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TARTIT, DAI CAMPI PROFUGHI SUONI E VOCI DEL MONDO
Fonte: L'Unione Sarda
20 settembre 2013
URL della pagina: http://www.comunecagliarinews.it/rassegnastampa.php?pagina=33993
Data scaricamento: 16 marzo 2017, 13:40
Stasera al Lazzaretto di Cagliari il gruppo ambasciatore di un'antica cultura
«Parliamo di pace e amore, ma anche di ribellione»
In Mali soffia il vero spirito dell'Africa occidentale. A questa terra, e più precisamente, alla regione
di Tinbouctou, appartengono i Tartit che, nella lingua tamasheq, vuol dire unione. Formati da
cinque donne e quattro uomini, da anni sono tra gli ambasciatori nel mondo della cultura Tuareg.
Questa sera approdano per la prima volta in Sardegna in occasione di un appuntamento allestito
dall'associazione Azalai di Claudia Zuncheddu, in programma alle 21 a Cagliari al Lazzaretto.
Musica, ma non solo. Nei locali del centro culturale che si affaccia sul mare, sarà possibile
visitare la mostra etnografica Africana: Magie Culture Colori, curata sempre da Azalai.
«Il gruppo è nato nel '95. Eravamo in campi profughi differenti e abbiamo pensato che unendoci
saremmo stati più forti», ricorda Fadimata Walett Oumar, cantante e leader dell'ensemble, mentre
guarda il canale televisivo France 24 che in diretta trasmette l'elezione del nuovo presidente del
Mali, Boubacar Keita. «Tiene molto all'unità. Mi auguro che dedichi la stessa attenzione a tutte le
zone del Paese. Spero che realizzi cose importanti anche per il nord e per noi tuareg», dice.
Cosa faceva prima di cantare?
«Ero una sorta di portavoce delle donne dei campi profughi. Aiutavo chi aveva bisogno e lo
faccio ancora adesso. Lo scorso anno c'è stata una rivolta, a seguito della quale i fondamentalisti
hanno reso difficile la vita alle donne in tanti modi: l'imposizione del velo, il divieto di fare musica.
Comune Cagliari News - Testata giornalistica quotidiana del Comune di Cagliari
Testata giornalistica registrata al Tribunale di Cagliari in data 05.12.2005 al n. 31/05 - Direttore responsabile: Gianfranco Luigi Quartu.
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Cose per noi impensabili».
Siete reduci da un tour negli Stati Uniti e da un concerto a New York che ha riscosso molto
successo.
«È andata bene. La nostra musica piace in tutto il mondo. Purtroppo qui a Cagliari non saremo al
completo. Alcuni di noi vivono in Mauritania e a due donne e due uomini non è stato concesso il
visto».
Di cosa parlano le vostre canzoni?
«Parlano di pace, amore, ricordi, identità, nostalgia, ma anche di ribellione e della nostra
condizione politica».
E i suoni delle vostre musiche a cosa rimandano?
«Ai diversi momenti della giornata, ai rumori della natura, a quelli delle carovane. Abbiamo
ereditato un patrimonio sonoro antichissimo. Utilizziamo strumenti tradizionali come l'imzad,
simile al violino, e il tindè, piccolo tamburo cilindrico costruito con il mortaio di legno e il pestello
con cui si macina il miglio».
Che spazio hanno le chitarre elettriche nel vostro sound?
«Le utilizziamo per arricchire la gamma di suoni tradizionali. Gruppi come i Tinariwen ne fanno
un uso marcato, molto rock, noi le impieghiamo in maniera discreta, proprio perché siamo più
ancorati alle radici. Con la loro musica i Tinariwen sono riusciti ad attirare l'attenzione sulla
condizione del popolo del Mali, nonostante le canzoni siano nate fuori dalla nostra terra».
Carlo Argiolas
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