Studi 28 - Storia del diritto medievale e moderno
Transcript
Studi 28 - Storia del diritto medievale e moderno
5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:48 Page III Centro interuniversitario per la storia delle università italiane Studi (Collana diretta da Gian Paolo Brizzi) 28 Comitato scientifico Marco Cavina (Università di Bologna), Peter Denley (Queen Mary University, London), Mordechai Feingold (California Institute of Technology, Pasadena), Roberto Greci (Università di Parma), Paul F. Grendler (University of Toronto), Antonello Mattone (Università di Sassari), Daniele Menozzi (Scuola Normale Superiore di Pisa), Mauro Moretti (Università per Stranieri di Siena), Lorenzo Paolini (Università di Bologna), Luigi Pepe (Università di Ferrara), Mariano Peset (Universidad de Valencia), Maria Gigliola di Renzo Villata (Università di Milano), Hilde de Ridder Symoens (Universiteit Gent), Marina Roggero (Università di Torino), Andrea Romano (Università di Messina) Roberto Sani (Università di Macerata), Elisa Signori (Università di Pavia), Andrea Silvestri (Politecnico di Milano), Maria Rosa di Simone (Università di Roma “Tor Vergata”), Gert Schubring (Universität Bielefeld), Jacques Verger (Université Paris Sorbonne-Paris IV). 5508_Guerrini_bozza6.qxp_SN1 13/07/16 12:53 Page V Un monopolio imperfetto Titoli di studio, professioni, università (secc. XIV-XXI) a cura di Maria Teresa Guerrini Regina Lupi Maria Malatesta 5508_Guerrini_bozza6.qxp_SN1 13/07/16 12:53 Page VI © 2016, CLUEB Casa editrice, Bologna Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org. Un monopolio imperfetto. Titoli di studio, professioni, università (secc. XIV-XXI) / a cura di Maria Teresa Guerrini, Regina Lupi, Maria Malatesta. Bologna : Clueb, 2016 XIV-203 p. ; 27 cm (Centro interuniversitario per la storia delle università italiane : Studi / 28) ISBN 978-88-491-5508-2 CLUEB srl Via Marsala, 31 - 40126 Bologna 051 0950400 - www.clueb.it 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:48 Page VII INDICE IX MARIA TERESA GUERRINI – REGINA LUPI – MARIA MALATESTA, Introduzione 1 ToMMASo DURANTI, Doctores e dottori: laurea in medicina e professioni mediche nel Medioevo europeo 15 STEFANIA ZUCCHINI, Il ruolo sociale dei dottori: il caso medievale di Perugia 31 FERDINANDo TREGGIARI, ‘Nobiltà’ e ‘viltà’ delle professioni legali 41 SIMoNA NEGRUZZo, I destini professionali dei laureati in teologia: il Maestro del Sacro Palazzo al servizio del papa 59 MARIA TERESA GUERRINI, Conflitti corporativi fra dottori bolognesi, ferraresi e romani intorno a titoli accademici e professioni (1626-1795) 81 ILEANA DEL BAGNo, Dottorato e post-dottorato. I giuristi nel Mezzogiorno del Settecento 93 ALESSANDRA FERRARESI, Vie legali e non per esercitare la professione. Giuristi nello Stato di Milano tra Cinque e Settecento 131 GIGLIoLA DI RENZo VILLATA, Il notariato nell’Italia del Sette-ottocento tra cultura giuridica e pratica 153 ANDREA SILVESTRI, La professione dell’ingegnere tra otto e Novecento: il caso del Politecnico di Milano 161 MARIA ANToNIETTA TRASFoRINI, La formazione degli psicoanalisti in Italia 173 DoMINIQUE KALIFA, Journalistes: l’introuvable formation (France, XIXe-début XXe s.) 181 MARIAGRAZIA FANCHI, Una scrittura azzurro pallido. La formazione dei professionisti dell’informazione in Italia 189 FIoRELLA BULEGATo, La formazione dei designer nell’Italia del secondo dopoguerra 201 CHRISToPHE CHARLE, Eléments de conclusion 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 131 Il notariato nell’Italia del Sette-ottocento tra cultura giuridica e pratica Gigliola di Renzo Villata 1. Il Medioevo: una ‘necessaria’ premessa Tra Medioevo ed Età moderna gli statuti corporativi dell’arte dei notai di molte città italiane contengono di sovente una serie di regole sull’accesso alla professione per garantire l’idoneità degli aspiranti sul versante tanto culturale quanto pratico. Qualche esempio, dei numerosi che si potrebbero fare, anche al di fuori dei nostri confini (gli studi storici sul notariato vantano una consolidata tradizione, assai ricca di contributi attenti anche alla storia locale), varrà a fornire indicazioni di massima su quanto si richiedeva sul versante delle conoscenze teoriche e delle pratiche, attestate dalla spesso obbligatoria frequenza di uno studio di notaio per un certo variabile periodo. A Bologna (il punto di partenza mi sembra quasi d’obbligo…) uno statuto del comune del 1251 prescriveva che il candidato all’esame fosse stato «in arte notarie adiscenda per unum annum»; nel 1257 il maestro, representator del candidato all’esame, doveva garantire che costui «studuisse tribus annis in arte notarie»: dal 1259 al 1261 potevano figurare tra i representatores maestri di notariato quali Salatiele e Rolandino de’ Passeggeri, maestri di ars dictaminis quali Matteo de’ Libri, autore di opere di ars dictaminis in latino e in volgare. Il regime era già perciò sufficientemente rigoroso nel 1288 (aveva alle spalle una tradizione ormai radicata, fatta di scuole di notariato, influenzate in varia misura dallo Studium, con la sua cura del profilo teorico), poichè prevedeva una preparazione propedeutica all’esame vero e proprio, con due anni di studio, per così dire di base, «in grammatica», e una preparazione specifica di un anno o più, «in documentis notarie sub ordinario doctore»; diveniva, negli statuti corporativi dei primi anni del Trecento, nel 1304, ancora più stringente, attraverso l’incremento, da due a quattro, degli studi in «grammatica», da uno a due, della pratica notarile. Una commissione, composta, con criteri selettivi, di sedici notai, quattro per quartiere «de melioribus et pericioribus et literatoribus», di un giudice del podestà e di un altro da lui nominato, era chiamata a giudicare «volentes fieri tabelliones et inquirere diligenter ab eis de multis et diversis contractibus et videre et scire qualiter sciunt scribere et qualiter legere scripturas quas fecerint vulgariter et litteraliter et qualiter latinare et dictare» (nel 1288 si prescriveva un esame diligenter «de latino et hiis que spectant ad artem notarie»). Nel 1336, nel solco delle disposizioni del 1304, si ribadiva la necessità che il notaio non fosse inliteratus et indoctus, al punto tale che, in assenza di una «sufficentem litteraturam ad tabellionatus artem et officium exercendum», si prevedeva la cancellazione dalla matricola «et ulterius pro socio non habeatur»1. 1 Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di LUIGI FRATI, II, lib. VIII, rubr. I De tabellionibus non fatiendis sine examinatione, Bologna, Regia Tipografia, 1869, p. 185-188; Statuti di Bologna del 1288, a cura di GINA FASoLI-PIETRo 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 132 132 Gigliola di Renzo Villata Nel XV secolo la procedura di ammissione era resa ancora più complicata e onerosa perché, ad un primo esame da parte del correttore, di consoli ed esperti della società dei notai per valutare l’effettivo grado di conoscenza del latino e delle nozioni di arte notarile nel candidato, seguiva la presentazione ufficiale all’apposita commissione comunale, con un giudice del podestà, due giurisperiti ed otto notai nominati dalla società, davanti alla quale il candidato doveva dimostrare, dapprima con idonee testimonianze, indi mediante il superamento di prove specifiche, di aver soddisfatto agli obblighi di studio richiesti, ora divenuti cinque anni «in gramatica» e due anni «sub doctore notarie vel iuris civilis vel canonici». L’approvazione, in forma di sentenza del giudice del podestà, abilitava il candidato all’iscrizione nella matricola dei notai e, perciò, a esercitare il notariato nella città e nel contado, ma, per giungere alla definitiva immatricolazione, egli era obbligato a superare altri due esami, portati addirittura a tre e regolati guardando anche alla composizione degli organi giudicanti e delle maggioranze richieste, secondo le modifiche apportate nel giro di pochi anni dall’emanazione degli statuti di metà Quattrocento. In area lombarda si richiedeva fin dal Trecento, negli statuti del 1396 (nella rubr. De notariis examinandis antequam recipiantur), quindi probabilmente già dalla metà del secolo, un biennio di pratica presso un notaio expertus, il quale doveva giurare che il candidato aveva effettivamente frequentato il suo studio. Accertati i requisiti tra i quali la pratica, l’età, venti anni per questi statuti, ventidue per gli sforzeschi di un secolo dopo, l’origine come oriundus del candidato, si passava all’esame alla presenza degli abati del Collegio, che preparavano, ciascuna con un instrumento, otto schede, rispettivamente venditionis, obligationis, consultus, locationis, concessionis, socedi, procurationis, denuntiationis pignorum mortuorum, poi poste nell’urna («in uno sacchullo»). Seguiva l’estrazione a sorte di una di esse e lo svolgimento dell’instrumentum dato «in thema» al candidato, che aveva il compito di scrivere «competenter ad modum» il protocollo, cioè imbreviare e «divulgare vulgariter contractum»; all’esame così svolto si aggiungeva la verifica se il candidato «sufficiens fuerit in literatura et in scriptura», per poi controllare se «habeatur fides de moribus et vita ac bona fama». Nel 1474 il collegio ottiene di poter nominare notarii «ad omnia laudati», «etiamsi non stetissent per biennium », o ragazzi che non abbiano compiuto i diciassette anni: la motivazione addotta per i primi è la qualità di (già) experti, per i secondi, anche quattordicenni, di essere ‘svegli’ e perciò più bravi nell’apprendere la conoscenza di alcune discipline2. SELLA, II, lib. VII, rubr. I, Quomodo et qualiter creari debeant tabelliones per comune Bononie, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1939, p. 49-50; Statuti della società del popolo di Bologna, a cura di AUGUSTo GAUDENZI, vol. II Società delle Arti, rubr. XXXXI, Quod illiterati et indocti notarii de matricula nostra tollantur, rubr. XXXXIIII, Forma examinationis eorum qui volunt fieri notarii et qui non possunt fieri notarii nec habere officia, Roma, Forzani & C. Tipografi del Senato, 1896, p. 40-45; Statuti della Società dei notai di Bologna dell’anno 1336. Contributo alla storia di una corporazione cittadina, a cura di NICoLETTA SARTI, rubr. [XXXVI] Quod inliterati et indocti notarii de matricula tollantur, Milano, Giuffrè, 1988, spec. p. 4748. V. GIoRGIo TAMBA, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna, CLUEB, 1998, spec. p. 314-315; da ultimo ID., Da forza di governo a burocrazia. La trasformazione dei notai a Bologna nel secolo XIV, in Il notaio e la città, a cura di VITo PIERGIoVANNI, Milano, Giuffrè, 2009, spec. p. 207-208; MARIA LUISA LoMBARDo, Il notaio romano tra sovranità pontificia e autonomia comunale (secoli XIV-XVI), Milano, Giuffrè, 2012, spec. p. 263-264; già RoSARIo FERRARA, «Licentia exercendi» ed esame di notariato a Bologna nel secolo XIII, in Notariato medievale bolognese, II, Atti di un Convegno (maggio 1989), Roma, Consiglio Nazionale del Notariato, 1977, p. 47-120. 2 ALBERTo LIVA, Il notariato e il documento notarile a Milano dall’alto medioevo alla fine del ’700, Roma, Consiglio nazionale del notariato, 1979, p. 146 ss. V. Liber statutorum inclite civitatis Mediolani, rubrica generalis statutorum collegii notariorum Mediolani, rubr. De crida facienda per notarium compareat ad se scribendum in libris collegii et de notariis examinandis antequam recipiantur, Mediolani, impressus opera et impensa egregii magistri Pauli de Suardis, 1480, n.n.; Statuta civilia reformata a Ludovico M. Sfortia Duce, rubr. Qualiter intrare volentes Collegium predictum […] et de quantitate denariorum solvenda per omnes notarios, Mediolani, Alexander Minutianus, 1498, ma v. spec., anche per la presenza di un commento al regime, Leges et statuta Ducatus Mediolanensis […] commentariis luculentissimis illustrata ab Horatio Carpano […], cap. CCCLVI Qualiter intrare volentes Collegium predictum, Mediolani, apud Ioannem Baptistam Bidellum, 1616, p. 548-549. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 133 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 133 A Genova gli statuti corporativi del 1462, «la charta magna del notariato genovese fino a tutto il Cinquecento», dettavano una procedura complessa, integrata da varie indagini sulla sussistenza dei requisiti per accedere alle prove, preesami, anche ‘segreti’ (loco remoto), ed esami veri e propri, tendenti, questi, a saggiare la preparazione «super gramaticalibus et arte notarie». Una tradizione storiografica, ricca di densi e qualificati contributi, ha posto in rilievo la serietà delle procedure, attestata dell’impegno a garantire il buon esercizio della professione, anche se da alcuni indizi si deduce che, comunque, la carenza diffusa di cultura giuridica nel ceto fosse problema sentito: non bastavano i rudimenti di grammatica appresi presso qualche scuola o l’insegnamento dell’Ars al suo iuvenis da parte del notaio, che nel contratto di apprendistato si impegnava talora ad insegnargli il latino e la notaria3. A Venezia, dove una legge sull’organizzazione della professione risale solo alla parte del Senato del 3 maggio 1514, diretta a disciplinare la libera professione, e non i notai d’ufficio, era previsto nell’età medievale un esame per diventare nodaro veneto, istituito con la parte del 30 dicembre 1342, seguita poi dalla legge dell’11 novembre 1485, che imponeva agli aspiranti di dimostrare l’idoneità alla professione (l’obbligo dell’esame era esteso ai notai di nomina imperiale o apostolica, prima non assoggettati a verifica): l’età per accedere era fissata, fin dalla parte del Maggior Consiglio del 9 luglio 1323, in venticinque anni compiuti (tale requisito durerà per quattrocento anni circa), pure se vennero concesse talora deroghe. Con la parte del 1514 si prescriveva, oltre a un’iscrizione del proprio nome in ‘Cancelleria inferiore’, un esame da parte di una commissione, scelta dal Collegio notarile costituito poco dopo l’entrata in vigore della legge del 1514, e composta da notai con almeno quindici anni di notariato alle spalle, chiamata a vagliare la sufficiente conoscenza della pratica notarile e l’idoneità di costumi. L’iniziazione alla pratica notarile era assicurata tramite l’apprendistato presso un cancello, cioè uno studio notarile ‘attrezzato’ in veste di coadiutori o attinenti o giovani pratici, pur non esplicitamente richiesto dalla legislazione (lo sarà solo con la legge del 28 febbraio 1632, che imponeva un apprendistato di due anni presso un notaio veneto), considerato non solo utile strumento per imparare i rudimenti del ‘mestiere’ ma per «essere introdotti nell’ambiente in cui un giorno si sarebbe dovuto operare». La cultura giuridica necessaria, data la diffidenza della Repubblica Veneta nei confronti del diritto comune, doveva essere dunque orientata fortemente alla pratica, anche se per un certo periodo del Medioevo, nel Quattrocento, vi furono anche a Venezia notai laureati4. 3 Cfr. LoRENZo SINISI, Formulari e cultura giuridica notarile nell’età moderna. L’esperienza genovese, Milano, Giuffrè, 1997, spec. p. 167 ss., 172 ss.; ID., Le origini dell’insegnamento penalistico a Genova. Dalla “lettura criminale” del Collegio notarile alla cattedra della pubblica università, «Materiali per la storia della cultura giuridica», 28 (1998), n. 2, p. 337-375 (v. anche ID., Per una storia dei formulari e della documentazione processuale nello Stato genovese fra Medioevo ed Età moderna, in La documentazione degli organi giudiziari nell’Italia tardo-medievale e moderna, Atti del Convegno di Studi, Siena, Archivio di Stato 15-17 settembre 2008, a cura di ANDREA GIoRGI-STEFANo MoSCADELLI-CARLA ZARRILLI, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione Generale per gli Archivi, 2012, p. 519-540); già GIoRGIo CoSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, Consiglio nazionale del notariato, 1970, passim; CARLo CARoSI, L’accesso al notariato a Genova in età colombiana: procedure d’esame, nomina ed immatricolazione, in Tra Siviglia e Genova: notaio, documento e commercio nell’età colombiana, a cura di VITo PIERGIoVANNI, Milano, Giuffrè, 1994, p. 327-343: p. 332 per il virgolettato nel testo. V. anche, in ispecie per quanto attiene ai notai-cancellieri, RoDoLFo SAVELLI, Notai e cancellieri a Genova tra politica e amministrazione (XV-XVI secolo), ivi, p. 459-484, e già ID., Le mani della Repubblica: la cancelleria genovese dalla fine del Trecento agli inizi del Seicento, in Studi in memoria di Giovanni Tarello, I, Saggi storici, Milano, Giuffrè, 1990, p. 541-609. 4 Cfr. MARIA PIA PEDANI FABRIS, “Veneta auctoritate notarius”. Storia del notariato veneziano (1514-1797), Milano, Giuffrè, 1797, spec. p. 2, 8, 17, 39, 59 ss. Per l’età medievale cfr. ATTILIo BARToLI LANGELI, Documentazione e notariato, in Storia di Venezia, I, Origini-Età ducale, I, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1992, p. 847-864 (v. anche ID., Notai. Scrivere documenti nell’Italia medievale, Roma, Viella, 2006, passim); inoltre FEDERICA PARCIANELLo, Documentazione e notariato a Venezia nell’età ducale, premessa di ATTILIo BARToLI LANGELI, con un saggio di SILVIA GASPARINI, Padova, Imprimitur, 2012. V. anche Documenti sul notariato veronese durante il dominio veneto, a cura di GIULIo SANCASSANI, Milano, Giuffrè (Fonti e strumenti per la storia del notariato italiano, 6), 1987. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 134 134 Gigliola di Renzo Villata A Firenze, in conformità agli statuti corporativi del 1344, si svolgeva un esame preliminare davanti a una commissione di soli notai «in gramatica et scriptura et in contractibus», indi un doppio esame pubblico davanti al consiglio direttivo del collegio, il primo «in gramaticalibus et notaria», il secondo, più pratico, sulle capacità di redazione di instrumenta, saggiate attraverso la discussione di due instrumenta e una prova scritta, relativa, almeno, alla prima clausola di un terzo instrumentum5. Gli statuti della corporazione dei notai volterrani del 1339 esigevano un attestato del novizio di aver studiato «gramaticam et artem notarie sub doctore gramatice et notarie», inoltre il superamento di due prove dinanzi ai consoli e al consiglio dell’arte. La prima consisteva nello svolgimento scritto di un tema in latino, scelto dal candidato tra dieci contenuti in una borsa, la seconda, orale, verteva su un tipo di contratto, secondo l’indicazione fornita dalla tessera estratta da un’altra borsa con dieci tessere. Più di un secolo dopo, nel 1468, la disciplina era inasprita per le lamentele piovute sulla scarsa preparazione dei notai volterrani: se ne può dedurre un vigore, prolungato nel tempo, di un simile regime. In effetti non si conservano testimonianze, tra Medioevo ed Età moderna, di un atto di esplicita abrogazione: l’innalzamento dell’età da una parte, la necessaria nascita da legittimo matrimonio, la cittadinanza volterrana dovevano essere presenti, oltre ad una pratica professionale, di almeno due anni, e alla prova, da fornire pure tramite testimoni, che «adminus per duos annos non studuerit in notaria sub doctore vel notario legente dictam notariam, et seu in iure civili sub doctoribus legentibus in iure civili». Quanto alle prove d’esame, si raddoppiava, per così dire, il carico: il candidato era tenuto a svolgere due temi anziché uno in latino; l’interrogazione verteva su due istrumenti di contratto anziché su uno solo6. Nel Regno di Sicilia i notai occupano «un ruolo di primo piano fin dalla fondazione». Nel 1231, nella costituzione De iudicibus et notariis publicis et numero eorum di Federico II (I.79), che li voleva ceto privilegiato «dipendente immediatamente dall’autorità sovrana e lontano da ogni commistione con altri ordini presenti nella società del Regno» (Caravale), vi sono precise indicazioni circa la procedura di nomina regia su scelta delle comunità cittadine, ‘testimoni’, attraverso litterae testimoniales, in un certo senso garanti della fedeltà al sovrano del candidato, della sua rettitudine e del suo essere «illius loci consuetudinibus instructus»: seguiva un esame «litteraturae et etiam iuris scripti», da identificarsi verosimilmente con lo ius commune e il diritto regio (Condorelli), riservato alla Curia regia. È molto probabile che l’aspirante notaio compisse un apprendistato presso lo studio di un notaio in servizio e si può ipotizzare l’esistenza di scuole gestite da iuris doctores; si registrano casi, documentati, di notai che dichiarano di «regere scholas». Ne erano esclusi i chierici: saranno poi riammessi all’esercizio dell’ufficio, pur con cautele, da una disposizione di Ladislao di Durazzo, emessa tra il 1403 e il 1404, che insieme richiedeva l’origine «de genere fidelium […] quodque alias macula illegitime nativitatis aspersus, per restitutionis beneficium nostrae legitimatus et ad legitimorum consortium […] adductus», con ciò escludendo i figli naturali o anche solo legittimati. L’indagine storiografica ha rivelato «l’ampia e pervasiva partecipazione dei notai alla vita giuridica, politica amministrativa e culturale del Regnum»7. 5 Cfr. SANTI CALLERI, L’arte dei giudici e dei notai di Firenze nell’età comunale e nel suo statuto del 1344, Roma, Consiglio nazionale del notariato, 1966, p. 29 ss. 6 Cfr. ALBERICo BARBAGLI, Il notariato in Toscana alle origini dello Stato moderno, Milano, Giuffrè, 2013, spec. p. 73-78; dello stesso autore v. in part. Gli statuti e la matricola del collegio notarile di Volterra dal tardo Medioevo alle soppressioni lorenesi, «Rassegna Volterrana», 82 (2010), p. 13 ss. 7 V. Die Konstitutionen Friedrichs II. von Hohenstaufen für sein Königreich Sizilien nach einer lateinischen Handschrift des XIII Jahrhunderts, hrsgb. von HERMANN CoNRAD, THEA VoN DER LIECK-BUYKEN e woLFGANG wAGNER, II, wien, Böhlau (Studien und Quellen zur welt Kaiser Friedrich II.), 1973, rispettivamente p. 326, 122 (o la più recente ed. Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, hrsg. von woLFGANG STüRNER, Hannover, Hansche Buchhandlung, 1996, p. 256 ss.; inoltre, per il provvedimento di Ladislao di Durazzo, RoMUALDo TRIFoNE, La legislazione angioina, Napoli, Lubrano (Società napoletana di storia patria. Documenti per la storia dell’Italia meridionale, 1), 1924, p. 332 ss. (doc. n. CCXXIII). Cfr. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 135 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 135 Nella Sicilia aragonese un intervento normativo di vasta portata in materia si deve ad Alfonso il Magnanimo che si occupa del notariato in una serie di capitoli De tabellionibus, et de eorum salario, et de solemnitate contractuum, instrumentorum et testamentorum (1440), ripubblicati nel 1443: è enfatizzato il ruolo del protonotaro del Regno, al quale spetta l’esame del candidato (lo può svolgere anche un suo luogotenente se doctor, altrimenti un doctor magnae reputationis scelto dal luogotenente) a condizione che «constiterit de sua legitimatione, moribus et vita» «per litteras officialium loci, in quo habitat». Nel 1533 le Constitutiones, ordinationes et pandectae super salariis publicorum tabellionum huius Regni, nel calco della normativa alfonsina, fissano i requisiti per l’accesso in maniera più dettagliata: si richiede perciò l’età di almeno vent’anni, il sapere «bene scribere», l’apprendistato per almeno un triennio presso un notaio esperto di buona reputazione, il possesso di una «aliqualem iuris civilis, ac ritus, et capitulorum Regni, necnon et loci ubi inhabitat consuetudinem, et praesentium Pandectarum notitiam»: la formula, molto elaborata, sembrerebbe presupporre una conoscenza non superficiale, un ‘dominio’ del complesso di fonti normative, tanto scritte quanto consuetudinarie, con le quali il notaio poteva doversi confrontare nell’esercizio della professione8. Quanto alla Sardegna, già in età medievale vi sono norme, come quelle presenti negli statuti di Sassari (1274-1294, sotto la dominazione pisana), che accennano alla necessità di un previo esame nell’arte notarile, svolto diligentemente «per savios clericos notaios et ladicos clamates per issa potestate et issos antianos», per esercitare l’attività a Sassari e nel suo distretto. Un più preciso e omogeneo regime si ritrova nel 1583: il futuro notaio, di almeno venticinque anni, deve aver svolto una pratica presso la scrivania di un notaio pubblico per sei anni e superare un esame davanti a due dottori in diritto e a due notai pubblici, chiamati a valutare la pratica effettivamente svolta, la sua preparazione e probità nella vita e nei costumi. Successive disposizioni prese nel parlamento del marchese di Bayona (1631-1632), originate DANIELA NoVARESE-ANDREA RoMANo, Notai. Regno di Sicilia, in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2005, p. 401-405 (a p. 405 ampia bibliografia), p. 401 per il virgolettato nel testo; v. anche ANDREA RoMANo, I centri di cultura giuridica, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve, Bari, 17-20 ottobre 1995, a cura di GIoSUÈ MUSCA, Bari, Dedalo, 1997, p. 193-230 (ancora ID., “Legum doctores” e cultura giuridica nella Sicilia aragonese. Tendenze, opere, ruoli, Milano, Giuffrè, 1984, p. 40-56); nello stesso volume collettaneo il contributo specifico sul nostro tema di PASQUALE CoRDASCo, I centri di cultura notarile, p. 231-246; ancora CARMELo ELIo TAVILLA, ‘L’uomo di legge’, in Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle none giornate normanno-sveve, Bari, 17-20 ottobre 1989, a cura di GIoSUÈ MUSCA, Bari, Dedalo, 1991, p. 359-394, spec. 375-381. V. inoltre gli studi raccolti in Per una storia del notariato meridionale, Roma, Consiglio nazionale del notariato, 1982, in part. VERA VoN FALKENHAUSEN-MARIo AMELoTTI, Notariato e documento nell’Italia meridionale greca (X-XV secolo), p. 9-69; MARIo CARAVALE, La legislazione del Regno di Sicilia sul notariato durante il Medio Evo, p. 95-177; HENRI BRESC, Il notariato nella società siciliana medievale, p. 189-220, spec. p. 200 ss. per il caso di notai che dichiarano di reggere scholas; ancora ALESSANDRo PRATESI, Il notariato latino nel mezzogiorno medievale d’Italia, in Scuole diritto e società nel Mezzogiorno medievale d’Italia, a cura di MANLIo BELLoMo, II, Catania, Tringale, 1987, p. 137-168; da ultimo oRAZIo CoNDoRELLI, Profili del notariato in Italia Meridionale, Sicilia e Sardegna (secoli XII-XIX), in Handbuch zur Geschichte des Notariats der europäischen Traditionen, hrsg. von MATHIAS SCHMoECKEL-wERNER SCHUBERT, Baden-Baden, Nomosverlagsgesellschaft, 2009, spec. p. 65-105: p. 72 per il virgolettato nel testo a proposito del ruolo nel Regnum dei notai, p. 73 per l’ipotesi di scuole gestite da iuris doctores. A questa, pur scarna e necessariamente incompleta, carrellata storiografica si aggiungono molti studi dedicati alle singole realtà territoriali: v. ad es., tra i molti, BEATRICE PASCIUTA, I notai a Palermo nel XIV secolo. Uno studio prosopografico, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995, o PAoLo BERToLINI, Actum Beneventi. Documentazione e notariato nell’Italia meridionale longobarda (secoli VIII-IX), Milano, Giuffrè (Fonti e strumenti per la storia del notariato italiano, 9), 2002. 8 Cfr. Capitula Regni Siciliae quae ad hodiernum diem lata sunt edita cura eiusdem Regni deputatorum, capp. 254-291, spec. p. 255 di Alfonso il Magnanimo, ed. FRANCESCo M. TESTA, vol. I, Panormi, excudebat Angelus Felicella, 1741, rist. anast. a cura e con un’introd. di ANDREA RoMANo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999, p. 287-302, spec. p. 288; per l’intervento normativo del 1553 a cura del vicerè Giovanni Vega cfr. le Constitutiones, Ordinationes et Pandectae super salariis publicorum tabellionum huius Regni, in appendice alla Pragmaticarum Regni Siciliae Novissima Collectio, t. III, Panormi, sumptibus Nicolai Bua, 1658, p. 46-50 (ivi 33 paragrafi). 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 136 136 Gigliola di Renzo Villata da una lamentata ignoranza e imperizia dei notai, inaspriscono il regime richiedendo, oltre alla pratica per cinque anni, la frequenza per un anno delle lezioni di Instituta nell’università, mentre l’esame continuava a svolgersi davanti a due dottori in diritto e a due notai, alla presenza del reggente la Reale Cancelleria, carica ministeriale di massimo livello nel Regno9. Nella penisola iberica sembrerebbe invece avere un ruolo di rilievo la pratica notarile preparatoria presso uno studio notarile, dove si apprendeva tanto a redigere un documento «y por logica, de aquellas nociones jurídicas precisas para al redacción documental»: Alfonso X nelle Siete Partidas (3.19.2) aveva solo richiesto, nella seconda metà del secolo XIII, lo scrivere bene «y entender en el arte de la escribanía», inteso come conoscenza della tecnica notarile o dell’ars notarie. Dal 1480 al 1510 soltanto un notaio iberico tra quelli immmatricolati poteva esibire il baccellierato, conseguito pure dal figlio che gli succede nell’esercizio dell’attività professionale10. In Francia le ricerche condotte da Jean Hilaire hanno posto in rilievo alcuni tratti comuni alla prassi italiana e altri divergenti: alla fine del Duecento appaiono tracce di un esame, previsto negli statuti di varie città della Provenza, sotto la vigilanza dell’autorità pubblica dotata del potere di istituire notai, criticato poi da più parti per una certa superficialità e lassismo; quanto all’apprendistato, svolto da gran parte dei notai, variabile nella durata temporale, da una media di tre anni a una di cinque, fino a qualche richiesta di prolungamento fino a otto, e un periodo trascorso come impiegato principale in uno studio, quale ultima tappa prima dell’accesso al notariato, molto dipendeva dagli usi locali: la legge del 25 ventoso anno XI introdurrà una normativa più rigida, pur giudicata da Hilaire non adeguata11. 2. L’Età moderna Come si può dedurre dalla breve e necessariamente incompleta rassegna di alcune realtà locali nell’area italiana tra Medioevo e inizio dell’Età moderna, mutevoli pure nello scorrere dei secoli, nel Settecento la situazione non si è ancora stabilizzata. Giorgio Tamba ricostruisce con ricchezza di particolari le vicende del notariato bolognese fino al 1789 in merito ai criteri di ammissione alla società, la cui applicazione, spesso non rigorosa, fu in balìa – è questo che emerge – degli organi delegati alla procedura, propensi ad esercitare le loro prerogative con «ampia discrezionalità», sì che, «col decorso del tempo, il margine tra discrezionalità ed abuso corrreva il rischio di assottigliarsi sempre di più: cosa che in realtà avvenne nel corso del secolo XVII. Alla metà di questo secolo tale margine era infatti ormai scomparso». Le vicende settecentesche fino al 1789 sono 9 Cfr. da ultimo CoNDoRELLI, Profili del notariato, p. 107-122 (e vasta bibliografia relativa anche molto datata, come il pure utile PIo CANEPA, Il notariato in Sardegna, «Studi Sardi», 2/2 (1934), p. 61-137). Per il Codice degli statuti del Comune di Sassari promulgati nel 1316 (ma per la datazione v. da ultimo ENNIo CoRTESE, Il diritto nella storia medievale, II. Il basso Medioevo, Roma, Il cigno Galileo Galilei, 1998, p. 351 nt. 14 che li colloca tra il 1274 e il 1294), III. 52 De mitter sas ascedas in quaternu, et dessos notaios qui morin, v. PASQUALE ToLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, Augustae Taurinorum, e Regio Typographeo (Historiae Patriae Monumenta, X), 1861, p. 538. V. poi per i provvedimenti del 1583 ad opera del Parlamento di Michele Moncada, Capitula sive acta curiarum regni Sardiniae, sub invictissimo coronae Aragonarum imperio [...] ingenio, et opera d. IOANNIS DEXARTI, libro III, tit. X, De notariis et Scribis, c. X, Calari, ex Typographia Doctoris Don Antonij Galcerin, apud Bartholomaeum Gobettum, 1645, p. 766 ss., ma v. anche p. 767 ss., con i precedenti di quanto approvato nel Parlamento nel 1583; indi, per il Parlamento presieduto dal marchese Bayona, cap. XX, p. 779 ss. 10 Cfr. MARIA LUISA PARDo, Notariado y cultura en la época colombina, in Tra Siviglia e Genova, spec. p. 148 ss.; già JoSé BoNo HUERTAS, Historia del derecho notarial espanõl, La Edad Media, 1, Introducción, preliminar y fuentes, Madrid, Junta de Decanos de los Colegios Notariales de España, 1979; 2, Literatura e instituciones, passim. 11 V. già JEAN HILAIRE, La lunga storia del notariato in Francia, Milano, Giuffrè, 2003, spec. p. 182-227 (con le fonti citate): ivi un’analisi sufficientemente approfondita e illuminante della varietà della situazione francese. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 137 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 137 scandite da vari tentativi di elusione della normativa, sì che, intorno alla metà del 1700, «la distanza tra potere discrezionale ed il vero e proprio arbitrio era man mano diminuita, fino a scomparire»12. In Piemonte le Regie Costituzioni del 1770, terza redazione del complesso normativo già in vigore in Sardegna dal 172313, dedicano al notariato una forte attenzione nel titolo XXII del libro V, poi integrato dal regolamento del 9 novembre 1770 per i notai e gli insinuatori. Secondo il composito assetto previsto da quelle disposizioni, presupposto del rilascio della patente di approvazione e di esercizio al notariato è il possesso di una «piazza», o il consenso del proprietario a esercitarne una. Per accedere alla professione, che non comporta «alcun pregiudizio alla nobiltà» di chi lo esercita e i cui guadagni godono, per espressa precisazione legislativa, «del privilegio del peculio quasi castrense»14, occorre avere l’età minima di venti anni, essendo di stato «laicale, di probità e buoni costumi, nato da onesti parenti e non esercenti un mestiere vile», essere in possesso di beni del valore di 4.000 lire, o dare per la somma indicata una sufficiente cauzione; svolgere una pratica di tre anni presso l’ufficio di qualche causidico, un esame teorico sulle «civili istituzioni» e una prova pratica in materia contrattuale («sarà esaminato sulle Istituzioni e sull’esercizio dell’uffizio per mezzo d’un esperimento per cui si sceglieranno alcuni dei più difficili contratti»)15. Nel corso dei tormentati lavori preparatori per la riforma dell’Università di Pavia si prende in considerazione la professione: Nicola Pecci prepara un Piano per gli studi legali, assai ricco di contenuto, nel quale non si trascura la necessaria preparazione per l’accesso all’esercizio. Nel percorso accademico, scandito nel suo Piano in tre gradi di onori, il primo, il baccellierato (il secondo è la licenza al termine del terzo anno, il terzo, il dottorato, alla fine del quarto anno), che si consegue, al termine del biennio dopo aver superato un esame, integrato da un’interrogazione di un quarto d’ora per ciascuno dei docenti, sulle istituzioni civili, canoniche e criminali, alla presenza di tutti i professori della Facoltà legale, è indicato come presupposto indefettibile per l’esercizio del notariato civile e criminale, oltre che per l’ammissione alle cancellerie e ad altri simili impieghi per i quali occorra «almeno una tenue notizia delle materie legali»16. 12 Cfr. ARCHIVIo DI STATo DI BoLoGNA, Società dei notai, Statuti, reg. 7, cc. 37-39, 40-42. V. GIoRGIo TAMBA, La società dei notai di Bologna, Roma, Pubblicazioni degli Archivi di Stato (Strumenti, 103), 1988, spec. p. 96-104. 13 Su tale testo normativo cfr. MARIo VIoRA, Le costituzioni piemontesi. Leggi e costituzioni di S. M. il re di Sardegna, 17231729-1770, 1, Storia esterna della compilazione, Milano, f.lli Bocca, 1928, rist. anast. [Torino], a cura della Società reale mutua di assicurazioni, 1986; FRANK MICoLo, Le regie costituzioni: il cauto riformismo di una piccola corte, Milano, Giuffrè, 1984. 14 Vale a dire di un regime di piena libertà da parte di chi ne era titolare, analogo a quello dei beni del peculio castrense, derivanti cioè dall’esercizio della milizia, disciplinati da sempre in condizioni di privilegio rispetto agli altri beni del filiusfamilias. 15 Cfr. Leggi e costituzioni di Sua Maestà / Loix et constitutions de Sa Majesté, t. II, liv. V, tit. XXII De’ Notai, ed Insinuatori, capo I. Della creazione de’ Notaj, e dell’Esercizio dei loro uffizj, Torino, Stamperia Reale, 1770, p. 407-410; il testo del regolamento in Raccolta delle leggi, regolamenti, ordinamenti camerali, manifesti e circolari relativi al notariato ed al tabellione […] aggiuntivi l’elenco e sunto delle leggi e provvidenze sul notariato, sul tabellione e sulle ipoteche tuttora in vigore, 30 novembre 1858, Torino, Chirio e Mina e frat. Favale, 1843-1858, p. 69 ss. V. GIoVANNI ANCARANI, in FERNANDA MAZZANTI PEPE-GIoVANNI ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, Roma, Consiglio nazionale del notariato (Studi storici sul notariato italiano, 7), 1983, p. 244 ss. (la sezione I del volume, dedicata a Modello francese e ordinamenti notarili in età napoleonica, da p. 17 a p. 231, è opera di Fernanda Mazzanti Pepe, la sezione II, dedicata a L’ordinamento del notariato dalla legislazione degli Stati preunitari alla prima legge italiana, da p. 233 a p. 544, si deve a Giovanni Ancarani). 16 ARCHIVIo DI STATo DI MILANo (ASMi), Fondo Studi, p.a., cart. 375, fasc. 3: NICoLA PECCI, Piano delli studi legali: 2 copie di cui una incompleta. V. anche VINCENZo D’ADDA, Promemoria […] per l’arte notarile (17 aprile 1770), ASMi, Fondo Studi, p.a., cart. 387. V. MARIA GIGLIoLA DI RENZo VILLATA, Gli anni decisivi per la riforma. Dall’incubazione ai risultati (1765-1771), in Almum Studium Papiense. L’Università di Pavia dal Medioevo al XXI secolo, 2.1, Dall’età austriaca alla nuova Italia, a cura di DARIo MANToVANI, Milano, Cisalpino-Monduzzi, 2015, p. 83-114, spec. p. 90. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 138 138 Gigliola di Renzo Villata Con ordine del 3 dicembre 1771 si richiede, per esercitare il notariato, il conseguimento della licenza nell’Università di Pavia e la frequenza di un corso di arte notarile presso le Scuole Palatine di Milano17. Nel 1771 un ricorso-supplica del cancelliere del Collegio dei giurisperiti Iacopo Antonio Francia è presentato contro il decreto che inibisce al Collegio il conferimento di lauree e di altri gradi accademici, compreso il notariato18. Il nuovo regime, reso esecutivo, rende problematica la posizione di chi già esercitava: si conserva memoria delle difficoltà create e delle questioni aperte nel carteggio tra Firmian e Kaunitz del 1772. A seguito della riunione della Congregazione generale dei professori dell’Università ticinese, svoltasi in diverse sedute tra fine giugno e 1° luglio, si redige un Promemoria che al punto 15 annota: Sebbene sia vero che non siasi presentato alla Università per conseguire Gradi richiesti dall’esercizio degli impieghi disegnati dal Piano di disciplina, pure il zelo delli Professori pare inopportuno, perché in certo modo imputa di negligenza quelli i quali danno o la facoltà dell’ (sic!) nuovo esercizio di tali impieghi, o la investitura, i quali però vegliano alla esecuzione, et eseguiscono nelle occasioni il Piano. Non è stato però stimato essere la effettuale mente del Piano di procedere retroattivamente, ed obbligare tutti a sospendere l’esercizio di cui erano in possesso, con laurea altrove conseguita prima della promulgazione della legge, e prendere i gradi accademici contemplati dalla legge nell’avvenire. Se il pensiere delli Professori avesse luogo nascerebbe uno sconvolgimento generale nell’ordine ecclesiastico e civile. Kaunitz risponde a quasi stretto giro di posto alla missiva di Firmian del 5 settembre superando gli ostacoli frapposti e prospettando un’applicazione per l’avvenire: pare che i Professori non sentano l’inconveniente, che V.E. ben riflette facile a nascere obbligando chi è in attual carica a nuovamente ricevere le graduazioni, quando non le abbia avute nella Università. Basta, come V.E. ha ragione di riflettere, che non sia accordata alcuna nuova carica, o ammesso ad alcun offizio, che richiede graduazioni accademiche, chi non le ha, cosa che la prego di fare, che venga osservata con tutto il rigore19. Qualche anno dopo, nel 1794, il Regolamento generale per i notai della Lombardia austriaca richiede infine negli aspiranti notai il possesso della laurea o della licenza presso la Regia Università di Pavia, «od altrimenti, giusta gli ordini sovrani», da integrare con una militanza pratica di almeno tre anni per il laureato e di quattro per il licenziato, che era tale dopo la frequenza di due anni alla Facoltà giuridica pavese e il superamento della relativa prova. Già negli ultimi decenni del XVIII secolo molti dei notai milanesi sono perciò laureati20. 17 STEFANIA SALVI, Tra privato e pubblico. Notai e professione notarile a Milano (secolo XVIII), Milano, Giuffrè, 2012, spec. p. 49. 18 ASMi, Fondo Studi, p.a., cart. 159, n.18 (allegati vari documenti circa gli atti dei secoli precedenti, come il provvedimento di Carlo V, quello di Filippo IV, a convalida dell’editto senatorio del 1° febbraio 1771 su tale ‘privilegio’, a corroborare la supplica). Ivi anche altri documenti in argomento, come il P.S. alla lettera 9 aprile 1772, che argomenta a favore dell’applicazione della nuova normativa. 19 ASMi, Fondo Studi, p.a., cart. 378: Promemoria dei Professori della Università (in seguito alla riunione della Congregazione generale in data 24 e 27 giugno 1772, 1° luglio 1772) inviato da Firmian a Kaunitz con accompagnatoria il 5 settembre 1772; risposta di Kaunitz a Firmian il 20 settembre 1772. 20 Cfr. SALVI, Tra privato e pubblico, spec. p. 50-51. V. ora anche EAD., I notai lombardi nel XVIII secolo: un ceto “poliedrico”, in Legittimazione e credito: notai e ceto notarile tra ruoli pubblici e vita privata (XIII-XIX secc.), Convegno internazionale, Cernobbio, 30-31 gennaio 2014, cds. V. anche MARIA GIGLIoLA DI RENZo VILLATA, Per una storia del notariato nell’Italia centrosettentrionale, in Handbuch zur Geschichte des Notariats, spec. p. 50-51; LIVA, Il notariato e il documento notarile a Milano, p. 177 e passim. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 139 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 139 3. Dall’ancien régime all’età napoleonica Nella storia del notariato italiano, sviluppatosi – lo si è visto – lungo i secoli precedenti attraverso momenti di grande prestigio e altri di eclisse, diversificando i campi di incidenza tra il ‘privato’ e il ‘pubblico’, un evento variamente significativo fu rappresentato dalla legge del 25 ventoso anno XI (16 marzo 1803) sul notariato, emanata dal governo francese della ‘Repubblica Italiana’ presieduta da Napoleone (vicepresidente era Francesco Melzi d’Eril). Dapprima direttamente operativa nei territori governati dai francesi (dalla Repubblica Italiana al Regno d’Italia napoleonico, ai territori annessi all’Impero francese come il Piemonte, al Principato di Lucca e Piombino, all’ex-Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla), divenne, una volta allontanati i francesi, il principale modello ispiratore degli ordinamenti del notariato negli stati italiani preunitari21. Preceduta, come successe in molti altri campi del diritto, dagli interventi in materia degli anni della rivoluzione, seguiva gli orientamenti emersi sin dal decreto del 29 settembre-6 ottobre 1791, scaturito da un dibattito intenso, segnato da molti opuscoli, pamphlets, mémoires, cahiers de doléances scritti nel segno di una forte denuncia degli abusi radicati nel tempo, nonché da progetti, di così vivace intensità da far temere una sorte infausta per la categoria, non circondata da ‘buona stampa’. Con la legge del 1791, preceduta da altre leggi che avevano riformato, già dal 19 dicembre 1790, i droits de contrôle, assai criticati, sostituiti dal sistema dell’enregistrement, si introducevano alcune novità, dalla soppressione dell’Antico Regime alla configurazione di una nuova tipologia di notai pubblici ufficiali, definiti come «des fonctionnaires publics chargés de recevoir tous les actes qui sont actuellement du ressort des notaires royaux et autres, et de leur donner le caractère d’authenticité attaché aux actes publics» (art. I, sez. II, tit. I), dalla disciplina della conservazione delle minute (tit. III) alle nuove forme di nomina e d’istituzione dei notai (tit. IV), al rimborso dei titolari di uffici notarili22. Soppressa la venalità delle cariche notarili e sfoltita la tipologia dei notai signorili, apostolici o altri, progettati concorsi annuali per l’assunzione dei nuovi notai istituiti a vita, legittimati a parteciparvi solo in possesso di determinati requisiti di età (25 anni), di pratica professionale (8 anni) e di buona condotta (furono poi effettivamente esplicati solo a partire dal 1794), si mantenevano tuttavia in qualche misura i legami con il passato attraverso disposizioni di transizione. La normativa, così delineata nei tratti fondamentali, non manca di suscitare reazioni negative e negli anni successivi si riforma in vari punti: si rende, per esempio, possibile rimpiazzare provvisoriamente i posti vacanti senza concorso, al punto tale che il numero dei notai, da 10.000 circa che erano nel 1791, cresce negli anni successivi in modo consistente, fino a superare la soglia dei 13.000 all’epoca della legge del 1803. Le discussioni animate sull’argomento, insieme al mutato clima politico, reclamavano un intervento riformatore, che si realizza questa volta in modo più organico ed ordinato nella legge del Ventoso, divisa 21 Cfr. FERNANDA MAZZANTI PEPE, Modelli francesi e ordinamenti notarili in età napoleonica, in MAZZANTI PEPE- ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, p. 175-203. 22 Il Décret sur la nouvelle organisation du notariat et sur le remboursement des offices de notaires si può consultare in Collection complète des lois, décrets, ordonnances, réglemens et avis du Conseil d’État [...], par JEAN BAPTISTE DUVERGIER, t. III, Paris, chez A. Guyot et Scribe, 1824, p. 462-471. La legge si può consultare, nell’andamento dei lavori all’Assemblée Nationale, in «Archives parlementaires de 1787 à 1860. Recueil complet des débats législatifs et politiques des Chambres Françaises… sous la direction de M.J. Mavidal… et de M.E. Laurent…», série I, 1787-1799, t. XXXI du 17 septembre au 30 septembre 1791, Paris, 1888 (rist. anast. Nedeln-Liechtenstein, Kraus Reprint, 1969), p. 77-78, 112-115, 147-149, 198-203, 420, 539-545 (29 settembre 1791: con il testo completo della legge approvata); ma anche t. XXXIV du 1er octobre au 10 novembre 1791, p. 255, 261-263 (per la discussione dopo che la legge era stata sanzionata il 6 ottobre 1791). V. MAZZANTI PEPE, Modelli francesi, p. 21-72. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 140 140 Gigliola di Renzo Villata in tre titoli, i primi due a loro volta divisi in sezioni, dedicati rispettivamente il primo alle funzioni e agli atti notarili, il secondo, assai corposo e qualificante, al numero dei notai, alla loro dislocazione territoriale e alla cauzione, alle condizioni di ammissione e al modo di nomina, oltre che alle Camere di disciplina, il terzo ai notai allora operativi. Questa legge non sarà però direttamente applicata nel Regno d’Italia, esteso a ricomprendere via via gran parte dell’Italia settentrionale ed alcuni Dipartimenti dell’Italia centrale. Nella Repubblica Ligure già dal 4 marzo 1801 la Commissione straordinaria di governo trasmette alla Consulta Legislativa un progetto di legge tendente a fissare con savi regolamenti il numero de’ notari, i loro doveri, il modo di esercitare il tabellionato, gli studi e le qualità che si avranno a richiedere in chi vorrà essere abilitato a questa onorevole professione, gli esami che dovranno subirsi dagli aspiranti, il metodo e le caotele da usarsi nella custodia dei protocolli, a stabilir degli Archivi di Insinuazione, a determinare i doveri de’ custodi di essi, a dichiarare quali atti dovranno insinuarsi, e a fissare in somma delle tariffe per le mercedi. Nel progetto si prevede un esame di ammissione al notariato sottoposto al vaglio di una commissione di otto esaminatori, selezionati tra i notai più esperti: quattro esaminatori dovevano interrogare il candidato «sopra i più difficili contratti», gli altri quattro «sopra la costruzione di un processo criminale»; era contemplata la presenza del ministro di Giustizia o di un suo incaricato (artt. 6-7). Pure se gli organi incaricati non mancano di rilevare l’urgenza di risolvere in maniera adeguata un problema di tanta importanza che, a causa degli abusi perpetrati della «pubblica fede», procurava innegabili danni alle «fortune dei cittadini», il progetto non giunge a terminare il suo iter e già nel 1802 la promulgazione della costituzione nel giugno determina la cessazione delle funzioni tanto della Commissione straordinaria di governo quanto della Consulta legislativa23. Infine interviene la legge del 12 ottobre 1804, esito di un progetto presentato in Senato dal magistrato di Giustizia e Legislazione nel maggio precedente e oggetto di discussione nei mesi successivi fino all’ottobre. Si contrappone alla relativa semplicità dell’esame di ammissione, peculiare del progetto iniziale, una procedura complessa, che dà uno spazio, sia pure modesto, al profilo teorico-accademico della preparazione. Compare, infatti, tra i requisiti d’ammissione all’esame (non l’unico, ma solo il primo, in ordine temporale, per entrare a pieno diritto nella categoria) per ottenere l’iscrizione nel «catalogo degli iniziati all’ufficio notarile» una «fede giurata di qualche pubblico Lettore in Liguria o di uno o più Giurisprudenti liguri che attesti lo studio per almeno un anno delle Istituzioni civili e criminali» (art. 39), oltre all’età maggiore di 20 anni, la cittadinanza ligure, il domicilio di almeno un anno nella giurisdizione in cui si richiede l’iscrizione al Catalogo, la presentazione di un certificato che attesti la mancanza di precedenti penali e di un altro di «moralità, buona fama e irreprensibile condotta» rilasciato dagli uffici di polizia. L’esame di ammissione, del quale si precisa la durata di non meno di due ore (nel corso dei lavori si era addirittura discusso di far durare i tre esami previsti non meno di tre ore ciascuno), concerne «le istituzioni civili e criminali, la cognizione della lingua latina ed italiana, ortografia e carattere» (art. 41) e si deve svolgere davanti a tre notai estratti a sorte e a due giureconsulti nominati dal provveditore egli stesso presente, chiamato a dare un giudizio di legittimità sulla documentazione presentata: la presenza dei giureconsulti rappresenta la garanzia di un’idonea attenzione all’aspetto teorico della prova, peraltro assicurato dagli ulteriori esperimenti incombenti su chi iniziava il lungo cammino per la cooptazione definitiva. Superato questo primo scoglio e ottenuta l’iscrizione, ha inizio il quadriennio di «teoria e pratica 23 ARCHIVIo DI STATo DI GENoVA (ASG), Fondo Repubblica Ligure, 279 (Messaggi della Commissione Straordinaria di Governo), 153. Si può leggere ivi il testo del progetto (279, 98). 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 141 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 141 notarile», da studiare presso un notaio; indi segue un secondo esame con una commissione rafforzata nella sua composizione (5 notai e 3 giureconsulti). Alle materie del primo esame, su cui il candidato deve essere nuovamente interrogato, si aggiungono il diritto civile e criminale, le leggi emanate dal 1797 in avanti riguardo all’esercizio del notariato e i formulari, imprescindibili per l’esercizio della professione (art. 46). Superato il secondo esame, presentata una nuova documentazione aggiornata agli studi compiuti sino a quel momento e proseguiti gli studi per un ulteriore anno, è la volta dell’ultimo esame, pubblico, nel capoluogo della giurisdizione del Centro, alla presenza del magistrato di Legislazione e Giustizia, davanti ad una commissione di 15 esaminatori, 9 notai e 6 giureconsulti. Alle materie su cui si erano svolte le precedenti interrogazioni si aggiunge la stesura di un atto: l’ammissione a questo è subordinata alla presentazione di altra documentazione, oltre ad una sorta di cauzione «attestante l’ipoteca per un certo valore «di beni stabili» o «impieghi pubblici», a favore di chiunque venisse in seguito a subire danni dall’esercizio del notariato (art. 52)24. Già prima del 1804, più di anno prima, il 25 maggio 1803, era stato approvato un Regolamento provvisorio per l’esercizio del notariato nel dipartimento dell’Agogna (corrispondente al territorio tra Novara, Vigevano, Domodossola, Varallo, Arona, con capitale Novara, secondo il decreto del maggio 1801), che conteneva disposizioni generali sull’esercizio della professione, con rinvii al regolamento del cessato governo sardo del 1770: presupponeva, stante la posteriorità, l’applicazione della legge relativa alla pubblica istruzione del 4 settembre 1802, con l’art. 48 sul requisito della laurea, oltre all’«approvazione», data dai «professori delle rispettive Facoltà nelle due Università» (art. 49), per l’esercizio dell’Arte notarile. Si deve intendere perciò, nel caso di specie, come necessaria la preventiva approvazione data dai professori della Facoltà legale delle Università o di Pavia o di Padova. Che all’epoca fosse previsto un insegnamento specifico nelle università da riformare è una realtà che si può provare se nel successivo Piano degli studi del 31 ottobre 1803 per le università è contemplata la cattedra delle «Istituzioni civili e arte notarile» e ci si sofferma ad indicare i criteri da seguire nell’impartire il relativo insegnamento congiunto con le «istituzioni civili». Si vuole dotare il notaio, chiamato a verbalizzare i rapporti scaturenti dalle obbligazioni contratte e dai diritti relativi, «in modi non soggetti a errore, o ad equivoco, il che s’ottiene per mezzo della scrittura, la quale è un documento dell’esistenza dell’obbligazione», della conoscenza dei «precetti dell’arte notarile». Di questi se ne indicano le specificità, che «versar debbono nel far rilevare tra queste forme la più conducente ad evitare le quistioni, onde al carattere d’incorruttibile integrità, che deve esser proprio del Notajo, sia congiunta la capacità di servirsi di quelle forme, che assicurino i diritti delle obbligazioni e delle successioni»25. Alla Repubblica Ligure segue, in ordine di tempo, la Repubblica di Lucca che si dota, alla fine del mese di magggio del 1806, il 29, di una legge relativa ai notai (e di un decreto relativo a una nuova organizzazione del notariato del 19 agosto 1808), destinata la prima ad essere ben presto sostituita dalla legge francese cosiddetta del Ventoso, che veniva solo tradotta per i primi 62 articoli, e per il resto, tranne che per due articoli soppressi, sottoposta a lievi ritocchi necessari per adattare la normativa alla situazione locale: la motivazione principale, 24 Cfr. Legge sul notariato, 12 ottobre 1804, n. 47, in «Raccolta delle leggi, atti decreti e proclami pubblicati dal Senato e da altre autorità costituite nella Repubblica ligure», III, Genova, 1803, n. 47. Sul lavorio legislativo in materia nella Repubblica ligure cfr. MAZZANTI PEPE, Modelli francesi, p. 133-165. 25 Cfr. Foglio officiale della Repubblica italiana contenente i decreti, proclami, circolari ed avvisi riguardanti l’amministrazione […], n. 56 e n. 73, Milano, 1803, rispettivamente p. 117-123 (Regolamento provvisorio pel notariato nel Dipartimento dell’Agogna pubblicato dal Gran Giudice Ministro della Giustizia, 23 maggio 1803) e p. 155-216, spec. p. 173-174 (Piani di Studj e di Disciplina per le Università Nazionali, 31 ottobre 1803); Bollettino delle leggi e dei decreti della Repubblica italiana, n. 75, spec. p. 302-303 (Legge relativa alla pubblica istruzione, 4 settembre 1802, art. 48). 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 142 142 Gigliola di Renzo Villata addotta a giustificare l’estensione della normativa d’oltralpe alla Repubblica lucchese, è l’introduzione avvenuta del Code civil26. Mentre si discute sul territorio soggetto alla dominazione napoleonica di nuovi ordinamenti, si pubblica a Bologna nel 1804, ad opera di Antonio Pacini, Il notajo principiante istruito o sia breve trattato istruttivo sopra il civile officio del notajo, in ben otto tomi, che affonda saldamente le sue radici nell’ancien régime, rispecchiato nelle fonti di riferimento per così dire classiche, comuni a vaste aree dell’Europa di diritto comune, con una predilezione per le decisioni della Rota romana27. Nel Regno d’Italia s’inizia invece, dal 1805, una fase progettuale, affidata alla Commissione incaricata della redazione del nuovo Metodo giudiziario civile (poi accantonato per una rapida introduzione del Code de procédure civile) ed insieme di un regolamento sul notariato28: in essa si rivelano evidenti le aperture a soluzioni diversificate rispetto alla legge del Ventoso, che però sono poi talora abbandonate a favore di un adeguamento più forte al modello, talaltra peraltro conservate ed approvate. Così accade per i requisiti per la nomina dei notai: dal progetto (o piuttosto dai progetti, modificati nel complicato iter con il contributo del senatore Abrial, consulente quasi ‘stabile’ del Gran Giudice Luosi nell’ambito dell’attività codificatoria nel Regno29) alla legge del 17 giugno 1806 per il Regno italico, la formula riportata per quanto attiene al percorso formativo nella fase precedente al tirocinio professionale di un biennio presso un notaio «in attualità di esercizio» (art. 14 n. 5), secondo un modello diverso dalla legge del ventoso, è l’«aver fatto in una delle Università del Regno il corso degli studi prescritto dal piano di pubblica istruzione, e [...] aver riportato il corrispondente grado accademico» (art. 14 n. 4). Altri requisiti sono il godimento dei diritti di cittadinanza del Regno, l’avere assolto gli obblighi della legge sulla coscrizione militare, l’età minima di 25 anni, il non essere stato inquisito criminalmente per delitti punibili con pena infamante od afflittiva «o di essere stato asoluto per capo d’innocenza», l’«avere fama di onestà e probità» (art. 14, nrr. 1-7)30; per il vaglio della preparazione complessiva è poi previsto l’esperimento di idoneità davanti alla Camera notarile del Dipartimento a carattere pratico e teorico (un po’ come avviene oggi) con la redazione di un rogito «che comprende due o più contratti, e un atto di ultima volontà» e un’interrogazione sull’«arte notariale». Vincenzo d’Adda, notaio e professore nelle scuole di Brera, aveva scritto da poco il suo manuale dallo stesso titolo, assai diffuso nell’area lombarda e probabilmente indispensabile fonte di apprendimento per i giovani aspiranti alla carriera notarile, che poneva tuttavia a fondamento dell’esposizione il Regolamento generale per i Notari della Lombardia austriaca, emanato nel 179431. 26 Cfr. da ultimo MAZZANTI PEPE, Modelli francesi, p. 166-174. Il notajo principiante istruito o sia breve trattato istruttivo sopra il civile officio del notajo, in 8 tomi, Bologna, presso Jacopo Marsigli ai Celestini, 1796-1804: v. ad es. t. VIII vol. I (1804), p. 104-105, 138 ecc. 28 V. da ultimo il mio In un turbinio di modelli. Il processo civile in Lombardia tra fervore progettuale, realtà normativa e pratica (1801-1806), in La formazione del primo Stato italiano e Milano capitale 1802-1814, Congresso internazionale, Milano 13-16 novembre 2002, Milano, LED (Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, Incontro di studio n. 32), 2007, p. 159-213. 29 ASMi, Fondo Studi, p.m., 317: Observations de M. le Sénateur Abrial sur le projet de règlement du notariat, annesso a Rapport datato 24 ottobre 1805. 30 Cfr. ASMi, Giustizia civile, p.m., 15.2; ma spec. Fondo Studi, p.m., 317: ivi copie manoscritte e a stampa del progetto. GIoVANNI BATTISTA CURTI PASINI (La legislazione notarile francese e un progetto di ordinamento notarile italiano, «Rivista del notariato», 1948, p. 384-389) fa riferimento a un progetto precedente a quello elaborato dalla Commissione di cui sopra, al momento non reperibile, al quale tuttavia, nella documentazione conservata in Archivio di Stato, si rinvia secondo espressioni che lasciano intendere una buona conformità tra il precedente progetto e quello presentato alla definitiva approvazione del Consiglio Legislativo e del Consiglio di Stato. 31 V. Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, Milano, dalla Reale Stamperia, 1806, II, p. 664-717, spec. p. 666-667. VINCENZo D’ADDA, Arte notarile in tre parti divisa. Opera postuma, 2. ed., Milano, presso Giuseppe Taglioretti al Cordusio, 27 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 143 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 143 Francesco Maria Carcano, avvocato e «notaio in Milano», membro della Commissione rimaneggiata il 2 luglio 1805, con la partecipazione di Bazetta, Astolfi, Carcano e Giovan Battista Giudici, oltre a Caselli, Muzzarelli e Trivulzi come segretario, sentirà il bisogno, nel pubblicare, a distanza di qualche anno, Il notajo istruito colli schiarimenti del regolamento sul notariato e delle leggi analoghe, di fare il punto sul regime che i notai dovevano ben conoscere per «disimpegnare lodevolmente le molteplici loro funzioni, ed obblighi sullo stato attuale delle veglianti Leggi, ed ordini in proposito emanati», anche per procurare di «rischiarare que’ stabilimenti del Regolamento sul notariato, il di cui giusto senso non è stato da molti inteso a dovere: ciò che fui in grado di poter fare per la circostanza d’essere io stato altro degl’Individui di quella Commissione, che in esecuzione degli ordini Superiori nello scorso 1805, presentò il suo Progetto, da cui per la massima parte fu desunto il suddetto Regolamento». L’opera realizzata si preoccupa di armonizzare il Regolamento soprattutto con il Code Napoléon, ma la cultura dell’avvocato-notaio Carcano sembra non avere dimenticato il suo ancoraggio nella tradizione d’ancien régime, fatta di diritto romano, dottrina risalente e più aggiornata, legislazione locale, oltre che della normativa austriaca del tardo Settecento32. Dopo che la Camera è giunta al termine dell’esame con il suo voto (in ciò il regime italiano differiva dal francese, tutto imperniato sulla pratica), la competenza a terminare il procedimento di nomina è devoluta alla Corte d’appello per un controllo ulteriore, tassello necessario per pervenire, previa comunicazione al Gran Giudice, alla nomina regia: l’atto è comunque subordinato, in un sistema a numero fisso di notai, ad una «vacanza» (art. 13). Diversa si profila la situazione nel Regno di Napoli, dove un Regolamento sul notariato è promulgato il 3 gennaio 1809, a distanza di poco tempo dall’assunzione della corona da parte di Gioacchino Murat: non ci si discosta, nel testo, dal Regolamento del 1806 emanato per il Regno d’Italia se non per l’assenza, tra i requisiti necessari per l’ammissione al notariato, del titolo di studio, mentre la Commissione d’esame, integrata da due «giurisperiti» nominati dal Tribunale d’Appello, deve vagliare la preparazione del candidato sul Codice Napoleone, che si andava introducendo nello stesso Regno in mezzo a non poche difficoltà33. L’istituzione del Regno Lombardo Veneto, seguita nell’aprile del 1815, pur con la riorganizzazione del territorio in due unità amministrative rette da un governatore e un viceré a Milano, sembra lasciare pochi margini, in materia di notariato, ad una scelta diversa da un’adesione alla legislazione austriaca: invece si fa una deroga alla «centralità impossibile», censurata dall’anonimo autore del pamphlet (in realtà Cesare Correnti) e si mantiene in vigore il regolamento per il notariato, introdotto nel Regno d’Italia durante il regime napoleonico34, anche se negli anni della Restaurazione si pone a più riprese il problema [1796?]-1801, 4 v. (la data del I vol. si ricava dal III tomo Appendice all’arte notarile del dott. Vincenzo D’Adda, parte 1, Delle gride provvisionali, 1800). V. anche in part. tom. I part. I, p. n.n.: ivi Regolamento generale per i Notari della Lombardia austriaca, art. III: «Avrà riportata la Laurea, o licenza della Regia Università di Pavia, od altrimenti, giusta gli ordini sovrani». Cfr. STEFANIA T. SALVI, D’Adda Vincenzo, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo) (DBGI), diretto da ITALo BIRoCCHI [ET AL.], Bologna, Il Mulino, 2013, I, p. 624. 32 FRANCESCo MARIA CARCANo, Il notajo istruito colli schiarimenti del regolamento sul notariato e delle leggi analoghe e colle module degl’istromenti […], Milano, dalla Società Tipografica de’ Classici Italiani, s.d. (ma 1810), p. VII, ma anche p. 5, 23, 55. 33 Cfr. Bullettino delle leggi del Regno di Napoli, Napoli, Stamperia Simoniana,1809, p. 121-176 (n. 51- n. 268 Decreto contenente un regolamento sul notariato), spec. p. 123 (art. 14). 34 Cfr. AUGUSTo SANDoNà, Il Regno Lombardo-Veneto 1814-1859: la costituzione e l’amministrazione. Studi di storia e di diritto con la scorta degli atti ufficiali dei dicasteri centrali di Vienna, Milano, Cogliati, 1912; più recentemente MARCo MERIGGI, Il Regno Lombardo-Veneto, in Storia d’Italia diretta da GIUSEPPE GALASSo, vol. XVIII, parte II, Torino, UTET, 1987, spec. p. 33-105; ma anche dello stesso autore Potere e istituzioni nel Lombardo-Veneto pre-quarantottesco, in La dinamica statale austriaca nel XVIII e XIX secolo, a cura di PIERANGELo SCHIERA, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 207-245; ID., Liberalismo o libertà dei ceti? Costituzionalismo lombardo agli albori della Restaurazione, «Studi storici», 22 (1981), p. 315-343; ID., Amministrazione e 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 144 144 Gigliola di Renzo Villata «se abbia a continuarsi od abolirsi il notariato in queste province»35. È indicativo del clima il fatto che nell’ottobre 1817 le autorità governative milanesi notificassero al pubblico una dichiarazione della Commissione Aulica di Legislazione giudiziaria, secondo la quale «gli atti notarili estesi nelle forme prescritte dai regolamenti appartengono alla classe dei documenti pubblici in quelle province nelle quali il sistema del notariato o sussiste attualmente o ebbe altre volte vigore»36. Poteva, infatti, a buona ragione sorgere il dubbio riguardo alla valenza della normativa precedente e alla ‘stretta necessità’ dei cittadini di ricorrere di frequente agli uffici dei notai, fonte, con evidenza, di maggiori costi, poiché l’ABGB, introdotto nelle province lombardo-venete con il 1816, non parlando di notai, lasciava libertà alle parti contrattuali di servirsi di scritture private: tuttavia, come rileverà l’avv. Daniele Lissoni, notaio in Milano, al momento dell’elaborazione in epoca postunitaria di un progetto di legge per l’esercizio del notariato, per impulso del ministro Di Falco, «i notai continuarono mai sempre ad essere richiesti, massime negli affari di maggiore importanza, non da altro più sostenuti che dalla pubblica fiducia»37. Passati circa quattro lustri dal momento delicato, costituito dal mutamento radicale di regime, che avrebbe potuto comportare una rivoluzione nella professione, ancora nel 1835 l’atmosfera di incertezza sembra contraddistinguere l’assetto raggiunto se l’imperatore austriaco reputa opportuno dichiararne solennemente l’utilità e funzionalità nel sistema, mentre sollecita il Senato di Verona a predisporre, in sostanza autonomamente rispetto alle altre province dell’Impero, «un completo regolamento sul notariato alla foggia del regolamento notarile» francese: «Io voglio che nel mio regno Lombardo-Veneto debba sussistere ulteriormente il notariato, con quegli attributi che corrispondono ai bisogni degli abitanti»38. Nel frattempo il numero dei notai attivi prima del 1837 in Lombardia si era sensibilmente ridotto a un numero così esiguo da non «bastare alle esigenze del pubblico» – come scriverà il notaio Elia39, tanto che il Senato di Verona è autorizzato a nominare nuovi notai «a seconda del bisogno e del desiderio dei paesi che ne fossero privi». Nonostante dunque la determinazione di vertice di pervenire a un nuovo regime, adattato alle peculiarità locali, e la buona volontà in quel senso degli organi preposti, malgrado alcuni tentativi frustrati di introdurre prima il regolamento, emanato il 29 settembre 1850 per le antiche province austriache, poi quello del 25 maggio 1855, destinato alle medesime province, non se ne fa nulla. Il vecchio sistema francese rimane dunque operativo, pure se funzionò, per così dire, a scartamento ridotto. Da una parte, infatti, – lo si è rilevato – si stempera l’obbligatorietà del ricorso ai notai, dall’altra gli atti notarili sono privati (almeno così opina Elia, ma altri sostengono una diversa interpretazione) dell’«esecuzione parata», classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna, Il Mulino, 1983; da ultimo ID., Gli stati italiani prima dell’unità. Una storia istituzionale, Bologna, Il Mulino, 2002, spec. p. 125; inoltre, a cura di DUCCIo BIGAZZI-MARCo MERIGGI, il volume Lombardia, in Storia d’Italia. Le Regioni, Torino, Einaudi, 2001, ed ivi part. il saggio di MARCo MERIGGI, Lo «Stato di Milano» nell’Italia unita: miti e strategie politiche di una società civile (1860-1945), p. 5-49; ed ancora, con saggi di rilievo di FRANCo DELLA PERUTA ed altri, Il tramonto di un regno: il Lombardo-Veneto dalla Restaurazione al Risorgimento (1814-1859), coord. GIUSEPPE PoNTIGGIA-GIoRGIo RUMI, Milano, Cariplo, 1988. 35 Cfr. GIoVANNI ANCARANI, L’ordinamento del notariato dalla legislazione degli Stati preunitari alla prima legge italiana, in MAZZANTI PEPE-ANCARANI, Il notariato in Italia dall’età napoleonica all’Unità, p. 270 ss. 36 Raccolta degli atti dei governi di Milano e di Venezia e delle disposizioni generali emanate dalle diverse autorità, in oggetti sì amministrativi che giudiziari, Milano, I.R. Stamperia, 1817. 37 DANIELE LISSoNI, Progetto di legge per l’esercizio del notariato, con annotazioni, cenni storici e raffronti, Milano, Tip. Boniardi-Pogliani di Ermen. Besozzi, 1868, p. 9. 38 Cfr. per il testo della risoluzione imperiale 4 luglio 1835 ASMi, Fondo studi, p. m., cart. 319. 39 Notizie ricavate da ELIA ELIA, Intorno alle norme regolatrici delle competenze dovute ai notai. Considerazioni esposte al Ministro di Grazia e Giustizia (20 luglio 1864), in appendice a LISSoNI, Progetto di legge, p. 145-154. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 145 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 145 ovvero sia della forza esecutiva, riconosciuta invece, in forza del regolamento processuale civile austriaco del 1815, solo alle sentenze e alle convenzioni giudiziali (art. 385)40. Diversamente vanno le cose nel Regno di Sardegna dove, con l’editto 21 maggio 1814, ritorna in vigore, nel notariato come nelle altre materie disciplinate, il sistema d’ancien régime, qui prima tratteggiato in alcuni suoi elementi qualificanti41. Pur collegata, per la sua storia politica, al Regno di Sardegna, si differenzia tuttavia per alcuni profili la disciplina che entra in vigore nel Ducato di Genova con l’editto e il regolamento del 22 marzo 1816: in esso, conservando le peculiarità radicate nella storia del notariato genovese d’ancien régime, si distingue nettamente tra notai esercenti (o destinati ad esercitare) in Genova e professionisti operanti nel restante territorio del Ducato, prevedendo per i primi più gravosi requisiti ed oneri in termini di ‘censo’, di tirocinio professionale, di cauzione e di ‘annua finanza’, di seguito in parte mitigati a causa delle proteste dei gravati42. Con un regio editto del 23 luglio 1822 (art. 5), in vigore tanto per l’area piemontese quanto per la ligure, si detta una più dettagliata disciplina che impone la frequenza di un corso di retorica e di filosofia in un pubblico collegio e di istituzioni civili sotto un professore pubblico di diritto. Sul territorio sardo il codice feliciano, emanato nel 1827, dedica ai requisiti dell’aspirante notaio l’art. 358, che prefigura un profilo di professionista sufficientemente formato: oltre allo studio «sino alla rettorica inclusivamente occorre che l’aspirante abbia pel corso di un anno ascoltate le lezioni delle istituzioni civili nelle università di Cagliari e Sassari, e sia bastantemente nelle medesime istruito». Nell’art. 360 dello stesso ‘codice’ si disciplinano le peculiarità dell’esame, della durata di almeno due ore, «o per quell’altro maggior tempo, che il Reggente stimasse», incentrato «sulle Istituzioni civili, e sugli obblighi de’ Notai contenuti nelle leggi e nelle istruzioni che li riguardano, non meno che sul pratico esercizio dell’ufficio, per cui si sceglieranno alcuni contratti, e tra questi de’ più difficili», avendo «eziando riguardo alla materiale scritturazione, la quale dovrà essere di chiaro e distinto carattere, e facilmente leggibile». Con il regio decreto del 15 agosto 1858 alle Istituzioni civili, sempre fondamentali, si aggiungono i corsi di Procedura civile e penale nell’università43. Nel Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, analogamente a quanto avviene in altri Stati preunitari, il cambio di regime non causa in materia notarile un parallelo mutamento, ma si riconfermano in via transitoria le disposizioni di matrice francese, come avviene per altri settori del diritto, non senza che il precedente sistema della dominazione napoleonica, combinato tuttavia con le tradizioni territoriali, pesi anzi in maniera decisiva, nella sostanza e nella disposizione della materia, sulla legge notarile poi promulgata l’8 gennaio 1821: si segnalerà ai futuri legislatori dell’Italia unita per l’elevata qualità44. Sono presenti però alcuni elementi diversi, di non scarso rilievo, in linea, in taluni casi, con alcune modifiche apportate nel regolamento per il Regno d’Italia del 1806 rispetto alla sua fonte ‘privilegiata’ della legge del Ventoso: di questo segno si possono considerare, tra i requisiti per l’ammissione al notariato, lo 40 ELIA ELIA, Sulla conservazione degli archivi notarili nel Regno d’Italia, in appendice a LISSoNI, Progetto di legge, p. 141144. Anni prima l’estensore anonimo dei Cenni dell’origine, de’ progressi, della importanza e de’ precipui affari del notariato, Pavia, Bizzoni, 1837, aveva sostenuto che non si dovesse intendere apportata nessuna modifica all’efficacia degli atti notarili. 41 Cfr. supra, testo corrispondente alla nota 13. 42 Ibidem, p. 251 ss. 43 Cfr. ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 264-267: v. il cd. Codice feliciano: Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna raccolte e pubblicate per ordine di S.S.R.M. il Re Carlo Felice, parte I, titolo XXIV Del notariato e dell’insinuazione, Capo Primo Della creazione de’ notai e degli obblighi loro nell’esercizio del notariato, art. 358-360, Torino, per Andrea Allian, 1827, p. 98-99. 44 ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 316. Il giudizio emerge dalle Osservazioni critiche al progetto di legge sul notariato presentate dai notai parmensi F. Pellegri, V. Pavesi, G. Manici, D. Mambriani, Firenze, 1866, cit. da ANCARANI, op. e loc. ult. cit. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 146 146 Gigliola di Renzo Villata «studio della giurisprudenza, per due anni, presso l’Università di Parma o nella sezione di essa stabilita in Piacenza», a cui segue una corrispondente durata inferiore dell’«obbligata pratica» (art. 29, n. 5); indi un esame di capacità, consistente in quattro interrogazioni (seguite dalle adeguate risposte scritte) e due temi, prove tutte da sottoporre all’approvazione di almeno due terzi della commissione costituita; era presupposto un previo giudizio della Camera notarile sulla «costumatezza» del candidato. Nel 1844, con un decreto dedicato del 1° aprile, si stabilisce che, dopo il primo anno di studio universitario incentrato sulle istituzioni civili romane, sul diritto canonico e sul codice civile (ovviamente parmense), fosse consentito di iniziare il periodo di stage, mentre nel 1851 ci si interessa ancora delle modalità di svolgimento dell’esame per essere maggiormente garantiti intorno alle abilità dei concorrenti45. Nel Ducato di Modena il regime che segue nell’età della Restaurazione non è oggetto di analoghi favorevoli apprezzamenti e non soddisfa il ceto notarile, forse per l’assolutismo paternalistico ispiratore: al momento delle discussioni intorno all’assetto unitario del notariato, si preferisce piuttosto tralasciare la fase preunitaria e richiamare come valido modello da seguire il regolamento del Regno d’Italia del 1806. Ma tale generale implicita svalutazione non toglie che l’ordinamento notarile modenese vantasse alcuni punti di forza. Dalla fine del 1814 al 1815 si pone mano al settore eliminando alcune incompatibilità tra le professioni di causidico e di notaio, sorte nell’immediato passato, e si regola con un testo organico la professione notarile, gli Archivi, molto curati dal legislatore e lodati poi per la loro efficienza, i collegi dei notai, con autonomia abbastanza scarsa, e le Congregazioni d’Archivio. In particolare, oltre agli Archivi, si bada a predisporre una serie di adempimenti per gli aspiranti notai, in modo da assicurare il possesso di un bagaglio adeguato di conoscenze di carattere teorico (si prescrive l’acquisizione del grado di «notaro teorico» presso l’Università modenese, che aveva la cattedra di notariato46) presupposto della studio-pratica, di non meno di un anno, presso un notaio individuato dal Collegio, cui segue l’accertamento delle capacità davanti al Collegio con la partecipazione del giudice civile47. Nel Granducato di Toscana, «poco infrancesata» nel periodo francese, la caduta di Napoleone non porta ad un immediato ritorno all’antico ma, secondo una linea di moderazione, fatta propria in Italia da altri governanti coevi, si registra dapprima un provvisorio mantenimento del regime fino ad allora in vigore e, abbastanza presto, già con l’11 febbraio 1815, una legge in campo notarile, ritenuta da Francesco Forti, rappresentativa voce del milieu giuridico-politico locale, ispirata ad «uno spirito di transazione tra l’antica giurisprudenza toscana e la moderna francese»48. 45 Cfr. Regolamento per la provvisoria Amministrazione in nome di S.M. l’Imperatrice Maria Luigia, dello Stato di Parma, Piacenza e Guastalla 5 giugno 1814, n. 55, in Raccolta generale delle leggi per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla, Parma, Tip. Ducale, 1814, p. 62-76; indi, nella medesima Raccolta, Decreto Sovrano risguardante ai Notaj e agli Atti Notarili 8 gennaio 1821, p. 26-54, spec. p. 37-40. V. poi sulle peculiarità e i dettagli al riguardo ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 311 ss.; GIUSEPPE ACERBI, Il notariato parmense da Napoleone all’Unità, in Notai a Parma X-XX secolo, a cura di ADA GIGLI MARCHETTI, Milano, Skira, 2006, p. 91-107; anche, nello stesso volume, ANToNIo ALIANI, Il lungo cammino di una professione: dalle origini alle riforme settecentesche, p. 21-65 (dello stesso A. v. Il notariato a Parma. La ‘matricula collegii notariorum Parmae’ (1406-1805), Milano, Giuffrè, 1995); ancora FEDERICA DALLASTA, Eredità di carta. Biblioteche private e circolazione libraria nella Parma farnesiana (1545-1731), pref. di GIoRGIo MoNTECCHI, Milano, FrancoAngeli, 2010, spec. p. 158. 46 Cfr. da ultimo, sulle vicende settecentesche della cattedra, Elio Tavilla, La “classe legale” dell’Università di Modena negli anni del riformismo settecentesco, in Università e formazione dei ceti dirigenti. Per Gian Paolo Brizzi, pellegrino dei saperi, a cura di GIANCARLo ANGELoZZI-MARIA TERESA GUERRINI-GIUSEPPE oLMI, Bologna, BUP, 2015, spec. p. 342-343. 47 ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 294 ss. 48 FRANCESCo FoRTI, Libri due delle Istituzioni civili accomodate ad uso del foro, vol. I, cap. 3, sez. 5, Firenze, Viesseux, 1840, p. 553-554. L’«infrancesata» è espressione usata da Forti, op. e loc. ult. cit., p. 553. Su questo autore cfr. da ultimo LUCA MANNoRI, Introduzione a Tra due patrie: un’antologia degli scritti di Francesco Forti (1806-1838), con introd. e a cura di LUCA MANNoRI, con un’appendice di lettere inedite pubblicate da ANToNIo CHIAVISTELLI, Firenze, Fondazione Spadolini-Nuova Antologia, Grassina, Bagno a Ripoli, Le Monnier, 2003, p. 1-53; nonché ID., Forti, Francesco, in DBGI, I, p. 889-890. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 147 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 147 Ciò significava, in concreto, rimanere fedeli alla tradizione d’ancien régime senza tralasciare l’adesione al modello francese per quanto si riteneva utile. I notai, nominati a vita, «ministri pubblici, istituiti per ricevere e custodire nei modi, e colle solennità prescritte», sono limitati di numero fino a trecento per tutta la Toscana e ripartiti nelle cinque «Rote di prima appellazione» (Firenze, Pisa, Siena, Arezzo e Grosseto), senza obbligo di residenza in loco, ma circoscritti nella loro attività dal distretto d’esercizio coincidente con quello della Rota di appartenenza: fin qui sembrava veramente avere operato quello spirito di transazione tra vecchio e nuovo rievocato da Forti; non si può dire altrettanto per il regime fissato dal regolamento sul controllo delle funzioni notarili poiché, abolite le «Camere dei notari» (anticamente vi erano a Firenze e altrove i collegi dei giudici e dei notai), si istituiscono a Firenze e a Siena, a fare parzialmente le loro veci, due Soprintendenti d’Archivio ai quali sono affidati pochi compiti. Tra questi vi è un’attribuzione minima circa l’accertamento dei requisiti di ammissione alla professione, tra cui figura lo studio delle Istituzioni civili per due anni scolastici nell’Università di Pisa, o di Siena, o in altro luogo presso un lettore di legge addetto a pubbliche scuole (cap. II l. 11 febbraio 1815), preliminare per l’aspirante al primo esame, relativo alle «materie pratiche notariali», da svolgere, alla loro presenza con l’intervento di due notai scelti da loro, con «interrogazioni, che possono essere opportune a conoscere la di lui abilità in materia civile e notariale», in modo anche da verificare la conoscenza del latino. Segue un secondo esame, presso le diverse Rote, con l’intervento nel procedimento rispettivamente della Consulta di Firenze e del Governatore di Siena, ed il rilascio della patente da parte dei Soprintendenti previo giuramento prestato dall’aspirante davanti al primo Auditore di Rota ed il pagamento di una somma di scudi 300 a titolo di deposito e cauzione49. In sostanza si approva una normativa di orientamento centralistico, non improntata al ‘rispetto’ dell’autonomia del ceto notarile, deprivato così di poteri peculiari nel procedimento di ammissione dei candidati all’ufficio e nel controllo dell’attività svolta dai notai, conferito invece, solo per alcuni aspetti, ai Soprintendenti. Nello Stato pontificio la restaurazione della sovranità della S. Sede, realizzata in due tempi tra il 1814 ed il 1815 (dapprima in Lazio ed Umbria, cosiddette province di «prima recupera»; indi nelle legazioni di Bologna e Romagna cosiddette di «seconda recupera»), ed una politica legislativa di marca reazionaria, voluta dal cardinale Rivarola, determina conseguenze anche nell’ambito notarile. Il clima d’incertezza in cui versa la categoria si rispecchia nel tenore delle domande degli aspiranti notai: nel chiedere di essere ammessi all’esercizio della professione, non di rado indugiano ad affermare di non avere esercitato «alcun impiego nel cessato governo»50. Segue però un periodo ispirato a maggiore moderazione, segnato dall’avvento, anzi dal ritorno al governo del card. Consalvi. Con un motu proprio del 31 maggio 1822 (art. 43) si richiede esplicitamente il compimento del corso dei primi studi di filosofia e di giurisprudenza civile, che includevano la frequenza dei corsi di Logica, di Etica e di Istituzioni civili e canoniche. Tra le innovazioni, che contraddistinguono un’età più aperta al progresso dei tempi, si può annoverare il motu proprio del 22 agosto 1822 in materia notarile, «non un semplice regolamento, ma una vera e propria legge organica», dettato dall’intento, reso esplicito, di «rialzare all’antico splendore il ceto de’ notaj», considerati «in ogni governo, quasi il sostegno del corpo sociale», e di uniformare il sistema archivistico introdotto da Sisto V al fine di assicurare la custodia degli atti e «il comodo degli abitanti», riordinando la disciplina e depurandola degli «abusi introdotti dopo l’ultimo regolamento emanato da […] Benedetto XIV […]». 49 ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 281 ss. V. Leggi del Granducato di Toscana pubblicate dal 1814 a tutto il giugno 1840 per ordine di tempi, Firenze, Stamperia Granducale, 1814; 1815. 50 ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 317-334, spec. p. 319 per le fonti citate dell’ARCHIVIo DI STATo DI RoMA (ASR), Prefettura degli Archivi notarili (1705-1825), busta 33. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 148 148 Gigliola di Renzo Villata Dunque si ritorna, almeno per il settore archivistico, all’Antico Regime con adeguate correzioni, ma, quanto al notariato – come è stato rilevato51 – si tiene presente, in gran parte, il modello della legge francese del Ventoso. I notai, pubblici funzionari, sono nominati a vita dal pontefice e obbligati a prestare il loro ministero su domanda: in numero prestabilito da una tabella variabile ogni dieci anni, divisi in classi, con competenze territoriali diverse e un aperto favore per i romani, sono colpiti da incompatibilità (con una serie di funzioni amministrative e giudiziarie) e divieti di vario tipo. Per l’accesso alla professione occorrono un attestato del vescovo della diocesi sulla «fama di probità», «onesti natali», non avere esercitato «mestieri vili», la conclusione del «corso de’ primi studi della filosofia, e giurisprudenza civile», avere esercitato la professione presso un notaio per almeno due anni, che scendono a sei mesi nel caso di giudice o procuratore operativo da almeno un anno. Seguiva un esame davanti a una commissione composta di varie autorità, oltre che da «un notaio di credito da destinarsi alla circostanza», e un’ulteriore verifica del prefetto degli Archivi «sul morale, ma ben’anco sul politico»52. 4. Un deciso passo in avanti: la prima legge unitaria La costituzione del Regno d’Italia, esito di un graduale processo di unificazione politica, porta con sé l’esigenza di un’unificazione giuridica, che si raggiunge, in misura rilevante, nel 1865 con la promulgazione dei codici civile, di procedura civile, di procedura penale; sul versante amministrativo con la legge sull’unificazione amministrativa e, più tardi, nel 1889, con il codice penale. Quanto al notariato, sembra che maturasse un’iniziativa volta a redigere un progetto di legge unitario fin dal 1860, ma, allo stato attuale delle ricerche, se ne ha solo notizia indiretta attraverso la relazione della Commissione del 1875, quando infine si giunge alla definitiva approvazione di un testo unitario, e attraverso la testimonianza di un notaio di Forlì che, nel 1861, scriveva in termini assai negativi del sistema vigente auspicandone una «riforma radicale»53. Segue nel 1864 un progetto, elaborato da una Commissione composta in parte da notai (9 su 22 membri), che getta le prime fondamenta della futura legge notarile; ad esso succedono altri, che culminano in quello del 1868, presentato al Senato il 10 giugno, con relazione Poggi, ed alla Camera il 13 marzo 1869 dal ministro De Filippo, non senza che il ceto notarile facesse sentire la sua voce nel corso dei lavori preparatori. Su questo versante occorre ricordare un’intensa azione propositiva, svolta proprio dal notariato dell’Italia settentrionale (si segnalarono sopratutto i notai parmensi, i modenesi, Elia Elia della Camera notarile milanese, ecc.): vari sono i problemi sul tappeto e toccano profili nevralgici della professione poiché, ad esempio, a fronte di un «sistema della libertà», auspicato da Cavour in tutti i rami della pubblica amministrazione, si preferisce piuttosto nei progetti un sistema «protezionista», operativo anche nel procedimento di nomina a vita, con decreto reale54; si prevedono pubblici archivi, non approvati da diverse componenti della categoria; un’altra delicata questione è quella del titolo di studio necessario per accedere al notariato che, nel progetto del ’68, è indicato nella laurea in Giurisprudenza, poi ‘edulcorato’ in un requisito meno rigoroso55. 51 Ivi, p. 321. Ivi, p. 323-324. 53 Cfr. Relazione della Commissione, presentata alla Camera il 22 aprile 1875 (relatore Villa-Pernice), n. 20°. 54 Sen. Chiesi, sull’art. 4 del progetto del 1868. 55 ANCARANI, L’ordinamento del notariato, p. 347 ss. 52 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 149 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 149 Infine il 25 luglio 1875 si giunge all’approvazione definitiva del testo di «riordinamento del notariato», accompagnato dal regolamento notarile 10 dicembre 1875, destinato a subire nel ’78/’7956 modifiche di non grande peso: la matrice francese della legge del Ventoso è facilmente riconoscibile ma i contributi degli impegnati ordinamenti notarili preunitari non sono andati persi, con un conseguente adattamento alle esigenze e ai costumi ‘patrii’. Ne riassumo qui i punti fondamentali: il reticolato legislativo del Testo Unico consta di sei titoli e si snodava dalle Disposizioni generali (tit. I) al tit. II Dei notari, al III, che regola la materia della forma degli atti, della custodia degli stessi presso il notaio, della tenuta dei repertori, delle copie, degli atti rilasciati in originale, al IV sui consigli e collegi notarili, nonché sugli archivi, per concludere con norme sulla vigilanza dei notai, dei consigli e degli archivi, nonché con diverse disposizioni transitorie. L’art. 1, nel solco della tradizione francese, ma condiviso nella sostanza fin dai primi progetti, definisce i notai «uffiziali pubblici istituiti per ricevere gli atti tra vivi e di ultima volontà ed attribuire loro la pubblica fede, conservarne il deposito, rilasciarne le copie, i certificati e gli estratti»; la menzione nella legge del Ventoso dell’authenticité al posto della pubblica fede non comportava, ad avviso degli interpreti, differenze dissimili anche quanto agli effetti, tenuto conto che l’art. 1317 del codice civile del 1865 attribuiva all’atto pubblico «piena fede della convenzione e dei fatti seguiti alla presenza del notaio». L’intervento del notaio, prescritto dal codice Pisanelli per le sole donazioni e per i contratti di matrimonio, diviene nelle altre contingenze libera scelta dei contraenti, che possono far uso di scritture private. L’art. 2 fissa le incompatibilità con «qualunque impiego stipendiato o retribuito dalle pubbliche istituzioni», con la professione di avvocato e procuratore, di commerciante, di mediatore, di agente di cambio o sensale, e con la qualità di ministro di culto; l’art. 3 disciplina gli archivi, sui quali si era svolta una polemica accesa, espressa dalle molte petizioni giunte dai notai, dai consigli comunali e dai sindaci di ogni parte d’Italia L’art. 5 indica i requisiti per la nomina, che vale la pena di elencare: 1) essere cittadino del Regno ed avere compiuto ventiquattro anni, o ventuno, se non vi siano altri concorrenti ventiquattrenni e il Consiglio notarile e la Corte d’appello formulino parere favorevole; 2) presentare i certificati di moralità; 3) aver compiuto nei modi stabiliti dalle leggi e dai regolamenti sulla pubblica istruzione i corsi delle Istituzioni del diritto romano comparato col diritto patrio, dei Codici civile e di Procedura civile e del Diritto commerciale (nel ’79 si aggiunge Diritto amministrativo) ed averne superati gli esami; 4) essere iscritto fra i praticanti presso un Consiglio notarile; 5) avere fatto la pratica, per due anni continui dopo l’iscrizione e gli esami sopra indicati, presso un notaio residente nel distretto del collegio; 6) avere sostenuto e superato un esame d’idoneità dopo avere compiuto la pratica notarile. Discussioni c’erano state riguardo al mancato inserimento della laurea in Giurisprudenza, auspicato dai notai lombardi che – così Elia Elia in una Memoria del 1868 – sottostavano a questo ‘adempimento’ sin dal regolamento del 1794, riconfermato, sotto questo aspetto, dal regolamento del 1806, ed anche dal Congresso notarile del 1871 come strumento per «rialzare la dignità notarile»57, ma non bastono a 56 V. soprattutto regolamento notarile 23 novembre 1879, ma anche Testo unico delle leggi notarili 25 maggio 1879. Sull’interpretazione da darsi alla complessa normativa si venne svolgendo un dibattito pubblicistico, che si può ricostruire attraverso la lettura dei periodici della categoria (come «Notariato italiano», «Rolandino: Monitore del Notariato» e «Giornale dei Notari») e dei vari contributi da quella proveniente: v. per es. PIETRo MoSCATELLo, Intorno agli atti che la legge vieta al notaio di ricevere. Discorso letto al Circolo Notarile di Palermo (il 27 settembre 1879), Palermo, Tip. A. Giannitrapani, 18863 (l’autore era direttore del periodico «Notariato italiano» e aveva da poco scritto La legislazione notarile italiana, Palermo, Tip. A. Giannitrapani, 1876). 57 Cfr. sulla normativa indicata CINo MICHELoZZI, Il notariato secondo la nuova legge italiana, Prato, Giachetti figlio & C., 1875; CELESTE FALCIoNI, Manuale teorico-pratico del notariato: commento e illustrazione della legge 25 maggio 1879 (testo unico) serie 2., n. 4900 e del relativo regolamento 23 novembre 1879: seguiti dai riferimenti alla dottrina dei codici italiani, alle 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 150 150 Gigliola di Renzo Villata far mutare l’orientamento generale, contribuendo, per dirla con Marco Santoro, a «perpetuare questo modello squilibrato di divisione del lavoro legale». Il requisito della laurea sarà introdotto solo con la riforma del 16 febbraio 191358, ma a quella data ormai gran parte dei notai ne era provvista, realizzando un fenomeno di overeducation, aumentato di proporzioni nei due decenni successivi all’emanazione della legge del 1875. Secondo statistiche elaborate dal Ministero della Giustizia, che vale la pena di riportare nei dati qui significativi, il possesso della laurea, nel 1888 presente tra il 48,6% dei notai attivi, saliva al termine del decennio, nel 1897, al 62,9%59. Intanto la «quistione del notariato», espressione che faceva riferimento alla precarietà dello stato economico e sociale della categoria, varie volte lamentato da appartenenti a essa negli anni precedenti, va generando interesse e maggiore consapevolezza in particolare nei soggetti coinvolti quali attori: si svolgono i primi congressi (penso a quelli di Napoli, Roma, Milano e Torino) in cui, sul versante dell’organizzazione della professione e del suo ‘statuto’, si discute, tra l’altro, del requisito obbligatorio della laurea, come si fa nel III Congresso notarile romano e nel IV torinese60; si sviluppa un dibattito destinato a sfociare in prese di posizione più decise a favore di «una riforma radicale, larga, complessa della legge», capace di risollevare i notai da un «decadimento», in cui versavano, e di prepararli ad affrontare con armi più appuntite le nuove sfide che il progresso economico e sociale degli ultimi decenni rendeva indifferibile. Dalla fase vivace del dibattito si passa infine, su impulso dell’autorità governativa, a quella progettuale. Il ministro Finocchiaro Aprile costituisce nel 1905 una Commissione incaricata di proporre modifiche all’ordinamento sul notariato. La Commissione, di cui fanno parte pure notai ‘impegnati’ come Michele Fava, suggerisce l’introduzione del requisito della laurea; uguale orientamento emerge nel disegno di legge presentato dal ministro Niccolò Gallo nella tornata del 27 novembre 1906. La sua Relazione, premessa, sul punto, all’art. 18, 3° sui requisiti per la nomina («essere fornito della laurea in giurisprudenza data o confermata in una delle università del Regno»), nel presupposto del possesso della laurea per l’esercizio della pratica (art. 18, 4°), rappresenta il ruolo del notaio in tutto il ventaglio delle sue attribuzioni, conferendogli un rilievo «non inferiore a quello dell’avvocatura» per la capacità di prevenire le liti anzichè di risolverle. Si evocano i precedenti della scelta, dal progetto De Falco, favorevole alla laurea, dalle memorie e petizioni dei collegi notarili che ne facevano una «quistione di dignità», al trionfo dell’opposto parere, non tanto perché si negasse la sua utilità quanto «perché sarebbe stato difficile (si trattava dell’immediato periodo postunitario, alla fine degli anni ’60 e primi ’70) avere fra i laureati un numero sufficiente di notari». circolari ministeriali, alle massime di giurisprudenza italiana e francese e da un formolario di tutti gli atti notarili indicati dal codice civile, di proc. civile e di commercio, 1, Legge, regolamento, tariffa: commento e illustrazione, Torino, UTET, 1888; 2, Formolario, Parte prima, Torino, UTET, 1889; Parte seconda, 1890; Parte terza, 1891 (tra il 1900 e il 1901 seguiva una seconda edizione, «interamente riordinata ed ampliata», in cinque volumi, compreso il formolario tascabile); Id., Formolario degli atti notarili più frequenti nella vita pratica, preceduto dai relativi articoli della legge e del regolamento notarile, dalla tariffa notarile, dalla tariffa annessa alla legge sulla tassa di registro, 3. ed. riordinata e ampliata, Torino, UTET, 1908. 58 Cfr. MARCo SANToRo, Notai. Storia sociale di una professione in Italia (1861-1940), Bologna, Il Mulino, 1998, p. 151; ID., Il notariato nell’Italia contemporanea, Milano, Giuffrè (Consiglio nazionale del notariato. Studi storici sul notariato italiano, 11), 2004, p. 313-314. 59 SANToRo, Notai, p. 119 (ivi la tabella trascritta dai dati forniti dal Ministero). 60 Atti del III Congresso notarile italiano, Roma, Cecchini, 1883; IV Congresso notarile italiano. Processi verbali, Torino, Tip. degli Artigianelli, 1891. La «quistione del notariato» è espressione che si trova, ad es., in MICHELE FAVA, Il decadimento del notariato in Italia: esame critico delle cause e dei rimedi atti a risanarlo, corredato da una sommaria esposizione della legislazione notarile all’estero, Napoli, Stab. Tip. F. Lubrano, 1905, p. 5. V. GIoVANNI CERBIoNI, Riflessioni sulla genesi della legge notarile del 1913, «Studi e materiali», 3 (2008), p. 1-49, spec. p. 10 ss. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 151 Il notariato nell’Italia del Sette-Ottocento tra cultura giuridica e pratica 151 Gallo si sofferma pure sul compito formativo delle Facoltà di Giurisprudenza e sull’unità del diritto, pur «diviso e suddiviso in varie e molteplici materie», a somiglianza dell’albero che non perde la sua unità pur distribuito in rami: propone perciò un cursus studiorum che congiungesse il «corso generale e teorico di giurisprudenza» con un «programma di studi speciali o tecnici, destinato all’insegnamento di tutte quelle cognizioni, di tutte quelle avvertenze che son necessarie al notaro nella esplicazione della sua professione», rievocando quell’insegnamento «che gli antichi chiamavano ars notaria, che lo Sclopis con tanta autorità raccomandava nella discussione della legge notarile al Senato nella seduta del 3 dicembre 1868», conscio tuttavia dei limiti della sua aspirazione.61 Nel novembre del 1908, scomparso Gallo, il nuovo ministro della Giustizia, Vittorio Emanuele orlando, fa un passo indietro: dai suoi emendamenti scompare il requisito della laurea, assieme ad altre innovazioni gradite alla categoria. Quanto alla laurea in particolare, nell’art. 6 del Disegno di legge, dedicato alla proposta della Commissione ministeriale sul candidato da proporre per la sede vacante, si può leggere che «a parità di durata d’esercizio o di merito d’esame, saranno titoli di preferenza la laurea in legge, i diplomi ed altri titoli legali». Il ministro, nella Relazione al Disegno di legge, pur riconoscendo l’‘antichità’ della richiesta, il consenso «anche quasi universale», il livello cresciuto della cultura generale, il gran numero di laureati in Giurisprudenza «alla caccia all’impiego od ai cimenti delle libere professioni» (eterno problema lungi dall’essere risolto!) e – ovviamente – la valenza del «documento presuntivo di preparazione scientifica maggiore di quello che non attesti il solo diploma di notaro», reputa non giunto il momento per riformare, «in maniera affatto radicale, la legislazione e l’ordinamento degli studi superiori». Intravede una serie di danni diretti e indiretti: la soppressione indiretta delle «quattro scuole di notaro di Aquila, Bari, Catanzaro e Firenze», la modifica della legge Casati nelle disposizioni speciali sui corsi di «notaro e procuratore presso le Università del Regno», «i diritti quesiti dei notari esercenti e per ragioni di equità le legittime aspettative degli aspiranti e dei praticanti e perfino degli studenti attualmente iscritti ai corsi speciali di notariato». Ma, già nel 1910, il nuovo ministro, Cesare Fani, riprende le proposte in parte presenti nel progetto Gallo, tra cui quella della laurea obbligatoria, necessaria per un’elevazione culturale (ed anche economica) del notaio-libero professionista (tale era il profilo accolto)62. La riforma del 1913 giunge infine dopo un processo di elaborazione, iniziato, in effetti, quasi in prossimità dell’emanazione del testo unico sul notariato del 187963. Ispirata senza dubbio allo scopo di «elevare la condizione morale ed economica dei notai»64, accentuando anche il loro profilo 61 Cfr., per la Commissione ministeriale, costituita nel 1905, Atti interni, Camera dei Deputati, Legislatura XXI, Sess. 1902-04, doc. n. 131-A, con la Relazione della Commissione […] sulla proposta di legge d’iniziativa dei Deputati Cimorelli e Tedesco svolta e presa in considerazione il 10 maggio 1902. Modificazioni al testo unico della legge sul notariato. Seduta del 26 giugno 1903, con enfasi sul più lungo esercizio professionale quale criterio di preferenza rispetto a «chi ha il diploma più antico»; annessa la Proposta di legge e il Disegno di legge della Commissione, sulle modifiche dell’art. 11, cpv, e I parte dell’art. 27 l. 25 giugno 1879 n. 4900; per il progetto Gallo, Disegno di legge presentato dal Ministro di grazia e giustizia e dei culti (Gallo) nella tornata del 27 novembre 1906: ordinamento del notariato e degli archivi notarili: Senato del Regno; Camera dei deputati, Legislatura XXII, 1. sess. 1904-1906, Documenti, Disegni di legge e relazioni, N. 387, p. 1-21, spec. p. 4-6, Disegno di legge, p. 21-79, p. 25: art. 18, 3°. 62 Per il progetto orlando v. Emendamenti al disegno di legge Ordinamento del notariato e degli Archivi notarili presentati dal Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti (Orlando) nella tornata del 28 novembre 1908. Atti parlamentari. Senato. Legislatura XXII. I Sessione 1904-08- Documenti. N. 387-bis (ivi Relazione del Ministro, spec. p. 2-3 e Disegno di legge, art. 6, p. 12); per il progetto Fani, L’ordinamento del notariato italiano nelle leggi costitutive dal 1874 al 1954, a cura di GIUSEPPE GIANFELICEDoMENICo TRECCo, Milano, Giuffrè, 1955, p. 77 ss. 63 Ivi, spec. p. 207-229, 239-245. 64 Può essere utile la consultazione di alcuni commenti coevi, usciti poco dopo l’emanazione della legge di riforma: cfr. 5508_Guerrini_bozza5.qxp_SN1 06/07/16 16:49 Page 152 152 Gigliola di Renzo Villata professionalizzante, lascia alcuni dei problemi scottanti della categoria ancora in sospeso, come quello della concorrenza: nell’ibridismo del loro essere professionisti e pubblici ufficiali si cerca di far pendere la bilancia sul versante professionale. La storia successiva mostrerà quanto questa prospettiva sia stata poi raggiunta. La varietà estrema dei regimi attraverso i secoli e nei diversi ordinamenti giuridici del territorio italiano, qui appena lambiti con l’intenzione di mostrare una linea di sviluppo fatta di continue modifiche alla ricerca del ‘meglio’, è testimonianza innegabile della complessità della vicenda narrata in queste pagine. FRANCESCo DEGNI, Commento alla legge 16 febb. 1913 n. 89 sull’ordinamento del notariato e archivi notarili, e l. 22 nov. 1908, n. 693, sullo stato giuridico degli impiegati, Roma, Athenaeum, 1913; ENRICo BRUNI, La nuova legge notarile illustrata, Milano, Hoepli, 1915; GIoVANNI SoLIMENA, Comento alla legislazione notarile italiana con la scorta del diritto preesistito, delle fonti, della dottrina, della giurisprudenza e della pratica amministrativa, Milano, Vallardi, 1918.