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Carlo Frappi è Dottorando in Storia Internazionale
presso l’Università degli Studi di Milano
Il presente lavoro è stato realizzato nell’ambito del progetto “Sfide e opportunità
nel Caucaso e in Asia centrale”, con il contributo del Ministero degli Affari
Esteri.
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2
IL TRANSCAUCASO NELLA POLITICA ESTERA
DELLA TURCHIA
Carlo Frappi
Il superamento del sistema internazionale bipolare proprio della guerra fredda ha
comportato, per la Turchia, una radicale trasformazione della cornice entro la quale
esercitare la propria politica estera. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha
segnato, difatti, la fine del tradizionale ruolo di baluardo contro l’espansionismo
sovietico verso le aree del Medio Oriente e del Mediterraneo orientale, svolto dalla
Turchia nell’ambito della strategia atlantica del containment. Logica conseguenza la
necessità, per Ankara, di reimpostare il proprio rapporto con i tradizionali alleati
occidentali, nel quadro di una più generale ridefinizione del proprio ruolo e dei
propri obiettivi regionali e internazionali. Frutto di tale necessità, i rapporti della
Turchia con le tre repubbliche del Transcaucaso hanno costituito, un importante
banco di prova per un nuovo corso di più assertiva politica estera. Per il tentativo,
cioè, di affermare nel Transcaucaso – così come nei Balcani o in Medio Oriente –
un nuovo profilo regionale basato sul bilanciamento della tradizionale cooperazione
con l’Occidente e le sue strutture da un lato, con il più deciso perseguimento del
proprio interesse nazionale, in termini economici e di sicurezza, dall’altro1.
D’altro canto, la maggior assertività della politica regionale inaugurata da Ankara
con il 1991 risultava pienamente in linea con il proposito statunitense ed europeo
di prospettare, agli stati ex-sovietici, un “modello turco” di sviluppo. Un modello
che – basato su secolarismo, democrazia e libero mercato – appariva loro come
principale antidoto alla possibile affermazione di un modello iraniano2, così come
al ritorno dell’egemonia di Mosca sullo spazio post-sovietico3.
Ciò tuttavia non ha implicato, tanto nei rapporti con il Transcaucaso quanto con le
altre aree limitrofe alla Turchia, un radicale cambiamento della tradizionale
impostazione conservatrice propria della politica estera di Ankara, ma piuttosto un
suo adeguamento alla mutata realtà degli allineamenti internazionali e regionali.
Sia pur nel quadro di una maggior assertività – e degli aggiustamenti di rotta resi
1
È questa l’essenza più profonda del “double coupling problem” teorizzato da Lesser. I.O.
LESSER, Beyond ‘Bridge or Barrier’: Turkey’s Evolving Security Relations with the West, in A.
MAKOVSKY - S. SAYARI (eds), Turkey’s New World: Changing Dynamics in Turkish Foreign
Policy, Washington D.C., 2000, p. 205. Nel medesimo senso, H. KRAMER, A Changing Turkey:
The Challenge to Europe and the United States, Washington D.C., 2000, pp. 93-94.
2
P. ROBINS, Between Sentiment and Self-Interest: Turkey’s Policy toward Azerbaijan and the
Central Asian States, in «Middle East Journal», 47, 1993, 4, p. 593.
3
Z. BRZEZINSKI, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives,
New York, 1997, p. 47.
3
necessari per fronteggiare una situazione senza precedenti storici – la politica
transcaucasica turca non ha infatti rovesciato i tradizionali principi della cautela e
del non-interventismo frutto del precetto kemalista4, percorrendo “a delicate
tightrope”5 tesa tra la volontà di cooperazione con gli Stati di Nuova Indipendenza
(Sni) e l’esigenza di non essere attirata in una pericolosa competizione regionale
con Russia e Iran.
In questo senso possono essere dunque lette le linee-guida esplicitate dal
Ministero per gli Affari Esteri turco rispetto al Transcaucaso, “a neighboring area
where the stability and welfare of the peoples […] is a matter of high interest for
Turkey’s own security and stability”6.
Esse comprendono:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Il mantenimento della pace e della stabilità;
Un’ampia cooperazione regionale con il contributo delle tre repubbliche;
Il consolidamento dell’indipendenza degli SNI;
Il rafforzamento delle strutture democratiche;
La liberalizzazione dei mercati;
Lo sviluppo del potenziale economico regionale;
Il sostegno all’integrazione nelle organizzazioni euro-atlantiche (Osce, Nato e
Consiglio d’Europa) e nelle iniziative regionali7.
Ciò non deve tuttavia indurre ad attribuire alla politica estera turca verso il
Transcaucaso una coerenza e una linearità che non le sono state proprie. A
ostacolare la coerente formulazione degli interessi nazionali nell’area – e
conseguenzialmente delle politiche attraverso le quali perseguirli – hanno
contribuito infatti diversi ordini di fattori strettamente collegati tra loro, tanto di
natura interna quanto internazionale. In primo luogo, le elezioni parlamentari
dell’ottobre 1991 segnavano la fine del lungo periodo di stabilità politica garantito
al paese dal premierato di Turgut Özal (dicembre 1983 – novembre 1989)8 e dalla
solida maggioranza del Partito della Madrepatria (Anavatan Partisi – Anap), di
cui era presidente. D’altro canto, la successione di Özal a Evren alla Presidenza
della Repubblica, nell’ottobre 1989, decretava la fine della consolidata
consuetudine costituzionale che assegnava tale carica a un alto esponente dello
Stato Maggiore. Se ciò, da un lato, rappresentò un importante passo sul percorso
della “smilitarizzazione” della politica turca, d’altra parte, segnalava la rottura di
4
M. AYDIN, Determinants of Turkish Foreign Policy: Historical Framework and Traditional
Inputs, in «Middle Eastern Studies», 35, 1999, 4, p. 156.
5
W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, London, 2002, p. 266.
6
REPUBLIC OF TURKEY, MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS, Turkey’s Relations With
Southern Caucasus, <http:// www.mfa.gov.tr>.
7
REPUBLIC OF TURKEY, MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS, Turkey’s Relations With
Southern Caucasus, cit.
8
La centralità della figura di Özal si può tuttavia estendere sino al giugno 1991, mese in cui
terminava il governo guidato dal protégé dell’ex-premier Yıldırım Akbulut. P. ROBINS, Suits and
Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, London, 2003, p. 53.
4
un legame – quello tra governo ed esercito – cui veniva tradizionalmente
demandata la formulazione della politica estera turca. Si apriva invece, con il
1991, un periodo di elevata instabilità istituzionale – caratterizzato dalla
successione di nove governi sino al maggio 1999 – che non poteva che influire
negativamente sulla attuazione di una coerente linea di politica estera. Tanto più
in ragione della assunzione del governo, nella delicata fase tra il 1991 e il 1993,
da parte di Süleyman Demirel, tradizionale avversario di Özal.
In secondo luogo, la repentinità dei cambiamenti internazionali e regionali cui la
politica estera turca doveva far fronte, accompagnata dalla sostanziale
impreparazione dell’establishment turco a un tale sfida, apriva ampi spazi
all’azione isolata – e spesso contraddittoria – dei diversi centri di potere
nazionale. Una concorrenzialità, questa, resa più accentuata dalla circostanza che
le nuove sfide regionali risultarono di sovente caratterizzate da un inestricabile
cortocircuito di questioni di sicurezza ed economiche. Si apriva così, in Turchia,
una fase di inesplorata dialettica politica che, oltre a riguardare i tradizionali
autori della politica estera, si estendeva anche ai centri di potere economico.
Centri di potere identificabili in prima battuta con le compagnie energetiche
nazionali direttamente coinvolte nella politica regionale verso il Transcaucaso, le
quali beneficiavano, inoltre, delle conseguenze istituzionali del processo di
apertura democratica, avviatosi nel paese nel corso degli anni ’909. Un’apertura
democratica che, non secondariamente, ha finito per fornire nuovi spazi all’azione
di una società civile che, portatrice di interessi spesso confliggenti, ha complicato
ulteriormente il quadro di riferimento di un processo decisionale, quello turco
rispetto al Transcaucaso, che diventerà, come sottolineato da Tayfur e Göymen,
piuttosto “affollato”10.
La tortuosità del percorso intrapreso da Ankara sulla via della definizione di una
politica regionale per il Transcaucaso, è resa più evidente infine dalla
considerazione dei fattori internazionali sommatisi alla complessità del contesto
nazionale turco. In questo senso, le peculiarità proprie dall’area transcaucasica –
caratterizzata da un’elevata conflittualità interna e dalla convergenza di interessi
economici e di sicurezza di importanti attori regionali e internazionali – hanno
rappresentato un difficile nodo cui rapportarsi coerentemente. Tanto più difficile,
poi, per la contemporanea apertura del processo di ridefinizione dell’identità e delle
prerogative delle maggiori organizzazioni internazionali cui la Turchia
tradizionalmente rivolgeva la propria attenzione – dalla Nato alla Ueo, dall’Onu
all’Osce.
9
Sull’influenza esercitata dalla progressiva democratizzazione turca sul processo decisionale, Z.
ONIS - U. TÜREM, Business, Globalization and Democracy: A Comparative Analysis of Turkish
Business Associations, in «Turkish Studies», 2, 2001, 2.
10
M.F. TAYFUR - K. GÖYMEN, Decision Making in Turkish Foreign Policy: The Caspian Oil
Pipeline Issue, in «Middle Eastern Studies», 38, 2002, 2, p. 107.
5
1. Le origini della politica estera turca verso gli Stati di Nuova Indipendenza
(1991-1993)
La dissoluzione sovietica restituiva alla politica estera turca degli stati che,
oggetto secolare di contesa tra l’impero ottomano e quello russo, avevano
tradizionalmente occupato un posto di primo piano nella politica estera di
Istanbul. Con la nascita della Repubblica Turca e la contemporanea formazione
della Repubblica Federale Socialista Sovietica Transcaucasica, Mustafa Kemal,
coerentemente con il principio “pace in casa, pace nel mondo”, sacrificava i
rapporti e le rivendicazioni territoriali sul Trancaucaso alla volontà di rafforzare la
sovranità della Turchia sui territori a essa riconosciuti dal Trattato di Losanna
(1923), oltre che a una più pragmatica realpolitik che imponeva buoni rapporti
con il vicino sovietico11. D’altro canto, il contemporaneo sforzo di rifondare una
identità nazionale turca – dalla connotazione spiccatamente territoriale, prima
ancora che etnica12 – si traduceva nella proibizione delle attività anti-sovietiche
dei movimenti irredentisti di stampo pan-turco o neo-ottomano13. Nel corso del
primo settantennio di vita della Turchia, dunque, i rapporti con le repubbliche
sovietiche del Transcaucaso passarono necessariamente attraverso la mediazione
di Mosca, mentre gli stessi rapporti tra la consistente popolazione turca di origine
caucasica14 e i propri affini d’oltreconfine si ridussero a sporadici contatti di
natura culturale15.
I primi segnali della crisi sovietica e della crescente indipendenza che le singole
repubbliche iniziavano ad assumere sul piano internazionale, colsero dunque la
Turchia sostanzialmente impreparata e non disposta a capovolgere quella “almost
11
Con il trattato di Alessandropoli/Gümrü (1920), d’altro canto, Armenia e Turchia avevano
fissato i rispettivi confini, ponendo sotto sovranità turca i distretti dei Kars e Ardahan. L’anno
successivo il Trattato di Mosca turco-sovietico sanciva gli attuali confini nord-orientali del paese,
con la parallela rinuncia turca al porto georgiano di Batumi. B.R. KUNIHOLM, The Origins of
the Cold War in the Near East, Princeton, 1980, pp. 358-359. Le rivendicazioni sovietiche sui
distretti dei Kars e Ardahan ritorneranno, nell’immediato secondo dopoguerra, a incrinare i
rapporti turco-sovietici e a spingere più risolutamente Ankara verso la cooperazione economica e
militare con le nascenti strutture di matrice euro-atlantica. Tali rivendicazioni cesseranno
ufficialmente solo nel 1953. W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, cit., pp. 111-112 e
122.
12
W. HALE, Identità e Politica in Turchia, in R. ALIBONI (a cura di), Geopolitica della Turchia,
Milano, 1999, p. 45.
13
J.M. LANDAU, Pan-Turkism: From Irredentism to Cooperation, London, 1995, pp. 74-75. Tale
atteggiamento era peraltro in linea con le previsioni dl Trattato turco-sovietico del marzo 1921 che
impegnava le parti a proibire, sul proprio territorio, la formazione di organizzazioni irredentiste
“that have hostile intentions to the other country”. W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000,
cit., p. 51.
14
Secondo Henze, circa un 15% della popolazione della neoproclamata Repubblica Turca (2
milioni su un totale di 13) era di origine caucasica, giunta in Anatolia a seguito delle guerre russoturche tra il XIX secolo e la prima guerra mondiale. P. HENZE, Turkey and the Caucasus:
Relations with the New Republics, in M. RADU (ed.), Dangerous Neighborhood: Contemporary
Issues in Turkey’s Foreign Relations, New Brunswick/London, 2003, pp. 79-80.
15
P. HENZE, Turkey and the Caucasus: Relations with the New Republics, cit., p. 81.
6
obsequious correctness toward Moscow”16 che costituiva una consolidata
tradizione diplomatica. In questo contesto va dunque inserita la cautela che
Ankara mostrò nell’accordare il riconoscimento ufficiale delle nuove repubbliche,
all’indomani delle dichiarazioni di indipendenza susseguitesi a partire dall’agosto
1991. Solo a seguito della formale dissoluzione dell’Urss, difatti, il 16 dicembre
successivo, Ankara riconosceva in blocco le repubbliche da essa emerse. Unica
eccezione fu tuttavia costituita dal riconoscimento che la Turchia, primo stato della
comunità internazionale, accordò in novembre all’Azerbaigian17, a dimostrazione
dell’importanza che Ankara attribuiva ai rapporti con la vicina e affine repubblica
azera, e a segnale della centralità che questa avrebbe da allora assunto nella
politica regionale turca nell’area del Transcaucaso, così come in quelle del Mar
Nero e dell’Asia centrale.
Emersa con chiarezza sin dai primi mesi del 199218, la volontà europea e
statunitense di proporre un “modello turco” di sviluppo agli stati emersi dalla
dissoluzione sovietica costituì un importante incentivo per Ankara ad attuare una
più dinamica azione di politica regionale. Un maggior impegno nello spazio postsovietico che, su questo sfondo, la Turchia iniziò presto a valutare come
strumento per rafforzare, nel quadro dei nascenti equilibri internazionali, la
valenza strategica regionale del paese rispetto alle cancellerie occidentali19.
D’altro canto, nel paese, un senso di profonda euforia aveva accompagnato la
16
P. HENZE, Turkey: Toward the Twenty-First Century, in G.E. FULLER - I.O. LESSER,
Turkey’s New Geopolitics, From the Balkans to Western China, Boulder, 1993, p. 28.
17
A questo proposito, Robins evidenzia come la Turchia avrebbe probabilmente dilazionato
ancora i tempi del riconoscimento, se il Primo Ministro azero Hasanov non avesse forzato la mano
al governo: “He appealed to the Turkish people over the government’s head during a stopover in
Ankara, saying that Turkish business might lose out were it not the first country to extend
recognition”. P. ROBINS, Between Sentiment and Self-Interest: Turkey’s Policy toward
Azerbaijan and the Central Asian States, cit., p. 602. In linea con questa interpretazione, Winrow
sottolinea come il più rapido riconoscimento dell’Azerbaigian rispetto alle altre repubbliche fosse
legato alla volontà di anticipare un possibile riconoscimento iraniano. G. WINROW, Turkey and
the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, London, 2000, p. 8.
18
Nel febbraio 1992, la visita di Demirel a Washington costituì l’occasione per Bush per
promuovere ufficialmente il ruolo di modello della Turchia per gli SNI. Parallelamente, la
Commissione Europea, prima ancora dei governi britannico e tedesco, evidenziava il fondamentale
ruolo di ‘corridoio’ della Turchia rispetto allo spazio post-sovietico. Sottolinea, a tal proposito,
Robins come “foreign politicians visiting Turkey, especially those from Europe, seemed to identify
Central Asia and Transcaucasia as a relatively cost free way of having praise on their host, with
whom, in other areas, relations were often problematic”. P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish
Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 284.
19
D’altro canto, già in occasione di una riunione tentasi a Vienna, nel dicembre 1989, tra l’allora
Ministro degli Esteri Yılmaz e i principali ambasciatori turchi, le linee guida della politica estera a
venire erano non a caso identificate attorno alla necessità di mantenere la ferma cooperazione con
la Nato, aprendo al contempo rapporti più stretti con i paesi d’oltrecortina. Se infatti, la distensione
ridimensionava l’importanza strategica della Turchia, la sua posizione geografica ne avrebbe
rifondato la valenza agli occhi dell’occidente. B.R. KUNIHOLM, Turkey and the West Since
World War II, in V. MASTNY - R.C. NATION (eds), Turkey Between East and West: New
Challenges for a Rising Regional Power, Boulder/Oxford 1996, pp. 61-62.
7
dissoluzione dell’Urss e il conseguente emergere di quello che appariva come un
“nuovo mondo prevalentemente turcofono”20 – formato da quattro delle cinque
repubbliche centroasiatiche e dall’Azerbaigian – naturalmente portato alla
identificazione e cooperazione con il “fratello maggiore” turco. La possibilità che
la Turchia potesse fondare sugli storici legami di natura etnica, culturale e
linguistica la propria direttrice di politica estera verso i paesi turcofoni del
Caucaso e Asia centrale – divenendo così per essi punto di riferimento obbligato
sulla strada del rafforzamento della indipendenza – lungi dall’essere relegata ai
movimenti pan-turchi, neo-ottomani o di solidarietà etnica, finì per ammantare la
stessa retorica governativa e presidenziale21.
Prendeva così forma il primo tentativo turco di sviluppare una linea di politica
regionale verso lo spazio post-sovietico, una politica che, rivolgendosi
prevalentemente agli stati turcofoni dell’area, mancava ancora di una strategia
coerente – sia pur di breve periodo – verso l’area del Transcaucaso.
Tuttavia, come sostiene Aras, “as the relationship between ethnicity and foreign
policy comes to the fore, identity politics has more to do with politics than with
identity”22. Lungi dunque dal rappresentare la volontà di affermazione di un
modello pan-turco, il richiamo alla comunanza etnica, linguistica e culturale
offriva piuttosto – alla Turchia così come agli Sni – un comodo quanto suggestivo
strumento di riavvicinamento politico. In questo senso, sgombrato il campo dalla
connotazione ideologico-confessionale attribuita alla politica regionale di
Ankara23, la strategia turca verso gli SNI, così come il suo successivo fallimento,
vanno valutati, prima ancora che sul piano economico24, su quello strettamente
politico. A fallire fu, in particolare, il tentativo di Ankara di assicurarsi il sostegno
dei nuovi interlocutori rispetto a una piattaforma comune di politica internazionale
e regionale confacente agli interessi del Ministero degli Affari Esteri turco. Il
primo “Summit Turco”, convocato ad Ankara nell’ottobre 1992, costituì in questo
senso la principale fonte di disillusione per una Turchia che, per l’occasione,
20
P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 272.
Innumerevoli sono difatti le dichiarazioni, provenienti dalla più alte sfere delle istituzioni
nazionali, velate di accenti pan-turchi. Così, se Özal, in linea con la propria retorica
tradizionalmente colorita, sosteneva che il secolo a venire sarebbe stato il secolo dei turchi, lo
stesso Demirel, generalmente più moderato, salutava l’emergere di “a gigantic Turkish world”
esteso dall’Adriatico sino alla Grande Muraglia cinese. P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish
Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 280.
22
B. ARAS, Turkish Foreign Policy Toward the Caucasus, in «Central Asia and the Caucasus», 5
(11), 2001, p. 83.
23
Si veda, ad esempio, S. HUNTINGTON, Lo Scontro delle Civiltà e il nuovo ordine mondiale,
Garzanti Editore, trad. it., Milano, 2000, p. 214.
24
La mancanza di adeguate risorse finanziarie da indirizzare verso gli Stati di Nuova
Indipendenza, la ritrosia dell’imprenditoria turca verso investimenti che si presentavano ad alto
rischio, così come l’incapacità della Turchia di presentarsi come canale privilegiato degli aiuti
economici provenienti dalle principali organizzazioni internazionali e regionali, sono tutte
concause comunemente addotte per spiegare il fallimento della politica regionale turca nella fase
immediatamente successiva al 1991.
21
8
aveva predisposto una dichiarazione congiunta contenente le linee-guida di un
politica estera comune. La mancanza di accordo sulle principali questioni in essa
contenute – dal riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro del Nord sino al
conflitto in Bosnia-Erzegovina – rappresentò un duro colpo alla credibilità del
ruolo regionale cui Ankara aspirava. La più cocente sconfitta per la diplomazia
turca giunse, tuttavia, in relazione alla posizione da assumere relativamente al
conflitto che, nel Transcaucaso, opponeva Azerbaigian e Armenia per il controllo
della regione dell’Alto Karabakh. Questione che, riguardando più da vicino gli
equilibri dell’area post-sovietica, rappresentava un fondamentale banco di prova
per la sua politica regionale. Una politica che non poté di conseguenza che uscire
ridimensionata dalle profonde divisioni emerse sul tema, così come dal rifiuto
opposto dai capi di stato centroasiatici alla proposta – propugnata dal presidente
azero Elçibey e appoggiata dalla Turchia – di intraprendere azioni concrete contro
l’occupante armeno e, più significativamente, dalla mancanza di accordo finanche
su una dichiarazione di aperta condanna dell’occupazione25.
Il summit di Ankara, pensato come pietra miliare per lo sviluppo di una rete di
cooperazione turcocentrica nello spazio post-sovietico, si tradusse dunque nella
evidente manifestazione della velleitarietà dei progetti regionali di Ankara, della
possibilità di trarre da essi facili e veloci dividendi politici, così come della
sottovalutazione dell’influenza che Mosca continuava a esercitare sull’estero
vicino. Significativamente, il summit si concludeva con una dichiarazione
congiunta sulla volontà di approfondire la cooperazione economica e gli scambi
culturali – aspetti che, da allora, avrebbero costituito il principale ambito di
collaborazione tra la Turchia e le repubbliche centroasiatiche.
1.1 La Turchia e i conflitti nel Transcaucaso
Il principale ostacolo all’iniziale cooperazione politica ed economica tra la
Turchia e le repubbliche del Transcaucaso – così come alla predisposizione di una
coerente strategia regionale di lungo periodo – fu rappresentato dall’accentuata
conflittualità che accompagnò e seguì, nell’area, la dissoluzione dell’Unione
Sovietica. Il cammino post-indipendentistico delle tre repubbliche fu infatti
pesantemente condizionato dall’erompere di tensioni e conflitti, dai contorni etnoterritoriali26, nella regione azera a maggioranza armena dell’Alto Karabakh, così
come nelle province georgiane dell’Ossetia meridionale e dell’Abkhazia. La
diplomazia turca si trovava così a fronteggiare una fluida e incerta situazione di
fatto, rapportarsi alla quale era reso più complesso dalle rilevanti ripercussioni che
implicava tanto sul piano internazionale, quanto interno.
25
P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p.287.
Si fa qui riferimento, nella definizione di Streleckij, a quelle “controversie accese in nome di
etnie o gruppi etnici e riguardanti il diritto di abitare, possedere o amministrare questo o quel
territorio”. Cit. in E. PAIN, Analisi comparativa e valutazione del rischio di conflitti etnopolitici
lungo le frontiere russe, in P. SINATTI (a cura di), La Russia e i conflitti nel Caucaso, Torino,
2000, p. 81.
26
9
In questo quadro, il nodo che più di ogni altro influenzò la politica estera turca fu
il conflitto per il controllo dell’Alto Karabakh che, prodottosi a uno stato latente a
partire dal 1988, assunse, a seguito delle dichiarazioni di indipendenza azere e
armene, un connotato tipicamente interstatale destinato ad avere pesanti
ripercussioni sulla politica regionale di Ankara. Non è un caso che, dopo aver a
lungo considerato le tensioni azero-armene come problema elusivamente interno
all’Urss, la Turchia, alla vigilia della sua dissoluzione, manifestasse la propria
disapprovazione rispetto al provvedimento con il quale l’Azerbaigian, il 26
novembre 1991, sopprimeva l’autonomia tradizionalmente accordata alla regione
dell’Alto Karabakh. Una decisione, quest’ultima, che il governo Demirel
sottolineò essere contraria tanto alla stabilità regionale, quanto agli stessi interessi
azeri27.
L’erompere, a partire dai primi mesi del 1992, del conflitto si ripercosse
negativamente anzitutto sulle prospettive di normalizzazione degli storicamente tesi
rapporti turco-armeni. L’eredità del passato ottomano rappresentava, difatti, un
pesante fardello sulla strada di una possibile normalizzazione delle relazioni
bilaterali. Pesava e pesa a tutt’oggi, in particolare, il tentativo di Erevan e della
diaspora di ottenere che allo sterminio della popolazione armena compiuto in
Turchia a partire dal 1915, venga ufficialmente riconosciuta – internazionalmente
come ad Ankara – la natura di genocidio28. Parallelamente, le rivendicazioni armene
su territori della Turchia orientale29, così come il ricordo, tra la diplomazia turca,
degli attentati terroristici compiuti negli anni Ottanta dall’Armenian Secret Army for
the Liberation of Armenia, costituivano altrettante eredità di un passato con cui
risultava difficile fare i conti. A scapito di ciò, tuttavia, a partire dalla visita a
Erevan dell’ambasciatore turco a Mosca, Volkan Vural, nell’aprile del 1991, i
rapporti tra i due paesi sembrarono imboccare un percorso di reciproco
riavvicinamento. Nell’occasione venne infatti predisposta la bozza di un accordo di
buon vicinato, cui seguì, all’indomani del riconoscimento turco dell’indipendenza
armena, l’apertura di un consolato turco e la nomina di un ambasciatore a Erevan, in
attesa della formalizzazione di un’apertura di relazioni diplomatiche che lo sviluppo
delle operazioni militari nell’Alto Karabakh renderà tuttavia inattuabile.
27
S. BOLUKBASI, Ankara’s Baku-Centred Transcaucasia Policy: Has It Failed?, in «Middle
East Journal», 51, 1997, 1, p. 83.
28
Ankara, continua al contrario a sostenere che dietro i “massacri” della popolazione armena non
vi sia stata una deliberata politica di sterminio, ridimensionando al contempo le stime relative alle
vittime. In questo senso, S.R. SONYEL, Falsifications and Disinformation Negative Factors in
Turco-Armenian Relations, in «SAM Papers», 3, 2000.
29
Nel 1991 il Parlamento armeno dichiarava il non riconoscimento della validità dei Trattati di
Kars e Gümrü del 1921, con i quali venivano stabiliti i confini turco-armeni. L’articolo 11 della
Dichiarazione di Indipendenza armena, fa inoltre riferimento alla Anatolia orientale come alla
“Armenia occidentale”. D’altro canto, tuttavia, i successivi ingressi dell’Armenia nelle
organizzazioni internazionali che riconoscono il principio di inviolabilità delle frontiere – a partire
da quello nella Conferenza per la Sicurezza e Cooperazione in Europa del gennaio 1992 – possono
essere interpretati come un sia pur indiretto riconoscimento della frontiera tra i due stati.
10
Parallelamente e in funzione del tentativo di normalizzazione dei rapporti con
l’Armenia, Ankara tentò peraltro di non lasciarsi trascinare nella crescente ostilità
armeno-azera propugnando, a più riprese, un ruolo di mediatore imparziale tra le
parti. In questo quadro si colloca dunque la “shuttle diplomacy”30 inaugurata dal
Ministro degli Esteri turco Çetin tra la regione e le varie capitali europee, così
come il tentativo di internazionalizzare la mediazione del conflitto attraverso le
organizzazioni di cui la Turchia era membro – con la Csce in testa31 – nella
costante riaffermazione del principio della intangibilità delle frontiere32. D’altro
canto, propugnando una politica di non diretto intervento nel conflitto in
Azerbaigian, Ankara dimostrava tutta la propria preoccupazione rispetto alla
possibilità che questo potesse assumere un connotato spiccatamente confessionale33,
minando le fondamenta del precetto secolarista turco e della sua proiezione
internazionale – un rischio tanto più sentito per il contemporaneo sviluppo della
crisi bosniaca. La possibilità di assumere un ruolo di mediatore, era infine
funzionale alla volontà di anticipare l’analogo tentativo di Teheran.
La credibilità di un ruolo turco super partes rispetto al conflitto, fu tuttavia vittima
della mancanza di formulazione di una coerente strategia regionale di politica
estera, nel cui vuoto si inserirono presto le divergenze tra le più alte cariche
istituzionali del paese. Alla moderazione del governo guidato da Demirel, fece
infatti da contrappeso la colorita e populistica retorica del Presidente Özal che finì
per minarne le fondamenta, contribuendo una volta di più alla radicalizzazione
delle posizioni di un’opinione pubblica, quella turca, che a gran voce richiedeva
una più attiva politica di sostegno ai “fratelli azeri”. La linea interventista di Özal
– alle cui spalle si muoveva un’ampia parte dello spettro politico e istituzionale
30
S.E. CORNELL, Turkey and the Conflict in Nagorno-Karabakh: A Delicate Balance, in
«Middle Eastern Studies», 34, 1998, 1, p. 60.
31
La Turchia riuscì, in ambito CSCE, a porre la questione dell’Alto Karabakh nell’agenda del
summit di Praga del 28 febbraio 1992, nel corso del quale l’organizzazione decise di costituire un
gruppo di contatto per la mediazione nel conflitto. Prendeva così forma quello che sarebbe
divenuto noto, a partire dal giugno successivo, come il “Gruppo di Minsk”, di cui la Turchia
divenne parte assieme a Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Repubblica Ceca, Francia, Germania,
Italia, Federazione Russa, Svezia e Stati Uniti. Sullo sforzo di mediazione internazionale rispetto
all’Alto Karabakh, si veda J.J. MARESCA, The International Community and the Conflict over
Nagorno-Karabakh, in B.W. JENTLESON (ed), Opportunities Missed, Opportunities Seized:
Preventive Diplomacy in the Post-Cold War World, Lanham, 2000, pp. 68-90.
32
La stretta riaffermazione del principio di inviolabilità delle frontiere in connessione al conflitto
nell’Alto Karabakh rispondeva, prima ancora che alla volontà di sostegno alla causa azera, alle
preoccupanti connessioni che esso mostrava rispetto alla rinascita del separatismo curdo in
Turchia. La presa armena di Lachin nel maggio 1992 comportò infatti la formazione, nella regione
– già sede negli anni Venti di un’entità autonoma curda – di un Movimento Curdo di Liberazione
che proclamava in essa la formazione di uno stato curdo indipendente. Cfr. Keesing’s Record of
World Events, 38, June 1992.
33
A. COWELL, Turk Warns of a Religious War in Azerbaijan, in «The New York Times», 12
March 1992.
11
turco34 – si manifestò, in tutta evidenza, a seguito delle rilevanti vittorie militari
che i separatisti armeni, sostenuti militarmente dalla madrepatria, ottennero tra il
febbraio e il maggio 1992. La minaccia presidenziale di un intervento militare a
protezione dell’enclave azera di Nakhichevan35, accompagnata dai movimenti di
truppe in prossimità dei confini orientali del paese, implicò così il fallimento della
contemporanea mediazione di Demirel. La possibilità che la Turchia intervenisse
militarmente nel conflitto, d’altro canto, spinse più risolutamente Erevan
nell’orbita politico-militare di Mosca, finendo per favorire l’avvio di una
polarizzazione degli schieramenti regionali, che avrebbe costituito, da allora, una
pesante gravame sulla via della cooperazione nell’area. Dopo aver infatti rifiutato
di esaminare, a inizio marzo, un piano di pace turco36, in maggio l’Armenia
siglava il Trattato di Sicurezza Collettiva (Cst) della Csi e un Accordo di Sicurezza
Congiunta con la Russia – alle cui truppe avrebbe peraltro demandato, nel febbraio
successivo, la responsabilità del pattugliamento delle proprie frontiere
internazionali, ivi compresa quella con la Turchia.
Le sconfitte militari azere della primavera accentuarono, peraltro, la crisi politica
del governo guidato da Mutalibov, che in giugno lasciò il posto al leader della
formazione nazionalista del Fronte Popolare dell’Azerbaigian, Elçibey. In questo
quadro d’insieme, la spiccata retorica anti-russa e pan-turca del presidente azero,
si tradusse in Turchia in un ulteriore elemento di polarizzazione politica, oltre che
in un insormontabile ostacolo rispetto ai contemporanei tentativi di dialogo e
cooperazione tra Demirel e il governo armeno guidato dal moderato TerPetrossian37. Maturava così, sulla scia della sempre più pressante richiesta
34
L’opposizione al governo del Partito della Giusta Via (DYP) guidato da Demirel si presentava
compatta nel richiedere un più deciso intervento nel conflitto. Il Partito Nazionalista di Azione
(MHP) di Türkeş, dalla tradizionale connotazione pan-turca, era naturalmente il più attivo
sostenitore della necessità di intervento militare a tutela degli interessi regionali turchi. Allo stesso
modo, il Partito Democratico della Sinistra (DSP) guidato da Ecevit, portatore di una retorica
terzomondista e sostenitore di una “regionally-centred foreign policy depending on national
interests” (W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, cit., p. 207), criticava aspramente la
cautela politica di Demirel come controproducente rispetto all’avanzamento degli interessi turchi
nelle aree del Caucaso e dell’Asia centrale. Infine, l’influente Mesut Yilmaz – succeduto a Özal
alla leadership del maggior partito dell’opposizione, il Partito della Madrepatria (ANAP) – a più
riprese sottolineò la necessità di una più dura linea di politica estera nei confronti dell’Armenia.
35
Secondo un’interpretazione ampiamente propugnata in Turchia, la lettera dei Trattati di Mosca e
Kars del 1921 conferiva a essa il diritto di intervenire militarmente a tutela dello status
dell’enclave.
36
Significativamente, l’Armenia giustificava il rifiuto sulla base dell’accusa alla Turchia di “not
being neutral”. Cfr. Keesing's Record of World Events, 38, March 1992.
37
Nell’agosto 1992, una missione diplomatica turca in Armenia sondava la possibilità di apertura
delle relazioni diplomatiche, richiedendo a tal fine il ritiro dell’esercito dai territori azeri esterni
all’Alto Karabakh. Nel settembre successivo, inoltre, il governo turco accettò la richiesta armena
di invio di 100.000 tonnellate di grano all’Armenia, per motivi umanitari. Contemporaneamente,
veniva siglato un protocollo per la fornitura di energia elettrica al paese. L’effetto congiunto dei
due provvedimenti sarebbe stata la rottura di quell’embargo azero nei confronti dell’Armenia, che
costituiva la principale arma di Baku. Fu così solo a seguito delle vibranti proteste del governo
azero e dell’opposizione turca, inoltre, a far cadere un accordo bollato come “una pugnalata alle
12
dell’opinione pubblica nazionale38, l’aperto sostegno di Ankara a favore della causa
azera, che si concretava, nell’aprile 1993, nella chiusura delle frontiere tra Turchia e
Armenia, dove venivano contemporaneamente mobilitati l’esercito e l’aviazione.
Le successive schiaccianti vittorie militari dei secessionisti armeni – che entro
settembre estendevano la propria occupazione a un quarto circa del territorio
azero – dimostrarono tuttavia tutta la inefficacia della politica regionale di
Ankara. Inefficacia manifesta rispetto tanto al tentativo di mobilitare, a sostegno
della causa azera, i propri alleati occidentali, quanto di attuare una qualche forma
di diplomazia coercitiva – principale ostacolo alla quale era costituito dalla tutela
militare russa di Erevan.
La possibilità di assicurare che l’Azerbaigian fosse retto da un “regime amico”,
obiettivo centrale nella strategia turca verso il Transcaucaso39, fu ulteriore vittima
dell’insuccesso della politica rispetto all’Alto Karabakh. Nel giugno 1993 un
colpo di stato deponeva infatti Elçibey, presto sostituito da Heydar Aliyev che, in
mancanza di concrete alternative, rovesciava il corso di politica estera sino ad
allora seguito dal paese, congelando i rapporti con la Turchia e avvicinandosi
risolutamente alla Russia. Nel maggio 1994, dopo aver riportato il paese nella Csi
e siglato il Trattato per la Sicurezza Collettiva, l’Azerbaigian accettava un piano
per il cessate-il-fuoco che, predisposto dal Ministro della Difesa russo Grachev,
prevedeva tra l’altro il dispiegamento, a sua garanzia, di truppe russe sotto l’egida
della Csi. Benché quest’ultima previsione venisse successivamente rigettata dal
parlamento azero, la firma dell’accordo rappresentò un importante successo
diplomatico per Mosca, che, presentandosi come garante unico della stabilità e
della sicurezza nell’area, rafforzava le proprie posizioni in quello che appariva
essere “a hidden regional conflict between Turkey's drive to build a zone of
influence in Transcaucasia and Russia's determination not to be excluded from its
traditional spheres of influence”40.
L’accordo per il cessate-il-fuoco, cui non sarebbe seguita la conclusione di un piano
di pace, finiva per congelare, assieme al conflitto, le stesse possibilità di
normalizzazione dei rapporti diplomatici armeno-turchi, condizionati da Ankara, a
partire dal 1993, a “positive development toward the peaceful settlement of the
Nagorno-Karabakh dispute”41. I rapporti della Turchia con l’Armenia – e con essi le
potenzialità di un’ampia cooperazione nel Transcaucaso – finivano così per divenire
ostaggio del crescente avvicinamento all’Azerbaigian.
spalle” da parte di Ankara. S. BOLUKBASI, Ankara’s Baku-Centred Transcaucasia Policy: Has
It Failed?, cit., p. 84.
38
S.E. CORNELL, Turkey and the Conflict in Nagorno-Karabakh: A Delicate Balance, cit., p. 61.
39
S. BOLUKBASI, Ankara’s Baku-Centred Transcaucasia Policy: Has It Failed?, cit., p. 81.
40
S.J. BLANK, Turkey’s Strategic Engagement in the Former USSR and U.S. Interests, in S.J.
BLANK - S.C. PELLETIERE - W.T. JOHNSEN, Turkey's Strategic Position at the Crossroads of
World Affairs, Carlisle, 1993, p. 69-70.
41
G. WINROW, Turkey and the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., p. 13.
13
D’altro canto, l’oggettiva difficoltà per il governo turco di predisporre, rispetto ai
conflitti nell’area transcaucasica, una linea di deciso e coerente intervento, risultò
evidente anche rispetto a quel conflitto in Abkhazia che, a partire dall’estate del
1992, divampava in Georgia.
La netta instabilità che caratterizzò la fase successiva alla proclamazione
d’indipendenza georgiana – determinata dalla guerra civile del 1991-1992 e dal
conflitto in Ossetia meridionale – aveva rappresentato un freno all’apertura delle
relazioni diplomatiche tra Ankara e Tbilisi. Il tardivo riconoscimento accordato
alla Repubblica Georgiana nel maggio 1992 dimostrava dunque, una volta di più –
prima ancora della iniziale secondarietà del vettore transcaucasico della politica
estera turca – la riproposizione della tradizionale cautela e del non-interventismo
sul piano regionale. Non è un caso, in questo senso, che il riconoscimento turco
seguisse il consolidamento del potere di Shevarnadze e, più significativamente,
l’analogo provvedimento statunitense e tedesco. Fu dunque in contemporanea che
si svilupparono, nella successiva estate, i primi contatti turco-georgiani per lo
sviluppo di una cooperazione politico-economica, da un lato42, e l’apertura delle
ostilità nella regione secessionista della Abkhazia, dall’altro.
L’iniziale atteggiamento legalistico e filo-governativo di Ankara rispetto al conflitto
fu messo in seria difficoltà, questa volta, dalla presenza in Turchia di una numerosa
comunità di origine abkhaza43. Quest’ultima, in unità di intenti con le numerose
associazioni di minoranze d’origine nord-caucasica, diede vita al Comitato di
Solidarietà Caucasico-Abkhazo (Kafkas-Abhaz Dayanişma Komitesi – Kadk), attivo
sin dal 1992 nel richiedere il riconoscimento turco dell’indipendenza dell’Abkhazia,
e nell’esercitare pressioni su quella parte trasversale dello spettro politico
favorevole a un più attivo coinvolgimento nelle questioni regionali. La
contemporanea formazione, a opera della influente minoranza georgiana, della
Fondazione Culturale e di Solidarietà Turco-Georgiana (Türk-Gürcü Kültür ve
Dayanişma Vakfı – Tgkdv) determinò così un scontro di interessi, che assunse
presto portata politica. L’avvio di un pericoloso processo di politicizzazione delle
minoranze etniche, emerse chiaramente dall’acceso dibattito parlamentare
sull’Abkhazia dell’ottobre 1992. Dibattito che evidenziava, al contempo,
l’impossibilità per Ankara di sfruttare i dividendi politici che le sarebbero potuti
derivare dal più diretto sostegno a una delle parti in causa. Su questo sfondo, fu
42
Nel luglio 1992, Demirel si recava in visita a Tbilisi dove veniva siglato un Accordo di Amicizia e
protocolli in materia di commercio, cultura, istruzione e trasporti.
43
Secondo Winrow, la comunità turco-abkhaza comprendeva 700.000 persone. Un numero,
questo, tanto più rilevante se paragonato al totale della popolazione della provincia georgiana che,
nelle stime di Alexei Zverev era di poco superiore al mezzo milione G. WINROW, Turkey and the
Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., p. 33; A. ZVEREV, Ethnic Conflicts in
the Caucasus, 1988-1994, in B. COPPIETERS (ed.), Contested Borders in the Caucasus,
Bruxelles, 1996, <http://www.poli.vub.ac.be>.
14
dunque la necessità di rapportarsi alla “fabbrica demografica”44 turca, prima
ancora che una deliberata scelta di politica estera, a dettare l’agenda della politica
nei confronti del conflitto in Georgia. A imporre, cioè, un approccio bilanciato
che, pur sensibile “in a humanitarian fashion”45 alle istanze dei secessionisti,
ribadiva fermamente la necessità del rispetto dell’integrità territoriale georgiana.
Benché una simile linea di condotta super partes finisse per assicurare ad Ankara
sia pur limitati risultati politici46, esso impedì tuttavia di offrire a Tbilisi quelle
garanzie di sicurezza che Shevarnadze, come già accaduto ad Aliyev, non poté
che richiedere alla Russia. Fu ancora una volta Mosca nel novembre 1993, dopo
aver ottenuto l’ingresso georgiano nella Csi e nel Tsc e negoziato il dispiegamento
di una forza di interposizione, a farsi infatti promotrice di un accordo per il
cessate-il-fuoco. Significativamente inoltre, come già avvenuto con l’Armenia,
Russia e Georgia si accordavano per il dispiegamento di guardie di frontiera russe
al confine con la Turchia.
I conflitti etno-territoriali divampati nel Transcaucaso con la dissoluzione
dell’Urss hanno dunque costituito il principale ostacolo, tra il 1992 e l’inizio del
1994, sulla via dell’affermazione di un ruolo regionale di primo piano della
Turchia. L’effetto combinato di fattori interni e internazionali ha infatti impedito
ad Ankara di rappresentare, per l’area, un fattore di sicurezza e stabilità, lasciando
al contempo campo libero alle iniziative di Mosca. La conseguente
sistematizzazione russocentrica rappresentava, per questa via, la più evidente
manifestazione, da un lato, dell’inefficacia della politica regionale turca e,
dall’altro, dell’avvio di una polarizzazione degli interessi e schieramenti regionali
che avrebbe da allora pesantemente influito sulle possibilità di cooperazione interregionale.
1.2 La centralità azera nella politica multi-regionale di Ankara
La stretta affinità etnica, linguistica e culturale tra Turchia e Azerbaigian – base
della consueta formula “due stati, una nazione” – rendeva l’approfondimento delle
relazioni bilaterali un passaggio quasi obbligato nello sviluppo delle rispettive
politiche estere. Se infatti la Turchia rappresentava, per Baku, un ponte verso le
principali strutture di matrice euro-atlantica, oltre che un naturale punto di
riferimento sulla strada del rafforzamento della propria sovranità e indipendenza,
non meno rilevante risultava essere per Ankara, di converso, l’Azerbaigian. Forte di
ingenti e inesplorate risorse energetiche, esso costituiva, prima ancora che un
44
D.B. SEZER, Turkey in the New Security Environment in the Balkan and Black Sea Region, in
V. MASTNY - R.C. NATION (eds.), Turkey Between East and West: New Challenges for a Rising
Regional Power, cit., p. 90.
45
P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 183.
46
In particolare, in occasione del lancio dell’operazione di monitoraggio del cessate-il-fuoco
UNOMIG, la richiesta di partecipazione turca provenne significativamente, nel settembre 1994, da
entrambe le parti del conflitto. Inoltre, tra il 1999 e il 2001, Il Ministero degli Esteri turco offriva
ripetutamente di ospitare colloqui tra inviati del governo georgiano e rappresentanti del KADK.
15
partner economico di primo piano47, un fondamentale alleato nell’affermazione
dell’influenza turca sul Transcaucaso e l’Asia centrale.
L’Azerbaigian si configurò dunque, sin dalla fase immediatamente successiva al
1991, come il punto di collegamento tra le diverse direttrici della politica multiregionale di Ankara nell’area del Transcaucaso, così come in quella dell’Asia
centrale e del Mar Nero. Una politica multi-regionale caratterizzata dal tentativo
di porsi alla testa di iniziative di cooperazione economica regionale, in linea con
le più profonde convinzioni del liberista Özal. Sin dagli anni Ottanta, infatti, le
relazioni economiche regionali avevano assunto, nella politica estera di Ankara, il
ruolo centrale di fattore di stabilizzazione e sicurezza regionale48, elemento di
cooperazione e avvicinamento politico con gli avversari, prima ancora che con i
partner regionali.
Si è già visto come l’Azerbaigian avesse assunto una posizione centrale per lo
sviluppo
–
così
come
per
il
fallimento
–
della
cooperazione con gli stati turcofoni della ex-Unione Sovietica. Nello stesso ambito la
Turchia sosteneva, nel 1992, il progetto di allargamento della Economic
Cooperation Organisation (Eco). L’organizzazione, creata nel 1985 da Turchia,
Iran e Pakistan, e finalizzata alla predisposizione di accordi doganali e allo
sviluppo di una rete infrastrutturale tra i suoi membri, si apriva così alla
partecipazione delle cinque repubbliche centroasiatiche, dell’Afghanistan e
dell’Azerbaigian. In occasione dei summit di Quetta e Istanbul, del febbraio e
luglio 199349, l’Eco approvava un ambizioso piano d’azione di lungo periodo (da
completare entro il 2005), ottenendo contemporaneamente lo status di osservatore
presso le Nazioni Unite. Nonostante il promettente inizio, tuttavia,
l’organizzazione non ha avuto un significativo impatto sugli scambi economici tra
i suoi membri – il cui incremento è stato in linea con i più generali tassi di crescita
– né ha sviluppato, al suo interno, meccanismi di consultazione politica. La
valenza più profonda dell’Eco sembra dunque essere stata, per Ankara, la
disponibilità di un canale istituzionale di cooperazione con Teheran, e di uno
strumento per prevenire iniziative economiche unilaterali iraniane nell’area del
Transcaucaso e dell’Asia centrale.
Un maggior rilievo ha assunto, nel quadro del multi-regionalismo turco, il
progetto di costituzione di un meccanismo di cooperazione per l’area del Mar
Nero. All’indomani della proclamazione dell’indipendenza degli Sni, Özal,
riprendendo un progetto elaborato sul finire degli anni Ottanta, si faceva
47
Dall’analisi dei dati forniti dal Sottosegretariato al Commercio estero turco, emerge infatti come
già nel 1992, se si esclude dal computo la Federazione Russa, le esportazioni turche verso
l’Azerbaigian costituivano il 42% del totale della esportazioni verso i paesi della Csi.
UNDERSECRETARIAT OF THE PRIME MINISTRY FOR FOREIGN TRADE, Exports,
<http://www.dtm.gov.tr>.
48
W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, cit., p. 208.
49
Ö. ÖZAR, Economic Co-operation Organisation: a Promising Future, in «Perceptions», 2,
1997, 1, p. 16.
16
promotore della Black Sea Economic Cooperation (Bsec), lanciata ufficialmente
in occasione dell’incontro di Istanbul del giugno 1992. Significativamente
l’organizzazione, oltre a includere gli stati rivieraschi del Mar Nero (Russia,
Ucraina, Romania, Bulgaria, Georgia) e la Moldova, assumeva
contemporaneamente, su iniziativa turca, una più ampia dimensione
transcaucasica e balcanica – con la partecipazione di Azerbaigian e Armenia da
una parte, e di Grecia e Albania dall’altra. Obiettivo dichiarato
dell’organizzazione, la progressiva rimozione degli ostacoli al commercio tra i suoi
partecipanti e la predisposizione di progetti congiunti in materia di trasporto,
comunicazioni, energia, turismo, agricoltura e protezione ambientale50. A tal fine
venivano istituiti un Segretariato Permanente, un’Assemblea Parlamentare e un
Consiglio Economico dell’organizzazione, per favorire le cui attività veniva
inoltre stabilita la costituzione della Black Sea Foreign Trade and Development
Bank, con sede a Salonicco.
Nonostante il lancio in ambito Bsec di una serie di rilevanti progetti
infrastrutturali51, non sembra tuttavia che l’organizzazione, come già per il caso
dell’Eco, abbia sortito effetti indipendenti sull’aumento degli scambi tra i suoi
membri. D’altro canto, la sostanziale inefficacia delle iniziative di cooperazione
regionale turche risulta in linea con la più generale tendenza, registrata lungo
l’ultimo quindicennio, a una scarsa interazione economica con l’area del
Transcaucaso. A tutto il 2005, infatti, le repubbliche transcaucasiche influivano
per un modesto 1,1% sul totale delle esportazioni turche52, e per uno 0,5% sulle
importazioni53. Di converso, nello stesso 2005, il volume degli scambi con la
Turchia si assestava, per l’Azerbaigian al 6,9% del totale54, mentre per la Georgia,
nel primo quadrimestre del 2006, al 10%55. Significativamente, in entrambi i casi,
50
B. GÜLTEKIN - A. MUMCU, Black Sea Economic Cooperation, in V. MASTNY - R.C.
NATION (eds), Turkey Between East and West: New Challenges for a Rising Regional Power,
cit., pp. 179-180.
51
Per ciò che riguarda più propriamente la cooperazione tra Turchia e Transcaucaso, nel 1996 veniva
completato l’Eastern Black Sea Telecommunications Project (Dokap), per la costruzione di un
collegamento digitale radio tra Turchia, Azerbaigian e Georgia, del valore di 15 miliardi di dollari.
M. DEMIRSAR, BSEC Business Conference Promotes Regional Cooperation, in «Turkish Daily
News», 2 May 1997.
52
UNDERSECRETARIAT OF THE PRIME MINISTRY FOR FOREIGN TRADE, Exports,
<http://www.dtm.gov.tr>.
53
UNDERSECRETARIAT OF THE PRIME MINISTRY FOR FOREIGN TRADE, Imports,
<http://www.dtm.gov.tr>. Sul volume del commercio estero con il Transcaucaso pesa, peraltro, il
provvedimento della chiusura delle frontiere con l’Armenia varato da Ankara nell’aprile 1993 a
seguito del conflitto nell’Alto Karabakh.
54
STATE STATISTICAL COMMITTEE OF THE AZERBAIJAN REPUBLIC, Azerbaijan's
Main Trading Partners in 2005, in «Azerbaijan in Figures 2006», <http://www.azstat.org>.
55
NATIONAL BANK OF GEORGIA, Major Foreign Trade Partners of Georgia, in «Bulletin of
Monetary and Banking Statistics», April 2006, <http://www.nbg.gov.ge>.
17
il dato relativo alla Turchia risultava nettamente inferiore a quello riguardante la
Russia56.
La secondaria valenza economica assunta dalla Bsec non deve tuttavia indurre a
sottovalutarne la portata politica. Per quanto il lancio della cooperazione
economica non si sia tradotto, come era nelle intenzioni di Özal, in un
miglioramento delle relazioni politiche tra i suoi partecipanti, la Bsec ha
comunque rappresentato, tra il 1992 e il 1999, un importante “forum for member
states to try to settle their differences […] and to enhance Turkey’s image as a
cooperative neighbour”57.
2. Ridefinizione pragmatica della politica transcaucasica (1994-2000)
Il sostanziale fallimento, tra il 1991 e il 1994, della politica estera turca verso il
Transcaucaso, frutto della mancanza di una coerente strategia regionale prima
ancora che di mezzi materiali, era stato reso più manifesto dalla scarsa attenzione
che, nei confronti dell’area, mostrarono i principali attori della comunità
internazionale. La concomitanza della crisi bosniaca, accompagnata dalla difficile
fase di adeguamento alla nuova realtà internazionale delle principali
organizzazioni euro-atlantiche, nonché dalla volontà dei principali attori della
comunità internazionale di non compromettere i rapporti con la Russia di Elc’in,
avevano privato la Turchia di quel sostegno – economico quanto diplomatico –
che, solo, avrebbe potuto dare un diverso peso alla direttrice regionale della sua
politica estera.
Su questo sfondo, la rottura dell’isolamento internazionale del Transcaucaso,
prodottosi a cavallo tra il 1993 e il 1994 a seguito delle iniziative regionali
europee e statunitensi, non poté che aprire nuovi rilevanti spazi alla politica estera
di Ankara. La Turchia inaugurava infatti un nuovo corso di politica regionale che,
gettatasi alle spalle l’eccessiva quanto infondata euforia successiva alla
dissoluzione sovietica, si connotava in senso più spiccatamente pragmatico,
legandosi a filo doppio alle iniziative regionali statunitensi. Iniziative che,
significativamente, si indirizzarono verso i due settori rispetto ai quali la
dipendenza degli stati transcaucasici da Mosca aveva reso impraticabile il
tentativo di prenderne le distanze: quello della cooperazione alla sicurezza da un
lato, e quello economico, con particolare riferimento allo sfruttamento e al
trasporto delle risorse energetiche del Mar Caspio, dall’altro.
A favorire il nuovo approccio regionale turco, contribuirono due ulteriori fattori.
In primo luogo, la sia pur parziale risoluzione dei conflitti in Abkhazia e Alto
Karabakh, introducendo un primo importante fattore di stabilizzazione del
56
Nello stesso periodo di tempo preso in considerazione, la percentuale sul totale del volume di
scambi con la Russia si attestava al 12% per l’Azerbaigian e al 17,6% per la Georgia.
57
W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, cit., p. 270; nella stessa direzione C. KING, The
New Near East, in «Survival», 43, 2001, 2, pp. 58-59.
18
Transcaucaso, conferiva una nuova libertà d’azione a Baku e Tbilisi. In secondo
luogo, tale libertà d’azione risultò essere tanto più ampia a partire dalla netta
perdita di credibilità regionale cui fu soggetta la Russia all’indomani della
fallimentare prima campagna militare in Cecenia58.
2.1 Politica economica ed energetica
Se la volontà di proporre un “modello turco” di sviluppo aveva giocato un ruolo di
primo piano nell’iniziale politica di Ankara rispetto agli Sni in generale e
all’Azerbaigian in particolare, una motivazione altrettanto valida derivava,
parallelamente, dai vantaggi strettamente economici che ne sarebbero derivati per
il Paese. Al di là del valore rivestito dalla cooperazione economica nella visione
özalista, e della possibilità di aprire nuovi mercati alle esportazioni nazionali, tali
vantaggi si concretavano principalmente nella prospettiva di inserimento nel giro
d’affari legato allo sfruttamento delle ingenti risorse energetiche del Mar Caspio,
rispetto alle quali l’Azerbaigian appariva come il “cork in the bottle”59.
La Turchia, d’altro canto, costituiva un mercato in costante espansione, le cui
stime di crescita nel fabbisogno energetico imponevano il tentativo di
diversificazione degli esistenti canali di approvvigionamento – principalmente
russi. Al di là, tuttavia, della valenza strettamente economica, lo sfruttamento
degli idrocarburi del Caspio offriva ad Ankara ben più rilevanti dividendi politici.
La necessità di approntare nuove rotte per il trasporto energetico verso i mercati
occidentali schiudeva difatti alla Turchia la prospettiva di divenire lo stato-chiave
nel transito degli idrocarburi, con notevole incremento della propria valenza
strategica, tanto nei confronti degli stati consumatori quanto di quelli produttori di
energia. Per questa via dunque, Il Trancaucaso assumeva progressivamente agli
occhi di Ankara la duplice potenziale connotazione di fornitore energetico e,
contemporaneamente, di primo corridoio rispetto alle risorse energetiche
centroasiatiche – kazake, turkmene e uzbeke.
Non è dunque un caso che la questione energetica – con particolare riguardo ai
progetti di trasporto – entrasse, sin dal 1992, nell’agenda della politica regionale
di Ankara. Subito dopo la proclamazione d’indipendenza azera, difatti, la
Compagnia Petrolifera Turca (Türkiye Petrolleri Anonim Ortaklı – Tpao)
predisponeva il progetto di costruzione di un oleodotto tra Baku e il porto turco di
Ceyhan sul Mediterraneo60. Tale progetto, che diverrà la pietra angolare della più
pragmatica strategia transcaucasica turca degli anni Novanta, veniva formalizzato
dalla firma di un memorandum tra i ministri dell’energia turco e azero, il 9 marzo
58
Sul punto, S. BLANK, Russia and Europe in the Caucasus, in «European Security», 4, 1995, 4,
p. 638. Per una più approfondita analisi si veda A. LIEVEN, Chechnya: The Tombstone of
Russia’s Power, New Haven/London, 1998.
59
Z. BRZEZINSKI, The Grand Chessboard, cit., p. 46.
60
M.F. TAYFUR - K. GÖYMEN, Decision Making in Turkish Foreign Policy: The Caspian Oil
Pipeline Issue, cit., p. 110.
19
199361 – salvo cadere vittima, dopo la caduta di Elçibey, del riavvicinamento di
Aliyev a Mosca. A riaprire definitivamente la partita del trasporto energetico –
che, significativamente, minacciava il tradizionale monopolio russo – contribuiva
però la firma, nel settembre 1994, del cosiddetto “contratto del secolo” tra Aliyev
e il consorzio dell’Azerbaijan International Oil Company (Aioc). Il contratto,
finalizzato allo sfruttamento di tre giacimenti caspici azeri62, prevedeva infatti
l’individuazione, in un primo tempo, di una rotta per il cosiddetto early oil e,
successivamente, del tragitto per il passaggio della Main Export Pipeline (Mep).
La Turchia, rappresentata nell’Aioc da una modesta quota dell’1,75% in capo alla
Tpao63, tornava così a concentrarsi sul nodo del trasporto energetico, favorita
questa volta dalla internazionalizzazione della questione.
Se infatti, come sostiene Larrabee, “pipeline projects acquired the role played by
railways in late nineteenth century diplomacy, as weapons in a struggle for
political as well as economic penetration”64, essi costituivano, al contempo, un
fondamentale strumento, in capo agli Sni, per il rafforzamento della propria
sovranità e della propria indipendenza rispetto alla sistematizzazione russocentrica
dello spazio post-sovietico. Principalmente in questa prospettiva65,
l’amministrazione Clinton entrava nella partita degli oleodotti caspici, dichiarando
nel gennaio 1995, attraverso il proprio ambasciatore ad Ankara66, il proprio
sostegno ai progetti di trasporto predisposti dalla Turchia, come parte del più
ambizioso progetto per la predisposizione di un corridoio energetico est-ovest in
grado di coinvolgere i paesi produttori di energia dell’area transcaucasica e
centroasiatica.
61
Il memorandum prevedeva l’avvio della costruzione dell’oleodotto, da finanziare con
investimenti di istituzioni internazionali e banche estere, a partire dal 1994. A dimostrazione del
tentativo turco di mantenere una posizione di equidistanza nel contemporaneo conflitto nell’Alto
Karabakh, nessuna indicazione veniva fornita circa il percorso dell’oleodotto, lasciando così aperta
una possibile rotta attraverso l’Armenia. P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy
since the Cold War, cit., p. 303.
62
Va segnalato come, attorno alla titolarità dei giacimenti energetici del Caspio, la Russia
sollevasse la questione dello status internazionale del bacino. La connotazione internazionale di
“lago”, piuttosto che di “mare”, implicava difatti una “sovranità congiunta” sulla gran parte dello
spazio del bacino, con un parallela riduzione delle zone economiche esclusive degli stati
rivieraschi. La Turchia, non avendo uno sbocco sul bacino, restava formalmente fuori dalla
controversia legale, pur manifestando il proprio sostegno a favore della posizione azera.
Sul punto, B.H. OXMAN, Caspian Sea or Lake: What Difference Does It Make?, in «Caspian
Crossroads Magazine», 1, 1996, 4; B. JANUSZ, The Caspian Sea: Legal Status and Regime
Problems, in «RIIA/REP Briefing Papers», 2005, 2.
63
La partecipazione della Tpao sarebbe cresciuta, sulla base di un accordo siglato il 12 aprile
1995, di un ulteriore 5% ceduto dalla compagnia petrolifera azera Socar. Nell’assicurarsi una
maggior quota partecipativa, la Tpao anticipava un analogo tentativo iraniano. Cfr. Keesing's
Record of World Events, 48, April 1995.
64
S. LARRABEE, cit. in W. HALE, Turkish Foreign Policy 1774-2000, cit., p. 271.
65
In questo senso, il senatore Brownback, membro del Comitato per le Relazioni Estere del
Senato, in S. BROWNBACK, U.S. Economic and Strategic Interests in the Caspian Sea Region:
Policies and Implications, in «Caspian Crossroads Magazine», 3, 1997, 2.
66
P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 305.
20
La politica transcaucasica della Turchia assumeva così, agli occhi dei suoi
beneficiari, la più profonda connotazione di avamposto degli interessi regionali
statunitensi. Su questo sfondo, la questione connessa alla individuazione della
rotta per l’early oil azero, rappresentò una prima importante saldatura degli
interessi e delle posizioni turche con quelle dell’Azerbaigian e di una Georgia che
avrebbe assunto, da allora, un ruolo di primo piano nella politica regionale di
Ankara. In alternativa a una rotta settentrionale tra Baku e il terminale russo di
Novorossijsk67, la Turchia, a seguito della visita del presidente Demirel a Tbilisi
del novembre 1994, proponeva infatti la costruzione di un oleodotto tra Baku e
Supsa, in Georgia68. Oltre a determinare un rilevante ambito di cooperazione
regionale – aperto ufficialmente con la firma, nel febbraio 1995, dell’Early Oil
Transportation Agreement tra Turchia e Georgia – la realizzazione di tale rotta era
interpretata, ad Ankara, come primo passo per la possibile individuazione della
Mep lungo la direttrice Baku-Ceyhan. Non è un caso, in questo senso, che il
Ministero per gli Affari Esteri turco proponesse di finanziare la sua realizzazione,
a patto che venisse contemporaneamente ufficializzato un impegno alla successiva
predisposizione del prolungamento verso la Turchia69.
Come già accaduto in precedenza rispetto ai conflitti nel Transcaucaso, anche in
questo caso, tuttavia, la Turchia manifestò la propria incapacità di predisporre una
linea di politica estera coerente e univoca. La mancanza di coordinamento tra le
67
Il tentativo turco di sottrarre credibilità internazionale alla rotta verso il terminale russo sul Mar
Nero, si concretò, prima ancora che sul piano strettamente tecnico, nella approvazione di una
nuova regolamentazione – entrata in vigore nel novembre 1994 – per la limitazione del passaggio
di natanti attraverso gli stretti del Bosforo, unico sbocco al mare per le petroliere russe provenienti
da Novorossiisk. La motivazione addotta era di natura strettamente ambientale, ricollegata al
rischio di catastrofe ecologica in un’area, quella di Istanbul, abitata da più di 10 milioni di persone.
B. SASLEY, Turkey's Energy Politics in the Post-Cold War Era, in «Middle East Review of
International Affairs», 2, 1998, 4, pp. 31-32. Per l’evoluzione della regolamentazione sul
passaggio attraverso gli Stretti, Y. GÜÇLÜ, Regulation Of The Passage Through The Turkish
Straits, in «Perceptions», 6, 2001, 1.
68
Il percorso, se da un lato rifletteva l’opposizione azera a una rotta armena e quella statunitense a
una iraniana, dimostrava, al contempo, il pragmatismo insito nelle scelte turche. Numerose erano
state infatti le pressioni interne a sostegno del terminale georgiano di Batumi, capoluogo della
regione a maggioranza musulmana dell’Agiaria. Tale soluzione era, in particolare, propugnata
dalla compagnia nazionale per il gas (Boru Hatları İle Petrol Taşıma A.Ş. - BOTAŞ), allora
egemonizzata politicamente dal Partito Nazionalista di Azione. Su questo sfondo, la volontà di non
fornire sostegno alle istanze autonomistiche proprie della regione e, di conseguenza, di non creare
motivi d’attrito con Tbilisi, induceva il Ministero per gli Affari Esteri turco a gettare il proprio
peso a favore del terminale alternativo di Supsa – soluzione peraltro propinata dallo stesso Aioc.
Sulle diverse alternative e posizioni internazionali sulla questione delle rotte petrolifere, E.
YAZDANI, Competition over the Caspian Oil Routes: Oilers and Gamers Perspective, in
«Alternatives», 5, 2006, 1/2.
69
Finanziamento dell’opera era condizionato inoltre all’acquisto esclusivo, da parte della Turchia,
del petrolio trasportato, rispetto ala cui quantità Ankara richiedeva un impegno formale per un
periodo di otto anni. Infine, la costruzione sarebbe dovuta essere opera di compagnie turche o di
consorzi internazionali a guida turca. P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy
since the Cold War, cit., pp. 306-307.
21
principali istituzioni nazionali interessate allo sviluppo della cooperazione
energetica si tradusse infatti in uno scontro tra le diverse anime dello spettro politico
turco70 che, in un momento di elevata instabilità istituzionale71, comportò nel luglio
1996 il ritiro dell’offerta turca di finanziamento dell’oleodotto azero-georgiano, a
opera del governo Erbakan. Su questo sfondo, fu dunque solo il decisivo intervento
dell’amministrazione Clinton – promotrice di una soluzione multipla per il trasporto
dell’early oil attraverso le due rotte concorrenti – a favorire la scelta dell’oleodotto
Baku-Supsa, formalizzata dall’Aioc nell’ottobre 199572 senza che tuttavia Ankara
fosse riuscita a promuovere il proprio interesse rispetto alla individuazione della
rotta della Mep.
Lungi dall’esaurirsi con la chiusura della controversia relativa all’early oil,
l’attivo coinvolgimento statunitense nella questione energetica si manifestò con
ancor maggiore determinazione anche in relazione alla successiva individuazione
della rotta per la Mep. Al di là delle pressioni a più riprese esercitate sull’Aioc per
l’approvazione del progetto di trasporto tra Baku e Ceyhan via Tbilisi (Btc)73,
l’esplicito sostegno alla rotta veniva inserito, a partire dal 1997, nella più ampia
formulazione di una strategia regionale indirizzata a favorire lo sviluppo di una
rete infrastrutturale est-ovest. Rete che faceva della Turchia il perno regionale di
un ambizioso sistema di oleodotti e gasdotti transcaucasici e centroasiatici74.
Forte del rinnovato sostegno statunitense, a cavallo tra il 1997 e il 1998,
l’influente Consiglio di Sicurezza Nazionale (Csn) turco interveniva direttamente
nella formulazione e nel coordinamento della politica energetica del paese. Le sue
linee guida75 entravano così, per la prima volta, a far parte del “Documento sulla
70
Sulla mancanza di un centro decisionale unico rispetto alla politica energetica, così come di
meccanismi per il coordinamento dei diversi attori in gioco, M.F. TAYFUR - K. GÖYMEN,
Decision Making in Turkish Foreign Policy: The Caspian Oil Pipeline Issue, cit., pp. 111-117; G.
WINROW, Turkey and the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., pp. 27-29.
71
Tra l’ottobre 1995 e il luglio 1996, si alternarono infatti in Turchia tre diversi governi retti da
maggioranze differenti, due a guida della Çiller (ottobre-novembre ’95 e novembre ’95-marzo
’96), uno di Yılmaz (marzo-luglio ’96).
72
S. BOLUKBASI, The Controversy over Caspian Mineral Resources, in «Europe-Asia Studies»,
50, 1998, 3, p. 404.
73
Sull’evoluzione della politica statunitense verso il Caspio, con particolare riferimento al progetto
Btc, J. JOFI, Pipeline Diplomacy: the Clinton Administration’s Fight for Baku-Ceyhan, in «WWS
Case Study», 1999, 1; S. KOBER, The Great Game, Round 2: Washington’s Misguided Support
for the Baku-Ceyhan Oil Pipeline, in «Cato Institute Foreign Policy Briefings», 2000, 63.
74
L’oleodotto Btc avrebbe difatti beneficiato, nelle intenzioni statunitensi, del petrolio estratto nei
giacimenti kazaki e trasportato a Baku dal terminale di Aktau. Parallelamente veniva lanciato il
progetto Trans-Caspian Gas Pipeline, un gasdotto sottomarino per collegare i giacimenti del
Turkmenistan con Baku, da dove un gasdotto parallelo alla Btc avrebbe raggiunto la Turchia.
75
I contorni della politica energetica turca per il secolo a venire erano identificati attorno a quattro
punti salienti: (a) la collocazione geografica della Turchia e il suo sistema politico ed economico
rendono il Paese uno snodo quasi obbligato sul percorso delle rotte energetiche verso occidente;
(b) il crescente fabbisogno energetico della Turchia impone di ottenere il massimo beneficio dalla
produzione del Caspio; (c) la rotta Baku-Ceyhan risulta centrale per la politica energetica
nazionale; (d) fermo restando il sostegno alla rotta Baku-Ceyhan la Turchia deve promuovere la
22
Politica Nazionale” del 1998. Significativamente, inoltre, il Csn riconosceva
ufficialmente al Ministero per gli Affari Esteri la titolarità dell’adozione delle
misure necessarie al conseguimento degli obiettivi così determinati.
A partire dalla primavera 1998 si moltiplicarono dunque i contatti tra Ankara,
Tbilisi e Baku in vista della approvazione del progetto Btc. Un esplicito impegno
in tal senso veniva così sancito dalla “Dichiarazione di Ankara”, siglata
nell’ottobre successivo, in occasione dei 75 anni dalla proclamazione della
Repubblica Turca. La presenza, tra i firmatari, del Presidente uzbeko Karimov e
del kazako Nazarbaev, rimarcava una volta di più la portata eurasiatica della
collaborazione energetica nell’area del Transcaucaso, in perfetta sintonia con la
politica regionale della Casa Bianca – rappresentata, nell’occasione, dal
Segretario per l’Energia Bill Richardson. Su questo sfondo, l’accordo
intergovernativo per la costruzione della Btc – accompagnato da sei accordi
quadro – veniva infine siglato da Demirel, Aliyev e Shevarnadze, alla presenza di
Clinton, nel novembre 1999 a Istanbul, a margine di un summit Osce.76 D’altro
canto, tra il 1999 e il 2000, la scoperta di nuovi fecondi giacimenti petroliferi in
Azerbaigian e Kazachstan, contribuiva a fugare i dubbi sulla valenza economica
del progetto sino ad allora nutriti dall’Aioc77. Dopo una serie di studi di fattibilità
condotti a partire dal 2000, la costruzione della Btc iniziava così nell’estate 2002
per essere completata nel maggio del 2005.
Parallelamente, nel marzo 2001, Baku e Ankara si accordavano per la costruzione
di un gasdotto che, seguendo lo stesso percorso della Btc, avrebbe collegato i
giacimenti azeri al terminale turco di Erzurum. L’accordo, ratificato dal parlamento
turco nel febbraio del 2003, prevede il completamento del gasdotto entro la fine del
200678. Secondo le stime della BOTAŞ, l’Azerbaigian fornirà, di conseguenza, il
13% del consumo nazionale di gas entro il 201079.
2.2 Politica regionale di sicurezza
La centralità assunta dalle iniziative regionali degli Stati Uniti nella strategia
transcaucasica perseguita dalla Turchia a partire dal 1994 emerse in tutta
evidenza, oltre che sul piano energetico, su quello della cooperazione alla
più ampia cooperazione regionale, in particolare nei confronti della Russia. M.F. TAYFUR - K.
GÖYMEN, Decision Making in Turkish Foreign Policy: The Caspian Oil Pipeline Issue, cit., p.
103.
76
Quanto determinante fosse stato il sostegno statunitense risultò evidente dall’entusiasmo con il
quale Clinton salutò l’accordo, indicando come “one of the my proudest accomplishments […] the
Caspian pipeline agreement, which I believe, 30 years from now, you'll all look back on as one of
the most important things that happened this year”. H. KAZAZ, Clinton's Proudest Achievement
This Year Is Caspian Pipeline Agreement, in «Turkish Daily News», 11 December 1999.
77
Ö.Z. OKTAV, American Policies Towards the Caspian Sea and The Baku-Tbilisi-Ceyhan
Pipeline, in «Perceptions», 10, 2005, 1, pp. 27-28.
78
N. DEVLET, Turkey’s Energy Policy in the Next Decade, in «Perceptions», 9, 2004/2005, 4, p.
76.
79
Ibidem, p. 75.
23
sicurezza. La progressiva trasformazione della Nato da alleanza difensiva in
meccanismo di cooperazione per la sicurezza e la stabilità dell’area eurasiatica80
coinvolse infatti, sin dal principio, le repubbliche del Transcaucaso. Il summit di
Bruxelles del gennaio 1994 costituì in questo quadro un fondamentale spartiacque,
nella misura in cui, attraverso il lancio della Partnership for Peace (Pfp), veniva
offerto agli Sni un primo canale istituzionale di cooperazione bilaterale con
l’Alleanza Atlantica finalizzato “to develop, over the longer term, forces that are
better able to operate with those of the members”81. Obiettivo, questo, tanto più
significativo se letto alla luce della contemporanea approvazione del Combined
Joint Task Force Concept, designato a fornire all’Alleanza uno strumento flessibile
per operazioni di peacekeeping aperte alla partecipazione di stati non membri82.
Georgia e Azerbaigian siglavano il Pfp Framework Document rispettivamente nel
marzo e maggio del 1994, seguiti dalla Armenia in ottobre.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica non aveva rappresentato, per la Turchia,
una diminuzione della percezione di minaccia proveniente da nord-est che, al
contrario, non poté che essere accentuata dal successo con il quale, tra il 1993 e il
1994, la Russia era riuscita a riportare Georgia e Armenia nella propria orbita
militare. Non stupisce dunque che la Turchia fosse tra i promotori della Pfp83, e
che ne sfruttasse a fondo le potenzialità di cooperazione regionale84, assumendo il
ruolo di principale punto di collegamento tra la Nato e il Transcaucaso. In questo
senso, ad esempio, può essere letta la proposta turca, espressa al summit di Sintra
del maggio 1997, per l’apertura ad Ankara di un Pfp Training Center. Il centro,
inaugurato nel successivo giugno 1998 e finalizzato “to provide qualitative
training and education support to partners in accordance with NATO and Pfp
general principles and interoperability objectives”85, dava la misura dell’impegno
turco alla cooperazione regionale per la sicurezza. Stando ai dati forniti dal centro,
80
W. CHRISTOPHER - W.J. PERRY, NATO’s True Mission, in «New York Times», 21 October
1997.
81
Ulteriori obiettivi del programma, espressamente rivolto a colmare il vuoto di sicurezza
determinatosi, con la caduta dell’Unione Sovietica, nello scacchiere eurasiatico, erano “to
facilitate transparency in national defence planning and budgeting processes; to ensure
democratic control of defence forces; to maintain the capability and readiness to contribute to
operations under the authority of the United Nations and/or the responsibility of the OSCE; to
develop cooperative military relations with NATO, for the purposes of joint planning, training and
exercises, in order to strengthen ability of Pfp participants to undertake mission in the field of
peacekeeping, search and rescue, humanitarian operations, and others as may subsequently be
agreed”. NORTH ATLANTIC TREATY ORGANISATION, NATO Handbook, Bruxelles, 2001,
p. 68.
82
Ibidem, pp. 253-255.
83
Y. İNAN - İ. YUSUF, Partnership For Peace, in «Perceptions», 4, 1999, 2.
84
In questa prospettiva, la Turchia beneficiava peraltro della presenza, in Georgia e Azerbaigian,
di propri attachés militari che, al contrario, Washington nominerà solo nella seconda metà degli
anni ’90. Nella prima fase di sviluppo della Pfp, la Turchia giocò un ruolo quasi esclusivo
nell’approntare gli accordi logistici necessari al suo sviluppo.
85
PARTNERSHIP
FOR
PEACE
TRAINING
CENTER,
Our
Mission,
<http://www.bioem.tsk.mil.tr>.
24
tra le venti nazionalità sino a oggi fruitrici dei corsi di addestramento, i militari
azeri sono stati secondi solo a quelli provenienti dall’Ucraina, mentre i georgiani
quarti86. L’interoperabilità dei contingenti Nato e di quelli azero-georgiani veniva
poi propugnata attraverso le esercitazioni militari cui, a partire dal 1997, presero
parte contingenti azeri e georgiani, sempre al fianco di quelli turchi.
Lungi dall’esaurirsi con i programmi attuati sotto l’egida Nato, l’impegno di
Ankara rispetto all’ammodernamento e organizzazione degli apparati militari di
Azerbaigian e Georgia, costituì una parte essenziale della profonda cooperazione
bilaterale inaugurata, tra il 1996 e il 1997, dalla Turchia. Dopo un primo accordo di
cooperazione tecnico-scientifica siglato nel 1996 tra il Ministero della Difesa azero
e il Capo di Stato Maggiore turco87, nel maggio 1997, in occasione di una visita ad
Ankara di Aliyev, i due paesi approfondivano la misura della cooperazione.
Nell’occasione veniva infatti siglata una dichiarazione sulla Deepened Strategic
Cooperation che, benché segretata nel contenuto, impegnava Turchia e
Azerbaigian, secondo il Turkish Daily News, “[to] help each other within the
context of their strategic partnership using methods foreseen by the United Nations
in the event that their sovereignty, territorial integrity, and the inviolability of their
borders are endangered”88. Anche nei confronti della Georgia, l’avvio della
cooperazione militare fu segnato, nell’estate 1996, dall’iniziativa dello Stato
Maggiore, che si accordava per l’addestramento militare dell’esercito e per la
predisposizione di esercitazioni congiunte. Ulteriori accordi di addestramento e
assistenza finanziaria e tecnologica venivano siglati nel settembre 1997, a seguito
della visita di Demirel a Tbilisi, nel giugno 1998 e nel marzo 199989.
Complessivamente, tra il 1997 e il giugno del 2005 – data della firma dell’ultimo
accordo per la sicurezza – Ankara ha sostenuto la modernizzazione delle forze
armate georgiane con un impegno finanziario pari a 37 milioni di dollari90.
Tra i fattori che hanno contribuito al lancio della cooperazione militare tra la
Turchia e i suoi partner trancaucasici, un ruolo di primo piano ha di certo svolto la
comune volontà di controbilanciare la pressione russa sull’area. Una necessità,
86
Va peraltro rimarcato come il totale dei militari provenienti dalle 10 repubbliche dell’ex fianco
meridionale sovietico – dalla Moldova sino al Tagikistan – abbia costituito l’80% sul totale dei
militari addestrati sotto l’egida della Pfp. TURKISH PFP TRAINING CENTER, About the
Center, <http://www.bioem.tsk.mil.tr>.
87
Lo Stato Maggiore turco era stato tradizionalmente in prima linea nel sostenere la necessità di
una più stretta collaborazione militare tra Turchia e Azerbaigian. L’allora Capo di Stato Maggiore,
Güreş, era stato il primo rappresentante delle istituzioni turche a visitare Baku – un mese prima
che l’Azerbaigian venisse ufficialmente riconosciuto. Logico presupporre inoltre, nonostante le
smentite ufficiali, che allo Stato Maggiore vada ascritta la paternità dell’accordo in base al quale,
nel 1992, un centinaio di ex-ufficiali turchi arrivavano in Azerbaigian in qualità di consiglieri
militari – per essere poi espulsi in conseguenza del riavvicinamento di Aliyev a Mosca.
88
Cit. in G.E. HOWARD, NATO and the Caucasus: The Caspian Axis, in S.J. BLANK (ed.),
NATO After Enlargement: New Challenges, New Missions, New Forces, Carlisle, 1998, p. 177.
89
J. FEINBERG, The Armed Forces in Georgia, in «Center for Defense Information Monograph»,
March 1999, p. 28.
90
D. LYNCH, Why Georgia Matters, in «Chaillot Papers», 2006, 86, p. 58.
25
questa, tanto più avvertita in relazione ai contemporanei sforzi di Mosca volti a
ottenere una favorevole revisione dei tetti imposti dal trattato sulle Forze
Convenzionali in Europa (1990) ai contingenti dispiegabili nella flank zone del
Caucaso91. Per la Georgia, la presa di distanza da Mosca si concretava
principalmente nella possibilità di assumere direttamente la responsabilità del
pattugliamento dei propri confini e delle acque territoriali nel Mar Nero. In questa
prospettiva, dal 1996 la Turchia – assieme a Germania, Stati Uniti e Ucraina –
lanciava un programma di addestramento di truppe di frontiera, che dall’estate
1999, a seguito del ritiro russo, divenivano operative sul confine turco-georgiano
in Agiaria. Parallelamente, con Stati Uniti e Gran Bretagna, la Turchia assumeva
l’onere di dotare Tbilisi di una marina militare in grado di assicurare un
pattugliamento costiero sino ad allora esclusiva responsabilità delle imbarcazioni
russe92. In questa prospettiva, Ankara cedeva alla Georgia una delle 17
imbarcazioni che avrebbero costituito la base della marina e organizzava
contestualmente un’esercitazione navale congiunta, la “Kavkazskaya Amazoni98”, nel maggio 199893. A partire dal luglio successivo, la marina georgiana
iniziava dunque la progressiva sostituzione di quella russa.
Allo stesso modo, per l’Azerbaigian, la cooperazione militare con la Turchia – il
cui esercito era numericamente secondo, in ambito Nato, solo a quello
statunitense – rappresentava anzitutto un contrappeso alla crescente cooperazione
russo-armena. Non è un caso, in questo senso, che la Deepened Strategic
Cooperation turco-azera venisse lanciata a breve distanza rispetto all’emergere
dello scandalo del “Yerevangate”, legato alla rivelazione del trasferimento di
armamenti russi all’Armenia per un valore superiore al miliardo di dollari, nel
periodo 1994-199694.
Se è innegabile, come sostiene Köknar, che “having established a sophisticated
combination of military, law enforcement, and intelligence relationship with
91
Mosca richiedeva inoltre che dal computo totale delle forza dispiegate venissero esclusi i
contingenti impegnati in attività di peacekeeping. Per l’analisi delle problematiche che
emergevano rispetto alla applicazione e alla revisione del Trattato CFE, R.A. FALKENRATH,
The CFE Flank Dispute: Waiting in the Wings, in «International Security», 19, 1995, 4; G.
AYBET, The CFE Treaty: The Way Forward For Conventional Arms Control In Europe, in
«Perceptions», 3, 1996, 4; R. HUBER, NATO Enlargement and CFE Ceilings: A Preliminary
Analysis in Anticipation of a Russian Proposal, in «European Security», 5, 1996, 3.
92
A rendere l’esigenza di cooperazione navale con Tbilisi più pressante, l’incidente occorso nel
marzo 1996, allorché una nave militare russa apriva il fuoco su un peschereccio turco in acque
territoriali georgiane, causando un pesante incidente diplomatico tra Ankara e Mosca. G.E.
HOWARD, NATO and the Caucasus: The Caspian Axis, cit., p. 185.
93
J. FEINBERG, The Armed Forces in Georgia, cit., pp. 27-28.
94
“The massive transfer of arms also included the gift of over 32 Scud ballistic missiles and 8
associated launchers to the Armenian military. Armenian military personnel even received
extensive training in the use of the missiles at the Russian testing range of Kapustin Yar in mid1996. […] Moreover, the transfer of nearly 100 sophisticated T-72 tanks and 50 armored vehicles
greatly augmented the military muscle of the Armenian-backed forces of Nagorno-Karabakh”.
G.E. HOWARD, NATO and the Caucasus: The Caspian Axis, cit., p. 196.
26
Azerbaijan and Georgia, [Turkey] has been successful in exerting its power to
offset […] other competing influences”95, non si può non riconoscere, tuttavia,
come tale “combinazione” abbia determinato una serie di ricadute negative sulla
più ampia sicurezza dell’area transcaucasica. La stessa centralità assunta dalla
Turchia rispetto alle iniziative regionali della Nato, ad esempio, finiva per pesare
sulla volontà di collaborazione dell’Armenia, spinta più risolutamente a cercare
altrove garanzie di sicurezza e sostegno finanziario-tecnologico. Se il Trattato di
Amicizia, Collaborazione e Mutua Assistenza siglato con la Russia nell’agosto
1997 confermava una volta di più la centralità rivestita da Mosca nella politica
estera armena, Erevan inaugurava contemporaneamente la cooperazione alla
sicurezza con la Grecia96. In questo quadro, i tre accordi militari greco-armeni
siglati tra il 1996 e il 1997 – assieme al lancio di una cooperazione trilaterale tra
Grecia, Armenia e Iran97 – fomentarono i timori di “accerchiamento”,
tradizionalmente parte integrante delle politiche di sicurezza di Ankara98. Il
processo di polarizzazione degli schieramenti regionali ebbe modo di
manifestarsi, in tutta evidenza, nel corso del 1999. Lo scoppio della crisi
kosovara, sullo sfondo della ridefinizione del Concetto Strategico dell’Alleanza
Atlantica, vide Georgia e Azerbaigian prendere, da un lato, le distanze dalla
condanna della Csi dell’intervento Nato e, dall’altro, dispiegare propri contingenti
nel Turkbat, il battaglione turco di peacekeeping di stanza in Kosovo nell’ambito
della Kfor99. Parallelamente essi dichiaravano inoltre la propria intenzione di non
rinnovare il Trattato sulla Sicurezza Collettiva della Csi – al contrario
dell’Armenia che lo sottoscriveva, assieme a Russia, Bielorussia, Kazachstan,
Kirghizistan e Tagikistan in aprile.
La progressiva connotazione di “gioco a somma zero” che la cooperazione alla
sicurezza andò assumendo nella regione transcaucasica nel corso della seconda
metà degli anni ’90, non poté d’altro canto che influire negativamente sulla stessa
efficacia della azione di Ankara. Non stupisce infatti che, su questo sfondo, la
proposta avanzata dalla Turchia nel luglio 1998 per la creazione, in ambito Pfp, di
95
A.M. KÖKNAR, Turkey and the Caucasus: Security and Military Challenges, in M. RADU
(ed.), Dangerous Neighborhood: Contemporary Issues in Turkey’s Foreign Relations, cit., p. 93.
96
Significativamente, Atene diveniva al contempo il canale privilegiato per la cooperazione tra
l’Armenia e la Nato, come dimostrato dalla partecipazione di contingenti armeni alla esercitazione
militare Prometheus-97 organizzata e ospitata dalla Grecia nel dicembre 1997.
97
Nonostante il meccanismo trilaterale avesse una connotazione principalmente economica,
l’incontro dei ministri degli esteri dei tre paesi a Teheran nel settembre 1998 sollevò notevoli
preoccupazioni ad Ankara. Riferendosi all’incontro, il Ministro degli esteri turco Cem arrivò ad
accusare la Grecia di “recruit Muslim soldiers to take part in the new Crusades”. Cit. in P.
ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p. 171.
98
Il riferimento va qui a quella che viene comunemente indicata come la “sindrome di Sèvres”.
Richiamando l’omonimo trattato del 1920, base della spartizione del territorio turco tra le grandi
potenze, si sottolinea la costante percezione di minaccia alla integrità territoriale turca proveniente
dall’azione congiunta degli avversari regionali di Ankara.
99
G. WINROW, Turkey and the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., p. 25;
A.M. KÖKNAR, Turkey and the Caucasus: Security and Military Challenges, CIT., p. 95.
27
una forza di peacekeeping Nato per il Caucaso, fosse destinata al fallimento. Un
fallimento, quest’ultimo, tanto più rilevante in ragione della primaria importanza
che Georgia e Azerbaigian avevano attribuito a tale possibilità sin dall’inizio della
collaborazione con la Nato.
Che la Turchia fosse consapevole dei rischi che la polarizzazione degli schieramenti
regionali portava con sé, risulta evidente dalla considerazione che, anche in questa
fase, il maggior attivismo di Ankara nel Transcaucaso non si traduceva nel
rovesciamento della tradizionale cautela della propria politica estera. Non è un caso,
in questo senso, che la Turchia, non solo non entrasse in alleanze militari con
Georgia e/o Azerbaigian100, ma evitasse contemporaneamente di assumere
iniziative autonome di peacekeeping101 o di avvicinarsi a quelle formazioni
regionali, quali il Guuam, percepite come schieramenti regionali anti-russi102.
Secondo la stessa logica, mostrava inoltre tutta la propria ritrosia a lanciare progetti
di pattugliamento congiunti turco-georgiano-azeri per garantire la sicurezza delle
rotte petrolifere che attraversavano – o avrebbero attraversato – i rispettivi
territori, lambendo zone di conflitto o, nel caso della Turchia, soggette alle attività
terroristiche del Pkk103.
100
Baku in particolare, in risposta alla saldatura militare dell’asse russo-armeno, sembra abbia
insistito sulla possibilità di un patto di mutua difesa in almeno due occasioni. La prima di queste
risale al maggio 1997, allorché, a seguito dello “Yerevangate”, dopo intensi colloqui con lo Stato
Maggiore turco, Aliyev riusciva a ottenere solo il blando impegno contenuto nella dichiarazione
sulla Deepened Strategic Cooperation (G.E. HOWARD, NATO and the Caucasus: The Caspian
Axis, cit., pp. 176-177). Ancora, in occasione della visita ad Ankara del febbraio 1999, Aliyev
richiedeva senza successo un trattato turco-azero ricalcato sul patto di Amicizia Collaborazione e
Mutua Assistenza russo-armeno del 1997 (D.B. SEZER, Turkish-Russian Relations: From
Adversity to ‘Virtual Rapprochement’, in A. MAKOVSKY - S. SAYARI, Turkey’s New World, p.
100). Parallelamente il governo turco smentiva la possibilità, adombrata dal Consigliere per la
Politica Estera azero Gülüzade, dell’apertura di una base militare turca in Azerbaigian (G.
WINROW, Turkey and the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., pp. 24-25).
101
In questo senso va letto il rifiuto opposto da Ankara, nel dicembre 2001, alla proposta
georgiana di sostituzione delle truppe di peacekeeping russe schierate sul confine tra la Georgia e
l’Abkhazia. V. KORKMAZ, Dynamics of Turkish Foreign Policy Towards South Caucasus;
Continuities and Changes, in N. ATEŞOĞLU GÜNEY - F. AKSU (eds.), Proceedings of the
International Conference on the Prospects for Cooperation and Stability in the Caucasus, March
1st, 2005, İstanbul, İstanbul 2005, p. 29.
102
Il favore con il quale buona parte degli analisti statunitensi guardava alla possibilità
dell’ingresso turco nel gruppo consultivo del Guuam, è ben dimostrato dall’auspicio espresso in tal
senso da Brzezinski nel settembre 1999. RFE/RL Newsline, 3, 1999, 183.
103
Un accordo a tre in tal senso veniva siglato, in un mutato contesto regionale, nel successivo
2002. I. TORBAKOV, A New Security Arrangement Takes Shape In The South Caucasus, in
«Eurasia Insight», 24 January 2002.
28
3. Il processo di revisione della politica transcaucasica turca (2000-)
Per quanto la linea pragmatica di politica transcaucasica turca avesse fatto
registrare, tra il 1995 e il 2000, una serie di rilevanti successi sul piano della
cooperazione militare ed energetica, essa non era tuttavia riuscita a offrire a Georgia
e Azerbaigian concrete alternative per risolvere quelle problematiche che ancora ne
inficiavano il processo di state building. Il congelamento dei rispettivi conflitti
interni, associato a una cooperazione energetica che aveva mancato di assicurare
quei veloci e cospicui dividendi economici che essi avevano auspicato, finirono per
mettere in luce le contraddizioni insite nella politica regionale turca, sullo sfondo
dell’allineamento a quella statunitense. Contraddizioni legate a una politica estera
che, pur perseguendo una linea di basso profilo, aveva finito tuttavia per divenire
parte integrante di un progressivo processo di polarizzazione degli schieramenti
regionali. Contraddizioni infine che, rese più evidenti dalla più assertiva politica
transcaucasica inaugurata dalla Russia di Vladimir Putin tra il 1999 e il 2000, fecero
registrare un netto arretramento delle posizioni conquistate da Ankara nell’area,
imponendo una ridefinizione degli strumenti di cooperazione verso l’area.
3.1 La nuova strategia regionale della Turchia
La dissoluzione dell’Unione Sovietica non aveva comportato, come detto, una
ridefinizione del concetto strategico alla base della politica estera turca. La
percezione di una minaccia proveniente dalla Russia aveva così determinato
buona parte delle scelte compiute da Ankara verso il Transcaucaso nel corso degli
anni Novanta, tanto sul piano energetico quanto della sicurezza. Tra la fine degli
anni Novanta e l’inizio degli anni 2000, tuttavia, maturava ad Ankara un ampio
dibattito sulla revisione del fondamento del proprio concetto strategico104.
Incentivato in larga misura dalla prospettiva di apertura dei negoziati per
l’ingresso nell’Ue – a seguito della decisione del Summit di Helsinki del dicembre
1999 – e favorito dal clima di più ampia cooperazione regionale determinatosi
all’indomani dell’11 settembre, esso si traduceva in un cambio di prospettiva
riguardo l’azione di politica regionale. Una azione che, pur mantenendo ferma la
cooperazione tradizionalmente perseguita sotto l’egida delle organizzazioni
regionali di cui era parte – Nato e Osce in primis – poneva rinnovata enfasi sulla
collaborazione multilaterale e sulla necessità di coinvolgimento di tutti gli attori
transcaucasici nel tentativo di colmare quel vuoto di sicurezza che ancora minava
la stabilità dell’area.
In questa prospettiva, e sullo sfondo di un deciso riavvicinamento di Ankara a
Mosca105, Demirel si faceva promotore, nel gennaio del 2000, di un Patto di
Stabilità per il Caucaso modellato su quello già approvato per i Balcani nel luglio
104
Si veda, a riguardo, P. BILGIN, Turkey’s Changing Security Discourses: The Challenge of
Globalisation, in «European Journal of Political Research», 44, 2005, 1.
105
Sul punto, F. HILL - O. TASPINAR, Russia and Turkey in the Caucasus: Moving Together to
Preserve the Status Quo?, in «IFRI Russie Nei Visions», 2006, 8.
29
1999106. L’accordo, proposto in occasione di una visita a Tbilisi del 14 e 15
gennaio, era rivolto alla costituzione di un meccanismo deputato, in linea con le
norme e i valori Osce, alla più ampia gestione dei conflitti ancora aperti nel
Transcaucaso, e alla successiva predisposizione di uno strumento di diplomazia
preventiva. Il Patto, aperto alla partecipazione di tutti i membri Osce, veniva
espressamente proposto alle tre repubbliche transcaucasiche e alla Russia107.
Il contemporaneo fallimento del negoziato di pace di Davon tra Armenia e
Azerbaigian per l’Alto Karabakh, tuttavia, limitava sul nascere le possibilità di
successo dell’iniziativa turca. Inoltre, rimarcando una volta di più la limitata
libertà d’azione nel Transcaucaso che la partnership turco-azera concedeva ad
Ankara, Erevan e Mosca condizionavano la firma di un accordo sul Caucaso alla
normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia.
L’accento posto da Ankara sullo sviluppo della cooperazione multilaterale nel
Transcaucaso si riflesse inoltre, a partire dal 1999, nella rinnovata attenzione
verso quella Bsec che costituiva l’unica struttura regionale comprendente, oltre
alla Turchia, le repubbliche transcaucasiche e la Russia. Tra il 1999 e il 2001, la
Bsec si dotava infatti di uno statuto e di un ambizioso piano d’azione economica,
enfatizzando “the importance of joint projects which would bring in tangibile
benefits and stimulate internal reforms and integration of national economies in
the region”108. Significativamente inoltre, se fino al 1999 la Bsec aveva
manifestato l’intenzione di sostenere la pace e la stabilità regionale “by applying
the pragmatic concept that economic cooperation is an effective confidencebuilding measure and serves as a pillar in the new European architecture”109, con
la dichiarazione rilasciata a margine del Decennial Summit di Istanbul del giugno
2002, si sottolineava l’intenzione di “to consider ways and means of enhancing
contribution of the Bsec to strengthening security and stability in the region”110.
Che la cooperazione nel bacino del Mar Nero assumesse una rinnovata centralità
nel quadro della politica transcaucasica di Ankara, è ulteriormente dimostrato
dalla contemporanea ripresa di un progetto, datato 1998, per la cooperazione
navale alla sicurezza dell’area111. Prendeva così forma il Black Sea Naval
Cooperation Task Group (Blackseafor). Formalizzato a Istanbul nell’aprile 2001 a
opera dei sei stati rivieraschi del Mar Nero, il meccanismo, con l’obiettivo di
106
S. GULTASLI, Demirel Suggests Caucasus Stability Pact, in «Turkish Daily News», 16
January 2000.
107
G. WINROW, Turkey and the Caucasus: Domestic Interests and Security Concerns, cit., pp.
60-61.
108
M. AYDIN, Europe’s Next Shore: The Black Sea Region after EU Enlargement, in «ISS
Occasional Papers», 2004, 53, p. 22.
109
BLACK SEA ECONOMIC COOPERATION, Istanbul Summit Declaration, Istanbul, 17
November 1999, <http://www.bsec-organization.org>.
110
REPUBLIC OF TURKEY, MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS, The Text of the Istanbul
Decennial Summit Declaration (25 June, 2002), <http://www.mfa.gov.tr>.
111
H. ULUSOY, A New Formation in the Black Sea: BLACKSEAFOR, in «Perceptions», 4,
2001/2002, 4.
30
approfondire la cooperazione tra i suoi partecipanti e contribuire alla stabilità
dell’area, veniva finalizzato al compimento di missioni di salvataggio, umanitarie,
di sminamento e di protezione ambientale nel bacino112. Su iniziativa turca,
inoltre, la Blackseafor lanciava, a partire dall’incontro dei Ministri degli Esteri
tenutosi ad Ankara nel gennaio 2004, un forum di consultazione politica, nel cui
ambito l’organizzazione aggiungeva alle proprie finalità la cooperazione
antiterroristica e contro il traffico di armi di distruzione di massa113. L’iniziativa,
oltre a segnare un’ulteriore saldatura della cooperazione russo-turca, marcava per
la prima volta, la presa di distanza di Ankara dalla politica regionale di sicurezza
propugnata dagli Stati Uniti. Evidente risultava infatti la concorrenzialità del
progetto rispetto all’operazione navale Nato Active Endeavour, lanciata nel
Mediterraneo con le stesse finalità a partire dall’ottobre 2001, e suscettibile, nei
programmi statunitensi, di estendersi al bacino del Mar Nero114. Come
sottolineato da un recente hearing innanzi alla Commissione del Senato
statunitense per le Relazioni Estere, l’opposizione turca a una simile eventualità
sembrava fondarsi, prima ancora che sulla volontà di non aprire il passaggio
attraverso gli Stretti a unità navali non appartenenti a stati rivieraschi, sul
proposito di evitare nuove linee di polarizzazione nello spazio transcaucasico115.
La presa di distanza dalla politica transcaucasica di Washington era peraltro già
emersa, sebbene in maniera più latente, rispetto alla freddezza con la quale
Ankara aveva accolto la “rivoluzione delle rose” georgiana, nel novembre 2003.
L’enfasi posta dalla Casa Bianca sul processo di democratizzazione del
Transcaucaso – sullo sfondo del più generale impegno a favore della
democratizzazione nello spazio del Grande Medio Oriente – era passibile, agli
occhi di Ankara, di tradursi in un rinnovato impegno a favore della causa
dell’autodeterminazione dei popoli. Principio che, prima ancora che contraddire le
linee guida della politica regionale di Ankara, veniva percepito come minaccia
all’integrità territoriale turca116 – tanto più in connessione alla rinascita
dell’insorgenza curda interna e alle prospettive di partizione dell’Iraq, oltre che,
naturalmente, alle rivendicazioni armene sul territorio anatolico.
112
BLACKSEAFOR, Agreement for the Establishment of Black Sea Naval Cooperation Task
Group, <http://www.blackseafor.org>.
113
Si vedano, in questo senso, le dichiarazioni di Ankara (19 gennaio 2004), Mosca (7 luglio
2004) e Kiev (31 marzo 2005), in REPUBLIC OF TURKEY, MINISTRY OF FOREIGN
AFFAIRS, BLACKSEAFOR, <http://www.mfa.gov.tr>.
114
Russia agrees to join Turkish security operation in Black Sea, in «RIA Novosti», 29 June 2006.
D’altro canto l’opposizione turca all’estensione del progetto al Mar Nero si è già manifestata,
bloccandolo, nel giugno 2004. B.P. JACKSON, The Future of Democracy in the Black Sea Area,
in «Hearing before the Committee on Foreign Relations, United States Senate», 8 March 2005,
p.4, <http://www.foreign.senate.gov>.
115
Z. BARAN, The Future of Democracy in the Black Sea Area, in «Hearing before the
Committee on Foreign Relations, United States Senate», 8 March 2005, pp. 9-10, <http://
www.foreign.senate.gov>.
116
Z. BARAN, The Future of Democracy in the Black Sea Area, cit.
31
Il tentativo turco di propugnare un meccanismo regionale multilaterale per la “soft
security cooperation” è stato d’altro canto frutto di un più generale processo di
“europeizzazione” della politica estera turca, inteso come il “foreign policy
change at the national level originated by the adaptation pressures and the new
opportunities generated by the European integration process”117. La decisione del
Summit europeo di Helsinki di accordare alla Turchia lo status di candidato
all’ingresso nell’Ue, ha infatti costituito un elemento determinante sulla strada
della revisione della politica transcaucasica di Ankara. La cooperazione per la
lotta la terrorismo, alla diffusione e al traffico delle armi di distruzione di massa,
così come al traffico internazionale di stupefacenti, è in questo senso pienamente
in linea con la strategia di sicurezza europea adottata nel dicembre 2003118.
La prospettiva di apertura dei negoziati per l’ingresso nell’Unione imponeva
peraltro al governo turco di affrontare i nodi irrisolti della politica estera di
Ankara, di risolvere cioè quei contenziosi regionali che ne mettevano a rischio il
cammino europeo. La centralità rivestita, per il governo Erdoğan, dal vettore
europeo della politica estera si traduceva quindi nella necessità di riaprire, sul
versante transcaucasico, la datata e insidiosa questione della normalizzazione dei
rapporti con l’Armenia119. Il summit Nato di Madrid, del giugno 2003, costituiva
in questo senso un primo importante spartiacque. Nell’occasione infatti, a margine
di un incontro separato tra il Ministro degli Esteri armeno Oskanian e il turco Gül,
quest’ultimo dichiarava l’intenzione di perseguire la riconciliazione dei due paesi
“with renewed energy”120. Condizionando la normalizzazione dei rapporti
esclusivamente alla fine delle rivendicazioni armene sull’Anatolia orientale, Gül,
nel tentativo di svincolare i rapporti turchi con l’Armenia da quelli con
l’Azerbaigian, modificava considerevolmente la posizione tenuta dalla Turchia
nel precedente decennio. Nonostante una serie di incontri successivi, tra l’estate
del 2003 e il 2004, le possibilità di soluzione del contenzioso sono andate tuttavia
progressivamente assottigliandosi. Un primo rilevante ostacolo è stato
rappresentato dalla dura reazione azera alla prospettiva di riapertura delle frontiere
turco-armene che, dall’angolazione di Baku, si sarebbe tradotta in un duro colpo
117
J. VAQUER, cit. in G. WINROW, Turkey’s Changing Regional Role and Its Implications, in
«Paper Presented at the Conference “Europeanization and Transformation: Turkey in the PostHelsinki Era”», Istanbul, 2-3 December 2005, p. 4, <http:// www.ces.bilgi.edu.tr>.
118
M. EMERSON - N. TOCCI, Turkey as a Bridgehead and Spearhead: Integrating EU and
Turkish Foreign Policy, in «CEPS EU-Turkey Working Papers», 2004, 1, p.4.
119
La collegata possibilità di riapertura del confine turco-armeno, risultava peraltro importante per
contrastare il progressivo impoverimento dei distretti orientali di Kars, Van e Ardahan. Una
necessità tanto più avvertita ad Ankara in connessione alla riduzione dello squilibrio economico
regionale che costituisce un non secondario problema sulla strada dell’ingresso turco nell’Unione.
Sulle implicazioni economiche della chiusura della frontiera, B. GÜLTEKIN, The Stakes of the
Opening of Turkish-Armenian Border: The Cross-Border Contacts between Armenia and Turkey,
in «French Institute of Anatolian Studies Working Paper», 2002), <http://www.tabdc.org>.
120
H. KHACHATRIAN, Olive Branch from Ankara Raise Hopes and Challenges in Armenia, in
«Eurasia Insight», 24 June 2003.
32
al proprio potere negoziale rispetto all’Alto Karabakh121. D’altro canto, il dibattito
interno alla Turchia sulla questione armena si è andato progressivamente
intrecciando con quello relativo alla effettiva desiderabilità dell’ingresso
nell’Unione Europea, i cui sostenitori diminuirono notevolmente dopo lo
slittamento dei termini per l’apertura dei negoziati, previsti per il dicembre 2004.
Su questo sfondo, la ripresa della campagna internazionale per il riconoscimento
del genocidio armeno in occasione del suo novantennale (aprile 2005), le
connesse manifestazioni di solidarietà al popolo armeno provenienti dalle
principali capitali e dal Parlamento Europeo122, nonché le pressioni esercitate su
Ankara dalla Commissione Europea123, rinvigorivano la tradizionale “sindrome di
accerchiamento” diffusa in Turchia. La questione della normalizzazione dei
rapporti con l’Armenia finiva così per essere vittima del più ampio scontro tra il
riformismo del governo Erdoğan e il conservatorismo di buona parte dello spettro
politico e istituzionale turco, per il quale il cammino europeo imponeva
un’inaccettabile ridimensionamento delle garanzie di sicurezza nazionale.
Conclusione
Il Transcaucaso ha rappresentato, a partire dal 1991, un importante banco di prova
per la ridefinizione del ruolo internazionale e regionale della Turchia. Se il fallito
tentativo di proporsi agli Sni come modello di sviluppo era frutto, anzitutto, della
volontà di rifondare una valenza strategica internazionale post-guerra fredda, allo
stesso modo il pragmatico tentativo di bilanciare una più assertiva politica regionale
con il tradizionale legame con le organizzazioni euro-atlantiche, era in linea con
l’affermazione di una “good international citizenship”124. Del tentativo cioè di
presentarsi, agli occhi dei propri alleati internazionali, come affidabile attore
regionale, punto di riferimento centrale per attività multilaterali in paesi limitrofi o
culturalmente affini alla Turchia – dalla Georgia all’Azerbaigian, dalla Bosnia alla
Albania, dal Kosovo all’Afghanistan.
Una good international citizenship che nella seconda metà degli anni Novanta è
tuttavia rimasta vittima, nello spazio postsovietico, della eccessiva identificazione
della Turchia con le iniziative regionali di Washington che, favorendo la
polarizzazione di schieramenti contrapposti, hanno finito per minare le
121
F. ISMAILZADE, Azerbaijan Concerned by Possible Turkish-Armenian Normalization, in
«Eurasia Insight», 7 July 2003.
122
Il Parlamento Europeo, che ha riconosciuto il genocidio armeno nel 1987, apriva la seduta del
14 aprile con un minuto di silenzio a memoria delle sue vittime. Armenians Seek EU Platform for
Disputes with Turkey, in «Turkish Daily News», 15 April 2005.
123
In maggio, il rappresentante della Commissione Europea ad Ankara, Kretschmer, dopo aver
rimarcato le mancanze istituzionali e legislative che ancora ostacolavano il percorso della Turchia
verso l’Unione Europea, aggiungeva che “The Armenian issue is not a criterion for membership.
But it is an issue that Turkey needs to urgently face up to”. Kretschmer: Turkey Far from Meeting
EU Entry Conditions, in «Turkish Daily News», 7 May 2005.
124
P. ROBINS, Suits and Uniforms: Turkish Foreign Policy since the Cold War, cit., p.42.
33
fondamenta del tentativo turco di non lasciarsi catturare dalla competizione
regionale con l’Iran e, soprattutto, con la Russia. In questo senso, dunque, la
cooperazione con il Transcaucaso si va delineando oggi come frutto del tentativo
di propugnare una nuova politica regionale che, con una spiccata enfasi sul
multilateralismo e un rinnovato interesse alla cooperazione con Mosca, persegua
più risolutamente l’interesse nazionale turco.
Se la politica transcaucasica di Ankara è risultata centrale nel rifondare la valenza
strategica del paese rispetto ai propri partner occidentali, essa ha al contempo
rivestito un ruolo di primo piano anche sul piano interno. Essa ha infatti
rappresentato un terreno privilegiato di scontro e di sintesi per le diverse istanze
generate dal processo di democratizzazione aperto in Turchia nel corso degli anni
Novanta. La nuova dialettica inter-istituzionale, il rapporto della politica con la
società civile, il ruolo dell’iniziativa economica e culturale privata, sono tutte
questioni che si sono infatti intrecciate a doppio filo con la predisposizione della
politica verso il Transcaucaso.
Lungi dall’essersi concluso, il processo di ridefinizione del ruolo internazionale e
regionale di Ankara – e con esso la cornice nella quale sviluppare i rapporti con il
Transcaucaso – resta ancora aperto e incerto negli sbocchi. La prospettiva di
ingresso nell’Ue, così come la rinnovata attenzione che Bruxelles ha rivolto al
Caucaso a partire dal 2004, rappresentano elementi di potenziale rafforzamento e
stabilizzazione della politica regionale della Turchia, passibile di divenire l’unico
confine europeo terreste con il Transcaucaso. Molto dipenderà, in questo senso,
dalla capacità di entrambe le parti di armonizzare i propri interessi e le proprie
politiche nell’area, dalla capacità di Bruxelles di sostenere le iniziative regionali
turche – come, ad esempio, il Patto di Stabilità per il Caucaso – e, parallelamente,
di quella di Ankara di liberarsi dei legacci che ancora ne imbrigliano la politica
regionale – a partire dalla risoluzione di quella questione armena che continua a
rappresentare il principale ostacolo al superamento del deficit di sicurezza del
Transcaucaso.
34