il crispi presenta

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il crispi presenta
Stefano Valera
Poesie di una vita
Prime Poesie
1969- 1979
Periferia
(Ecologicamente in-sostenibile)
Il vento gelido lambisce
le pareti di enormi grattacieli
in questo giorno
viscide di pioggia.
Qui, ai margini ignorati
della grande città,
i prati devastati,
senza arbusti,
mostrano recenti le ferite,
contaminate dai malsani fusti,
delle acacie ormai sfiorite.
Sete nere d‟ombrella stracciate,
lucide parti cromate
di biciclette in rovina,
contenitori sporchi di benzina,
scarpe da tennis sfondate,
cose buttate e dimenticate,
stanno sui prati già poveri d‟erba.
La pioggia deterge le cose,
il vento trasporta lontano
l‟olezzo di gas e petrolio
rappreso nel cielo malsano.
Due stanze
Il vecchio sacerdote
si leva ogni mattino, anzi l‟alba,
nella casa di fronte…
Le perpetue, due sorelle,
lo rivestono accanto
al letto disfatto, sotto la croce.
La luce della stanza si perde
nella strada, riflessa
dalle piastrelline verdi.
Ogni giorno mi alzo nella stanza
della casa di fronte…
La luce mostra un letto disfatto,
sotto la croce che manca.
Due vite nel buio
della giornata grigia,
tra i muri delle case alte,
si muovono nella stanza di fronte,
per sedersi ogni volta sulla poltrona
a leggere, come morti, per ore.
Poesie Militari
1979-1980
A mia madre
Chiudere fuori la notte, la morte
e continuare.
La stanza buia nella casa
ha l‟odore dei vivi di qualche anno fa.
Non ha perso l‟odore dei morti di oggi.
Puoi ritrovarti coi vivi a parlare dei morti,
anche senza parlarne, e domandare cosa chiedi
alla loro assenza.
Vuoi solo giocare con le parole,
o cerchi qualcosa che non possono dirti?
Sondare per te l‟abisso silenzioso
del loro rifiuto.
Pregare per te e per il loro vuoto:
ascoltando il rumore dell‟assenza,
senza piangere…
Casale M.to
6 dicembre 1979
Stanco e sempre più raffreddato
Mi siedo in questo ufficio:
Caserma Nino Bixio, Casale Monferrato,
come tanti prima di me.
Sole che nasce all‟orizzonte,
gradi tre, fanti presenti nell‟ufficio tre:
le solite mattine casalesi, e sono ormai
due mesi che sono lontano da te.
Casale, 30 agosto 1980
Un momento di tregua.
Fuori la natura impazza
per l‟ennesima primavera.
Ma nessuno s‟imbarca più per le Crociate…
Tutto questo spreco di sole, di aria, di luce
per i vivi. E niente per i morti…
Un reato continuo ai danni dei morti,
alla faccia loro.
I vivi sono irriverenti come i bambini,
in queste cose. Non fingono,
non hanno mezzi termini:
accettano le profferte dell‟ora,
sbattendosene dei morti.
Con i morti mi fermo un momento
nella stanza chiusa,
a interrogarmi sul mistero
occasionale della Resurrezione.
Casale M.to, 15.4.1980
Ancora gli odori e i colori
di questa primavera
e i brusii degli uccelli
mi richiamano alla vita…
Il mio corpo infantile
è in balìa di altre muffe,
piogge, asfalti bituminosi.
Sulla collina eocenica
o tra le stoppie
del Monte Crocione,
scivola verso il basso,
per raggiungere
chi dorme per sempre
nel buco di Erbonne,
nella bella e nella brutta stagione,
sotto l‟erba o la neve,
oltre il muro bianco
illuminato per l‟ultima
volta dall‟Enel.
La sorgente nell‟incavo
delle cascine diroccate
è ancora una certezza
per i vivi di Erbonne:
una meta irraggiungibile
per me, che ascolto
il rumore di un‟altra
primavera dalla caserma
lontana oltre il Po,
aspettando la pioggia.
La mia giornata si guarda
di continuo l‟ombelico,
chiedendosi: “Che tte frega?”,
mentre l‟uniforme grigioverde
mummifica il mio corpo.
Sono qui e a Erbonne,
nella fortezza diroccata sul Po,
e nell‟incavo delle cascine
a raccogliere acqua
con la coppa delle mani,
per portarne un po‟ a morti.
Casale M.to, 21.4.1980
Qui a Casale si sta
come in ospedale:
pochi e radi nei festivi,
ammucchiati nei feriali
come fossimo animali…
Alle sette c‟è la sveglia
alle otto l‟adunata:
poi la solita giornata
senza tempo e senza data.
La nostra voglia
di ricominciare
a contare i giorni
di una vita normale
ci porta a credere
che morte è questa
e vita l‟altra,
appena sfiorata
da una licenza
o una scappata a casa…
Nei momenti
di tranquillità
si sta come all‟oratorio
di paese, con il pallone,
il cielo azzurro
e l‟occhio vigile
del prete maresciallo
che fa attenzione
che tu non freghi un‟ostia.
Credere che fuori
tutto è più bello
e ricomincerà,
è solo un malinteso
senso della realtà.
Milano, 26.4.1980
Unicum
(A Reza Palhavi)
Sono solo come un re di Persia,
che ha perso la mamma e il trono
nella terra dov‟è nato
e si chiede:
“Che cazzo faccio adesso?”…
I consiglieri pagati
sono fuggiti e il Paese
in rivolta non lo riconosce più
nel ruolo di Padre.
“Allora, mio caro, non ti rimangono
che i denti finti e i capelli tinti,
con i lumini dei colombai
nelle notti senza luna”…
Il mio ruolo non si è esaurito
ancora, perché dichiarare forfait ora?
Impetrare uno sguardo pietoso
o una lacrima al passante frettoloso,
spiegando che tutto è finito
per una storia d‟amore.
Con che coraggio guardare in faccia
il Creatore, e dirgli: non farmi morire
tra le braccia di un televisore
in bianco e nero, senza
un briciolo di colore, aspettando
la telefonata che non arriva
dalla banca svizzera
dove ho depositato tutti
i miei risparmi, il liquido,
la grana nera del deserto.
Perché continuare a fingere
quando la solitudine mi stringe
l‟imbocco dello stomaco
e blocca la digestione come un cancro,
mentre tutti imitano
il mio way of life,
girando dal Messico a Parigi,
tra Saint Moritz e Il Cairo?
Da piccolo era bello, perché
la stupidità del mondo
e il suo egoismo non
mi apparivano così chiari,
attraverso il velo indistinto
della pietà amorosa dei genitori.
Credevo allora che l‟uomo
è buono per un difetto d‟immagine.
Ma cosa torno a fare oggi nel mio Paese,
dove nessuno mi cerca o ha bisogno di me?
Con questa mia facciona grande
Egli occhi chiari azzurri,
dietro agli occhiali scuri,
le spalle larghe, il corpo pesante,
la testa sempre meno pensante,
scomodo se incontrato spesso tenuto il più possibile a distanza
da chi lo conosce bene,
da chi non lo conosce più non so proprio cosa fare,
come muovermi e dove andare,
senza aiuto nelle mie difficoltose
operazioni di spostamento
sulla faccia della terra.
A cosa assomiglia questo letargo
nella stanza chiusa con le persiane abbassate?
Per anni le stesse carte: l‟Eremita,
l‟Impiccato, la Torre, il Bagatto…
A una banca che non telefona,
al silenzio di una donna,
alla televisione accesa
con qualcuno davanti,
al letargo di chi aspetta la morte
e non s‟aspetta più niente dalla vita.
Casale M.to, 13.5.1980
Il Boom
Per un momento il vento della sera
ha restituito ai palazzi la lucidità del Boom.
Ci ho visto chiaro nel sistema:
il Bar Lory, la gabbia dei canarini,
le luci accese nei salotti buoni,
abitati ancora da genitori giovani e sicuri,
lasciano sul pavimento un bambino
solo, con le sue biglie di vetro.
Sorride nello specchio un po‟ curioso e sa
che non ripeterà l‟errore del genitore.
Nelle risaie al chiaro della Luna
aspetta una risposta al mondo che lo incula.
“Dio mio, che brutta fine,
finire in ospedale per amore!”.
Eppure nella luce del mattino
le risaie a specchio raccolgono
insieme al riflesso del cielo e delle nubi
il vuoto di un passato coi genitori buoni.
“Che fai lassù, con quel bambino in mano?
Buttalo, buttalo, non ci pensare…
Un‟altra mamma saprà figliare!”.
Mi fanno una rabbia le robinie della caserma:
non posso accelerare il loro verde,
non posso comandargli: “Più verde! Sveltitevi col verde!”.
Posso solo stare lì a guardare
la loro stitichezza e la mia, nonostante l‟età giovane
e i ripetuti innesti facciano sperare
ancora in un miglioramento.
Queste caserme basse e il rumore della campagna
che assedia il paese uccidono l‟uccello nel suo nido,
gazza, merlo o fringuello, povero anello
di una catena alimentare
che va dall‟uno all‟altro circolo polare.
“Siamo ancora noi, i rondoni,
striduli nel cielo che s‟imbruna,
liberi di flirtare con la Luna,
soltanto dopo l‟ammainabandiera”.
Non troppo forte il pio pio,
schivando i pioppi potenziali
tra una picchiata e un pianto lungo,
sui fili del telefono, nell‟aria buia e umida di sera.
Casale M.to, 1.6.1980
Quinto turno di PAO
Ci guarderemo in silenzio
dormire nei nostri loculi,
sotto il cielo stellato,
correndo veloci sulle risaie,
sfiorando un‟ultima volta
il muro della caserma,
dopo il silenzio,
al quinto turno di PAO.
Il fucile bracciarm
e un soldato vicino
per fermare la Morte
che avanza sotto il porticato
col passo del lombrico.
Casale M.to, 8.6.1980
I miei genitori
Tra i responsabili
di questo pezzo di storia
c‟è anche mio padre.
Posso giudicarlo adesso,
dall‟astinenza coatta della caserma,
senza spargimento di sangue…
Con il suo lavoro ha costruito
le autostrade, le fabbriche,
e i palazzi del Boom.
E‟ invecchiato con loro,
cercando sempre per sé
di accontentarsi.
Sua moglie cucinava e lavava,
puliva il bambino che si sporcava,
e lavorava anche lei, in silenzio, per il Boom.
La loro storia è dentro una storia nazionale
che gli storici chiamano senza sbagliare
borghese occidentale. I dati provano
- è naturale – che il benessere è cresciuto,
anche se loro si sono fatti annientare,
fino a scomparire.
Di mia madre è rimasto ben poco
nel cimitero di Brunello…
Di mio padre resteranno le arnie in giardino,
e un milione di latte in cantina
per chiuderci dentro le sue ceneri.
Milano, 13.6.1980
A militare ho imparato
il significato delle parole.
Se uno ti dice: “Morire, spina!”,
vuol dire che per te ci sono
ancora tante guardie e PAO
da fare dentro la caserma…
Se uno ti dice: “Borghese!”,
vuol dire che la donna, il letto,
l‟odore del paese dove sei nato
riconquisterai tra poco,
come un‟insperata libertà.
La Morte resterà in caserma,
tra quelli che rimangono
a ricordare le facce di quelli
che se ne vanno a casa.
E sembrerà un ricambio
troppo rapido, finché la Cittadella
di Alessandria non fermerà come in una stampa ingiallita - la giornata
afosa, con il cielo fermo e le rondini
bloccate sopra i muri.
L‟orto incolto e silenzioso dentro
griderà la tua vita devastata
dal tempo, coi pochi frutti
ormai inselvatichiti e gli attrezzi
abbandonati tra le ortiche.
Casale M.to, 9.7.1980
Canto degli uccelli alla luce
Abbiano cantato un‟infinità di albe
in questo posto, senza ricordarlo,
sopra i rami del noce e dell‟ippocastano,
aspettando che il sole tornasse a ridarci la vita.
Spesso i crepuscoli ci hanno ingannato
con la loro imitazione del mattino,
e molte rinascite abbiamo preso
per tramonti: ma l‟importante era cantare.
Anche se i nostri figli non capiranno
i motivi di una scelta rinunciataria,
continueremo a credere le nostre voci
all‟aria, senza disperare.
Milano, 10.9.1980
Congedo provvisorio
Sono stato bambino a Milano,
nel mattino della mia vita;
a Luino pescatore di persici ragazzino,
nell‟acqua melmosa del lago Maggiore.
Liceale diligente a Milano
tornato nel Sessantanove,
giusto un anno dopo la Rivoluzione,tanto da non capire la lezione
dei katanga e delle molotov.
Turista povero in Scozia nei campi di lavoro,
in Francia e in Catalogna ai tempi
del dittatore Franco,
senza soffrire per la mancata libertà.
Studente modello all‟Università,
consulente fantasma e mal pagato,
di una casa editrice scolastica.
Soldato posteggiato per un anno
a Casale Monferrato, caporale “canarino”
appena congedato: la mia storia
finora non vi può interessare.
Datemi del matto, se la vengo a raccontare.
La Ricerca delle Radici
1985 – 1987
Genitori I
Cosa avrai mai pensato, madre, nel „35
quando comprasti alla fiera di Milano
il finto caminetto dei Valtorta,
che ti costò tutti i tuoi risparmi?
E il nonno cosa disse, Taddi Angelo,
di professione ferroviere,
dopo aver speso tutto,
povera orfanella deamicisiana,
in un‟Italia ormai fascista?
E cosa fu per te, quale revenge,
dopo secoli di pecore e abbandono
della nonna mai vista, Aspergius Santina,
che visse di persona la storia paleoindustriale
descritta dal suo Gramsci?
Ancora quante domande e risposte senza voce,
progenitori miei, per voi, per me, per queste terre?
Le roride cascine dei Valera,
distese sul piano umido e procace
dai tempi della Spagna e della peste
sepolta sotto cumuli di calce, vivono oggi
una lenta corruzione, disfatte dalla pioggia e dalla neve,
dal sole e dalle ombre, disertate dagli eredi
inurbatisi col tempo.
Le vostre rogge sono ancora gracchiate dalle rane,
sporcate dal sapone nei sabati del Boom,
quando il papà tornava alla terra dell‟infanzia,
lavando l‟A 40 Innocenti e costringendo me, suo figlio,
a far da porta acqua, come lui nel Trenta,
per i braccianti della Cascinazza.
Roridi campi di Lombardia, scena di lavoro
da più generazioni legate al loro suolo,
libere solo nella prigionia coatta della caserma,
nei sabati e domeniche dei mesi…
Come potrei cantarvi meglio e più spedito?
Madre I
E come potrei cantarti meglio, madre,
morta nel Settantotto, covata nel ricordo
laico, senza parole di speme o di abbandono?
Per sempre giovane e forte ti sentirò stendere le mani
sui prati di Vetan, e sollevarmi in volo,
farmi girare vorticosamente sui monti valdostani,
lontani nel tempo e nello spazio: un altro mondo.
Il viottolo saliva dietro il mare ad Albissola,
carico di fiori profumati: una cascata di serenelle,
il tuo mistero sottratto via con te, per sempre, al nostro senno.
Padre I
Un‟altra dimensione la tua, padre,
quando rincasavi dopo il giorno di lavoro
in banca: la mamma prima, per anni io
dopo la sua morte a farti da mangiare.
Adesso rincaso in via Canonica,
e saluto il portinaio come tu un tempo,
e vivo gli anni che hai vissuto tu,
capofamiglia: più debole però,
meno deciso, e tanto più ignorante
del pratico maneggio delle cose.
Il mio sogno infantile di schivarle,
ruzzolato nella polvere a furia
di stringere le boe, costretto a fare,
decidere e disfare: quando poi sappiamo
ch‟è tutto un bluff la vita, e un piccolo
capillare che non tiene nel cervello basta a svanirla.
E‟ là il lumino spento della mamma,
sul colle di Brunello…
Chi lo sorveglierà dopo di te,
dopo di me, dal nulla dell‟oblio?
Come non fossero mai esistiti Novara, il Duce, Taddi Angelo,
la cupola pietosa di san Gaudenzio e il nostro amore,
compreso nel Boom. Quando l‟automobilina
di plastica gialla della Rinascente bastava
a rendermi felice, e brillava come il neon
di un lucido da scarpe sui palazzi di piazza Duomo.
La Bottatrice
E ancora non basta a farmi realizzare
l‟abisso melmoso della chiusa sul Naviglio
nei pressi del Ticino…
L‟entità tenace che affonda il galleggiante
e il pescatore che tira per riemergerla,
quando il pesce del ricordo
strappa giù nel profondo.
Con tutte le sue forze, recupera
allora il pondo desiato e si trastulla
nelle ipotesi: persico, luccio o cavedano,
storione, temolo o vairone…
No! Troppo forte lo strattone!
Poi a pelo d‟acqua appare la sua forma,
sagoma indistinta tirata fino a riva:
l‟orrida bottatrice, amalgama di fango
e putrefazioni, figura sfatta
del mantrugiamento, pestata
nel mortaio del passato…
Mostro genetico che scoraggia
tutti i recuperi, che non siano d‟acque
limpide e tranquille…
Solo pesci puliti: trota, temolo, salmone…
Sporchi i ricordi vivono male
e danno vita a torbidi composti.
Genitori 2
Salgono leggere le farfalle sulle siepi
dei rovi ai bordi del Ticino, gialle,
bianche, azzurre velluto e polvere
impalpabile d‟argento.
Il posto era oltre la Pineta,
sullo sperone della roccia di Saint Nicolas.
La nostra caccia, padre, nel sole abbagliante
di mezzogiorno, mentre la mamma
cucinava nella casa d‟affitto
del paese, vantava prede preziose:
vanesse soprattutto, io e macaone,
e intramontabili le cavolaie.
L‟odore forte di naftalina, etere
e insetticida sigillava per sempre
quella casa, teatro di corse ciclistiche
a palline e lanci debosciati di coltelli.
Sotto il tuo sguardo sollecito e sicuro,
dentro il nido che hai costruito per me,
padre, e per gli uccelli del bosco,
inchiodato su un acero,
sulla strada per Vetan.
Pascoli chiari e luminosi della mia infanzia,
frequentati solo da mucche valdostane
placide e rapidi cani da pastore,
tra i volteggi di farfalle delle nevi.
Geode
E poi nelle cave ricche di cristalli
i giri innumerevoli sui monti
della Svizzera italiana, intorno a Luino,
per cercare l‟oro rovistando
nelle discariche, il regno delle bisce.
E per sempre, padre, ti ricorderò
sospeso al sasso di Bisuschio,
col sangue che ti usciva copioso
dal naso per una scalpellata.
Ma la geode era nostra, l‟avevi tolta
al suo scrigno di roccia calcare:
i cristalli di calcite perfetti e intatti
vedevano la luce dopo un‟eternità di buio.
Versi
Intanto lucono questi poveri versi,
opachi cristalli di calcite, stillati
dalle rocce lombarde del Triassico,
che non conoscono ametiste: solo
rari quarzi torbidi e piccoli granati,
pesti nel mortaio della memoria
senza arte di lima o di cesello.
Cosa potrà mai del resto produrre
un liceale sviato? Nel mondo rifiutato
dei manager, dei falsi artisti in cerca
d‟emozioni, con tanti soldi per viver da leoni,
io recito la parte del coglione, anche
se ho studiato a lungo come Amleto,
e passeggiato a volte scuro in viso,
fischiando con la testa reclinata da un lato,
per essere più amato dalle donne…
Ma non va più di moda il tipo triste.
Altre poesie
Morte a Bollate
Sento le voci che salgono
nei luoghi della sofferenza,
cumuli di disperazione
sconosciuta e familiare,
dentro gli ospedali e nelle chiese:
sempre la stessa scena immobile
del nulla, che spazza la vista
una sera a Bollate, dalle vetrate
sbarrate nella notte.
Quando il corso naturale della vita
si snatura nel paracadute
di cemento e la morte silenziosa
si confonde al lume di candela,
nel dormiveglia dei presenti.
E richiamarti indietro non serve, madre,
come gridare contro il temporale,
che ci devasta, lasciandoci nel buio.
Mamma
Nel vuoto delle risaie a specchio
ho aspettato a lungo di vedere
il riflesso del tuo volto, tra i fusti
verticali dei pioppi e i becchi
lunghi e aguzzi degli aironi.
Nell‟acqua che è la stessa del Terdoppio,
dove il nonno pescava col quadrato
limpidi pesci, eri un minuscolo vairone
e la superficie cristallina poteva prevederti
come la bolla delle fattucchiere.
Ma l‟immagine stravolta si è dissolta,
al soffio della brezza sottile
che increspa le specchiere del cielo,
per la gioia delle rane.
Saint Nicolas
Nel piccolo cimitero di montagna
sul nido alto di Saint Nicolas
ho ritrovato anche la tua tomba,
Tusserand Souvenir.
E con questo nome erano davvero poche
le possibilità di dimenticarti: nelle mattine
d‟estate i baffi nerofumo e lo sputo sull‟asfalto
segnavano un cammino immutabile
verso il Vertosan, insieme al tuo Febis,
cane lupo pastore, con te nei pascoli del cielo.
Milano, 16 gennaio 2004
Eucaristia
Hai celebrato con me, padre, migliaia di eucaristie
Senza saperlo, condividendo il tuo corpo
fino al limite ultimo della morte.
Non so quanto durerà la nostra comunione,
ma sarai vivo ogni volta che il prete
mi porgerà l‟ostia consacrata dal tuo amore.
Così non avrò più fame. E un sorso del tuo sangue
spegnerà per sempre la mia sete.
Febbraio 2007
A Francesca Rasmo
Francesca Rasmo, io quando
Passo di qui, nel cuore di Milano,
in via Manin, mi piace
evocare il tuo fantasma…
“Tu sei diverso da loro - mi
dicevi in un sussurro, sul marciapiede
del bar Asso di Cuori -. Tu sei normale…”.
E non sapevo se esserne felice,
oppure se quello fosse il motivo vero
del mio conflitto irrisolto,
tra una vita borghese e l‟altra
artisticamente incompiuta.
A Rossana
Mi piacerebbe avere nel cassetto
altre poesie che parlano di te,
del nostro amore, del mio dolore.
E delle infinite discussioni per definire
i confini comuni del nostro futuro.
Aprendo il cuore a una ricerca
senza vinti e senza vincitori,
fino alla fine della nostra vita:
una ricerca che continuerà
in quella dei nostri due bambini
e unirà per sempre i nostri destini.
Milano 13 luglio 2007
Il vero Calicanthus
Il vero Calicanthus, non quello profumato,
che impropriamente chiamano così,
è cresciuto a dismisura dopo la tua scomparsa,
padre, trapiantato qui dalla pianura
di Gudo Gambaredo, con i suoi fiori
rosso scuro di sangue rappreso.
Oggi non ho più il coraggio di entrare
nel terreno che per anni hai coltivato
a Caidate, la tua terra per sempre:
“Caidate e poi più niente” dicevi…
Per paura forse di sovrapporre,
calpestandole, i miei passi alle tue impronte
cancellate dal mutare delle stagioni:
non voglio profanare il tuo lavoro,
traccia ancora visibile che si perderà,
con la cessione della proprietà.
Cordone ombelicale da tagliare
perché il legame con la tua tomba
s‟interrompa finalmente, e io possa
guardare con gli occhi del cuore
solo alla famiglia cara dei viventi.
E ancora proseguiamo
E ancora proseguiamo
tra i piccioni spiaccicati sull‟asfalto,
in queste vie bollenti d‟agosto
nella città deserta.
E crediamo di trovare il senso
della vita in una mostra d‟arte,
o nell‟esse emme esse appena cancellato…