Canne al vento - Prima i Lettori

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Canne al vento - Prima i Lettori
prima i lettori: terzo incontro
bistrò del tempo ritrovato: via foppa 4 13
maggio ore 19:00
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Indice
Voci
Canne al vento
1
Grazia Deledda
3
Antonio Tabucchi
14
Goliarda Sapienza
18
Manoscritto trovato a Saragozza
20
Jan Potocki
22
Gente di Dublino
23
James Joyce
26
Wu Ming
40
Saggio sulla lucidità
46
José Saramago
49
Roberto Perrone
56
Katherine Mansfield
58
Note
Fonti e autori delle voci
61
Fonti, licenze e autori delle immagini
62
Licenze della voce
Licenza
63
Canne al vento
1
Canne al vento
Canne al vento
Autore
1ª ed. originale
Genere
Grazia Deledda
1913
romanzo
Lingua originale italiano
Canne al vento è un romanzo di Grazia Deledda. Uscito a puntate sull'Illustrazione Italiana, dal 12 gennaio al 27
aprile 1913, dopo qualche mese fu pubblicato in volume, presso l'editore Treves di Milano. Il titolo del romanzo più
famoso di Grazia Deledda allude al tema profondo della fragilità umana e del dolore dell'esistenza e in questa
direzione mobilita le riflessioni e le fantasie di un eroe protagonista, come un primitivo, un semplice, assai simile al
pastore errante dell'Asia leopardiano o a uno degli umili manzoniani. Il rapporto di similitudine tra la condizione
delle canne e la vita degli uomini, celebrato nel titolo del romanzo, proviene da un'opera (Elias Portolu) del 1903:
Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c'è una forza che non possiamo
vincere.
L'opera
Sullo sfondo della brulla terra sarda, vengono esposte le tematiche della povertà, dell'onore e della profonda
superstizione. La Sardegna rurale del primo Novecento descritta in Canne al Vento ripropone ancora oggi quel nodo
insolubile tra una civiltà in apparenza statica e immobile sulle sue millenarie usanze e una Sardegna che avanza a
grandi passi sulla via di un progresso, ieri industriale oggi industriale e tecnologico insieme.
Mentre gli artisti del tempo della Deledda dibattevano sugli aspetti più complessi di quel progresso, e cioè di quella
modernità nella quale potevano cogliere l'essenza unitaria dell'uomo comunque e dovunque, e non solo nella civiltà
occidentale, la Deledda assai più sensibile e avvertita sul piano culturale coglieva il senso profondo e sconvolgente
del mutamento. La sua proiezione mitica della comunità isolana ne era una reinvenzione simbolica in termini
estetici e antropologici.
Non è una storia fine a se stessa, né rinchiusa nei confini della Sardegna. Quel che vale per la Sardegna vale anche
per il resto d'Italia di allora, e non solo: lo testimonia la grande e lunga fortuna di Canne al vento in tutto il mondo.
Ecco perché la sua opera poté interessare lo scrittore inglese David Herbert Lawrence, autore di Mare e Sardegna,
che divenne suo traduttore. D. H. Lawrence fu attratto dalla sua scrittura, densa di emozioni e suggestioni
primordiali, una scrittura nella quale fluiva una energia insolita che induceva nel lettore un nuovo desiderio di
natura e autenticità. Desiderio più comprensibile oggi di quanto non lo fosse allora, quando i problemi dei costi
sociali e umani, i costi dei rischi ambientali del progresso e della modernità non erano venuti in primo piano.
Trama
In un villaggio sardo, Galte, non lontano dalla foce del Cedrino, sulla costa tirrenica della Sardegna, vive la nobile
famiglia Pintor: padre madre e quattro figlie. Il padre, Don Zame, rappresentato come rosso e violento come il
diavolo, è un uomo superbo e orgoglioso, ma anche prepotente e soprattutto geloso dell'onore della famiglia e ne
protegge il prestigio e la nobile reputazione nel paese. Le donne, dedite ai lavori domestici, restano a casa. A questa
condizione femminile si ribella solo la figlia più piccola, Lia, la quale trasgredendo le regole imposte dal padre fugge
sulla penisola per "prender parte alla festa della vita". Approda a Civitavecchia. Qui si sposa, ha un figlio e muore.
Don Zame sembra impazzire per lo scandalo - "Un'ombra di morte gravò sulla casa: mai nel paese era accaduto uno
scandalo eguale; mai una fanciulla nobile e beneducata come Lia era fuggita così." - Il padre mentre tenta di
Canne al vento
inseguire la figlia viene trovato misteriosamente morto sul ponte all'uscita dal paese. Il fatto criminoso resterà
avvolto in una sorta di mistero: disgrazia o delitto? Questo è l'antefatto del romanzo che nella realtà narrativa viene
rivelato con anacronie, nel corso della narrazione, la quale in verità comincia nel momento in cui viene annunciato
l'arrivo di Giacinto, il figlio di Lia, in casa Pintor.
Quando il romanzo ha inizio, le dame Pintor: Ruth, Ester e Noemi, assistono rassegnate al declino della loro
giovinezza, abitano in una casa oramai cadente e sono rimaste proprietarie di un unico, piccolo podere appena
sufficiente per il loro sostentamento. La vita delle Pintor scorre in una mestizia melanconica nella quale sfuma il loro
orgoglio, che ha guizzi soprattutto in Noemi e meno nelle altre due più anziane, provate dalla rinuncia e
dall'aggravarsi della miseria. Invano sono protette dalla dedizione del servo Efix (Efisio è un nome molto diffuso nel
Sud della Sardegna ed è il nome di uno dei santi patroni della città di Cagliari), legato a loro, come il carnefice alla
vittima, da un forte senso di colpa. Egli sogna, con pazienza e devozione, il rifiorire della casa e della famiglia. Una
speranza si accende con l'arrivo di Giacinto. Intorno sono i personaggi minori, membri della comunità e del gruppo,
solidali e partecipi con la loro primitiva saggezza, le giovani coetanee di Giacinto, i coetanei delle Pintor, di Efix. Le
reazioni all'arrivo di Giacinto sono minutamente descritte nei vari meccanismi di accettazione e rifiuto, finché
l'amore finisce per ristabilire un nuovo equilibrio, che ciascun membro della comunità ha pagato con la propria
esperienza e in misura adeguata al proprio ruolo.
Le pagine memorabili del romanzo che restano impresse nell'animo del lettore sono numerose: Efix e il suo mondo
interiore, le sue riflessioni e le fantasie, gli interni della casa, il paesaggio, i santuari e le feste, la iniziazione difficile
di Giacinto, l'amore di Noemi e quello di Grixenda per lui, quello riconoscente delle dame per Efix che si conclude
nello splendido attittidu della fine, quando donna Ester parla come in una nenia funebre al servo morto, lo apostrofa
e ne veste il cadavere leggero, sola nella grande casa allietata dalle nozze di Noemi col cugino don Pedru.
Il narratore deleddiano adotta via via, in soggettiva, il punto di vista di altri protagonisti, come Noemi e Giacinto, ma
soprattutto Efix. Il narratore distingue tra il dialogo cui affida il materiale narrativo oggettivo, spazio-temporale, e il
piano soggettivo della percezione del mondo che viene rappresentato attraverso le immaginazioni e le fantasie del
protagonista.
Edizioni
• Grazia Deledda, Canne al vento, collana Oscar classici moderni, Arnoldo Mondadori Editore, 2001, pp. 238, cap.
17.
Voci correlate
• Canne al vento (sceneggiato televisivo)
• L'edera
Altri progetti
•
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Collegamenti esterni
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2
Canne al vento
3
Note
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Grazia Deledda
« per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con
profonda comprensione degli umani problemi »
(Motivazione del Premio Nobel per la letteratura)
Maria Grazia Cosima Deledda (Nuoro, 27 settembre 1871 – Roma,
15 agosto 1936) è stata una scrittrice e traduttrice italiana, vincitrice
del Premio Nobel per la letteratura nel 1926.
Biografia
Nacque a Nuoro, quinta di sette tra figli e figlie, in una famiglia
benestante. Il padre, Giovanni Antonio, era un imprenditore e agiato
possidente; fu poeta improvvisatore e sindaco di Nuoro nel 1892. La
madre, Francesca Cambosu, era una donna religiosissima e allevò i
figli e le figlie con religiosità. Dopo aver frequentato le scuole
elementari, Grazia Deledda venne seguita privatamente da un
professore ospite di una parente della famiglia Deledda che le impartì
lezioni di base di italiano, latino e francese (i costumi del tempo non
consentivano alle ragazze un'istruzione oltre quella primaria e, in
generale, degli studi regolari). Proseguì la sua formazione totalmente
da autodidatta. Importante per la formazione letteraria di Grazia
Deledda, nei primi anni della sua carriera da scrittrice, fu l'amicizia con
lo scrittore, archivista e storico dilettante sassarese Enrico Costa che
per primo ne comprese il talento.
Maria Grazia Cosima Deledda
letteratura 1926
Nobel per la
Esordì come scrittrice con alcuni racconti pubblicati sulla rivista "L'ultima moda" quando affiancava ancora alla sua
opera narrativa quella poetica. Nell'azzurro, pubblicato da Trevisani nel 1890 può considerarsi la sua opera d'esordio.
Ancora in bilico tra l'esercizio poetico e quello narrativo si ricorda, tra le prime opere, Paesaggi edito da Speirani nel
1896.
Nell'ottobre del 1899 la scrittrice si trasferì a Roma e in seguito alla pubblicazione di Anime oneste del 1895 e di Il
vecchio della montagna del 1900, oltre alla collaborazione sulle riviste "La Sardegna", "Piccola rivista" e "Nuova
Antologia", la critica iniziò ad interessarsi alle sue opere, che vantarono prefazioni di nomi quali Ruggero Bonghi e
Luigi Capuana. Nel 1900, sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze, conosciuto a Cagliari.
Nel 1903 la pubblicazione di Elias Portolu la confermò come scrittrice e la avviò ad una fortunata serie di romanzi e
opere teatrali: Cenere (1904), L'edera (1908), Sino al confine (1911), Colombi e sparvieri (1912), Canne al vento
(1913), L'incendio nell'oliveto (1918), Il Dio dei venti (1922). Da Cenere fu tratto un film interpretato da Eleonora
Duse.
La sua opera fu apprezzata da Luigi Capuana e Giovanni Verga oltre che da scrittori più giovani come Enrico
Thovez, Pietro Pancrazi e Renato Serra. Fu presto riconosciuta e stimata all'estero. Su di lei scrisse prima Maksim
Gorkij e più tardi D. H. Lawrence. Lo scrittore russo, nel 1910, ne raccomandò la lettura ad una scrittrice esordiente.
Il 2 giugno del 1910, in una lettera a L. A. Nikiforova (scrittrice esordiente), Gorkij scrive su Grazia Deledda parole
Grazia Deledda
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di stima e considerazione: «Mi permetto di indicarLe due scrittrici che non hanno rivali né nel passato, né nel
presente: Selma Lagerlof e Grazia Deledda. Che penne e che voci forti! In loro c'è qualcosa che può essere
d'ammaestramento anche al nostro mužik.». Lo scrittore inglese, nel 1928, le dedicò una particolare attenzione
nell'Introduzione alla traduzione inglese del romanzo La Madre. «Ci vorrebbe uno scrittore veramente grande scriveva D. H. Lawrence - per farci superare la repulsione per le emozioni appena passate. Persino le Novelle di
D’Annunzio sono al presente difficilmente leggibili: Matilde Serao lo è ancor meno. Ma noi possiamo ancora leggere
Grazia Deledda, con interesse genuino». Parlando della popolazione sarda protagonista dei suoi romanzi la paragona
ad Hardy, e in questa comparazione singolare sottolinea che la Sardegna è proprio come per Thomas Hardy: l’isolato
Wessex. Solo che subito dopo aggiunge che a differenza di Hardy, «Grazia Deledda ha una isola tutta per se, la
propria isola di Sardegna, che lei ama profondamente: soprattutto la parte della Sardegna che sta più a Nord, quella
montuosa». E ancora scrive: «È la Sardegna antica, quella che viene finalmente alla ribalta, che è il vero tema dei
libri di Grazia Deledda. Essa sente il fascino della sua isola e della sua gente, più che essere attratta dai problemi
della psiche umana. E pertanto questo libro, La Madre, è forse uno dei meno tipici fra i suoi romanzi, uno dei più
continentali». Grazia Deledda fu anche traduttrice, è sua infatti una versione di Eugénie Grandet di Honoré de
Balzac.
Ammalata di tumore, Grazia Deledda morì il 15 agosto 1936, lasciando incompiuta la sua ultima opera "Cosima,
quasi Grazia".
Le spoglie della Deledda sono custodite in un sarcofago di granito nero levigato nella chiesetta della Solitudine ai
piedi del Monte Ortobene di Nuoro.
La sua casa natale, nel centro storico di Nuoro (Santu Predu), è adibita a museo.
Poetica
La narrativa della Deledda si basa su forti vicende d'amore, di dolore e
di morte sulle quali aleggia il senso del peccato, della colpa, e la
coscienza di una inevitabile fatalità.
È stata ipotizzata una somiglianza con il verismo di Giovanni Verga
ma, a volte, anche con il decadentismo di Gabriele D'Annunzio, oltre
alla scrittura di Lev Nikolaevič Tolstoj e di Honoré de Balzac di cui tra
l'altro la Deledda tradusse in italiano l'Eugenia Grandet. Tuttavia la
Deledda esprime una scrittura personale che affonda le sue radici nella
conoscenza della cultura e della tradizione sarda, in particolare della
Barbagia.
Tomba di Grazia Deledda nella Chiesa della
Solitudine a Nuoro
« Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di
pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (...) nonostante la loro assoluta mancanza di
cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita.
Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le
grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al
cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano... »
Grazia Deledda
(Discoteca di Stato: parole registrate nella serie "La Voce dei Grandi", anche in "Il Convegno", Omaggio alla Deledda (N.
Valle), 1959.)
La critica in generale tende a incasellare la sua opera di volta in volta in questo o in quell'-ismo: regionalismo,
verismo, decadentismo, oltre che nella letteratura della Sardegna. Altri critici invece preferiscono riconoscerle, com'è
dovuto ai grandi autori, l'originalità della sua poetica: per quanto ben inserita nel contesto del Novecento europeo,
essa tutto sfiora, senza a niente appartenere.
Il sapore vagamente verista della sua produzione le procurò le antipatie degli abitanti di Nuoro, in cui le storie erano
ambientate. I suoi concittadini erano infatti dell'opinione che descrivesse la Sardegna come terra rude, rustica e
quindi arretrata. In realtà non era intenzione della Deledda assumersi un impegno sociale come quello che spesso
caratterizzò il Verismo. Il filologo Dino Manca ha scritto che «alla formazione etica ed estetica della Deledda hanno
concorso sia la solida cultura delle origini (primitiva, orale, sardofona), sia la cultura d’inappartenenza (urbana,
scritta, italiana). Il segreto e la forza della sua narrativa stanno proprio nella magistrale rappresentazione
dell’automodello sardo, nella proiezione simbolica del suo universale concreto: l’isola è intesa come luogo mitico e
come archetipo di tutti i luoghi, terra senza tempo e sentimento di un tempo irrimediabilmente perduto, spazio
ontologico e universo antropologico in cui si consuma l’eterno dramma dell’esistere. La coscienza del peccato che si
accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell’espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle
passioni e l’imponderabile portata dei suoi effetti, l’ineluttabilità dell’ingiustizia e la fatalità del suo contrario,
segnano l’esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, 'gettata' in un mondo unico,
incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell’esistenza assoluta. [...] Nelle sue pagine
si racconta della miserevole condizione dell'uomo e della sua insondabile natura che agisce - lacerata tra bene e male,
pulsioni interne e cogenze esterne, predestinazione e libero arbitrio - entro la limitata scacchiera della vita; una vita
che è relazione e progetto, affanno e dolore, ma anche provvidenza e mistero. La Deledda sa che la natura umana è
altresì - in linea con la grande letteratura europea - manifestazione dell'universo psichico abitato da pulsioni e
rimozioni, compensazioni e censure. Spesso, infatti, il paesaggio dell'anima è inteso come luogo di un’esperienza
interiore dalla quale riaffiorano ansie e inquietudini profonde, impulsi proibiti che recano angoscia: da una parte
intervengono i divieti sociali, gli impedimenti, le costrizioni e le resistenze della comunità di appartenenza, dall’altra,
come in una sorta di doppio, maturano nell'intimo altri pensieri, altre immagini, altri ricordi che agiscono sugli
esistenti. La coscienza dell'Io narrante, che media tra bisogni istintuali dei personaggi e contro-tendenze oppressive e
censorie della realtà esterna, sembrerebbe rivestire il ruolo del demiurgo onnisciente, arbitro e osservatore neutrale
delle complesse dinamiche di relazione intercorrenti tra identità etiche trasfigurate in figure che recitano il loro
dramma in un cupo teatro dell'anima. In realtà il sentimento di adesione o repulsione autorale rispetto a questo o a
quel personaggio, trova nella religiosità professata e vissuta, una delle discriminanti di fondo. Di fronte al dolore,
all'ingiustizia, alle forze del male e all’angoscia generata dall'avvertito senso della finitudine, l’uomo può soccombere
e giungere allo scacco e al naufragio, ma può altresì decidere di fare il salto, scegliendo il rischio della fede e il
mistero di Dio. Altri tormenti vive chi, nel libero arbitrio, ha scelto la via del male, lontano dal timor di Dio e dal
senso del limite, e deve sopportare il peso della colpa e l'angoscia del naufrago sospeso sull’abisso del nulla. Le
figure deleddiane vivono sino in fondo, senza sconti, la loro incarnazione in personaggi da tragedia. L'unica
ricompensa del dolore, immedicabile, è la sua trasformazione in vissuto, l'esperienza fatta degli uomini in una vita
senza pace e senza conforto. Solo chi accetta il limite dell'esistere e conosce la grazia di Dio non teme il proprio
destino. Portando alla luce l'errore e la colpa, la scrittrice sembra costringere il lettore a prendere coscienza
dell'esistenza del male e nel contempo a fare i conti col proprio profondo, nel quale certi impulsi, anche se repressi,
sono sempre presenti. Ma questo processo di immedesimazione non conosce catarsi, nessun liberatorio distacco dalle
passioni rappresentate, perché la vicenda tragica in realtà non si scioglie e gli eventi non celano alcuna spiegazione
razionale, in una vita che è altresì mistero. Resta la pietas, intesa come partecipazione compassionevole verso tutto
ciò che è mortale, come comprensione delle fragilità e delle debolezze umane, come sentimento misericordioso che
induce comunque al perdono e alla riabilitazione di una comunità di peccatori con un proprio destino sulle spalle.
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Grazia Deledda
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Anche questo avvertito senso del limite e questo sentimento di pietà cristiana rendono la Deledda una grande donna
prima ancora che una grande scrittrice».
La Deledda e la critica
Il primo a dedicare a Grazia Deledda una monografia critica a metà
degli anni trenta fu Francesco Bruno. Nella storia letteraria di Attilio
Momigliano, in quella di Francesco Flora e in quella di Natalino
Sapegno, negli anni quaranta-cinquanta, probabilmente ancora
sessanta, nelle storie e nelle antologie scolastiche della letteratura
italiana, la presenza della Deledda aveva grande rilievo critico e
numerose pagine antologizzate, specialmente dalle novelle. In due
antologie, una di Sapegno per il ginnasio, l'altra di Consonni e Mazza
per la scuola media, venne pubblicato uno dei suoi capolavori: la
novella di Cristo mietitore.
Grazia Deledda ritratta con il marito e il figlio
E tuttavia i critici si trovavano in difficoltà nel collocarla storicamente tra Verismo o Decadentismo. La sua opera
finiva per non collimare mai né coi loro parametri né sulla "carta millimetrata del Novecento". Si pretese di
giudicarla sulla base di schemi che non superavano la barriera del Naturalismo e di una teoria della lingua e dell'arte
che non poteva comprendere la complessità del sistema letterario in Sardegna. Probabilmente devono essere state
queste le ragioni, insieme alla concezione dell'arte come rispecchiamento della realtà, che ne determinarono l'eclissi
presso i critici, non presso il grande pubblico.
E tuttavia le spetta indubbiamente un posto da comprimaria nel primo novecento, insieme a Pirandello, anche lui
Premio Nobel, a distanza di appena dieci anni:
« Per la sua ispirazione idealistica, scritta con raffigurazioni di plastica chiarezza della vita della sua isola nativa, con
profonda comprensione degli umani problemi »
(Motivazione del Premio Nobel)
I critici italiani giudicavano in ogni caso la sua opera astrusa e cerebrale. E proprio Pirandello, anche lui del gruppo
della Nuova Antologia, nutriva rispetto e considerazione per la Deledda, ne intuiva il talento, capiva che scriveva per
rappresentare l'essenza della vita nella sua tragicità. Come i veri, grandi narratori, quelli russi in particolare.
I primi a non comprendere la Deledda furono tuttavia i suoi stessi conterranei, escludendo naturalmente quei pochi
che la compresero subito: Costa, Ruju, Biasi e altri che facevano parte di quel clima. Molti degli intellettuali sardi
del suo tempo si sentirono traditi e non accettarono la sua operazione letteraria.
L'attività di Grazia Deledda nell'ambiente dei pittori della Secessione nell'arte e della Secessione romana è una
questione poco indagata nel Novecento. Il rapporto tra la Deledda del periodo romano e gli artisti suoi
contemporanei resta legata tanto all'immagine etnografica, quanto alle domande importanti sull'arte in generale che i
movimenti della Secessione ponevano sia in pittura che in letteratura. Quella poca attenzione per il versante
pittorico-letterario ha spinto i critici a lasciare che la Deledda restasse, per abitudine, inclusa nella cultura del
Verismo. Eppure la Deledda nel periodo romano aveva adeguato la sua formazione ai livelli alti dell'arte europea.
Frequentava non solo Plinio Nomellini che la ritrasse in un dipinto, ma anche altri artisti della Secessione romana
(Cambellotti, Angelo Prini, Antonio Maraini, che curava le Biennali d'arte di Venezia, Dazzi, Viani, i Cascella). Il
suo interesse per la pittura e per l'arte era autentico, si teneva al corrente delle esposizioni, scriveva i testi per le
presentazioni di mostre. Abitava, insieme ad altri artisti e giornalisti, in un quartiere sulla Nomentana dove aveva il
suo grande studio Ettore Ximenes, scultore di gruppi marmorei dell'Altare della Patria.
Grazia Deledda
Lingua e stile
Molte considerazioni suscitano ancora oggi le scelte stilistiche che riguardano più direttamente la lingua e i linguaggi
nella prosa narrativa di Grazia Deledda. È stata la stessa Deledda a chiarire più volte, nelle interviste e nelle lettere,
la distanza tra la cultura e la civiltà locali e la cultura e la civiltà nazionali. Ma anche questo suo parlare liberamente
del proprio stile e delle proprie lingue ha suscitato e suscita soprattutto oggi interpretazioni fuorvianti, e tuttavia
ripropone senza posa l'intenso rapporto tra civiltà-cultura-lingua come una equazione mal risolta.
In una sua lettera scrive: "Leggo relativamente poco, ma cose buone e cerco sempre di migliorare il mio stile. Io
scrivo ancora male in italiano - ma anche perché ero abituata al dialetto sardo che è per se stesso una lingua diversa
dall'italiana". La lingua italiana è quindi, per lei sardofona, una lingua non sua, una lingua che deve conquistarsi. La
composizione in lingua italiana, per uno scrittore che assuma la materia della narrazione dal proprio vissuto e dal
proprio universo antropologico sardo, presenta numerose e sostanziali difficoltà e problemi. Né il dibattito recente
sul bilinguismo è riuscito ancora a chiarire questo rapporto di doppia identità. Doppia identità per questa specie
particolare di bilinguismo, e di diglossia che è stata per secoli la "condizione umana degli scrittori italiani non
toscani; ma anche dei toscani, quando non componevano in vernacolo".
L' attività epistolare e autocorrettoria di Grazia Deledda è ben ponderata, cosa che non le impedì di scrivere in lingua
italiana questa lettera del 1892 sull'italiano: "Io non riuscirò mai ad avere il dono della buona lingua, ed è vano ogni
sforzo della mia volontà". Dall'epistolario e dal suo profilo biografico si evince un distinto senso di noia per quei
manuali di "lingua" italiana che avrebbero dovuto insegnarle lo stile e che sarebbero dovuti esserle di aiuto nella
formazione della sua cultura letteraria di autodidatta, di contro emerge una grande abitudine alla lettura e una grande
ammirazione per i maestri narratori attraverso la lettura dei loro romanzi.
Quella della Deledda era una scrittura moderna che ben si adattava alla narrazione cinematografica, infatti dai suoi
romanzi vennero tratti diversi film già nei primi anni dieci del XX secolo. Nel 1916 il regista Febo Mari aveva
iniziato a girare Cenere con l'attrice Eleonora Duse, purtroppo a causa della guerra il film non fu mai concluso.
Nel più recente dibattito sul tema delle identità e culture nel terzo millennio, il filologo Nicola Tanda ha scritto: "la
Deledda, agli inizi della sua carriera, aveva la coscienza di trovarsi a un bivio: o impiegare la lingua italiana come se
questa lingua fosse stata sempre la sua, rinunciando alla propria identità o tentare di stabilire un ponte tra la propria
lingua sarda e quella italiana, come in una traduzione. Comprendendo però che molti di quei valori di quel mondo, di
cui avvertiva imminente la crisi, non sarebbero passati nella nuova riformulazione. La presa di coscienza, anche
linguistica, della importanza e dell'intraducibilità di quei valori, le consente di recuperare termini e procedimenti
formali del fraseggio e della colloquialità sarda che non sempre trovano in italiano l'equivalente e che perciò talora
vengono introdotti e tradotti in nota.
Nei dialoghi domina meglio l'ariosità e la vivacità della comunicazione orale, di cui si sforza di riprodurre
l'intonazione, di ricalcare l'andamento ritmico. Accetta e usa ciò che è etnolinguisticamente marcato, imprecazioni,
ironie antifrastiche, risposte in rima, il repertorio di tradizioni e di usi, già raccolto come materiale etnografico per la
Rivista di tradizioni popolari, che ora impiega non più come reperto documentario o decorativo ma come materiale
estetico orientato alla produzione di senso. Un'operazione tendenzialmente espressionistica che la prosa italiana,
malata di accademismo con predilezione per la forma aulica, si apprestava a compiere, per ricavarne nuova linfa,
tentando sortite in direzione del plurilinguismo o verso il dialetto."
La Deledda, mettendo in comunicazione due sistemi linguistici e letterari diversi, inaugura una nuova, grande
stagione narrativa. Di questa partecipano grandi scrittori che, pur appartenendo a piccole comunità locali, riescono a
stabilire una comunicazione con il resto del mondo. Sono quegli scrittori che non accettando l'omologazione ma
mantenendo fortissima l'appartenenza alla cultura originaria, valorizzano la propria lingua non come un dialetto di
ambiente domestico ma come un veicolo di conoscenza e di elevazione culturale. La lingua sarda è per Grazia
Deledda condicio sine qua non per la nuova scrittura in italiano, è coscienza della propria lingua, è conoscenza del
mondo, è percezione e anima perché è la lingua della madre: la lingua materna. Dino Manca ha altresì scritto che
«una delle questioni principali che la Deledda più avvertita e consapevole deve affrontare da un punto di vista
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Grazia Deledda
narrativo è, infatti, come tenere insieme cultura osservata (il mondo nuorese e barbaricino) e cultura osservante
(sardo-italica); come costruire un narratore capace di raccogliere lo straordinario bagaglio conoscitivo di un autore
implicito figlio di quel mondo e profondo conoscitore dei suoi codici. Un narratore che, ponendosi a una distanza
minima dall’universo rappresentato, sapesse nel contempo raccontare l’anima e il vissuto della sua gente a un
pubblico d’oltremare. Una completa estraneità linguistica, culturale e morale rispetto al mondo narrato avrebbe,
infatti, reso inautentica e soprattutto incomprensibile la sua operazione letteraria. Anche per questo talvolta, per
accrescere la naturalezza della resa ‘oggettiva’ dell’ambiente, l’autrice attinge dal ricco giacimento etnolinguistico,
intraprendendo la difficile strada del mistilinguismo, della mescidanza e dell’ibridismo; opzioni certamente più
adeguate e rispondenti alla messa in scena di un microcosmo sardofono. Perciò» ha scritto Dino Manca «ella innesta
sul tronco della lingua di derivazione toscana elementi autoctoni (calchi, sardismi, soluzioni bilingui), procedimenti
formali della colloquialità e termini pescati dal contingente lessicale della lingua sarda; per corrispondere all’intento
mimetico di traducere, trasportare, un universo antropologico fortemente connotato dentro un sistema linguistico
altro; o viceversa, per modellare o rimodulare il codice letterario di riferimento (quello della tradizione letteraria
italiana scritta) su un sostrato linguistico altro, per secoli quello dell’oralità primaria e principale veicolo di
comunicazione del tessuto semiotico e dei saperi della comunità rappresentata letterariamente. Queste scelte
linguistiche marcate dal meticciato, determinano per altro una stratificazione del linguaggio che rompe l’effetto
monodico di alcune novelle e prepara la polifonia dei suoi romanzi migliori. E una tale consuetudine tutta mimetica,
di riprodurre, modulandole, le cadenze linguistiche del mondo isolano non poteva non investire in prima istanza
l’aspetto scenico e drammatico del racconto, ovvero gli atti linguistici di cui sono emittenti e riceventi i personaggi –
cuore e motore dell’universo semantico – e specularmente le attribuzioni, le qualità e la sfera pragmatica in cui essi
sono coinvolti».
La Deledda e i narratori russi
È noto che la giovanissima Grazia Deledda, quando ancora collaborava
alle riviste di moda, si rese conto della distanza che esisteva tra la
stucchevole prosa in lingua italiana di quei giornali e la sua esigenza di
donna sardofona di impiegare una lingua italiana più vicina alla realtà
antropologica della società dalla quale proveniva. Si era proposta
perciò di costruire una letteratura della Sardegna che rispondesse a
quello sguardo antropologico col quale gli scrittori guardavano il loro
popolo e costruivano le grandi letterature nazionali.
E gli anni degli inizi della Deledda erano già quelli nei quali gli
scrittori di nazioni più piccole e minoritarie si adattavano a creare un
ponte, un diasistema tra il sistema linguistico e letterario dal quale
La scrittrice Grazia Deledda
provenivano e il sistema letterario alto e nobile di arrivo delle grandi
letterature europee. Essi, come del resto avevano fatto i grandi scrittori
russi lungo il Settecento, volevano trasferire l’universo antropologico dei loro popoli in una scrittura russa
profondamente influenzata da ormai quasi due secoli di europeizzazione. La Sardegna, tra la fine dell'Ottocento e il
primo Novecento, tenta come l’Irlanda di Oscar Wilde, di Joyce, di Yeats o la Polonia di Conrad, un dialogo alla pari
con le grandi letterature europee e soprattutto con la grande letteratura russa.
La popolarità degli scrittori russi in Italia e in Sardegna alla fine dell'Ottocento è ben documentata e non ha bisogno
di conferme. In materia di comparazioni la Sardegna rappresenta certamente un caso singolare e per la recente
comparsa nella letteratura della Nuova Italia dopo i quattro secoli di appartenenza all’universo della letteratura
iberica e anche per la scelta della letteratura di un popolo come quello russo antropologicamente più affine a quello
sardo. È questa la singolarità dalla quale si deve partire se si vuole dare senso retrospettivo ad entrambi i termini del
paragone. Nella sua immaginazione di un progetto letterario narrativo, in lingua italiana la Deledda si prepara a
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Grazia Deledda
riprodurre un modello esterno collaudato, ma distante e perciò spesso inafferrabile, per riconoscere una propria
identità. È probabilmente questa una tra le spiegazioni per rendere conto della difficoltà che i critici hanno
riscontrato nel volerla collocare. Poco inquadrabile e maneggevole secondo il canone corrente e quindi poco studiata
e poco compresa sia in Russia, sia in Italia.
Eppure il mondo ad est, raramente nominato, veniva visto in modo astratto come un mondo letterario immenso modello narrativo del grande romanzo dell'Ottocento -, il quale si incontra e si materializza nell'isola insieme a
quello francese e inglese, ma che viene ancora oggi stranamente allineato, nell'immaginario collettivo e nella critica
con la gallomania, l'anglofilia e la germanofilia degli scrittori italiani.
Ritornando ai rapporti tra la Sardegna e la Russia di cui si è fatto cenno e all'immaginario letterario, bisogna dire che
aveva trovato consistenza nelle Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna di Grazia Deledda. Quelle pagine recano,
nell'epigrafe, le parole di Tolstoj: «Le espressioni popolari usate sole non hanno alcun valore, ma collocate a
proposito colpiscono per la loro profonda saggezza. Leone Tolstoj».
Nicola Tanda nel saggio, La Sardegna di Canne al vento scrive che, in quell’opera della Deledda, le parole evocano
memorie tolstojane e dostoevskiane, parole che possono essere estese a tutta l'opera narrativa deleddiana: «L'intero
romanzo è una celebrazione del libero arbitrio. Della libertà di compiere il male, ma anche di realizzare il bene,
soprattutto quando si ha esperienza della grande capacità che il male ha di comunicare angoscia. Il protagonista che
ha commesso il male non consente col male, compie un viaggio, doloroso, mortificante, ma anche pieno di gioia
nella speranza di realizzare il bene, che resta la sola ragione in grado di rendere accettabile la vita».
L'opera deleddiana, sulle prime, sembrerebbe porre una equazione che potrebbe imparentare la Sardegna e la Russia,
la cultura rurale e contadina russa (quella dei possidenti terrieri che erano proprietari e amministratori di villaggi e
dei loro contadini che venivano contati in anime) e in lingua russa, isolata ad Est, entra velocemente in meno di
cento anni nel sistema letterario europeo attraverso un processo di occidentalizzazione che viene definito:
europeizzazione e modernizzazione. Pietroburgo, la città edificata dagli architetti italiani, dichiara l’accettazione di
un modello e di una rappresentazione dell'Occidente che, in meno di cinquant'anni determina l’istituzione di
Università, giornali, teatri, editoria, tecnologia e una lingua letteraria moderna. La nuova creatività letteraria non è
nata solo da questo processo di modernizzazione perché parla la lingua della poesia che era del neoclassicismo
settecentesco e ottocentesco in un russo appena formalizzato.
Negli anni di apprendistato letterario di Grazia Deledda la lingua letteraria russa, sia pure tradotta, che arriva ad
Occidente e in Italia non è più la lingua della poesia classicista ma è quella lingua (romantica) che si è impiantata e
diffusa agli inizi dell'Ottocento e che prepara già in prosa la voce del grande romanzo russo. Il romanzo della
seconda metà dell'Ottocento che ha trasformato però ogni cosa, celebra la nascita di una corrente di pensiero nuova
che secondo la definizione della critica letteraria russa contemporanea viene chiamata: corrente tolstojana. Ma
questa conserva già, rispetto alla narrativa occidentale, lo sguardo antropologico che ricorda i saperi del popolo russo
e del suo rapporto con la natura e con le stagioni.
La lingua attraverso la quale Grazia Deledda entra in contatto con la letteratura russa è l'italiano. La lingua italiana
domina nel processo di acculturazione unitaria della Nuova Italia. Questa lingua rappresentava un limite e produceva
distorsioni del messaggio, intanto perché dovendo lei sardofona tradurre dal sardo la metteva di fronte ad una
alternativa, o quella che avrebbe potuto allontanarla nel tradurre dal suo universo antropologico oppure quella che
avrebbe potuto, al contrario, offrirle la soluzione. Ed era in fondo quella impiegata già dagli scrittori russi nel
tradurre nella lingua russa l’universo antropologico delle lingue dei loro popoli.
Negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento, quelli in cui la scrittrice si dedica alla ricerca di un proprio stile,
concentra la sua attenzione, sull'opera e sul pensiero di Tolstoj. Ed è questo incontro che sembra aiutarla a precisare
sempre meglio le sue predilezioni letterarie. In una lettera in cui comunicava il progetto di pubblicare una raccolta di
novelle da dedicare a Tolstoj, Deledda scriveva: «Ai primi del 1899 uscirà La giustizia: e poi ho combinato con la
casa Cogliati di Milano per un volume di novelle che dedicherò a Leone Tolstoi: avranno una prefazione scritta in
francese da un illustre scrittore russo, che farà un breve studio di comparazione fra i costumi sardi e i costumi russi,
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Grazia Deledda
così stranamente rassomiglianti». La relazione tra la Deledda e i russi è ricca e profonda, e non è legata solo a Tolstoj
ma si inoltra nel mondo complesso degli altri contemporanei: Gor'kij, Anton Čechov e quelli del passato più recente,
Gogol', Dostoevskij e Turgenev.
La lettura dei russi trova la Deledda predisposta già dal suo intento letterario narrativo a trovare conferma che anche
la Sardegna (così come avevano fatto i russi con la lingua e la tradizione orale russa in meno di un secolo) potesse
entrare nella circolazione letteraria nazionale ed europea. Dalle sue lettere si ricavano i fili di un ordito che lei tesse
pazientemente in ogni luogo o occasione in cui può aprirsi uno spiraglio per introdurre le sue opere che veramente
hanno già in sé una straordinaria vocazione europea. Una voce nuova come era stata quella degli scrittori russi,
quella degli scrittori di frontiera che doveva poi esplodere nel Novecento.
I russi per Grazia Deledda sono solo un esempio, ma sono un esempio determinante. Essi vengono percepiti ovunque
la scrittrice dia corpo e animazione a dei personaggi, che sono tragicamente turbati da una realtà oggettiva nella
quale si realizzano il bene e il male, il delitto e il castigo, nella quale il travaglio generazionale tra padri e figli
diventa materia narrativa, e il conflitto tra il vecchio e il nuovo, tra la tradizione e il progresso produce degli eroi che
appaiono ancora oggi vivi e inquietanti. I russi sono solo un esempio un modello inimitabile. La sostanza, gli arredi,
il contenuto antropologico, il paesaggio e la storia, la psicologia, i linguaggi degli eroi nei suoi romanzi sono un
affare della propria casa ed essi non si possono né imitare, né mutuare.
Riconoscimenti
Le è stato dedicato un cratere di 32 km di diametro sul pianeta Venere. Un traghetto porta il suo nome, Deledda. Il
compositore nuorese Ignazio Pes le ha dedicato varie composizioni vocali e strumentali, ispirate ad alcuni romanzi e
poesie. L'artista Maria Lai di Ulassai nel 2012 le ha dedicato il monumento Omaggio a Grazia Deledda, presso la
Chiesa della Solitudine a Nuoro. Porta il suo nome anche la centrale termoelettrica dell'Enel di Portoscuso in
provincia di Carbonia, in seguito a un concorso-sondaggio intitolato "Dai un nome alla Centrale Elettrica" bandito
per gli studenti delle scuole del Sulcis nel 2004. Nel Marzo del 2013 il Delegato Magistrale ed Fratelli del
Supremo Consiglio d'Italia e San Marino del 33° ed Ultimo Grado del Rito Scozzese Antico e Accettato
dedicano alla Scrittrice la Rispettabile Loggia all'Oriente di Dorgali riconoscendole il suo ruolo culturale
fondamentale nella ricerca della verità.
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Grazia Deledda
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Le Autrici della Letteratura Italiana
Grazia Deledda (1871-1936) è scrittrice fondamentale nella storia della letteratura italiana del Novecento; è quindi
censita in Le Autrici della Letteratura Italiana [1]
Opere
• Nell'azzurro!..., Milano, Trevisini, 1890.
• Stella d'oriente/Ilia di Saint-Ismael, Cagliari, Tip. Edit.
dell'Avvenire di Sardegna, 1890.
• Fior di Sardegna, Roma, Perino, 1891.
• Racconti sardi, Sassari, Dessì, 1894.
• Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, Roma, Forzani e c.
tipografi del Senato, 1894.
• Anime oneste. Romanzo famigliare, Milano, Cogliati, 1895.
• La via del male, Torino, Speirani e Figli, 1896.
• L'ospite, Rocca S. Casciano, Cappelli, 1897.
• Paesaggi sardi, Torino, Speirani e Figli, 1897.
• Il tesoro, Torino, Speirani e Figli, 1897.
• Le tentazioni. Novella sarda, in "Nuova Antologia", 1898; Milano,
Cogliati, 1899.
Grazia Deledda nel suo studio romano
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La giustizia, Torino, Speirani e Figli, 1899.
Giaffah. Racconto, Milano-Palermo, Sandron, 1900.
Il vecchio della montagna, Torino, Roux e Viarengo, 1900.
Elias Portolu, in "Nuova Antologia", agosto-ottobre 1900; Torino-Roma, Roux e Viarengo, 1903.
La regina delle tenebre, Milano, Agnelli, 1902.
Dopo il divorzio, Torino, Roux e Viarengo, 1902.
I giuochi della vita, in "Nuova Antologia", 1902; Milano, Treves, 1905.
Cenere, Roma, Nuova Antologia, 1904.
Nostalgie, Roma, Nuova Antologia, 1905.
L'ombra del passato, Roma, Nuova Antologia, 1907.
Amori moderni, Roma, Voghera, 1907.
Il nonno. Novelle, Roma, Nuova Antologia, 1908.
L'edera, in "Nuova Antologia", 1908; Milano, Treves, 1921.
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Il nostro padrone, Milano, Treves, 1910.
Sino al confine, Milano, Treves, 1910.
Colombi e sparvieri, Milano, Treves, 1912.
Chiaroscuro. Novelle, Milano, Treves, 1912.
L'edera. Dramma in tre atti, con Camillo Antona-Traversi, Milano, Treves, 1912.
Canne al vento, in "L'Illustrazione italiana", 12 gennaio-27 aprile 1913; Milano, Treves, 1913.
Le colpe altrui, Milano, Treves, 1914.
Marianna Sirca, Milano, Treves, 1915.
Il fanciullo nascosto. Novelle, Milano, Treves, 1915.
L'incendio nell'oliveto, Milano, Treves, 1918.
Il ritorno del figlio; La bambina rubata. Novelle, Milano, Treves, 1919.
• La madre, Milano, Treves, 1920.
• La Grazia. Dramma pastorale in tre atti, con Claudio Guastalla e Vincenzo Michetti, Milano, Ricordi, 1921.
Grazia Deledda
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Il segreto dell'uomo solitario, Milano, Treves, 1921.
Il Dio dei viventi, Milano, Treves, 1922.
Il flauto nel bosco. Novelle, Milano, Treves, 1923.
La danza della collana, Milano, Treves, 1924.
La fuga in Egitto, Milano, Treves, 1925.
Il sigillo d'amore, Milano, Treves, 1926.
Annalena Bilsini, Milano, Treves, 1927.
Il vecchio e i fanciulli, Milano, Treves, 1928.
Il dono di Natale, Milano, Treves, 1930.
Il paese del vento, Milano, Treves, 1931.
La vigna sul mare, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli, 1932.
Sole d'estate, Milano, Treves, 1933.
L'argine, Milano, Treves, 1934.
La chiesa della solitudine, Milano, Treves, 1936.
Cosima, in "Nuova Antologia", 16 settembre e 16 ottobre 1936; Milano, Treves, 1937.
Versi e prose giovanili, Milano, Treves, 1938.
Il cedro del Libano. Novelle, Milano, Garzanti, 1939.
• Lettere di Grazia Deledda a Marino Moretti (1913-1923), Padova, Rebellato, 1959.
• Lettere inedite, Milano, Fabbri, 1966.
• Lettere inedite di Grazia Deledda ad Arturo Giordano, direttore della Rivista letteraria, Alghero, Nemapress,
2004. ISBN 88-7629-023-0.
• Lettere ad Angelo De Gubernatis (1892-1909), Cagliari, Centro di studi filologici sardi-CUEC, 2007. ISBN
978-88-8467-399-2.
• Amore lontano. Lettere al gigante biondo (1891-1909), Milano, Feltrinelli, 2010. ISBN 978-88-07-49102-3.
Riduzioni cinematografiche e televisive
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Cenere 1916, regia di Febo Mari, con Eleonora Duse.
La grazia 1929, film muto, tratto dalla novella Di Notte regia di Aldo De Benedetti.
L'edera regia di Augusto Genina, 1950.
Proibito, tratto dal romanzo La Madre, regia di Mario Monicelli, 1954.
Canne al vento (sceneggiato televisivo) regia di Mario Landi, 1958.
L'edera (sceneggiato televisivo) regia di Giuseppe Fina, 1974.
Amore Rosso tratto da Marianna Sirca, 1952
Bibliografia
• Capuana Luigi, Gli «ismi» contemporanei: verismo, simbolismo, idealismo, cosmopolitismo ed altri saggi di
critica letteraria ed artistica, Catania, Giannotta, 1898.
• Luigi Russo, Grazia Deledda, in I narratori, Roma, Fondazione Leonardo, 1923.
• Eurialo De Michelis, Grazia Deledda e il decadentismo, Firenze, La Nuova Italia, 1938.
• Attilio Momigliano, Intorno a Grazia Deledda, in Ultimi studi, Firenze, La Nuova Italia, 1954.
• Emilio Cecchi, Grazia Deledda, in Prosatori e narratori, in Storia della letteratura italiana. Il Novecento, Milano,
Garzanti, 1967.
• Antonio Piromalli, Grazia Deledda, Firenze, La Nuova Italia, 1968.
• Natalino Sapegno, Prefazione a Romanzi e novelle, Milano, Mondadori, 1972.
• Nicola Tanda, Grazia Deledda, in Letteratura Italiana Contemporanea - I, a cura di G. Mariani, M. Petrucciani,
Roma, Lucarini, 1979;
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Grazia Deledda
13
• Cristina Lavinio, Scelte linguistiche e stile in Grazia Deledda, in Id., Narrare un'isola. Lingua e stile di scrittori
sardi, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 91-109.
• Neria De Giovanni, Grazia Deledda, Nemapress Editrice, Alghero, 1991.
• Giulio Angioni, Grazia Deledda, l'antropologia positivistica e la diversità della Sardegna, in Grazia Deledda
nella cultura contemporanea, a cura di U. Collu, Nuoro, 1992, pp. 299-306.
• Nicola Tanda,Dal mito dell’isola all’isola del mito. Deledda e dintorni [con un’appendice di lettere], Roma,
Bulzoni, Roma, 1992; Introduzione a Canne al vento, Milano, Mondadori, 1993.
• Cristina Lavinio, Cenere: il romanzo e il film, in G.L. Beccaria – C. Marello (a cura di), La parola al testo. Scritti
per Bice Mortara Garavelli, Tomo II, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, pp. 857-864.
• Francesco Casula, Gratzia Deledda,Alfa Editrice, Quartu Sant'Elena, 2006.
• Giulio Angioni, Introduzione a Nel deserto, Bibliotheca sarda, Nuoro, Ilisso, 2008; Introduzione a Tradizioni
popolari di Nuoro, Bibliotheca sarda, Nuoro, Ilisso, 2010.
• Dino Manca, Introduzione a L'edera, ed. critica a c. di D. Manca, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec,
2010, pp. IX-CXVI.
• Cristina Lavinio, Un bestiario novellistico tra martore e cornacchie, in Dalla Quercia del monte al Cedro del
Libano. Le novelle di Grazia Deledda, a cura di Giovanni Pirodda, ISRE edizioni - AIPSA edizioni,
Nuoro-Cagliari, 2010, pp. 31-43.
Voci correlate
• Verismo
• Decadentismo
• Secessione nell'arte
Altri progetti
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Wikisource contiene opere originali di o su Grazia Deledda
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Voce dell'autore: Grazia Deledda. Discorso in occasione del premio Nobel, (1926).
Collegamenti esterni
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Saggio breve di F. Santucci [4]
(EN) Autobiografia sul sito dei Premi Nobel [5]
Autori G. Deledda, Biografie e altro... [6]
Saggi su Grazia Deledda [7]
Quando le tartarughe contribuirono al Nobel, commento a La fuga in Egitto [8]
Opere di Grazia Deledda su LiberLiber [9]
Controllo di autorità VIAF: 34455396 [10] LCCN: n79084283 [11]
Portale Biografie
Portale Letteratura
Portale Premi Nobel
Grazia Deledda
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Note
[1] http:/ / www. maldura. unipd. it/ italianistica/ ALI/ principale. html
[2] http:/ / commons. wikimedia. org/ wiki/ Pagina_principale?uselang=it
[3] http:/ / commons. wikimedia. org/ wiki/ Category:Grazia_Deledda?uselang=it
[4] http:/ / terzapaginaworld. homestead. com/ SANTUCCIDELEDDA. html
[5] http:/ / nobelprize. org/ literature/ laureates/ 1926/ deledda-autobio. html
[6] http:/ / www. italialibri. net/ autori/ deleddag. html
[7] http:/ / www. graziamariapoddighe. com/ l_deledda. htm
[8] http:/ / www. marginatasarda. it/ nobel. htm
[9] http:/ / www. liberliber. it/ libri/ d/ deledda/ index. htm
[10] http:/ / viaf. org/ viaf/ 34455396
[11] http:/ / id. loc. gov/ authorities/ names/ n79084283
Antonio Tabucchi
Antonio Tabucchi (Pisa, 24 settembre 1943 – Lisbona, 25 marzo
2012) è stato uno scrittore italiano.
Legato da un amore viscerale al Portogallo, è stato il maggior
conoscitore, critico e traduttore dell'opera del poeta ed aforista
Fernando Pessoa dal quale ha attinto i concetti della saudade, della
finzione e degli eteronimi.
Tabucchi conosce l'opera di Pessoa negli anni sessanta, durante le
sessioni che frequenta alla Sorbona di Parigi, ne rimane talmente
affascinato che, tornato in Italia frequenta un corso di lingua
portoghese per comprendere meglio il poeta.
I suoi libri e saggi sono stati tradotti in 18 lingue, compreso il
giapponese. Con María José de Lancastre, sua moglie, ha tradotto in
italiano molte delle opere di Fernando Pessoa, ha scritto un libro di
saggi e una commedia teatrale su questo grande scrittore.
Antonio Tabucchi
Ha ottenuto il premio francese "Médicis étranger" per Notturno indiano e il premio Campiello per Sostiene Pereira.
Biografia
Antonio Tabucchi nasce a Pisa il 24 settembre 1943, ma cresce nella casa dei nonni materni a Vecchiano, un borgo
vicino a quella città. Durante gli anni dell'università intraprende numerosi viaggi in Europa, sulle tracce degli autori
le cui opere aveva incontrate nella ricca biblioteca dello zio materno. Durante uno di questi viaggi a Parigi, trova su
una bancarella nei pressi della Gare de Lyon, firmato con il nome di Álvaro de Campos, uno degli eteronimi del
poeta portoghese Fernando Pessoa, il poema Tabacaria (Tabaccheria), nella traduzione francese di Pierre Hourcade.
Dalle pagine di questo libriccino ricava l'intuizione di quello che sarà per più di vent'anni l'interesse principale della
sua vita.
Recatosi infatti a Lisbona, sviluppa per la città del fado e per il Portogallo una vera passione. Finisce così per
laurearsi nel 1969 con una tesi sul Surrealismo in Portogallo. Si perfeziona alla Scuola Normale Superiore di Pisa
negli anni Settanta e nel 1973 viene chiamato ad insegnare lingua e letteratura portoghese a Bologna.
Nel 1973 scrive Piazza d'Italia (Bompiani 1975), «favola popolare in tre tempi, un epilogo e un'appendice» come
recita il sottotitolo. Si tratta di un tentativo di scrivere la storia dalla prospettiva dei perdenti, in questo caso una
famiglia di anarchici toscani, nella tradizione di grandi scrittori italiani di un passato più o meno prossimo, come
Giovanni Verga, Federigo Tozzi, Federico De Roberto, Giuseppe Tomasi Di Lampedusa, Beppe Fenoglio, e
Antonio Tabucchi
contemporanei, come Vincenzo Consolo.
Nel 1978, anno in cui viene chiamato a insegnare all'Università di Genova, pubblica Il piccolo naviglio (Mondadori),
per lungo tempo fuori commercio e introvabile fino alla riedizione nel 2011 ad opera di Feltrinelli. Nel 1981
pubblica Il gioco del rovescio e altri racconti (Il Saggiatore), seguito da Donna di porto Pim (Sellerio 1983). Il 1984
è l'anno del suo primo romanzo di grande successo, Notturno indiano, da cui nel 1989 è stato tratto un film di Alain
Corneau. Il protagonista è un uomo che cerca di rintracciare un amico scomparso in India, ma che in realtà è in cerca
della propria identità.
Nel 1985 pubblica Piccoli equivoci senza importanza (Feltrinelli) e, nel 1986, Il filo dell'orizzonte. Anche in questo
romanzo il protagonista, Spino, che cerca di dare un nome al cadavere di uno sconosciuto è il tipico personaggio
sulle tracce di se stesso. Non si sa se questi personaggi riescano nel loro intento, ma nel corso della loro vita sono
costretti ad affrontare l'immagine che gli altri restituiscono di loro. Anche da questo romanzo è stato tratto un film
(1993) con la regia del portoghese Fernando Lopes.
Dal 1985 al 1987 è direttore dell'Istituto Italiano di Cultura di Lisbona. Nel 1987, anno in cui pubblica I volatili del
Beato Angelico (Sellerio) e Pessoana Mínima (Imprensa Nacional, Lisboa), riceve in Francia il Prix Médicis, per il
miglior romanzo straniero con Notturno indiano. Nel 1988 scrive la commedia I dialoghi mancati (Feltrinelli). Nel
1989 il presidente della Repubblica portoghese gli conferisce l'Ordine Do Infante Dom Herique e nello stesso anno è
nominato Chevalier des Arts et des Lettres dal Governo francese.Wikipedia:Cita le fonti Nel 1990 pubblica Un baule
pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa (Feltrinelli) e l'anno successivo L'angelo nero (Feltrinelli 1991). Nel 1992
scrive in portoghese Requiem, un romanzo che più tardi verrà tradotto in italiano (Feltrinelli, vincitore del Premio
P.E.N. Club italiano) e pubblica Sogni di sogni (Sellerio).
Il 1994 è un anno molto importante nella vita di Antonio Tabucchi. È l'anno de Gli ultimi tre giorni di Fernando
Pessoa (Sellerio), ma soprattutto del romanzo per il quale è diventato maggiormente conosciuto: Sostiene Pereira
(Feltrinelli), vincitore del Premio Super Campiello, del Premio Scanno, del Premio Jean Monnet per la Letteratura
Europea, e finalista all'International IMPAC Dublin Literary Award. Il protagonista di questo romanzo diventa il
simbolo della difesa della libertà d'informazione per gli oppositori politici di tutti i regimi antidemocratici. In Italia,
durante la campagna elettorale, intorno a questo libro si aggrega l'opposizione contro il controverso magnate della
comunicazione Silvio Berlusconi. Il regista Roberto Faenza ne trae il film omonimo (1995) in cui affida a Marcello
Mastroianni la parte di Pereira e a Daniel Auteuil la parte del dottor Cardoso.
Nel 1997 scrive il romanzo La testa perduta di Damasceno Monteiro, basato sulla storia vera di un uomo, il cui
corpo fu trovato in un parco. Si scoprì che l'uomo era stato assassinato in una stazione di polizia della Guardia
Nazionale Repubblicana nei dintorni di Lisbona. Un fatto di cronaca che colpì la sensibilità e l'immaginazione dello
scrittore. Per portare a termine questo romanzo, Tabucchi ha lavorato sui documenti raccolti dagli investigatori che,
al Consiglio d'Europa, a Strasburgo, tengono sotto controllo il rispetto dei diritti umani e le condizioni di detenzione
in Europa. In poche parole, controllano le relazioni che intercorrono tra i cittadini e gli agenti all'interno dei
commissariati di polizia. Il romanzo si rivelò profetico quando l'assassino, il sergente José dos Santos, finalmente
confessò il delitto, per il quale fu condannato. Nel 1997 scrive anche Marconi, se ben mi ricordo (Eri). L'anno
successivo, L'Automobile, la Nostalgie et l'Infini (Seuil, Parigi 1998).
Il 1998 è l'anno in cui riceve dall'Accademia Leibniz il Premio Nossack. Nel 1999 scrive Gli Zingari e il
Rinascimento (Sipiel) e Ena poukamiso gemato likedes (Una camicia piena di macchie. Conversazioni di A.T. con
Anteos Chrysostomidis, Agra, Atene 1999). I dubbi sono come macchie su una camicia bianca, fresca di bucato. La
missione di ogni intellettuale e di chiunque scriva è di instillare dubbi sulla perfezione, perché la perfezione genera
ideologie, dittatori e idee totalitariste. La democrazia non è uno stato di perfezione.
Nel 2001 Tabucchi pubblica Si sta facendo sempre più tardi, un romanzo epistolare. Diciassette lettere che celebrano
il trionfo della parola, che come «messaggi nella bottiglia», non hanno destinatario, sono missive che l'autore ha
indirizzato «a un fermo posta sconosciuto». Per questo libro gli viene attribuito nel 2002 il premio France Culture (la
radio culturale francese) per la letteratura straniera. Nel 2004 pubblica Tristano muore, lungo monologo di un ex
15
Antonio Tabucchi
partigiano in agonia: raccontando la propria vita ad uno scrittore da lui appositamente convocato, Tristano (il nome è
un omaggio al personaggio leopardiano delle Operette morali) rievoca contraddizioni e lacerazioni di fronte alla
guerra, alla politica, alla vita.
Lisbona è la città in cui vive scrivendo per sei mesi all'anno, insieme alla moglie, che vi è nata, e ai due figli. Passa il
resto dell'anno in Toscana, e insegna Letteratura all'Università di Siena. Tabucchi, infatti, si considera scrittore solo
in un senso ontologico, perché dal punto di vista esistenziale è felice di potersi definire "professore universitario". La
letteratura per Tabucchi non è una professione, «ma qualcosa che coinvolge i desideri, i sogni e la fantasia».
(Antonio Tabucchi, un dubitatore impegnato. Intervista di Asbel Lopez).
Antonio Tabucchi contribuisce alle pagine culturali del Corriere della Sera e de El País, dove i suoi articoli
appaiono regolarmente. Dal 21 marzo 2006, Tabucchi collaborò al blog del gruppo del Cantiere[1], insieme a Gianni
Barbacetto, Oliviero Beha, Giulietto Chiesa, Udo Gümpel, Diego Novelli, Achille Occhetto, Marcelle Padovani,
Lidia Ravera ed Elio Veltri; pubblicò occasionalmente anche dei pezzi per la rivista Latinoamerica. Il 1º luglio 2008
Tabucchi, in un'intervista a MicroMega, dichiara la propria adesione all'iniziativa di scendere in piazza l'8 luglio
2008 organizzata da Di Pietro contro le cosiddette "leggi-canaglia" varate dal governo Berlusconi IV. Lo scrittore
parlando della situazione politica italiana la definisce "emergenza democratica"[2]. Scrive il saggio 'La voce della
poesia' come postfazione al libro 'Salmi Metropolitani' di Michele Brancale (1966)[3]. Il 23 settembre 2009,
Tabucchi, insieme a Maurizio Chierici, Marco Travaglio, Oliviero Beha e altri, collabora alla scrittura del nuovo
giornale Il Fatto Quotidiano. Da tempo malato di cancro, muore a Lisbona il 25 marzo 2012[4]. Come da sua
espressa volontà le sue ceneri sono conservate nel cimitero di Dos Prazeres, lo stesso dove è seppellito Fernando
Pessoa.
Opere
• Piazza d' Italia (prima edizione, Bompiani, 1975 - Feltrinelli, 1993), ISBN 978-88-07814-01-3
• Il piccolo naviglio (Mondadori, 1978 - Feltrinelli, 2011), ISBN 978-88-07018-63-3
• Il gioco del rovescio e altri racconti (prima edizione, Il Saggiatore, 1981 - Feltrinelli, 1988), ISBN
978-88-07811-74-6
• Donna di Porto Pim (Sellerio, 1983)
• Notturno indiano (Sellerio, 1984)
• Piccoli equivoci senza importanza (Feltrinelli, 1985), ISBN 978-88-07810-75-6
• Il filo dell'orizzonte (Feltrinelli, 1986), ISBN 978-88-07811-46-3
• I volatili del Beato Angelico (Sellerio, 1987)
• Pessoana mínima (Imprensa Nacional, Lisbona, 1987)
• I dialoghi mancati (Feltrinelli, 1988)
• Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa (Feltrinelli, 1990), ISBN 978-88-07816-25-3
• L'angelo nero (Feltrinelli, 1991), ISBN 978-88-07812-53-8
• Sogni di sogni (Sellerio, 1992)
• Requiem (Feltrinelli, 1992), ISBN 978-88-07812-82-8
• Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa (Sellerio, 1994)
• Sostiene Pereira. Una testimonianza (Feltrinelli, 1994), ISBN 978-88-07813-81-8
• Dove va il romanzo (Omicron, 1995)
• Carlos Gumpert, Conversaciones con Antonio Tabucchi (Editorial Anagrama, Barcelona, 1995)
• La testa perduta di Damasceno Monteiro (Feltrinelli, 1997), ISBN 978-88-07815-31-7
• Marconi, se ben mi ricordo (Edizioni Eri, 1997)
• L'Automobile, la Nostalgie et l'Infini (Seuil, Parigi, 1998)
• La gastrite di Platone (Sellerio, 1998)
• Gli Zingari e il Rinascimento (Feltrinelli, 1999)
16
Antonio Tabucchi
17
• Ena poukamiso gemato likedes (Una camicia piena di macchie. Conversazioni di A.T. con Anteos
Chrysostomidis, Agra, Atene, 1999)
• Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere (Feltrinelli, 2001), ISBN 978-88-07817-40-3, ISBN
978-88-07530-15-9
• Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori (Feltrinelli, 2003), ISBN 978-88-07420-98-6
• Brescia piazza della Loggia 28 maggio 1974-2004 (D'Elia Gianni; Tabucchi Antonio; Zorio Gilberto,
Associazione Ediz. L'Obliquo, 2004)
• Tristano muore. Una vita (Feltrinelli, 2004), ISBN 978-88-07819-16-2
• Racconti (Feltrinelli, 2005), ISBN 978-88-07530-15-9
• L'oca al passo (Feltrinelli, 2006), ISBN 978-88-07840-72-2
• Il tempo invecchia in fretta (Feltrinelli, 2009), ISBN 978-88-07722-67-7
• Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli, 2010), ISBN 978-88-07018-22-0
• Racconti con figure (Sellerio, 2011)
• Girare per le strade (Sellerio, 2012) Wikipedia:Cita le fonti
• Di tutto resta un poco. Letteratura e cinema (Feltrinelli, 2013), ISBN 978-88-07530-27-2
Onorificenze
Cavaliere dell'Ordre des Arts et des Lettres
— 1989
Note
[3] 'La voce della poesia', Antonio Tabucchi, in 'Salmi metropolitani', di Michele Brancale, Edizioni del Leone, Spinea-Venezia, 2009
Altri progetti
•
Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file su Antonio Tabucchi (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Antonio_Tabucchi?uselang=it)
•
Wikiquote contiene citazioni di o su Antonio Tabucchi
•
Articolo su Wikinotizie: Addio allo scrittore Antonio Tabucchi 25 marzo 2012
Collegamenti esterni
• Biografiche (http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/_tabucch.htm) su Girodivite
• "Scrittori per un anno" ha dedicato una puntata a Antonio Tabucchi (http://www.scrittoriperunanno.rai.it/
scrittori.asp?currentId=8)
• Tabucchi, uomo libero (http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/25/tabucchi-uomo-libero/200072/) di
Marco Travaglio
• Addio ad Antonio Tabucchi autore di "Sostiene Pereira" (http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/
03/25/news/morte_tabucchi-32176965/?ref=HRV-5), La Repubblica
• Intervista ad Antonio Tabucchi: Che fatica il mestiere di scrivere (http://video.repubblica.it/
spettacoli-e-cultura/antonio-tabucchi-che-fatica-il-mestiere-di-scrivere/91247/89640), La Repubblica
• Dalla magia all'impegno etico-politico in una Lisbona fantastica e reale (http://www.corriere.it/cultura/
12_marzo_25/addio-a-tabucchi-di-stefano_4c9adc04-7684-11e1-a3d3-9215de971286.shtml), Il Corriere della
Sera
• Addio Tabucchi il nostro agente a Lisbona (http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/447808/),
La Stampa
Antonio Tabucchi
18
• Treccani VI appendice (http://www.treccani.it/enciclopedia/antonio-tabucchi_(Enciclopedia_Italiana)/)
• Antonio Tabucchi e la proprietà intellettuale, sul portale RAI Letteratura (http://www.letteratura.rai.it/articoli/
giornata-mondiale-del-libro-e-del-diritto-dautore-antonio-tabucchi-e-la-proprietà-intellettuale/14253/default.
aspx)
Controllo di autorità VIAF: 106662948 (http:/ / viaf. org/ viaf/ 106662948) LCCN: n84178794 (http:/ / id. loc. gov/
authorities/names/n84178794)
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Goliarda Sapienza
Goliarda Sapienza (Catania, 10 maggio 1924 – Gaeta, 30 agosto 1996) è stata un'attrice teatrale, attrice
cinematografica e scrittrice italiana.
Biografia
« Sicuramente voi che leggete state pensando che la mia conquista comportava di necessità qualcosa di molto sgradevole:
dormire con un essere menomato, se non mostruoso molto brutto. Il fatto è che voi la leggete questa storia, e mi anticipate,
mentre io la vivo, la vivo ancora. »
(L'arte della gioia)
Figlia di Giuseppe Sapienza e Maria Giudice (sua madre è stata la prima dirigente donna della Camera del Lavoro di
Torino), Goliarda crebbe, per volere dei genitori, in un clima di assoluta libertà da vincoli sociali: il padre ritenne
opportuno non farle nemmeno frequentare la scuola, per evitare che la figlia fosse soggetta a imposizioni e influenze
fasciste.
Cinema
A sedici anni si iscrisse all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma, dove si era trasferita nel frattempo la
sua famiglia. Per un periodo intraprese anche la carriera di attrice teatrale, distinguendosi in ruoli di protagoniste
pirandelliane. Lavorò saltuariamente anche nel cinema, spinta inizialmente da Alessandro Blasetti ma in seguito si
limitò a piccole apparizioni da figurante, spesso non accreditate, come in Senso di Luchino Visconti. Si legò
sentimentalmente al regista Citto Maselli, ma sposò poi, anni dopo, lo scrittore e attore Angelo Maria Pellegrino.
Negli ultimi anni della sua vita fu docente di recitazione presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Letteratura
Lasciò la carriera di attrice per dedicarsi alla scrittura. Il suo primo romanzo fu Lettera aperta (1967), che raccontava
l'infanzia catanese, seguito da Il filo di mezzogiorno (1969) resoconto della terapia psicanalitica con il medico
messinese Ignazio Majore.
Nel 1980 finì tuttavia in carcere, per un furto di oggetti in casa di amiche. Sempre in carcere, ma anche
successivamente, continuò l'opera di scrittrice pubblicando però molto poco, fatta eccezione per alcune sue opere
come L'università di Rebibbia e Le certezze del dubbio, pubblicato grazie all'incontro con il conterraneo poeta ed
editore Beppe Costa, che si batté a lungo per lei: tentò senza successo di farle assegnare il vitalizio della Legge
Bacchelli, né riuscì a ottenere la ristampa delle sue opere. Sapienza riuscì comunque a pubblicare, con la sua casa
editrice Pellicanolibri, Le certezze del dubbio, 1987, e fu premiata successivamente in occasione del Premio Casalotti
Goliarda Sapienza
1994.
Il suo romanzo L'arte della gioia rimase a lungo inedito. Rifiutato dalle più importanti case editrici italiane, fu più
tardi pubblicato postumo da Stampa Alternativa, dapprima in un'edizione non integrale (1998) e poi integralmente
(2003). Ripubblicato da Einaudi nel 2008, ebbe successo di critica e di pubblico. Einaudi sta ora pubblicando anche
l'opera inedita dell'autrice. Sono già usciti postumi il romanzo Io, Jean Gabin (2010) e una selezione di pensieri tratti
dai diari della scrittrice, raccolti nel volume Il vizio di parlare a me stessa (2011).
Opere
• Lettera aperta, Milano, Garzanti, 1967; Palermo, Sellerio, 1997. ISBN 88-389-1378-1; Torino, UTET, 2007.
ISBN 88-02-07545-X.
• Il filo di mezzogiorno, Milano, Garzanti, 1969; Milano, La Tartaruga, 2003. ISBN 88-7738-390-9.
• L'Università di Rebibbia, Milano, Rizzoli, 1983; 2006. ISBN 88-17-01172-X; Torino, Einaudi, 2012. ISBN
978-88-06-21020-5.
• Le certezze del dubbio, Roma, Pellicanolibri, 1987; Milano, Rizzoli, 2007. ISBN 978-88-17-01660-5.
• L'arte della gioia. Romanzo anticlericale, Roma, Stampa Alternativa, 1998. ISBN 88-7226-408-1; 2006. ISBN
88-7226-926-1; Torino, Einaudi, 2008. ISBN 978-88-06-18946-4.
• Destino coatto, Roma, Empirìa, 2002. ISBN 88-87450-10-2; Torino, Einaudi, 2011. ISBN 978-88-06-20599-7.
•
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Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, 2010. ISBN 978-88-06-20189-0.
Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini 1976-1989, Torino, Einaudi, 2011. ISBN 978-88-06-20307-8.
L'isola dei fratelli, testo teatrale inedito
Appuntamento a Positano, romanzo inedito
restano ancora da catalogare circa 500 poesie (raccolte in parte della silloge Ancestrale)
Filmografia
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Un giorno nella vita, regia di Alessandro Blasetti (1946)
Fabiola, regia di Alessandro Blasetti (1949)
Senso, regia di Luchino Visconti (1954)
Ulisse, regia di Mario Camerini (1955)
Persiane chiuse, regia di Luigi Comencini (1950)
Altri tempi , regia di Alessandro Blasetti (1951)
Gli sbandati, regia di Francesco Maselli (1955)
Lettera aperta a un giornale della sera , regia di Francesco Maselli (1970)
Dialogo di Roma, regia di Marguerite Duras (1983)
Prosa televisiva RAI
• Lo sciallo, originale televisivo, regia di Silverio Blasi, 1956
Bibliografia
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Giovanna Providenti, La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza, Catania, Villaggio Maori Edizioni, 2010
Quel sogno d'essere di Goliarda Sapienza, a cura di Giovanna Providenti, Roma, Aracne, 2012
Appassionata Sapienza, a cura di Monica Farnetti, Milano, La Tartaruga edizioni, 2012
Manuela Vigorita, Loredana Rotondo, "L'arte di un vita", Rai Educational 2000, documentario
19
Goliarda Sapienza
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Collegamenti esterni
• (EN) Scheda su Goliarda Sapienza [1] dell'Internet Movie Database
• Breve biografia [2] di Maria Giudice, madre della scrittrice
Portale Biografie
Portale Letteratura
Portale Teatro
Note
[1] http:/ / www. imdb. com/ name/ nm0764573/
[2] http:/ / www. enciclopediadelledonne. it/ index. php?azione=pagina& id=97
Manoscritto trovato a Saragozza
Manoscritto trovato a Saragozza
Titolo originale Manuscrit trouvé à Saragosse
Autore
1ª ed. originale
Genere
Jan Potocki
1805
romanzo
Lingua originale francese
Manoscritto trovato a Saragozza è l'unico romanzo scritto in francese dal conte polacco Jan Potocki, che vi dedicò
buona parte della vita.
La prima parte del testo (le prime tredici giornate) fu stampata in proprio nel 1805, per essere distribuita agli amici di
Potocki. La seconda parte (Avadoro, histoire espagnole) vide la luce a Parigi nel 1813. Le due versioni furono riunite
poi in un'edizione in tre volumi stampata a San Pietroburgo nel 1814. L'ultima parte fu forse scritta prima della
missione diplomatica dello scrittore a Pechino: di essa non si ha il testo originale in francese (è conosciuta solo
attraverso la traduzione polacca di Chojecki) ed è tuttora oggetto di dibattito. Il testo integrale non è stato sottoposto
a una completa revisione finale.
Struttura dell'opera
Il romanzo ha una struttura a scatole cinesi, nella quale il racconto principale è inframezzato da altre storie narrate da
altri personaggi, all'interno delle quali sono presenti altri racconti.
Genere
L'opera non può essere confinata in un solo genere: dentro di essa convivono infatti il romanzo di formazione, quello
d'avventura, il romanzo picaresco, il romanzo erotico, il fantastico e il meraviglioso.
Trama
All'inizio ci viene riferita una serie di avvenimenti dei quali nessuno contravviene alle leggi della natura. Alfonso
Van Worden è il protagonista e narratore del racconto. Attraversa le Montagne della Sierra Morena e all'improvviso
il suo "zagal" Moschito scompare e qualche ora dopo anche il domestico Lopez. Gli abitanti del posto spiegano
l'accaduto affermano che la regione è frequentata dagli spiriti. Alfonso arriva ad una locanda e si accinge a dormire
quando al primo tocco di mezzanotte una bella ragazza di colore seminuda entra in camera sua e lo invita a seguirlo.
Manoscritto trovato a Saragozza
Essa lo conduce fino a una stanza sotterranea dove viene accolto da due giovani sorelle belle e succintamente vestite
che gli offrono da mangiare e da bere. Alfonso prove sensazioni strane e nella sua mente affiora un dubbio: "non
sapevo più se fossi con delle donne oppure con degli insidiosi succubi". Poi gli rivelano la loro vita dicendogli di
essere le sue cugine. Al primo canto del gallo tutto finisce. Arriva la sera Alfonso va a letto le due sorelle lo
raggiungono (o forse si limita a sognarlo) ma quando si sveglia (è qui l'incredibile della storia) si ritrova all'aperto
accanto a due cadaveri dei due fratelli di Zoto alla forca di Los Hermanos e le due belle fanciulle sono diventate due
fetidi cadaveri. Durante il peregrinare, cerca un posto dove dormire la notte e arriva ad una capanna di un eremita e
qui incontra un invasato Pacheco. L'eremita gli racconta la sua storia che, guarda caso, assomiglia molto a quella di
Alfonso. Il narratore a quel punto cerca la motivazione a tutti gli avvenimenti accaduti a Pacheco dando una
spiegazione anche a sé stesso. Nuovi avvenimenti vanno però a rinfocolare i dubbi di Alfonso perché ritrova le
cugine in una grotta e una sera gli si infilano nel letto.
Edizioni in lingua italiana
• Adelphi (1995), contenente le prime quattordici giornate
• Tea (2006), testo integrale già edito da Guanda (60 giornate)
• Colonnese (2006), Storia di Zoto, con introduzione di Gianandrea de Antonellis
Trasposizione cinematografica
Dal romanzo è stato tratto un film, intitolato anch'esso Manoscritto trovato a Saragozza, con la regia di Wojciech
Has.
Collegamenti esterni
• Il manoscritto [1]
Portale Letteratura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di letteratura
Note
[1] http:/ / www. lankelot. eu/ letteratura/ potocki-manoscritto-trovato-a-saragozza. html
21
Jan Potocki
22
Jan Potocki
Jan Nepomucen Potocki (Pików, 8 marzo 1761 – Uładówka, 2
dicembre 1815) è stato uno scrittore polacco.
Di ascendenza nobile (suo nipote fu conte Wenceslas Severyn
Rzewuski, rinomato orientalista e bisnonno materno di Leone Caetani),
durante la vita viaggiò moltissimo, in Francia, Spagna, Italia, e Russia,
imparando a conoscere gli usi ed i costumi dell'Europa e dell'Asia.
Le sue conoscenze gli servirono per scrivere la sua opera narrativa più
importante, il Manoscritto trovato a Saragozza, che ha una struttura
complessa, costituita da storie concatenate una dentro l'altra, in una
maniera che può ricordare Le mille e una notte.
Potocki scrisse anche atti unici per il teatro, alcuni racconti e degli
apologhi.
Nel 1815, in preda alla depressione, staccò una fragola d'argento che
Jan Nepomucen Potocki
adornava una sua teiera e, limandola giorno dopo giorno, ne fece una
sfera. Quando raggiunse le dimensioni adatte, fece benedire la sfera
(secondo la leggenda[1]), dopodiché la utilizzò come pallottola per porre fine ai suoi giorni.
Note
[1] [cfr. Introduzione di René Radrizzani al Manoscritto trovato a Saragozza, Guanda, 1990, pag. 14: «secondo la leggenda, avrebbe fatto
benedire la pallottola con cui si sarebbe suicidato.»]
Citazioni
Lo scrittore viene citato nel racconto Tocco d'artista di Andrea Camilleri, all'interno della raccolta Un mese con
Montalbano del 1998; dal racconto è stato tratto anche un episodio della serie Il Commissario Montalbano, dove a
sua volta si cita il personaggio.
Nel romanzo di Alessandro Barbero Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo il protagonista incontra lo
scrittore durante il suo soggiorno a Pulawi, dove era ospite dei conti Czartoryski.
Viene anche citato nel romanzo Il viaggiatore notturno di Maurizio Maggiani.
Citato da Paolo Mauresing in "Il guardiano dei sogni", ed. Mondadori. È l'avo del coprotagonista.
Daniel Pennac cita Potocki e il "Manoscritto trovato a Saragozza" in "Il paradiso degli orchi".
Altri progetti
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Wikiquote contiene citazioni di o su Jan Potocki
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Gente di Dublino
23
Gente di Dublino
Gente di Dublino
Titolo originale Dubliners
Autore
1ª ed. originale
Genere
James Joyce
1914
racconti
Lingua originale inglese
Gente di Dublino (Dubliners) è una raccolta di racconti scritta da James Joyce (con lo pseudonimo di Stephen
Daedalus) pubblicata originariamente da Grant Richards nel 1914, dopo essere stata rifiutata da molte case
editrici.[1][2] La maggior parte dei racconti viene scritta da Joyce fra il 1904 e il 1905, nel 1906 vengono aggiunti I
due galanti e Una piccola nube, mentre il racconto più famoso, I morti, è del 1907.
I protagonisti del libro sono persone di Dublino, di cui vengono narrate le loro storie di vita quotidiana. A dispetto
della banalità del soggetto, il libro vuole focalizzare la propria attenzione su due aspetti, comuni a tutti i racconti: la
paralisi[3] e la fuga.[] La prima è principalmente una paralisi morale, causata dalla politica e dalla religione
dell'epoca. La fuga è conseguenza della paralisi, nel momento in cui i protagonisti comprendono la propria
condizione. La fuga, tuttavia, è destinata a fallire sempre. Le storie inoltre seguono una sequenza tematica e possono
essere suddivise in quattro sezioni, una per ogni fase della vita: l'infanzia (Le sorelle, Un incontro, Arabia);
l'adolescenza (Eveline, Dopo la corsa, I due galanti, Pensione di famiglia); la maturità (Una piccola nube, Rivalsa,
Polvere, Un caso pietoso); la vita pubblica (Il giorno dell'Edera, Una madre, La grazia).[][4] Alla fine è presente un
epilogo, I morti, dal quale è stato tratto un film per la regia di John Huston nel 1987.
Stile
Lo stile di Gente di Dublino è realistico[]: la descrizione dei paesaggi naturali è concisa ma dettagliata; è presente
un'abbondanza di dettagli, anche non essenziali, che non hanno propriamente uno scopo descrittivo ma spesso un
significato più profondo. Per esempio l'accurata descrizione della casa del prete in Le sorelle è simbolo
dell'incapacità sia fisica che morale di padre Flynn. Questo vuol dire che come in Gustave Flaubert o Émile Zola il
realismo e naturalismo sono combinati con tratti simbolistici, e questo si nota non solo nel fatto che i dettagli esterni
hanno spesso un doppio significato, ma anche dall'uso dell'epifania[]: questa è una tecnica di Joyce in cui un
insignificante particolare o un gesto, o perfino una situazione banale portano un personaggio ad una visione
spirituale con cui comprende se stesso e ciò che lo circonda. Joyce pensava che la sua funzione come scrittore fosse
quella di portare il lettore oltre i soliti aspetti della vita, e mostrarne il loro significato profondo, quindi spesso
l'epifania era la chiave della storia stessa: alcuni episodi descritti, apparentemente non influenti o importanti, sono
essenziali nella vita del protagonista e sono un emblema del loro contesto sociale e storico.
Joyce abbandona la tecnica del narratore onnisciente e non usa mai un singolo punto di vista: ce ne sono tanti quanti
sono i personaggi. Inoltre usa spesso il "discorso diretto" anche per i pensieri dei personaggi, in questo modo,
presentandoli senza l'interferenza del narratore, permette al lettore una conoscenza diretta del personaggio.
Gente di Dublino
Temi
In Gente di Dublino Joyce vuole mostrare la caduta dei valori morali, legati alla religione, alla politica e alla cultura
di Dublino. Tutta la gente di Dublino è "spiritualmente debole", ha paura degli altri abitanti e sono in qualche modo
schiavi della loro cultura, della loro vita familiare e politica e soprattutto schiavi della loro vita religiosa. Ma ciò che
Joyce tiene a mostrare, non è tanto questa situazione di debolezza, ma quanto come questa si riveli alle "vittime" di
questa "paralisi" morale (Joyce ne parla come "Paralysis"). Quindi diventare consapevoli di questa situazione è
proprio il climax, il punto di svolta di ogni storia: conoscere se stessi è alla base della morale, se non la morale
stessa. Ad ogni modo, pur se l'obiettivo di Joyce sembra prevalentemente morale, Joyce non si comporta mai come
un educatore dando istruzioni su come superare questa situazione, anzi il tema principale dell'opera è l'impossibilità
di uscire da questa condizione di "paralisi". Ergo la "fuga" da questa situazione e il conseguente fallimento di questa
fuga è un altro tema dell'opera.
Traduzioni italiane
La prima edizione dell'intera raccolta in italiano si deve alla Dall'Oglio che nella collana "I corvi", serie scarlatta n.
5, la fa uscire nel 1933 a cura di Annie e Adriano Lami. Diversi anni dopo Einaudi pubblica ne "I coralli" la
traduzione di Franca Cancogni (anche in tutte le ristampe e in collane successive). Questa traduzione passa anche
nelle stampe della Mondadori, almeno fino al 1987, quando viene sostituita dalla traduzione di Attilio Brilli. La
traduzione di Margherita Ghirardi Minoja per la "BUR" di Rizzoli esce nel 1961 (al n. 1701-1703 della prima serie,
con il titolo Dublinesi); in edizioni successive prende il titolo più noto e si avvale di introduzione e note di Attilio
Brilli. Nel 1970 esce la traduzione di Maria Pia Balboni per la Fabbri, poi passata anche alla Gulliver (nel 1986 e nel
1995) e alla Bompiani (nei "Tascabili", solo nel 1988). Anche alcune ristampe Fabbri si avvalgono di note del Brilli.
Nel 1974 la Newton Compton pubblica la traduzione di Marina Emo Capodilista, ripresa in diverse collane (anche
con Ritratto dell'artista da giovane e con una introduzione che parla di questo romanzo di Mario Praz). Nel 1976
esce la traduzione presso la collana "I grandi libri" n. 147 di Garzanti di Marco Papi, poi rivista da Emilio Tadini e
con introduzione di Nemi D'Agostino (dal 1989). Questa stessa traduzione esce anche a cura di Aldo Tropea presso
La Nuova Italia nel 1989. Anche la Gherardo Casini di Roma pubblica una nuova traduzione nel 1988, a cura di
Massimo Marani, in un volume della serie "I grandi maestri" che contiene anche Ritratto dell'artista da giovane. Nel
1993 e nel 1995 escono due edizioni presso la Demetra di Bussolengo con introduzione e traduzione di Francesco
Franconeri e il sottotitolo non joyciano di Passioni e storie di gente comune. Nel 1994 anche Feltrinelli esce con una
nuova traduzione, affidata a Daniele Benati che vi mette anche, a modo di introduzione, un breve saggio di Italo
Svevo, nella collana di tascabili "Universale Economica" (al n. 2107). Anche la Guaraldi nel 1995 pubblica una
nuova traduzione (di Gian Luca Guerneri).
Racconti
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Le sorelle
Un incontro
Arabia
Eveline
Dopo la corsa
I due galanti
Pensione di famiglia
Una piccola nube
Rivalsa (o Un'Ave Maria o Contropartita)
• Polvere (o Cenere)
• Un caso pietoso (o Un increscioso incidente)
• Il giorno dell'edera
24
Gente di Dublino
• Una madre
• La grazia
• I morti
Edizioni
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «I corvi» (poi anche ed. De Agostini), traduzione di Annie e Adriano
Lami, Milano, Dall'Oglio, 1933, pp. 301.
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «I coralli» (poi anche "Oscar Mondadori" fino al 1987 e nei "Meridiani"),
traduzione di Franca Cancogni, Torino, Einaudi, 1949, pp. 271. ISBN 88-06-39180-1
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «BUR» (nelle prime ed. con il titolo Dublinesi), traduzione di Margherita
Ghirardi Minoja, Milano, Rizzoli, 1961, pp. 250. ISBN 88-17-15103-3
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «I grandi della letteratura» (poi ed. Gulliver e con il titolo I dublinesi ed.
Bompiani), traduzione di Maria Pia Balboni, Milano, Fratelli Fabbri, 1970, pp. 254.
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «Universale tascabile», traduzione di Marina Emo Capodilista, Roma,
Newton Compton, 1974, pp. 202. ISBN 88-7983-588-2
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «I grandi libri», traduzione di Marco Papi e Emilio Tadini, Milano,
Garzanti, 1978, pp. 212. ISBN 88-11-58147-8
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «Oscar Mondadori», traduzione di Attilio Brilli, Milano, Arnoldo
Mondadori, 1988, pp. 208. ISBN 978-88-04-44831-0
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «I grandi maestri», traduzione di Massimo Marani, Roma, Gherardo
Casini, 1988.
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «Acquarelli», traduzione di Francesco Franconeri, Bussolengo, Demetra,
1993. ISBN 88-7122-375-6
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «UEF», traduzione di Daniele Benati, Milano, Feltrinelli, 1994. ISBN
9788807821073
• James Joyce, Gente di Dublino, collana «Ennesima», traduzione di Gian Luca Guerneri, Rimini, Guaraldi, 1995.
ISBN 88-8049-015-X
Note
[1] Daniele Benati, "Una storia curiosa", in James Joyce, Gente di Dublino, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2005.
Bibliografia
• Morton D. Zabel (a cura di), Antologia della critica americana del novecento, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1957.
• Giovanni Casoli, Novecento letterario italiano ed europeo. Autori e testi scelti, Roma, Città Nuova Editrice,
2002.
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Gente di Dublino
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James Joyce
« Quando un'anima nasce, le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità:
io cercherò di fuggire da quelle reti. »
(James Joyce, Ritratto dell'artista da giovane)
James Augustine Aloysius Joyce (Dublino, 2 febbraio 1882 – Zurigo,
13 gennaio 1941) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo irlandese.
James Joyce nel 1915
James Joyce nacque il 2 febbraio 1882, in Irlanda a Rathgar, un
elegante sobborgo di Dublino, in una famiglia profondamente cattolica,
da Mary Jane Murray e John Stanislaus Joyce. Joyce era il maggiore di
10 figli sopravvissuti , due dei sui fratelli morirono di tifo.
Firma di Joyce
Benché la sua produzione letteraria non sia molto vasta è stato di
fondamentale importanza per lo sviluppo della letteratura del XX secolo, in particolare della corrente modernista.
Il suo carattere anticonformista e critico verso la società irlandese e la Chiesa cattolica traspare in opere come Gente
di Dublino (Dubliners del 1914) - palesato dalle famose epifanie - e soprattutto in Ritratto dell'artista da giovane (A
Portrait of the Artist as a Young Man nel 1917), conosciuto in Italia anche come Dedalus
Il suo romanzo più noto, Ulisse, è una vera e propria rivoluzione rispetto alla letteratura dell'Ottocento, e nel 1939 il
successivo e controverso Finnegans Wake (La veglia di Finnegan o più propriamente La veglia per Finnegan) ne è
l'estremizzazione che rimase incompiuto.
Durante la sua vita intraprese molti viaggi attraverso l'Europa, ma l'ambientazione delle sue opere, così saldamente
legata a Dublino, lo fece diventare uno dei più cosmopoliti e allo stesso tempo più locali scrittori irlandesi.
James Joyce
Vita
Infanzia e adolescenza
Nel 1887 John Joyce (padre dello scrittore irlandese) lasciato il
lavoro di doganiere, viene nominato esattore delle tasse dalla
Dublin Corporation e la famiglia si trasferisce a Bray, una
cittadina venti chilometri a sud di Dublino.
Qui Joyce venne morso da un cane, episodio all'origine della sua
fobia. Aveva anche paura dei temporali perché una zia molto
religiosa gli disse che erano un segno dell'ira di Dio. Le paure
avrebbero sempre fatto parte dell'identità di Joyce e sebbene
avesse il potere di superarle, non lo fece mai.[1]
Nel 1891 a 9 anni James Joyce scrive la sua prima opera, un
pamphlet accusatorio nei confronti di Timothy Healy, (che fu un
irlandese nazionalista politico, giornalista, tra i più controverse
membri del Parlamento nella Camera dei Comuni del Regno Unito
di Gran Bretagna e Irlanda) reo di aver abbandonato nel mezzo di
uno scandalo il leader del partito autonomista, Charles Stewart
Parnell, che si suicidò nel 1891. Con la morte di Parnell
James Joyce
l'autonomia irlandese era più lontana e John Joyce, autonomista
convinto, era infuriato per questa vicenda tanto da far stampare
alcune copie dell'opera prima di Joyce e spedirne una addirittura alla Biblioteca Vaticana. Tutte le copie sono andate
perdute.
Nel novembre dello stesso anno John Joyce venne sospeso dal lavoro e non riuscì più a pagare la retta del prestigioso
Clongowes Wood College, che James frequentava dal 1888. James studia per qualche tempo a casa, poi brevemente
alla scuola dei Fratelli Cristiani fino a quando grazie agli ottimi voti viene accolto gratuitamente al Belvedere
College, un collegio gesuita, anche con la speranza di una vocazione.
A sedici anni J. Joyce ha già sviluppato il carattere anticonformista e ribelle che lo contraddistinguerà anche in futuro
e rifiuta il Cristianesimo, anche se la filosofia di San Tommaso d'Aquino avrà una forte influenza sulla sua vita.[2] Al
Belvedere College ottiene ottimi risultati e vince più di una competizione accademica.
Nel 1893 la situazione economica famigliare già precaria si aggrava e il padre per pagare un debito, è costretto a
vendere le sue proprietà a Cork. L'alcolismo di John e la cattiva gestione delle finanze porteranno al declino della
famiglia.[3]
Gli anni dell'università
Joyce si iscrisse all'University College di Dublino nel 1898 dove studiò lingue moderne, in particolare inglese,
francese e italiano. Manifesta ben presto il suo carattere anticonformista rifiutando di sottoscrivere una protesta
contro La contessa Cathleen, un dramma di William Butler Yeats, per alcuni diffamatorio nei confronti dell'Irlanda.
In risposta ad alcune provocazioni contro Ibsen (un autore al tempo considerato immorale), in una delle riunioni del
Literaly and Historical Society, un circolo storico-letterario di cui Joyce faceva parte, il 20 gennaio 1900 Joyce tenne
un discorso pubblico sul tema Teatro e vita proponendo proprio Ibsen come modello di riferimento, un autore che
per Joyce fu una vera scoperta. Dello stesso autore pubblicherà poco dopo sulla rivista Fortinghly Review una
recensione di Quando noi morti ci destiamo per la quale ricevette una lettera di ringraziamento dal drammaturgo
norvegese.
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James Joyce
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Col compenso per la recensione si recò brevemente a Londra con suo padre e ritornato in Irlanda si trasferì a
Mullingar, dove cominciò la traduzione di alcune opere del drammaturgo tedesco Gerhart Hauptmann con la
speranza che l'Irish Theatre accettasse di rappresentarle, ma la proposta venne declinata perché Hauptmann non era
un autore irlandese. Da quest'esperienza Joyce trae spunto per scrivere il pamphlet Il giorno del Volgo, denuncia del
provincialismo della cultura irlandese.
Il 31 ottobre 1902 Joyce consegue la laurea. Durante l'università scrisse anche altri articoli e almeno due commedie
che sono andati perduti. Sono anche gli anni delle sperimentazioni letterarie cui Joyce stesso diede il nome di
epifanie che ritroveremo poi in Gente di Dublino.
La morte della madre e l'incontro con Nora
Un mese dopo si trasferisce a Parigi. L'idea è quella di diventare un medico e si iscrive alla Sorbona, ma nonostante
sia aiutato dalla famiglia e scriva recensioni per il Daily Express vive in povertà. Dopo quattro mesi la madre si
ammala di tumore[4] e Joyce è costretto a far ritorno in Irlanda.
Il breve periodo passato a Parigi termina qui, ma nonostante le apparenze non è un completo fallimento. In una
stazione ferroviaria fa un'importante scoperta, il romanzo Les Lauriers sont coupés di Édouard Dujardin, in cui
l'autore fa uso della tecnica del flusso di coscienza, ampiamente usata nei romanzi più importanti di Joyce.
Nel letto di morte la madre, Mary Jane, preoccupata per l'empietà del figlio, cerca di convincerlo a fare la comunione
e a confessarsi, ma Joyce si rifiuta. Quando la madre muore il 13 agosto dopo essere entrata in coma Joyce si rifiuta
di inginocchiarsi per pregare al suo capezzale con gli altri membri della famiglia.[5]
Dopo la morte della madre la situazione familiare peggiora ulteriormente nonostante Joyce riesca a racimolare
qualcosa scrivendo recensioni per il Daily Express, insegnando privatamente e cantando. L'abilità del canto, ereditata
dal padre, gli valse la medaglia di bronzo al Feis Ceoil del 1904.[6] Era un apprezzato tenore, tanto che pensò di
dedicarsi al canto come attività principale della sua vita.
Il 1904 è l'anno decisivo per la vita di Joyce. Il 7 gennaio la rivista Dana rifiuta la prima versione del Ritratto
dell'artista da giovane,[7] che Joyce trasformerà in un romanzo dal titolo Stefano eroe, completando così il nucleo
del Ritratto dell'artista da giovane che verrà pubblicato nel 1916. Lo stesso anno in Nassau Street incontra Nora
Barnacle, una cameriera di Galway che diventerà sua compagna per tutta la vita. La data del loro primo
appuntamento, il 16 giugno 1904, è la medesima in cui si svolge l'Ulisse. Lo stesso anno esce The Holy Office, una
raccolta di poesie.
A metà estate scrive i versi che faranno parte di Musica da camera e la rivista The Irish Homestead pubblica Le
sorelle, un racconto che farà poi parte di Gente di Dublino, e nei mesi successivi anche Eveline e Dopo la gara.
L'esilio dall'Irlanda
In quel periodo Joyce beveva molto e una sera, rientrando a casa
ubriaco, viene coinvolto in una rissa con un uomo a Phoenix Park.
In seguito a tale episodio viene aiutato da Alfred H. Hunter e
Oliver St John Gogarty, un amico studente di medicina. Questi due
uomini avranno grande importanza nella vita di Joyce. Il primo,
infatti, un ebreo vittima di pettegolezzi perché tradito dalla moglie,
diventò il prototipo per Leopold Bloom,[8] il protagonista
dell'Ulisse. Il secondo sarà il prototipo di Buck Mulligan, un altro
personaggio del romanzo che alloggia in una torre Martello,
proprio come Gogarty a Sandycove.
La James Joyce Tower a Sandycove
Joyce soggiorna convalescente nella torre Martello di Gogarty per sei giorni, finché Gogarty, coinvolto in una lite,
spara a dei tegami sopra il letto di Joyce,[9] il quale raggiunge la notte stessa la famiglia a Dublino. L'8 ottobre 1904
James Joyce
Joyce e Nora partono per l'esilio auto-imposto che li terrà lontani dall'Irlanda per la maggior parte della loro vita.
Trieste
Joyce riuscì ad ottenere un posto come insegnante alla Berlitz School di Zurigo attraverso delle conoscenze, ma una
volta a Zurigo scopre di essere stato truffato e il direttore lo manda a Trieste, che allora faceva parte dell'impero
Austro-Ungarico. Neanche a Trieste però c'è un posto disponibile e con l'aiuto di Almidano Artifoni, il direttore della
Berlitz di Trieste, si assicura un posto nella base navale di Pola. Vi insegnò fino al marzo 1905, quando il
vicedirettore della Berlitz riesce a far trasferire Joyce a Trieste. Nonostante il periodo travagliato, Joyce riesce a
scrivere e porta a termine alcuni racconti che faranno poi parte di Gente di Dublino e la seconda stesura di Musica da
camera.
Dopo la nascita di Giorgio, il primogenito di Joyce e Nora, la famiglia ha bisogno di più soldi e con la scusa della
nostalgia e l'offerta di un posto come insegnante, Joyce invita a Trieste suo fratello Stanislaus, il quale accetta.[10] La
loro convivenza però non fu semplice perché la frivolezza con cui Joyce spendeva i soldi e le sue abitudini di
bevitore non piacevano a Stanislaus.[11]
Alla fine del 1906 il desiderio di viaggiare portò Nora e Joyce a Roma, dove trovò un posto da impiegato alla Nast,
Kolb & Shumacher Bank, ma ben presto, delusi dalla città, ritornarono a Trieste. Comunque nel poco tempo libero
dal lavoro bancario, Joyce scrisse l'ultimo racconto di Gente di Dublino, I morti.
Nel 1907 scrisse qualche articolo per Il piccolo della sera e si offrì come inviato in Irlanda per il Corriere della sera,
un'offerta che venne declinata. Nei primi di maggio dello stesso anno viene pubblicato Musica da camera. Subito
dopo la pubblicazione la salute di Joyce subì un colpo. Oltre ai problemi di cuore, agli incubi e l'irite, contrasse una
forma di febbre reumatica che lo debilitò per molti mesi, riducendolo inizialmente quasi alla paralisi. Il 27 luglio
nacque Lucia, la seconda figlia di Joyce e Nora.
A Trieste Joyce tenne spesso lezioni private durante le quali frequentò i figli della nobiltà del luogo e conobbe Italo
Svevo, un altro prototipo di Leopold Bloom, tanto che molti dettagli sull'ebraismo inclusi in Ulisse gli sono stati
riferiti proprio da Svevo.
Nell'agosto del 1908 persero il terzo figlio in seguito ad un aborto. Nello stesso periodo Joyce prese lezioni di canto
al Conservatorio di Musica di Trieste e l'anno successivo prese parte all'opera I maestri cantori di Norimberga di
Richard Wagner.
Nel 1909 Joyce ritorna brevemente a Dublino per far conoscere Giorgio alla famiglia, lavorare alla pubblicazione di
Gente di Dublino e conoscere la famiglia di Nora. Il mese dopo era nuovamente a Dublino per conto di un
proprietario di sale cinematografiche con lo scopo di aprire un cinema in città. Riuscirà nell'intento, ma quello che
all'inizio è un successo si rivelerà un fallimento[12]. Ritorna a Trieste con la sorella Eileen, che passerà il resto della
vita fuori dall'Irlanda.
Nell'aprile del 1912 si reca a Padova per sostenere gli esami di abilitazione all'insegnamento nelle scuole italiane, ma
nonostante il buon esito il suo titolo di studio non gli viene riconosciuto in Italia. Nell'estate dello stesso anno ritorna
a Dublino ancora una volta per la pubblicazione di Gente di Dublino, ma non ottiene i risultati sperati. Nonostante i
ripetuti inviti di William Butler Yeats, non rimetterà più piede in Irlanda.
L'anno successivo conosce nella città adriatica Ezra Pound, grazie al quale pubblica a puntate Ritratto dell'artista da
giovane sulla rivista The Egoist. Nel 1914 escono in volume i racconti di Gente di Dublino e inizia a lavorare ad
Ulisse (compone a Trieste i primi tre capitoli), ad Esuli, l'unico dramma di Joyce (che vedrà la luce nel 1918) ed al
poemetto in prosa Giacomo Joyce (l'unica sua opera interamente ambientata a Trieste).
In quel periodo, Joyce inizia a frequentare assiduamente gli ambienti culturali della città: fra l'altro, diviene ospite
fisso del Caffè San Marco, allora ritrovo degli intellettuali triestini, dove talvolta si reca a lavorare sulle sue opere.
Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale alcuni amici nella borghesia triestina lo aiutarono a fuggire a Zurigo
dove conobbe Frank Budgen, che diventò un consulente nella stesura di Ulisse e Finnegans Wake, e, ancora grazie a
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James Joyce
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Pound, dell'editore Herriet Shaw Weaver che gli permise negli anni successivi di dedicarsi solamente alla scrittura,
abbandonando quindi l'insegnamento.
Nel 1918 la rivista americana Little review pubblicò alcuni capitoli dell'Ulisse. Nel 1920 Ezra Pound lo invitò a
Parigi. Joyce era ritornato l'anno prima a Trieste ma trovò la città molto cambiata e i rapporti con suo fratello erano
ancora molto tesi, quindi non esitò a recarsi a Parigi. Inizialmente doveva rimanerci una settimana, ci rimase
vent'anni.
La statua di Joyce sul Ponterosso
del Canal Grande, a Trieste
La statua di Joyce sul Ponterosso
del Canal Grande, a Trieste
La statua di Joyce sul
Ponterosso del Canal
Grande, a Trieste
Il busto di Joyce
nel Giardino
Pubblico di Trieste
"... la mia anima è a Trieste ...",
James Joyce, lettera a Nora,
27 ottobre 1909
Parigi e Zurigo
Nel 1921 termina la stesura di Ulisse che venne pubblicato dall'editore Sylvia Beach il 2 febbraio 1922, giorno del
quarantesimo compleanno di Joyce. L'anno successivo iniziò la stesura di Work in progress che occupò i sedici anni
successivi ed uscì nel 1939 col titolo Finnegans Wake. Nel 1927 pubblicò la raccolta Poesie da un soldo e l'anno
successivo si sottopose ad un'operazione agli occhi. Nel 1931 morì il padre di Joyce che, per ragioni testamentarie[13]
sposa Nora.
In questi anni Lucia manifesta i primi sintomi di schizofrenia. Lucia divenne la musa di Joyce nella stesura di
Finnegans Wake, e Joyce stesso cercherà di tenerla con sé il più possibile.
Dopo l'uscita di Finnegans Wake, sia per le dure critiche al romanzo che per l'invasione nazista di Parigi, la
depressione di cui già soffriva Joyce si accentuò. Dovette inoltre sottoporsi ad ulteriori interventi oculistici per
l'insorgenza di cataratta e glaucoma. Alla fine del 1940 si trasferì a Zurigo, dove l'11 gennaio 1941 venne operato per
un'ulcera duodenale. Il giorno successivo entrò in coma e morì alle due di mattina del 13 gennaio 1941. Il suo corpo
venne cremato e le sue ceneri si trovano al cimitero di Fluntern, come quelle di Nora e di suo figlio Giorgio. Lucia,
morì nel 1982 al St. Andrews Hospital a Northampton, in Inghilterra, dove trascorse gran parte della sua vita.
Nel 1985 fu creata la Fondazione James Joyce di Zurigo, un archivio, centro di documentazione con biblioteca
specializzata e museo letterario, che mantiene viva la memoria della vita e dell’opera dello scrittore irlandese, con
particolare attenzione al suo stertto legame con la città Zurigo.
James Joyce
Joyce e la religione
L.A.G. Strong, William T. Noon, Robert Boyle e altri hanno sostenuto che Joyce, da vecchio, si sia riconciliato con
la fede che aveva ripudiato da giovane e che questa sua separazione dalla fede sia stata seguita da una non tanto
scontata riconciliazione, e che Ulisse e Finnegans Wake siano essenzialmente espressioni del cattolicesimo del loro
autore.
Allo stesso modo, Hugh Kenner e T.S. Eliot videro tra le righe dell'opera di Joyce la manifestazione di un autentico
spirito cristiano e sotto l'apparenza delle posizioni dei suoi lavori la sopravvivenza di un credo e di un atteggiamento
cattolico. Kevin Sullivan sostiene che, anziché riconciliarsi con la fede, Joyce in realtà non l'abbandonò mai. I critici
che caldeggiano questa tesi insistono che Stephen, il protagonista del semi-autobiografico Ritratto dell'artista da
giovane e di Ulisse, non rappresenta Joyce.
In maniera alquanto criptica, in un'intervista concessa dopo aver completato Ulisse, in risposta alla domanda
"Quando ha abbandonato la Chiesa cattolica", Joyce rispose: "Sta alla Chiesa dirlo". Eamonn Hughes osserva che
Joyce mantenne un approccio dialettico, sia assentendo sia negando, dicendo che il detto famoso di Stephen "non
serviam" è precisato con "Io non mi renderò servo di ciò in cui non credo", e che il "non serviam" è sempre
bilanciato dal detto di Stephen "io sono un servo..." e dal "sì" di Molly.
Umberto Eco paragona Joyce agli antichi "episcopi vagantes" del Medio Evo. Essi ci hanno lasciato una disciplina,
non un'eredità culturale o un modo di pensare. Come loro, lo scrittore pensa che nella blasfemia sia contenuto il
senso di un rituale liturgico. In ogni caso, abbiamo testimonianze di prima mano che provengono dal più giovane dei
Joyce, suo fratello Stanislao, e da sua moglie:
« La mia mente rifiuta l'intero ordine sociale esistente e il Cristianesimo-patria, le virtù riconosciute, gli stili di vita, le
dottrine religiose [...] Sei anni fa io abbandonai la Chiesa Cattolica, detestandola molto fervidamente. Ho compreso che era
impossibile per me rimanere nel suo ambito, in considerazione degli impulsi della mia natura. Ho combattuto una guerra
segreta contro di lei quando ero uno studente e mi sono rifiutato di accettare le posizioni che essa mi proponeva. Nel fare ciò
sono diventato un furfante, ma ho conservato il mio amor proprio. Adesso combatto una battaglia aperta contro di essa
attraverso quello che scrivo, dico e faccio. »
(Dalla lettera di Joyce a Nora Barnacle del 29 agosto 1904)
« La separazione di mio fratello dal cattolicesimo fu dovuta a diversi motivi. Egli sentì che era imperativo per lui salvare la
sua autentica vita spirituale dal pericolo di vederla schiacciata e mascherata da una falsa spiritualità che egli aveva perduto.
Egli pensava che i poeti, in virtù del loro talento e della loro personalità, fossero i depositari dell'autentica vita spirituale
della loro razza e che i preti fossero degli usurpatori. Egli detestava la falsità e credeva nella libertà individuale molto più
integralmente di qualsiasi altro uomo che io abbia mai conosciuto [...]. L'interesse che mio fratello ha sempre mantenuto nei
confronti della filosofia della Chiesa cattolica deriva dal fatto che egli riteneva che la filosofia cattolica costituisse il più
coerente attentato contro la fondazione di una stabilità intellettuale e materiale »
(Dal saggio Il guardiano di mio fratello, di Stanislao Joyce, Londra, 1982)
Quando si stavano facendo i preparativi per il funerale di Joyce, un prete cattolico si offrì per celebrare un rito
religioso, che la moglie di Joyce, Nora, rifiutò, dicendo: "Non posso fargli questo". Comunque, diversi critici e
biografi hanno condiviso la loro opinione con queste parole di Andrew Gibson:
« Il moderno James Joyce può avere resistito vigorosamente contro il potere oppressivo della tradizione cattolica. Ma c'era
un altro Joyce, dietro di lui, che rivendicava la sua fedeltà a quella tradizione, e non l'abbandonò mai, né volle
abbandonarla »
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James Joyce
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Opere maggiori
Gente di Dublino
Per approfondire, vedi Gente di Dublino.
La celebre raccolta di racconti è un sunto delle sue esperienze vissute a Dublino, della quale fa una spietata e
penetrante analisi mettendo in evidenza, attraverso le famose epifanie (termine usato dallo scrittore per identificare
dei particolari momenti di intuizione improvvisa presenti nella mente dei suoi personaggi; è un momento in cui
un'esperienza, sepolta da anni nella memoria, sale in superficie nella mente riportando tutti i suoi dettagli e tutte le
sue emozioni. In altre parole è un evento che risveglia un ricordo ormai sepolto e dimenticato), la stagnazione e la
paralisi della città. Il racconto più celebre, I morti, è diventato un film nel 1987.
Ritratto dell'artista da giovane
Per approfondire, vedi Ritratto dell'artista da giovane.
Ritratto dell'artista da giovane, in alcune edizioni italiane Dedalus, è il risultato di una difficile gestazione. La prima
stesura risale al 1904, la quale si trasformò a sua volta nel romanzo incompiuto Stefano eroe, che altro non è se non
lo scheletro di Ritratto dell'artista da giovane. La storia è di carattere autobiografico e racconta la crescita di un
ragazzo attraverso l'infanzia e gli anni del collegio fino al suo abbandono dell'Irlanda. il giovane inizialmente ha una
vocazione religiosa, poi rifuita la religione per seguire la sua vocazione artistica. la sua maturazione interiore
coincide con la maturazione dello stile nell'opera.
Esuli e la poesia
Per approfondire, vedi Esuli, Musica da camera (Joyce) e Poesie da un soldo.
Nonostante fosse inizialmente interessato al teatro Joyce pubblicò un solo dramma, Esuli, nel 1917. La vicenda ruota
attorno alla relazione tra marito e moglie e trae ispirazione da I morti, l'ultimo racconto di Gente di Dublino, ma
anche dal corteggiamento che un amico di infanzia di James, Vincent Cosgrave, stava tentando nei confronti di Nora.
La prima raccolta di poesia pubblicata da Joyce è The Holy Office, un duro attacco ai suoi contemporanei, incluso
Yeats, dal quale traspare l'orgoglio della propria diversità. La seconda raccolta di poesie è Musica da camera (1907),
composta da 36 poesie, nel 1912 pubblicò Gas From a Burner e nel 1927 le celebri Poesie da un soldo. Nel 1932
scrisse, in ricordo del padre e per celebrare la nascita del nipote, Ecce Puer.
James Joyce
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Ulisse
Per approfondire, vedi Ulisse (Joyce).
Ulisse doveva inizialmente essere un racconto di Gente di
Dublino, ma l'idea venne abbandonata. Nel 1914 Joyce inizia un
romanzo che terminerà sette anni dopo, nell'ottobre 1921. Dopo
altri tre mesi dedicati alla revisione Ulisse esce il 2 febbraio 1922.
Il romanzo si articola in diciotto capitoli, ognuno dei quali ha delle
caratteristiche peculiari nello stile, occupa una particolare ora della
giornata ed è un parallelo con l'Odissea, come i personaggi stessi,
che restano comunque delle parodie. Ad ogni capitolo sono
associati anche un colore, un'arte o una scienza e una parte del
corpo. Joyce userà anche la tecnica del flusso di coscienza (tecnica
utilizzata nella narrativa; consiste nella libera rappresentazione dei
pensieri di una persona così come compaiono nella mente, prima
di essere riorganizzati logicamente in frasi) e si servirà di molte
allusioni e citazioni storiche e letterarie, combinando così la
scrittura caleidoscopica con l'estrema formalità della trama.
La trama è molto semplice, racconta la giornata e i pensieri di un
agente pubblicitario irlandese, Leopold Bloom, in giro per Dublino, della quale Joyce riesce a dare una precisa
descrizione toponomastica e topografica, soffermandosi soprattutto sullo squallore e sulla monotonia della vita
dublinese.[14]
Ulisse è universalmente riconosciuto come uno dei maggiori contributi allo sviluppo del modernismo letterario.[15]
James Joyce
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Finnegans Wake
Per approfondire, vedi Finnegans Wake.
Completato Ulisse Joyce era esausto e non scrisse neanche una
riga di prosa per un anno.[16] Nel marzo del 1923 iniziò la stesura
di Work in Progress, prima a puntate nel periodico Transition e
poi in volume il 4 maggio 1939 col titolo Finnegans Wake. Il 10
marzo 1923 egli informò un suo sostenitore, Harriet Weaver, con
queste parole:"Ieri ho scritto due pagine, le prime dopo avere
scritto l'ultimo "Sì" dell'"Ulisse". Con qualche difficoltà le ho
ricopiate con una larga calligrafia su un doppio foglio protocollo,
così da renderle leggibili. "Il lupo perde il pelo ma non il vizio"
dicono gli Italiani, ovvero "Il leopardo non può cambiare le sue
macchie", come diciamo noi". Così nacque un testo che divenne
conosciuto, prima, come Work in Progress, e poi come Finnegans
Wake. Nel 1926 Joyce aveva completato le prime due parti del
libro. In quell'anno, egli incontrò Eugene e Maria Jolas, che gli
proposero di pubblicare a puntate il romanzo sulla loro rivista
chiamata "Transition". Negli anni successivi Joyce lavorò
alacremente sul nuovo libro, ma negli anni Trenta cominciò a
La tomba di James Joyce
rallentare sensibilmente. Questo era dovuto a diversi fattori,
inclusa la morte di suo padre nel 1931, oltre alla malattia mentale
di sua figlia Lucia e ai suoi personali problemi di salute, tra cui l'indebolimento della vista. Molto del lavoro venne
compiuto con l'assistenza di giovani ammiratori, tra cui Samuel Beckett.Per alcuni anni Joyce coltivò il bizzarro
progetto di affidare il libro al suo amico James Stephens perché lo completasse, in considerazione del fatto che
Stephens era nato nello stesso ospedale di Joyce esattamente una settimana più tardi, e condividevano entrambi lo
stesso nome di Joyce e del suo alter-ego letterario (questo è un esempio delle numerose cabale superstiziose di cui
era vittima Joyce). Le reazioni all'opera furono varie, compresi alcuni commenti negativi da parte dei primi
sostenitori dell'opera di Joyce, come Pound e il fratello dell'autore, Stanislao Joyce. Per controbilanciare questa
accoglienza ostile, fu organizzata e pubblicata nel 1929 una raccolta di saggi da parte di alcuni sostenitori della
nuova opera, tra cui Beckett, William Carlos Williams e altri.Alla festa per il suo 57º compleanno, Joyce rivelò il
titolo finale dell'opera e così Finnegans Wake fu pubblicato in libro il 4 maggio 1939. In seguito, ulteriori commenti
negativi emersero da parte del medico e scrittore Hervey Cleckley, che contestò il significato che altri avevano
trovato nell'opera. Nel suo libro, intitolato La caricatura del buonsenso, Cleckley si riferisce a Finnegans Wake come
"a una collezione di 628 pagine di sciocchezzaio erudito indistinguibile, per la maggior parte della gente, dalla
familiare insalata di parole prodotta dai pazienti ebefrenici tra le corsie di qualsiasi ospedale pubblico". Lo stile di
Joyce tra flusso di coscienza, allusioni letterarie e libere associazioni oniriche, fu spinto al limite in Finnegans Wake,
che abbandonò ogni convenzione di intreccio e costruzione dei personaggi ed è scritto in un linguaggio peculiare e
oscuro, basato per lo più su complessi giochi di parole a molti livelli. Questo approccio è simile, ma in misura molto
più accentuata, a quello usato da Lewis Carroll in Jabberwocky. Questo ha portato molti lettori e critici a definire le
frequenti citazioni dell'Ulisse comprese nelle descrizioni della Veglia come il suo "inutilizzabile Libro Blu
dell'Ecclesiaste", riferito alla stessa Veglia.Comunque sia, i critici sono stati in grado di individuare un nucleo del
sistema dei personaggi e un intreccio generale. Molti dei giochi di parole del libro derivano dall'uso di giochi
multilinguistici che si basano su una vasta gamma di idiomi. Il ruolo giocato da Beckett e altri assistenti comprende
l'azione di confrontare parole derivanti da questi linguaggi e raccoglierle su degli schedari da mettere a disposizione
James Joyce
di Joyce e, dal momento che la vista peggiorò, di scrivere il testo sotto la dettatura dell'autore. La visione della storia
proposta in questo testo è fortemente influenzata da Giambattista Vico, e le visioni metafisiche di Giordano Bruno
sono importanti ai fini della comprensione delle interazioni tra i "personaggi". Vico propone una visione ciclica della
storia, nella quale la civiltà sorse dal caos, passò attraverso la fase teocratica, aristocratica e democratica, e quindi
precipitò di nuovo nel caos. L'esempio più evidente dell'influenza della teoria ciclica della storia di Vico va cercato
nelle parole di apertura e chiusura del libro. "Finnegans Wake"inizia con le parole:"corsa del fiume, passato di Eva e
Adamo, dalla curva della riva all'ansa della baia, ci conduce attraverso un ampio vicolo di ricircolazione indietro al
Perpetuo Castello degli Accerchiamenti" (dove "vicolo" è un gioco di parole su Vico) e finisce con "Lungo una
lontana una sola un'ultima un'amata la". In altre parole, il libro termina con l'inizio di una frase e comincia con la fine
della stessa, facendolo ruotare intorno a un grande perno circolare. In effetti Joyce disse che il lettore ideale della
Veglia doveva soffrire di una"insonnia ideale"e, dopo aver terminato il libro, doveva tornare indietro alla prima
pagina e ricominciare da capo, e così via, in un circolo di lettura senza fine.
Il romanzo è un'estremizzazione stilistica di Ulisse, anche qui troviamo il flusso di coscienza e le allusioni letterarie,
ma l'utilizzo di ben quaranta lingue, la creazione di neologismi tramite la fusione di termini di lingue differenti e
l'abbandono delle convenzioni della costruzione di una trama e dei personaggi (in un approccio simile a quello usato
da Lewis Carroll in Jabberwocky) ne rendono difficile sia la lettura che la traduzione. Le critiche al romanzo furono
aspre, anche da parte di Ezra Pound che fino ad allora aveva sempre sostenuto il lavoro di Joyce.
Sotto un certo punto di vista può essere considerato una prosecuzione di Ulisse. Ulisse, infatti, tratta del giorno e
della vita di una città, mentre Finnegans Wake è la notte e la partecipazione alla logica del sogno.
La frase "Three quarks for Muster Mark" presente nel romanzo è all'origine del termine dato dal Fisico Murray
Gell-Mann ai quark, un tipo di Particella subatomica. La parola quarks (quark) è una crasi dei termini componenti
l'espressione question marks.
Eredità
Le opere hanno avuto un'importante influenza su scrittori e studiosi come Samuel Beckett,[17][18] Flann O'Brien,[19]
Máirtín Ó Cadhain, Salman Rushdie,[20] Robert Anton Wilson,[21] e Joseph Campbell.[22]
Alcuni scrittori hanno avuto opinioni contrastanti sulle opere di Joyce. Secondo Nabokov[23] e Borges[24] Ulisse era
brillante e Finnegans Wake orribile. Il filosofo francese Jacques Derrida, che scrisse anche un libro sull'Ulisse,
raccontò di un turista che gli chiese in una libreria a Tokyo quale tra tutti quei libri fosse quello definitivo e gli
rispose che erano Ulisse e Finnegans Wake.[25]
L'influenza di Joyce esce dal campo della letteratura. La frase “three quarks for muster mark” in Finnegans Wake è
spesso considerata all’origine della parola “quark”, il nome di una particella elementare scoperta dal fisico Murray
Gell-Mann.[26] Lo psicoanalista francese Jacques Lacan, secondo il quale la scrittura ha tenuto Joyce lontano dalla
psicosi, usa la scrittura di Joyce per spiegare il suo concetto di sintomo.[27] Nel 1992 Umberto Eco, mentre sta
lavorando sul Finnegans Wake, conia i finneghismi, delle invenzioni linguistiche che consistono nell'unione ironica
di termini diversi (come oromogio = orologio che suona solo le ore tristi).
Significativo dello stile di Joyce è un aneddoto riportato da Stephen King: "Un giorno, andandolo a trovare, un
amico lo avrebbe trovato riverso sullo scrittoio in un atteggiamento di profonda disperazione. «James, cos’è che non
va?» avrebbe chiesto l’amico. «È il lavoro?». Joyce avrebbe assentito senza nemmeno sollevare la testa e guardare
l’amico. Era naturalmente il lavoro; non lo era sempre? «Quante parole hai scritto oggi?» avrebbe domandato
l’amico. E Joyce (sempre in preda alla disperazione, sempre con la faccia posata sulla scrivania): «Sette». «Sette?
Ma, James, è ottimo per te!» «Sì» avrebbe risposto Joyce alzando finalmente la testa «Suppongo di sì, ma non so in
che ordine vanno!».[28]
La vita e le opere di Joyce vengono celebrate nel Bloomsday (il 16 giugno) sia a Dublino che in un numero sempre
crescente di città nel mondo, e a Dedham, in Massachusetts, in cui si svolge una gara di dieci miglia in cui ogni
35
James Joyce
miglio è dedicato ad un'opera di Joyce.
Non tutti sono ansiosi di espandere gli studi su Joyce. Il nipote dello scrittore, l'unico beneficiario dell'eredità, ha
distrutto gran parte della corrispondenza di suo nonno[29] e minacciò di citare in giudizio chi tenesse letture
pubbliche delle opere del nonno nel Bloomsday[30] e bloccò l’adattamento delle opere bollandolo come
inappropriato.[31] Il 12 giugno 2006 la Carol Shloss, professoressa della Stanford University, chiamò in giudizio
Stephen per avere il permesso di usare materiale su Joyce e sua figlia nel suo sito.
Opere
Romanzi
•
•
•
•
Ritratto dell'artista da giovane (A Portrait of the Artist as a Young Man, 1916)
Ulisse (Ulysses, 1922)
Finnegans Wake (1939)
Stefano eroe (Stephen Hero, 1944) a cura di Theodore Spencer, n. ed. 1963
Racconti
• Gente di Dublino (Dubliners, 1914) - raccolta di 15 racconti
• Il gatto e il diavolo (1936) - ma pubblicato nel 1964
Raccolte di poesie
•
•
•
•
Musica da camera (Chamber Music, 1907)
Giacomo Joyce (1914, ma pubblicato postumo nel 1968)
Poesie da un soldo (Pomes Penyeach, 1927)
Collected Poems (1936)
Drammaturgie
• Esuli (Exiles), 1918, n. ed. 1951
Opere non narrative
•
•
•
•
•
Letters, Vol. 1, 1957, a cura di Stuart Gilbert, n. ed. 1966
Critical Writings, 1959, a cura di Ellsworth Mason e Richard Ellmann
Letters, Vol. 2, 1966, a cura di Richard Ellmann
Letters, Vol. 3, 1966, a cura di Richard Ellmann
Selected Letters, 1975, a cura di Richard Ellmann
36
James Joyce
Curiosità
• Nel film del 2011 di Martin Scorsese Hugo Cabret, James Joyce è uno degli avventori del bar della stazione in cui
si svolge il film.
Note
[1] Ellmann, Richard. James Joyce. p. 514
[2] Ellmann, p. 530 e 55
[3] Ellmann, p. 132
[4] Inizialmente la diagnosi era di cirrosi epatica, ma si rivelò incorretta e le venne diagnosticato il cancro nell'aprile del 1903
[5] Ellmann, p. 129, 136.
[6] Storia del Feis Ceoil Association
[7] La motivazione era "Non stampo quello che non capisco", Erlington, Irish Literaly Portaits, 136
[8] Ellmann, 210
[9] Ellmann, p 175
[10] Secondo Ellmann, Stanislaus permise a Joyce di usufruire della sua parte "per semplificare le cose".
[11] Il diverbio peggiore fu nel luglio 1910 (Ellmann, pp 311-313)
[12] Non è questa l'unica attività imprenditoriale di Joyce, che tenta anche, senza successo, di importare tweed irlandese a Trieste.
[13] Joyce, James. Gente di Dublino, Mondadori, p VI
[14] A questo proposito Joyce disse: "Voglio dare un'immagine di Dublino così completa che se la città dovesse un giorno scomparire
improvvisamente dalla faccia della terra sarà possibile ricostruirla dal mio libro".
[15] Sherry, Vincent B. James Joyce's Ulysses
[16] Bulson, Eric. The Cambridge Introduction to James Joyce. Cambridge University Press, 2006, p. 14
[17] Friedman, Malvin J. Una rassegna di Beckett and Joyce: Friendship and Fiction, Bucknell University Press (giugno 1979), ISBN
0-8387-2060-9
[18] Williamson, pp. 123-124, 179, 218
[19] Ad esempio, Hopper, p75: "In tutti i lavori di O'Brien la figura di Joyce volteggia all'orizzonte".
[20] Intervista a Salmon Rushdie di Margot Dijgraaf per il giornale tedesco NRC Handelsblad.
[21] Intervista a Anton Wilson di David A. Branton, trasmessa su HFJC, 87.7 FM, Los Altos Hills, California
[22] "About Joseph Campbell", Joseph Campbell Foundation.
[23] Quando voglio leggere un buon libro leggo Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust o Ulisse di Joyce (da una lettera di Nabokov a
Elena Sirosky, 3 agosto 1950, riportata in Nabokov's Butterflies: Unbublished and Incollected Writings, pp. 464-465
[24] Borges, p. 195
[25] Derrida, Ulysses Gramophone: Hear Say Yes in Joyce (in Acts of Literature, ed Derek Attridge, pp. 253-309), p 265
[26] "quark", An american Heritage Dictionary of the english Language, Fourth Edition 2000
[27] Evans, Dylan, An Introductory Dictionary of Lacanian Psychoanalysis, Routeledge, 1996, p 189.
[28] King, Stephen. On Writing. Sperling & Kupfer, 2001. ISBN 8820031019
[29] Max, The Injustice Collector
[30] M. Rimmer, Bloomsday: Copyright Estated and Cultural Festivals, (2005) 2:3 SCRIPT-ed 345
[31] Canavaugh, Ulysses Unbound
Bibliografia
Generale
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James Joyce
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• William York Tindall, A Reader's Guide to Finnegans Wake, Syracuse U. P., 1996 (prima ed. 1969).
Altri progetti
•
Wikisource contiene opere originali in lingua inglese di James Joyce
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Collegamenti esterni
• James Joyce (http://www.dmoz.org/Arts/Literature/World_Literature/Irish/Authors/Joyce,_James/) su
Open Directory Project ( Segnala (http://www.dmoz.org/public/suggest?cat=Arts/Literature/World_Literature/
Irish/Authors/Joyce,_James/) su DMoz un collegamento pertinente all'argomento "James Joyce")
• Carmelo Bene intervistato da Antonio Debenedetti Su Joyce e le sue opere (Video) (http://it.youtube.com/
watch?v=831235Pe3PE)
• (EN) sito ufficiale (http://www.jamesjoyce.ie/)
• James Joyce - Itinerari triestini - Università degli studi di Trieste (http://www.univ.trieste.it/~nirdange/
netjoyce/)
• Museo Joyce Trieste (http://www.retecivica.trieste.it/joyce_ita/)
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James Joyce
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Raccolta di poesie e foto (http://www.la-poesia.it/stranieri/inglesi/europei/joice/JJ_indice.htm)
James Joyce legge Finnegans Wake (http://www.ubu.com/sound/joyce.html)
Filmato in cui Joyce legge Finnegans Wake (http://parolesdesjours.free.fr/joyce.htm)
Ezra Pound sull'Ulisse (http://lafrusta.homestead.com/rec_pound.html)
L'"Odissea clinica di James Joyce" (http://www.paleopatologia.it/articoli/St_med/L_ODISSEA CLINICA DI
JAMES JOYCE.html)
• L'incontro tra Proust e Joyce (http://www.marcelproust.it/gallery/joyce.htm)
• James Joyce su Marcel Proust (http://www.marcelproust.it/proust/autori/joyce.htm)
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Wu Ming
Wu Ming (per esteso: Wu Ming Foundation) è un collettivo di scrittori
provenienti dalla sezione bolognese[1] del Luther Blissett Project
(1994-1999), divenuto celebre con il romanzo Q.
A differenza dello pseudonimo aperto "Luther Blissett", "Wu Ming"
indica un preciso nucleo di persone, attivo e presente sulle scene
culturali dal gennaio del 2000. Il gruppo è autore di numerosi romanzi,
tradotti e pubblicati in molti paesi, autodefinitesi parte del corpus (o
"nebulosa") del New Italian Epic.
"Ritratto" successivo all'uscita dal gruppo di Luca
Di Meo (Wu Ming 3) nel 2008
Wu Ming
41
Formazione
Il fatto che il gruppo si chiami "Senza nome" ha spesso generato
equivoci sul presunto anonimato dei suoi membri, i cui nomi anagrafici
sono invece noti e riportati anche sul sito ufficiale[2].
Dal 2000 alla primavera del 2008, la formazione ha compreso:
• Roberto Bui (Wu Ming 1)
• Giovanni Cattabriga (Wu Ming 2)
• Luca Di Meo (Wu Ming 3)
• Federico Guglielmi (Wu Ming 4)
• Riccardo Pedrini (Wu Ming 5).
Il 16 settembre 2008 il gruppo ha annunciato l'uscita di Luca di Meo
dal collettivo, avvenuta nella primavera precedente[3].
Logo di Wu Ming dal 2001 alla primavera del
2008, quando dal quintetto è fuoriuscito Luca Di
Meo (Wu Ming 3). L'immagine è stata rimossa
dal sito del collettivo nel 2008
Ciascuno dei quattro membri ha un nome d'arte individuale, una
produzione "solista" e una "voce" autoriale autonoma, riconoscibile dai lettori.
Significato del nome e posizione sul copyright
In cinese mandarino "wu ming" significa "senza nome" (caratteri tradizionali: 無 名; caratteri semplificati: 无 名;
pinyin: wú míng) oppure "cinque nomi" (cinese: 五 名; pinyin: wǔ míng), a seconda di come viene pronunciata la
prima sillaba. Il nome d'arte è inteso tanto come tributo alla dissidenza ("Wu Ming" è un modo di firmarsi frequente
presso i cittadini cinesi che chiedono democrazia e libertà di parola) quanto come rifiuto dei meccanismi che
trasformano lo scrittore in divo[4][5][6].
A questa scelta si lega anche la particolare posizione degli autori in ordine al diritto d'autore: tutte le opere di Wu
Ming sono infatti pubblicate sotto licenza Creative Commons e dal sito ufficiale del gruppo è possibile scaricare i
testi integrali [7], per i quali è consentita una riproduzione (totale o parziale) in qualunque formato, tranne che per
scopi commerciali.
Giap
Di notevole importanza nella produzione del collettivo è il loro blog Giap.
Apparizioni e immagine pubblica
Il collettivo Wu Ming si impegna in estesi tour di presentazioni e incontri con i lettori (oltre seicento iniziative nel
periodo 2000-2010) e i suoi membri appaiono spesso in pubblico.
I Wu Ming rifiutano di mettersi in posa per servizi fotografici e hanno come politica di non apparire mai in video.
Non hanno mai accettato inviti a trasmissioni televisive. Nemmeno sul loro sito ufficiale sono disponibili immagini
dei loro volti. La loro politica è quella di apparire soltanto di persona, in carne e ossa.
Il gruppo ha riassunto questa impostazione in un motto: "Trasparenti verso i lettori, opachi verso i media". Ecco
come Wu Ming 1 ha spiegato la posizione del gruppo in un'intervista del 2007:
« "Una volta che lo scrittore diventa un volto separato e alienato (nel senso letterale), comincia una ridda cannibalica, quel
volto appare ovunque, quasi sempre a sproposito. La foto testimonia la mia assenza, è un vessillo di distanza e solitudine.
La foto mi blocca, congela la mia vita in un istante, nega il mio trasformarmi in qualcos'altro, il mio divenire. Divento un
'personaggio', un tappabuchi per impaginazioni frettolose, uno strumento che amplifica la banalità. Al contrario la mia
voce, con la sua grana, con i suoi accenti, con la sua dizione imprecisa, le sue tonalità, ritmo e pausa, tentennamenti, è la
testimonianza di una presenza anche quando non ci sono, mi porta vicino alle persone, e non nega il mio divenire perché è
Wu Ming
42
[8]
una presenza dinamica, mossa, tremolante anche quando sembra ferma." »
Una trattazione più approfondita di questa posizione si trova in "La carne, le ossa, i volti di Wu Ming", primo
paragrafo del testo di Wu Ming 1 Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off (marzo 2009) [9].
Nell'ottobre 2009, in un intervento alla giornata seminariale "Scrittori all'Arsenale" (Venezia), Wu Ming 1 ha
spiegato:
« "Se potete evitare di fotografarci è meglio, [non fotografarci] è al vostro buon cuore, noi chiaramente non possiamo
impedirvi di farlo. Esistono foto nostre, [scattate] durante presentazioni, [...] mentre lavoriamo. La vera discriminante, il
vero distinguo è che noi non ci mettiamo in posa per servizi fotografici, le nostre interviste non sono mai corredate da
[10]
nostre foto."
»
L'insistenza dei Wu Ming sulla voce contrapposta all'immagine si concretizza in una sezione del loro sito,
l'Audioteca [11] ("a cui teniamo quasi come alle pupille dei nostri occhi"[12]), che raccoglie files in formato mp3 con
loro interventi pubblici, conferenze, letture, collaborazioni con musicisti etc.
Opere
Romanzi collettivi
•
•
•
•
•
Q, come Luther Blissett, Torino, Einaudi, 1999. ISBN 88-06-14740-4.
Asce di guerra, con Vitaliano Ravagli, Milano, Tropea, 2000. ISBN 88-438-0269-0.
54, Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-16203-9.
Manituana, Torino, Einaudi, 2007. ISBN 978-88-06-18584-8.
Altai, Torino, Einaudi, 2009. ISBN 978-88-06-19896-1.
Raccolte di racconti
• Anatra all'arancia meccanica. Racconti 2000-2010, Torino, Einaudi, 2011. ISBN 978-88-06-20638-3.
Romanzi solisti
•
•
•
•
•
•
•
•
Libera Baku ora, come Riccardo Pedrini (Wu Ming 5), Roma, DeriveApprodi, 2000. ISBN 88-87423-25-3.
Havana Glam, come Wu Ming 5, Roma, Fanucci, 2001. ISBN 88-347-0821-0.
New Thing, come Wu Ming 1, Torino, Einaudi, 2004. ISBN 88-06-16276-4.
Guerra agli umani, come Wu Ming 2, Torino, Einaudi, 2004. ISBN 88-06-16812-6.
Free Karma Food, come Wu Ming 5, Milano, Rizzoli, 2006. ISBN 88-17-01050-2.
Stella del mattino, come Wu Ming 4, Torino, Einaudi, 2004. ISBN 978-88-06-18694-4.
Il sentiero degli dei, come Wu Ming 2, Portogruaro, Ediciclo, 2010. ISBN 978-88-88829-96-8.
Timira. [Romanzo meticcio], come Wu Ming 2, con Antar Mohamed, Torino, Einaudi, 2012. ISBN
978-88-06-20592-8.
• Point Lenana, come Wu Ming 1, con Roberto Santachiara, Torino, Einaudi, 2013. ISBN 978-88-06-21075-5.
Wu Ming
Romanzi brevi
• Previsioni del tempo, Milano, Edizioni Ambiente, 2008. ISBN 978-88-89014-51-6; Torino, Einaudi, 2010. ISBN
978-88-06-20267-5.
• Grand River. [Un viaggio], Milano, Rizzoli, 2008. ISBN 978-88-17-02043-5.
Romanzi “totali”
• Ti chiamerò Russell. Romanzo totale 2002, come Wu Ming n+1, Imola, Bacchilega, 2002. ISBN 88-88775-03-X.
(scritto on-line a più mani)
• La potenza di Eymerich. Romanzo totale. KZ 001, come Kai Zen & AA.VV., Imola, Bacchilega, 2005. ISBN
88-88775-27-7.
Saggi e scritti vari
• Nemici dello Stato. Criminali, «Mostri» e leggi speciali nella società di controllo, come Luther Blissett Project,
Roma, DeriveApprodi, 1999. ISBN 88-87423-05-9.
• Esta revolución no tiene rostro. Escritos sobre literatura, catástrofes, mitopoiesis, Madrid, Acuarela, D.L., 2002.
ISBN 84-9562-702-7. (raccolta di articoli, racconti e scritti vari in spagnolo)
• Giap! Tre anni di narrazioni e movimenti, Torino, Einaudi, 2003. ISBN 88-06-16559-3. (raccolta di articoli,
racconti e scritti vari)
• Il caso Battisti. L'emergenza infinita e i fantasmi del passato, come Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Wu
Ming 1 e altri, Rimini, Nda Press, 2004. ISBN 88-89035-03-X.
• La sfida di Elmore Leonard ai traduttori italiani [13], come Wu Ming 1, in Noir in festival 2006. Courmayeur
5-11 dicembre 2006, Roma, Noir in festival, 2006.
• New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009. ISBN
978-88-06-19678-3. (raccolta di saggi sulla letteratura)
• Il sentiero degli dei, come Wu Ming 2, Portogruaro, Ediciclo, 2010. ISBN 978-88-88829-96-8. (oggetto narrativo
non identificato dedicato alla Via degli Dei e al territorio appenninico tra Bologna e Firenze)
• L'eroe imperfetto. Letture sulla crisi e la necessità di un archetipo letterario, come Wu Ming 4, Milano,
Bompiani, 2010. ISBN 978-88-452-6503-7. (raccolta di saggi sulla letteratura)
• Giap. L'archivio e la strada: Scritti 2010-2012, Simplicissimus Book Farm, 2013.
Fumetti
• La Ballata del Corazza, come Wu Ming 2, disegni di Onofrio Catacchio, Scandiano, Edizioni BD, 2005. ISBN
88-87658-83-8.
• Gap 99, come Wu Ming 4, disegni di Elia Bonetti, in Cattivi soggetti. Il noir italiano a fumetti, Milano, Bur
Rizzoli, 2010. ISBN 978-88-17-02739-7.
Audiolibri
• Pontiac. Storia di una rivolta, come Wu Ming 2, Giuseppe Camucoli e Stefano Landini, con CD, Reggio Emilia,
Vincent Books, 2010. ISBN 978-88-904980-0-8. (testi e voce di Wu Ming 2. Musiche di Egle Sommacal, Paul
Pieretto, Stefano Pilia, Federico Oppi. Illustrato da Giuseppe Camuncoli e Stefano Landini)
• Basta uno sparo. Storia di un partigiano italo-somalo nella resistenza italiana, come Wu Ming 2, con CD,
Massa, Transeuropa, 2010. ISBN 978-88-7580-099-4. (testi e voce di Wu Ming 2. Musiche di Egle Sommacal,
Paul Pieretto, Stefano Pilia, Federico Oppi)
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Wu Ming
Sceneggiature
• Lavorare con lentezza di Guido Chiesa (2004)
• 51 di Wu Ming 2, episodio del film collettivo Formato ridotto di Antonio Bigini, Claudio Giapponesi, Paolo
Simoni (2012)
Introduzioni, prefazioni, postfazioni
• Prefazione di Wu Ming 3 a Diego Armando Maradona, Io sono el Diego, Roma, Fandango libri, 2002. ISBN
88-87517-31-2.
• Postfazione di Wu Ming 1 a Patrick Symmes, Sulle orme del Che. Un viaggio in moto alla ricerca del giovane
Guevara, Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-16415-5.
• Il Ragno e la città, prefazione di Wu Ming 5, a Stan Lee, Spider-Man. Le storie più belle: 1962-2002, Torino,
Einaudi, 2002. ISBN 88-06-16352-3.
• Neuromante: Il gioco degli archetipi, introduzione di Wu Ming 4 a William Gibson, Neuromante, Milano,
Mondadori, 2003.
• Junto a los rios de Babilonia, saggio introduttivo di Wu Ming 4 a Thomas Edward Lawrence, Guerrilla, Madrid,
Acuarela, 2004. ISBN 84-9562-705-1.
• Prefazione a Lester Bangs, Guida ragionevole al frastuono più atroce, Roma, Minimum Fax, 2005. ISBN
88-7521-038-1.
• Postfazione di Wu Ming 1 a Elmore Leonard, Mr Paradise, Torino, Einaudi, 2005. ISBN 88-06-17263-8.
• Introduzione di Wu Ming 2 a Henry David Thoreau, Walden. Vita nel bosco, Roma, Donzelli, 2005. ISBN
88-7989-955-4.
• Prefazione a Henry Jenkins, Cultura convergente, Milano, Apogeo, 2007. ISBN 978-88-503-2629-7.
• Presentazione di Sun Tsu, L'arte della guerra, Roma, Newton Compton, 2008. ISBN 978-88-541-1137-0.
• Prefazione di Wu Ming 2 a Daniel J. Levitin, Fatti di musica. La scienza di un’ossessione umana, Torino, Codice
Edizioni, 2008. ISBN 978-88-7578-098-2.
• Prefazione di Wu Ming 2 a Luca Gianotti, L'arte di camminare. Consigli per partire con il piede giusto,
Portogruaro, Ediciclo, 2011. ISBN 978-88-6549-015-0.
• Prefazione di Wu Ming 2 a Giuliano Santoro, Su due piedi, camminare per un mese attraverso la Calabria,
Catanzaro, Rubbettino, 2012. ISBN 978-88-4983-385-0
Traduzioni di Wu Ming 1
• Patrick Symmes, Sulle orme del Che. Un viaggio in moto alla ricerca del giovane Guevara, Torino, Einaudi,
2002. ISBN 88-06-16415-5.
• Elmore Leonard, Tishomingo Blues, Torino, Einaudi, 2003. ISBN 88-06-16622-0.
• Elmore Leonard, Mr Paradise, Torino, Einaudi, 2005. ISBN 88-06-17263-8.
• Elmore Leonard, Cat Chaser, Torino, Einaudi, 2005. ISBN 88-06-17919-5.
• Elmore Leonard, Freaky Deaky, Torino, Einaudi, 2007. ISBN 978-88-06-18982-2.
• Walter Mosley, Little Scarlet, Torino, Einaudi, 2008. ISBN 978-88-06-19404-8.
• Stephen King, Notte buia, niente stelle, Milano, Sperling & Kupfer, 2010. ISBN 978-88-200-4962-1.
• Stephen King, 22/11/'63, Milano, Sperling & Kupfer, 2011. ISBN 978-88-200-5135-8.
Wu Ming 1 ha anche scritto un breve saggio su come rendere in italiano la prosa di Elmore Leonard, pubblicato nel
catalogo del Courmayeur Noir in Festival 2006, durante il quale Leonard ha ricevuto il Raymond Chandler
Award[14].
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Wu Ming
Scritti su Wu Ming
• Luca Muchetti, Storytelling. L'informazione secondo Luther Blissett, Arcipelago Edizioni, 2008
• Gaia De Pascale, Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori, Il Nuovo Melangolo, 2009
Note
[1] Nonostante i media spesso li definiscano "autori bolognesi", in realtà soltanto un membro del collettivo, Wu Ming 2, è nato a Bologna (
Intervista a Wu Ming 2 sul settimanale bolognese "La Stefani" (http:/ / www. lastefani. it/ settimanale/ article. php?directory=081211&
block=999& id=1)
[2] «Il fatto che i Police avessero quel nome non significa che Sting, Andy Summers e Stewart Copeland fossero poliziotti, giusto?» ( Intervista
alla rivista inglese 3AM Magazine del 19 agosto 2003 (http:/ / www. wumingfoundation. com/ english/ giap/ Giapdigest24. html).
[3] "Un dispaccio col cuore in mano e l'anima oltre le fiamme" (http:/ / www. wumingfoundation. com/ italiano/ Giap/ giap1_IXa. htm#gummo),
da Giap n. 1, nona serie, settembre 2008.
[4] "Raccontare storie è un lavoro peculiare, che può comportare vantaggi a chi lo svolge, ma è pur sempre un lavoro, tanto integrato nella vita
della comunità quanto lo spegnere incendi, arare i campi, assistere i disabili etc. [...] Il narratore ha il dovere di non credersi superiore ai suoi
simili. È illegittima qualsiasi concessione all'immagine idealistica e romantica del narratore come creatura presuntamente più 'sensibile', in
contatto con dimensioni dell'essere più elevate, anche quando scrive di assolute banalità quotidiane. "Wu Ming" è anche un riferimento al
terzo verso del Dàodéjīng (Tao Te Ching): "Wu ming tian di zhi shi"( 無 名 天 地 之 始 ), "Senza nome è l'origine del cielo e della
terra". In fondo anche gli aspetti più ridicoli e da baraccone del mestiere di scrivere si basano su una versione degradata del mito dell'artista,
che diventa "divo" proprio perché lo si crede in qualche modo superiore ai 'comuni mortali', meno meschino, più interessante e sincero, in un
certo senso eroico poiché sopporta i 'tormenti' della creazione. Il fatto che lo stereotipo dell'artista 'macerato' e 'tormentato' susciti più
sensazionalismo e abbia più peso della fatica di chi ripulisce fosse biologiche, fa comprendere quanto distorta sia l'attuale scala di valori." Da
una dichiarazione di Wu Ming (http:/ / www. wumingfoundation. com/ italiano/ Diritti. htm) di settembre 2000.
[5] In occasione dell'uscita del primo romanzo, Q, quando non erano ancora conosciuti i nomi dei veri autori, diverse ipotesi furono avanzate
negli ambienti letterari, tra le quali quella di una produzione firmata Umberto Eco, ipotesi che fu, peraltro, prontamente smentita. Forse per via
di questo precedente, nel 1997 un pamphlet anonimo intitolato "Il nome multiplo di Umberto Eco", da più parti ritenuto una pubblicazione di
estrema destra, accusò Eco di essere la mente dietro il progetto Luther Blissett, asserzione ridicolizzata tanto dall'interessato quanto dagli
aderenti al progetto.
[6] Nella pagina biografica sul sito ufficiale di Wu Ming è presente una sezione intitolata "Elenco incompleto di leggende urbane e dicerie sul
nostro conto" (http:/ / www. wumingfoundation. com/ italiano/ biografia. htm#lies).
[7] http:/ / www. wumingfoundation. com/ giap/ ?page_id=6338
[8] The Perfect Storm, ovvero: l'intervista-monstre (http:/ / www. wumingfoundation. com/ italiano/ Giap/ giap10_VIIIa. htm#3), da Giap n.10,
ottava serie, 18 aprile 2007. Collage di botta-e-risposta da: Pulp n.66 (marzo 2007), Il Mucchio n. 633 (aprile 2007), Tribe n.101 (aprile 2007),
Carta n.12 (anno V, 31/03/2007), Off (23/03/2007) e ilveronese.it. Sul sito del collettivo, in corrispondenza delle parole "la mia voce" c'è un
collegamento a un file mp3. Si tratta della voce di P. T. Barnum incisa nel 1890 su un fonografo di Edison.
[9] Wu Ming 1, Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off. Due modi di gettare il proprio corpo nella lotta (http:/ / www. wumingfoundation. com/
italiano/ outtakes/ Wu_Ming_Tiziano_Scarpa_Face_Off. pdf) (pdf). Si tratta di un confronto tra le diverse poetiche di Wu Ming e del
romanziere Tiziano Scarpa, a partire da uno scritto di quest'ultimo molto critico nei confronti dei Wu Ming e del loro libro New Italian Epic.
[10] Wu Ming 1, "Dal filosofo mascherato allo scrittore-guerriglia", intervento all'incontro "Scrittori all'Arsenale / Sottrazioni d'autore",
organizzato dal laboratorio Ibridamenti e svoltosi alla Sala delle Galeazze dell'Arsenale di Venezia il 23 ottobre 2009. Mp3 nell'audioteca di
wumingfoundation.com (http:/ / www. wumingfoundation. com/ suoni/ suoni_extended. htm).
[11] http:/ / www. wumingfoundation. com/ suoni/ suoni. html
[12] Ibidem
[13] http:/ / www. wumingfoundation. com/ italiano/ Giap/ nandropausa11. htm#10
[14] Elmore to be presented Raymond Chandler Award, elmoreleonard.com, July 29, 2006 (http:/ / www. elmoreleonard. com/ index. php?/
weblog/ elmore_to_be_presented_raymond_chandler_award/ )
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Wu Ming
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Voci correlate
• Kai Zen
Altri progetti
•
Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file su Wu Ming (http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Wu_Ming?uselang=it)
•
Wikiquote contiene citazioni di o su Wu Ming
Collegamenti esterni
• Sito ufficiale del collettivo (http://www.wumingfoundation.com).
• "Di come Colpo secco ispirò una rivoluzione culturale. Intervista alla Wu Ming Foundation", prima (http://www.
carmillaonline.com/archives/2006/10/001964.html) e seconda parte (http://www.carmillaonline.com/
archives/2006/10/001965.html#001965). L'intervistatore è il professor Henry Jenkins, titolare della cattedra di
studi comparativi sui media al MIT di Boston.
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Saggio sulla lucidità
Saggio sulla lucidità
Titolo originale Ensaio sobre a Lucidez
Autore
1ª ed. originale
Genere
Sottogenere
José Saramago
2004
romanzo
romanzo a sfondo sociale
Lingua originale portoghese
Ambientazione
Protagonisti
Coprotagonisti
Antagonisti
una città senza nome, capitale di un paese senza nome
il commissario
la moglie del medico, il primo ministro, il presidente della repubblica
il ministro dell'interno
Altri personaggi l'ispettore, l'agente di seconda classe, il primo cieco, altri ministri
« Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì, che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire
il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello stato
di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni. »
(Un passo del discorso del presidente della repubblica agli abitanti della città che ha votato in massa scheda bianca)
Saggio sulla lucidità (titolo originale, in lingua portoghese: Ensaio sobre a Lucidez) è un romanzo dello scrittore e
premio Nobel per la letteratura portoghese José Saramago, edito nel 2004. È una sorta di seguito del romanzo Cecità
(Ensaio sobre a Cegueira, che gli valse il Nobel nel 1998) del 1995, in quanto accomunato a questo dalla presenza di
alcuni personaggi.
Saggio sulla lucidità
La trama
I risultati delle elezioni amministrative in una capitale senza nome di un paese, anch'esso senza nome, mostrano
l'insolita preferenza dei cittadini (oltre il 70%) per le schede bianche. Il governo del paese, retto da un non meglio
specificato p.d.d. (partito di destra), che si contende il potere con il p.d.m. (partito di mezzo) e il minoritario p.d.s.
(partito di sinistra), decide di far spiare i cittadini dalla polizia e di indire nuove elezioni, annullando le precedenti.
Nonostante i metodi molto duri e repressivi, la polizia non riesce a scoprire nulla di nuovo, non c'è nessuna traccia
dell'organizzazione criminale e sovversiva cercata dal governo, e le nuove elezioni danno un risultato ancora più
sorprendente: l'83% delle schede scrutinate risulta essere composto da schede bianche.
Visti i pochi progressi delle indagini, il governo decide di auto-esiliarsi e di porre la capitale in stato d'assedio,
ritirando ogni traccia delle istituzioni centrali, comprese le forze di polizia, eccetto per quel che riguarda elementi
che hanno il compito di scoprire le cause di quanto avvenuto. Ben presto viene compiuto un attentato in una stazione
della metropolitana, che lo stesso governo, nella persona del ministro dell'interno, ha ordito, ma la colpa viene
addossata ai cosiddetti biancosi, cioè all'organizzazione sediziosa accusata dal governo di aver fatto votare scheda
bianca alla grande maggioranza della popolazione della capitale.
In risposta a un lancio di volantini sulla città da parte del governo, una lettera giunge nelle mani del presidente della
repubblica, del primo ministro e del ministro dell'interno. Un uomo, che si rivela essere il primo cieco, confessa di
conoscere una donna che al tempo della "cecità bianca" di quattro anni prima, era stata l'unica a non perdere la vista
e aveva anche ucciso un uomo. Effettivamente, in Cecità, la donna (denominata la moglie del medico) aveva ucciso
un uomo, che, insieme ad altri ciechi, costringeva una parte delle persone internate dal governo in un ex manicomio
a scambiare il cibo con rapporti sessuali. Il ministro dell'interno mette immediatamente in relazione la cecità
dell'epoca e i risultati delle elezioni, sostenendo che la "colpevole" della sedizione non può che essere l'unica a non
essere diventata cieca anni addietro.
« Ti domando se dire che un accusato è innocente significa fallire una indagine, Sì, se l'indagine è stata concertata per fare di
un innocente un colpevole »
(Uno scambio di battute tra il commissario e l'ispettore)
Per accertare questo, o, meglio, per far creare prove false a supporto di questa ipotesi, il ministro dell'interno invia
un commissario, un ispettore e un agente di seconda classe in città. Questi avrebbero avuto il compito di interrogare
il primo cieco, sua moglie, la moglie del medico e suo marito, il vecchio con la benda e quella che, alla fine
dell'epidemia di cecità, era diventata la sua compagna, una ex-prostituta, denominata la ragazza con gli occhiali
scuri. Queste persone, infatti, avevano fatto parte del gruppo di ciechi guidati dalla moglie del medico, l'unica dotata
della vista. Dopo i primi interrogatori e pedinamenti, il gruppo di poliziotti finisce per solidarizzare con i componenti
del gruppo. Questo rende il commissario, che maggiormente si fa portatore di critiche all'operato del governo, un
nemico per il ministro dell'interno, protagonista e promotore delle scelte dell'esecutivo. Il ministro, dopo aver
richiesto al commissario di fornirgli una foto del gruppo, consegnandola all'uomo con la cravatta blu a pallini
bianchi, lascia da solo il commissario, facendo uscire dalla città i due sottoposti. Il commissario, lasciato solo, viene
ucciso dallo stesso uomo, su ordine del ministro dell'interno. Quest'ultimo viene rimosso dal suo incarico dal primo
ministro, ma ciò non mette fine alle azioni dell'uomo con la cravatta blu a pallini bianchi, il quale, approfittando
della solitudine della moglie del medico (suo marito è stato arrestato dalla polizia), la uccide, sparando a lei e al suo
cane (il cane delle lacrime), con un fucile di precisione.
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Saggio sulla lucidità
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Stile e tematiche
In questa opera, come in altre opere di Saramago, viene utilizzato uno stile che prevede l'assenza di nomi propri per i
personaggi, identificati tramite espressioni impersonali (come il commissario, l'agente di seconda classe, la moglie
del medico, e così via). I dialoghi non sono introdotti dai due punti, né vengono utilizzate le virgolette. I dialoghi
vedono le frasi dei vari partecipanti separate da una virgola, seguita da una parola che inizia con una lettera
maiuscola.
« Venne ad aprire la moglie del medico, che domandò, Chi siete, che volete, Siamo agenti di polizia »
(Un esempio di come si svolgono i dialoghi nell'opera)
Una tematica ricorrente nel libro è quella dell'arroganza del potere, che Saramago mette molto in risalto, nei rapporti
tra i vari esponenti del governo, in quelli tra il governo e il popolo, in quelli tra i vari livelli di governo (il ministro
dell'interno e il sindaco della città), nei rapporti tra il ministro dell'interno e il commissario, nei rapporti tra il
commissario e i suoi sottoposti. Altro tema è quello delle bugie degli esponenti del governo, che mettono in piedi un
autoattentato (alla metropolitana) e fanno uccidere il commissario, salvo poi elevare questo a "eroe della patria" per
guadagnare voti.
Edizioni italiane
• José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana "ET Scrittori" n. 1369, traduzione di Rita Desti, Torino, Einaudi,
2005, pp. 290, cap. 18, non numerati. ISBN 9788806179410
• José Saramago, Saggio sulla lucidità, collana "UEF" n. 2273, stessa traduzione, Milano, Feltrinelli, 2011. ISBN
9788807722738
Altri progetti
•
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Portale Portogallo
José Saramago
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José Saramago
« Il Maestro è uno degli ultimi titani di un genere letterario in via di estinzione »
(Harold Bloom su Saramago, Il genio, BUR, 2003)
José de Sousa Saramago (IPA: [ʒuˈzɛ saɾaˈmaɡu]) (Azinhaga, 16
novembre 1922 – Tías, 18 giugno 2010) è stato uno scrittore, critico
letterario, poeta, drammaturgo e giornalista portoghese, premio Nobel
per la letteratura nel 1998.
Biografia
Il padre di Saramago, José de Sousa, era un agricoltore, che si trasferì
con la famiglia a Lisbona nel 1924, dove trovò lavoro come
poliziotto.[] Il fratello minore di Saramago, Francisco, morì a soli due
anni, pochi mesi dopo l'arrivo a Lisbona.
José Saramago
Nobel per la letteratura 1998
A causa delle difficoltà economiche, Saramago fu costretto ad abbandonare gli studi all'Istituto Tecnico. Dopo
occupazioni precarie di ogni tipo, trovò un impiego stabile nel campo dell'editoria e per dodici anni lavorò come
direttore di produzione.
Saramago sposò Ida Reis nel 1944. La loro unica figlia, Violante, nacque nel 1947.[]
Nel 1947 scrisse il suo primo romanzo Terra del peccato (che in seguito ripudiò come un figlio scapestrato), ma il
dittatore del Portogallo, Salazar, a cui Saramago si era sempre opposto tenacemente e dal quale era sempre stato
pesantemente censurato nella propria attività giornalistica, non l'accolse benevolmente. S'iscrisse clandestinamente al
Partito Comunista Portoghese nel 1969,[] riuscendo sempre ad evitare di finire nelle mani della polizia politica del
regime.
Durante gli anni sessanta riscosse molto successo la sua attività di critico letterario per la rivista Seara Nova. La sua
prima raccolta di poesie I poemi possibili risale a quegli anni, precisamente al 1966.
Negli anni settanta diventò direttore di produzione per una casa editrice e, dal 1972 al 1973, curò l'edizione del
giornale Diario de Lisboa. In quegli stessi anni pubblicò diverse poesie, Probabilmente allegria (1970), diverse
cronache, come Di questo e d'altro mondo (1971), Il bagaglio del viaggiatore (1973) e Le opinioni che DL ebbe
(1974), ma anche testi teatrali, romanzi e racconti.
Dal 1974 in poi, in seguito alla cosiddetta "Rivoluzione dei garofani" Saramago si dedicò completamente alla
scrittura e gettò le fondamenta di quello che può essere definito un nuovo stile letterario ed una nuova generazione
post-rivoluzionaria.
Saramago pubblicò qualche anno dopo, nel 1977, il romanzo Manuale di pittura e calligrafia e, nel 1980, Una terra
chiamata Alentejo. Il successo arrivò, però, con Memoriale del convento (1982). Nello spazio di pochi anni videro la
luce altre due opere importanti, L'anno della morte di Ricardo Reis (1984) e La zattera di pietra, che gli varranno,
oltre al successo di pubblico, numerosi riconoscimenti della critica.
Il riconoscimento a livello internazionale arrivò solo negli anni novanta, con Storia dell'assedio di Lisbona, una delle
più belle storie d'amore mai scritte, il controverso Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Cecità. Nel 1998 gli venne
assegnato il premio Nobel per la letteratura perché "con parabole, sostenute dall'immaginazione, dalla compassione e
dall'ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare"[1]. Del discorso che tenne alla
consegna del premio famoso è l'incipit: "l'uomo più saggio ch'io abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere
né di scrivere", disse riferendosi a suo nonno.
José Saramago
Sempre nel 1998 Saramago sposò, in seconde nozze, Pilar del Rio che ha tradotto le sue opere in lingua spagnola.[]
Nel 2002 fu eletto presidente onorario dell'Associazione Luca Coscioni (associazione Radicale) per la libertà di
ricerca scientifica.[2]
Saramago è morto il 18 giugno 2010 intorno alle 13,00 nella sua residenza di Tías, nelle Isole Canarie.[3]
Nel 2011 viene pubblicato postumo un suo romanzo scritto nel 1953, Lucernario. [4]
Prese di posizione
Il rapporto con la religione
Le sue posizioni sulla religione (si è sempre dichiarato ateo) hanno suscitato notevoli controversie in Portogallo.
Dopo la pubblicazione de Il Vangelo secondo Gesù Cristo, le aspre critiche rivoltegli lo indussero a lasciare il paese
per vivere alle Canarie. Di nuovo, nel 2009, con l'uscita del suo ultimo romanzo Caino, Saramago si trovò a
polemizzare con la chiesa cattolica portoghese, criticando la Bibbia, poiché descrive un Dio «vendicativo, rancoroso,
cattivo, indegno di fiducia».
Il Vangelo secondo Gesù Cristo (uscito nel 1997) non è un'opera in sé blasfema, ma si tratta in realtà di una
reiscrizione della vicenda del Messia cristiano alla luce dei vangeli ritenuti dalla Chiesa apocrifi, che Saramago
considera invece i soli attendibili, confrontati con i sinottici, che sarebbero stati scritti molto dopo le lettere di San
Paolo (dal 70 al 110)) e quindi molti decenni dopo la vicenda di cui trattano, dando di Gesù Cristo l'interpretazione
paolina e non storica. Su tale base Saramago articola la storia di Gesù a partire da alcune realtà storiche che egli
ritiene attendibili, ma inaccettabili per la dottrina cristiana. Tra le altre cose, Gesù quale primogenito avrebbe avuto
otto fratelli partoriti in seguito da Maria: Giacomo, Lisia, Giuseppe, Giuda, Simone, Lidia, Giusto e Samuele [5].
Le accuse di antisemitismo
Nel commentare il conflitto israelo-palestinese, Saramago aveva affermato riguardo gli ebrei:
« Vivere nell'ombra dell'olocausto ed aspettarsi di essere perdonati di ogni cosa che fanno, a motivo della loro sofferenza
passata, mi sembra un eccesso di pretese. Evidentemente non hanno imparato molto dalla sofferenza dei loro genitori e dei
loro nonni »
(Jose' Saramago)
« Quello che sta accadendo in Palestina è un crimine che possiamo paragonare agli orrori di Auschwitz »
(Jose' Saramago)
La Lega per l'Anti-Diffamazione (ADL), "associazione contro la diffamazione del popolo ebraico", ha definito
queste affermazioni anti-semite. Abraham Foxman, presidente dell'ADL, ha dichiarato: «I commenti di José
Saramago sono sovversivi e profondamente offensivi, oltre a dimostrare l'ignoranza relativa agli argomenti che porta
a sostegno dei suoi pregiudizi nei confronti degli ebrei».[6]
Saramago fece notare che le sue critiche non erano rivolte agli ebrei ma alla politica che Stato di Israele porta avanti
nei confronti dei palestinesi. Sostenne inoltre che Israele non poteva affermare di rappresentare legittimamente il
giudaismo a livello mondiale e che stava usando le accuse di anti-semitismo per sminuire qualsiasi critica
riguardante azioni ingiustificabili e che sarebbero considerate inaccettabili se perpetrate da qualsiasi altro Stato
medio-orientale. Tutto ciò è spiegato in questa lettera scritta con altri intellettuali:
« Una lettera di John Berger, Noam Chomsky, Harold Pinter, José Saramago, Gore Vidal
Il capitolo più recente del conflitto tra Israele e Palestina è iniziato quando effettivi israeliani hanno prelevato con la forza
da Gaza due civili, un medico e suo fratello. Di questo incidente non si è parlato da nessuna parte, eccetto sulla stampa
turca. Il giorno dopo i palestinesi hanno catturato un soldato israeliano proponendo uno scambio con i prigionieri in mano
50
José Saramago
51
agli israeliani: ce ne sono circa 10 mila nelle carceri di Israele.
Che questo "rapimento" sia ritenuto un'atrocità, mentre si considera un fatto deplorevole ma che fa parte della vita che le
Forze di Difesa Israeliane esercitino l'illegale occupazione militare della Cisgiordania e l'appropriazione sistematica delle
sue risorse naturali, in particolare dell'acqua, è tipica della doppia morale usata con ricorrenza dall'Occidente di fronte a
quanto sopravvenuto ai palestinesi, negli ultimi settanta anni, nella terra assegnata loro dai trattati internazionali.
Oggi, all'atrocità segue un'altra atrocità: i razzi artigianali si incrociano con i sofisticati missili. Questi ultimi hanno il loro
bersaglio dove vivono i poveri ed i diseredati che aspettano l'arrivo di quello che qualche volta si è chiamata giustizia.
Entrambe le categorie di proiettili lacerano i corpi in maniera orribile; chi, salvo i comandanti in campo, può dimenticare
questo per un momento?
Ogni provocazione ed il suo contraccolpo vengono impugnati e sono motivo di sermoni. Ma gli argomenti che seguono,
accuse e solenni promesse, servono solo da distrazione per evitare che il mondo presti attenzione ad uno stratagemma
militare, economico e geografico di lungo termine il cui obiettivo politico non è niente di meno che la liquidazione della
nazione palestinese.
Questo bisogna dirlo forte e chiaro perché lo stratagemma, solo per metà manifesto, ed a volte occulto, avanza molto
rapidamente nei giorni che passano e, secondo la nostra opinione, dobbiamo riconoscerlo quale è, incessantemente ed
eternamente, ed opporci ad esso.
[7]
Mieussy, Francia 23 luglio 2006 »
La polemica sulle vignette anti-islamiche
Nel 2007 José Saramago fu al centro di numerose critiche relative all'atteggiamento tenuto nei confronti delle
reazioni verificatesi in alcuni paesi musulmani, dopo la pubblicazione da parte di un quotidiano danese di alcune
vignette satiriche anti-islamiche (v. Caricature di Maometto sullo Jyllands-Posten).
Saramago si pronunciò in questo modo:
« quello che mi ha davvero spiazzato è l'irresponsabilità dell'autore o degli autori di quei disegni. Alcuni ritengono che la
libertà di espressione sia un diritto assoluto. Ma la cruda realtà impone dei limiti »
Vi è stato chi ha fatto notare la contraddizione di questa presa di posizione con il diverso atteggiamento
successivamente assunto nei confronti di un analogo caso di satira rivolta a figure simbolo della religione cristiana[8].
Iberismo
Saramago è stato un convinto sostenitore dell'iberismo (cioè la necessità di avere un'unica entità politica nella
penisola iberica). A luglio 2007 in una lunga intervista al Diario de Noticias (di cui è stato vice direttore[9]) affermò
che tra Spagna e Portogallo vi sarebbe stata una naturale integrazione che avrebbe portato ad una futura unità.[10] In
una sua opera, La zattera di pietra, lo scrittore immagina una separazione fisica della penisola dal resto d'Europa.
Berlusconi
(PT)
« “Até quando, ó Berlusconi, abusarás da nossa
paciência?” »
(IT)
« Fino a quando, o Berlusconi, abuserai della nostra
pazienza? »
(José Saramago, dal suo libro «O Caderno de Saramago» ISBN 978-85-359-1491-7)
Saramago aveva aperto un blog dove scriveva costantemente, mantenendo così il contatto diretto con i suoi lettori.
Dalle sue pagine aveva contestato duramente il leader italiano del centrodestra Silvio Berlusconi per la sua
politica[11]. In seguito a tale articolo, la casa editrice Einaudi (controllata dal 1994 dal Gruppo Mondadori[12] di
proprietà del Cavaliere) annunciò che non avrebbe pubblicato la raccolta dei suoi scritti sul blog denominata Il
José Saramago
quaderno, che sarà comunque edita in Italia, ma a cura di Bollati Boringhieri[13]. In seguito, tutta la produzione di
Saramago passa dalla casa dello Struzzo a un'altra, la Feltrinelli.
Lo stile narrativo
Uno dei tratti che più caratterizzano le opere di Saramago è il narrare eventi da prospettive piuttosto insolite e
controverse, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l'evento. Sotto molti aspetti, alcune sue opere
potrebbero essere definite allegoriche.
Saramago tende a scrivere frasi molto lunghe, usando la punteggiatura in un modo anticonvenzionale. Ad esempio,
non usa le virgolette per delimitare i dialoghi, non segna le domande col punto interrogativo; i periodi possono essere
lunghi anche più di una pagina e interrotti solo da virgole dove la maggior parte degli scrittori userebbe dei punti.
Molte delle sue opere, come Cecità, Saggio sulla lucidità e Le intermittenze della morte iniziano con un
avvenimento inaspettato, surreale o impossibile, che si verifica in un luogo imprecisato. Non ci si deve domandare
come sia potuto accadere: è successo, punto e basta. Da questo avvenimento scaturisce poi una storia complessa,
occasione per studiare le mille forme del comportamento e del pensiero umano. I protagonisti (spesso senza nomi
propri) devono cercare con le loro sole forze di uscire dalla situazione che si è venuta a creare.
È frequente l'uso dell'ironia: ai personaggi non vengono risparmiate critiche per i loro comportamenti, spesso
discutibili, ma profondamente umani. Non ci sono eroi, ma semplicemente uomini, con i loro pregi ed i loro difetti. E
in effetti non manca la pietà e la compassione dello scrittore per essi, piccoli rappresentanti del genere umano.
Opere
Poesia
• Le poesie possibili, Portugàlia (coleção "Poetas de Hoje"), Lisbona 1966, trad. di Fernanda Toriello, Os poemas
possíveis in Poesie, Einaudi, Torino, 2002. ISBN 978-88-06-18979-2
• Probabilmente allegria, Livros Horizonte (coleção "horizonte de Poesia"), Lisbona 1970, trad. di F. Toriello,
Provavelmente alegria in Poesie, cit.
• L'anno mille993, Futura, Lisbona 1975, trad. di Domenico Corradini Broussard, O Ano de 1993, Einaudi, Torino,
2001. ISBN 88-06-15484-2
Teatro
• La notte, Editorial Caminho (coleção "O Campo de Palavra"), Lisbona 1978, trad. di Rita Desti, A Noite, in
Teatro, Einaudi, Torino, 1997, pp. 3–65 ISBN 88-06-14277-1
• Cosa ne farò di questo libro?, Editorial Caminho, Lisbona 1980, trad. di R. Desti, Que Farei Com Este Livro?, in
Teatro, cit. pp. 67–142
• La seconda vita di Francesco d'Assisi, Editorial Caminho, Lisbona 1989, trad. di Giulia Lanciani, A Segunda
Vida de Francisco de Assis, in Teatro, cit. pp. 143–205
• In Nomine Dei, Editorial Caminho, Lisbona 1993, trad. di G. Lanciani, In Nomine Dei, in Teatro, cit. pp. 207–296
• Don Giovanni, o Il dissoluto assolto, Caminho, Lisbona 2005, trad. R. Desti, Don Giovanni ou O dissoluto
absolvido, Einaudi, Torino, 2005. ISBN 88-06-17302-2
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José Saramago
Cronache
• Di questo mondo e degli altri, Caminho, Lisbona 1971, trad. di G. Lanciani, Deste Mundo e do Outro, Einaudi,
Torino, 2006. ISBN 978-88-06-19038-5 ISBN 88-06-18439-3
• Il perfetto viaggio, Caminho, Lisbona 1973, trad. di G. Lanciani, A Bagagem do Viajante, Bompiani, Milano,
1994. ISBN 88-452-2196-2; poi in Di questo mondo e degli altri, cit.
• As Opiniões que o DL teve, Seara Nova, Lisbona, 1974.
• Os Apontamentos: cronicas politicas, Caminho, Lisbona, 1976.
Romanzi
• Terra do pecado, Editorial Minerva, Lisbona, 1947.
• Manuale di pittura e calligrafia, Moraes Editores, Lisbona 1977, trad. di R. Desti, Manual de pintura e caligrafia,
Bompiani, Milano 1996; Einaudi, Torino, 2003. ISBN 978-88-07-72239-4
• Una terra chiamata Alentejo, Caminho, Lisbona 1980, trad. di R. Desti, Levantado do chão, Bompiani, Milano
1992; Einaudi, Torino 2006; Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72183-0
• Memoriale del convento, Caminho, Lisbona, 1982, trad. di R. Desti e Carmen M. Radulet, Memorial do convento,
Einaudi, Torino 1993; Feltrinelli, Milano, 1999. ISBN 978-88-07-72207-3
• O ano da morte de Ricardo Reis, Caminho, Lisbona 1984, trad. di R. Desti, L'anno della morte di Ricardo
Reis[14]), Feltrinelli, Milano 2010 ISBN 978-88-07-72170-0
• La zattera di pietra, Caminho, Lisbona, 1986, trad. di R. Desti, A jangada de pedra, Einaudi, Torino, 1997;
Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72217-2
• Storia dell'assedio di Lisbona, Caminho, Lisbona, 1989, trad. di R. Desti, História do cerco de Lisboa, Bompiani,
Milano 1990; Einaudi, Torino, 2000. ISBN 978-88-06-17887-1
• Il Vangelo secondo Gesù Cristo, Caminho, Lisbona 1991, trad. di Rita Desti O Evangelho segundo Jesus Cristo,
Bompiani, Milano 1998; Einaudi, Torino, 2002; Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72169-4
• Cecità, Caminho, Lisbona 1995, trad. di R. Desti, Ensaio sobre a cegueira, Einaudi, Torino, 1996; Feltrinelli
Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72182-3
• Tutti i nomi, Caminho, Lisbona 1997, trad. di R. Desti, Todos os nomes, Einaudi, Torino, 1997; Feltrinelli,
Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72218-9
• La caverna, Caminho, Lisbona 2001, trad. di R. Desti, A caverna, Einaudi, Torino, 2000. ISBN
978-88-06-17960-1
• L'uomo duplicato, Caminho, Lisbona 2002, trad. di R. Desti, O homem duplicado, Einaudi, Torino, 2005;
Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-72171-7
• Saggio sulla lucidità, Caminho, Lisbona 2004, trad. di R. Desti, Ensaio sobre a lucidez, Einaudi, Torino, 2004.
ISBN 978-88-06-17941-0
• Le intermittenze della morte, Caminho, Lisbona 2005, trad. di R. Desti, As intermitências da morte, Einaudi,
Torino, 2005. ISBN 978-88-06-18487-2
• Le piccole memorie, Caminho, Lisbona 2006, trad. di R. Desti, As pequenas memórias, Einaudi, Torino, 2007.
ISBN 978-88-06-19326-3
• Il viaggio dell'elefante, Caminho, Lisbona 2008, trad. di R. Desti, A viagem do elefante, Einaudi, Torino, 2010.
ISBN 978-88-06-20493-8
• Caino, Caminho, Lisbona 2009, trad. di R. Desti, Caim, Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-01806-0
• Lucernario, Caminho, Lisbona 2011, trad. di R. Desti, Claraboia, Feltrinelli, Milano, 2012.
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José Saramago
54
Altri
• Oggetto quasi, Caminho, Lisbona 1978, trad. di R. Desti, Objecto quase: contos, Einaudi, Torino, 1997. ISBN
978-88-06-18636-4
• Viaggio in Portogallo, 1981, trad. di R. Desti, Viagem a Portugal, Bompiani, Milano, 1996; Einaudi, Torino,
1999; Feltrinelli, Milano, 2011. ISBN 978-88-07-72241-7
• Il concerto dell'unicorno, trad. di R. Desti, in "Leggere", n. 15, ottobre 1989
• Il racconto dell'isola sconosciuta, Assírio & Alvim, Lisbona, 1997, trad. Paolo Collo e R. Desti, O conto da ilha
desconhecida, Einaudi, Torino, 1998. ISBN 978-88-06-16651-9
• Scolpire il verso, trad. di Giancarlo Depretis e Francesco Guazzelli, Edizioni dell'Orso, Alessandria 2002
• Andrea Mantegna. Un'etica, un'estetica, trad. di Marco Fidora, a cura di Luciana Stegagno Picchio, Il melangolo,
Genova, 2002. ISBN 88-7018-451-X
• Esteban Cuscueta, 2005.
• Pensar, pensar y pensar: scritti e interviste, 2006, trad. Manuela Palermi, Pensar, pensar, y pensar, Datanews,
Roma, 2006. ISBN 978-88-7981-348-8
• Il Quaderno: testi scritti per il blog (settembre 2008-marzo 2009), trad. G. Lanciani, Bollati Boringhieri, Torino,
2009. ISBN 978-88-339-2019-1
• L'ultimo quaderno, trad. R. Desti, Feltrinelli, Milano, 2010. ISBN 978-88-07-17197-0
Onorificenze
Commendatore dell'Ordine di San Giacomo della Spada
— 24 agosto 1985
Gran Collare dell'Ordine di San Giacomo della Spada
— 3 dicembre 1998
Bibliografia
• Seixo, Maria Alzira,O essencial sobre José Saramago, Impresa National-Casa Moeda, Lisboa 1987.
• Silvia, Teresa Cristina Cerdeira da, José Saramago entre a Historía e a Ficção. Una Saga de Portugueses,
Publicações Dom Quixote, Lisboa 1989
• Fernandes, Ceres Costa, O narrador Plural na Obra de José Saramago, Imprensa Universitàde Federaldo
Maranhão, Sâo Luís 1990
• AA. VV., Viaggio intorno al convento di Mafra, a cura di P. Ceccucci, Guerini Studio, Milano 1991
• Lourenço, Eduardo, Sobre Saramago, in O Canto do Signo. Exisência e Literatura (1957-1993), editorial
Presença, Lisboa 1993
• Oliveira Filho, Odil José de, Carnaval no Convento. Interxtualidade e paródia em José Saramago, UNESP,
SãoPaulo 1993
• Martins, Adriana Alves de Paula, História e Ficção: um dialogo Fim de Século Ediçoes, Lisboa 1994
• AA.VV., José Saramago, in "Espacio/ Espaço escrito", numeri 9 e 10, inverno 1993 - 1994
• Real,Miguel, Narração, Maravilboso, Trãgico e Sagrado em Memorial do Convento de José Saramago, Editorial
Caminho, Lisboa 1995
• Rio, Pilar del (a cura di) José Saramago, Ediciones de Cultura Hispãnica, Madrid 1995
• Batista-Baston, José Saramago, Aproximação a um Retrato, Publicações Dom Quixote, Lisboa 1996
• Giulia Lanciani (a cura di), José Saramago. Il bagaglio dello scrittore, Roma, Bulzoni, 1996. ISBN
88-7119-933-2
José Saramago
• Stegagno Picchio, Luciana, Tipologia e spiritualità dei "Vangeli laici" da Pasolini a Saramago in Lezioni su
Pasolini, a cura di T.De Mauro e F. Ferri, Edizione Sestante, Ripatransone 1997
• Costa, Horacio, José Saramago. O Periodo Formativo, Editorial Caminho, Lisboa 1997
• Berrini Beatriz, Les Saramago o Romance, Editorial Caminho, Lisboa 1998
• Medeiros, Paulo de e Ornelas (a cura di), Actas do 1° Colóquio Internacional Josè Saramago, Amherst, Univ. of
Massachusetts, 1996, ed Editorial Caminho, Lisboa 1998
• Reis, Carlos, Diálagos com José Saramago, Editorial Caminho, Lisboa 1998
• Madruga, Maria da Conceiçâo, A Paisxão segundo José Saramago. A Paixão de Verbo e o Verbo da Paixado,
Campos dal Letras, Porto 1998
• Viegas, Francisco José (a cura di) José Saramago. Uma Voz contra o silêncio, Editorial Caminho, Lisboa 1998
• Grossegesse, Orlando, Saramago lesen, edition tranvìa-Verlag Walter Frey, Berlin 1999
• Igino Creati e Massimo Pamio (a cura di), Saramago. Un Nobel per il Portogallo. Atti del convegno
internazionale. Penne, novembre 1998, Chieti, NoUbs, 1999.
• Juan Arias, José Saramago. L'amore possibile, Milano, Frassinelli, 1999. ISBN 88-7684-574-7
• Luciana Stegagno Picchio, José Saramago. Istantanee per un ritratto, Firenze-Antella, Passigli, 2000. ISBN
88-368-0597-3
• Francesca Borrelli, Biografi del possibile. Incontri con Wilson Harris, José Saramago, Alain Robbe-Grillet, Kurt
Vonnegut, Alvaro Mutis, Günter Grass, Derek Walcott, Toni Morrison, Vidiadhar Surajprasad Naipaul, Susan
Sontag, Wole Soyinka, Kenzaburo Oe, Agota Kristof, Abraham B. Yehoshua, Don DeLillo, Antonia Susan Byatt,
Seamus Heaney, John Banville, Tobias Wolff, Julian Barnes, Paul Auster, Ian McEwan, Javier Marías, Michael
Cunningham, Kazuo Ishiguro, Jonathan Franzen, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. ISBN 88-339-1581-6
• Venanzio Nocchi, Breve storia del capovolgimento del Mito di Don Giovanni, da Tirso de Molina a José
Saramago, Città di Castello, Libreria editrice "La Tifernate", 2005.
Note
[1] José Saramago - Autobiography (http:/ / nobelprize. org/ nobel_prizes/ literature/ laureates/ 1998/ saramago. html)
[3] www.corriere.it (http:/ / www. corriere. it/ cultura/ 10_giugno_18/ morto-nobel-saramago_59816d64-7ad4-11df-aa33-00144f02aabe. shtml)
[4] http:/ / www. avantionline. it/ 2012/ 06/ lucernario-esce-nelle-librerie-il-romanzo-inedito-di-jose-saramago/ “Lucernario”: esce nelle librerie il
romanzo inedito di José Saramago
[5] . J.Saramago, Il Vangelo secondo Gesù Cristo, in: Romanzi e racconti 1985-1998, Milano, Mondadori 1999, pag.818
[6] http:/ / www. adl. org/ PresRele/ ASInt_13/ 4370_13. htm
[8] Pierluigi Battista, Quando lo scrittore diventa premio Nobel (del pensiero doppio) (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2007/ marzo/ 26/
Quando_scrittore_diventa_premio_Nobel_co_9_070326012. shtml), Corriere della Sera del 26 marzo 207
[11] La cosa Berlusconi «il Quaderno di Saramago» (http:/ / quadernodisaramago. wordpress. com/ 2009/ 06/ 08/ la-cosa-berlusconi/ )
[12] Elemond a Mondadori per 131 miliardi (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 1994/ novembre/ 04/
ELEMOND_MONDADORI_per_131_miliardi_co_0_9411048818. shtml)
[13] No a Saramago "Diffama Berlusconi" - LASTAMPA.it (http:/ / www. lastampa. it/ _web/ cmstp/ tmplrubriche/ Libri/ grubrica.
asp?ID_blog=54& ID_articolo=2076& ID_sezione=81& sezione)
[14] Josè Saramago Articoli (http:/ / www. zam. it/ 1. php?articolo_id=1961& id_autore=83)
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José Saramago
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Altri progetti
•
Commons (http://commons.wikimedia.org/wiki/Pagina_principale?uselang=it) contiene immagini o altri
file su José Saramago (http://commons.wikimedia.org/wiki/José_Saramago?uselang=it)
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Articolo su Wikinotizie: È morto il Premio Nobel José Saramago, aveva 87 anni 19 giugno 2010
Collegamenti esterni
• Il Blog di Saramago tradotto in italiano (http://quadernodisaramago.wordpress.com)
• (EN) Autobiografia di José Saramago (http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1998/
saramago.html) sul sito ufficiale del Premio Nobel
Controllo di autorità VIAF: 114473675 (http:/ / viaf. org/ viaf/ 114473675) LCCN: n85130797 (http:/ / id. loc. gov/
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Roberto Perrone
Roberto Perrone (Rapallo, 14 marzo 1957) è un giornalista e scrittore italiano.
Biografia
Perrone inizia ad occuparsi di giornalismo collaborando con la redazione genovese del quotidiano l'Avvenire (dove
si occupa di cronaca sindacale).[1]
Nel 1981 viene assunto al Giornale e si trasferisce a Milano.[2]
Dal 1989 lavora alla redazione sportiva del Corriere della Sera dove si occupa di calcio, tennis, nuoto.
Per il Corriere ha seguito tutti i più importanti avvenimenti sportivi dell'ultimo decennio: le Olimpiadi, i Mondiali di
calcio, i grandi tornei di tennis.
Pubblicazioni
Roberto Perrone è autore di romanzi, racconti, opere per ragazzi e libri di ricette per tifosi di calcio.
• "Zamora"[3] è il suo primo romanzo (2003). Ambientato nel 1963, narra le vicende comico-grottesche del
ragionier Walter Vismara, calciatore per forza.[4][5][6]
• "La lunga" è la sua seconda opera letteraria, pubblicata nel 2007. Ambientata anch'essa negli anni '60, narra le
vicende di Giacinto Mortola, giornalista senza grandi ambizioni vicino alla pensione, ma che sa amare la vita per
le cose piccole e grandi: il rapporto sereno con la bella moglie Rita, l'amicizia con l'ex-calciatore Simone Perasso.
"La lunga" nel gergo giornalistico è la nottata trascorsa dal redattore di turno a raccogliere le ultime notizie.[7]
• "Numero 1" è la biografia di Gianluigi Buffon, scritta in collaborazione con il celebre portiere. Con l'aiuto di
Perrone "Gigi" Buffon ripercorre le tappe della sua vita dall'infanzia, all'esordio in serie A, alle vicende di
Calciopoli, ai successi mondiali.
Roberto Perrone
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Premi
Nel 2011 ha vinto il Premiolino-Premio Birra Moretti con la seguente motivazione: "La rubrica Scorribande,
appuntamento fisso sulle pagine del sabato del Corriere della Sera, è ormai una perla del giornalismo
eno-gastronomico. Accompagnando i lettori alla scoperta di angoli gourmand rappresentativi dell’Italia a tavola.
Esperienze e sapori scaturiscono dalle righe dei suoi pezzi, apportando contributi puntuali e sinceri alla diffusione
della cultura alimentare nel nostro Paese."[8]
Note
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
[6]
[7]
[8]
Recensioni (http:/ / robertoperrone. it/ rece. htm)
Roberto Perrone Official Website (http:/ / robertoperrone. it/ list_articoli. php?cat_id=2)
Il riferimento è a Ricardo Zamora, il leggendario portiere spagnolo degli anni trenta.
Recensione di Beppe Severgnini sul Corriere della Sera (http:/ / archiviostorico. corriere. it/ 2003/ febbraio/ 06/
avventure_del_ragionier_Vismara_calciatore_co_0_0302061453. shtml)
Recensione di Zamora su Tuttolibri (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=4004013)
Recensione di Zamora su La Repubblica (http:/ / ricerca. repubblica. it/ repubblica/ archivio/ repubblica/ 2003/ 02/ 21/
il-ragionier-vismara-sogno-di-diventare. html)
"La lunga": recensione su La Stampa (http:/ / archivio. lastampa. it/ LaStampaArchivio/ main/ History/ tmpl_viewObj. jsp?objid=7715741)
Roberto Perrone (http:/ / www. premiolino. it/ albo-d-oro/ 2011/ 426-roberto-perrone)
Bibliografia
• Roberto Perrone, Zamora, collana: Gli elefanti, Milano, Garzanti, 2003, pp. 136. ISBN 88-11-66533-7
• Roberto Perrone, Banana Football Club, 3 ed., collana: Narrativa Fabbri, Milano, Fabbri, 2006, pp. 181. ISBN
88-451-1168-7 (libro per ragazzi)
• Roberto Perrone, Banana football club: la squadra scomparsa, collana: Narrativa Fabbri, Milano, Fabbri, 2006,
pp. 171. ISBN 88-451-1938-6 (libro per ragazzi)
• Roberto Perrone, Banana football club: Diguinho siamo noi, collana: Narrativa Fabbri, Milano, Fabbri, 2007, pp.
182. ISBN 9788845144349 (libro per ragazzi)
• Roberto Perrone, La lunga, collana: Narratori moderni, Milano, Garzanti, 2007, pp. 167. ISBN 9788811686040
• Gianluigi Buffon; Roberto Perrone, Numero 1, Milano, Rizzoli, 2008, pp. 174. ISBN 9788817024389
• Roberto Perrone, Averti trovato ora, collana: Omnibus, Milano, Mondadori, 2008, pp. 212. ISBN 9788804573524
• Roberto Perrone, La ballata dell'amore salato, collana: Narrativa italiana, Mondadori, 2009, pp. 200. ISBN
9788804587538
Voci correlate
• Numero 1
ricette per appassionati romanisti travolti dall'amore per la magica della serie c'è una sola capitale e una sola squadra
Fabbri editori
Collegamenti esterni
• Il suo sito (http://www.robertoperrone.it/)
• Il suo blog sul Corriere della Sera (http://blog.corriere.it/perrone/)
Portale Biografie
Portale Letteratura
Katherine Mansfield
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Katherine Mansfield
Katherine Mansfield (nome di battesimo Kathleen Mansfield
Beauchamp) (Wellington, 14 ottobre 1888 – Fontainebleau, 9 gennaio
1923) è stata una scrittrice neozelandese.
Gli inizi
Nata in una famiglia socialmente benestante di Wellington, Nuova
Zelanda, Katherine pubblicò le prime storie nel giornalino del liceo che
frequentava, il Wellington Girls' High School magazine, tra il 1898 e il
1899. Si trasferì a Londra nel 1902 dove frequentò il Queen's College.
Katherine era una violoncellista di talento e inizialmente non era molto
attratta dalla letteratura. Terminati gli studi in Inghilterra ritornò in
Nuova Zelanda nel 1906. Stanca dello stile di vita provinciale della
Nuova Zelanda, ritornerà a Londra due anni più tardi.
Katherine Mansfield
Produzione letteraria
« Il piacere di leggere è doppio quando si vive con qualcuno che divide con te gli stessi libri »
(Katherine Mansfield)
La Mansfield ha scritto soprattutto racconti in lingua inglese. Figlia di un banchiere e nata in una famiglia della
borghesia coloniale, la Mansfield ebbe un'infanzia solitaria e alienata. Una sua cugina prima, Mary Annette
Beauchamp, fu anch'essa scrittrice con lo pseudonimo di Elizabeth von Arnim. In Nuova Zelanda, tra il 1906 e il
1908, iniziò a scrivere i suoi primi racconti. Ritornata a Londra iniziò a vivere in stile bohemien come era tipico di
quei tempi e si sposò, in sole tre settimane, con George Bowden. A Londra, venne in contatto con scrittori a lei
contemporanei come David Herbert Lawrence e Virginia Woolf. Nello stesso tempo, rimase incinta di un amico di
famiglia della Nuova Zelanda (Garnet Trowell, un violinista timido) e sua madre la mandò in Baviera. Katherine
ebbe un aborto spontaneo nel 1909; apparentemente l'aborto fu causato dalla caduta di un armadio sul suo ventre. In
Inghilterra, il suo lavoro destò l'attenzione di molte case editrici e Beauchamp, con lo pseudonimo di Katherine
Mansfield, pubblicò la sua prima raccolta di storie brevi, In a German Pension, nel 1911. Nello stesso anno
contrasse la gonorrea, un avvenimento che caratterizzò il resto della sua breve vita con dolori artritici.
Scoraggiata dalla mancanza di successo, Mansfield conobbe il futuro marito, il collega scrittore John Middleton
Murry. Benché continuasse a scrivere le sue raccolte (Prelude, 1918), raramente il suo lavoro veniva pubblicato e
cadde in preda alla depressione.
La sua salute peggiorò ulteriormente dopo un attacco quasi mortale di pleurite, dopo aver contratto la tubercolosi nel
1917. Fu mentre combatteva la malattia nelle stazioni termali di salute in giro per l'Europa, e dopo aver sofferto per
un'emorragia seria che l'aveva colpita nel 1918, che Mansfield cominciò a scrivere le opere per cui sarà più
conosciuta. Con Miss Brill, la storia agrodolce di una donna fragile che vive una vita effimera caratterizzata
Katherine Mansfield
dall'osservazione e dai piaceri semplici a Parigi, Katherine si impone come uno degli scrittori preponderanti del
periodo Moderno, con la relativa pubblicazione del Bliss degli anni '20. La raccolta così intitolata, Bliss, che ha
assunto caratteri simili all'infedeltà di suo marito, ha trovato anche il favore della critica. Ad essa segue un'altra
opera ugualmente elogiata, The Garden Party, pubblicata nel 1922.
Gli ultimi anni
La Mansfield ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a cercare le cure più eterodosse per la sua tubercolosi. Nel
febbraio 1922 consultò il medico russo Ivan Manoukhin. Il suo trattamento "rivoluzionario", che consisteva nel
bombardare la milza con i raggi X, causò a Katherine uno sviluppo di calore corporeo e l'intorpidimento delle
gambe. Nell'ottobre 1922, Mansfield si recò all'istituto di Georges Gurdjieff per lo sviluppo armonioso dell'uomo a
Fontainebleau, in Francia, dove continuò a scrivere malgrado le sue cattive condizioni di salute. Dopo la
pubblicazione di due raccolte supplementari, una di poesie e l'altra di storie brevi. Secondo Pietro Citati che alla
scrittrice ha dedicato un importante saggio,[1] la Mansfield fu letteralmente torturata e quindi portata alla morte da
Gurdjeff. Dapprima fu fatta abitare in una stanza bella e sontuosa, ma presto fu trasferita in uno stanzino buio e
freddo. Venne obbligata a danzare nuda in mezzo ai maiali e ad accogliere in sé "la radiazione del magnetismo
animale". La obbligò anche a non scrivere. La sera del 9 gennaio 1923, nella sua stanza all'istituto di Gurdjeff, ebbe
un accesso di tosse che le fece uscire un gran fiotto di sangue. In pochi minuti morì.[2] Fu sepolta in un cimitero nel
distretto di Fontainebleau nella città di Avon.
Mansfield è risultata essere una scrittrice prolifica durante gli anni finali della sua vita e molte delle sue prose e
poesie non sono state pubblicate alla sua morte. Murry intraprese l'operazione di pubblicazione dei suoi lavori. I
risultati dei suoi sforzi sono stati due volumi supplementari di racconti brevi nel 1924 (Something Childish) e nel
1930 (The Aloe), oltre a tre volumi di lettere e di articoli precedentemente non pubblicati dalla Mansfield. Una
raccolta di testi non finiti venne pubblicata nove anni più tardi.
Eredità
Katherine Mansfield è ampiamente considerata una delle migliori scrittrici di racconti del suo periodo. Alcuni dei
suoi racconti, compresi Miss Brill, Prelude e lavori successivi come The Fly, sono raccolti in antologie di storie
brevi. Mansfield per i suoi racconti prende ispirazione dal grande scrittore russo Anton Čechov, e da quest'ultimo
riprende alcuni temi e tecniche che poi fa propri nella sua scrittura. Il fatto che Katherine sia morta relativamente
giovane ha aggiunto prestigio alla sua eredità. Il suo nome è stato dato ad una casa nel MacLeans College.
Note
[1] [P. Citati, Vita breve di K. Mansfield]
[2] (http:/ / dirittiglobali. it/ index. php?view=article& catid=35:libri& id=39961:katherine-mansfield-la-scrittrice-che-inganno-il-destino&
format=pdf& ml=2& mlt=yoo_explorer& tmpl=component)
Bibliografia selezionata
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In a German Pension (1911), ISBN 1-86941-014-9
Bliss (1918), ISBN 1-86941-015-7
The Escape (1920)
The Garden Party (1922), ISBN 1-86941-016-5
The Doves' Nest (1923), ISBN 1-86941-017-3
Poems (1923), ISBN 0-19-558199-7
• Something Childish (1924), ISBN 1-86941-018-1, pubblicato prima negli Stati Uniti come The Little Girl
• The Journal of Katherine Mansfield (1927, 1954), ISBN 0-88001-023-1
• The Letters of Katherine Mansfield (2 vol., 1928-29)
59
Katherine Mansfield
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The Aloe (1930), ISBN 0-86068-520-9
Novels and Novelists (1930), ISBN 0-403-02290-8
The Short Stories of Katherine Mansfield (1937)
The Scrapbook of Katherine Mansfield (1939)
The Collected Stories of Katherine Mansfield (1945, 1974), ISBN 0-14-118368-3
Letters to John Middleton Murry, 1913-1922 (1951), ISBN 0-86068-945-X
The Urewera Notebook (1978), ISBN 0-19-558034-6
The Critical Writings of Katherine Mansfield (1987), ISBN 0-312-17514-0
The Collected Letters of Katherine Mansfield (4 vol., 1984-96)
• Vol. 1, 1903-17, ISBN 0-19-812613-1
• Vol. 2, 1918-19, ISBN 0-19-812614-X
• Vol. 3, 1919-20, ISBN 0-19-812615-8
• Vol. 4, 1920-21, ISBN 0-19-818532-4
• The Katherine Mansfield Notebooks (2 vol., 1997), ISBN 0-8166-4236-2
• Tutti i racconti. Cura e traduzione di Maura Del Serra, Roma, Newton Compton, 2000, pp. 522.
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