2. La classificazione

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La classificazione
La formulazione e l’elaborazione dei linguaggi scientifici non era finalizzata soltanto alla costruzione di una nomenclatura ben strutturata per ciascuna disciplina, ma
era parte integrante della problematica più ampia, relativa alla classificazione degli oggetti, nell’ambito delle diverse scienze naturali. A conclusione del processo evolutivo
dei linguaggi scientifici, i sistemi di nomenclatura sono impostati su un criterio realista,
non nel senso che il nome determini la natura dell’oggetto, ma che esso debba essere il
segno che rappresenti e indichi la sua natura e le sue proprietà. Di conseguenza, condizione indispensabile per una corretta attribuzione dei nomi è la conoscenza approfondita
delle caratteristiche degli oggetti. Un nome ben attribuito può, addirittura, indicare il posto che l’oggetto ha entro uno schema ordinato, e per questo i processi di nomenclatura
e classificazione si sono sempre intersecati e integrati a vicenda.
Nel processo di formazione ed elaborazione delle idee e delle conoscenze, la
loro classificazione è un passaggio fondamentale e indispensabile, perchè non basta che
esse siano interpretate e spiegate, per acquistare un senso compiuto. Il neonato che si affaccia alla vita percepisce il mondo come un insieme confuso di oggetti, suoni, stimoli,
che solo lentamente impara, prima per istinto, poi sempre più consapevolmente, a ordinare, distinguendoli secondo criteri di somiglianza o differenza, utilità o pericolo. Completato questo processo e etichettati gli oggetti con termini generici, il mondo gli appare
non più come un insieme di infinite cose diverse l’una dall’altra, senza ordine apparente, ma come un numero finito di gruppi di oggetti, separati, in alcuni casi da confini netti, in altri da linee di confine sfocate: per esempio, le differenze tra i colori sono più difficili da percepire e differiscono nelle diverse culture, per cui il bambino impara a padroneggiarle solo qualche tempo dopo, rispetto alle relazioni di dimensione1.
L’attività di classificazione è il risultato dell’azione dell’intelletto sulla materia,
nel tentativo di identificare le diverse categorie già stabilite dalla Natura, o di imporle
dall’esterno; queste ultime possono essere migliorate con il tempo, ma non cancellate.
Questo processo impone, comunque, un giudizio, che, però, è spesso soggettivo, e quindi criticabile. La classificazione presuppone la risoluzione di quello che i filosofi chiamano il problema degli universali, cioè di stabilire se tutti gli elementi di un insieme
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condividano qualche proprietà essenziale, o se siano raggruppati semplicemente per
convenzione o convenienza. La disputa tra i realisti, per i quali essi condividono un’essenza comune (se la classificazione è corretta), e i nominalisti, per i quali i termini generali sono soltanto nomi di maggiore o minore utilità, risale agli antichi Greci e diventò
ancora più accesa quando si passò dagli elementi concreti (cioè percepibili dai sensi) a
quelli astratti, come bontà, bellezza, eccetera. Di conseguenza, si sviluppò un ampio e
interminabile dibattito per stabilire se fosse possibile adottare un metodo di classificazione naturale, un sistema non forzato, che utilizzasse ed esaltasse somiglianze e differenze reali, riassumendo una grande mole di conoscenze, o se si dovesse preferire un
criterio utilitaristico, che, prescindendo dalla mera apparenza degli oggetti, seguisse
uno schema logico che facilitasse la memorizzazione.
L’idea che esistano famiglie scientifiche, costituite da membri che posseggono la
maggior parte delle proprietà caratteristiche del gruppo cui appartiene, implica l’ipotesi
metafisica non dimostrabile che in Natura esista un ordine intelligibile caratterizzato
dalla presenza di famiglie dalle caratteristiche non ambigue. A questa conclusione arriviamo mediante un processo induttivo che ci permetta di riuscire a formulare regole generali, partendo da casi particolari. Il principio di uniformità della Natura non è dimostrabile; perciò è soltanto per un atto di fede (o perché non abbiamo alternative) che assumiamo che le regolarità del passato continueranno a manifestarsi anche in futuro.
Sebbene i filosofi si siano spesso chiesti se l’apparente ordine del mondo non si riveli illusorio, nella vita ordinaria (e nelle scienze) noi diamo per scontato che ci sia un qualche ordine e che si possa trovarne un qualche indizio. Tuttavia, non c’è modo di essere
assolutamente certi che le nostre generalizzazioni meglio assodate non siano soltanto
accidentali, e quindi siamo costretti a porre maggiore fiducia su quelle che sono state
osservate un gran numero di volte, specialmente se connesse a un’intera serie di altre
nella struttura della Scienza, nella quale esse possono, in qualche misura, resistere, o
crollare insieme. Ciò che si applica alle generalizzazioni, si applica anche alle classificazioni: qui la distinzione non è tra le connessioni causali reali o accidentali, ma tra i sistemi naturali o artificiali. I sistemi artificiali hanno un carattere ad hoc, ma, a differenza
delle generalizzazioni accidentali, spesso risultano egualmente utili ed efficaci, come alcune equazioni puramente empiriche della Chimica Fisica2. Gli empiricisti affermano
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che, non potendo essere certi che ogni generalizzazione sia una legge di Natura, dovremmo riconoscere il carattere inevitabilmente provvisorio di tutte le spiegazioni
scientifiche; invece, i nominalisti, ci sollecitano a fermarci su un sistema di classificazione conveniente ed efficace, senza porci la domanda sull’esistenza di un reale ordine
della Natura, cui non c’è risposta. Al contrario, le parti veramente interessanti ed appassionanti della scienza sono quelle nelle quali si è fatto un serio tentativo di svelare l’ordine del mondo. La stessa teoria dell’evoluzione di Darwin dipendeva dal lavoro fatto,
all’inizio dell’800, per trovare un sistema naturale di classificazione, e i simultanei tentativi di classificare gli strati geologici della Terra, non in base alla loro composizione,
ma in termini dei fossili che contengono.
Il metodo di classificazione naturale deve essere, in qualche modo, assoluto, perché deve stabilire il posto occupato da ciascun oggetto; esso richiede sia la raccolta di
una quantità rilevante di materiale, sia la rifinitura dei principi sui quali si basa la classificazione. La via che conduce alla formulazione di una classificazione naturale è angusta e stretta, e può portare a niente di più che una perdita di tempo; in ogni caso, ogni
eccezione le è fatale, perché può far crollare l’intero edificio. Per esempio, i chimici del
XIX secolo determinarono i pesi atomici, nella convinzione che stessero trovando delle
costanti fondamentali della natura, che avrebbero consentito di classificare gli elementi
in maniera non ambigua, mentre a inizio novecento, si scoprì che questa grandezza fondamentale è la carica nucleare. Invece, le classificazioni artificiali hanno confini meno
marcati, che possono essere cambiati imponendo criteri più rigidi o meno rigidi, per rendere più corretta la classificazione.
Se scegliamo di seguire un criterio artificiale, imponiamo un ordine alla Natura,
piuttosto che capire se essa abbia un ordine, ma le classificazioni artificiali sono giustificate dal loro uso pratico. La storia è piena, non solo di sistemi artificiali ormai obsoleti, ma di sistemi che, nati per essere naturali, si sono poi rivelati artificiali, perchè raggruppano il dissimile e separano il simile.
Perché la classificazione naturale sia efficace, occorre che si possano definire rigorosamente le classi, sulla base della presenza o dell’assenza di una singola caratteristica. Questo è il percorso scelto da Platone, che, però, incorse nelle critiche di Aristotele, che preferiva un approccio più flessibile, basato non su uno, ma su una serie di criteri. Nei suoi scritti di zoologia, Aristotele mostrò come alcune caratteristiche degli ani-
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mali fossero particolarmente utili per la diagnosi tassonomica, cioè per decidere a quale
gruppo appartenesse ciascuna creatura. Inizialmente, cercò di seguire le orme di Platone, ed individuare una sola caratteristica tassonomica che gli consentisse una classificazione completa: per esempio, distinse gli animali in base alla presenza o assenza di sangue rosso, (divisione molto prossima a quella tra vertebrati e invertebrati), poi passò al
meccanismo di riproduzione, perché gli animali che generavano figli vivi e li allattavano erano decisamente differenti da quelli che deponevano le uova, anche se potevano
presentare qualche caratteristica in comune. In questo modo, separò i delfini e le balene
dai pesci e, quando dissezionò un pescecane, che sembrava generare figli vivi, come i
delfini, si accorse che le sue caratteristiche essenziali lo ponevano, invece, tra i pesci3.
In alcuni casi, però, questi indizi possono risultare fuorvianti; per esempio, le vipere e alcuni pescecani generano figli vivi, ma il resto delle loro caratteristiche indica
chiaramente che essi appartengono ai rettili e ai pesci piuttosto che ai mammiferi. Perciò, Aristotele concluse che, evidentemente, i gruppi naturali sono caratterizzati da un
insieme di caratteri e non è conveniente fare affidamento su un solo carattere esclusivo:
ne è un esempio, l’ornitorinco, un mammifero con un becco d’anatra, che mise in difficoltà i tassonomisti del XIX secolo.
Passare da un singolo carattere a una lista di caratteri pone, però, ulteriori complicazioni, prima fra tutte la decisione sul numero più opportuno di caratteristiche da
confrontare; il problema fu evidenziato da Wittgenstein, citando come esempi i giochi,
alcuni dei quali sono giocati per sopravvivere piuttosto che per diletto, alcuni hanno un
giocatore, altri molti, alcuni sono competitivi, alcuni attivi, mentre altri non lo sono.
Giochi come il calcio, il solitario, il gioco dell’oca e gli scacchi sembrano avere poco o
niente in comune che ci autorizzi a classificarli insieme; tuttavia, la parola gioco è utilizzata per indicare un insieme di attività, ciascuna delle quali possiede qualcuna delle
caratteristiche presenti in una lunga, e forse indefinita, lista. L’idea di famiglia usata
nelle scienze, a partire dalla metà del XIX secolo, quando Darwin cominciò a prenderla
sul serio, era una metafora - come il termine affinità in Chimica o incanto in Fisica nucleare - che poteva essere presa alla lontana, come nel caso in cui qualcuno avesse raggruppato insieme entità che non hanno niente in comune.
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Gli animali e le piante sembravano meno complicati, e i metodi naturali di classificazione godettero di ampio consenso. Il problema del tassonomisti è quello di determinare i gruppi naturali entro i quali ricadono le cose, e poi elaborare qualche semplice
chiave di lettura, che consenta a chiunque altro di porle nella categoria giusta, senza
spendere troppo tempo in studi approfonditi. Il proliferare di indici, inventari, cataloghi,
testimonia come catalogare e mettere in ordine è realmente una preoccupazione fondamentale e non qualcosa riservato soltanto a coloro che nutrono un insolito interesse per
il mondo naturale. Chi abbia mai consultato un’enciclopedia o un catalogo, sa benissimo che le differenti modalità di classificazione rispondono a differenti esigenze e che
alcuni sistemi sono migliori di altri. Gli Inglesi ritenevano che le categorie in base alle
quali classificare gli oggetti dovessero ancora essere scoperte, mentre i Francesi, nella
tradizione di Cartesio, pensavano che fossero innati nella mente umana. Per Kant imponiamo categorie alla Natura perché così cerchiamo di rendere il mondo comprensibile.
In tempi e luoghi differenti, l’uomo ha imposto categorie differenti alla Natura, ma, finché non otterremo quelle giuste, non saremo in grado di ordinare il mondo.
I naturalisti greci
Sebbene, in realtà, Aristotele non abbia realizzato nessuna classificazione, le
principali linee del suo sistema sono riconducibili al riconoscimento di tre gradi di similitudine entro il regno animale: le specie, nelle quali c’è una completa identità del tipo e
nelle quali le differenze tra gli individui sono accidentali e non perpetuate nella riproduzione; il genere, che consiste di specie, come pesci o uccelli; il grande genere, che
coinvolge le corrispondenze morfologiche o omologie, per esempio tra squame e piume,
lisca e osso, mano e artiglio, unghia e zoccolo, e del quale l’intero gruppo degli animali
provvisti di sangue (gli odierni vertebrati) è un esempio4.
Nella sua Indagine sulle piante, Teofrasto (370-286 a.C.) suggeriva di dividere
il regno vegetale in alberi, arbusti, sottobosco, erbe, con ulteriori distinzioni, entro questi gruppi, tra piante coltivate e selvagge, con fiore o senza, fruttifere o infruttifere, decidue o sempreverdi, o piante terrestri, o di palude o acquatiche. Le piante da lui classifi-
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A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol I 165;
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cate formavano una scala dai funghi alle piante in fiore, sebbene, in quest’ultimo gruppo
non riconoscesse esplicitamente le distinzioni tra monocotiledoni e dicotiledoni5.
Nel mondo romano, più interessato alla retorica che allo studio delle scienze,
spicca la figura di Plinio il vecchio (23-59 d.C.), autore del Liber Historiae naturalis,
un’opera in 37 volumi, pubblicata postuma dal nipote 77 d.C. e dedicata a Tito, futuro
imperatore. L’opera costituisce un’immensa raccolta di circa 20.000 fatti importanti, riguardanti le scoperte, le arti e gli errori dell’umanità, estratti da 200 volumi di un centinaio di autori, dei quali è citato il nome. In essa sono trattate svariate discipline, tra le
quali cosmologia, astronomia, geografia, medicina, zoologia, botanica, agricoltura. Plinio riportò tutte le informazioni che riuscì a raccogliere, citando le fonti, senza verificarne l’esattezza, mancandogli i mezzi per farlo; per esempio, riporta le descrizioni dell’unicorno e della fenice, anche se questo non significa affatto che egli non avesse una curiosità squisitamente scientifica: più che per le notizie riportate, l’importanza della sua
opera sta nel fatto che fornisce informazioni su opere di altri autori andate perdute, delle
quali, senza la sua citazione non avremmo conoscenza; inoltre, riportando il sinonimo
latino del nome greco di molte piante, ci ha permesso di comprendere correttamente
molti testi greci di botanica.
Il Physiologus, un lavoro di origini alessandrine del II secolo d.C., fu il modello
cui si ispirarono tutti bestiari moralizzanti medievali. In questo tipo di opere, fatti della
storia naturale già raccolti da Plinio erano mescolati con leggende interamente mitiche,
per illustrare alcuni punti dell’insegnamento cristiano. La fenice era il simbolo del Cristo risorto, il formica-leone, nato dal leone e dalla formica, aveva due nature, che non le
consentivano di mangiare né carne né semi, e perciò periva miseramente, come ogni
uomo doppio che voleva seguire Dio e mammona6.
Dal Medio Evo al Rinascimento
Tra gli enciclopedisti medievali va ricordato Alberto Magno, il quale, tenuto
conto che le differenze tra le specie e quelle tra i generi erano numerose, come Aristotele, non si attenne a un solo sistema, ma raggruppava gli animali, talvolta basandosi su
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A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol I 158;
A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol I 35;
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similitudini morfologiche o riproduttive, talvolta in gruppi ecologici come volatili (volatilia), nuotatori (natatilia), in grado di camminare (gressibilia) e striscianti (reptilia)7.
Dopo il tredicesimo secolo, gli enciclopedisti cedettero il passo a erboristi e naturalisti di diversa estrazione nel compito di portare avanti la descrittiva botanica e zoologica. Gli storici naturali del Rinascimento sono considerati naturalisti enciclopedici o
enciclopedisti; come Plinio il vecchio, cercavano coprire l’intero corpo delle conoscenze nel loro campo, e questo imponeva loro di scegliere un criterio per organizzare il materiale nei loro ponderosi volumi. In generale, si usava l’ordine alfabetico, ma questo
poneva dei problemi per quegli animali o quelle piante che, nel linguaggio comune, avevano più di un nome, e comunque rischiava di porre in punti molto lontani nel testo
piante o animali che avevano caratteristiche comuni8.
Tra gli enciclopedisti, vanno ricordati Ulisse Aldrovandi (1522-1605), direttore
dell’orto botanico di Bologna, e lo svizzero Konrad Gesner (1515-1565). Essi inclusero nelle loro pubblicazioni anche cataloghi di fossili (o pietre figurate), che erano stati
oggetto di svariate collezioni, come quella di Papa Sisto V in Vaticano. Gesner cercò di
ritrovare anche nel suo paese le piante e gli animali citati dagli autori classici, maturando un certo interesse per la flora e la fauna locali, come dimostrato dalla intensa corrispondenza che intrattenne con altri naturalisti, descrivendo le spedizioni naturalistiche
locali, e scambiando campioni, disegni e descrizioni. Il risultato di questa attività fu
l’accresciuta consapevolezza che esistessero altre creature oltre a quelle descritte dagli
antichi, come già intuito da Alberto Magno e Rufinus, anche grazie all’arrivo in Europa
della fauna e della flora del Nuovo Mondo e dell’Oriente9.
Gli erbari, nati con lo scopo di fornire la maggiore quantità e varietà possibile di
informazioni, avevano, in generale, la stessa struttura descrittiva e enciclopedica. Non
esisteva una filosofia tassonomica netta che guidasse la classificazione, per esempio secondo un criterio naturale, o in base alla loro anatomia. Alcuni usavano l’ordine alfabetico, altri quello delle illustrazioni, molti la suddivisione aristotelica e teofrastea in alberi, arbusti ed erbe, oppure criteri utilitaristici che portavano a suddivisioni in gruppi quali erbe odorifere, piante purgative, piante velenose, radici medicinali, o criteri soggettivi
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A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol I 166;
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 131;
A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol II 283;
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che ponevano al centro l’uomo. Gli erbari cinquecenteschi di Bumfels, Fuchs e Gerard
erano elegantemente illustrati, descrivevano nuove specie e indicavano quali malattie le
diverse piante erano in grado di curare, perchè la botanica rimase una scienza sussidiaria
della medicina, fino agli ultimi anni del XIX secolo. L’interesse si concentrò sui caratteri esterni del vegetale, quali forma, aspetto, disposizione delle foglie, colore dei fiori,
natura delle radici: i compilatori ancora non si preoccupavano di una classificazione naturale delle piante e non tenevano conto della loro anatomia.
Nel XVI secolo, fiorì nei paesi di lingua tedesca una scuola botanica di interesse
puramente floreale, che cercava di rendere possibile l’identificazione delle diverse piante, coltivate o selvagge, e distinguerle da quelle che sembravano somiglianti. Questo
portò a concentrarsi su descrizioni e illustrazioni accurate, tra le quali vanno ricordate
quelle di Hans Weiditz, un artista della scuola di Dürer, eseguite per l’erbario (1530) di
Otto Brunfels (ca 1488-1534), che erano di gran lunga superiori alle descrizioni tradizionali, spesso pedanti. Obiettivo, sia delle illustrazioni che delle descrizioni era presentare semplicemente gli aspetti più facilmente riconoscibili dell’apparenza esterna, come
forma e disposizione delle radici e dei rami, la forma delle foglie, la forma e i colori dei
fiori, senza nessun interesse per la morfologia comparata delle parti. Tuttavia, già prima
della fine del XVI secolo, erano riconosciuti molti raggruppamenti omogenei (funghi,
muschi, felci, graminacee, ombrellifere, labiate, papilionacee), le affinità erano intuite,
piuttosto che affermate e analizzate sistematicamente10. Il glossario dei termini forniti da
Leonard Fuchs si riferiva, quasi esclusivamente, a questi caratteri generali, ma costituiva un deciso progresso rispetto all’abitudine di far riferimento a caratteristiche artificiali
come la commestibilità, l’odore o le proprietà mediche. Gesner descrisse le differenti
specie di un dato genere e fu il primo a porre attenzione al fiore e al frutto come elementi diagnostici. Scopo principale della scuola nordica fu dunque accumulare quante più
descrizioni empiriche possibile, senza alcuna preoccupazione di analizzare gli aspetti
morfologici, per costruire un sistema11.
Si deve arrivare a Gaspard Bauhin (1560-1624), professore di anatomia a Basilea, per avere descrizioni precise e diagnostiche, l’uso sistematico della nomenclatura
binomiale e un esauriente resoconto dei sinonimi usati dai botanici precedenti. Il criterio
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A. La Vergata, La storia naturale e le classificazioni, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume primo 779-839;
A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol II 269-70;
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che seguì nel descrivere le piante fu quello di partire da quelle che riteneva le forme
meno perfette, come le erbe e la maggior parte delle liliacee, e, attraverso le erbe dicotiledoni, arrivare ad arbusti ed alberi. I raggruppamenti in famiglie, come Crocifere, Ombrellifere, Papilionacee, Labiate, Composite, eccetera, era basato interamente su un riconoscimento istintivo di somiglianze nella forma e nell’habit.
In zoologia si dava meno enfasi all’utilità medica; nei bestiari non si badava a
dare informazioni sulla natura e il comportamento delle varie specie, ma piuttosto a
metterli in relazione con le azioni e il destino umano. La divisione è in buoni e cattivi,
da essere imitati o evitati: il leone è il re degli animali per il suo nobile carattere, che
contrasta con quello di creature poco leali come il coccodrillo. Molti bestiari, come l’edizione duecentesca del Physiologus, contenevano informazioni corrette sul comportamento animale, ma anche molti errori. Queste classificazioni simboliche o allegoriche
erano chiaramente non naturali, ma indicavano una determinazione a vedere ogni cosa
come parte di uno schema ordinato, che è ciò che sta dietro a ogni sistema naturale12.
In definitiva, nel corso del ‘600, i cultori di botanica, zoologia, mineralogia, e in
genere, i filosofi naturali, si impegnarono in una gigantesca opera di tabulazione delle
cose naturali, che risultò di grande importanza, vastità e significato. La loro principale
preoccupazione fu quella di cogliere l’essenziale e trascurare il superfluo, anche se,
ovviamente, la ricerca dell’essenziale seguì strade diverse. Mentre nei trattati classici e
rinascimentali, largo spazio era dedicato alle interpretazioni allegoriche, ai miti e alle
leggende che riguardavano un dato animale o una data pianta, nelle opere di botanica e
zoologia del ‘600 e del ‘700, questa parte letteraria era relegata all’appendice. Le distinzioni fondate sull’uso medico o farmaceutico o sul luogo di provenienza tendevano
a cadere in disuso, mentre iniziava la ricerca delle parti caratteristiche sulle quali basare
la distinzione tra i vari generi13.
Andrea Cesalpino (1519-1603)
Colui che riuscì a dare a questa massa di informazioni qualche sorta di ordine razionale fu l’aretino Andrea Cesalpino, professore di farmacologia a Pisa e poi a Roma,
e medico di Papa Clemente VIII. Figura di spicco nella botanica cinquecentesca, portò
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13
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 47-8;
P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Editori Laterza, Bari (1997) 282-4;
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nello studio della botanica, non solo la conoscenza floreale degli erboristi, ma anche un
interesse nella morfologia dettagliata delle parti separate della pianta e una mente aristotelica, capace di elaborare generalizzazioni. Cercò di fondare un’unica scienza botanico
- zoologica, sui principi di forma e materia postulati da Aristotele. La sua fisiologia si
basava su uno stretto parallelismo tra piante e animali, nel quale le prime sono le copie
più semplici di organismi più complessi (gli animali): la radice corrispondeva alla bocca, il frutto all’embrione, il fiore alla membrana che avvolge il feto, la linfa al sangue, il
midollo ai visceri (cuore, cervello e utero).
Poiché, come Aristotele, Cesalpino negava decisamente la sessualità delle piante, basò il suo tentativo di spiegare le affinità reali o sostanziali della piante sul principio aristotelico che la causa finale della vita vegetativa fosse la nutrizione, della quale la
riproduzione costituiva semplicemente un’estensione14. Quindi, il primo criterio di distinzione tra vegetali era il modo in cui i principi nutritivi agiscono nella pianta, e quindi la struttura dello stelo, attraverso il quale circolano: pertanto, distingueva alberi e arbusti, dotati di tronco ligneo, dalle erbe. Per le divisioni successive entro questi gruppi,
prendeva in considerazione gli organi della fruttificazione, in particolare il cuore, l’anima vegetale delle piante nella zona nella quale si congiungono la radice, organo della
nutrizione, e il fusto, organo della riproduzione (il seme è prodotto dal midollo). Si distinguono piante che non hanno semi (e sorgono per generazione spontanea), piante con
semi rudimentali, e piante con semi imperfetti. I successivi criteri di classificazione tenevano conto del numero, della posizione e della forma di radici, stelo e foglie.
Il tentativo di Cesalpino di dedurre una classificazione naturale dai principi che
aveva stabilito non portò risultati accettabili, ma il suo sistema botanico fu il primo fondato su chiari caratteri diagnostici; anche se appare rigido, aprioristico e astratto, specie
se paragonato al lavoro empirico dei suoi contemporanei, in esso si afferma la necessità
di classificare secondo un criterio selettivo, valido una volta per tutte, cioè secondo gli
ordini essenziali, trascurando la pletora dei caratteri menzionati negli erbari. Classificare
non è descrivere, ma ordinare secondo la gerarchia naturale15.
John Ray (1627-1705)
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A. C. Crombie, The History of Science, from Augustine to Galileo, Dover Publications Inc. (New York
(1995) vol II 271;
A. La Vergata, La storia naturale e le classificazioni, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume primo 779-839;
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Il maggior botanico inglese del tempo fu John Ray, il quale mise a punto un sistema di dicotomie di classificazione. Già nel 1674 aveva introdotto, sia per le piante
che per le erbe, la distinzione tra monocotiledoni e dicotiledoni, questi ultimi, a loro
volta, suddivisi in gruppi via via minori, secondo la presenza della corolla e le caratteristiche del frutto e del seme. Nella monumentale Historia plantarum, pubblicata tra il
1686 e il 1704, costituita da 3000 pagine in folio, descrive più di 18000 tra specie e varietà, e istituisce, secondo criteri morfologici, 33 classi, dividendole in piante ed erbe, e
queste ultime in perfette e imperfette. A lui si deve la prima definizione moderna di specie: un insieme di individui morfologicamente simili, derivanti tutti dallo stesso seme.
Insieme allo zoologo Francis Willoughby (1635-1672), Ray collaborò al progetto di lingua universale formulato da Wilkins, in particolare alla tabulazione delle
piante in uno schema, così che i simboli indicassero il posto nel quale l’oggetto si sarebbe trovato, come su una mappa di riferimento. Il tentativo di adattare le piante all’angusto sistema di Wilkins convinse Ray che la Natura non segue questi schemi e non procede per salti, e che era necessario un ritorno ad Aristotele, per poi proseguire oltre, se si
voleva ottenere un sistema naturale. Il sistema che aveva usato per la classificazione degli organismi era centrato sull’uomo e aveva un carattere pratico, perché era correlato
alla cura della malattie o alla edificazione. Il linguaggio artificiale di Wilkins subì la
stessa sorte della maggior parte di questi progetti, finendo nel dimenticatoio; tuttavia, il
lavoro di Ray indirizzò i tassonomisti su una nuova strada, come Galilei aveva fatto per
gli astronomi16.
Classificare o descrivere?
Era invalsa, nel XVII secolo, l’abitudine di scegliere, come criterio di classificazione, la parte della pianta che sembrava più costante e facilmente osservabile. Questa
tendenza a privilegiare, nella classificazione, i caratteri ritenuti più importanti andava
contro la tendenza enciclopedica a concentrarsi sulla descrizione, quanto più possibile
completa, dall’organismo e ad usare, nella classificazione, partizioni sistematiche, di
utilità, più che altro, espositiva.
Questa tendenza era particolarmente forte in zoologia, anche perché gli animali
mostrano caratteristiche che le piante non hanno e che non possono essere accantonate,
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D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 46;
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per amore di sistematicità. Tra queste, vanno ricordati gli istinti e il comportamento,
(abitudini, modi di vita, costumi) e molte classificazioni insistevano su caratteri etologici ed ecologici. I criteri morfologici erano subordinati a questi: i gruppi maggiori erano
stabiliti secondo l’habitat e il modo di vita, i minori secondo l’aspetto esterno. Il vantaggio che, grazie alla maggiore facilità di osservazione, raccolta e conservazione, e alla
sua connessione con la medicina, la botanica aveva acquisito sulla zoologia fece sì che i
sistemi di classificazione degli animali fossero ricalcati su quelli dei vegetali, dei quali
erano meno numerosi e meno originali, più ingombranti e difettosi.
Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708), viaggiatore e professore di botanica
al Jardin du Roi, diede un’importanza secondaria alle differenze superficiali e mise a
punto un sistema di classificazione semplice, pratico e di enorme successo, basato sul
concetto di genere, cui conferì il valore di categoria tassonomica ben precisa. Tournefort distinse tra alberi, arbusti ed erbe, suddividendoli, soprattutto in base ai caratteri
della corolla, ma servendosi anche delle differenze tra frutti, foglie, radici 17. In realtà, il
numero di caratteri da prendere in considerazione era così grande da essere molto difficile da realizzare in mancanza di collezioni di piante essiccate, di un orto botanico e di
un collega esperto. Sotto la guida di un tutore, si poteva sperare di acquisire con la pratica la capacità intuitiva di riconoscere i gruppi naturali, così che si poteva assegnare una
pianta alla sua famiglia, prendendo in considerazione un intero gruppo di caratteri18.
I metodi di classificazione naturale, rispolverati da Ray e Tournefort alla fine del
‘600 e da Jusseau alla fine del ‘700, godettero di ampio consenso, tranne che per i dettagli. Alla fine del ‘700, il naturalista francese Michel Adanson (1727-1806) sostenne
quella che oggi chiameremmo tassonomia numerica, nella quale non si dà importanza
predominante a nessun carattere particolare19. La tassonomia numerica è un metodo di
classificazione oggettivo, esplicito e ripetibile, per la classificazione degli organismi in
categorie tassonomiche, basato sulla valutazione numerica delle affinità e delle somiglianze tra le entità o unità tassonomiche, che vengono poi ordinate secondo le loro affinità. Si cerca di stabilire unità tassonomiche ricche di significato, basate su quanti più
caratteri è possibile, cui è attribuito lo stesso valore, invece di pesarlo, in accordo, per
esempio, con il possibile significato evoluzionistico. La classificazione è resa oggettiva
17
P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Editori Laterza, Bari (1997) 284;
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 58;
19
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1995)129;
18
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2. La classificazione
e ripetibile proprio dall’attribuzione di un valore numerico al contenuto di ciascuna unità tassonomica, in modo che la somiglianza globale tra ogni coppia di entità è funzione
della moltitudine di caratteri sui quali si basa il confronto.
Linneo
Per tutto il XVIII secolo, la botanica registrò la scoperta di nuove piante: il Nord
America era poco conosciuto sia dal punto di vista botanico che zoologico, ma i coloni
della costa orientale erano diventati ricchi abbastanza da cominciare a interessarsi delle
scienze. Questa esplosione di specie, assenti o poco conosciute sul vecchio continente,
rendeva poco adatto il sistema naturale di classificazione (come quello di Tournefort) e
richiedeva regole definite, sia per l’attribuzione del nome, che per quella di un posto in
uno schema ordinato20.
Queste regole furono formulate da Linneo, che rese la storia naturale una scienza
trattabile. All’opposto della tassonomia numerica, il suo sistema si basava su un singolo
carattere per determinare le classi; questo lo rendeva facile da imparare e garantiva che
ciascuno sapesse di cosa stava parlando, che è un enorme vantaggio. Era artificiale perché puntava alla convenienza piuttosto che a una supposta fedeltà alla Natura; ma Linneo credeva che, in realtà, esso fosse molto vicino a un sistema naturale. Sebbene la sessualità delle piante sia rimasta incerta fino ai primi decenni dell’800, Linneo scelse gli
organi della riproduzione come carattere di sicuro affidamento la classificazione botanica, perchè sono i più costanti, e questa è la funzione più importante, alla quale la Natura
ha fornito gli apparecchi più sicuri e accessibili all’osservazione. La classificazione linneana è un sistema gerarchico di gruppi, inclusi in gruppi via via più ampi e comprensivi, la cui unità fondamentale è il genere, entità fissa e naturale.
I generi di Linneo erano unità tassonomiche definite, gruppi di specie, piuttosto
che i più vaghi gruppi familiari cui nell’antichità era stato applicato il temine genere.
Nel suo lavoro è evidente una tensione tra un sistema di tipo deduttivo, basato su qualche carattere essenziale di ciascun gruppo, e uno di tipo induttivo, basato s caratteri
multipli. Si rendeva conto del fatto che la sua classificazione non era naturale, ma credeva che almeno alcuni gruppi lo fossero.
20
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 59-60;
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2. La classificazione
Per classificare le piante sviluppò un sistema sessuale, dividendole in 23 classi,
basate sul numero e sulle relazioni degli stami del fiore: per esempio Monandria (uno
stame) e Pentandria (cinque stami). Le classi erano divise in ordini, sulla base di stili o
stagmi (la Digyma ne aveva due). Riguardo ai generi, il grande obiettivo di Linneo fu
quello di stabilizzarli quanto più possibile, perché gli autori precedenti, avendo dato importanza differenti ai vari caratteri, avevano raggruppato le specie in gruppi diversi21.
Linneo riteneva del genere, un’entità indiscutibilmente naturale e i criteri tassonomici
per determinarlo erano: presenza o assenza, numero o figura, proporzione e posizione
delle sette parti che formano il fiore (corolla, calice, stami, pistillo) e il frutto (pericarpo,
seme, ricettacolo). In Natura esistono tanti generi quante sono le diverse disposizioni
geometriche delle parti della fruttificazione.
Il genere coinvolge il riconoscimento di similitudini, le specie al suo interno il
riconoscimento di differenze. Per determinare le specie, si considerano il tronco, le radici, i rami, le foglie. Linneo aveva delle specie un’idea morfologica, dando enfasi alla
struttura e alla forma dell’organismo, mentre non era interessato alla sua anatomia. Questo privilegiare i caratteri esteriori piuttosto che quelli anatomici favoriva il lavoro di
quei classificatori che non disponevano di altro che campioni essiccati o, addirittura, illustrazioni22. In definitiva, per chi adottava questo sistema di classificazione, la determinazione della classe o dell’ordine cessava di essere una questione di giudizio soggettivo,
riservata a chi avesse una lunga pratica, ma dipendeva esclusivamente da un’opera di
conteggio, che risultava certa e senza casi ambigui.
Per Linneo, gli esseri viventi non possono essere disposti in una serie lineare
continua, ma il sistema naturale completo è come una rete o una mappa, nella quale
ogni organismo è connesso, attraverso le sue caratteristiche, a moltissimi altri organismi, in un vero e proprio groviglio di affinità. Era pure possibile che qualche combinazione di numeri delle parti caratteristiche potesse non essere trovata, e questo avrebbe
creato dei vuoti nella tabella di classificazione. Questo non si verificò per il sistema botanico di Linneo, ma fu trovato nella classificazione dei pesci di Lacépède e assunse un
significato ancora più profondo nella classificazione degli elementi di Mendeléev23.
Malgrado la divisione tra classi fosse chiara e avesse una base numerica, sorsero que21
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 63;
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 69;
23
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 63;
22
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2. La classificazione
stioni perché essa poneva insieme piante che, agli occhi esercitati del botanico esperto,
avevano poco in comune, mentre separava piante molto simili sotto parecchi punti di vista.
Pur desiderando introdurre, anche nella classificazione zoologica, il rigore di
quella botanica, Linneo incontrò maggiori difficoltà, perché non trovò un carattere universale che consentisse di determinare tutti i generi animali. Fu costretto, perciò, a ridimensionare le sue ambizioni di simmetria e regolarità, non esitando a dare significato
tassonomico alla mancanza di un organo. Linneo tendeva a formare generi molto ampi,
molti dei quali, con il crescere delle conoscenze, divennero ordini, o, addirittura, classi.
Come criterio di classificazioni in generi, scelse il cuore, poi il sangue e quindi i sistemi
respiratorio e riproduttivo: stabilì quattro classi di animali con sangue rosso (Mammiferi, Uccelli, Anfibi, Pesci) e due con sangue bianco (Insetti, Vermi). Le classi erano suddivise secondo l’apparato masticatorio, gli organi di senso, il tegumento e le appendici24.
I naturalisti accettarono la nomenclatura proposta da Linneo per la sua convenienza, ma preferirono mantenere i raggruppamenti familiari, perchè come in altre
scienze l’obiettivo era la verità, piuttosto che la semplice consistenza o convenienza.
Tra i classificatori, c’erano quelli che davano peso alle sottili differenze, moltiplicando le specie e i generi, e quelli che cercavano la semplicità, ignorando le minime
differenze: i primi erano chiamati cavillatori, i secondi accorpatori. C’era anche chi credeva che dovesse esistere qualche spiegazione dell’origine dei gruppi naturali: talvolta,
questa era formale, come per i quinariani dell’ottocento, ma più successo ebbero le spiegazioni evoluzionistiche, che culminarono con la pubblicazione dell’Origine delle Specie (1859) di Darwin25.
Linneo dava per scontato di avere ordinato entità stabili, dichiarandosi esplicitamente a favore della fissità delle specie. Le specie autentiche erano rimaste immutate
dalla Creazione, ma il loro incrocio aveva generato delle diversità. Col passare degli
anni, perse queste certezze, essendosi convinto che in principio fossero stati creati soltanto i gruppi più ampi e che le specie che noi possiamo osservare sono il risultato della
ibridazione avvenuta nel tempo26.
24
A. La Vergata, La storia naturale e le classificazioni, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume primo 779-839;
25
D. Knight, Ideas in Chemistry, Rutgers University Press, New Brunswick (1995)129-30;
26
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 69;
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2. La classificazione
Classificatori e osservatori
La fortuna di Linneo fu la fortuna della botanica, perchè le semplificazioni e le
riorganizzazioni da lui introdotte ne favorirono la diffusione, sia presso i curiosi borghesi, interessati allo studio della Natura, che presso gli aristocratici, più disposti al mecenatismo e alla realizzazione di orti botanici. Tuttavia, dure critiche si levarono da quei
naturalisti che cercavano di realizzare una classificazione naturale, e che ritenevano puramente artificiale il sistema linneano. L’idea che divisioni e raggruppamenti dei sistematici fossero puramente artificiali, e non potessero essere altrimenti, acquistava vigore
man mano che, nel clima culturale dell’illuminismo, prendevano corpo e si diffondevano concezioni dinamiche della realtà, che vedevano la Natura come un perenne fluire di
forme, prodotte da forze, trasformazioni della materia, aggregazioni, disgregazioni,
riaggregazione di atomi. Con il progressivo affermarsi di visoni storiche della Natura, si
faceva lentamente strada l’idea che il sistema naturale dovesse tener conto, non solo del
suo ordine attuale, ma anche di quello nel quale gli esseri viventi si sono originati.
Tuttavia, le tensioni che percorsero l’intera storia delle scienze naturali andavano oltre la contrapposizione tra sistemi naturali e artificiali di classificazione e i dibattiti
sulla naturalità o arbitrarietà delle categorie tassonomiche. Infatti, nella seconda metà
del ‘700, si osservò una progressiva separazione tra osservatore e classificatore, tra sistematico e anatomista, soprattutto come conseguenza della differente conoscenza della
storia naturale. Da una parte, infatti, la formazione dei gruppi di classificazione era stata
spesso spontanea, indipendente dall’esigenza di creare un sistema generale: a parte le
grandi controversie sui principi, il lavoro, per così dire, locale e meno appariscente dei
naturalisti empirici aveva fornito materiale tale da costringere quelli teorici a rivedere i
grandi sistemi di classificazione. D’altra parte, il lavoro dei sistematici suscitò, per tutto
il settecento, non solo diffidenza, ma talvolta anche disprezzo, in un eterogeneo gruppo
di osservatori e sperimentatori che ritenevano che le classificazioni fondate su un unico
carattere (o su un gruppo di caratteri), pur avendo rigore e sistematicità, perdessero in
fedeltà alla Natura e la classificazione non potesse essere separata dalla descrizione per
esteso. Perciò, non volevano saperne né di sistemi, né di ipotesi generali, che preferivano osservare minuziosamente l’essere vivente, manipolarlo per conoscerlo meglio, descriverne il modo di vita e gli istinti, che volevano entrare in contatto diretto con le me-
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2. La classificazione
raviglie del creato, spinti dallo stesso diletto della natura, che spingeva i curiosi e i virtuosi del seicento.
Il giusto posto dei diversi organismi nell’economia della Natura poteva essere
assegnato solo considerando anche i dati ecologici, oltre a quelli fisiologici e morfologici, e la pratica di stabilire criteri generali portava a usare violenza ai raggruppamenti naturali evidenziati dal lavoro accumulato per secoli dai naturalisti. Se, da una parte, l’esistenza di generi e famiglie ben distinte sembrava provare la discontinuità tra i gruppi
naturali, dall’altra, la possibilità di disporre più gruppi, secondo l’ordine di aumento numerico o di maggiore o minore sviluppo di certi caratteri, suggeriva l’idea di una certa
continuità, non affatto in contrasto con l’idea di un ordine naturale gerarchico di gruppi
via via più comprensivi. Si pose il problema ontologico del carattere dell’attività del naturalista: doveva dedicare ogni sforzo a raccogliere tutti i particolari della struttura, delle
abitudini di vita, dell’economia, di tutti gli esseri viventi, per scoprire il vero ordine della Natura, o limitarsi ad annotare fatti particolari con i quali i naturalisti futuri avrebbero
costruito l’edificio della Storia Naturale?
Gorge-Louis Leclerc de Buffon (1707-1788)
Tra i critici del sistema linneano, si distinse Buffon, che rigettava l’idea stessa di
sistematizzazione: l’obiettivo della storia naturale era la contemplazione delle ricchezze
della Natura, non la costruzione di una nomenclatura arida e astrusa. L’errore dei classificatori era il voler sottomettere le leggi della Natura a leggi arbitrarie, il volerla dividere là dove essa è indivisibile e misurarne le forze con la nostra debole immaginazione.
La Natura è continuità, dinamicità, rigoglio, e passa da un organismo a un altro attraverso sfumature impercettibili. Non c’è motivo di privilegiare un aspetto a fini classificatori, perché la vera immagine dell’animale si ottiene considerando tutti i suoi caratteri,
non solo quelli anatomo - fisiologici, ma anche tipo di accoppiamento, durata della gravidanza e del parto, numero dei piccoli, istinti, habitat, modo di vita, utilità per l’uomo.
Nella sua Histoire Naturelle, Buffon esaminò gli animali in ordine di convenienza, distinguendoli in animali domestici, selvatici, utili o dannosi, in accordo con un
criterio di valutazione antropocentrico (cioè di classificare una pianta o un animale in
funzione dell’utilità che l’uomo poteva trarne) che regnò nelle scienze naturali fino al
XIX secolo inoltrato. Partendo da posizioni nominalistiche (in Natura esistono solo in-
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2. La classificazione
dividui, e non generi o specie), Buffon arrivò però ad affermare l’esistenza e la costanza
della specie, unità tassonomica fondamentale, l’unica veramente naturale.
Bernard de Jussieu (1699-1777)
Massima autorità botanica francese del settecento, perseguì l’ideale del sistema
naturale, e le cui idee furono riprese dal nipote Antoine Laurent (1748-1836) nel Genera plantarum secondum ordines naturale disposta (1789). Per lui, il sistema naturale è
una catena, che, però, non sarà mai completa, per colpa dei nostri limiti, e deve essere
costruito considerando caratteri tratti da tutte le parti della pianta e non solo da alcuni
particolari. Vi è, però, una gerarchia di caratteri, alcuni dei quali sono costanti, altri
meno:
1.
caratteri primari o essenziali, sempre uniformi e costanti in tutti i generi di un
ordine (numero dei cotiledoni, loro struttura, posizione reciproca degli organi
sessuali, inserzione degli stami);
2.
caratteri secondari, quasi uniformi, variabili solo eccezionalmente in un ordine, ma relativi a organi non essenziali (presenza o assenza del calice, struttura
della corolla, presenza o assenza del perisperma nel seme o del seme nel frutto);
3.
caratteri terziari, variabili in un genere, costanti in un altro, tratti sia da organi
essenziali che inessenziali (caratteri degli organi floreali, struttura dell’ovaio e
dello stimma, numero degli stami, struttura e posizione delle foglie, delle stipole, delle brattee, degli spati, dello stelo erbaceo o legnoso).
Sui caratteri di validità più generale si fondano i raggruppamenti sistematici maggiori.
Jussieu divise i vegetali in tre classi primarie, Acotiledoni, Monocotiledoni e Dicotiledoni, divise, a loro volta, in 15 classi secondarie, secondo il numero dei petali, la
composizione dell’ovario e l’intersezione degli stami.
Sebbene sia basato sulla scelta di caratteri determinati a priori, il sistema di Jussieu è meno artificiale e dogmatico di quanto lui stesso lo presenti: è artificiale per
quanto riguarda i gruppi superiori, meno per gli ordini (100, corrispondenti alle nostre
famiglie) e ancora meno per i generi e le specie, stabiliti secondo il criterio del maggior
numero dei caratteri. Anche se la collocazione di un genere non è sempre evidente, è
possibile individuare gruppi naturali: alcuni sono ammessi da tutti e possono quindi ser-
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2. La classificazione
vire da modello per identificare gli altri. In sostanza, il botanico deve effettuare un calcolo del valore dei caratteri, e questo costituisce l’unica guida alla costruzione dei gruppi secondo le affinità naturali. Il calcolo, tuttavia, non vale per la formazione delle classi, livello al quale non esistono raggruppamenti naturali che possano servire da modello.
Perciò, per stabilire le classi, Jussieu ricorre al vecchio criterio dell’essenzialità della riproduzione e dell’analogia tradizionale tra l’embrione del seme e il cuore degli animali.
I due rami del regno organico sono serie di organismi, disposti in ordine di complicazione crescente della loro organizzazione e il loro parallelismo è fondato su differenze
equivalenti negli organi essenziali. Va detto, infine che Jussieu fu il primo ad affermare
il principio di subordinazione dei caratteri e a intuire che esistono parentele o legami
tra caratteri distinti. Sarà Cuvier a sviluppare questa intuizione e a stabilire un nesso
strettissimo tra i due modi con i quali si studiano gli esseri viventi e che erano stati, fino
ad allora separati: la ricerca del sistema naturale di classificazione e l’indagine della
struttura, sia esterna che interna, cioè dell’organizzazione.
Georges Cuvier (1769-1832)
Professore di anatomia comparata all’Ecole Centrale e poi di Storia Naturale al
Collége de France fu zoologo abile, ambizioso, infaticabile e di immensa erudizione,
che fece una carriera inarrestabile, fino a segretario permanente dell’Accademia delle
Scienze. Formatosi come zoologo, vide nell’anatomia comparata, intesa come morfologia funzionale, la chiave dell’organizzazione animale e del sistema naturale di classificazione, nonché il mezzo per una grande riforma che trasformasse la zoologia in una
scienza razionale e rigorosa come le scienza fisiche, fondandola, su principi non puramente formali e astratti, ma razionali. Riteneva che ogni essere vivente non fosse il risultato di una semplice giustapposizione meccanica di parti, ma un sistema organizzato,
le cui parti fossero in mutua correlazione e concorressero alla medesima azione, mediante reazioni reciproche. Proprio questo principio di correlazione gli permise di mettere insieme le ossa degli animali estinti e ricostruirne gli scheletri, riuscendo, dalla forma
dei denti e degli arti inferiori, a distinguere tra erbivori e carnivori.
Di conseguenza, non solo la classe, ma anche l’ordine, il genere e perfino la specie si esprimono nella forma delle parti. Le diverse forme di organizzazione sono il risultato di necessità fisiologiche e i tipi morfologici rivelano le leggi che regolano i pro-
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2. La classificazione
cessi vitali: le leggi che determinano le relazioni tra gli organi si fondano sulla reciproca
dipendenza delle funzioni e sull’aiuto che esse si danno reciprocamente. Queste leggi
sono necessari come quelle della metafisica e della matematica, perchè è evidente che
l’armonia fra gli organi che interagiscono è condizione necessaria per l’esistenza dell’essere cui appartengono; perciò, se una di queste funzioni subisse una modificazione
incompatibile con le modificazioni delle altre, l’organismo non potrebbe più continuare
ad esistere. Per questo, non sono possibili forme intermedie fra i tipi fondamentali,
come quelle della scala degli esseri, perché non potrebbero assicurare l’armonia delle
funzioni vitali.
Cuvier concepisce un’organizzazione gerarchica del vivente, attribuendo ad alcuni caratteri un’importanza maggiore, grazie alla quale determinano la natura degli altri. Il principio di subordinazione dei caratteri fissa il valore relativo delle varie parti
dell’organismo: i caratteri dominanti sono quelli che esercitano una influenza più netta
sulla creatura, e quindi determinano un maggior numero di relazioni di coesistenza o di
esclusione fra le parti; i caratteri subordinati sono quelli meno determinanti. Piuttosto
che la costanza morfologica, Cuvier preferì considerare l’importanza funzionale dei caratteri, anche se gli organi fisiologicamente più importanti sono i più costanti e determinano le divisioni tassonomiche maggiori, perchè la gerarchia delle funzioni corrisponde
alla gerarchia dei gruppi tassonomici.
Riteneva che il sistema nervoso fosse l’essenza dell’animale, perché gli permetteva l’esistenza e gli conferiva individualità: identificò quattro tipi di sistema nervoso,
ognuno dei quali contraddistingue un tipo morfologico: i) il tipo vertebrato, dotato di
simmetria bilaterale e midollo spinale al di sopra del tubo digerente; ii) il tipo articolato, con simmetria bilaterale e midollo spinale al di sotto del tubo digerente; iii) il tipo
mollusco, con simmetria sferica; iv) il tipo raggiato, con simmetria a stella. Questi raggruppamenti, stabiliti già nel 1807, costituiscono i tipi morfologici fondamentali del regno animale, nettamente separati l’uno dall’altro, e tra i quali non esistono forme intermedie o ambigue. All’interno di questi sistemi, sono poi stabilite suddivisioni, sulla
base di altri sistemi, come quello respiratorio, circolatorio, digestivo27.
27
A. La Vergata, La morfologia: anatomia comparata ed embriologia dal primo seicento alla metà dell’ottocento, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume
primo 351-4;
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20
2. La classificazione
Era possibile porre ciascuna creatura in alto o in basso in una particolare branca,
ma non si potevano confrontare animali appartenenti a branche differenti, per stabilire
chi stesse più in alto. Le creature erano classificate secondo criteri multipli, pesati in
maniera tale che, per esempio, per gli invertebrati avessero importanza fondamentale i
denti e le ossa, e questo significava che si potevano paragonare le creature viventi e
quelle estinte28.
Fino alla metà dell’800, mentre nella zoologia si era creato uno stretto legame
tra classificazione anatomica e fisiologica, in botanica la fisiologia resta più separata da
morfologia e sistematica. Solo con Cuvier l’anatomia comparata, iniziata da Vicq d’Azyr, diventerà la guida indispensabile della classificazione, oltre che il presupposto di
una riforma della nomenclatura zoologica. L’identificazione di costanti anatomiche, di
correlazioni regolari, di piani di organizzazione, diventerà strumento privilegiato di
classificazione. Grazie all’anatomia comparata, la storia naturale potrà sperare di identificare il sistema naturale delle affinità, purché si uniscano i punti di vista del naturalista,
che considera i caratteri esterni, e dell’anatomista, che considera quelli interni.
La visione cuvieriana della natura organica, discontinuista, statica, funzionalista
e finalista, non poteva non scontrarsi con coloro che sottolineavano la continuità e la
trasformazione del regno animale o la sua unicità fondamentale, come Geoffroy SaintHilaire (1772-1884). Per lui la forma non è una conseguenza della funzione, ma la manifestazione di un piano ideale, e la morfologia, piuttosto che essere subordinata alla fisiologia, deve essere costruita coma anatomie transcendante, teoria di puri rapporti di
forma e posizione.
Scale, mappe, alberi
All’esigenza di stabilire se le unità sistematiche sono naturali o artificiali, si aggiunge il problema della continuità o discontinuità delle forme organiche, cioè se i vari
gruppi di organismi siano effettivamente separati gli uni dagli altri o se esistano forme
di transizione, ancora da scoprire, che coprano le distanze tra gruppi ora lontani. L’idea
della continuità, cioè che il sistema naturale, se mai fosse stato chiarito, avrebbe avuto
l’aspetto di una serie continua, aveva radici molto antiche, e non collegate alla classificazione naturale. Ripresa e sviluppata da Leibnitz nel ‘600, esercitò un grande fascino
28
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 89;
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21
2. La classificazione
per tutto il ‘700, durante il quale serpeggiarono e rinacquero in varie forme teorie come
quella della catena dell’essere, o della scala naturae.
Leibnitz affermava: Natura non facit saltus, per cui tutti gli esseri potevano esser
posti in una successione continua, separati da una gradazione regolare di sfumature impercettibili, da un minimo a un massimo di perfezione o nobiltà. La scala naturae è una
gerarchia che parte dal basso con gli organismi più semplici, fino alla cima, dove si trova l’uomo, che, per tutto il ‘700, rimase misura e base dell’analogia anatomica. Ovviamente, l’ipotesi della continuità della Natura escludeva l’esistenza delle specie, perché
le differenze tra un individuo e il successivo sono le stesse lungo tutta la scala naturale.
L’altra teoria continuista, le cui origini risalivano a Platone, e che costituiva uno
schema concettuale ampiamente accettato, sembrava essere la traduzione in campo
scientifico dell’organizzazione sociale tipica del settecento europeo. Tutti gli organismi
dell’universo erano disposti lungo la grande catena dell’Essere, nella quale tutte le
creature, a partire dai più semplici oggetti materiali, si evolveva attraverso i minerali, le
piante e gli animali, fino a gli uomini e forse gli angeli, poste in serie, come anelli di
una catena: ogni creatura aveva il suo posto e ogni tentativo, da parte di una specie, di
spostarsi di un anello più in alto avrebbe potuto produrre soltanto distruzione e caos. Gli
organismi che occupavano posizioni adiacenti differivano per incrementi infinitesimi,
né esistevano interruzioni, perché un Dio buono e onnipotente non avrebbe potuto non
creare qualcosa che era in grado di creare, né era possibile che qualche specie si estinguesse, creando un vuoto nella catena29. Questo schema aveva qualche fondamento nell’osservazione sperimentale, ma l’idea centrale era teologica: non solo mostrava come
gli oggetti sono disposti, ma anche perché deve essere così: somigliava a un ancien regime ideale, con le sue categorie sociali, dai contadini senza terra, ai gentiluomini e nobiltà, fino al re. Solo a XIX secolo inoltrato gli schemi di classificazione in zoologia non
fecero più riferimento all’uomo come punto più alto della creazione, valutando le altre
creature più o meno perfette, a seconda del loro grado di somiglianza con lui30 .
Tra chi si oppose all’idea della serie continua vanno ricordati Vicq d’Azyr, Cuvier e Peter Simon Pallas (1741-1811) ; quest’ultimo riconosceva che gli esseri viventi
sono collegati da transizioni graduali, e possono essere disposti in una serie secondo la
progressiva complicazione della loro organizzazione, ma le molteplici affinità degli or29
30
O. T. Benfey, J. Chem. Educ., 42 (1965) 39;
D. Knight, Ordering the World, Burnett Books, London (1981) 42;
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2. La classificazione
ganismi non sono rappresentate da una serie unilineare, ma da un albero, alle cui radici
stanno le forme più semplici, dalle quali si dipartono due tronchi, i vegetali e gli animali, distinti, ma suscettibili di contatti diversi. Dal tronco, composto dalla serie principale
dei generi uniti da affinità, si staccano via via, come rami, generi che, pur restando uniti
ai primi per affinità laterale, non possono, però, essere inseriti tra di essi. Per certi autori, le ramificazioni sono un modo di salvare la continuità e conciliare l’unità con la diversità, in pratica, adattamenti delle vecchia catena dell’essere.
Il rifiuto delle teorie continuiste portò alla dichiarazione di arbitrarietà della tradizionale suddivisione nei tre regni e venne proposta soltanto una divisione tra esseri organici e inorganici, tra vita e non vita, e per la prima volta viene usata la parola biologia, nel senso generale di scienza della vita. L’abbandono delle serie lineari verrà poi
favorito dal progressivo riconoscimento delle omologie e delle analogie tra gli organismi, e dalla distinzione precisa tra questi tipi di somiglianze. Infine, il colpo di grazia all’idea della scala naturae sarà dato dall’affermazione di Cuvier che tutte le forme animali si riconducono a uno dei quattro piani di organizzazione fondamentali, assolutamente
distinti e separati l’uno dall’altro.
Aumento delle conoscenze
Una fonte straordinaria di nuove conoscenze furono i viaggi di esplorazione naturalistica, che conobbero un periodo aureo tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 e che
consentirono agli Europei di venire a contatto con la rigogliosa natura tropicale, che
sembrava fatta apposta per scompigliare i sistemi artificiali e geometrici.
Le spedizioni naturalistiche, che all’inizio si sarebbero rivelate più produttive
per la botanica, essendo più facile trasportare e conservare piante e semi che non animali, contribuirono, non solo ad aumentare le conoscenze e ad arricchire le collezioni, ma
anche a suscitare interesse verso nuovi aspetti delle scienze naturali, come la distribuzione geografica degli organismi, le loro variazioni geografiche e stagionali, la biologia
marina, che pian piano diventò una scienza autonoma.
Tuttavia, il prodigioso aumento del numero delle specie che si registrò nel XIX
secolo, non era dovuto soltanto all’aumentare delle conoscenze, ma anche, in misura
molto minore, alle concezioni tassonomiche di ogni singolo naturalista, che solitamente
tendevano a frazionare i generi molto ampi fissati da Linneo. Questo contrasto tra ac-
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2. La classificazione
corpatori e frantumatori è costante in tutta la storia della sistematica, ed è particolarmente evidente se si fa un confronto tra autori contemporanei; su queste diversità facevano leva coloro che ritenevano artificiali le partizioni sistematiche.
A inizio ottocento, si registrarono progressi nello studio degli invertebrati, alla
cui classificazione si dedicò Jean-Baptiste de Lamarck (1749-1829) che per primo
diede importanza fondamentale alla divisione tra vertebrati e invertebrati. Egli tentò di
disporre tutti gli organismi in una serie, secondo la complicazione crescente dell’organizzazione e delle facoltà psichiche. Gli apatici non provano sensazioni e si muovono
solo per irritabilità; privi di cervello, midollo allungato e organi di senso, hanno varie
forme e solo raramente le articolazioni. I sensibili hanno solo sensazioni elementari,
percezioni di oggetti non connesse in idee complesse, un cervello e, per lo più, solo una
massa midollare allungata, qualche organo di senso, forma simmetrica. Gli intelligenti
sono capaci di compiere operazioni con le idee, hanno cervello, midollo spinale, organi
di senso, muscoli su uno scheletro interno, simmetria bilaterale.
Questa concezione era opposta a quella dell’amico e rivale Cuvier, che escludeva forme di transizione tra i quattro embranchements, e combatteva l’idea di una serie
unica e continua. Tuttavia, entrambe le classificazioni furono sottoposte a revisione profonda riguardo agli organismi più elementari. Si tendeva a dare più enfasi alla morfologia, alla fisiologia e alla paleontologia, che al comportamento animale, al rapporto tra
abitudini di vita e condizioni ambientali, alla distribuzione geografica degli organismi.
In botanica, si registrarono le stesse tendenze, anche se più accentuate. A partire
dalla fine degli anni ‘30, l’interesse si spostò, soprattutto per l’influenza della teoria cellulare, dalla morfologia e sistematica tradizionali, verso metodi e studi fisiologici ed
embriologici. Fisiologi e citologi criticavano lo studio tradizionale delle piante, mentre,
specie in Germania, parte dei morfologi tendevano a disinteressarsi dei problemi della
tassonomia. Solo nella seconda metà del secolo la fisiologia vegetale cesserà di essere
una disciplina eminentemente fisico - chimica e si riavvicinerà alla sistematica. E’ fuori
di dubbio che gli sviluppi della teoria cellulare, della teoria della sessualità vegetale, e
della generazione alternata, lo studio dello sviluppo dell’embrione fino all’individuo
maturo hanno dato molto alla sistematica, se non altro per aver mostrato quanto sia utile
confrontare, non solo individui adulti, ma anche organismi in fase di sviluppo.
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2. La classificazione
Augustine-Pyramus de Condolle (1778-1841) aveva una concezione morfologica ed empirica dei gruppi tassonomici, che devono essere costituiti secondo un insieme di rapporti, non secondo caratteri arbitrari, anche se facili da osservare. Come Linneo aveva indicato le parti chiave del sistema naturale nella simmetria semplice, de
Condolle vide nella morfologia la scienza della simmetria, cioè del sistema generale
dell’organizzazione vegetale. La morfologia studia i rapporti di posizione tra le diverse
parti della pianta, che vanno analizzati senza lasciarsi ingannare dalle modificazioni di
forma, dimensioni e funzioni. Bisogna distinguere tra il significato morfologico di un
organismo, che è della massima importanza sistematica, e la sua funzione fisiologica:
organi omologhi possono avere funzioni molto diverse. De Condolle tracciò una distinzione netta tra caratteri morfologici e caratteri fisiologici; la parentela effettiva non si
può ricavare dall’habitus che comprende tratti non solo morfologici. Questo principio
contrasta con la visione di molti botanici, che ponevano il valore fisiologico degli organi alla base della classificazione, attribuendo ad essi un valore tanto maggiore quanto
più importanti sono per la conservazione e la riproduzione di un organismo.
Bisogna, però, distinguere anche tra i rapporti morfologici fondamentali e le loro
deviazioni, che hanno un’importanza non secondaria. L’arte della classificazione naturale consiste nell’individuare il piano della simmetria attraverso tutte le modificazioni
particolari, così come il cristallografo individua il tipo fondamentale di un cristallo in
mezzo a tutte le forme secondarie da esso derivate. Il regno vegetale (161 famiglie) fu
diviso da de Condolle in due grandi sezioni: piante vascolari e piante cellulari, o Acotiledoni. Le prime si dividono in Esogene o Dicotiledoni (divise in piante con perigonio
semplice o composto) e in Endogene o Monocotiledoni (suddivise in Fanerogame e
Crittogame); le seconde in Foliacee o Aphyllae (piante senza foglie).
Fino al 1850, i sistemi di classificazione generale proliferarono, ma i progressi
nell’identificazione dei gruppi naturali e nell’individuazione di vere affinità tra di loro
furono dovuti, piuttosto che al successo del sistema e del metodo, al fiuto e al mestiere
dei naturalisti e all’accumularsi e affinarsi delle conoscenze empiriche. Una delle figure
più rappresentative di questo approccio empirico è l’inglese Robert Brown
(1773-1858), che affermò chiaramente la relatività del valore sistematico dei caratteri:
tratti che sono costanti e hanno grande valore sistematico in certi gruppi, sono variabili
e hanno poco o nessun valore in altri gruppi.
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2. La classificazione
Naturphilosophie
Nella prima metà dell’800, sotto l’influsso di Friedrich Wilhelm Schelling
(1775-1854), si affermò in Germania un movimento intellettuale, che ebbe una grande
influenza sulla biologia, non solo tedesca. Tendeva a dare sistemazione filosofica ai dati
della scienza e a trasformare quello che sembrava il caos dei singoli saperi empirici in
un tutto organico, alla luce di concetti come polarità, opposizione delle forze, microcosmo - macrocosmo, vita universale, divenire. Dava grande enfasi all’unità della Natura e
alla sua accessibilità da parte della ragione umana, si poneva lo scopo di cogliere regolarità e simmetrie, corrispondenze tra elementi naturali e organismi (anche appartenenti
a gruppi lontani tra di loro) e fra principi come luce, aria o movimento, e organi o gruppi di organi. Nelle scienza fisiche, tendeva all’unità di tutte le forze e alla superiorità
delle forze sulla materia bruta, in quelle della vita all’unità e alla continuità.
Questo programma era attuato attraverso la critica e la reinterpretazione di tutte
le conoscenze zoologiche e botaniche, così che il movimento presentava i due aspetti
(apparentemente contrastanti) dell’accumulo di una quantità straordinaria di dati e della
tendenza a una speculazione audace e talvolta sfrenata, oltre a introdurre una concezione dinamica dalla natura, ispirata a Goethe e a Schelling. Secondo questi filosofi, il sistema naturale di classificazione andava costruito considerando, non solo le affinità, ma
anche lo sviluppo graduale, per lo più metafisico, degli organismi, che avviene, non nel
tempo reale della geologia, ma in un tempo ideale, se non mitico. Sia le parti di un organismo, sia gli organismi di un gruppo sono il risultato degli stessi processi fondamentali che producono le diverse strutture da forme originarie o idee fondamentali. Si tende a scoprire in Natura regolarità geometriche o aritmetiche, e anche i sistemi di classificazione assumevano aspetto geometrico: le affinità naturali venivano rappresentate, o
con circoli concentrici, o con pentagoni, o con una gerarchia di sistemi quadripartiti.
La figura più rappresentativa della Naturphilosophie fu Lorentz Oken
(1799-1851), che considerava il regno animale come un unico, grande animale, ogni organo del quale era costituito da un gruppo particolare di animali e ogni classe era caratterizzata dal predominio di certi organi e rappresentava uno dei sistemi anatomici. L’uomo era culmine, coronamento, prototipo, misura del regno animale. Oken procedeva per
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2. La classificazione
quaterne: quattro sono gli elementi, quattro i sistemi principali di organi, quattro i circoli nei quali si rappresentano le affinità generali del regno animale31:
Terra
intestini
animali - intestino
Acqua
sistema vascolare
animali - vascolari
Aria
sistema respiratorio
animali - pelle o animali - trachea
Fuoco
sistema nervoso - muscolare
animali - carnei o animali - testa
Nonostante i suoi aspetti più bizzarri, speculativi o metafisici, la Naturphilosophie diede un notevole impulso agli studi zoologici e botanici, e non mancarono speculazioni sui rapporti tra l’organico e l’inorganico, tra l’animale e il vegetale, sull’origine
della vita dal mondo inorganico e dell’animale dal vegetale.
Denominare, classificare, descrivere.
Gli eccessi dei Naturphilosophen provocarono, col tempo, una violenta reazione
antispeculativa, che in molti casi diventò antifilosofica e persino arbitraria. Si scelse di
attenersi rigidamente ai fatti, ridurre al minimo le ipotesi e le discussioni teoriche, che
ostacolarono, in qualche modo, anche la diffusione della teoria dell’evoluzione.
Nella sistematica, i sistemi rivali avevano sempre incontrato una certa resistenza
passiva da parte dei naturalisti meno inclini alla discussione sui principi e più impegnati
nella routine di denominare, classificare, descrivere. Il loro empirismo era incoraggiato
da quegli scienziati che, come Cuvier, esaltavano i fatti sulle teorie.
Il tempo impiegato a descrivere specie sempre nuove e numerose toglieva spazio
alla classificazione: molti naturalisti prendevano disinvoltamente dai vari sistemi di
classificazione quello che conveniva loro, senza farsi scrupolo di modificarne alcune
parti. Di fronte ai problemi posti dalle difficoltà di individuare concordemente generi,
specie, ecc., essi oscillavano tra un nominalismo pragmatico e un realismo ingenuo; per
loro il tipo non era una forma ideale o un piano fondamentale di organizzazione (come
ritengono i morfologi idealisti), ma un campione convenzionalmente assunto come rappresentante del gruppo di appartenenza, la base di descrizione del gruppo e del nome
che gli è attribuito. La specie tipica è quella considerata più rappresentativa di un genere, genere tipico è il genere considerato più rappresentativo di una famiglia, e così via.
Il sistema quinario (1819-1840).
31
A. La Vergata, La storia naturale e le classificazioni, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume primo 821;
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2. La classificazione
All’inizio del XIX secolo, la storia naturale era uno dei campi della conoscenza
umana in più rapida espansione, e i viaggi di esplorazione e colonizzazione stavano cominciando a portare un patrimonio di nuovo materiale biologico ai Musei d’Europa.
Questo patrimonio, oltre ad ampliare i cataloghi dei musei, fornì, a quei naturalisti che
guardavano al di là dell’ambito ristretto dei loro laboratori l’impulso per una risistemazione della struttura del creato. La straordinaria diversità di forme, e le intricate similarità e differenze da loro evidenziate li convinsero che la diversità del vivente non poteva
più essere ordinata nella semplice singola catena dell’essere, ma che il sistema della Natura dovesse avere una struttura più complessa. Oggi sappiamo che si tratta di una struttura ad albero perché la diversità naturale è stata prodotta da un processo divergente di
evoluzione. Ma, nel periodo preevoluzionista, quelle ad albero erano soltanto alcune
delle possibili strutture prese in considerazione. Ispirandosi alla Naturphilosophie, alcuni naturalisti inglesi erano convinti che, per la sua regolarità, il sistema naturale fosse
raffigurabile geometricamente.
Tra le filosofie sistematiche più popolari ad inizio ottocento c’era il quinarismo,
o classificazione circolare, proposto per la prima volta dall’entomologo William Sharp
MacLeay (1792-1865) nel 1819. I suoi allievi principali erano Nicholas Aylward Vigors e William Swainson, e furono proprio le pubblicazioni ornitologiche di Swainson
che, forse più del lavoro originale di MacLeay, che diedero al sistema quinario la sua
più ampia esposizione. Il sistema quinario deve il suo nome all’enfasi che diede al numero cinque: tutte le unità tassonomiche erano divisibili naturalmente in cinque sottogruppi, ogni sottogruppo in cinque sottogruppi, e così via. Tuttavia, le regolarità numeriche erano solo uno di una serie di elementi nella posizione quinaria, cui è stata attribuita un’enfasi non dovuta. Il concetto centrale del quinarismo era la convinzione che si
potevano ottenere due tipi di relazioni tra le unità tassonomiche: relazioni di affinità
(immediate), e relazioni di analogia (remote). Un’altra nozione centrale alla posizione
quinaria era la convinzione che i vari gruppi di animali non potessero essere adattati in
una sequenza lineare, con i differenti membri posti più in alto o più in basso. Invece, le
affinità tra le unità tassonomiche formavano catene circolari, con gli estremi che si toccano, così che, se A mostra affinità con B, e B con C, e C con D, e D con E, E mostrerà
sempre affinità con A. I quinariani rivendicavano anche che le analogie sottendevano
sempre tra unità tassonomiche nelle stesse posizioni in differenti cerchi di affinità, e che
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2. La classificazione
cinque tipi primari della Natura erano rappresentati in ogni cerchio. Per esempio, gli
uccelli rapaci erano i gatti della classe avicola, così come gli uccelli natatori erano gli
analoghi dei cetacei. Swainson sosteneva che questa legge di rappresentazione (i cinque tipi primari sono sempre rappresentati analogicamente nei cinque cerchi) fosse un
grande dono per i sistematici, perché forniva un test per ogni cerchio di affinità proposto: se le unità tassonomiche nei cerchi non mostravano le appropriate analogie con
quelle degli altri cerchi, le loro affinità erano state determinate in maniera non corretta.
Nessuna legge del sistema naturale meglio di questa teneva sotto controllo l’ardore dell’immaginazione32.
Sorto probabilmente a seguito di un’osservazione casuale di qualche analogia
accidentale tra differenti gruppi, il sistema fu eretto a principio generale, e divenne sempre più elaborato, fino a disporre in un circolo ogni gruppo di cinque, con i gruppi relativamente avanzati in cima e le forme degenerate al fondo. Ogni circolo poteva sovrapporsi a quelli adiacenti, fenomeno chiamato osculazione. Il sistema godette di buona
popolarità a metà del XIX secolo tra i naturalisti inglesi, ma non ebbe grande diffusione
all’estero e, intorno al 1840, andò fuori moda, quando Strickland e Alfred Russel Wallace misero a punto mappe più complesse.
Il metodo della mappatura (1840-1859)
Paradossalmente, uno dei punti più deboli della posizione quinaria era che essa è
stata discussa approfonditamente. Il trattamento originale di MacLeay era lungo e l’elaborazione di Swainson riempì numerosi volumi. Perciò, i critici avevano un obiettivo
molto ben definito e gli attacchi ai quinariani più accuratamente elaborati vennero da
Hugh Edwin Strickland (1811-1853); in una sua pubblicazione del 1841, fiduciosamente intitolata Sul vero metodo per scoprire il sistema naturale in zoologia e botanica,
usava i martin pescatori e gli uccelli ad essi collegati per esemplificare un nuovo approccio, secondo lui puramente induttivo, allo studio della diversità naturale. Si partiva
da una specie qualunque A e si cercavano quelle ad essa più affini: se si trovava che
esse sono B e C e che A è ad esse intermedia, si otteneva la formula BAC, che esprimeva una porzione del sistema naturale. Si passava quindi a cercare le specie più affini a
C: una era A, se era D quella più affine a C dall’altro lato, le quattro specie venivano di32
W. Swainson, A treatise on the geography and classification of animals, Longman, London (1835)
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
29
2. La classificazione
sposte come BACD. Ripetendo questo processo, si sarebbe, alla fine, disposto l’intera
creazione organizzata nell’ordine delle sue affinità, completando così la ricognizione
del sistema naturale. Questa procedura, che altrove Strickland paragonò alla mappatura
geografica di un territorio ancora inesplorato, può anche consentire di arrivare alla conclusione che le affinità non portano sempre a semplici catene, ma possono dar luogo a
ramificazioni laterali, che, per di più, possono occasionalmente anastomizzare e formare un circolo. Sebbene questo avesse indotto qualcuno ad adottare il punto di vista quinario, i circoli sono di dimensioni irregolari e non hanno nessuna delle simmetrie numeriche rivendicate dai quinariani. Strickland credeva che le ramificazioni e i cerchi del sistema naturale potessero essere molto complessi, ma non sapeva quanto: rigettò, non
solo la natura bidimensionale planare della classificazione quinaria, ma anche la nozione che le relazioni di analogia avessero un posto nella sistematica. Affermava che l’affinità determina il posto di una specie nel sistema naturale, mentre l’analogia non è in alcun modo coinvolta nel sistema naturale.
Dopo la morte di Strickland (1853) il suo approccio fu esplicitamente ripreso da
Alfred Russel Wallace (823-1913); anche lui rigettò l’uso di semplici analogie nella
sistematica, ma ignorò la possibilità di affinità circolari e multidimensionali, che Strickland aveva ammesso, concentrandosi invece sulla struttura ramificata. Introdusse anche un’importante modificazione, che rende più facile un’interpretazione evoluzionistica di questi grafici: cominciò a rimuovere le unità tassonomiche dai nodi dei diagrammi
e a porli all’estremità dai rami. Le estensioni di questi rami dovevano più appropriatamente essere occupate dalle unità tassonomiche estinte, perché in molto pochi casi c’è
un’affinità tra due gruppi, essendo ognuno più o meno correlato a distanza a qualche
gruppo comune estinto. Wallace riteneva anche che la sistematica dei livelli delle specie
si accordava con una visione evoluzionistica della natura, implicitamente ammettendo
che le classificazioni più elevate si accordavano con l’evoluzione.
Idee e teorie evoluzionistiche del settecento
Linneo aveva per la prima volta esposto in maniera ampia, rigorosa, sistematica
e filosoficamente fondata, la teoria della fissità delle specie, cioè che le specie che noi
possiamo osservare e enumerare sono le stesse che Dio ha creato in principio, e persino
l’adattamento delle specie alle varie condizioni ambientali era stato previsto e predispo-
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2. La classificazione
sto da Dio. Tuttavia, la somiglianza morfologica tra organismi distinti, rivelata soprattutto dalle comparazioni anatomiche, il rapporto tra fossili e organismi attuali, il problema di come le forme di vita avessero reagito ai cambiamenti geologici non potevano
non sollevare dubbi sulla fissità delle specie. Nei dibattiti sulle classificazioni, era stato
spesso posto il problema se le categorie tassonomiche corrispondessero a entità reali,
perché, secondo alcuni, nessuna classificazione poteva rispecchiare la ricchezza, la varietà e la potenza creatrice della Natura. Ovviamente, ammettere che i sistemi di classificazione siano artificiali, né riconoscere la variabilità esistente in Natura, sono, di per
sé, un segno di pensiero evoluzionistico. Anzi, la questione dell’evoluzione non è proponibile in una concezione nominalistica delle unità tassonomiche, perché non possono
trasformarsi, e discendere le une dalle altre, entità che esistono solo nella mente del naturalista. Ostile a una visione evoluzionistica era anche l’idea contraria, che le specie
siano entità, non solo reali, ma rigorosamente delimitate, e che le varietà, per quanto numerose e cospicue, siano il prodotto di fattori contingenti, abbiano scarso significato sistematico e siano destinate a scomparire appena si ristabiliscono le condizioni ambientali in cui prospera il tipo fondamentale della specie33.
Il periodo evoluzionista (1860-1901)
Lo sviluppo concettuale della sistematica nei 40 anni che seguirono la pubblicazione dell’Origine delle specie di Darwin è molto complesso e non può essere trattato
adeguatamente in maniera sintetica. Saranno qui sottolineati due differenti percorsi presi
dai maggiori ricercatori inglesi durante questo periodo, uno basato sui metodi originali
di Strickland, e l’altro sulle modifiche che vi apportò Wallace. Questo secondo percorso
ristrutturò l’intero campo della sistematica e le diede un nuovo scopo: ricostruire la storia della vita. Il primo, derivando direttamente da Strickland, mantenne intatta la sua
tendenza pre - evoluzionista per la sistematica (determinare le affinità delle unità tassonomiche) e aggiunse una dimensione evoluzionista relativamente non importante, che
era chiaramente secondaria rispetto alla finalità primaria di determinare le affinità.
Lo sviluppo dell’approccio di Wallace.
33
A. La Vergata, La storia naturale e le classificazioni, in P. Rossi, Storia della scienza moderna e contemporanea, TEA, Milano (2000) Volume primo, 828;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
31
2. La classificazione
La fine del XIX secolo fu un’età d’oro dell’anatomia comparata, e la Società
Zooologica di Londra era il centro della ricerca anatomica in Inghilterra. I Prosettori
della Società ebbero l’opportunità di sezionare l’una dopo l’altra unità tassonomiche
mai prima esaminate anatomicamente, l’abbondanza delle nuove varianti anatomiche
che scoprivano e la necessità di organizzarle in qualche modo, li portò a interessarsi in
maniera considerevole ai metodi della sistematica. Tra di essi, Arthur Henry Garrod e
Peter Chalmers Mitchell dedicarono più tempo di qualunque loro contemporaneo alla
discussione dei metodi sistematici, fornendoci così la possibilità di gettare uno sguardo
profondo nel pensiero dei tempi.
La più approfondita esposizione dell’approccio di Garrod alla sistematica è contenuta in una sua pubblicazione del 1874, sull’anatomia e l’evoluzione dei pappagalli.
Questo lavoro contiene due diagrammi di classificazione, uno ad albero e l’altro costituito da un gruppo di cerchi inseriti l’uno nell’altro. Sebbene, a un esame superficiale,
questo diagramma assomigli a un moderno cladogramma, esso non lo è, e occorre una
notevole attenzione per capire come si è generato. Il primo passo di Garrod fu quello di
ricostruire un ipotetico antenato del pappagallo, esaminando le variazioni anatomiche
nei pappagalli e gruppi correlati, e poi applicare una miscela, in qualche modo vaga, di
quei principi che oggi chiamiamo composizione outgroup, il comune è primitivo e parsimonia di Dollo. Una volta determinati i caratteri dal pappagallo ancestrale, Garrod
identificava i gruppi che differivano da esso nella misura minore e costruiva con essi le
due ramificazioni principali dell’albero. Gli altri gruppi, poi, si diramavano da questi secondo le loro ulteriori deviazioni dall’antenato. E’ anche chiaro che l’ordine di diramazione mostrato nel diagramma non voleva suggerire le sequenze relative degli eventi.
L’originalità del lavoro di Garrod stava nel suo tentativo specifico di ricostruire i
caratteri delle unità tassonomiche ancestrali e diagrammare il corso delle variazioni del
carattere attraverso l’evoluzione. In effetti, l’intera enfasi che Garrod diede ai caratteri e
alle loro variazioni è relativamente originale; i ricercatori precedenti avevano mostrato
una tendenza a parlare di unità tassonomiche che erano, nel loro complesso, vicini a o
lontani da l’uno con l’altro, piuttosto che differire o essere simili in aspetti particolari.
L’approccio all’analisi dei caratteri iniziata da Garrod raggiunse il suo apice 25
anni dopo, ne lavoro di Peter Chalmers Mitchell, sulle configurazioni intestinali degli
uccelli; distinse, in maniera completa e precisa, tra quelli che ora chiamiamo stati pri-
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
32
2. La classificazione
mitivi e stati derivati dei caratteri (che lui chiamava archeocentrici e apocentrici) e tra
caratteri unicamente derivati (uniradialmente apocentrici) e molteplicemente derivati
o convergenti (multiradialmente apocentrici). Evidenziò come il possesso congiunto di
caratteri primitivi non è indice di una relazione e non può essere usato come prova per
unire rami dell’albero evoluzionista. I suoi diagrammi ad albero illustravano la storia
del cambiamento del carattere e non necessariamente la filogenia delle unità tassonomiche, e sono quelli che oggi chiamiamo alberi dello stato del carattere.
Mentre Garrod, Mitchell e gli altri anatomisti della Società Zoologica rifinivano
le loro tecniche per ricostruire la storia della vita, Richard Bowdler Sharpe, del British
Museum, portava la sistematica in un’altra direzione, continuando da dove Strickland
aveva interrotto nel 1840. Sharpe era uno dei più importanti e precisi ornitologi da museo dei suoi tempi, che pubblicò, appena ventenne, il suo primo lavoro sul martin pescatore, che Strickland aveva usato per esemplificare il suo metodo vero. Come quelle di
Strickland, la mappa di Sharpe mostra le relazioni o affinità dei generi martin pescatore, ma, scrivendo in epoca darwinista, dovette pure prendere in considerazione l’aspetto
evolutivo. Così, creò, con mezzi assolutamente non specificati, un albero evoluzionista
indipendente, che non conteneva quasi alcuna struttura ramificata, e che sospese al di
sotto della mappa. Sharpe riaffermò la sua fiducia in questo approccio alla sistematica,
in un contributo presentato al Secondo Congresso Ornitologico Internazionale (Budapest, 1891), nel quale presentava una mappa dell’intera classe, dalla quale derivava uno
schema filogenetico simile al phylum del martin pescatore, ma più grande.
Sebbene fosse contemporaneo di Garrod e Mitchell, Sharpe era un ornitologo di
nuovo tipo, specialista delle specie. I suoi studi sulla classificazione superiore degli uccelli erano largamente basati su lavori pubblicati da altri. Dal suo lavoro al British Museum, concluse che “con un’applicazione costante di 40 anni, si può sperare di acquisire
una qualche conoscenza pratica delle specie e della letteratura relativa, attraverso! Questo lascerà poco tempo a disposizione per studiare l’anatomia comparata e l’osteologia.”
Poiché sempre più ornitologi del XX secolo divennero, come Sharpe, studiosi delle specie, sempre minore attenzione fu rivolta, non solo all’anatomia comparata, ma anche ai
metodi e ai principi della classificazione superiore, in generale. La sistematica del XX
secolo, grazie a uomini come Sharpe, sarebbe stata sistematica delle specie34.
34
R, J, O’Hara, Acta XIX Congressus Internationalis Ornitologici, Ottawa (Canada) 22-29.VI.1986, vol
II, 2742-2759;
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33
2. La classificazione
Il ventesimo secolo
Nel XX secolo, grazie agli enormi progressi compiuti nel campo delle tecniche
di osservazione delle cellule, è stato possibile individuare differenze fondamentali tra
gli organismi viventi, che ne hanno permesso una classificazione più accurata e corretta
dal punto di vista filogenetico. Il microscopio elettronico ha, ad esempio, consentito di
dividere tutti gli organismi viventi, in base a differenze nella struttura cellulare, in due
grandi categorie: gli organismi procarioti, dotati di cellule semplificate prive di nucleo,
e gli eucarioti, le cui cellule presentano un vero nucleo e numerosi organuli, tutti circondati da membrana. I procarioti sono tutti organismi unicellulari, oggi classificati all’interno del regno omonimo. Tra i procarioti si trovano organismi unicellulari come i
batteri, mentre gli eucarioti comprendono tutti gli altri organismi viventi.
Gli organismi viventi sono stati poi classificati nel sistema di classificazione in
cinque regni, proposto nel 1959 dal biologo statunitense Robert Whittaker
(1920-1980) e basato sul livello di organizzazione degli organismi (dei procarioti, degli
eucarioti unicellulari e degli eucarioti pluricellulari) e sul tipo di nutrizione (autotrofa,
eterotrofa per ingestione e eterotrofa per assorbimento).
I cinque regni comprendono:
1. il regno animale (eucarioti pluricellulari a nutrizione eterotrofa, per ingestione, ossia introducendo sostanza alimentari in un canale - tubo digerente - nel quale avviene la loro demolizione e digestione);
2. il regno vegetale (eucarioti pluricellulari a nutrizione autotrofa, per mezzo della fotosintesi);
3. il regno dei funghi (eucarioti pluricellulari a nutrizione eterotrofa, che si nutrono
per assorbimento, ossia mediante il passaggio diretto delle sostanze attraverso la
membrana cellulare);
4. il regno dei protisti (eucarioti unicellulari, a nutrizione mista);
5. il regno delle monere (comprendente archeobatteri, eubatteri e alghe azzurre o cianobatteri, ossia organismi procarioti a nutrizione mista).
Nonostante il sistema di Whittaker sia stato per molti anni utilizzato da gran parte della comunità scientifica internazionale, esso presenta alcuni problemi riguardanti la
classificazione delle alghe. In base a questo sistema, infatti, le alghe pluricellulari vengono raggruppate nel regno vegetale, insieme alle piante, mentre quelle unicellulari
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
34
2. La classificazione
rientrano tra i protisti, insieme ai protozoi. Secondo alcuni ricercatori, tuttavia, questa
divisione delle alghe in due gruppi distinti sarebbe artificiale, perché in realtà le alghe
hanno numerose caratteristiche comuni, al di là del fatto che siano unicellulari o pluricellulari. Pertanto, le biologhe statunitensi Lynn Margulis e Karlene V. Schwartz hanno
proposto una modifica al sistema di classificazione in cinque regni, per la quale il regno
dei protisti viene sostituito da quello dei prototisti, comprendente tutti gli organismi unicellulari già classificati tra i protisti, più le alghe pluricellulari35.
35
http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761576239/Classificazione_tassonomica.html;
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
35
2. La classificazione
R. Zingales - MISSB - Versione provvisoria del 10.02.08
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