NO JOBS di Alberto Fraccacreta
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NO JOBS di Alberto Fraccacreta
NO JOBS di Alberto Fraccacreta La mattina m’alzo e vado dove più non devo andare. Il crick dei biscotti nel forno, un vociare di vecchie arzillose, qualche piccione dal guizzo spavaldo, cenere di sigarette mai accese, ma è il vibrare di un’occasione al perdono, che mi ricorda il mio posto fisso nel canto. Siedo, fittizio, tra i banconi di crema, attendendo con cicche e pastiche letterari una visita metafisica od una più fisica iniezione di fiducia da un mantra in carriera, mentre il notebook da cui traggo memorie circuitali (altri spropositi del diktat anglògeno) mi mangia la vita, – se già non bastasse la mandragola. Con la vista scatarrata di quel che posso vedere, amico di amici e nemici, scelgo la strada dei torrioni, quando i desideri a precipitare sembrano l’unica via di scandaglio per una madreperla d’Altrove. Viottoli sanguigni del perdigiorno riaccendono la mitezza esacerbata nelle lucciole, nei non caimani, nei pettirossi per sbottonare la luce dei falliti di un nuovo mattino. Accatastate le liste contraffatte, i punteggi semiseri, gli articoli non remunerati tra tasti di telefonini e distributori di merende, la congenita stanchezza del precariato esistenziale si azzera. Dai fondi della moka tracima ora il nostro caffè disamaro, e drizzano le antenne apicali della creatività – che l’Università gentilmente rigetta. Nei cieli incollati di grigio, dalla prua del bastione che rischiamo di allentare per due spiccioli di distruzione, (eroicamente ma forse stupidamente) attendo l’attracco decisivo al molo, o il punto di abbrivio che crede al distacco, se adesso lasci la presa, e non resti.