività di una
bottega artigiana e formatisi lungo un arco cronologico
che va dalla fine del II sec. a.C. alla metà del I sec. d.C.:
da sole, esse rappresentano il 16% del totale delle terrecotte dagli scavi italiani. Percentualmente analogo (17%)
è il numero delle terrecotte provenienti dall’area della
Piazza sud, concentrate in prevalenza nei livelli di tarda
epoca partica; una parte di esse fu rinvenuta in un piccolo deposito legato ancora una volta ad attività artigianali23. Decisamente più bassa (6%) la percentuale di fittili
portati alla luce durante gli scavi di Tell ‘Umar. All’incirca
un quarto di essi proviene dall’area del tempietto addossato alla fronte occidentale del teatro, ed è verosimilmente da considerarsi di originaria pertinenza templare24; gli
altri furono rinvenuti negli strati di accumulo che progressivamente sigillarono il teatro nelle fasi successive al suo
abbandono, costituendo le sostruzioni della torre di epoca sassanide. Il restante 1% è costituto da esemplari rinvenuti durante le indagini del lato orientale della piazza
degli Archivi (l’area della stoa) e del saggio aperto nel
settore nord della città, nei pressi dell’Heroon; decisamente
scarse, e dunque irrilevanti sotto il profilo percentuale, sono
le figurine di provenienza incerta o non indicata.
Fig. 5 - Seleucia al Tigri, il lato occidentale della Piazza sud.
I.3. Organizzazione del catalogo
L’organizzazione di un corpus così vasto e articolato
– formatosi nel corso degli anni grazie all’impegno di
due diverse missioni archeologiche – si è rivelata molto
complessa e ha richiesto una lunga riflessione. In effetti,
negli ultimi decenni i criteri di classificazione delle terrecotte hanno rappresentato una tematica ampiamente
dibattuta negli studi coroplastici, in particolar modo di
ambito greco. Ricerche esemplari25 – generalmente condotte su lotti di materiali provenienti da contesti sacri –
hanno posto il processo della produzione derivata alla
base della classificazione delle figurine26, organizzando
il materiale per tipi, generazioni, versioni e varianti27. Per
MENEGAZZI 2009a.
NEGRO PONZI 1970-71, 37. Sulle caratteristiche dei depositi
individuati in fase di scavo e sull’organizzazione del lavoro all’interno delle botteghe seleucene, cf. infra, par. II.3.
24
MENEGAZZI, MESSINA 2011, 129-136.
25
Si pensi al lavoro condotto da A. Muller sulle terrecotte dal
Thesmophorion di Thasos (MULLER 1996).
26
Il primo ad esaminare e codificare il sistema della produzione derivata fu R.V. Nicholls (NICHOLLS 1952); in anni recenti, la
problematica è stata ripresa e rivisitata da A. Muller (MULLER 1996,
27-59), al quale si deve anche la creazione di un dizionario multilingue della produzione coroplastica (IDEM 1997, 437-461).
27
Per le definizioni dei termini, si veda MULLER 1997, 451-454.
22
23
I. SELEUCIA AL TIGRI: GLI SCAVI E LE TERRECOTTE FIGURATE
molte ragioni, un sistema di questo genere non poteva
essere adottato nella presentazione dei fittili da Seleucia. In primo luogo – come del resto sottolineato in una
recente pubblicazione28 – esso appare difficilmente adattabile a materiali provenienti da aree di abitato, generalmente molto eterogenei per soggetti rappresentati e
contesti di rinvenimento29. Nel caso di Seleucia, inoltre,
ad un’analisi puntuale dei materiali sul piano della produzione derivata si opponevano anche condizioni legate
alla disponibilità fisica dei materiali, divisi fra musei
differenti e in parte non accessibili30.
Alla luce di tali considerazioni, si è ritenuta opportuna un’organizzazione del materiale su base sostanzialmente tematica, nel solco una tradizione ampiamente
consolidata negli studi sulla coroplastica mesopotamica31.
Il catalogo è stato suddiviso in venticinque capitoli, indicati con un numero arabo progressivo (1. Divinità ed
esseri mitologici greci; 2. Figure femminili nude e seminude; 3. Figure femminili panneggiate, ecc.). Ogni capitolo è preceduto da un’introduzione nella quale vengono discussi i caratteri generali dei materiali presentati. Nella maggior parte dei casi ad ogni capitolo corrisponde effettivamente un determinato soggetto32: divinità; figure femminili nude; figure femminili panneggiate;
nutrici; figure recumbenti e così via. In alcuni casi però
è la funzione dei fittili a rappresentare il criterio ordinatore del materiali: si pensi, ad esempio, ai capitoli sulla
decorazione ceramica, sugli elementi architettonici o sulle
matrici. Altrove, infine, ai capitoli corrispondono insiemi fittizi: ciò vale per le teste adespote – maschili, femminili e di fanciullo – e per i frammenti di figure di incerta identificazione33.
Sulla base delle affinità iconografiche individuate fra
i materiali in esame, all’interno di ciascun capitolo sono
stati individuati diversi gruppi34, ciascuno contrassegnato da una lettera dell’alfabeto maiuscolo. Per fare un
esempio, le figurine inserite nel capitolo “2. Figure femminili nude e seminude”, si divideranno in “A - Nude,
stanti”, “B - Nude, sedute”, “C - Seminude, stanti”.
Ciascun gruppo è stato quindi suddiviso in sottogruppi
che raccolgono figurine con caratteri di affinità iconografica ancora maggiore. Nel caso delle terrecotte raffiguranti figure umane, i sottogruppi corrispondono in
genere ai tipi iconografici35. Ciascun tipo iconografico può
comprendere figurine appartenenti a serie diverse, differenti per stile e per caratteristiche di fabbricazione ma
accomunate dall’identità dell’impostazione di base, che
si traduce in genere nell’identità di atteggiamento e
abbigliamento. Nel catalogo, la definizione del sottogruppo/tipo iconografico – riportata in corsivo e indicata da
una lettera dell’alfabeto minuscolo – corrisponde dunque alla descrizione generale delle figurine ad esso riconducibili. Ad essa seguono le schede contenenti le
informazioni sui singoli esemplari: nella presentazione dei
materiali riconducibili a un determinato sottogruppo/tipo
iconografico, gli esemplari modellati a mano e a matrice
semplice precedono quelli realizzati a matrice doppia.
Ogni scheda riporta nella prima riga il numero di
inventario della figurina e i dati riguardanti locus e livello di ritrovamento; seguono, nella seconda riga, le informazioni relative a tecnica di fabbricazione, colore
dell’impasto, dimensioni e parti mancanti. La scheda è
generalmente completata dalla descrizione dei caratteri
5
individuali del pezzo in esame, esposti secondo un ordine prestabilito. Nel caso delle terrecotte rappresentanti figure umane, prima viene la notazione dei dettagli
iconografici non considerati rilevanti ai fini dell’individuazione del tipo iconografico e quindi non inseriti nella
descrizione generale36. Seguono, separate ciascuna da un
punto fermo, le indicazioni relative a stile37, caratteristiche di fabbricazione e stato di conservazione della figurina. Nel caso di esemplari già editi, l’ultima riga riporta
gli estremi delle pubblicazioni precedenti.
Da sola, l’impostazione sopra illustrata, funzionale ad
evidenziare ricchezza iconografica del repertorio seleuceno, non teneva conto delle le peculiarità legate alle
diverse provenienze degli oggetti, che verranno in queste pagine più volte evidenziate38: il riferimento, in particolare, è ai materiali provenienti dai grandi depositi e
a quelli dalla Piazza sud. Per valorizzare e rendere immediatamente evidenti al lettore i caratteri individuali di
questi insiemi – espressione di diverse tendenze della produzione seleucena – si è pertanto deciso di dividere ogni
capitolo del catalogo in quattro sezioni distinte. Nella
prima, contrassegnata dalla lettera G, vengono raccolti
i materiali provenienti dalle diverse aree indagate dalla
missione archeologica americana e italiana39: si tratta della
sezione generale del catalogo, la più numerosa, quella
che meglio di tutte dà conto della varietà iconografica e
stilistica della produzione coroplastica seleucena. Nella
seconda, contrassegnata dalla lettera S, vengono presen-
BARRA BAGNASCO 2009, 86-87.
A Seleucia le diverse aree investigate, legate a momenti diversi della storia della città, hanno restituito figurine riconducibili
a una grandissima varietà di tipi, spesso rappresentati da un solo
esemplare.
30
Al riguardo, si vedano i paragrafi I.2 e II.3.
31
Esempi recenti sono forniti dai cataloghi di KLENGEL-BRANDT, CHOLIDIS 2006, JACKSON 2006, ERLICH, KLONER 2008. Sui limiti di un approccio rigidamente tipologico allo studio delle terrecotte, si veda LANGIN-HOOPER 2013.
32
Si tratta di quello che K. Karvonen Kannas definisce come
“motif”, adottandolo come criterio ordinatore del catalogo delle
figurine da Babilonia (KARVONEN KANNAS 1995, 40).
33
La scelta di indicare con il termine generico di “capitoli” i
25 nuclei tematici individuati, che formano l’ossatura del catalogo, appare motivata proprio dalla pluralità dei criteri ordinatori
adottati nell’organizzazione del materiale. Definizioni comunemente utilizzate negli studi coroplastici come quella di “classe”, intesa
come insieme di figurine aventi lo stesso tema (BARRA BAGNASCO
2009, 88), male si adatterebbero, ad esempio, all’insieme delle
matrici o degli elementi di decorazione ceramica.
34
Si tratta di quelli che A. Muller definisce “gruppi tematici”
(MULLER 1997, 459); sull’argomento, si veda anche BONGHI JOVINO 1990, 32-33.
35
Per ovvie ragioni, non possono essere definiti come “tipi
iconografici” i sottogruppi che riuniscono le teste adespote.
36
Nel caso delle figure femminili panneggiate stanti in atteggiamento solenne (tipo iconografico 3B,a), ad esempio, la distribuzione del peso sulla gamba destra piuttosto che sulla gamba sinistra è considerata un elemento irrilevante ai fini dell’individuazione del tipo iconografico, e in quanto tale viene riportata nelle
schede relative ai singoli esemplari.
37
Per la distinzione fra iconografia e stile, si veda MARTINEZSÈVE 2002, 14.
38
Si vedano in particolare i paragrafi II.3 e IV.3.
39
Ad esclusione, naturalmente, di quelli dai depositi e dalla
Piazza sud.
28
29
6
ROBERTA MENEGAZZI
tati i materiali portati alla luce nel saggio aperto lungo
il lato meridionale della piazza degli Archivi, dove furono rinvenuti ben 15 depositi di terrecotte. Ai giacimenti
sul lato occidentale della stessa piazza è dedicata la terza sezione del catalogo, contrassegnata con la lettera W,
mentre con la lettera P viene indicata la sezione del
catalogo che raccoglie i materiali dalla Piazza sud.
Le quattro sezioni seguono esattamente la stessa
impostazione, mantenendo la stessa numerazione e le
stesse sigle non solo per i capitoli, ma anche per i gruppi e i sottogruppi nei quali essi si articolano. Tale criterio è stato adottato principalmente per esigenze di chiarezza: per fare un esempio, il tipo iconografico 2A,g
corrisponderà in tutte le sezioni alla figura femminile
(capitolo 2) nuda e stante (gruppo A) con le braccia lungo
i fianchi (tipo iconografico g). Può accadere che un
sottogruppo o un gruppo attestato in una sezione –
generalmente quella generale, che comprende il maggior
numero di pezzi – sia assente in una delle altre40: le lacune
nella sequenza di gruppi e sottogruppi permettono di
evidenziare, per lo meno sotto il profilo iconografico, le
peculiarità dei materiali rinvenuti nei grandi depositi e
nella Piazza sud41.
All’interno di ciascuna sezione, la numerazione delle
schede riparte da 1 ad ogni capitolo. Il numero progressivo assegnato ad ogni singola scheda (e dunque a ciascun esemplare) è pertanto preceduto dall’indicazione del
capitolo e della sezione del catalogo di appartenenza. La
sigla 2.G1, ad esempio, indicherà ad esempio la prima
delle figure femminili nude (capitolo 2) della sezione
generale del catalogo (lettera “G”); la sigla 2.P1 indicherà la prima delle figure femminili nude dall’area della
Piazza sud.
L’ordine seguito nel testo è ripreso nelle tavole, che
per ciascun capitolo presentano per primi i materiali della
sezione generale (G) seguiti dai materiali provenienti dai
depositi localizzati sul versante meridionale della piazza
degli Archivi (S), da quelli provenienti dai depositi localizzati sul lato occidentale della stessa piazza (W) e da
quelli dalla Piazza sud (P).
Dove non altrimenti indicato, le immagini sono presentate in scala 1:1. Le fotografie dei materiali dagli scavi
italiani degli anni ’60-’70 furono scattate sul campo
all’epoca del rinvenimento utilizzando macchine fotografiche analogiche. Le foto dei materiali dagli scavi americani conservati al Kelsey Museum of Archaeology furono realizzate fra il 2010 e il 2011 con l’ausilio di una
fotocamera digitale. Le differenti tecniche fotografiche
impiegate sono la ragione delle differenze nella resa delle
immagini pubblicate: nel bianco e nero, le fotografie
analogiche risultano infatti maggiormente contrastate
rispetto a quelle digitali42.
I.4. Note per la lettura delle singole schede
Nel catalogo, ciascuna scheda si apre con l’indicazione del numero d’inventario assegnato all’oggetto. Nei
materiali dagli scavi americani conservati presso il Kelsey Museum of Archaeology di Ann Arbor, si tratta di
un numero di cinque cifre (es. 14306; 32213); in quelli
di proprietà del Toledo Museum of Art di Toledo, il
numero progressivo è preceduto dall’indicazione dell’anno
di rinvenimento, da cui è separato da un punto (es.
29.103; 1931.156). Il numero d’inventario dei materiali
italiani consegnati all’Iraq Museum di Baghdad e al Museo
civico d’Arte Antica - Palazzo Madama di Torino si apre
con la lettera S. Per gli oggetti rinvenuti durante le prime cinque stagioni di scavo, la lettera è seguita da un
numero progressivo (es. S2; S527; S1452); a partire dalla
sesta stagione, il numero d’inventario contiene l’indicazione della campagna di scavo, seguita da un numero
progressivo che riparte da 1 alla campagna successiva
(es. S6,514; S8,588; S11,624). I materiali non consegnati al Museo di Baghdad sono contrassegnati da un
numero progressivo preceduto da una lettera dell’alfabeto minuscolo43.
Nella sezione generale del catalogo, dopo l’indicazione del numero d’inventario è riportata una sigla che sta
ad indicare l’area di provenienza dell’oggetto44. Questo
l’elenco delle sigle utilizzate:
-
G6
He
TU
Ar
=
=
=
=
-
St
NI
=
=
isolato di abitazione G6
Heroon
Tell ‘Umar (scavi italiani)
area degli Archivi (lato occidentale della
piazza degli Archivi)
stoa (lato orientale della piazza degli Archivi)
area di provenienza non indicata.
Seguono i dati relativi al luogo e al livello di rinvenimento riportati negli inventari e nelle schede di scavo.
Nel caso delle terrecotte provenienti dagli scavi americani dell’isolato G6 e del cosiddetto Heroon, tali dati
comprendono generalmente l’indicazione dell’ambiente
e del livello di provenienza, in alcuni casi completata da
informazioni circa il contesto di giacitura45. Per i materiali dagli scavi italiani, le schede riportano invece il riferimento al quadrato della griglia topografica utilizzata
in fase di scavo e al livello o alla quota di rinvenimento.
Tale sistema è stato abbandonato nelle edizioni finali di
due delle principali aree investigate, quali l’area degli archivi e tell ‘Umar, che hanno assegnato una numerazione agli ambienti portati alla luce e riorganizzato la successione in livelli operata in fase di scavo46. Nel caso degli
Nel caso del capitolo 25, l’intera sezione W è assente, dal
momento che nei depositi localizzati sul lato occidentale della
piazza degli Archivi non furono rivenute matrici.
41
Per fare un esempio, le sezioni 2.S e 2.W del catalogo si
aprono con il tipo iconografico 2A,g: da quelle aree non provengono infatti figurine riconducibili ai tipi iconografici 2A,a-2A,f.
42
La quasi totalità delle fotografie pubblicate nelle tavole è opera
di Grazia Perrone, fotografa della missione archeologica italiana
negli anni ’60 e ’70, che ha eseguito anche le riprese fotografiche
dei materiali conservati al Kelsey Museum of Archaeology. Chi
scrive ha fotografato soltanto gli esemplari di proprietà del Toledo
Museum of Art.
43
Le lettere utilizzate sono “t”, “h”, “k”, “tc” e “y”. I numeri
d’inventario inizianti con le lettere h, k e y sono generalmente
attribuiti a lotti di frammenti contrassegnati da un numero progressivo seguito da una lettera dell’alfabeto minuscolo che identifica ciascuno dei singoli frammenti (es. k276a-v; y12a-d).
44
Le sigle sono state attribuite soltanto alle principali aree investigate, quelle che hanno restituito il maggior numero di fittili.
Per le trincee e i sondaggi aperti negli altri punti della città ci si
è limitati a riportare testualmente i dati di rinvenimento contenuti
negli inventari e nelle schede compilate al momento dello scavo.
45
Si veda a tale proposito il paragrafo I.2.
46
Cf. MESSINA 2006, 17-22; IDEM 2010, 11-14.
40
I. SELEUCIA AL TIGRI: GLI SCAVI E LE TERRECOTTE FIGURATE
Periodo seleucide
(III sec. a.C. – seconda metà/fine II sec. a.C.)51
Periodo partico
(seconda metà/fine II sec. a.C. – inizi I sec. d.C.)
Periodo partico
(I sec. d.C. – inizi II sec. d.C.)
Periodo partico
(II sec. d.C. – inizi III sec. d.C.)
-
7
Livello IV degli scavi americani
Livello V Area degli Archivi
Livelli V-IV Complesso della Stoa
Livello V Area della Piazza Sud
Livelli VIII-VI di Tell ‘Umar
Livello III degli scavi americani
Livelli IV-IIIa dell’Area degli Archivi
Livello IIIa del Complesso della Stoa
Livello IV dell’Area della Piazza Sud
Livello V di Tell ‘Umar
Livello II degli scavi americani
Livelli IIIb-c dell’Area degli Archivi
Livello IIIb-(II?) del Complesso della Stoa
Livello III dell’Area della Piazza Sud
Livello IV di Tell ‘Umar
Livello I degli scavi americani
Livelli II-I dell’Area degli Archivi
Livello I del Complesso della Stoa
Livelli II-I dell’Area della Piazza Sud
Livello III di Tell ‘Umar
Tabella 1 - Seleucia al Tigri: cronologia generale dei livelli di scavo individuati dalle missioni americana e italiana.
esemplari provenienti dalle suddette aree, accanto alle indicazioni offerte dai quaderni e dagli inventari di scavo si
è pertanto deciso di riportare, fra parentesi, il riferimento
al livello individuato nelle pubblicazioni più recenti. Per
gli esemplari rinvenuti nei grandi depositi localizzati nell’area del cosiddetto saggio sud, fra parentesi è indicato
il numero corrispondente al deposito di provenienza47.
La seconda riga si apre con l’indicazione della tecnica
di fabbricazione dell’oggetto. Anche in questo caso sono
state utilizzate delle sigle:
- MS = matrice semplice;
- MD = matrice doppia;
- MM = modellatura a mano.
Segue l’indicazione circa il colore dell’impasto. Nel caso
dei materiali conservati nei musei italiani e americani,
che chi scrive ha avuto modo di esaminare con attenzione, l’indicazione del colore utilizza come riferimento le
tavole Munsell; per i materiali dagli scavi italiani conservati all’Iraq Museum e per quelli non inventariati sono stati
riportate le annotazioni fatte al momento dello scavo48.
Vengono poi riportate le dimensioni massime conservate dell’oggetto, in centimetri. Ove non diversamente
indicato, esse sono da intendersi come altezza x larghezza
x spessore49. Segue l’indicazione delle parti mancanti o,
nel caso degli esemplari fortemente frammentari, di quelle
conservate.
Nell’indicazione delle parti mancanti e nella descrizione, i termini destra e sinistra sono abbreviati come “d”
e “s”. Ove non altrimenti indicato, i termini sono riferiti
alla figura rappresentata e non all’osservatore.
I.5. Contesti di ritrovamento e cronologia generale
Le indicazioni circa il livello di provenienza dei materiali meritano un cenno di approfondimento. Come
appare evidente da quanto sopra specificato, le singole
schede si limitano a riportare i dati raccolti al momento
dello scavo, in taluni casi affiancati dalle indicazioni fornite
dalle pubblicazioni più recenti. Deve essere sottolineato,
tuttavia, che la suddivisione in livelli operata dagli archeologi americani non corrisponde a quella adottata durante le indagini della Piazza sud o a quella elaborata
nell’edizione finale dello scavo dell’area degli Archivi o
di Tell ‘Umar. Pertanto, le indicazioni circa il livello di
provenienza degli esemplari riuniti nella sezione generale del catalogo e di quelli dalla Piazza sud sono tradotte
in termini di cronologia assoluta nella tavola di concordanza sopra riportata50 (tabella 1).
Per rendere immediatamente fruibili al lettore tali dati,
in calce all’introduzione di ogni capitolo è inserita una
tabella nella quale gli esemplari per i quali possediamo
indicazioni circa il livello di rinvenimento sono distribuiti
nelle quattro grandi fasi di vita della città individuate nella
tavola di concordanza. Una seconda tabella è dedicata
alla distribuzione cronologica dei materiali dai depositi
del saggio sul versante meridionale della piazza degli
Archivi, formatisi lungo un arco cronologico che va dalla
metà del II sec. a.C. al II sec. d.C.52
Non necessitano di indicazioni cronologiche particolari gli esemplari dai depositi sul lato occidentale della
piazza degli Archivi, genericamente ascrivibili a un arco
temporale che va dalla fine del II sec. a.C. alla metà del
I sec. d.C.53.
Per l’individuazione dei depositi del saggio sud, cf. MENE2009a.
48
Come sottolineato nel paragrafo II.3, chi scrive non ha avuto
modo di osservare di persona i materiali conservati all’Iraq
Museum di Baghdad, mentre i tempi ridotti della campagna di
schedatura del 2002 hanno impedito l’esame accurato dei materiali non inventariati sotto il profilo tecnico.
49
Di parte delle figurine vengono riportate soltanto altezza e
larghezza, di alcune la sola altezza. Nel caso delle figurine di
quadrupedi, le dimensioni sono da intendersi come altezza x lunghezza x spessore.
47
GAZZI
50
In proposito, si veda anche la cronologia generale delle
aree indagate di Seleucia in MESSINA 2010, 22, Fig. 10.
51
Sul termine della fase seleucide è da registrare una piccola
sfasatura fra le indicazioni fornite dalla missione italiana e quelle
della missione americana. Per gli americani, il termine della fase
seleucide coincide approssimativamente con la conquista della città
da parte di Mitridate II (cf. HOPKINS 1972, 6); nei livelli seleucidi
dagli scavi italiani si registra invece una continuità di vita fino alla
fine del II sec. a.C. (cf. MESSINA 2006, 21, fig. 14, 66-69). Per
questa ragione, come data di inizio della prima fase partica si è
proposta la doppia indicazione “seconda metà/fine II sec. a.C.).
52
Cf. MENEGAZZI 2009a.
53
Sulla cronologia dei depositi sui lati meridionale e occidentale della piazza degli Archivi, si veda il par. II.3.
II.
LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE
E PROCESSI PRODUTTIVI
II.1. Le tecniche di fabbricazione
Il repertorio seleuceno è composto da figurine realizzate con tecniche differenti: a matrice, semplice o doppia, e a mano. Come è noto, in ambito mesopotamico la
modellatura a mano e la matrice semplice hanno alle spalle
una tradizione plurimillenaria: le prime figurine modellate in argilla cruda risalgono addirittura al neolitico,
mentre le prime figurine e placchette a stampo si collocano nel periodo a cavallo fra la fine del III e gli inizi del
II millennio a.C.1. Per contro, non si hanno attestazioni
di statuette a matrice doppia di periodo pre-seleucide.
L’introduzione della matrice doppia rappresenta dunque
la più significativa innovazione tecnologica della coroplastica di periodo seleucide e partico: il suo utilizzo è
ampiamente attestato nei repertori della Mesopotamia
centro-meridionale, della vicina Susiana e della regione
del Golfo. Se la coesistenza delle tre differenti tecniche
di fabbricazione appare una caratteristica comune ai
principali centri di produzione dell’area geografica sopra indicata2, i dati relativi alla loro incidenza – calcolati
sulla base della tecnica di fabbricazione delle figurine
rinvenute e illustrati nella tabella 2 – evidenziano le
peculiarità del repertorio seleuceno.
Matrice
doppia
Seleucia
Babilonia3
Uruk4
Susa5
72%
22%
32%
28%
Matrice
semplice
24%
44%
55%
37%
Modellatura
a mano
4%
34%
13%
35%
Tabella 2 - Incidenza percentuale delle diverse tecniche di fabbricazione nei principali repertori di periodo seleucide-partico.
Rispetto agli altri siti, decisamente maggiore, a Seleucia, è lo spazio riservato alla matrice doppia6. Il dato non
stupisce: è ragionevole immaginare che la nuova tecnica, verosimilmente diffusasi in Mesopotamia a seguito
della conquista macedone, abbia trovato terreno più fertile
in una metropoli greca come Seleucia, così come è ragionevole ipotizzare una maggiore resistenza delle due
tecniche tradizionali in centri di antichissima cultura locale
come Uruk, Babilonia o Susa.
Rispetto alla produzione seleucena, le percentuali riportate nella tabella meritano una riflessione ulteriore.
Esse sono state infatti calcolate sulla base dell’intero
corpus delle figurine pubblicate, comprendente esemplari
per i quali l’utilizzo della matrice semplice appare una
scelta obbligata: si pensi alle maschere, ai rilievi, agli
elementi di decorazione architettonica, ai modellini di letti
o di piatti per offerte, agli incensieri realizzati tramite
assemblaggio di lastre realizzate singolarmente, alle rosette. Escludendoli dal nostro computo, e limitando la
nostra analisi alle sole terrecotte antropomorfe e zoomorfe7, si ottengono percentuali ancora più nette: l’88% del
totale delle raffigurazioni umane e animali da Seleucia
risulta prodotto a matrice doppia, l’8% a matrice semplice e il restante 4% modellato a mano8.
Le figurine a matrice doppia
Come abbiamo evidenziato, a Seleucia l’impiego della matrice doppia è assolutamente prevalente: scendendo ancora più nel dettaglio, risulta prodotto entro stampi bivalvi l’89% delle figure umane e il 79% delle figure
animali. La tecnica è utilizzata inoltre per la realizzazione di buona parte dei modellini9, dei recipienti cilindrici
Cf. BARRELET 1968, 54-95.
Decisamente differenti i dati relativi alla produzione della
Mesopotamia settentrionale, in cui la tecnica della modellatura a
mano risulta decisamente prevalente e il ricorso alla matrice doppia piuttosto sporadico. Cf. KLENGEL-BRANDT 1978 (Assur),
DOWNEY 2003, 9-10 (Dura Europos).
3
Dati ricavati da KARVONEN KANNAS 1995, KLENGEL-BRANDT,
CHOLIDIS 2006.
4
Dati ricavati da ZIEGLER 1962.
5
Dati ricavati da MARTINEZ-SÈVE 2002.
6
Il ricorso alla matrice doppia risulta prevalente anche nel corpus coroplastico di Jebel Khalid, insediamento di epoca seleucide
nella Siria del nord. La larga maggioranza degli esemplari da Jebel
Khalid ha tuttavia il retro non modellato (JACKSON 2006, 14-15).
7
Nel computo sono state inserite anche le terrecotte raffiguranti parti del corpo di figure umane e animali, rispettivamente
presentate nel cap. 18 e 19 del catalogo.
8
Nel caso della produzione degli altri centri considerati nella
tabella 2, il correttivo applicato alla produzione di Seleucia ha un
peso decisamente minore. Il catalogo delle figurine da Babilonia
di E. Klengel-Brandt e N. Cholidis comprende infatti soltanto figurine antropomorfe, rilievi e maschere; nel catalogo delle figurine
da Babilonia pubblicato da K. Karvonen Kannas il numero delle
terrecotte non antropomorfe e zoomorfe è decisamente limitato
(cf. KARVONEN KANNAS 1995, 200-203, n. 715-756), mentre in
quello delle terrecotte da Uruk è praticamente nullo (cf. ZIEGLER
1962, 140, n. 967). Piuttosto significativo, invece, è il numero delle
appliques a matrice semplice pubblicate nel catalogo delle terrecotte da Susa (cf. MARTINEZ-SÈVE 2002, 559-609, n. 920-1033).
9
A matrice doppia sono realizzati i modellini di frutta (20A,a20A,c), i modellini di ceste intrecciate (20D,a-b) e molti dei
modellini di recipienti ceramici, strumenti musicali, mobili, barche e elementi architettonici.
1
2
II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI PRODUTTIVI
interpretati come bruciaprofumi e dei relativi coperchi
(21A,d-21A,e), dei coni in terracotta (21C,a), dei sonagli (21D,a-21D,b), di parte delle anse zoomorfe e dei
versatoi (23A,a, 23C,b-23C,c), delle lucerne (23E,a23E,f) e dei vasi configurati (23F,a).
Guardando alle figurine umane e animali, non di rado
è possibile rilevare una certa disparità nel trattamento delle
due valve. Il retro delle figure antropomorfe e il lato
sinistro delle figure teriomorfe sono spesso meno curati
rispetto alla parte anteriore o destra: a risultare semplificati sono la descrizione anatomica e, nel caso delle figure
panneggiate, la resa del drappeggio. Particolarmente
significativo in tal senso è l’Eracle a riposo 1.G46: al
naturalismo della vista frontale corrisponde un retro
sommariamente modellato, con le gambe ridotte ad un
unico blocco indistinto10. Talvolta, il grado di stilizzazione della valva posteriore è ancora più accentuato e il retro
della statuetta risulta appena abbozzato o non lavorato.
Per contro, altrettanto numerosi sono gli esemplari caratterizzati dal trattamento omogeneo delle due valve: è
il caso delle figure nude rigidamente stanti e, più in
generale, delle statuette provenienti dai depositi sul lato
meridionale della piazza degli Archivi. Alcune figurine si
distinguono infine per la grande cura riservata al trattamento stampo posteriore, che risulta comunque coerente con la parte anteriore della statuetta: si vedano, a titolo di esempio, la recumbente seminuda 5.S6, di qualità eccezionale, o la figura di fanciulla 11.G17511.
L’osservazione delle caratteristiche di fabbricazione dei
materiali in catalogo evidenzia che per la realizzazione
delle figurine a matrice doppia potevano essere seguiti
due diversi procedimenti: l’artigiano poteva infatti pressare nella matrice una o più sfoglie di argilla per formare delle pareti di spessore all’incirca regolare oppure
riempire completamente o quasi le due valve12. Il risultato sono statuette cave in un caso, piene o quasi completamente piene nell’altro. Il primo procedimento è
generalmente utilizzato per la produzione di figurine di
grandi dimensioni, mentre il secondo risulta decisamente comune tra le figurine di piccolo formato. Ragioni di
tipo pratico e consuetudini legate alla tradizione locale
potrebbero aver indirizzato gli artigiani verso il secondo
procedimento. Da un lato, l’atto del riempire completamente le due valve poteva risultare naturale a maestranze abituate a lavorare a matrice semplice; dall’altro, nel
caso di figurine di piccole dimensioni la creazione di una
cavità interna poteva rivelarsi poco agevole, a fronte di
una diminuzione non significativa del peso dell’oggetto
e del materiale impiegato per la sua realizzazione. Inoltre, le statuette piene presentavano il vantaggio di una
maggiore stabilità e robustezza, vantaggio non trascurabile se si considera che la cavità interna della statuetta di
grandi dimensioni 3.G187 risulta completamente riempita di stucco. Le considerazioni sopra esposte spiegano
probabilmente perché, nelle figurine di medie dimensioni, la testa, il collo e le altre parti piccole e maggiormente delicate – si pensi ai polpacci delle figure femminili
nude, alle gambe dei cavalieri con le gambe divaricate o
dei nani a gambe storte – siano in genere piene o quasi
completamente piene a fronte di un tronco cavo, dalle
pareti più o meno spesse.
La presenza, su alcune delle matrici rinvenute, di chiavi
e incisioni lungo i bordi indica che la giunzione delle valve
9
doveva di regola avvenire quando le due parti della figurina si trovavano ancora all’interno della matrice; osservazioni condotte su alcuni esemplari suggeriscono
tuttavia che l’operazione potesse avvenire anche in un
momento successivo all’estrazione delle valve dalla matrice13. Si trattava comunque di un passaggio delicato:
non infrequenti, fra i materiali in catalogo, sono i casi di
giunzione imperfetta, con valve più o meno sfalsate14. Nel
caso della testa di fanciullo 15.G233, il retro, non lavorato, è di dimensioni decisamente inferiori rispetto alla
parte anteriore, tanto da far sorgere il dubbio che si tratti
di valve pertinenti a figurine differenti.
Successivamente alla rimozione dallo stampo, nel retro
della figurina veniva spesso praticato un foro circolare,
generalmente di piccole dimensioni, la cui collocazione
poteva essere indicata direttamente nella matrice, come
mostrano lo stampo per parte posteriore di figura maschile 25.S16, con una piccola massa di argilla applicata
all’altezza delle scapole, o le figurine 1.G145 e 3.G354,
che presentano in corrispondenza della schiena una depressione corrispondente al foro non tagliato15. L’interpretazione del foro come sfiatatoio non risulta del tutto convincente: già W. van Ingen aveva osservato che, probabilmente a causa della porosità dell’argilla e delle basse
temperature di cottura, la sua presenza non era indispensabile16. In effetti, il foro può essere presente in figurine
terminanti in una base cava, e dunque completamente
aperte su un lato17, o, più di frequente, risultare assente
in statuette completamente chiuse18. Più verosimilmente
doveva svolgere la funzione di finestra di assemblaggio,
favorendo il consolidamento dall’interno della sutura fra
le due valve e, nel caso di figurine con parti riportate, il
fissaggio di queste ultime al corpo della statuetta19.
Una volta saldate le due parti dell’oggetto, l’esubero
di argilla lungo la linea di giunzione veniva generalmente eliminato tramite steccatura. L’operazione era nella
maggior parte dei casi condotta in modo rapido e poco
accurato e lasciava in corrispondenza della linea di giunzione una banda piatta di larghezza variabile; non di rado,
il passaggio della stecca giungeva persino ad alterare il
Lo stesso trattamento delle gambe caratterizza, fra gli altri,
gli esemplari 1.G47 e 1.G144.
11
Anche la matrice per stampo posteriore di fanciulla 25.S26 si
distingue per la ricchezza, la chiarezza e la leggibilità dei dettagli.
12
I due procedimenti sono attestati anche nella contemporanea produzione di Susa (MARTINEZ-SÈVE 2002, 659-660).
13
Particolarmente significativo in tal senso l’esemplare 9.G69.
Cf. infra, all’interno dello stesso paragrafo.
14
Si vedano a titolo di esempio gli esemplari 2.G49, 2.G126,
10.G246.
15
L’esistenza di questo tipo di indicazione sulla matrice era stata
ipotizzata da W. van Ingen (VAN INGEN 1939, 9-10), ipotesi contestata da L. Martinez-Sève (MARTINEZ-SÈVE 2002, 669).
16
VAN INGEN 1939, 12.
17
È il caso ad esempio degli esemplari 3.G187 e 8.G6.
18
Si pensi alle figure femminili nude con le braccia lungo i
fianchi (2A,f), alle danzatrici (3A,p), alle recumbenti, ai nani a
gambe storte.
19
È il caso della figura di dimensioni medio-grandi 1.S1, e,
forse, delle figure femminili nude senza braccia 2A,h (al riguardo,
si veda l’introduzione al capitolo 2 del catalogo). Il foro non
compare invece sulle figure di putti seduti di grandi dimensioni.
10
10
ROBERTA MENEGAZZI
profilo delle figurine20. Decisamente meno frequenti sono
gli esemplari accuratamente rilavorati, così come sono
rari gli esemplari in cui l’esubero d’argilla non completamente asportato forma una sottile ma evidente sutura.
Una parte delle figurine antropomorfe a matrice doppia era destinata a essere completata da parti riportate:
le braccia, le gambe, e, nel caso di statuette di grandi
dimensioni, anche la testa potevano essere modellate a
parte, a mano o in matrici separate. Generalmente, le
parti modellate a mano venivano applicate prima della
cottura: è il caso delle braccia degli esemplari 3.G31G34. In particolare, su spalle e braccia di 3.G34 sono
ancora visibili le impronte digitali lasciate dall’artigiano
durante l’operazione di modellatura e saldatura al corpo
dell’oggetto. Rozzamente modellate a mano sono le gambe
dei cavalieri a matrice singola 9A,c, che garantivano il
fissaggio della figurina al dorso del cavallo. A mano
venivano realizzate anche le zampe coniche dei quadrupedi a matrice doppia: talvolta, come illustra l’esemplare
19.G69, il punto di attacco della zampa al tronco era
internamente rinforzato tramite l’inserzione di una piccola massa d’argilla. Non possedendo le figure di animali alcuna finestra di assemblaggio, se ne ricava che le
zampe dovessero (o potessero) essere fissate al tronco
prima dell’assemblaggio delle due valve: quest’ultima
operazione doveva pertanto avvenire in un momento
successivo rispetto allo stacco dalla matrice. Le parti
realizzate a matrice venivano invece applicate successivamente alla cottura, probabilmente per evitare il rischio
di deformazioni durante il fissaggio; come collante erano utilizzati stucco o bitume. Con questa tecnica erano
assemblate le figurine di putti seduti di grandi dimensioni (11G,a-c) e l’Afrodite 1.S1. Arti realizzati a matrice potevano completare anche figurine di formato minore: ne sono esempio i fanciulli arcieri 8.S7-S11, con
braccia e polpacci realizzati in matrici parziali, o la figura di corridore 6.S20, con gambe possenti fissate tramite bitume.
Le figure di grandi dimensioni potevano essere completate con elementi realizzati in altro materiale: in stucco sono i capelli della testa di fanciullo 15.G261 e la corta
veste della fanciulla seduta 11.G314. Nel caso della già
citata statuetta 3.G187, raffigurante una figura femminile panneggiata in atteggiamento solenne, in stucco è
modellato il drappeggio che ricopre il lato anteriore
dell’alta base quadrata, creando l’effetto di una figura dalle
gambe sproporzionatamente lunghe. Negli esemplari
frammentari 3.G154-G155 e nella statuetta di grandi
dimensioni 3.G186 lo stucco, oltre a modellare il panneggio del manto, serviva a fissare le mani, realizzate in
pietra. Anche le figurine di formato minore potevano
essere arricchite tramite l’inserimento di accessori in altro
materiale: molte delle figure di nani a gambe storte presentano un foro in corrispondenza di una o di entrambe
le mani, verosimilmente per l’inserzione di un’arma21. Allo
stesso modo, nelle recumbenti panneggiate di tipo iconografico 5C,c, i due piccoli fori frequentemente praticati alla base della kyrbasia potevano servire per l’alloggiamento di un ornamento (diadema o ghirlanda) in
metallo.
Piuttosto raro, a Seleucia, è invece l’uso – ampiamente
attestato nel mondo greco e documentato anche in ambito
vicino orientale22 – di arricchire o modificare l’aspetto di
una figurina tramite l’applicazione di accessori modellati a parte: lo scudo modellato a mano permette l’identificazione con Atena della figura femminile panneggiata
su bassa base 1.G38; stephane e ghirlande modellate a
mano ornano le teste femminili 13.G131 e 13.G375.
Le figurine a matrice semplice
Limitato, nel repertorio seleuceno, è il ricorso alla
matrice semplice: con la tecnica in questione è prodotto
il 9% delle figure antropomorfe e soltanto il 2% di quelle
teriomorfe. Se le rappresentazioni animali sono concepite quasi esclusivamente come statuette a tutto tondo23,
esemplari a matrice singola compaiono, più o meno
numerosi, fra i vari soggetti delle raffigurazioni antropomorfe: uniche eccezioni, recumbenti e grotteschi, realizzati esclusivamente, o quasi, a matrice doppia24. Percentuali significative – oscillanti fra il 12 e il 26% – di
figurine a matrice semplice sono attestate fra divinità
greche, figure femminili nude e panneggiate, nutrici, figure
in armi e musici25. Nel caso delle figure maschili vestite,
le percentuali sono addirittura invertite: il 66% delle
statuette in catalogo è infatti a matrice semplice, contro
il 34% a matrice doppia. In particolare, la tecnica è
impiegata per la quasi totalità degli uomini in abiti orientali
(gruppo 7A). A matrice semplice sono inoltre realizzate
quasi tutte le figure femminili nude con le mani ai seni26
(2A,a) e i caratteristici cavalieri in tunica e manto tagliati all’altezza dei fianchi (9A,c), ricavati dalle stesse
matrici utilizzate per produrre le figure maschili in abiti
greci riconducibili ai tipi iconografici 7B,b-7B,c.
La maggior parte delle figurine in catalogo si caratterizza per il profilo più o meno incurvato in avanti in
corrispondenza della testa. Nella matrice, l’impronta della
testa era più profonda rispetto al resto del corpo: la
curvatura è dunque conseguenza della pressione della
sfoglia d’argilla all’interno dello stampo. Nel caso del
cavaliere in tunica e manto 9.G16, una netta impronta
digitale costituisce la traccia evidente della forte pressioSi considerino, a titolo di esempio, le figure di nani a gambe
storte 12.W2, 12.W5, o le teste di putti 15.G126, 15.G223,
15.G226.
21
Si considerino gli esemplari 12.G28-G29, 12.G33, 12.G43,
12.W6, 12.P1.
22
Un celebre esempio di utilizzo di questa pratica in ambito
vicino-orientale è rappresentato dalla figura maschile in trono da
Failaka: al corpo della figura in abbigliamento iranico, modellata
a mano, è applicata una testa femminile realizzata a matrice e
modificata tramite l’aggiunta di una corona e di una lunga barba
(MATHIESEN 1982, 30-36, n. 67).
23
A matrice semplice sono realizzati alcuni esemplari di scimmie
(19.G3, 19-G9-G12, 19.G14-G16, 19.P5), cani (19.G42), elefanti
(19.G58, 19.P10), cavalli (19.G63-G64), cammelli (19.G224) e un
quadrupede di incerta identificazione (19.G395).
24
Tutte le figure recumbenti in catalogo sono a matrice doppia; fra i grotteschi, soltanto l’esemplare 12.G88 è realizzato a
matrice semplice.
25
La tecnica risulta decisamente meno popolare fra figure
maschili nude, cavalieri e putti.
26
Soltanto gli esemplari 2.G41-G42 sono realizzati a matrice
doppia. La tecnica è attestata anche fra le figure femminili nude
con una mano al seno e un braccio al fianco (2A,b, 2A,d, 2A,e)
e fra quelle con le braccia lungo i fianchi (2A,g).
20
II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI PRODUTTIVI
ne esercitata dall’artigiano per assicurare la buona adesione dell’argilla allo stampo in corrispondenza della testa.
La sfoglia d’argilla utilizzata per la fabbricazione delle figurine doveva riempire completamente la matrice: le
statuette a matrice semplice sono infatti piuttosto spesse
e in corrispondenza di tronco e gambe hanno il retro
completamente piatto o appena concavo; più rare ma
ugualmente attestate sono quelle leggermente convesse27.
Solitamente, il retro veniva lisciato con più o meno cura;
su alcuni esemplari sono visibili le tracce dello strumento utilizzato per la lisciatura28. In altri casi, invece, il retro
è irregolare e reca le impronte digitali lasciate dall’artigiano durante la lavorazione dell’oggetto29. La figurina
19.G3, raffigurante una scimmia accovacciata, risulta
insolitamente spessa per la presenza di un grossolano
riporto d’argilla che doveva probabilmente servire a garantire la stabilità dell’appoggio.
Successivamente allo stacco dalla matrice, l’esubero
di impasto lungo i bordi della figurina veniva accuratamente asportato. Soltanto in corrispondenza del collo esso
veniva conservato oppure ripiegato indietro, evidentemente allo scopo di rinforzare un punto di fragilità dell’oggetto30.
Rispetto alle figurine antropomorfe e zoomorfe, nel
complesso meno accurato risulta il trattamento del retro
delle placchette a rilievo. Generalmente, la parete posteriore dei pinakes seleuceni è lisciata in modo sommario,
talvolta a mano, o è irregolare e reca i segni delle impronte lasciate durante la lavorazione dell’oggetto; in
corrispondenza delle aree a più alto rilievo vi sono degli
incavi più o meno profondi causati dalla pressione della
sfoglia d’argilla all’interno della matrice.
Le figurine modellate a mano
Come evidenzia la tabella 2, sopra riportata, nel repertorio seleuceno lo spazio riservato alla modellatura a
mano è del tutto marginale. Con la più antica delle tecniche tradizionali è realizzato soltanto il 2% delle figurine antropomorfe: si tratta di esemplari isolati31, accanto ai quali vanno citati i cosiddetti abbozzi, figure maschili nude rozzamente modellate a mano (gruppo 6D),
alcune teste maschili32 e alcuni dei cavalieri da montare
su cavalcatura realizzata a parte (tipi iconografici 9A,a9A,b). Percentualmente più rilevanti (19%) sono gli
animali modellati a mano. Il dato può essere spiegato
alla luce del conservatorismo del soggetto nella tradizione mesopotamica33; va comunque rilevato che nel
computo sono state incluse anche le raffigurazioni di
parti del corpo di animale, ovvero zampe coniche (19P,e)
e corna (19P,f-19P,i).
Fatte salve alcune eccezioni34, gli esemplari modellati
a mano sono in genere pieni. Il loro esame evidenzia
comunque profonde differenze nell’aspetto, e dunque nel
processo di modellatura, delle figurine. Gli abbozzi (6D,a6D,f) e i cavalieri completamente modellati a mano (9A,a)
appaiono caratterizzati da una schematizzazione estrema dei caratteri anatomici, resi attraverso la manipolazione dell’argilla: il torso è ridotto a una massa allungata dalla quale si distaccano arti appena accennati, il più
delle volte ridotti a corti moncherini. La testa è dominata dal naso sottile e allungato ottenuto premendo fra due
dita la massa di argilla del volto; il gesto genera anche
11
le ampie cavità orbitali, che possono essere arricchite dalla
presenza di pupille incise o di grandi occhi a pastiglia
applicata35. In alcuni casi, un’incisione orizzontale più o
meno marcata indica la bocca. La caratterizzazione dei
tratti del viso può essere completata dalle orecchie leggermente sporgenti (6.G46) o indicate da due piccoli fori
laterali (6.G55). Un analogo grado di stilizzazione è
apprezzabile nella maggior parte delle figure di animali,
non a caso di non sempre facile identificazione. Il tronco dei quadrupedi è in genere di forma cilindrica più o
meno allungata, con corte zampe coniche; un elemento
caratterizzante è rappresentato dalla coda, sollevata nei
cani, corta e arrotondata nelle pecore, di forma triangolare allungata nei cavalli. Più interessante, anche nel caso
degli animali, è il trattamento della testa: le teste di cavallo
19.G160-G176, 19.P26-P30, cui vanno sommati i cavalli montati 9.G114-G120, si caratterizzano per il lungo muso abbassato e premuto contro il collo36. Del tutto
simili l’una all’altra, esse illustrano efficacemente il carattere seriale e standardizzato di almeno una parte delle
figurine modellate a mano, opera di artigiani specializzati nella produzione di determinati soggetti, realizzati
meccanicamente attraverso la ripetizione di gesti ben
precisi37.
Caratteri del tutto differenti hanno invece alcuni degli
esemplari isolati citati alla nota 31. Essi riproducono
soggetti e tipi iconografici ampiamente diffusi nella produzione a stampo – la figura femminile nuda con le
braccia lungo i fianchi (2.G63); la figura ammantata in
atteggiamento solenne, con il braccio destro piegato al
petto (3.W32); il fanciullo stante (11.G6-G7) – e più
che prodotti di serie sembrano piuttosto pezzi unici, nati
forse dalla volontà di imitare, utilizzando una tecnica
diversa, temi ben noti nella coroplastica locale. In particolare, gli esemplari 3.W32 e 11.G6 si segnalano per
il naturalismo della resa, semplificata nel caso della descrizione anatomica del fanciullo stante, dettagliata nel
caso della figura femminile panneggiata: i tratti delicati
del volto della donna sono resi grazie a uno strumento
27
Si vedano a titolo di esempio gli esemplari 2.G36, 7.G38,
7.G43-G44.
28
Si considerino a titolo di esempio gli esemplari 2.G6, 7.G35.
29
È il caso dell’esemplare 7.G9.
30
Procedimenti analoghi sono attestati nel repertorio di Susa
(MARTINEZ-SÈVE 2002, 665-666).
31
Le figure femminili nude 2.G63 e 2.G153, accanto alle quali
va citato l’esemplare 2.P1, palesemente fuori contesto, databile
fra la fine del III e gli inizi del II millennio a.C. (in proposito,
cf. MENEGAZZI 2013); la figura femminile panneggiata 3.W32; la
suonatrice di tamburello 10.P20; i fanciulli nudi 11.G6-G7.
32
Si tratta degli esemplari 14.G1-G5, 14.G20-G21, 14.G51,
14.G54, 14.G128, 14.G145.
33
WREDE 2003, 28.
34
Si tratta degli esemplari 6.W1 e 9.G216. Il primo ha forma
tubolare e si direbbe modellato intorno a un bastoncino o a un
dito; il secondo ha pareti regolari e piuttosto spesse alla frattura.
35
Si considerino a titolo di esempio gli esemplari 6.G45-G46,
6.G55 (occhi a pupilla incisa), 6.P9, 9.G2 (occhi a pastiglia applicata).
36
Al riguardo, si veda l’introduzione al capitolo 19 del catalogo.
37
Osservazioni analoghe, a proposito dei materiali da Susa, in
MARTINEZ-SÈVE 2002, 679.
12
ROBERTA MENEGAZZI
a punta sottile, verosimilmente utilizzato anche di piatto
per definire meglio il volume del braccio e i bordi del
manto. Tracce dell’utilizzo di una stecca o spatola sono
visibili sulla schiena del putto 11.G6. Accurata e ricca di
dettagli è anche la testa 14.G51: sul volto piatto spiccano i volumi degli zigomi appena accennati, lievemente
asimmetrici, e del mento prominente; gli occhi, con iride profondamente incisa, sono bordati da palpebre gonfie e da sopracciglia a rilievo; plasticamente modellata è
anche la bocca, con labbro inferiore più netto. Per la
definizione dei volumi e delle parti a rilievo, l’artigiano
si è servito di una stecca, il cui passaggio ha lasciato tracce
visibili su fronte, zigomi e guance. Schematica eppure
efficace è invece la resa della figura femminile nuda 2.G63:
le braccia modellate a parte e applicate alla massa di argilla
del corpo aderiscono ai fianchi arrotondati; una profonda incisione su entrambi i lati della figurina separa le due
gambe rigidamente unite; i piedi, appena accennati, sono
resi premendo con un dito l’argilla all’estremità inferiore
delle gambe; una serie di picchiettature indica il triangolo pubico, mentre le mani sono segnate da linee profondamente incise.
Un cenno a parte meritano i cosiddetti cavalieri persiani, figurine con il corpo modellato a mano e la testa
realizzata a stampo (9A,b). Diffusi fin dall’epoca achemenide su tutti i territori del Vicino Oriente antico, essi
non sembrano godere di scarsa fortuna all’interno del
repertorio seleuceno: forse, la tecnica ibrida impiegata
per la loro creazione non risultava particolarmente familiare agli artigiani locali, più versati nella produzione
a matrice38.
II.2. La finitura delle figurine
L’ingubbiatura
Come emerge dalla lettura del catalogo, la superficie
di gran parte delle figurine presenta una colorazione più
chiara rispetto a quella dell’impasto: a impasti di colore
rossastro (Munsell 2.5YR 6/6, 7/6) corrispondono superfici rosate (Munsell 7.5YR 7/4, 8/3); a impasti di
colore giallo rossiccio (Munsell 5YR 7/6) corrispondono superfici beige (Munsell 10YR 7/3, 8/2, 8/3) o rosate; a impasti di colore marrone chiaro (Munsell 7.5YR
6/4), marrone chiaro rossiccio (Munsell 5YR 6/4) o
rosato corrispondono superfici beige; a impasti beige
corrispondono superfici di tonalità più chiare (Munsell
2.5YR 8/2) o gialline (Munsell white page, 2.5Y 8.5/2).
Per alcuni esemplari, in verità piuttosto rari, è possibile
stabilire con certezza che la colorazione più chiara è
dovuta alla presenza di un ingobbio39; nella maggior parte
dei casi, tuttavia, l’identificazione dell’ingobbio è per lo
meno dubbia. In effetti, come già aveva rilevato W. van
Ingen40, potrebbe trattarsi di un ingobbio naturale, creato dallo spostamento verso la superficie delle particelle
argillose più fini durante il processo di asciugatura41.
D’altra parte, a Seleucia la presenza dell’ingobbio non
sembrerebbe indispensabile: le terrecotte seleucene erano infatti prodotte con un’argilla fine e compatta42, ed
erano almeno in parte destinate ad essere rivestite da una
decorazione dipinta, monocroma o policroma.
La decorazione dipinta
Circa il 12% degli esemplari dal Kelsey Museum e
meno del 5% di quelli dagli scavi italiani presenta tracce
più o meno abbondanti di rivestimento pittorico. Alla luce
di tali percentuali è legittimo dubitare del fatto che tutte
le figurine da Seleucia fossero originariamente dipinte43;
tuttavia, è necessario considerare che le particolari condizioni di umidità del terreno, causate dal periodico
innalzamento della falda d’acqua sotterranea, possono
aver contribuito al decadimento del fragile strato di pittura. Le differenze nella concentrazione delle tracce di
colore sulle terrecotte delle due missioni archeologiche
sono invece almeno in parte imputabili alle energiche
operazioni di pulitura cui i materiali dagli scavi italiani
furono sottoposti44.
Su alcuni esemplari – corrispondenti all’incirca al 5%
delle figurine che conservano tracce di pittura – il colore, generalmente rosso, era steso direttamente sulla superficie dell’oggetto, a rivestimento dell’intera figura o,
più spesso, di alcune parti di essa, secondo un uso
documentato in Mesopotamia fin da epoca preistorica45.
Originariamente ricoperte per intero da un sottile strato
di colore rosso erano alcune figurine di animali, arti e
modellini di oggetti46: un rosso acceso sottolinea bargigli e cresta del gallo 19.G481 (Tav. B); strisce di colore
rosso bordano i petali di alcune delle rosette47. Nel caso
del bruciaprofumi 21.S1 (Tav. C), attraverso il colore la
superficie si arricchisce di dettagli decorativi come la
decorazione a losanghe dell’architrave e le palmette degli
38
Numerosi studiosi hanno sottolineato la complessità del processo di fabbricazione di figurine con il corpo modellato a mano e
il volto realizzato a stampo, domandandosi le ragioni di tale soluzione tecnica. In proposito, cf. MARTINEZ-SÈVE 2002, 679.
39
È il caso ad esempio delle teste di fanciulli 15.G26 e 15.G232
o della maschera 17.G140, in cui il sottile strato di superficie
risulta in parte sfogliato.
40
VAN INGEN 1939, 13, 15.
41
Sull’ingobbio naturale, o “auto-ingobbio”, cf. MULLER 1997,
440.
42
In occasione del presente studio non sono state condotte
analisi sulla composizione delle argille utilizzate per la produzione
delle terrecotte seleucene. L’osservazione autoptica dei materiali
conservati presso il Kelsey Museum di Ann Arbor ha permesso
tuttavia di identificare due differenti tipi di impasto: sabbioso il
più diffuso, la cui colorazione copre i toni del giallo rossiccio, del
marrone chiaro e del beige; più duro e caratterizzato dalla presenza
di piccolissimi inclusi neri l’altro, la cui colorazione copre i toni
del marrone e del marrone rossiccio. Al riguardo, cf. anche VAN
INGEN 1939, 15-17.
43
Osservazioni analoghe sono fatte da K. Karvonen Kannas a
proposito delle figurine da Babilonia (KARVONEN KANNAS 1995, 27)
e da L. Martinez-Sève a proposito delle terrecotte da Susa (MARTINEZ-SÈVE 2002, 682).
44
La pulitura di ceramica e terrecotte figurate avveniva per
immersione in acqua e successiva spazzolatura dei singoli pezzi.
45
Si considerino in proposito le numerose tracce di pittura sulle
figurine di periodo ‘Ubaid da Uruk pubblicate in WREDE 2003.
Sull’uso del colore nella coroplastica mesopotamica cf. anche
BARRELET 1968, 51.
46
Si considerino a titolo di esempio i cavalli 19.G69 e 19.G142,
le braccia 18.G29 e 18.G84, il melograno 20.P5.
47
Si considerino a titolo di esempio gli esemplari 21.G48,
21.S28, 21.S30, 21.S58, 21.S71.
II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI PRODUTTIVI
acroteri; allo stesso modo, con il colore è indicata la
testiera dei cavalli 19.G72 e 19.G116.
La maggior parte delle figurine che conservano tracce di pittura presenta tuttavia un diverso tipo di finitura,
non attestato in Mesopotamia prima dell’età seleucide:
una decorazione monocroma o policroma stesa su uno
strato di preparazione bianca, più o meno spesso, che
veniva distribuito sulla superficie della statuetta allo scopo
di renderla idonea a ricevere il colore. I pigmenti utilizzati non avevano infatti un elevato potere coprente: se
stesi direttamente sulla superficie della figurina avrebbero lasciato trasparire il colore dell’argilla sottostante48.
Generalmente, per i motivi sopra accennati, dell’originario rivestimento pittorico si conservano solo pochi
frammenti: resti più o meno estesi dello strato di preparazione, maggiormente concentrati in zone protette – fra
le pieghe delle vesti; agli angoli di occhi e bocca; nei
sottosquadri fra testa e copricapo –, che possono recare
tracce di uno o, più raramente, due o più colori. Nei casi
più fortunati, invece, le tracce di colore sono decisamente
più importanti: le figurine 1.G34, 1.G128 e 8.G3 (Tav.
A-B), ad esempio, sono quasi completamente ricoperte
da uno strato monocromo di pittura nera (1.G34, 8.G3)
o rossa (1.G128); altre, invece, conservano abbondanti
resti della policromia originaria. Nella statuetta di grandi dimensioni 3.G187 (Tav. A) il manto, dipinto di rosso, è bordato da una larga fascia rosa inquadrata da una
sottile striscia gialla; il rosa ritorna anche sulla tunica,
con il fascio centrale giallo come la lunga collana con
crescente. La testa femminile 13.G233 (Tav. A), con volto
ricoperto da un sottile strato di preparazione, ha grandi
labbra rosse disegnate49 e occhi con contorno e pupilla
indicati in nero; W. van Ingen segnala la presenza di colore
rosa sulle guance, oggi non più visibile50.
Percentualmente, i colori di gran lunga più diffusi sulle
terrecotte seleucene sono il rosa e il rosso. Molto meno
comune il nero che, come abbiamo visto, poteva rivestire completamente la superficie delle figurine (1.G34,
8.G3) o caratterizzarne alcuni dettagli: è il caso degli
occhi dell’esemplare 13.G233, ma anche dei capelli e
delle bande che decorano la veste della coppia di suonatrici 10.G191, con il volto e le braccia dipinti di colore
rosa intenso (Tav. B). Scarsamente attestati sono il verde
– che compare sulla veste della figura femminile panneggiata 3.G167, sulla tunica del cavaliere a gambe divaricate 9.G49 e sulla superficie dello scudo 20.G68
(Tav. B) – e il giallo, presente sulla già citata statuetta
femminile di grandi dimensioni 3.G187, sull’Apollo citaredo 1.G118 e sulla criniera del leone 19.G5251. Il blu
compare, in tracce non chiaramente distinguibili a occhio nudo, soltanto sul manto della figura femminile panneggiata di grandi dimensioni 3.G186 (Tav. A). Nei suoi
toni più chiari, è invece frequentemente utilizzato sugli
elementi di decorazione architettonica, in stucco e in terracotta: azzurro e rosa, arricchiti da tocchi di nero e rosso,
costituiscono i colori base del rivestimento policromo di
capitelli e basi di lesene realizzati attraverso il montaggio di lastre a matrice singola (24B,a, 24C,a). Il viola
non compare sulle terrecotte figurate: per contro, se ne
conservano abbondanti tracce su un frammento di stucco modellato a forma di piede umano di dimensioni
piuttosto grandi, calzato in sandali indicati in colore giallo
(Tav. D)52.
13
Analisi condotte nei laboratori del Department of
Conservation and Scientific Research del British Museum
hanno portato all’identificazione dei pigmenti utilizzati
per la decorazione dipinta delle terrecotte da Seleucia53.
Le analisi sono state effettuate su campioni dello strato
di preparazione e dei pigmenti rosa, rosso, nero, giallo,
verde e viola, prelevati da 28 esemplari – 27 terrecotte
e una figurina in stucco54 – appartenenti alle collezioni
del Kelsey Museum of Archaeology di Ann Arbor55. Le
metodologie di indagine adottate e i risultati ottenuti sono
riportati nella relazione scientifica a cura di E. Passmore, pubblicata in appendice al presente capitolo56. Per
l’identificazione del blu si è invece fatto ricorso alla tecnica della visible-induced luminescence (VIL), che permette di registrare, attraverso una fotocamera digitale
opportunamente adattata, le emissioni prodotte nella scala
degli infrarossi dal blu egiziano, il pigmento sintetico
comunemente utilizzato nell’antichità per il blu57. Se illuminato con luce visibile, il blu egiziano produce infatti
una forte luminescenza nello spettro degli infrarossi,
registrabile attraverso una fotocamera digitale cui sia stato
asportato il filtro blocca IR: il risultato sono immagini in
cui le parti dell’oggetto ricoperte di blu egiziano risultano di un bianco brillante, emergendo con forza sullo
sfondo nero o grigio. La tecnica presenta il duplice vantaggio di essere non distruttiva e di dare risultati immediati; essa consente inoltre di individuare anche particelle minime di pigmento, identificandone la presenza al di
sotto di patine di sporco e incrostazioni. Per queste
ragioni, si è deciso di esaminare tramite VIL un campione significativo delle terrecotte conservate presso il
Museo Civico d’Arte Antica di Torino, includendo tutte
le figurine che presentavano tracce visibili di colore e/o
di preparazione: le immagini sono state scattate nel
gennaio 2011 da Giacomo Chiari, direttore del Getty
Conservation Institute di Los Angeles, e non hanno rilevato tracce di blu egiziano. Grazie alle indicazioni di
G. Chiari, chi scrive ha avuto la possibilità di applicare
la stessa tecnica alle figurine conservate presso il Kelsey
Museum di Ann Arbor, utilizzando una fotocamera di-
Janet Ambers, comunicazione personale.
Il rilievo delle labbra è infatti quasi del tutto impercettibile.
50
VAN INGEN 1939, 256, n. 1041.
51
Il volume di W. van Ingen sui materiali dagli scavi americani
registra la presenza di tracce di colore verde e giallo anche sui
seguenti esemplari, conservati all’Iraq Museum di Baghdad: VAN
INGEN 1939, 97-98, n. 200 (verde); 116, n. 295 (giallo); 149, n.
456c (verde); 151, n. 464 (verde); 156-157, n. 494a (giallo?);
214, n. 792 (verde); 240, n. 941a (verde).
52
Inv. 15678, conservato al Kelsey Museum di Ann Arbor. H.
9,9; lungh. 11; largh. al tallone 3,2 cm.
53
Le suddette analisi sono state possibili grazie alla disponibilità di J. Ambers, del Department of Conservation and Scientific
Research del British Museum, e dello staff del Kelsey Museum of
Archaeology di Ann Arbor, che ha acconsentito alla campionatura
dei materiali.
54
Si tratta del sopra citato piede in stucco 15678, da cui sono
stati prelevati un campione di pigmento viola e uno di giallo.
55
Le operazioni di campionatura sono state eseguite da Claudia Chemello e Suzanne Davis, conservatrici del Kelsey Museum.
56
Infra, 19-22.
57
VERRI 2009; VERRI et alii 2009.
48
49
14
ROBERTA MENEGAZZI
Fig. 6-7 - Immagine ottenuta con metodologia VIL della figurina in terracotta 3.G186. (foto Roberta Menegazzi)
Fig. 8-9 - Immagine ottenuta con metodologia VIL della figurina in stucco Inv. 15678. (foto Roberta Menegazzi)
gitale Canon Eos 350D cui era stato rimosso il filtro blocca IR: le immagini ottenute hanno permesso di identificare come blu egiziano il colore presente in tracce sul
manto della figura femminile panneggiata 3.G186 (Fig.
6-7) e l’azzurro utilizzato sugli elementi architettonici in
stucco. Abbondanti tracce di blu egiziano sono state evidenziate anche sul piede in stucco 15678 (Fig. 8-9).
Le analisi condotte sui materiali dal Kelsey Museum
evidenziano ancora una volta gli stretti legami di Seleucia con il bacino del Mediterraneo. Non soltanto il tipo
di decorazione dipinta e la tavolozza di colori utilizzata,
ma anche i pigmenti impiegati risultano largamente attestati nella coroplastica di produzione occidentale58:
robbia o un misto di ematite e gesso per il rosa, ocra
rossa (identificata grazie alla presenza del suo componente principale, l’ematite) e cinabro per il rosso, nero
di carbone per il nero, ocra gialla (identificata grazie alla
presenza del suo componente principale, la goethite) per
il giallo, terra verde per il verde, blu egiziano per il blu,
blu egiziano misto a robbia per il viola. L’unica differenza significativa è rilevabile nella composizione dello strato
di preparazione, che a Seleucia è sempre in gesso, un
materiale scarsamente utilizzato per la preparazione delle
figurine di ambito mediterraneo59. Di contro, è interessante segnalare la corrispondenza perfetta fra i pigmenti
utilizzati sulle terrecotte seleucene e quelli utilizzati per
il rivestimento pittorico di una serie di elementi di decorazione architettonica in stucco dai livelli partici di Uruk:
le analisi recentemente condotte da un team di studiosi
del British Museum hanno permesso l’identificazione di
robbia, cinabro, ocra rossa, ocra gialla, nero di carbone,
blu egiziano e gesso60. Assente, a Uruk, il viola, attestato
sul frammento in stucco 15678 da Seleucia; per contro,
documentato fra gli stucchi di Uruk e apparentemente
assente nella tavolozza seleucena è l’arancio, ottenuto
attraverso una mistura di ocra rossa e gialla61.
L’invetriatura
Percentualmente irrilevante, a Seleucia, è il numero
delle figurine invetriate: una sessantina di esemplari,
concentrati in prevalenza nella sezione generale del catalo-
Si vedano, a titolo di esempio, i risultati delle analisi sui
pigmenti delle terrecotte da Tanagra in PAGÈS-CAMAGNA 2010.
59
Al riguardo, si vedano i risultati delle analisi sullo strato di
preparazione di una selezione di terrecotte greche di periodo ellenistico conservate al British Museum in MIDDLETON 2001.
60
SIMPSON et alii 2012.
61
Ibidem, 213-214.
58
II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI PRODUTTIVI
go62. Nel computo sono compresi numerosi elementi di
decorazione ceramica (23.G11-G13, 23.G19-G23,
23.G26-G27, 23.G29-G30, 23.G32, 23.G35-G36,
23.G43-G44, 23.G61, 23.G63, 23.P3-P6), il vaso configurato 23.G133 e alcune parti di capitelli assemblati
(24.G1-G6, 24.G9). Estremamente limitato è dunque il
ricorso all’invetriatura per la finitura delle figurine antropomorfe e zoomorfe: si tratta di esemplari generalmente modellati a mano, raffiguranti cavalieri sul dorso
di una cavalcatura di non facile identificazione (9.G212G217, 9.S183), figure umane (14.G145, 15.G128,
15.G268, 16.G77) e animali (19.G13, 19.G47, 19.G57,
19.G282, 19.G348, 19.G398, 19.G405, 19.P1). Il colore più utilizzato nei rivestimenti invetriati è il verde,
seguito dal giallo; esclusivamente attestato fra gli elementi
di decorazione ceramica è il bianco, che riveste anche
l’interno del vaso configurato 23.G133, turchese all’esterno. Va detto tuttavia che sono molti gli esemplari in cui
le tracce di invetriatura sono così degradate da impedire
di stabilire il colore originario del rivestimento.
II.3. Struttura e organizzazione delle botteghe seleucene
Anche in assenza di analisi di laboratorio sulla composizione delle argille utilizzate per la produzione delle
figurine, le caratteristiche omogenee degli impasti ma
soprattutto il gran numero di esemplari portati alla luce
e la presenza di depositi legati ad attività artigianali non
lasciano alcun dubbio sul carattere locale della produzione seleucena63. I depositi di terrecotte rappresentano
dunque il punto di partenza ideale per una riflessione
mirante ad indagare, per quanto è possibile, gli aspetti
legati alla struttura e all’organizzazione delle botteghe
artigiane.
I depositi più grandi furono localizzati sul versante
meridionale della piazza degli Archivi grazie a un saggio
aperto per individuarne il limite sud64: in un’area di circa
214 mq vennero scoperti ben 15 giacimenti – fosse e strati
di accumulo – formatisi in tempi differenti lungo un arco
cronologico molto ampio, che va dalla seconda metà del
II secolo a.C. al II secolo d.C.65. La quantità e la varietà
degli oggetti rinvenuti lasciano supporre che tali depositi fossero legati all’attività di una bottega artigiana di
grandi dimensioni: la bottega di un vasaio – misti alle
terrecotte vi erano numerosi frammenti ceramici, concentrati in particolare in due grandi fosse66 – specializzata nella produzione di terrecotte figurate e di elementi
di decorazione architettonica. Sebbene non sia stata
localizzata sul terreno, è legittimo ipotizzare che essa
potesse trovarsi non lontano dall’area dei depositi: ulteriori sondaggi lungo il margine meridionale della piazza
hanno rilevato la presenza di scarichi di materiale ceramico e di installazioni artigianali, fra cui una fornace di
epoca partica67.
Le figurine rinvenute all’interno dei depositi e negli
strati ad essi immediatamente adiacenti68 testimoniano di
una produzione estremamente ricca e varia, che abbraccia tutti i soggetti più popolari del repertorio seleuceno:
figure femminili nude e panneggiate, recumbenti, cavalieri, musici, fanciulli, grotteschi, animali. Tale produzione
risente fortemente dell’influsso occidentale, come emer-
15
ge in primo luogo dalla tecnica di produzione utilizzata: la quasi totalità delle figurine antropomorfe e teriomorfe dal saggio sud risulta infatti realizzata a matrice
doppia. Due soltanto sono le figurine provenienti dai
sopra citati depositi realizzate a matrice singola (10.S71)
o a mano (19.S9); accanto ad esse vanno citati 7 esemplari a matrice singola rinvenuti fuori contesto all’interno del saggio.
L’influsso occidentale è evidente anche nella selezione
dei tipi iconografici: particolarmente significativa al riguardo è l’assenza delle figure femminili nude con le mani
ai seni (2A,a) – uno dei tipi iconografici di più antica
tradizione mesopotamica –, dei sacerdoti e più in generale delle figure maschili in abiti orientali (gruppo 7A),
dei cavalieri modellati a mano e a matrice singola (9A,a9A,c). L’esame dei tipi iconografici permette inoltre di
evidenziare alcuni tratti di originalità nella produzione
della bottega: concentrati in prevalenza nell’area del saggio
sud e apparentemente senza confronti in ambito mesopotamico sono i fanciulli cavalieri finiti all’altezza dei
fianchi (9A,d-9A,h).
Verosimilmente, la bottega produttrice delle terrecotte rinvenute nei depositi del saggio sud non si limitava
alla realizzazione seriale di figurine: essa doveva avvalersi della presenza di un coroplasta, un maestro in grado di modellare i prototipi dai quali ottenere le matrici
per la produzione di massa. In effetti, la ricchezza e la
leggibilità dei dettagli di molte delle figurine dai depositi
del saggio sembrano suggerire una loro produzione a
partire da matrici di prima generazione69. A giudicare dagli
esemplari rinvenuti, gli artigiani che si avvicendarono nella
creazione di nuovi prototipi dovevano essere di formazione greca: in misura ancora maggiore rispetto all’iconografia, lo stile delle figurine risulta infatti chiaramente
improntato ai modelli occidentali, raggiungendo in alcuni casi risultati di un livello qualitativo decisamente
Gli esemplari provenienti dall’area della Piazza sud sono 5,
di cui 1 figurina di animale (19.P1) e 4 elementi di decorazione
ceramica (23.P3-P6). Dal saggio sud proviene una figurina di
cavaliere (9.S183), mentre nessun esemplare invetriato proviene
dai depositi localizzati sul lato occidentale della piazza degli Archivi.
63
Nella sua pubblicazione delle terrecotte dagli scavi americani,
W. van Ingen segnala la presenza di soltanto 4 possibili pezzi di
importazione (VAN INGEN 1939, 5, nota 6). Nell’esame dei materiali
conservati al Kelsey Museum di Ann Arbor, chi scrive non ha riconosciuto in alcun esemplare caratteristiche tecniche, iconografiche o stilistiche che facciano pensare a importazioni.
64
Come specificato nel par. I.3, i materiali dal suddetto saggio, il cosiddetto saggio sud, sono pubblicati nella sezione S del
catalogo.
65
MENEGAZZI 2009a. Sulla distribuzione cronologica dei materiali dal saggio sud, si veda la Fig. 11, all’interno del par. IV.1.
66
Ibidem, 155.
67
VALTZ 1990, 21-24.
68
Molte delle terrecotte rinvenute in strati di riempimento sono
da considerarsi originariamente pertinenti ai suddetti depositi di
figurine. Bisogna considerare infatti che l’area fu disturbata in
antico dalla presenza di 13 sepolture (MENEGAZZI 2009a, 165-170).
69
Si considerino, a titolo di esempio, la recumbente seminuda
5.S6, i fanciulli cavalieri 9.S1.S2, 9.S14-S15, la maschera dionisiaca 17.S171.
62
16
ROBERTA MENEGAZZI
elevato70. Vale la pena di sottolineare che – al di là dei
picchi qualitativi e delle differenze stilistiche evidentemente
imputabili alla mano di diversi maestri – l’ispirazione
occidentale rappresenta una costante della produzione
della bottega, essendo ravvisabile anche negli esemplari
rinvenuti nel deposito più recente, formatosi nel corso
del II secolo d.C. Il dato non deve stupire: come abbiamo più volte sottolineato nelle introduzioni ai singoli capitoli
in cui è suddiviso il catalogo71, numerose sono le prove
della persistenza, in epoca partica, di scambi e contatti
culturali con il bacino del Mediterraneo.
Oltre che sulla formazione degli artigiani modellatori,
le figurine dal saggio sud offrono alcune informazioni
sui meccanismi alla base della produzione di massa delle
figurine. Decisamente numerosi, all’interno dei vari giacimenti, sono gli esemplari verosimilmente prodotti dalla stessa matrice72. Più raramente, esemplari chiaramente riconducibili a una stessa serie presentano differenze
di dimensioni che sembrano suggerire la presenza di
generazioni successive73. La prudenza nell’identificare
repliche da una stessa matrice o generazioni diverse di
una stessa serie nasce dal fatto che il lavoro di descrizione e catalogazione dei materiali dagli scavi italiani è
stato in buona parte condotto sulla base della documentazione fotografica e delle schede compilate al momento
del ritrovamento degli oggetti. Chi scrive ha infatti avuto modo di visionare direttamente solo i frammenti non
inventariati, conservati nei magazzini della casa della
missione a Seleucia e schedati durante una breve missione di studio fra l’ottobre e il novembre del 2002. La
totale indisponibilità delle figurine conservate al Museo
di Baghdad e i tempi forzatamente ridotti della campagna di schedatura74 hanno impedito di condurre un’analisi tecnica approfondita sui singoli pezzi, mirante ad
individuarne caratteristiche di produzione e di fabbricazione75. Che la bottega in questione facesse ricorso al
cosiddetto surmoulage è suggerito dalla presenza di esemplari dai dettagli indistinti a causa dell’utilizzo di matrici
non di prima generazione76. Tuttavia, rispetto al mondo
greco il ricorso alla produzione derivata sembra essere
più limitato. Le figurine seleucene evidenziano infatti la
tendenza, da parte degli artigiani, a produrre tipi simili
piuttosto che a ottenere nuovi matrici partendo da positivi esistenti77: esemplari in tal senso sono i numerosi
tipi raffiguranti figure femminili nude con braccia lungo
i fianchi (2A,g) o figure panneggiate in atteggiamento
solenne, con il braccio destro piegato al petto (3B,a). In
particolare, le figure femminili nude con braccia lungo
i fianchi 2.S1-S20 e 2.S24-S49 mostrano la coesistenza, all’interno dello stesso deposito e dunque nel medesimo arco cronologico, di esemplari riconducibili a tipi
differenti ma riproducenti lo stesso tipo iconografico78 e
addirittura all’incirca corrispondenti per dimensioni e
dettagli iconografici. Fra i prodotti della bottega in questione vi erano inoltre statuette che riproducevano lo
stesso tipo iconografico in formati differenti, verosimilmente per essere venduti a prezzi diversi: è il caso delle
maschere dionisiache 17.S171-S177 e 17.S183-S187,
rinvenute all’interno dello stesso deposito e modellate con
grande cura, verosimilmente dallo stesso artigiano, ma
evidentemente riconducibili a due tipi distinti, come
mostrano con chiarezza numerosi dettagli fra cui il diverso trattamento delle ciocche di capelli sulla fronte.
Differenti sotto molti profili sono i caratteri delle figurine rinvenute nei depositi rinvenuti sul lato ovest della
piazza degli Archivi79: essi furono localizzati nel settore
nord-occidentale dell’isolato sorto sui resti dell’edificio
degli archivi di epoca seleucide, all’interno degli ambienti
denominati 28 e 64 nel rapporto finale e nel tratto di
strada ad essi antistante80. I diari di scavo e i rapporti
preliminari ci informano che le terrecotte si trovavano in
parte sui piani pavimentali dei sopra citati ambienti, in
parte nelle numerose e profonde buche che li tagliavano
in più punti81. Sfortunatamente, tuttavia, non è possibile
ricostruire l’esatto contesto di giacitura dei singoli esemplari: come sottolineato nel rapporto finale82, a causa
dell’intenso lavoro di inventariazione delle migliaia di
sigillature emerse durante lo scavo dell’edificio degli
archivi, la schedatura di alcuni dei materiali provenienti
dagli altri ambienti fu rimandata alle campagne successive. Nei magazzini, esemplari provenienti da diversi
contesti di giacitura furono accorpati e ciò portò inevitabilmente a una perdita di informazioni83. Per questa
ragione, non è possibile distinguere fra le figurine provenienti dai contesti di livello IV e quelle, che dai diari
e dai ricordi del direttore di scavo risultano ben più
numerose, di livello IIIa-b: la datazione per esse proposta abbraccia pertanto un arco cronologico che va dalla
fine del II sec. a.C. alla metà del I sec. d.C.84.
Sullo stile delle figurine dal saggio sud, si veda il par. IV.3.
Al riguardo, si veda anche il par. III.2.
72
Si considerino, a titolo di esempio, gli arcieri 8.S7-S11, i
fanciulli dormienti 11.S75-S104 o le gazzelle accovacciate 19.S66S75.
73
È il caso delle figure di recumbenti 5.S34-S52.
74
Nell’autunno 2002, il rapido degenerare degli avvenimenti
politici in Iraq imponeva di operare in tempi brevi: in un periodo
di sei settimane sono stati schedati 7693 frammenti.
75
In accordo con A. Muller, (MULLER 1997, 457) per caratteristiche di produzione si intendono le caratteristiche derivanti dal
tipo di matrice utilizzata (...”place dans la série, qualité du rendu,
raisonnement et nombre de pièces, possibilité ou non de combinaisons...”), mentre per caratteristiche di fabbricazione si intendono quelle legate all’artigiano che ha materialmente prodotto
l’oggetto, “... celles qui reflètent sa façon de travailler (preparation de la pâte, épaisseur des croûtes, lissage ou non de l’interieur,
techniques d’assemblage...)”
76
Un caso particolarmente evidente è rappresentato dalle figure di recumbenti 5.S53-S60.
77
A considerazioni analoghe arriva L. Martinez-Sève a proposito del repertorio di Susa (MARTINEZ-SÈVE 2002, 693-694).
78
Sulla differenza fra tipo e tipo iconografico, cf. MULLER 1997,
449-451.
79
Come specificato nel par. I.3, i materiali dai suddetti depositi sono stati raccolti nella sezione W del catalogo.
80
MESSINA 2006, 84-85, 97-100.
81
INVERNIZZI 1972, 15.
82
MESSINA 2006, 73-75, nota 12.
83
È questa la ragione per cui buona parte delle figurine reca
un’indicazione generica di luogo e quota di rinvenimento: i quadrati CVI, 78gdh/78gmn corrispondono infatti sia agli ambienti
28/64 sia alla strada ad essi antistante, mentre le quote 97,5097,10-96,50 sono relative ai livelli IIIab e IV.
84
Si tratta dell’arco cronologico coperto dai livelli IV e IIIab
dell’area degli archivi: cf. MESSINA 2006, 135-136.
70
71
II. LE TERRECOTTE DA SELEUCIA: TECNICHE DI FABBRICAZIONE E PROCESSI PRODUTTIVI
Sul piano della tecnica di fabbricazione, i materiali dai
depositi sul lato occidentale della piazza corrispondono
perfettamente a quelli del saggio sud: con le uniche
eccezioni degli esemplari 3.W32, 6.W1, 19.W89-W94,
modellati a mano85, tutte le figurine antropomorfe e teriomorfe sono infatti realizzate a matrice doppia. Decisamente più ristretto risulta invece il repertorio iconografico: le rappresentazioni femminili si limitano quasi
esclusivamente ai due tipi iconografici più popolari a
Seleucia, la figura nuda con le braccia lungo i fianchi
(2A,g) e la figura panneggiata in atteggiamento solenne (3B,a-3B,f); le figure maschili – nude, vestite e in
armi – sono quasi completamente assenti86; scarse sono
le attestazioni di soggetti popolari come recumbenti, musici e fanciulli. Del tutto assenti, o quasi, sono gli elementi di decorazione ceramica e gli elementi architettonici87. Per contro, piuttosto numerosi sono nani a gambe
storte, maschere e placchette a rilievo, in particolare a
soggetto erotico.
Sotto il profilo stilistico, i materiali in esame sono
caratterizzati da una certa eterogeneità. Una parte delle
figurine risulta infatti di chiara ispirazione greca: se i
pinakes a soggetto erotico sono direttamente riconducibili a modelli microasiatici88, l’influsso occidentale risulta altrettanto evidente sia nelle maschere, estremamente
vivide e accurate nella resa dei tratti fisionomici89, sia nei
molti esemplari dai dettagli indistinti che rappresentano
una parte numericamente importante delle terrecotte dai
depositi ovest. Nonostante l’indeterminatezza talora estrema dei particolari, chiaramente imputabile all’uso di
matrici di generazione lontana dalla prima, l’impostazione
di stampo occidentale è ancora leggibile ad esempio nella
ponderazione delle figure femminili panneggiate 3.W20W22 o nella resa dei volti delle figure femminili nude
2.W16-W32, delle nutrici con cassone 4.W1-W24 e dei
nani a gambe storte riconducibili al tipo iconografico
12A,b. Per contro, altre figurine evidenziano un’impronta
stilistica del tutto differente, frutto della rielaborazione e
della stilizzazione di elementi iconografici e stilistici occidentali. Esse formano un insieme coerente e facilmente identificabile grazie alla forte caratterizzazione dei tratti
del volto: il viso rotondo, inquadrato da una fronte bassa, è dominato dai grandi occhi spalancati; la bocca è
piccola e collocata immediatamente sotto il corto naso;
i capelli formano una calotta compatta90.
Alla luce delle caratteristiche e dei contesti di giacitura delle figurine è possibile fare alcune osservazioni circa struttura e organizzazione della bottega che le ha
prodotte. Le dimensioni e il contenuto dei depositi sembrano riferibili all’attività di una piccola bottega artigiana, da collocarsi proprio negli ambienti 28/6491: si tratterebbe dunque di una cosiddetta “cottage factory”,
un’officina di piccole dimensioni situata all’interno di
un’abitazione e dipendente dalla bottega di un vasaio per
l’acquisto dell’argilla e la cottura dei pezzi92. Coerenti con
questo tipo di struttura sono il numero relativamente
ristretto dei tipi iconografici prodotti e l’utilizzo di matrici non di prima generazione: l’officina in questione si
limitava infatti alla produzione seriale dei tipi iconografici più richiesti avvalendosi di matrici acquistate o ottenute tramite surmoulage da esemplari prodotti da botteghe più importanti. Da questo punto di vista, particolarmente interessante risulta la presenza, fra i materiali dai
17
depositi ovest e quelli del saggio sud, di figurine verosimilmente appartenenti alla stessa serie: è il caso dell’Eracle a riposo 1.W2, che trova precise corrispondenze iconografiche e stilistiche negli esemplari 1.S16-S17,
o dei nani a gambe storte 12.W30 e 12.S6. Proprio la
grande bottega verosimilmente situata in prossimità del
lato meridionale della piazza potrebbe dunque aver fornito alla piccola officina una parte delle matrici o dei
positivi utilizzati come prototipi secondari.
I due gruppi stilistici sopra evidenziati sono evidentemente riconducibili a prototipi realizzati in botteghe
differenti: purtroppo, a causa dell’incompletezza delle
informazioni relative al contesto di giacitura dei singoli
pezzi non ci è possibile stabilire se le figurine dai tratti
stilizzati e quelle di ispirazione occidentale appartengano a due differenti fasi di attività della bottega o se, al
contrario, fossero prodotte contemporaneamente. Un’altra
questione destinata a restare senza risposta è se ai due
diversi gruppi stilistici corrispondessero differenze etniche o sociali negli acquirenti delle figurine. Ciò che può
essere sottolineato, e che verrà ripreso in seguito, è che
in ogni caso le figurine dai larghi occhi testimoniano la
contemporanea esistenza, a Seleucia, di botteghe artigiane
con impostazioni stilistiche sensibilmente differenti: l’arco
cronologico a cui le suddette figurine possono essere
riferite – fra la fine del II sec. a.C. e la metà del I sec.
d.C. – coincide infatti con la fase di formazione di una
parte dei depositi del saggio sud, che hanno restituito
materiali di genuina ispirazione greca.
Come abbiamo accennato nel paragrafo I.2, un piccolo giacimento di terracotte venne individuato anche
nell’area della Piazza sud. Sfortunatamente, le informazioni contenute nei rapporti preliminari e nei quaderni
di scavo sono decisamente limitate e non ci consentono
di stabilirne la natura (fossa o strato di accumulo), né di
individuarne i limiti. Il rapporto di scavo relativo alla
campagna del 1969 segnala il ritrovamento di un gran
numero di figurine all’interno di uno degli ambienti di
epoca tarda, in associazione a una coppa rovesciata
contenente tracce di colore rosa acceso, lo stesso utilizzato nella decorazione policroma delle terrecotte. L’ipotesi avanzata dall’autrice del rapporto, che potesse trattarsi di una piccola bottega destinata alla finitura ed eventualmente alla vendita delle figurine93, vale la pena di essere
Ad essi vanno sommate le zampe coniche 19.W122-W124.
Gli esemplari in catalogo sono soltanto 5: 6.W1, 7.W1-W2,
8.W1-W2.
87
I depositi hanno restituito due sole lucerne a sette becchi
(23.W1-W2).
88
Al riguardo, si veda l’introduzione al capitolo 22 del catalogo.
89
Si considerino in particolare gli esemplari 17.W94-W102.
90
Si considerino, a titolo di esempio, le figure femminili nude
2.W1-W15, la figura femminile panneggiata 3.W39, i nani a gambe
storte 12.W31-W34. Sui caratteri stilistici delle figurine dai suddetti depositi si veda il par. IV.3.
91
Con la riorganizzazione degli spazi di liv. IIIab, sul pavimento dell’ambiente 64 compaiono alcune installazioni artigianali: un
piano di lavoro in mattoni, un fornetto e una canalina cieca (MESSINA 2006, 98).
92
MULLER 2000, 99.
93
NEGRO PONZI 1970-71, 37.
85
86
18
ROBERTA MENEGAZZI
presa in considerazione. In effetti, studi recenti sulla
policromia delle terrecotte di età ellenistica prodotte in
ambito mediterraneo hanno messo in luce come la decorazione pittorica delle figurine richiedesse l’impiego di
tecniche e competenze specifiche, differenti da quelle del
maestro coroplasta addetto alla creazione dei modelli e
decisamente superiori a quelle degli artigiani incaricati
della produzione meccanica dei singoli pezzi94. Non si
può dunque escludere che artigiani addetti alla finitura
delle figurine potessero lavorare in sedi differenti rispetto a quelle di produzione.
I dati sulla provenienza delle figurine in catalogo ci
permettono di individuare un insieme di materiali provenienti dai livelli tardi dell’ambiente citato nel rapporto
di scavo95: con ogni probabilità essi rappresentano il contenuto del deposito individuato al suo interno, costituito
in prevalenza da frammenti di maschere e raffigurazioni
di arti. Occorre sottolineare inoltre che i dati di rinvenimento delle figurine evidenziano una concentrazione si-
gnificativa di esemplari in un’area adiacente a quella
considerata96. Si tratta ancora una volta di pezzi generalmente frammentari: abbastanza numerose sono le teste
adespote, accanto alle quali si segnala una presenza significativa di arti, figure recumbenti, figure femminili
panneggiate e, in proporzioni leggermente minori, figure femminili nude e maschere. In questo caso, tuttavia,
non siamo in possesso di informazioni di alcun tipo che
permettano di riconoscere la presenza di un deposito.
Cf. BOURGEOIS 2010, 240-243; JEAMMET, KNECHT, PAGÈS-CA2010, 248.
95
Si tratta delle figurine rinvenute nei quadrati 54r e 64d della
griglia topografica utilizzata in fase di scavo.
96
Si tratta degli esemplari rinvenuti nei liv. II-I del quadrato
54o. Essi corrispondono al 18% del totale delle figurine dalla
Piazza sud, mentre i materiali dai quadrati 54r/64d insieme corrispondono al 12%.
94
MAGNA
ANALYTICAL RESULTS FOR PIGMENT TRACES
19
Appendice
EMMA PASSMORE *
ANALYTICAL RESULTS FOR PIGMENT TRACES ON SELECTED SELEUCID
TERRACOTTA AND PLASTER FIGURINES FROM THE KELSEY MUSEUM
A number of samples of pigment traces collected from
Seleucid terracotta and plaster figurines in the collections
of the Kelsey Museum, Ann Arbor, Michigan, USA, were
analysed in the laboratories of the British Museum. A
range of techniques have been used to identify the colourants present on the figurines, including optical microscopy, Fourier transform infrared (FTIR) spectroscopy, Raman spectroscopy and scanning electron microscopy with energy dispersive X-ray (SEM-EDX) analysis. Unfortunately, because the permissible sample size
was limited, it was not possible to identify any of the
binders used with the pigments.
In the majority of the objects sampled the pigments
were applied on top of a white ground (in some cases a
surprisingly thick layer), while for the remainder they seem
to have been applied directly to the terracotta or plaster
surface. The composition of the white ground was also
investigated. Details of the figurine substrates and grounds
are given in Table 1.
Methodology
Samples were taken of all the colours identified on the
Kelsey collection (red, pink, purple, green, yellow, black
and white) with the exception of blue. Prior to the work
described here all blue areas and purple areas were imaged
using the visible-induced luminescence technique (VIL)1,
which confirmed the presence in these areas of Egyptian
blue, a synthetic pigment in common use during the
Seleucid period.
Small samples (of a few grains each) were collected
from coloured areas on the objects by Claudia Chemello
and Suzanne Davis, conservators from the Kelsey Museum, and transferred onto glass microscope slides for
analysis in London. Samples of the white ground were
taken in the same way. While this sampling technique
minimises damage to the figurines it does mean that no
stratigraphic information is retained.
All samples were examined using optical microscopy
prior to analysis and found to consist of individual grains
less than 1 mm across. The majority of the samples were
analysed using two complementary techniques: microRaman spectroscopy for inorganic compounds; and Fourier transform infrared (FTIR) spectroscopy for selected
inorganic and all organic compounds. Both techniques are
non-destructive, give results after short count times
(generally less than 1 minute per analysis) and permit
the analysis of sub-millimetre sized particles. The spectra generated by both techniques are characteristic of the
compounds being analysed, rather than just the elements
present in the sample. As such, specific minerals or
materials can be identified using these techniques by
comparing spectra acquired from the sample with inhouse and web-based databases of reference spectra2.
Both techniques are long-established in archaeological
science, with particular applications to the study of
polychromy3.
One sample, number 15678, contained individual deep
blue grains that could not be identified by either microRaman or FTIR spectroscopy. This sample was additionally analysed using a scanning electron microscope with
an energy dispersive X-ray detector (SEM-EDX), which
reveals the elemental composition of a sample. For full
details of the analytical results see Table 1 (Appendix).
Results
White samples
The five white samples (14416, 15620, 16272, 16302,
16385), which were all taken from white grounds applied to the surfaces of the objects, were analysed by
Raman spectroscopy and all matched the reference spectrum for gypsum.
Red samples
Individual red grains within six of the seven red samples were shown by Raman spectroscopy to be hematite
(Fe2O3; samples 14332, 14546, 15619, 15712, 16126,
16222), a non-hydrated iron oxide. Hematite can be
found in nature as a pure mineral but is much more
commonly found mixed with clay, quartz and other earth
components in the form of red ochre. Three of the hematite-containing samples also contained individual white
grains that were identified as gypsum (CaSO4·2H2O;
samples 14332, 14546, 16222). Gypsum is also a common component of natural ochre4, but here is most likely to represent transfer from the white ground beneath
the red layer (all the white grounds identified in this study
proved to be gypsum). The remaining red sample was
shown by Raman spectroscopy to contain vermilion (HgS;
sample 15620), a mercury sulphide that can occur naturally as the red mineral cinnabar.
* Mellon Research Fellow, Conservation and Scientific Research, The British Museum, London WC1B 3DG
1
VERRI 2009; see 13-14 this volume.
2
E.g. DOWNS 2006.
3
E.g. SMITH, CLARK 2004; VERRI et alii 2010; HOOD et alii 2011;
MORETTO et alii 2011.
4
EASTAUGH et alii 2008.
20
EMMA PASSMORE
Pink samples
Nine pink samples, variously described as ‘bright pink’,
‘light pink’ and ‘pink’, were submitted for analysis.
Three of the ‘bright pink’ samples (14117, 15620 and
16425) were analysed using Raman spectroscopy but did
not produce interpretable spectra because of high fluorescence, suggesting that either the pigment or binder is
organic in origin. All three samples were further analysed
by FTIR and produced spectra that matched reference
spectra for madder, an organic colourant. A ‘light pink’
and a ‘pink’ sample (samples 16313 and 15678 respectively), gave similar results to the ‘bright pink’ samples
described above, producing FTIR spectra suggesting the
presence of madder. Sample 16313 also contained gypsum, which is most likely to have come from the underlying white ground, but could have been deliberately
applied to tone the colour.
The three remaining ‘light pink’ samples (16213,
16326 and 16340) and one ‘bright pink’ sample (16409)
were shown by Raman spectroscopy to contain hematite. Samples 16213, 16340 and 16409 also contained
gypsum. All three have white grounds but, given the
ultimate colour, here it seems most probable that the
gypsum is associated with producing the desired tone
rather than coming from the ground. However it is not
clear if the colour is the result of the deliberate mixing
of two raw materials or of a careful choice of ochre deposit
(pink ochres are rare but do occur in nature).
Purple sample
Prior to sampling, the one purple area, on 15678,
was imaged by VIL and found to ‘glow’ in the infrared
suggesting the presence of Egyptian blue. The sample
collected from this region was examined by optical microscopy and seen to be a mixture composed largely of
pale pink material with interspersed deep blue grains.
Both the pink material and the blue grains were analysed by Raman spectroscopy but no interpretable spectra
could be collected due to high levels of fluorescence.
The blue grains were too small to be successfully manually separated from the pink material, so the bulk
sample was examined by FTIR and produced a spectrum that suggested the presence of madder. This sample
was also analysed by SEM-EDX to investigate the elemental composition of the blue pigment. Compositional
analyses performed over an area of the sample containing
several blue grains showed that these contained copper
(Cu), which is probably the chromophore responsible
for the blue colour of the grains, and also contained
calcium (Ca), silicon (Si) and oxygen (O). Given these
data and the results of the VIL examination the copper-based material is interpreted as Egyptian blue
(CaCuSi4O10).
Green samples
Three green samples (14168, 14390 and 16221) were
analysed by Raman spectroscopy, but did not produce
interpretable spectra. All were then analysed by FTIR
and samples 14390 and 16221 produced spectra which
matched reference spectra for celadonite, a potassium-,
iron- and magnesium-bearing mineral (K(Mg,Fe2+)Fe3+
(Si4O10)(OH)2 ). Celadonite is a variety of mica and the
colourant present in many green earths5. In the case of
14390 some gypsum, probably from the underlying ground,
was also present.
Sample 14168 produced a spectrum matching that of
gypsum, suggesting that only material from the underlying white ground was present on the slide.
Yellow samples
Optical microscopy of the three yellow samples (15620,
15678, 16492 showed they differ in appearance. Sample 15620 contained only yellow-coloured amorphousshaped grains, whereas samples 15678 and 16492 contained similar yellow material plus individual opaque white
grains. Despite this all gave Raman spectra for goethite
(FeO(OH)), an hydrated iron oxide which is the major
mineral component of yellow ochre, and gypsum, which
may be part of the ochre or could represent material from
the ground or plaster.
Black samples
Five of the six black samples (14006, 14375, 14390,
15229 and 31491) produced Raman spectra that matched
a reference spectrum for amorphous carbon. None of the
samples produced spectra that contained a phosphate
peak, so the black pigment is unlikely to be burnt bone
(bone black), while the small grain size suggests the use
of carbon black, derived from soot, rather than the use
of crushed charcoal. Sample 14375 produced a composite
spectrum that also matched the reference spectrum for
gypsum, and when observed by optical microscopy was
seen to contain individual white gypsum grains, probably coming from the underlying ground. The spectrum
for sample 31491 also contained an as yet unidentified
peak at ~650 cm-1. Sample 31552 is as yet unidentified;
the material produced a Raman spectrum that has no
known matches with the in-house British Museum database and produced an FTIR spectrum that was a poor
match for burnt umber. Umber is a naturally-occurring
iron and manganese clay that intensifies in colour when
burnt from an earthy brown to shades of deep brown/red.
Discussion
Perhaps surprisingly, given their number, little investigation seems to have been made of the pigments used
on terracotta and plaster figurines of this period. However the colourants employed in wall paintings, architectural elements and stone sculpture are much better reported6 and provide a framework with which these results can be compared.
All of the white samples were shown to be gypsum
(CaSO4·2H2O), a common mineral. This differs from the
palette reported by Kakoulli (2009) where calcium carbonate was the most common white found, with multiple occurrences of kaolinite and lead white also being
identified. From observation (Menegazzi, pers comm) it
is clear that the gypsum represents a deliberately applied
white ground, which is present on nearly all of the objects (Table 1). From the frequent appearance of gyp-
5
6
Ibidem.
See for example KAKOULLI 2009.
ANALYTICAL RESULTS FOR PIGMENT TRACES
sum in all the analyses it is likely that this ground has
contaminated some of the pigment samples. Unfortunately, given the sampling method, it was not possible to
differentiate between gypsum applied as a ground and
transferred to the pigment samples and gypsum which
might be a natural component of the pigment, for example, in the case of the natural earth pigments.
The green and yellow and all but one of the red samples seem to represent the use of a range of earth pigments (yellow, green and red ochres). Many of these
samples also contained gypsum, which also occurs as a
component of ochre7, but most probably represent transfer
from a deliberately applied ground. In some cases, such
as some of the ‘light pink’ samples it seems highly likely
that the gypsum has been deliberately mixed with the
hematite to produce the lighter pink colour. Coloured
ochres were readily available throughout the Seleucid
empire and are known to have been commonly used as
pigments in the region since prehistoric times8. They are
well known from Greek contexts contemporary with the
Seleucid terracottas9.
The remaining red sample (15620) was found to be
coloured by vermilion (HgS), which occurs naturally as
the mineral cinnabar. While vermilion is not unusual in
Hellenistic contexts10 it is less common than red ochre
and is likely to have been more expensive; in this case it
is notable that it has been used on one of the larger and
more intricately modelled pieces.
The majority of the black samples analysed were shown
to be amorphous carbon, a common and very cheap
pigment in most ancient palettes, and the predominant
black throughout the Greek influenced world. The remaining black sample was a poor match for burnt umber, a naturally-occurring iron- and manganese-rich clay.
Kakoulli (2009) reports the presence of a probable umber
amongst a number of powered pigments found in terracotta vessels in Hellenistic layers at Delos, Greece.
The one purple sample, 15678, was taken from a
plaster figurine that had been imaged at the Kelsey
Museum using the VIL technique and shown to be coloured with Egyptian Blue. The sample contained a mixture of bright pink grains, which were shown by FTIR
to be madder, and deep blue grains, which were shown
by SEM-EDX to contain Cu. It seems likely that these
blue grains are Egyptian Blue (CaCuSi4O10), the synthetically-produced pigment which was the predominant blue
colourant throughout this region until the mid first millennium AD. Pliny refers to use of similar mixtures to
yield purples in his Natural History (XXV; 26).
The majority of the bright pink samples were shown
by FTIR to be coloured by madder. Madder is an organic dyestuff derived from the roots of various members of
the Rubiaceae family, which has been used to produce
pigments that range in colour from yellows, reds, pinks
and oranges to purples and browns11. The use of madder as both a dyestuff and a pigment in the region predates the Seleucid empire; for example, madder pigment
survives on Cypriot pottery shards dating back to the
eighth century BC12.
21
Conclusion
The pigments found on these objects were all been in
widespread use before and during the period of the
Seleucid empire and are similar to known palettes from
contemporary contexts13.
EASTAUGH et alii 2008.
Ibidem.
9
KAKOULLI 2009.
10
Ibidem.
11
EASTAUGH et alii 2008.
12
FOSTER, MORAN 1989.
13
E.g. KAKOULLI 2009.
7
8
22
EMMA PASSMORE
Table 1 - Analytical Results for Pigment and Ground Samples from Seleucid Terracottas in the Kelsey Museum.
Inventory
no.
14416
15620
16272
16302
16385
Catalogue
no.
8.G32
3.G187
11.G40
5.G162
9.G19
Sample
Substrate
Ground layer
Raman Results
FTIR results
white ground
white ground
white ground
white ground
white ground
terracotta
terracotta
terracotta
terracotta
terracotta
white ground
white ground
white ground
white ground
white ground
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
14332
14546
15619
15620
15712
16126
10.G207
22.G1067
10.G231
3.G187
8.G39
1.G128
red pigment
red pigment
red pigment
red pigment
red pigment
red pigment
terracotta
terracotta
terracotta
terracotta
terracotta
terracotta
gypsum
gypsum
gypsum
gypsum
probably gypsum, very weak
Raman signal
hematite with some gypsum
hematite with some gypsum
hematite
vermilion
hematite
hematite
16222
14117
10.G183
8.G35
terracotta
terracotta
15620
3.G187
16409
9.G135
16425
5.G368
red pigment
bright pink
pigment
bright pink
pigment
bright pink
pigment
bright pink
pigment
white ground
white ground
none
white ground
none
white ground probably
present but completely
covered by red pigment
white ground
hematite with some gypsum
white ground
no spectra due to high
fluorescence
white ground
no spectra due to high
fluorescence
white ground
small proportion of hematite with
much gypsum
white ground
no spectra due to high
fluorescence
16213
16313
14.G141
9.G140
light pink pigment terracotta
light pink pigment terracotta
white ground
white ground
hematite, plus some gypsum
no spectra due to high
fluorescence
16326
16340
15678
1.G142
8.G74
light pink pigment terracotta
light pink pigment terracotta
pink pigment
plaster
white ground
white ground
none
purple pigment
plaster
none
hematite
hematite, plus some gypsum
no spectra due to high
fluorescence
no Raman spectra due to high
fluorescence; SEM-EDX showed
the blue grains to contain copper,
calcium, silicon and oxygen
suggesting Egyptian blue.
no spectra due to high
fluorescence
no spectra due to high
fluorescence
no spectra due to high
fluorescence
mixture of goethite and gypsum
goethite plus some gypsum
goethite plus some gypsum
amorphous carbon
amorphous carbon plus some
gypsum
amorphous carbon
amorphous carbon plus one
unidentified spectrum
amorphous carbon plus one
unidentified peak at 650 cm-1
unidentified spectrum
15678
terracotta
terracotta
terracotta
14168
9.G49
green pigment
terracotta
white ground
14390
20.G68
green pigment
terracotta
white ground
16221
3.G167
green pigment
terracotta
white ground
15620
15678
16492
14006
14375
3.G187
1.G118
10.G191
13.G150
yellow pigment
yellow pigment
yellow pigment
black pigment
black pigment
terracotta
plaster
terracotta
terracotta
terracotta
white ground
none
white ground
white ground
white ground
14390
15229
20.G68
1.G34
black pigment
black pigment
terracotta
terracotta
white ground
white ground (?)
31491
22.G3
black pigment
terracotta
none (?)
31552
8.G3
black pigment
terracotta
white ground
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
madder
madder
N/A
strong gypsum
signal; small peak
suggesting madder
N/A
strong gypsum
signal, small peak
suggesting the
presence of madder
N/A
N/A
madder
madder
gypsum
celadonite and
gypsum
celadonite
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
N/A
poor match for
burnt umber
III.
I SOGGETTI DEL REPERTORIO SELEUCENO 1
Come emerge dalla lettura del catalogo, le terrecotte
da Seleucia sono il risultato dell’incontro e del dialogo
fra cultura greca e tradizione mesopotamica2. I complessi
equilibri fra le due componenti sono alla base della ricca
e articolata produzione cittadina: influssi occidentali e
elementi di tradizione locale sono apprezzabili, in diverse proporzioni, quale che sia l’angolo visuale scelto per
analizzarne le caratteristiche.
Guardando ai soggetti dei fittili, l’impatto della cultura greca si traduce in un significativo ampliamento delle
tematiche rappresentate rispetto alla coroplastica di epoca
pre-seleucide: accanto a soggetti di più o meno antica
tradizione locale quali figure femminili nude, nutrici,
musici, cavalieri, animali, modellini, entrano a far parte
del repertorio cittadino divinità ed esseri mitologici greci,
figure femminili in tunica e manto, recumbenti, figure
maschili nude e seminude, fanciulli, grotteschi, maschere teatrali. L’introduzione di soggetti greci presuppone,
da parte degli artigiani seleuceni, una conoscenza diretta e approfondita dei modelli occidentali; d’altro canto,
la persistenza di soggetti di tradizione orientale sembra
implicare, in Mesopotamia come nella vicina Susiana, una
continuità di produzione maggiore di quanto il limitato
numero di terrecotte di periodo achemenide lasci supporre3. È importante sottolineare che, a Seleucia, soggetti greci e orientali non formano due gruppi distinti e
impermeabili alle influenze reciproche: al contrario, proprio i continui e profondi contatti e scambi fra le due
tradizioni portano alla nascita di un linguaggio iconografico e formale nuovo e originale.
III.1. I soggetti della tradizione vicino-orientale
È alla luce della produzione mesopotamica di periodo
pre-seleucide che le figurine riproducenti soggetti tradizionali vanno considerate per poterne apprezzare appieno elementi di continuità e aperture alle influenze occidentali. Il peso della tradizione è particolarmente forte
nel caso della figura femminile nuda, uno dei soggetti
più antichi e longevi della coroplastica mesopotamica. Nel
repertorio cittadino trovano infatti spazio, in proporzioni differenti, tutti i tipi iconografici elaborati nel corso
del tempo, in un’evoluzione all’insegna della continuità:
basti pensare che il tipo più popolare nella coroplastica
di periodo seleucide e partico, quello della figura femminile con le braccia lungo i fianchi (2A,g), risulta già
attestato nella produzione della prima metà del I millennio. Per contro, va osservato che la maggior parte
degli esemplari in catalogo è realizzata in stampi bivalvi e che dettagli iconografici di ispirazione greca – come
il diadema delle figure 2.G4-G6 o l’alta acconciatura
di 2.G28 – sono associati persino al più conservatore
dei tipi iconografici, la figura femminile con mani ai seni
(2A,a). Inoltre, va rilevato che il ventaglio delle rappresentazioni tradizionali si arricchisce di due nuovi tipi iconografici, di ispirazione occidentale ma perfettamente integrati nel repertorio locale a causa dell’impostazione rigidamente frontale, con le gambe strettamente unite: la
figura femminile senza braccia (2A,h) e quella con braccia
mobili (2A,i).
Nel caso delle nutrici la produzione di periodo seleucide e partico, seppure numericamente piuttosto ristretta, appare caratterizzata da una varietà di soluzioni espressive maggiore rispetto alle epoche precedenti. Le terrecotte di periodo neobabilonese si limitavano infatti a
raffigurare donne frontali – rigidamente stanti o più
raramente sedute – intente ad allattare, mentre le nutrici
seleucene sono ritratte con il fanciullo al seno oppure in
grembo o a cavalcioni sul fianco. Inoltre, alle figure in
pose di presentazione se ne affiancano altre, di evidente
ispirazione occidentale, illustranti un dialogo più intimo
e spontaneo fra la donna e il bambino: è il caso degli
esemplari 4.G39-G42, con un fanciullo stante che abbraccia la donna o cerca rifugio fra le sue vesti. È da
rilevare infine che la maggior parte degli esemplari in
catalogo risulta vestita e acconciata alla greca: la figura
4.G39, realizzata a matrice semplice, ha il corpo avvolto
in un manto che nasconde la parte inferiore del volto e
i capelli raccolti nella cosiddetta acconciatura a melone.
La libertà nella rielaborazione dei modelli e la grande
varietà nelle soluzioni compositive caratterizzano le raffigurazioni di cavalieri. Come abbiamo visto, nella coroplastica mesopotamica il soggetto è relativamente recente:
esso si afferma nel corso del I millennio, conoscendo una
grande popolarità in epoca achemenide. A Seleucia, la
continuità con la produzione di periodo achemenide è
evidente nei cosiddetti cavalieri persiani (9A,b), figure
modellate a mano con il volto realizzato a stampo, che
rappresentano un insieme estremamente ridotto; molto
maggiore è il peso delle figurine di genuina ispirazione
occidentale, rappresentate dai cavalieri – generalmente
fanciulli – realizzati in un unico stampo con la cavalca-
1
Per un’analisi dettagliata dei soggetti del repertorio seleuceno, corredata di confronti e riferimenti bibliografici, si rimanda
alle introduzioni dei capitoli in cui è suddiviso il catalogo.
2
Come approfondiremo in queste pagine, decisamente minore
è l’apporto della componente iranica.
3
MARTINEZ-SÈVE 2002, 741.
24
ROBERTA MENEGAZZI
tura (gruppo 9B). Più numerose delle figurine pienamente
inquadrabili nel solco della tradizione greca o vicinoorientale sono tuttavia quelle caratterizzate dalla rielaborazione autonoma e originale di elementi di diversa
origine. Realizzati a matrice semplice ma vestiti alla greca
sono i cavalieri ricavati da matrici destinate alla creazione di figure maschili stanti (9A,c), pratica che trova un
antecedente nella produzione di periodo neobabilonese.
Abbigliamento e stile di esecuzione occidentali caratterizzano i cavalieri a matrice doppia finiti all’altezza dei
fianchi (9A,d-9A,f), apparentemente senza confronti in
ambito mesopotamico. Il caratteristico costume iranico
composto di casacca incrociata sul petto e pantaloni
compare su alcuni dei cavalieri con le gambe arcuate
(9A,m) e dei sopra citati cavalieri realizzati in un unico
stampo con la cavalcatura (9B,d, 9B,l).
La veste indossata dai cavalieri riconducibili ai tipi
iconografici 9A,m, 9B,d e 9B,l ci dà lo spunto per ampliare il quadro dei riferimenti culturali alla base della
coroplastica seleucena: accanto alla componente mesopotamica e a quella greca occorre citare infatti anche la
componente iranica, intesa nella doppia accezione di
achemenide e partica. Come appare evidente dalla lettura del catalogo, il suo peso nella formazione del repertorio iconografico seleuceno è molto limitato4. Decisamente rari sono i tipi iconografici di chiara ascendenza
achemenide, tutti documentati da un numero estremamente ristretto di esemplari: oltre ai già citati cavalieri
persiani ricordiamo la figura femminile con mani ai seni
in casacca e lunga veste aderente (22.G30, tipo iconografico 22C,b) e la figura maschile frontale in tunica al
ginocchio, calzoni e kandys che cade in due falde ai lati
del corpo (7.G63-G65, tipo iconografico 7A,h). Verosimilmente databile all’epoca partica è invece il tipo iconografico della figura maschile frontale con piccolo attributo nella mano destra e ghirlanda nella sinistra (7A,f ).
Al repertorio iconografico dell’Iran partico sono inoltre
riferibili la sopra citata veste composta di casacca incrociata sul petto e pantaloni – indossata anche da liutisti
e danzatori con le gambe mobili (10C,n, 10I,a) – e alcuni dettagli come l’acconciatura tripartita delle teste
maschili 23.G29-G35, 23.P6.
Il peso della tradizione locale è forte nelle raffigurazioni di musici, soggetto che gode di una particolare
popolarità nella coroplastica di periodo seleucide e partico: gli strumenti rappresentati sono per lo più quelli della
tradizione vicino-orientale, e i suonatori sono generalmente ritratti frontali, in pose di presentazione piuttosto
rigide. Legata all’influsso greco è invece la presenza
piuttosto consistente di fanciulli musicisti, così come greci
sono i dettagli iconografici – abbigliamento, acconciatura e accessori – che compaiono su molte delle figure in
catalogo: si considerino a titolo di esempio l’abito delle
arpiste a matrice semplice 10.G54-G64, l’acconciatura
a due crocchie di molte delle arpiste con cassa di risonanza dello strumento alta a lato del viso (10B,a) o l’ornamento per il capo più diffuso, la ghirlanda, comune
alle rappresentazioni femminili, maschili e infantili5.
Nel caso delle raffigurazioni di animali, il legame con
la tradizione pre-ellenistica è evidente in primo luogo sotto
il profilo tecnologico, nella persistenza della modellatura a mano con cui è realizzato il 19% delle figurine teriomorfe in catalogo6. Particolarmente interessante è il
caso dei cavalli: come sottolineato nell’introduzione al
capitolo 19, gli esemplari modellati a mano con il lungo
muso abbassato (19.G160-G176, 19.P26-P30) trovano
puntuali paralleli nelle figurine di epoca achemenide da
Abû Qubûr7, evidenziando una continuità assoluta con
la produzione di periodo precedente. Per contro, l’apporto della componente occidentale si misura non solo
con la grande diffusione delle figurine a matrice doppia,
ma anche con la presenza di soggetti caratteristici della
produzione di ambito mediterraneo come il gallo (19M,c),
apparentemente sconosciuto nella coroplastica di periodo pre-seleucide, o il cosiddetto cane di razza maltese,
fedelmente riprodotto negli esemplari 19.G42-G44.
L’equilibrio tra elementi di antica tradizione mesopotamica ed elementi di origine occidentale caratterizza
anche i modellini di oggetti. Sostanzialmente identici agli
esemplari delle epoche precedenti sono i modellini di letto
con piano in paglia intrecciata (20I,c) e i modellini di
barche (20J,a); verosimilmente mutuato dalla kline greca è invece il materasso che compare sui modellini di letti
di tipo 20I,b. Il legame con il mondo occidentale è evidente nel caso del kalathos, il cesto di vimini a profilo
svasato che compare fra le terrecotte di produzione microasiatica (20D,a-20D,b). Confronti con la coroplastica di ambito mediterraneo sono individuabili anche per
i piatti da offerta (20C,a-20C,d) e per i modellini di
elementi architettonici. Il modellino di capitello 20.G171
trova invece un parallelo piuttosto stretto con un capitello in arenaria da Bard-e Nešânda.
III.2. I soggetti di ispirazione occidentale
Come appare evidente anche ad un’osservazione superficiale, le terrecotte da Seleucia mostrano un forte
legame con la cultura figurativa greca. In particolare, il
contatto con il mondo occidentale è alla base della straordinaria ricchezza iconografica del repertorio cittadino:
un’analisi delle figurine di ispirazione occidentale non
potrà dunque prescindere da una riflessione sui possibili
modelli delle terrecotte seleucene.
Nelle introduzioni ai singoli capitoli in cui il catalogo
è suddiviso, cui ancora una volta si rimanda per una analisi
dettagliata dei caratteri iconografici e stilistici dei vari
soggetti, sono stati di volta in volta evidenziati i paralleli, in taluni casi molto stretti, fra le figurine seleucene
e quelle prodotte nel bacino orientale del Mediterraneo.
Tali paralleli sono troppo numerosi per essere ricordati
uno a uno in questa sede. Piuttosto, è importante sottolineare che gli esemplari per i quali è possibile trovare
confronti puntuali con la produzione del Mediterraneo
orientale sono estremamente vari e comprendono figure
4
Il peso della componente iranica è marginale anche nella
contemporanea produzione di Susa. Cf. MARTINEZ-SÈVE 2002,
752-753.
5
La ghirlanda compare anche sul capo dei liutisti con le gambe mobili, in abbigliamento iranico (10C,n).
6
Al riguardo, si veda il paragrafo II.1.
7
SPYCKET 1991, 51, n. 17.
III. I SOGGETTI DEL REPERTORIO SELEUCENO
femminili panneggiate8, figure maschili nude9 e vestite10,
figure grottesche e caricaturali11, fanciulli12, ma anche
animali13 e modellini14. In particolare, i paralleli individuati dimostrano la familiarità degli artigiani seleuceni
con i repertori coroplastici di Smirne, Myrina, Priene e
Tarso: figurine o matrici provenienti da quelle aree potrebbero dunque aver svolto la funzione di modelli per
la produzione locale15. A questo proposito è opportuno
citare un torso maschile rinvenuto durante gli scavi
americani e conservato presso l’Iraq Museum di Baghdad,
che W. van Ingen considera importato16: se si accetta la
lettura della studiosa americana17, l’esemplare in questione
potrebbe rappresentare il modello – di probabile provenienza microasiatica, visti i sopra citati paralleli con la
produzione di Smirne – per i torsi maschili riuniti nel
tipo iconografico 6B,c.
Accanto alle terrecotte, anche il vasellame a rilievo può
essere indicato come veicolo di trasmissione delle iconografie dall’Asia Minore alla Mesopotamia: una chiara
indicazione in tal senso è fornita dalle placchette con scene
erotiche da Seleucia (22D,d), che trovano corrispondenze
precise – sul piano dei soggetti, della composizione e dei
dettagli iconografici – con le raffigurazioni presenti sulla ceramica a rilievo pergamena datata fra la metà del II
e gli anni 60 del I secolo a.C.18. Come la ceramica a rilievo,
molte delle sopra citate terrecotte di provenienza microasiatica, potenziali modelli degli esemplari seleuceni, sono
datate al II-I secolo a.C. o addirittura al I secolo d.C.,
testimoniando una continuità degli scambi non solo
commerciali ma anche culturali che va ben al di là dei
limiti cronologici del dominio seleucide sull’Asia. Va
comunque rilevato che la circolazione di figurine, vasellame e altri oggetti di piccolo formato non esclude la
presenza, a Seleucia, di artigiani greci con il loro bagaglio di conoscenze e competenze tecniche, iconografiche e stilistiche.
La grande scultura può aver rappresentato un’altra
fonte di ispirazione per gli artigiani seleuceni. In effetti,
molte fra le rappresentazioni di divinità e figure mitologiche greche riproducono tipi statuari: è il caso dell’Afrodite accovacciata comunemente conosciuta come Afrodite di Doidalsas (1A,b), dell’Eracle a riposo del tipo
Farnese e delle sue varianti (1D,a-1D,b), dell’Eracle
Epitrapezios (1D,f), della cosiddetta Urania di Francoforte (1J,b). Tali statuette potrebbero essere direttamente ispirate a sculture in pietra o in bronzo esposte, e forse
anche prodotte, a Seleucia. In effetti, è stato autorevolmente sostenuto che una produzione fittile ricca come
quella seleucena presupponga la presenza, in città, di una
scuola di scultori19. In quest’ottica, le numerose figurine
raffiguranti Eracle a riposo con mano destra al fianco
(1D,b) sono state utilizzate come argomento a favore
dell’attribuzione a un atelier seleuceno della ben nota
statua bronzea di Eracle portata a Seleucia come bottino di guerra dopo la vittoria del re partico Vologese IV
sul re di Mesene e collocata nel tempio di Apollo20.
L’abbondanza di temi e iconografie occidentali a disposizione degli artigiani locali è testimoniata dalla varietà dei tipi iconografici di ispirazione greca presenti in
catalogo. Tale varietà costituisce indubbiamente un tratto peculiare della coroplastica seleucena; essa appare
tuttavia bilanciata da un altro carattere, apparentemente
25
antitetico ma altrettanto significativo, ovvero dallo speciale favore accordato ad alcuni tipi iconografici, non
necessariamente i più popolari in ambito occidentale21.
Entrambi i caratteri sono presenti in uno dei soggetti
maggiormente attestati nel repertorio seleuceno, quello
della figura femminile panneggiata. Gli esemplari in
catalogo sono infatti riconducibili a un gran numero di
tipi iconografici e ritraggono figure in pose di presentazione o in movimento variamente abbigliate: in tunica con
apoptygma, in tunica cinta alla vita, in tunica senza cintura o in tunica e manto avvolto intorno al corpo in fogge
differenti. A dominare, tuttavia, sono le figure stanti in
atteggiamento solenne, il braccio destro piegato al petto, avvolte in un manto con lembo sollevato sul capo
(3B,a). Come abbiamo visto, si tratta di un tipo iconografico di ispirazione statuaria, sporadicamente attestato nella coroplastica macedone e nella produzione di
alcuni centri dell’Asia Minore22: la grande fortuna da esso
Si considerino a titolo di esempio le figurine in tunica e manto
riconducibili al tipo iconografico 3B,j, che trovano un confronto
piuttosto puntuale nella produzione di Myrina (MOLLARD-BESQUES
1963, 98, pl. 114e).
9
Si pensi al parallelo fra il torso maschile 6.G26 (tipo iconografico 6B,c) e un esemplare da Smirne di analoghe dimensioni,
in atteggiamento identico ma speculare (MOLLARD-BESQUES 1972,
131, pl. 161d; D’Izmir à Smyrne, 116, n. 51).
10
Attestato nella produzione di diversi siti dell’Asia Minore è
il tipo iconografico dell’efebo stante avvolto in un manto, con
braccio sinistro piegato al petto (7B,c); i paralleli più puntuali
per le figurine da Seleucia sono ancora una volta con Myrina
(MOLLARD-BESQUES 1963, 119-122, pl. 143, b-f, 146, a, c-f, 147,
a-f, 148, d, f).
11
I volti dei recumbenti 4.S197-S200 trovano un parallelo
abbastanza puntuale in una testa da Priene (RUMSCHEID 2006, 501,
n. 288).
12
Decisamente stretto è il confronto fra le figurine 11.S14-S19
e un esemplare nel medesimo atteggiamento da Myrina (MOLLARDBESQUES 1963, 131, pl. 157f).
13
Oltre ai già citati cani maltesi, universalmente diffusi nella
coroplastica greca di periodo ellenistico, le figurine di zebu (19I,a)
trovano un interessante parallelo nella produzione di Priene (RUMSCHEID 2006, 520, n. 351-352).
14
Si considerino i già citati modellini di kalathos, con confronti da Tarso, di piatti per offerte, con confronti da Priene, di tavolini e elementi architettonici, con confronti da Myrina.
15
La circolazione di manufatti di piccole dimensioni è considerata un importante veicolo per la trasmissione delle iconografie
nel mondo greco e romano (GHEDINI 1997, 825).
16
VAN INGEN 1939, 116, n. 295, pl. XX, 136-137. La figura
(Fig. 13) è riprodotta nell’introduzione al capitolo 6, dedicato alle
figure maschili nude e seminude, cui si rimanda per un approfondimento ulteriore.
17
Chi scrive non ha avuto l’opportunità di osservare direttamente il pezzo.
18
SCHÄFER 1968, 93.
19
INVERNIZZI 1990, 22.
20
Le informazioni circa provenienza e dedica sono contenute
nella iscrizione bilingue, greca e partica, incisa sulle cosce della
statua. Trascrizione e traduzione di entrambe le versioni sono
riportate in INVERNIZZI 1989a.
21
Sull’argomento, si veda anche MENEGAZZI 2012.
22
Cf. LAZARIDES 1993, 75-78, eik. 93 (da Anfipoli); MOLLARDBESQUES 1963, 106, tav 128,d (da Myrina); TOPPERWEIN 1976, n.
32, taf. 5 (da Pergamo).
8
26
ROBERTA MENEGAZZI
goduta nella produzione di Seleucia rappresenta dunque
un tratto di originalità del repertorio cittadino. Le ragioni di tale popolarità – verosimilmente legata all’identità
del personaggio rappresentato, solo in apparenza generico – verranno analizzate in seguito23. In questa sede va
comunque rilevato che dal punto di vista dell’impostazione generale il tipo iconografico in questione appare
perfettamente in linea con le tendenze espresse dalla
produzione cittadina, che alla naturalezza e all’espressività delle figure in movimento mostra di preferire la fissità delle pose di presentazione.
Caratteristiche analoghe a quelle evidenziate a proposito delle figure femminili panneggiate sono rilevabili a
proposito dei putti, soggetto sconosciuto nella coroplastica mesopotamica di periodo pre-seleucide. Grande è
la varietà iconografica espressa dalle figurine in catalogo, che ritraggono fanciulli nudi, seminudi o panneggiati
nei più diversi atteggiamenti: stanti, seduti o distesi, in
pose di presentazione o in movimento, con dittico sulle
ginocchia, in groppa a un animale, intenti a giocare con
un volatile e/o con un grappolo d’uva. Per il numero delle
attestazioni e l’originalità dell’impostazione, a colpire
tuttavia sono da un lato i portatori di vaso (gruppo 11E)
– giovinetti intenti a sorreggere un recipiente, spesso
collocati sulla sommità di un supporto conico riccamente decorato – dall’altro i fanciulli seduti di grandi dimensioni (gruppo 11G). Se per i portatori di vaso seleuceni
non sono individuabili confronti puntuali al di fuori dell’ambito mesopotamico, le figure di putti seduti di grandi dimensioni appaiono caratterizzate da una rigidità nell’atteggiamento che contrasta con il naturalismo e la
vivacità delle rappresentazioni di fanciulli accovacciati di
ambito mediterraneo e che trova una corrispondenza
precisa nelle figurine di piccolo formato riunite nei tipi
iconografici 11D,b, 11D,d.
Guardando ai cosiddetti grotteschi – figure caricaturali e/o affette da deformità fisiche, particolarmente in
voga nella coroplastica prodotta nel bacino orientale del
Mediterraneo – ad emergere con forza è ancora una volta
la capacita di selezione e rielaborazione degli artigiani
seleuceni: la figura di gran lunga più popolare nel repertorio cittadino è infatti quella del nano a gambe storte
(gruppo 12A). Il soggetto è piuttosto comune nella
contemporanea produzione microasiatica e alessandrina,
ma la lettura che di esso offrono le terrecotte seleucene
è decisamente originale: del tutto assente è infatti quel
crudo, esasperato realismo che caratterizza le realizzazioni di ambito mediterraneo.
Ancor più significative sul piano della capacità di
selezione e rielaborazione da parte degli artigiani locali
degli stimoli di matrice occidentale sono le figure recumbenti. In questo caso, va rilevato innanzi tutto come in
epoca ellenistica la diffusione del soggetto in ambito
mediterraneo sia assai disomogenea: se nei repertori
occidentali, e in particolare in quelli della Magna Grecia, la figura semidistesa gode di una grande fortuna, essa
risulta scarsamente attestata in quelli microasiatici. Tanto più attenta, e mirata, appare dunque la scelta operata
dai coroplasti locali, che del motivo danno un’interpretazione del tutto differente da quella diffusa nel bacino
occidentale del Mediterraneo. Nei repertori di Grecia propria e Magna Grecia, ad essere rappresentata recumbente
è una figura maschile, generalmente seminuda e distesa
su una kline. A Seleucia si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di figure femminili – nude, seminude
o panneggiate – sprovviste di kline e con il braccio sinistro generalmente appoggiato su un cuscino. La popolarità del soggetto si misura con il numero di attestazioni dei tipi iconografici più diffusi, quello della figura
femminile seminuda (5B,a), quello della figura in tunica
aderente con i capelli raccolti in due masse gonfie sulle
spalle (5C,a) e quello della figura in tunica a maniche
lunghe e capo coperto da una kyrbasia con falde abbassate sulle spalle (5C,c).
All’insegna della varietà sono invece le rappresentazioni di divinità ed esseri mitologici greci. Le 251 figurine in catalogo ritraggono infatti 15 personaggi differenti24, alcuni dei quali attestati da un numero decisamente ristretto di esemplari: 7 sono le raffigurazioni di
Arpocrate25, 3 quelle di Dioniso26, 4 di Psiche27, 6 di figure alate dubitativamente interpretate come Nikai. Addirittura limitate ad un solo esemplare sono le raffigurazioni della dea Artemide (1.G45), di un’amazzone morente (1.G177), della musa Urania (1.G178) e di un centauro (1.P22). Una certa varietà è riscontrabile anche fra
le raffigurazioni delle tre divinità maggiormente attestate, Eracle, Afrodite e Eros: esse sono infatti riconducibili a un buon numero di tipi iconografici differenti,
nessuno dei quali sembra godere di grande popolarità
ad eccezione dell’Eracle in posizione di riposo con clava
appoggiata nell’incavo dell’ascella sinistra e mano destra
al fianco (1D,b).
A giudicare dal numero degli esemplari rinvenuti, uno
spazio nel complesso marginale è quello riservato alle
figure maschili nude, seminude e in abiti greci. Analogamente alle raffigurazioni di divinità, esse documentano
tuttavia con efficacia l’ampiezza del repertorio di temi e
iconografie occidentali a disposizione degli artigiani locali. Nel caso delle maschere, invece, la fedeltà ai modelli greci sembra coniugarsi con la fortuna del soggetto. Gli esemplari in catalogo testimoniano infatti di una
produzione ricca, varia e largamente debitrice al mondo
del teatro greco: numerose, come abbiamo sottolineato
nell’introduzione al capitolo 17, sono le maschere riconducibili a caratteri della commedia nuova, e ancora più
numerosi sono i tipi satireschi, alcuni dei quali si distinguono per l’impostazione genuinamente occidentale anche
sul piano della resa formale.
Cf. infra, par. V.2. Sull’interpretazione in chiave religiosa del
tipo iconografico in questione si veda anche MENEGAZZI 2005a.
24
Il gruppo I (divinità femminili alate), comprende infatti raffigurazioni di Psiche, Atena Nike e di un personaggio dubitativamente interpretato come Nike, mentre fra gli esseri mitologici
(gruppo J) compaiono un’Amazzone, la musa Urania e un centauro.
25
Nel computo sono stati inclusi anche gli esemplari 1.G136
e 1.G138, di dubbia attribuzione.
26
Si tratta della testina 1.G120 e delle due statuette frammentarie 1.G131-G132, dubitativamente interpretate come Dioniso e
Arianna.
27
Accanto ad esse vanno citate le raffigurazioni di Eros e Psiche (1H,j).
23