1 SPIRITUALITÀ ED ELEMENTI PER UNA TEOLOGIA DELLA
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1 SPIRITUALITÀ ED ELEMENTI PER UNA TEOLOGIA DELLA
.... SPIRITUALITÀ ED ELEMENTI PER UNA TEOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE IN RETE Antonio Spadaro S.I. Uno dei cardini della spiritualità ignaziana, quella dei gesuiti, è una frase di Ignazio di Loyola: «cercare e trovare Dio in tutte le cose». Questo ha reso spesso i gesuiti curosi, amanti delle «frontiere» e delle «trincee», ma anche... dei luoghi «sbagliati». Mi ha colpito un libro che ha per sottotitolo: Searcing God in all wrong places. Non vorrei che, visto il titolo di questa mia relazione, voi immaginiate che stiamo parlando di spiritualità cercando Dio nel posto sbagliato. No, la tecnologia è un buon posto per cercare e trovare Dio. Perché? In che senso? 1. Tecnologia e spiritualità La tecnologia non è una forma di vivere l‘illusione del dominio sulle forze della natura in vista di una vita felice. Sarebbe riduttivo considerarla solamente frutto di una volontà di potenza e dominio. La tecnologia, scrive Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, «è un fatto profondamente umano, legato all‘autonomia e alla libertà dell‘uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia» 1. Direi di più: le tecnologie digitali sono chiamate per vocazione nel progetto di Dio ad essere in relazione allo vita dello spirito. Un momento cruciale della comprensione spirituale delle nuove tecnologie fu la promulgazione del Decreto del Concilio Vaticano II Inter mirifica, il 4 dicembre 1963, che esordisce: «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto ai nostri giorni, l’ingegno umano, con l'aiuto di Dio, ha tratto dal creato, la Madre Chiesa accoglie e segue con speciale cura quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell'uomo e che hanno aperto nuove vie per comunicare, con massima facilità, notizie, idee e insegnamenti d‘ogni genere». 1 BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, n. 69. 1 E‘ interessante l‘attitudine della Chiesa a definire mirifica i prodotti della tecnologia. Nel 1964 Paolo VI, rivolgendosi al Centro di Automazione dell‘Aloisianum di Gallarate, aveva usato parole di una bellezza sconcertante, a mio avviso. In questo discorso Paolo VI dice che il «cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale»2. Aggiunge che l‘uomo compie uno «sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali». L‘uomo tecnologico è l‘uomo spirituale. Questa è l’unica premessa valida per una vivere e annunciare la fede al tempo dei media digitali: riconoscere il loro valore, la loro «capacità» spirituale. Essi hanno al loro interno la risposta a una «vocazione» nel momento in cui «la spiritualità e la tecnologia si incrociano»3. 2. La vera sfida della Chiesa E lo vediamo oggi più che mai. Se fino a qualche tempo fa la Rete era legata all‘immagine di qualcosa di tecnico, che richiedeva competenze specifiche sofisticate, oggi è un luogo da frequentare per stare in contatto con 2 Il Centro stava elaborando l‘analisi elettronica alla Summa Theologiae di San Tommaso e anche al testo biblico. Cito queste parole: «La scienza e la tecnica, una volta ancora affratellate, ci hanno offerto un prodigio, e, nello stesso tempo, ci fanno intravedere nuovi misteri. Ma ciò che a Noi basta, per cogliere l‘intimo significato di quest‘udienza, è notare come cotesto modernissimo servizio si mette a disposizione della cultura; come il cervello meccanico viene in aiuto del cervello spirituale; e quanto più questo si esprime nel linguaggio suo proprio, ch‘è il pensiero, quello sembra godere d‘essere alle sue dipendenze. Non avete voi cominciato ad applicare codesti procedimenti al testo della Bibbia latina? Che cosa avviene? È forse il testo sacrosanto che viene abbassato ai giochi mirabili, ma meccanici dell‘automazione come un insignificante testo qualsiasi? o non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato ed innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? E‘ lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata a eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio? È a questo punto che il Nostro orecchio cristiano può udire i gemiti, di cui parla S. Paolo (Rom. 8, 22), della creatura naturale aspirante ad un grado superiore di spiritualità?». 3 T. BEAUDOIN, Virtual Faith..., cit., 87. Lévy scrive seccamente: «ciò che fu teologico diventa tecnologico» nel suo L‘intelligenza collettiva. Per un‘antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 2002, 102. E viceversa la funzione «teologica» della tecnoscienza appare, in realtà, evidente a molti come leggiamo, ad esempio, in C. FORMENTI, Incantati dalla rete. Immaginari, utopie e conflitti nell‘epoca di internet, Milano, Raffaello Cortina, 2000, 14. 2 .... gli amici che abitano lontano, per leggere le notizie, per comprare un libro o prenotare un viaggio, per condividere interessi e idee. E questo anche in mobilità grazie a quelli che una volta si chiamavano «cellulari» e che oggi sono veri e propri computer da tasca. Internet è un ambiente, uno spazio di esperienza che sempre di più sta diventando parte integrante, in maniera fluida, della vita di ogni giorno. E‘ un nuovo contesto esistenziale, non dunque un «luogo» specifico dentro cui entrare in alcuni momenti per vivere on line, e da cui uscire per rientrare nella vita off line. La Rete è a portata di mano, anche in senso letterale, grazie ai cellulari, appunto. Non bisogna immaginare lo schermo che permette di farci entrare in Rete come un quadro. Semmai, se mi è lecito affermarlo, come una icona. Nell‘icona, quella della Trinità di Rublev, ad esempio, tutte le linee prospettiche convergono verso chi la guarda e le cose più lontane sono più grandi: non è una visione come da una finestra, dove le linee convergono all‘infinito. È tutt‘altro che la prosettiva di un quadro a prospettiva lineare brunelleschiana, come quella di Ghiberti, Masaccio o Donatello: le linee non si incontrano in un punto di fuga situato dietro lo schermo, ma in un punto situato davanti ad essa, cioè nell‘io. In questo senso la Rete coinvolge e avvolge. Non implica uno «spettatore», ma un attore. E così comincia a incidere sulla capacità di vivere e pensare. Dal suo influsso dipende in qualche modo la percezione di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda e di quello che ancora non conosciamo. La vera sfida della Chiesa a questo punto è quello di vivere la Rete come uno degli ambienti di vita. Non "usare bene la Rete", ma "vivere bene ai tempi della Rete". La Rete ha a che fare con la fede in quanto ha a che fare con la vita del credente. Come si fa a vivere bene ai tempi della Rete? Occorre guardare non tanto ai suoi prodotti ma alle sue radici. 3. Una rivoluzione dalle radici antiche L‘avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione tecnologica. Tuttavia che cosa esprime questa rivoluzione? Dove sono le sue radici? 3 Pensando a internet occorre non solo immaginare le prospettive di futuro che offre, ma considerare anche i desideri e le attese che l‘uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere, cioè: connessione, relazione, comunicazione e conoscenza4. Dunque Internet è una rivoluzione con salde radici nel passato: - replica antiche forme di trasmissione del sapere e del vivere comune, - ostenta nostalgie, - dà forma a desideri e valori antichi quanto l‘essere umano e cioè, lo ripeto: connessione, relazione, comunicazione e conoscenza. E noi sappiamo bene come da sempre la Chiesa abbia nell‘annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere. Questo ci fa capire perché la Rete e la Chiesa sono due realtà da sempre destinate ad incontrarsi: da sempre la Chiesa ha nell‘annuncio di un messaggio e nelle relazioni di comunione due pilastri fondanti del suo essere. Ecco perché. Questa è dunque la prima cosa che sento di dirvi sul tema. Ma se la Rete cambia il modo di pensare e di vivere i rapporti allora intuiamo già che internet comincia a porre delle sfide alla comprensione stessa del cristianesimo e alla vita cristiana. Vediamo insieme, dunque, alcuni temi critici… 4. Primo tema critico: la rete plasma la ricerca di Dio Digitando in un motore di ricerca la parola God oppure anche religion, spirituality, otteniamo liste di centinaia di milioni di pagine. Internet sembra essere il luogo delle risposte. L‘uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una ricerca. Come cambia la ricerca di Dio al tempo dei motori di ricerca? Quali sono le conseguenze di questa ricerca? Tra le tante mi soffermo su una: il possibile cambiamento radicale nella percezione della domanda religiosa. 4 Cfr A. SPADARO, Web 2.0. Reti di relazione, Milano, Edizioni Paoline, 2010. 4 .... a. Il supermarket della fede Si può cadere nell‘illusione che il sacro o il religioso siano a portata di mouse. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. Ci si illude dunque che il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento del bisogno. Il vangelo appare solo come una notizia fra molte altre. Il Vangelo, però, «non è un‘informazione fra le altre — affermava nel 2002 l‘allora card. Ratzinger —, una riga sulla tavola accanto ad altre», ma è «la chiave, un messaggio di natura totalmente diversa dalle molte informazioni che ci sommergono giorno dopo giorno». Continuava l‘attuale Pontefice: «Se il Vangelo appare soltanto come una notizia fra molte, può forse essere scartato in favore di altri messaggi più importanti. Ma come fa la comunicazione, che noi chiamiamo Vangelo, a far capire che essa è appunto una forma totalmente altra di informazione?»5. La sfida che abbiamo davanti allora è seria, perché segna la demarcazione tra la fede come «merce» da vendere in maniera seduttiva e la fede come atto dell’intelligenza dell‘uomo che, mosso da Dio, dà a Lui liberamente il proprio assenso. È dunque necessario oggi considerare che ci sono realtà capaci di sfuggire sempre e comunque alla logica del «motore di ricerca» e che la «googlizzazione» della fede è impossibile. b. La concezione stessa di ricerca Una volta l‘uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte di senso fondamentale. Come l‘ago di una bussola, lui sapeva di essere radicalmente attratto verso una direzione precisa, unica e naturale: il Nord. Se la bussola non indica il Nord è perché non funziona, e non certo perché non esiste il Nord. 5 L‘intervento aveva il titolo «Comunicazione e cultura, nuovi percorsi di evangelizzazione nel Terzo Millennio» (9 novembre 2002). Lo si può leggere in http://www.internetica.it/comunicazioni_Ratzinger.htm 5 Poi l‘uomo, specialmnte con la Seconda Guerra Mondiale, ha cominciato ad usare il radar che serve a rilevare e determinare la posizione di oggetti fissi o mobili. Il radar va alla ricerca del suo target e implica una apertura indiscriminata anche al più blando segnale, non l‘indicazione di una direzione precisa. E così anche l’uomo ha cominciato ad andare alla ricerca di un senso per la vita e anche di un Dio capace di qualche segno di riconoscimento, che faccia sentire la sua voce. L‘espressione di questa logica è la domanda: «Dio, dove sei?». Da qui anche l‘attesa di Godot e tante pagine della grande letteratura del Novecento, ad esempio. L‘uomo era inteso comunque come un «uditore della parola» – per usare una celebre espressione del teologo Karl Rahner, che implicitamente ha dato forma teologica alla metafora tecnologica del radar – alla ricerca di un messaggio del quale sentiva il bisogno profondo. E oggi? Vale ancora questa immagine? In realtà, sebbene sempre vive e vere, esse reggono meno. L‘immagine che oggi è più presente è quela dell‘uomo che si sente smarrito se il suo cellulare non ha campo o se il suo device tecnologico (computer, tablet o smartphone) non può accdere a qualche forma di connessione di rete wireless. Se una volta il radar era alla ricerca di un segnale, oggi invece siamo noi a cercare un canale di accesso attraverso il quale i dati possano passare. L’uomo oggi più che cercare segnali, è abituato a cercare di essere sempre nella possibilità di riceverli senza però necessariamente cercali. L‘estrema conseguenza è la logica introdotta dal sistema push che funziona in maniera opposta a quello pull. Il primo implica il fatto che quando un dato è disponibile (una mail, ad esempio) io lo ricevo in maniera automatica perché tengo aperto un canale di ricezione. Il secondo sistema implica il fatto che io possa andare a recuperarlo quando ho voglia di stabilire una connessione. L‘uomo da bussola prima e radar poi si sta trasformando, dunque, in un decoder, cioè un sistema di accesso e di decodificazione delle domande sulla base delle molteplici risposte che lo raggiungono senza che lui si preoccupi di andarle a cercare. Viviamo bombardati dai messaggi, subiamo una sovrainformazione, la cosiddetta information overload. Il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base delle molteplici risposte che io ricevo. L‘uomo a chiamato a riconoscere le sue domande più radicali e autentiche. 6 .... La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza del vocabolario cristiano: il discernimento. Tocca all‘uomo d‘oggi, dunque, e soprattutto al formatore, all‘educatore, dedurre e distinguere le domande religiose vere dalle risposte che lui si vede offrire continuamente. E‘ un lavoro complesso, che richiede preparazione e una grande sensibilità spirituale. c. Cercare dentro una bolla filtrata Occorre notare un rischio rilevante. Sia i social network come Facebook sia i motori di ricerca come Google conservano le informazioni delle persone che li frequentano, e questi dati sono utilizzati per dirigere le risposte o gli aggiornamenti circa i contatti personali. È come se Google costruisse il nostro profilo di interessi sulla base dei nostri accessi alla rete, dei siti che visitiamo, di cosa ci interessa di più. E tutto questo viene analizzato, in maniera anonima, attraverso degli algoritmi di riferimento, per cui le nostre ricerche non sono mai basate su criteri esclusivamente oggettivi, ma sui nostri interessi specifici. Sono orientate sul soggetto, e dunque soggetti diversi ottengono risultati differenti. Il vantaggio è immediato: arrivo subito a ciò che presumibilmente mi interessa di più perché Google mi ‗conosce‘ e mi suggerisce cosa possa attirarmi maggiormente. Ma d’altra parte c’è un grande rischio: quello di rimanere chiusi in una sorta di «bolla» che fa da filtro a ciò che è diverso da me, per cui io non sono più in grado di accorgermi che ci sono persone, articoli, libri, ricerche che non corrispondono alle mie idee o che esprimono un‘opinione diversa dalla mia. Quindi, alla fine, io sarò circondato da un mondo di informazioni che mi somigliano, rischiando di rimaner chiuso alla provocazione intellettuale che proviene dall‘alterità e dalla differenza. Il rischio è evidente: perdere di vista la diversità, aumentare l’intolleranza, chiusura alla novità, all‘imprevisto che fuoriesce dai miei schemi relazionali o mentali. L‘altro diventa per me significativo se mi è in qualche modo simile, altrimenti non esiste. A questo punto oggi più che mai l‘ecumenismo, il dialogo interreligioso, il confronto all‘interno dell‘ambiente ecclesiale assumono un valore fondamentale in un mondo che tende a costruire, anche in rete – cioè il luogo in termini di principio più aperto possibile – isole di autoreferenzialità6. 6 Cfr. E. Pariser, The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You, Penguin Press, New York 2011 7 5. Secondo tema critico: la Chiesa è comunità o network? La seconda questione che vorrei sollevare è di ordine più prettamente ecclesiologico. La Rete è oggi sempre di più luogo di networks e di communities. I social networks come Facebook, Google Plus o Twitter sono la vera realtà di Internet come oggi lo conosciamo. E‘ possibile immaginare una vita ecclesiale essenzialmente di Rete? E‘ un dato di fatto che, ai tempi della Rete, cioè oggi, la Chiesa in se stessa è sempre più compresa (e risulta comprensibile) in termini di network. La Rete dunque pone domande che riguardano la mentalità e il modello con cui può essere compresa la Chiesa nel suo essere «comunità» e nel suo sviluppo. In una intervista a Radio Vaticana a proposito di questo incontro che stiamo vivendo qui a Beirut mons. Celli ha ricordato un suo amico parroco, a Madrid, il quale gli diceva che, dopo aver aperto il sito della parrocchia, c‘era più gente che visitava il sito rispetto a quella che si recava alla Messa domenicale. Ed è vero: molti non mettono piede in Chiesa, ma possono ritrovare un annuncio onesto, rispettoso e dialogante in Internet. Come rispondere a questo grande interrogativo e a questa grande sfida che la Chiesa sta affrontando nei nostri giorni? Una «Chiesa di Rete» in sé e per sé però è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di concreto riferimento reale di vita. Pensiamo alle «chiese» generate dai telepredicatori, che producono una pratica religiosa individuale, che conferma l‘esasperata privatizzazione degli scopi della vita e l‘individualismo estremo della società dei consumi capitalistica. In questo contesto l’«appartenenza» ecclesiale rischia di essere considerata frutto di un «consenso» e dunque «prodotto» della comunicazione. La natura e il mistero della Chiesa rischiano di diluirsi in una sorta di «spazio connettivo»7 il cui scopo consiste appunto sostanzialmente nel connettere le persone. Quale idea di Chiesa emerge da questa visione? 7 8 .... L‘idea di Chiesa che emerge da questa visione è quella di una Networked Church, che ripensa e ricomprende le strutture delle chiese locali. Lo scopo primario della Chiesa sarebbe quello di creare e sviluppare un ambiente di collegamento dove è facile che la gente si raggruppi nel nome di Cristo. Ora, certamente la relazionalità della Rete funziona se i collegamenti (link) sono sempre attivi: qualora un nodo o un collegamento fosse interrotto, l‘informazione non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. Ma questo non basta. La Chiesa in questa visione rischia di diventare una struttura di supporto dove la gente possa «raggrupparsi». La Chiesa non sarebbe un luogo di riferimento, non sarebbe un faro che in sé emette luce, ma sarebbe una struttura di supporto per far crescere il regno di Dio. E‘ a forte rischio la comprensione della Chiesa come «corpo mistico», che sembra diluirsi in una sorta di piattaforma di connessioni. Ecco dunque un compito specifico del cattolico in Rete: farla maturare da luogo di «connessione» a luogo di «comunione». Il rischio di questi tempi è proprio quello di confondere questi due termini. La connessione di per sé non basta a fare della Rete un luogo di condivisione pienamente umana. Lavorare in vista di tale condivisione è compito specifico del cristiano. Ciò che da un punto di vista cattolico però deve rimanere chiaro è che la Chiesa non può essere compresa come una sorta di grande Rete di relazioni immanenti e orizzontali, ma ha sempre un principio e un fondamento «esterno». La «con-vocazione» ad essere parte del Corpo di Cristo che è la Chiesa non è dunque riducibile al modello sociologico dell‘aggregazione. Essa è «il popolo che Dio convoca e raduna da tutti i confini della terra, per costruire l‘assemblea di quanti, per la fede e il battesimo, diventano figli di Dio, membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo»8. L‘appartenenza alla Chiesa è data da questo fondamento esterno perché è Cristo che, per mezzo dello Spirito, unisce a sé intimamente i suoi fedeli; è lui che la unisce a sé in un‘Alleanza eterna, rendendola santa (Ef 5, 26)9. 8 9 Catechismo della Chiesa Cattolica. Compendio n. 147. Ivi, nn. 156 e 158. 9 Le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e dall‘efficace funzionamento degli strumenti di comunicazione; la comunione ecclesiale invece è radicalmente un «dono» dello Spirito. L‘agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine. Su questo «dono», cioè su questo «fondamento esterno», si fonda la sua intima natura. Trovo un modello di riferimento nel passato, in un tempo nel quale la Rete non esisteva. E cioè nella Radio Vaticana della quale abbiamo festeggiato quest‘anno gli 80 anni. Infatti il 12 febbraio 1931 Pio XI lanciava il suo primo radiomessaggio Qui arcano Dei. E‘ necessario soprattutto prestare attenzione alle parole con le quali Pio XI benedisse gli strumenti della Radio. Eccole: benedic hanc machinarum seriem ad etheris undas ciendas ut apostolica verba cum longinquis etiam gentibus communicantes, in unam tecum familiam congregemur. E cioè: «Benedici questa serie di macchine che servono a trasmettere nelle onde dell‘etere affinché comunicando le parole apostoliche anche ai popoli lontani siamo riuniti con te in un‘unica famiglia». Che cosa si intuisce ―dentro‖ queste parole? Che Pio XI aveva già in mente le comunità virtuali mediate dalla tecnologia… Infatti mentre poi il fascismo intenderà la Radio come l‘espansione delle adunate di ascolto del duce, del dittatore, la Radio Vaticana pretende, diciamo così, di parlare al cuore, alle persone immaginando «un‘unica famiglia», appunto. E dunque mettendo un medium globale a servizio delle relazioni e non della propaganda, cioè dei contenuti. In questa benedizione i contenuti sono finalizzati alla relazione. E questa oggi è la logica dei social networks che, comunicando contenuti, saldano relazioni. Pio XI, pensando alla radio aveva in mente un network sociale probabilmente perché considerava un modello di relazioni reali più che il modello del mero broadcasting radiofonico. E in questo modo ha, tra l‘altro, indicato una strada per comprendere il senso di una radio ai nostri giorni. 10 .... 6. Terzo tema critico: l’autorità tra emittenza e testimonianza In questa linea di riflessione si colloca il problema dell‘autorità nella Chiesa e delle mediazioni ecclesiali in senso più generale. - La Rete, di sua natura, è fondata sui link, cioè sui collegamenti reticolari, orizzontali e non gerarchici. - La Chiesa vive di un‘altra logica, di un messaggio donato, cioè ricevuto, che «buca» la dimensione orizzontale. Non solo: una volta bucata la dimensione orizzontale, essa vive di testimonianza autorevole, di tradizione, di Magistero: sono tutte parole queste che sembrano fare a pugni con una logica di Rete. In fondo potremmo dire che sembra prevalere nel web la logica dell‘algoritmo Page Rank di Google. Esso afferma che una pagina più è popolare più è importante. Si fonda sulla popolarità: in Google è più accessibile ciò che è maggiormente «linkato», quindi le pagine web sulle quali c‘è più accordo. Il suo fondamento è nel fatto che le conoscenze sono, dunque, modi concordati di vedere le cose. Questa a molti sembra la logica migliore per affrontare la complessità. Ma la Chiesa non può sposare tale logica, che, nei suoi ultimi risultati, è esposta al dominio di chi sa manipolare l‘opinione pubblica. L‘autorità non è sparita in Rete e, anzi, rischia di essere ancora più occulta. E infatti la ricerca oggi si sta muovendo nella direzione di trovare altri parametri per i motori di ricerca, che siano più di «qualità» che di «popolarità». Sebbene in fase di superamento, però questa logica determina per molti l‘accesso alla conoscenza. Dunque ecco la domanda: la rete e la Chiesa sono nemici quando si parla di autorità? Bisogna fare un passaggio ulteriore sul tema dell‘autorità e dell‘autorevolezza non legato ai motori di ricerca, ma legato alla grande diffusione delle reti sociali quali Facebook, Orkut, Twitter o il nuovo Google Plus: la società digitale non è pensabile e comprensibile solamente attraverso i contenuti trasmessi, ma soprattutto attraverso le relazioni: lo scambio dei contenuti oggi, al tempo dei social networks avviene all‘interno delle relazioni. È necessario dunque non confondere «nuova complessità» con «disordine» e «aggregazione spontanea» con «anarchia». La Chiesa è chiamata ad 11 approfondire maggiormente l‘esercizio dell‘autorità in un contesto fondamentalmente reticolare e dunque orizzontale. Appare chiaro che la carta da giocare è la testimonianza autorevole: eBay, Amazon, iTunes... La logica dei social networks ci fa comprendere meglio di prima che il contenuto condiviso è sempre strettamente legato alla persona che lo offre. Non c‘è, infatti, in queste reti nessuna informazione «neutra»: l’uomo è sempre implicato direttamente in ciò che comunica. Infatti, ha scritto Benedetto XVI nel suo recente Messaggio per la 45° Giornata delle Comunicazioni Sociali, «quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le loro speranze, i loro ideali». La tecnologia dell‘informazione, contribuendo a creare una rete di connessioni, dunque sembra legare più strettamente amicizia e conoscenza, spingendo gli uomini a farsi «testimoni» di ciò su cui fondano la propria esistenza. Se una volta il testimonial era una figura autorevole speciale, oggi tutti, a loro modo, sono sollecitati a diventarlo. Si prefigura, quindi, un rinnovato impulso al «misterioso incontro tra le possibilità tecnologiche dei linguaggi della comunicazione e l‘apertura dello spirito all‘iniziativa luminosa del Signore nei suoi testimoni»10. Un annuncio del Vangelo che non passi per l‘autenticità di una vita quotidiana personale condivisa resterebbe, oggi più che mai, un flatus vocis, un messaggio espresso in un codice comprensibile forse con la mente, ma non col cuore. La fede quindi non solo si «trasmette», ma soprattutto può essere suscitata nell‘incontro personale, nelle relazioni autentiche. La Chiesa in Rete è chiamata dunque non solamente a una «emittenza» di contenuti, ma soprattutto a una «testimonianza» in un contesto di relazioni ampie composto da credenti di ogni religione, non credenti e persone di ogni cultura. L‘autorità oggi si gioca molto sul piano della testimonianza autorevole che non scinde il messaggio dalle relazioni «virtuose» che esso è in grado di creare. 10 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, cit. 12 .... 7. Conclusione: come pensare la Rete teologicamente? La Rete, come abbiamo visto fino a questo momento, pone sfide davvero significative alla comprensione della fede cristiana. La cultura digitale ha la pretesa di rendere l‘essere umano più aperto alla conoscenza e alle relazioni. Fin qui abbiamo identificato alcuni dei tanti nodi critici che questa cultura pone alla vita di fede e alla Chiesa. Forse dunque è giunto il momento di considerare l’intelligenza della fede al tempo della Rete. Si tratta della riflessione che nasce dalla domanda su come la logica della Rete, con le sue potenti metafore che lavorano sull‘immaginario, oltre che sull‘intelligenza, possa modellare la comprensione della ricerca di Dio, il modo di comprendere la Chiesa e la comunione ecclesiale, la teologia della Grazia e così via. La riflessione è quanto mai importante perché risulta facile constatare come sempre di più internet contribuisca a costruire l‘identità religiosa delle persone. E se questo è vero in generale, lo sarà sempre di più per i cosiddetti «nativi digitali». Fides quaerens intellectum e questo anche nel nostro tempo in cui la logica della Rete segna la nostra intelligenza della realtà, il nostro modo di pensare, conoscere, comunicare, vivere. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Tecnologia e spiritualità La vera sfida della Chiesa Una rivoluzione dalle radici antiche Primo tema critico: la rete plasma la ricerca di Dio a. Il supermarket della fede b. La concezione stessa di ricerca c. Cercare dentro una bolla filtrata Secondo tema critico: la Chiesa è comunità o network? Terzo tema critico: l‘autorità tra emittenza e testimonianza Conclusione: come pensare la Rete teologicamente? 13