I Frutti Del Vento

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I Frutti Del Vento
Nella prima metà del XIX secolo James e Sadie Goodenough giungono nella Palude Nera dell’Oh
dopo aver abbandonato la fattoria dei Goodenough nel Connecticut. Il padre di James, un vecch
scorbutico cui Sadie non è mai andata a genio, ha parlato chiaro un giorno: meglio che il su
secondogenito, e la sua giovane e troppo prolifica consorte, andassero a cercare fortuna altrov
all’ovest, magari, dove la terra abbonda.
La Palude Nera è una landa desolata: l’acqua puzza di marcio, il fango scuro si appiccica alla pelle
ai vestiti e la malaria d’estate si porta via sempre qualcuno. Anziché spingersi nella prateria dove
terra è buona e solida sotto i piedi, James Goodenough decide però di costruire la sua casa di legn
proprio nella Palude Nera, in riva al fiume Portage.
La legge dell’Ohio prevede che un colono possa fare sua la terra se riesce a piantarvi un frutteto
almeno cinquanta alberi. Una sfida irresistibile per James Goodenough che ama gli alberi più di og
altra cosa, poiché gli alberi durano e tutte le altre creature invece attraversano il mondo e se ne vann
in fretta. In quella terra perciò, dove gli acquitrini si alternano alla selva più fitta, James pianta e cu
poi con dedizione i suoi meli: un magnifico frutteto di cinque file di alberi col piccolo vivaio
disparte. Un frutteto che diventa la sua ossessione; la prova, ai suoi occhi, che la natura selvagg
della terra, con il suo groviglio di boschi e pantani, si può domare.
La malaria si porta via cinque dei dieci figli dei Goodenough, ma James non piange, scava la fossa e
seppellisce. Si fa invece cupo e silenzioso quando deve buttare giù un albero.
La moglie, Sadie, beve troppa acquavite e diventa troppo ciarliera quando John Chapman, l’uomo ch
procura i semi delle piante alle fattorie lungo il Portage, si ferma a cena. In quelle occasioni, James
vede con altri occhi: scorge il turgore dei seni sotto il vestito azzurro, i fianchi rotondi e so
nonostante i dieci figli. Ma poi non se ne cura.
Finché, un giorno, la natura selvaggia non della terra, ma di Sadie esplode e segna irrimediabilmen
il destino dei Goodenough nella Palude Nera, in primo luogo quello di Robert, il figlio dagli occ
d’ambra quieti e intelligenti, e della dolce e irresoluta Martha.
Romanzo che si iscrive nella tradizione della grande narrativa americana di frontiera, I frutti del ven
è un’opera in cui Tracy Chevalier penetra nel cuore arido, selvaggio e inaccessibile della natura
degli uomini, là dove crescono i frutti più ambiti e più dolci che sia dato cogliere.
Tracy Chevalier è nata a Washington. Nel 1984 si è trasferita in Inghilterra, dove ha lavorato a lung
come editor. Il suo primo romanzo è La Vergine azzurra (Neri Pozza, 2004, BEAT 2011, 2015). Co
La ragazza con l’orecchino di perla (Neri Pozza, 2000, 2013) ha ottenuto, nei numerosi paesi in cui
libro è apparso, un grandissimo successo di pubblico e di critica. Bestseller internazionali sono sta
anche i suoi romanzi successivi: Quando cadono gli angeli (Neri Pozza, 2002, BEAT 2012), La dam
e l’unicorno (Neri Pozza, 2003, BEAT 2014), L’innocenza (Neri Pozza 2007, 2015), Strane creatur
(Neri Pozza, 2009, 2014) e L’ultima fuggitiva (Neri Pozza, 2013, 2014). Il suo sito
www.tchevalier.com
I NARRATORI DELLE TAVOLE
DELLO STESSO AUTORE
La ragazza con l’orecchino di perla
La Vergine azzurra
L’innocenza
Quando cadono gli angeli
La dama e l’unicorno
Strane creature
L’ultima fuggitiva
TRACY CHEVALIER
I frutti del vento
traduzione dall’inglese di
Massimo Ortelio
Titolo originale:
At the Edge of the Orchard
© 2016 by Tracy Chevalier
© 2016 Neri Pozza Editore, Vicenza
www.neripozza.it
Edizione digitale: febbraio 2016
ISBN 978-88-545-1257-3
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
A Claire e Pascale,
che trovino la loro strada nel mondo
Allo stesso modo il succo della mela è di grande giovamento nella cura della melanconia,
poiché aiuta a suscitare il buon umore, scacciando le afflizioni.
John Parkinson, Paradisi in Sole Paradisus Terrestris, 1629
Un pellegrinaggio a codesti santuari ombrosi offre la più grande consolazione allo spirito
piegato dai patimenti o afflitto dalle preoccupazioni. Guarda le cime sempreverdi degli alberi
che resistono alla tempesta da oltre tremila anni!... Contemplando ammirati una tale
meraviglia, sentiamo svanire in noi il tumulto della vita terrena.
Edward Vischer, The Mammoth Tree Grove,
Calaveras County, California, 1862
Vai all’Ovest, giovane uomo, e cresci con il paese.
John Babsone Lane Soule, 1851, e Horace Greeley, 1865
1.
Palude Nera, Ohio
Primavera 1838
Stavano di nuovo litigando per colpa delle mele. Lui voleva piantare quelle dolci, buone da mangiar
lei le asprigne per farci il sidro. Erano così abituati ai litigi che ciascuno dei due recitava la parte
memoria, senza neppure badare alle parole dell’altro: le avevano sentite fin troppe volte.
A rendere diverso l’ennesimo bisticcio non era la stanchezza di James Goodenough: lui era sempr
stanco. Un uomo doveva ammazzarsi di fatica per sbarcare il lunario nella Palude Nera. E neppure
postumi della sbronza di Sadie Goodenough erano una novità. La differenza stava nel fatto che
giorno prima John Chapman aveva cenato con loro e Sadie era rimasta sveglia fino a tardi p
ascoltarlo, alimentando il fuoco con manciate di pigne. Anche l’ospite aveva il fuoco negli occhi
forse non soltanto lì: sembrava sul punto di saltarle addosso, come la fiamma che divampa fra
riccioli di segatura. Sadie era più allegra, vivace e sicura di sé dopo le visite di John Chapman.
Per quanto esausto, James non era riuscito a prendere sonno con la voce di John Chapman ch
ronzava in casa, insistente come una zanzara. Avrebbe potuto andare a dormire di sopra, con i ragazz
ma non se l’era sentita di lasciare vuoto il letto matrimoniale di fronte al focolare: troppo invitan
per quei due! Dopo vent’anni di matrimonio, il suo desiderio per Sadie si era affievolito, e l’acquavi
aveva tirato fuori il lato peggiore della moglie, ma James la vedeva con altri occhi quando c’era Joh
Chapman: il turgore dei seni sotto il vestito azzurro, i fianchi rotondi e sodi nonostante i dieci figl
Chissà se anche John Chapman notava le sue fattezze procaci. Pur avendo passato i sessanta e
dispetto dei numerosi fili d’argento fra i capelli arruffati, l’uomo appariva vigoroso. Meglio no
metterlo alla prova...
John Chapman solcava i fiumi dell’Ohio in canoa, vendendo piante di melo ai coloni. La prim
volta che avevano ricevuto una sua visita, i Goodenough erano appena giunti nella Palude Nera, e
mercante non aveva mancato di rammentare loro che, se volevano diventare i legittimi proprieta
dell’appezzamento, dovevano piantarci almeno cinquanta meli. Agli occhi della legge, un fruttet
costituiva la prova che il colono era seriamente intenzionato a rimanere. James gli aveva subi
comprato venti alberelli.
Non che desse la colpa delle sue disgrazie a John Chapman, tuttavia faceva una smorfia quando g
ricordavano quel primo acquisto. Si trattava di scegliere fra pianticelle di un anno e alberelli di tr
questi ultimi costavano il triplo rispetto alle pianticelle, ma avrebbero dato frutto assai prima. S
fosse stato saggio – e James era un uomo di grande buon senso – avrebbe comprato cinquan
pianticelle creando un vivaio e questo gli avrebbe consentito di disboscare il terreno con calm
facendo spazio al frutteto. Ma avrebbe dovuto aspettare ben cinque anni per gustare la prima mela,
James Goodenough non se l’era sentita, non in una landa desolata come la Palude Nera, dove l’acqu
puzzava di marcio e il fango scuro si appiccicava alla pelle e ai vestiti e non voleva saperne di and
via. Ci voleva il buon sapore delle mele per addolcire l’amarezza di vivere in un posto così. Avev
deciso di comprare gli alberelli perché avrebbero fruttato prima, anche se non disponeva della somm
necessaria: pur di avere quel frutteto si era accollato un debito che a nove anni di distanza non avev
ancora finito di pagare.
«Gli alberi sono miei!» ripeté Sadie. Alludeva a un filare di dieci meli che James aveva in mente d
innestare. «John Chapman me li ha regalati quattro anni fa. Chiediglielo quando torna, se non ti fidi.
comunque non azzardarti a toccarli». Prese il coltello e iniziò ad affettare la coscia di prosciutto per
cena.
«Li abbiamo comprati, non te li ha regalati. È vero che Chapman a volte ci regala i semi, ma non
sognerebbe mai di dar via le sue piante per niente. E poi quei meli sono troppo grossi per avere so
quattro anni. In ogni caso appartengono alla famiglia, non a te». Era chiaro che lei non lo stav
ascoltando, ma James sciorinava lo stesso i suoi argomenti, sforzandosi invano di conquista
l’attenzione della moglie.
Gli dava sui nervi che Sadie accampasse diritti su alberi che a malapena conosceva. Lui invec
sapeva tutto dei suoi trentotto meli e avrebbe potuto raccontare la storia di ciascuno: quelli nati d
rametti che aveva portato con sé dal Connecticut, le Russet di cui si era procurato i semi a Toled
l’alberello che aveva comprato da John Chapman vendendo una pelle d’orso. Sapeva in qua
settimana di maggio fiorivano, quando era il momento di raccogliere le mele, se conveniva cucinarl
spremerle, farle essiccare o mangiarle fresche. Conosceva le loro malattie, la ticchiolatura, l’oidio,
ragnetto rosso e ogni possibile rimedio. Erano cose che James Goodenough sapeva da sempre e
stupiva che gli altri, compresi i suoi familiari, le ignorassero. Tutti sembravano pensare che bastass
buttare il seme e aspettare con le mani in mano di vedere spuntare i frutti. Tutti tranne Robert. Il pi
giovane dei Goodenough era diverso dagli altri, anche in questo.
«Sono miei quei dieci alberi!» insistette Sadie sempre più imbronciata. «Non puoi tagliarli. Dann
mele buone per farci il sidro. Un albero tagliato vuol dire un barile di sidro in meno: vuoi portar via
sidro ai tuoi figli?»
«Martha, aiuta la mamma». A James non piaceva il modo in cui Sadie usava il coltello, le fette l
venivano sempre troppo grosse in cima e troppo sottili in fondo. Sua moglie non conosceva le mezz
misure: o affettava l’intera coscia fino all’osso o si stancava subito e lasciava perdere.
La figlia, gracilina, con i capelli sottili e due occhietti grigi, obbedì: sia lei che sua sorella eran
abituate a prendere il posto della madre in cucina. «Non voglio tagliarli» disse James mentre la figl
affettava l’arrosto. «Voglio solo innestarli con la Golden. Abbiamo perso nove alberi quest’inverno
ne sono rimasti solo tre di Golden. Se ne innesto dieci l’anno prossimo ne avremo tredici. Dovrem
aspettare un po’, ma alla fine vedrai che saremo contenti».
«Tu sarai contento. È a te che piacciono le cose dolci».
James avrebbe potuto farle notare che semmai era lei quella che beveva il tè con lo zucchero
appena lo zucchero iniziava a scarseggiare lo spediva a Perrysburg a comprarlo. Invece continu
caparbiamente a parlare di numeri, come faceva ormai da settimane, ovvero da quando aveva deciso
innestare i meli. «Così ne avremo venticinque della qualità aspra e tredici di Golden. Con i quindi
alberelli che John Chapman ci porterà la prossima settimana fanno cinquantatré, tre in più d
necessario. Nel giro di pochi anni avremo mele in abbondanza, anche per fare il sidro. E potrem
spremere le Golden se vogliamo». James lo disse, ma aveva giurato a se stesso che non avrebbe m
più sprecato una mela dolce per farci il sidro.
Buttata sulla sedia, mentre la figlia si muoveva agile intorno a lei preparando la cena, Sad
aggrottò la fronte e puntò sul marito gli occhi arrossati. «Cos’è, il tuo nuovo piano? Cinquantat
meli! Vuoi addirittura superare il numero magico di cinquanta?»
James sapeva che non avrebbe dovuto tirare fuori tutte quelle cifre. I numeri infastidivano Sad
peggio delle vespe, specie quando aveva l’acquavite in corpo. «I numeri sono un’invenzione deg
yankee e non siamo più in Connecticut» ripeteva sempre. «Alla gente dell’Ohio non gliene importa u
fico secco. Che m’importa sapere quante bocche ho da sfamare? Basta che abbia qualcosa da mette
in tavola». Ma James non poteva farci niente, gli dava soddisfazione contare gli alberi, aggiunge
mentalmente un albero di Golden e togliere uno di quelli che gli aveva rifilato John Chapman. L
concretezza dei numeri pareva tenere a bada la macchia da cui erano assediati, dove gli alberi eran
troppo fitti per poterli contare. I numeri gli davano l’illusione di avere tutto sotto controllo.
Quel giorno Sadie fu più maligna del solito. «Va’ a farti fottere, tu e i tuoi meli!»
Il disprezzo nella sua voce, fu questo a far prudere la mano a James, però non l’avrebbe di cer
schiaffeggiata se lei avesse avuto ancora il coltello.
Sadie balzò in piedi e lo colpì alla tempia, ma lui la ributtò sulla sedia con un altro ceffon
Almeno questa volta non l’aveva beccato sull’occhio, come era capitato qualche tempo prima. I vici
avevano riso per mesi vedendolo con l’occhio nero: di solito erano le mogli, non i mariti, a portare
segni delle baruffe coniugali.
La seconda sberla le aveva spaccato il labbro e Sadie, impietrita sulla sedia, s’incantò a guardare
gocce di sangue che cadevano come bacche vermiglie sul vestito.
«Aiuta tua madre e chiamami quando la cena sarà pronta» disse James a Martha che si era g
avvicinata alla mamma con un fazzoletto. Martha era la sua preferita perché aveva un carattere dolce
non gli rispondeva, né gli rideva in faccia, come gli altri. Trepidava per lei in agosto, quando veniva
malaria, che quasi ogni anno si portava via qualcuno dei suoi figli. Le tombe con le croci di legn
erano allineate lungo il pendio, al margine del bosco, e ogni volta James doveva estirpare un acero
un frassino per far posto alla fossa. Aveva preso l’abitudine di togliere le piante già in luglio, pe
evitare che il corpo dovesse aspettare mentre lui lottava con le radici. Meglio farlo per tempo.
*
Ero abituata ai suoi schiaffi, non mi facevano né caldo né freddo. Litigavamo tutti i santi giorni p
via delle mele.
La cosa più buffa è che non avevo mai pensato alle mele prima di venire nella Palude Nera. N
posto in cui sono cresciuta tutti avevano un frutteto, ma io non ci badavo, se non in maggio quando
meli fiorivano. Allora andavo a sdraiarmi fra gli alberi e mi gustavo il profumo mentre le ap
ronzavano felici di giocare con i fiori. Fu lì che io e James lo facemmo la prima volta. Avrei dovut
capirlo che non era l’uomo giusto per me. Parlava solo delle nostre mele e mi chiedeva come fosser
(succose, come me, avevo risposto) e alla fine avevo dovuto sbottonarmi il vestito da sola: se no
altro chiuse il becco per un po’.
Non sono mai stata brava a raccoglierle. La mamma diceva che avevo troppa fretta ed ero sbadat
Ma io ci davo dentro perché non vedevo l’ora di finire: ne tiravo giù due alla volta usando entrambe
mani, ma spesso qualcuna cadeva e si ammaccava, e allora dovevamo separarla da quelle sane e far
la marmellata o il burro di mele. Quando veniva il tempo di coglierle, mamma e papà mi portavan
con loro nel meleto ma, conoscendomi, mi facevano raccattare solo quelle buttate giù dal vent
Anche se erano segnate, si potevano cuocere o usare per fare il sidro. O affettarle e metterle
essiccare. Quello era un lavoro che mi piaceva: se tagli una mela a metà vedrai che i semi dentro
torsolo hanno la forma di un fiore o di una stella. Una volta l’ho detto a John Chapman e lui si è mess
a ridere. È opera del Signore, ha detto, sei stata in gamba a scoprirlo, Sadie. Non me l’aveva mai det
nessuno che ero in gamba.
Neppure James mi lasciava toccare le sue mele, finché erano sugli alberi. I suoi trentot
preziosissimi meli. Oh, lo sapevo perfettamente quanti erano. Lui pensava che non lo ascoltassi, ma
suoi fottuti numeri mi rimanevano in testa a furia di sentirglieli ripetere, anche se ero ubriaca. Quand
venimmo qui dal Connecticut, dopo esserci sposati, non ci mise molto a scoprire che gliele sciupav
le sue mele, e così le faceva raccogliere ai nostri figli Martha, Robert e Sal. Neppure di Caleb
Nathan si fidava, diceva che erano maldestri come me. James sembrava una vecchia zitella quando
trattava dei suoi alberi. Mi mandava fuori dai gangheri.
*
James uscì dalla cucina e attraversò l’orto, che avevano iniziato a dissodare dopo il disgel
dirigendosi verso il frutteto. Per prima cosa, quando si erano stabiliti nella Palude Nera, i Goodenoug
avevano costruito la loro casa di legno in riva al fiume Portage e subito dopo si erano messi
disboscare il terreno per piantare gli alberelli di John Chapman. James aveva sudato sette camicie p
togliere olmi e querce, abbattendo i tronchi, spaccando i ceppi e mettendo via i rami più grossi buo
da ardere o per costruire letti e sedie. O casse da morto. Ma la cosa più faticosa era estrarre la ceppai
scavando, tirando e torcendo le radici. Ogni volta James si stupiva di quanto fossero profonde,
tenacia con cui erano avvinte al terreno. Non era un sentimentale, lui, non piangeva neppure quand
gli moriva un figlio: scavava la fossa e lo seppelliva. Però si faceva cupo e silenzioso se dovev
buttare giù un albero, pensando a tutto il tempo in cui aveva gettato la sua ombra in quell’angolo del
foresta. Non gli capitava con gli animali che cacciava, erano solo cibo, creature che passavan
attraverso il mondo e se ne andavano in fretta. Come le persone. Ma gli alberi sembravano fatti p
durare.
Si fermò a guardare il suo frutteto nello splendido crepuscolo di marzo: cinque file di alberi c
piccolo vivaio in disparte. Era uno spettacolo insolito nella Palude Nera, dove gli acquitrini
alternavano alla selva più fitta. Il frutteto dei Goodenough non aveva niente di sbalorditivo, ma ag
occhi di James rappresentava la prova che un fazzoletto di terra, almeno, si poteva domare. Più oltr
la natura selvaggia era in agguato con il groviglio del sottobosco e subdoli pantani: dovevi sta
attento a dove mettevi i piedi se non volevi trovarti di colpo immerso fino alle cosce nell’acqu
stagnante. A volte James era costretto ad avventurarsi nella Palude, per inseguire una preda o andar
in visita ai vicini, ma era sempre impaziente di tornare al sicuro, nella quiete del suo frutteto.
Contò i meli anche se sapeva benissimo che erano trentotto. Piantare cinquanta alberi in tre ann
come esigeva la legge in Ohio, gli era parsa un’impresa possibile, ma aveva sbagliato a credere che lì
meli sarebbero cresciuti come nella fattoria di suo padre in Connecticut, dove il terreno era fertile
ben drenato. In quella pianura fangosa, la terra fradicia faceva marcire le radici, predisponendo
piante a ogni genere di malattia e attirando la mosca nera. Era già un miracolo che i me
sopravvivessero in un posto del genere. Non che mancassero gli alberi: gli aceri abbondavano, co
come olmi e frassini, noci e diverse specie di quercia. Ma i meli avevano bisogno di luce e di u
terreno asciutto, altrimenti c’era il rischio che non dessero frutto. E in tal caso, i Goodenoug
avrebbero dovuto fare a meno delle mele. La Palude Nera non era come il Connecticut, dove se u
melo veniva colpito dalla ruggine o dalla scabbia potevi barattare o comprare le mele dai vicini.
Goodenough non avevano vicini, a parte i Day che vivevano a più di tre chilometri di distanza, per c
non potevano contare sulle mele altrui.
James Goodenough era un uomo giudizioso ma aveva un debole per le mele. Era così fin d
bambino quando una mela succulenta era il regalo più prezioso che sua madre potesse fargli. Le cos
dolci erano una rarità, perché lo zucchero costava un occhio, ma il gusto appagante di una torta
mele non costava quasi nulla perché, una volta piantati, gli alberi di melo richiedevano ben poch
cure. Rabbrividiva ancora pensando ai primi anni nella Palude Nera, quando aveva dovuto privarsi
quel semplice godimento: solo allora si era reso conto di quanto fosse importante per lui. Jame
amava le mele più del whiskey e del caffè, più del tabacco e perfino del sesso; non gli era mai capita
di dovervi rinunciare, e quel primo autunno era stato deprimente. Un giorno, per la disperazion
aveva raccolto le mele rachitiche di un albero selvatico nato chissà come nella foresta. Ne avev
mangiate tre, nonostante il loro sapore acre, e poi gli era venuto il mal di stomaco. Un’altra volt
dalle parti di Perrysburg, era arrivato al punto di rubare una mela in un frutteto. Se n’era vergognat
ma l’aveva mangiata di gusto.
I suoi meli li aveva comprati da John Chapman o li aveva seminati lui stesso. Quelli seminati
solito avevano frutti più aspri ma, come James amava ripetere, uno su dieci poteva dare mele dolc
Stentavano ad attecchire nella Palude Nera e anche quelli più sani rischiavano di morire duran
l’inverno. A tre anni dal loro arrivo i Goodenough avevano avuto le prime mele ma i raccolti eran
discontinui: un anno gli alberi davano frutti abbondanti, l’anno dopo le mele erano piccole e scarse.
qualche malattia uccideva le piante. James aveva faticato non poco per tirare su trenta meli, altro ch
cinquanta! Negli ultimi tempi le cose erano andate un po’ meglio e l’autunno precedente aveva be
quarantasette alberi nel suo frutteto. Ma nove erano morti durante l’inverno, quasi che il cielo avess
voluto punirlo per la sua tracotanza.
Per fortuna nessuno veniva a contarli: i funzionari si spingevano malvolentieri nella Palude Ner
Neppure gli altri coloni si curavano della regola. Sadie la trovava addirittura ridicola e si faceva bef
dei timori del marito. A volte, passandogli accanto, gli mormorava in tono di scherno: «Cinquanta!
Ma James era davvero preoccupato e temeva sempre che qualcuno salisse dal fiume o dai sentie
indiani che si snodavano ai margini della Palude, informandolo che la sua terra non era più sua.
*
Io non volevo venirci nella Palude Nera. Be’, non è certo un nome che invoglia! In un posto d
genere non ci vai per scelta, più che altro ci rimani... impantanato. Ma aveva una cosa di buono: tan
terra e poca gente. Proprio quello che stavamo cercando. James era il secondo di sei figli, tutti
ottima salute, per cui non c’era spazio per noi nella fattoria dei Goodenough. E poi James mi prendev
tutte le notti e i figli continuavano ad arrivare. Alla fine suo padre, un vecchio scorbutico al quale no
ero mai piaciuta, cominciò a farci capire che era meglio se ci cercavamo un po’ di terra a ovest. M
mise contro anche le altre nuore, e non gli fu difficile perché non andavo a genio neppure a loro. No
si fidavano di me, preferivano avermi lontano dai mariti. E così i fratelli di James, aizzati dalle mogl
lo incoraggiarono a cercare fortuna a ovest. Veramente avrebbero dovuto dirlo a Charlie. Charli
Goodenough era il più giovane e per tradizione sarebbe toccato a lui partire. Eh, lui si che era un tip
sveglio! Charlie non si sarebbe mai fermato in questa Palude, se la sarebbe lasciata alle spalle
avrebbe messo su casa nella prateria dove la terra è buona e solida sotto i piedi, c’è il sole e l’acqua
pulita. Ma i Goodenough stravedevano per Charlie, soprattutto sua moglie. Era lei quella che m
odiava di più. Forse ne aveva motivo. Che io sia dannata se non ero la più carina!
Finché un giorno, anche Charlie disse a James che avrebbe fatto bene a lasciare la fattoria. Però
vedeva che era triste quando partimmo: fu l’ultimo a rientrare in casa e rimase a guardare il nostr
carro che si allontanava lungo la pista. Scommetto che avrebbe voluto esserci lui al mio fianco...
Venne fuori che parecchi contadini del Connecticut ci avevano preceduto in Ohio. Tropp
Viaggiammo via terra da New York a Buffalo e lì prendemmo una barca per Cleveland. Eravam
convinti che avremmo trovato terra in abbondanza ad aspettarci, come un letto fatto, e invec
trovammo solo altri yankee, per la maggior parte veterani che avevano ricevuto un podere d
governo. Girammo per un po’ intorno a Cleveland ma poi sentimmo dire che era meglio provare
ovest, verso il fiume Maumee, se non addirittura in Indiana. Partimmo alla volta di Perrysburg, m
dopo Lower Sandusky la strada, ammesso che la si possa chiamare così, peggiorava sempre più. Fu
che incontrammo il nostro primo nemico, il fango. Non avevo mai visto una cosa del genere:
appiccicava alle ruote del carro e si accumulava crescendo come una palla di neve che rotol
Dovevamo fermarci in continuazione per pulirle e i cavalli rischiavano di rimetterci le zampe. S
riuscivano a fare pochi chilometri al giorno, ma per fortuna quel tratto di strada era pieno di tavern
per i viaggiatori che rimanevano bloccati. Scoprimmo che a gestirle era gente come noi, che a un cer
punto non se l’era più sentita di proseguire.
Finalmente arrivammo al fiume Portage e decidemmo che ne avevamo abbastanza: andare avan
era impossibile, per cui quella sarebbe stata la nostra Terra Promessa. A furia di sguazzare nel fang
eravamo imbrattati dalla testa ai piedi e non fu facile pulirsi le unghie o gli stivali. I ragazzi si tolser
i calzoni, e la mattina dopo stavano in piedi da soli. Se non altro avevamo il fiume per lavarci. Cer
John Chapman era più furbo: lui ci viveva sul fiume, girando con la sua canoa, alla larga da tut
quella melma!
Comunque, si sa, col tempo ci si abitua a tutto. Dopo un po’ smisi di farci caso e quando sentivo
nuovi coloni che si lamentavano per il fango pensavo: C’è di peggio, e presto ve ne accorgerete.
Arrivammo all’inizio di aprile, un buon momento per stabilirsi in un posto, e ci mettemmo subi
al lavoro per costruire la casa, preparare l’orto e tutto il resto. Ma prima ci liberammo degli alber
perché la selva era un altro dei nemici che ci stavano aspettando nella Palude Nera. E i nemici no
mancavano di certo.
Maledetti alberi, Dio come li odio! Sulla costa non era così. Io e James eravamo cresciuti
fattorie che esistevano da secoli, con le case di pietra, i campi già dissodati, i giardini. Mia mad
aveva perfino delle aiuole. Il Connecticut era colonizzato da duecento anni perché i nostri avi si eran
spaccati la schiena per disboscarlo. Sapevamo che ogni orto e giardino, ogni strada e chiesa erano sta
strappati alla selva, ma solo quando ci trovammo davanti i boschi dell’Ohio ci rendemmo con
dell’enorme lavoro che ci aspettava. O meglio, che aspettava James e i ragazzi più grandi. Io er
incinta di Robert e il pancione mi impediva di usare l’ascia, trascinare i tronchi o rompere quel
dannate ceppaie. Altro che aiuole! Nella Palude Nera non sradicavi un albero per far spazio ai fior
ma per procurarti terra da arare e un posto caldo e asciutto in cui vivere.
I miei figli si stancarono così tanto che a volte penso sia stato quello a ucciderli. Jimmy e Pat
erano così deboli che la malaria non ebbe problemi a portarli via. Non l’ho mai perdonato a qu
dannati alberi. Non glielo perdonerò mai. Anzi, se potessi darei fuoco a tutto il bosco.
Più ne togli e più ne spuntano di nuovi, ti stanno col fiato sul collo. Devi tenere sempre gli occ
aperti, perché le pianticelle crescono ovunque. È come con le faccende domestiche: strofini la pentol
la gratti per bene ma poi la polenta si attacca sul fondo o ti imbratti il grembiule nell’orto e capis
che ci saranno sempre pentole e panni da lavare. Con gli alberi è uguale, non si finisce mai. È vero ch
sono lenti, ma basta poco, una pianticella che non avevi visto, e dopo un anno al suo posto c’è già u
albero con radici profonde che devi ammazzarti di fatica per tirarle via.
Dicono che c’è una terra, a ovest, senza neppure un albero. La chiamano prateria. Mandami l
Signore! Ho provato a dirlo a James, ma lui da quell’orecchio non ci sente, ormai abbiamo un posto
cui stare, dice, e qui resteremo. Sì, vorrei rispondergli, accovacciati come rospi sul bordo di ques
fetida Palude.
*
James sentì un ramo spezzarsi alle sue spalle, e non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi foss
La mia ombra, pensò. Tese la mano verso l’albero più vicino, accarezzando compiaciuto i germog
appena nati. «Robert» disse, «vammi a prendere una Golden in cantina».
Il più piccolo dei suoi figli obbedì senza fiatare e poco dopo tornò porgendogli il pomo gial
cosparso di puntini bruni. La mela aveva una forma allungata, come se qualcuno l’avesse stirata, e
era così piccola che stava nel palmo della mano. James la strinse fra le dita, pregustandone il sapor
era un po’ avvizzita e aveva perduto la fragranza dei frutti appena colti, ma le Golden conservavano
loro dolcezza per mesi.
James la addentò, e anche se non sorrise – i sorrisi erano merce rara nella Palude Nera – chiuse g
occhi per assaporarla meglio. Sapeva di mele e noci e qualcuno diceva che avesse un retrogusto simi
a quello dell’ananas, un frutto che James non conosceva. Gli vennero in mente sua madre e sua sorel
che chiacchieravano e ridevano nella loro cucina in Connecticut, affettando le mele per essiccarle.
tre alberi di Golden che aveva piantato al margine della Palude Nera derivavano da quelli della su
terra. Li aveva innestati lui stesso quando si erano trasferiti in Ohio, portando con sé quei ramoscel
preziosi. Gli innesti non si erano sviluppati tutti allo stesso modo e James si era stupito ancora un
volta, perché gli alberi, come i bambini, venivano sempre uno diverso dall’altro.
Robert lo stava guardando con i suoi occhi color ambra, quieti e intelligenti come quelli di un can
da pastore. Sapeva badare a se stesso e sembrava capire gli alberi molto più degli altri Goodenough. I
teoria avrebbe dovuto essere il preferito di James: un bambino snello ma vigoroso, sveglio e semp
attento, il più adatto a sopravvivere in quell’ambiente ostile. Era nato poco dopo il loro arrivo, u
figlio della Palude Nera dunque, e forse per questo le zanzare lo lasciavano in pace. Fin da bambin
Robert aveva dovuto accudire i familiari assaliti dalla febbre, perché spesso era l’unico a no
ammalarsi. A differenza dei fratelli maggiori Caleb e Nathan, seguiva il padre ovunque, ansioso d
imparare da lui... e tuttavia James provava quasi soggezione per quel bimbo così serio e posat
Robert non aveva neppure nove anni e dunque non era ancora in grado di giudicare gli adulti, ma
sua presenza James si sentiva indotto a riflettere sulle proprie azioni e questo lo faceva sentire
disagio. Dopo che gli aveva mostrato una cosa – come scuoiare uno scoiattolo, costruire un recint
tappare le fessure fra i tronchi della casa, adagiare le mele in cantina in modo da non ammaccarle
Robert rimaneva a fissarlo, impaziente di saperne di più. Per questo James gli preferiva Martha, un
bambina delicata e volubile che si accontentava di ciò che lui poteva darle.
Innervosito dallo sguardo penetrante del piccolo Robert, James prese a giocherellare con la me
mezza mangiata che finì per cadergli di mano, rotolando fra le foglie morte. Prima che il padre avess
il tempo di muoversi, Robert la raccolse, le diede una pulita e gliela porse di nuovo.
«Finiscila tu» disse James.
«Ma è una delle ultime, Pa’».
«Non importa, mangiala pure». James rimase a guardare compiaciuto il bambino che faceva du
bocconi del frutto soave.
«Lo sai da dove vengono queste Golden, figliolo?» gli chiese poi.
«Dal Connecticut».
«E prima ancora?»
«Dall’Inghilterra. I bisnonni le hanno portate qui perché erano le mele che gli piacevano di più».
«Ma da quale posto dell’Inghilterra?»
Robert lo guardò con i suoi occhi profondi e scrollò la testa. Non era il tipo di bambino ch
s’inventava la risposta, se non la conosceva. James si compiacque della sua sincerità. «Herefordshir
Bene, domani faremo gli innesti. Va’ a controllare il mastice, e se è troppo secco allungalo co
l’acqua».
Robert annuì.
«Sai qual è, vero? Non devo venire con te?»
«No, Pa’». Il bambino raccolse un mastello e si avviò verso il fiume.
James faceva gli innesti quasi ogni primavera, per migliorare la qualità degli alberi e ricavarn
mele buone da mangiare. Aveva imparato da suo padre in Connecticut e, sebbene avesse ripetut
l’operazione decine di volte, quella rinascita continuava ad avere qualcosa di portentoso ai suoi occh
Il quarto autunno erano nate le prime Golden, più piccole e con la buccia più spessa di quelle d
Connecticut, ma commestibili; James rammentava ancora il primo morso, la croccantezza, il sapore
miele, o di ananas come dicevano alcuni. Il fatto che le Golden avessero attecchito nella Palude, ch
un pezzetto della campagna fertile e ordinata della sua infanzia fosse spuntata fra il fango, avev
acceso in lui la speranza: forse un giorno sarebbe riuscito a sentirsi a casa sua anche in quella ter
desolata.
Sì, l’innesto era sempre parso un miracolo a James: prendere il meglio di una pianta e unirla
meglio di un’altra, ottenendo un albero più forte e prolifico. Era un po’ come fare un bambino, sol
che potevi scegliere prima le sue qualità. Quali parti di sé e di Sadie avrebbe scelto se avesse potu
creare un figlio in quel modo? Forse la propria fermezza e lo spirito della moglie, volubile, magar
ma contagioso. Se era dell’umore giusto, Sadie poteva far sganasciare una folla intera.
Purtroppo nel caso dei figli bisognava accontentarsi di quel che passava il convento, e i giova
Goodenough non avevano di certo preso il meglio dei genitori; al contrario, erano un misto delle cos
che James odiava di sé e della moglie: Caleb burbero e violento, Sal permalosa, Martha irresolut
Nathan fin troppo cinico. Robert, invece, era un mistero. Non pareva neppure figlio loro, anche s
James l’aveva visto con i suoi occhi quando era uscito dal grembo di Sadie, coperto di sangue m
senza un vagito.
Dal canto suo, Sadie era contraria agli innesti anche a causa dell’influenza che John Chapma
aveva su di lei. «Tu non sei Dio» diceva al marito. «Non dovresti creare quei mostri. È sbagliato
contro natura». Però non disdegnava il frutto succulento degli innesti. Un giorno James glielo avev
fatto notare e lei per tutta risposta gli aveva tirato sul naso la mela che stava mangiando. Jame
l’aveva raccolta e se l’era finita. Buttare via una Golden, quello sì che era peccato!
*
La prima volta che John Chapman venne da noi eravamo qui da poche settimane e dormivam
ancora per metà sul carro e per metà sotto la tenda che James aveva messo su alla bell’e meglio. Io
le ragazze eravamo al fiume a lavare quando sentimmo un fischio che sembrava quello di una quagli
Poco dopo compare una canoa con un tizio brizzolato che ci saluta calorosamente, neanche fossim
vecchi amici. Aveva i capelli lunghi e la barba macchiata di giallo intorno alla bocca come quelli ch
masticano il tabacco. Indossava soltanto un sacco di tela stretto intorno ai fianchi con uno spago
quattro buchi per le braccia e le gambe. Pensai che fosse uno dei pazzoidi che vivono nella Palude, m
fui ugualmente felice di vederlo perché non è che ci fosse tanta gente in giro, e un visitatore pazzo e
sempre meglio di niente.
Vidi che aveva una seconda canoa legata alla prima, colma di alberelli, e John Chapman ci spieg
che si guadagnava da vivere vendendo i meli ai coloni. I semi invece li regalava. Lui e Jame
iniziarono subito a parlare di mele, e non la finivano più. James smise perfino di lavorare alla casa
mostrò a John Chapman il nostro pezzo di bosco e il posto dove voleva mettere il frutteto e
ramoscelli che aveva portato dal Connecticut per innestarli. John Chapman gli vendette venti alberell
dicendo che era meglio cominciare con quelli invece che con gli innesti. Spetta solo a Dio migliora
gli alberi, disse John, in tono gentile, ma in seguito sarebbe tornato sull’argomento con più ardore.
Stavano ancora discorrendo quando calò la sera e invitai John Chapman a cenare con noi, anche s
non avevamo da offrirgli che piselli e gli scoiattoli presi da Jimmy. Tre scoiattoli erano già pochi pe
nove bocche e John sarebbe stata la decima, ma il venditore di alberi disse che non mangiava la carn
perché non poteva accettare che un essere vivente fosse accoppato per tenere in vita lui. Be’, noi no
avevamo mai sentito una stramberia del genere, ma non ci lamentammo perché ne avremmo avuto
più per noi. Anche di piselli ne mangiò pochi e bevve acqua invece che il sidro.
Dopo cena si alzò e cominciò a camminare intorno al fuoco. Gli piaceva da matti camminare.
parlare. Ma non parlò di mele. «Lasciate che vi racconti cosa mi ha appena confidato il Signore
disse. Eh, sì, John era uno di quelli che vogliono condividere la loro religione col prossimo, come s
fosse una bottiglia da bere tutti insieme! Devo confessare che la prima volta non capii una parola
quel che diceva. Dopo un po’ i ragazzi sbadigliarono e se ne andarono a letto e James si mise
intagliare come faceva ogni sera. Io però rimasi ad ascoltare, perché John Chapman era bello d
vedere quando predicava.
Non volle dormire sul carro e neanche sotto la tenda e disse che il bosco andava benissimo per lu
Non volle nemmeno che gli prestassi una vecchia trapunta. Nathan lo sbirciò di nascosto e ci disse ch
John Chapman era andato a sdraiarsi fra gli alberi, coprendosi di foglie.
Il giorno dopo quando ci svegliammo non c’era più, ma nel giro di una settimana tornò con i su
alberelli. Avevamo pochi soldi perché li avevamo spesi quasi tutti per venire in Ohio, ma James diss
che valeva la spesa perché avremmo avuto le mele due anni prima che semimandole. Inoltre aveva
mente di innestarle con i ramoscelli che si era portato dal Connecticut, anche se non osava dirlo a Joh
Chapman perché John era contrario all’innesto e diceva che non bisognava impicciarsi nel
Creazione.
John Chapman veniva da queste parti due o tre volte l’anno. In primavera, per vedere com
avevamo passato l’inverno, e in autunno per controllare il vivaio che aveva più a monte. A volt
capitava anche d’estate, e mi piaceva pensare che lo facesse per vedere me. Appena sentivo il vers
della quaglia, mollavo tutto e correvo verso il fiume.
Una cosa è certa: John Chapman era un tipo strambo. Non si vestiva come gli altri uomini, con
camicia e i calzoni tenuti su dalle bretelle. Girava sempre scalzo e non portava il pastrano, nemmen
quando si gelava. Non so come facesse d’inverno. Forse andava in letargo come gli orsi. Ed e
parecchio trasandato, con i capelli arruffati e la barba incolta, le unghie lunghe e i calli sui talloni. M
quando parlava aveva la luce negli occhi...
Trovava sempre il tempo di fare due chiacchiere con me, anche perché ero l’unica dei Goodenoug
disposta ad ascoltare la Parola di Dio. Quando scoprì che sapevo leggere, iniziò a darmi pezzi di lib
che tagliava e distribuiva ai coloni lungo il fiume. Io ero tutta emozionata dopo le sue visite ma non
capivo un fico secco in quei libri. Anche se mi guardavo bene dal dirglielo, preferivo le adunanze d
risvegliati, che qualcuno chiama quaccheri, dove andavamo a volte quando la strada per Perrysbur
era libera dal fango. C’era tanta gente alle adunanze e Dio era più facile da capire.
La cosa che mi piaceva di John Chapman era che non mi giudicava come un’altra persona di c
non voglio fare il nome. Non mi diceva mai: Sadie sei ubriaca. Sadie sei una disgraziata. Sadie tu sar
la rovina di questa famiglia. Non mi strappava la bottiglia di mano e la nascondeva così mi toccav
bere l’aceto. John Chapman conosceva il potere delle mele e le cose che ci si potevano fare. Fu lui
insegnarmi che le mele potevano aiutarmi a combattere un altro dei nostri nemici, la malaria.
Arrivava con le zanzare. Cominciavano a pungere a giugno ma in agosto ce n’erano così tante ch
dovevamo fasciarci la testa e portare i guanti nonostante il caldo, e non fare mai spegnere il fuoc
giorno e notte, per tenerle lontane col fumo. Ma ci pungevano lo stesso e avevamo tutti la faccia,
mani e le caviglie gonfie così. E un prurito da diventare matti. Le zanzare se la prendevano soprattut
con Patty e Sal. La povera Patty aveva la faccia tanto gonfia che non sembrava nemmeno mia figli
ma un mostro delle paludi.
Fu lei la prima a buscarsi la febbre. Iniziò a battere i denti così forte che le s’incrinarono. Io
stavo accanto e le bagnavo la fronte con la camomilla, la nepeta e la radice di cimicifuga, ma no
servì a niente. L’anno dopo toccò a Jimmy, poi alla piccola Lizzie, poi a Tom e poi a Mary Ann. No
so se l’ordine è giusto, è difficile tenere il conto... Avrei quasi preferito che la febbre portasse via m
Avevo partorito dieci figli e me ne rimanevano cinque.
Solo Robert non si ammalava mai, ma Robert non era come gli altri. Eravamo qui da due me
quando venne il momento di metterlo al mondo e mi chiedevo se Patty o Mary Ann sarebbero sta
capaci di aiutarmi, perché allora non c’era nessun altro da queste parti. Volevo evitare che fosse Jame
ad assistermi, perché si sa che porta male avere uomini intorno in quel momento. Ma alla fine no
ebbi bisogno di nessuno: ero stremata dalle doglie quando a un tratto Robert uscì fuori da solo e p
poco non cadde nel fango. James aveva già tirato su le pareti, ma il pavimento era ancora di terr
Robert non fece neanche uno strillo e mi guardò subito, ma non con gli occhietti strabici e appanna
dei bimbi appena nati. Sembrava proprio che mi vedesse. Rimase così crescendo, mi lanciava cer
occhiate che mi mettevano in soggezione e mi facevano vergognare di me stessa. Gli volevo più ben
che a tutti gli altri, perché forse aveva un sangue diverso. Lo sospettavo, ma non ne avevo la certezz
Però non riuscivo a dimostrargli il mio affetto, non potevo baciarlo o abbracciarlo, perché m
guardava in quel modo, come uno specchio dove si rifletteva la mia cattiveria...
Era il piccolo Robert ad accudirci, quando prendevamo la malaria. Un ottobre, John Chapma
arrivò e trovò solo lui e Sal in piedi, mentre il resto di noi era a letto con la febbre: tremavamo co
forte che i letti sbattevano come tamburi. Per proteggerci, John Chapman aveva piantato la camomil
fetida vicino a casa nostra, ma non serviva a niente. Ogni estate ci veniva la febbre e ci passava so
quando eravamo guariti. O morti. Quell’ottobre John aiutò Robert e Sal a provvedere a noi e ag
animali e raccolse le mele al posto nostro.
«Devi usare queste, Sadie» mi disse, entrando in casa con un sacco di mele asprigne.
Non capii cosa intendesse e comunque non me ne importava nulla perché stavo così male che avr
voluto morire.
John Chapman caricò le mele sulla canoa e scese giù a Port Clinton, e quando tornò aveva con s
cinque barilotti di sidro. Non era ancora forte, ci vuole qualche settimana perché lo diventi, ma Joh
Chapman mi disse di berlo, perché avrebbe scacciato la malattia. Gli diedi retta e sapete una cosa? M
sentii subito meglio. James disse che sarei guarita anche senza bere il sidro. Quella malignità f
l’ultima goccia: da quel giorno non abbiamo più smesso di litigare. Il fatto è che gli rodeva che Joh
Chapman fosse gentile con me e non perdeva occasione per sminuirlo. Ma John era un uomo d
boschi, conviveva da sempre con la malaria e sapeva il fatto suo. Io non diedi ascolto a James e m
fidai di lui. John mi spiegò che il sidro teneva lontane le zanzare, e l’acquavite era un vero toccasana
Fu lui a insegnarmi a distillarla. D’inverno metti fuori un barile di sidro, togli la parte in cima ma
mano che si ghiaccia, e vai avanti così. Alla fine ne rimane poco, ma quel poco è come se avesse
fuoco dentro e non sa quasi più di mela. James non voleva berlo, diceva che era uno spreco usare
sidro così. Meglio, dicevo io, ne avrò di più per me. E John Chapman aveva ragione: quando avev
l’acquavite in corpo le zanzare mi lasciavano in pace e non mi buscavo la febbre. Il problema era far
durare fino ad agosto... Bisognava distillarne di più, e quindi ci volevano più alberi di mele da sidr
invece delle Golden del Connecticut che James amava più di sua moglie. Fra l’altro non so propr
cosa ci trovasse... tutte quelle storie sul miele e l’ananas. Per me quelle mele sapevano di mela, pun
e basta.
*
Il giorno dopo era grigio e pioveva, ma James andò ugualmente con Robert nel frutteto p
insegnargli a fare un buon innesto. Gli aveva già mostrato il procedimento ma ora che aveva qua
nove anni era venuto il momento di passare dalla teoria alla pratica.
A volte Sadie andava a ficcare il naso e lo criticava, dicendo che era una stupidaggine guastare co
alberi perfettamente sani. Quel giorno però dormiva ancora e puzzava di acquavite, perché la se
prima, quando John Chapman se n’era andato, si era attaccata alla bottiglia. Sadie diventav
imprevedibile da ubriaca: un momento era furiosa e prepotente e subito dopo si metteva a piangere.
volte si sedeva in un angolo a parlare con i figli morti, come se li avesse davanti.
«Sei pronto?» disse James al figlio. «Hai preso i rametti?»
Robert gli porse i rametti di Golden che James aveva tagliato a novembre durante la potatura. L
teneva nei vasi in cantina, dietro le cassette di mele, carote e patate, e alcuni li nascondeva nel bosc
nel caso Sadie bruciasse quelli della cantina, come aveva fatto un inverno, con la scusa di essere
corto di stecchi per accendere il fuoco.
Tutto ciò di cui avevano bisogno era disposto ordinatamente sul terreno: la sega, il martello e l
scalpello, il coltello che James aveva affilato la sera prima, strisce di stoffa ricavate da vecchi stracc
La cosa più importante, però, era il mastice, e James lo preparava da sé, impastando l’argilla, lo sterc
di cavallo e i capelli che rimanevano sulla spazzola di Sadie e che Martha gli procurava di nascosto.
Insomma, era tutto pronto, ma James non si muoveva e fissava i suoi alberi nella pioggia ch
cadeva sottile. Gli pareva quasi di vedere le fronde che si distendevano dopo il gelo invernale, la lin
che riprendeva a scorrere, le gemme che spuntavano come le volpi quando fanno capolino dalla tan
per fiutare l’aria. Per il momento avevano lo stesso colore della corteccia, ma nel giro di qualch
settimana i germogli sarebbero diventati verdi annunciando la nascita delle prime foglioline e, a su
tempo, si sarebbe ripetuto, come ogni anno, il miracolo della fioritura.
James eseguiva gli innesti con cura, la stessa che metteva in ogni operazione riguardante i su
meli: l’interramento, la potatura, l’agognata raccolta. «Diamoci da fare» disse alla fine e prese la seg
avvicinandosi a uno degli alberi che aveva comprato da John Chapman quattro anni prima. Iniziò
segare il tronco cercando di non guardare le gemme disseminate lungo i rami, perché anche quel
avrebbero prodotto foglie, fiori e frutti, se avessero potuto. Era la parte distruttiva dell’operazione
James cercava sempre di sbrigarla in fretta, anche per evitare che la moglie lo sorprendesse ment
sacrificava le mele da cui ricavava l’acquavite. Il risultato finale, due rametti che spuntavano d
tronco mozzato, era meno impressionante dell’atto in sé; come si dice: occhio non vede cuore no
duole. Inoltre, davanti a qualcosa di nuovo è facile dimenticare ciò che c’era da tempo: il volto appen
sbarbato di un uomo attrae sempre l’attenzione.
«La superficie dev’essere piatta e liscia» spiegò James, grattandola col coltello. Poi prese
martello e lo scalpello. «Ora faremo un bel taglio». L’attrezzo stretto nel pugno, il tintinnio de
metallo contro il metallo, la presenza del figlio accanto a lui, tutto lo riportava alla sua infanzia
Connecticut, quando suo padre gli aveva insegnato quell’arte antica affinché la trasmettesse
Goodenough che sarebbero venuti. Il ricordo del passato rendeva ancora più amaro il presente,
Palude che gli portava via un figlio dopo l’altro, ma la cura del frutteto era sempre una consolazion
per James e riaccendeva la speranza nel suo cuore.
Tagliò le estremità dei due rametti dando loro la forma di un cuneo e li mostrò a Robert. «Visto?
disse. «Ora sono pronti. Quanto al taglio, ricorda che va sempre fatto vicino a un germoglio.
germogli attraggono la linfa che aiuta i due legni a unirsi, facendoli diventare un tutt’uno».
Robert annuì.
Sul più bello comparve Sal. James avrebbe preferito che non arrivasse proprio in un momento co
delicato: mentre lui teneva divaricato lo spacco con lo scalpello, Robert ci infilò i rametti e, quand
estrasse lo scalpello, il taglio si richiuse serrando gli innesti come in una morsa. Avevano già provat
una volta, ma avevano dovuto tirare fuori i rametti e affilarli meglio in modo che combaciasser
perfettamente con la cavità. A James non faceva piacere avere intorno Sal, perché delle sue figlie er
quella che assomigliava di più a Sadie. Inoltre lo infastidiva che se ne stesse seduta su un ceppo
giocherellare con l’orlo della gonna: visto che era venuta, avrebbe almeno potuto degnarli di un
sguardo.
«Tua madre si è alzata?» le domandò, sperando di attirare la sua attenzione.
«Solo per bere un po’ d’acqua. Dice che le duole la testa» rispose Sal senza sollevare lo sguardo,
continuò a togliersi il fango secco dalla sottana.
«Pensi tu alla cena?»
Sal si strinse nelle spalle, indolente come al solito e fin troppo coriacea per i suoi dodici anni. «L
sta preparando Martha».
«E i tuoi fratelli sono ancora nel campo?»
Siccome la figlia non rispondeva, James alzò la voce e le disse stizzito: «Perché non vai a dissoda
l’orto, invece di startene qui con le mani in mano?»
«Piove».
«Meglio, così la terra è più morbida» ribatté James e tornò a occuparsi dell’innesto. «Vai» ripet
alla figlia, e vedendo che non si muoveva estrasse lo scalpello dal taglio puntandolo verso di le
«Cammina, fannullona!»
Sal finalmente si alzò, ma con estrema lentezza, per non dare soddisfazione al padre. Non
temeva sebbene fosse vivo in lei il ricordo della sera prima, il ceffone che aveva spaccato il labbro
sua madre. Gli rivolse un sorrisetto sprezzante e, invece di andare nell’orto, si avviò verso casa. Jame
rimase a guardarla mentre si allontanava impettita, e pensò con amarezza che nessuno gli dava rett
in quella famiglia. Un po’ alla volta aveva perso il rispetto di tutti, a causa delle sbronze di Sadie e d
loro continui litigi, a causa del suo amore per gli alberi che nessun altro pareva condividere. E p
c’era John Chapman: il suo sguardo severo equivaleva a un giudizio, a un rimprovero senza parole ch
i figli non mancavano di cogliere. Solo Robert lo trattava con riguardo, e Martha era ancora tropp
piccola per ribellarsi.
Stiamo scivolando in questa Palude maledetta, pensò James, alla fine il fango ci coprirà e
Goodenough scompariranno per sempre dalla faccia della terra...
«Pa’» disse Robert, «pensi che attecchiranno?»
James si voltò a esaminare l’innesto. Erano stati così precisi che i rametti parevano nati su qu
tronco. «Credo di sì, abbiamo fatto un buon lavoro» disse. Per fortuna il momento di distrazion
causato dalla figlia non aveva sciupato tutto.
Fasciarono il taglio con la stoffa e il mastice, creando un involucro simile a un nido di vesp
Sarebbe rimasto lì fino all’estate. Nel giro di poche settimane avrebbero scoperto se l’innesto avev
attecchito, se la linfa saliva dal tronco ad alimentare i nuovi rametti. Solo in tal caso avrebber
germogliato producendo le prime foglioline, i fiori e, un paio d’anni dopo, i frutti.
Poi James mostrò al figlio l’atto finale dell’innesto: si aprì la patta e pisciò intorno all’albero. E
necessario marcare il terreno, disse, in modo che i cervi rimanessero alla larga e non brucassero
foglioline appena nate.
Innestarono ben quindici meli quella mattina, ovvero cinque più del previsto. Ma i rametti non g
mancavano e James aveva deciso da tempo che c’erano già troppi alberi da sidro nel fruttet
bisognava ristabilire l’equilibrio. Robert nella sua testolina pensava con inquietudine che tutti queg
alberi non avrebbero dato frutto per almeno due anni, ma non osava dire nulla. Qualcosa si e
impadronito di James, una specie di smania, l’ambizione di creare i meli più belli e fecondi che
fossero mai visti.
*
«Avresti dovuto vederli mamma» disse Sal. «Macellavano i tuoi alberi come se fossero maiali».
Sal era una vera spiona. Ce l’avevo sempre fra i piedi ed era l’unica dei miei figli a obbedirmi, m
non per questo le volevo più bene. Veniva da me e mi diceva: «Ma’, Martha ha bagnato il letto»
Oppure: «Ma’, Nathan si è mangiato tutto il bacon». O: «Ma’, Robert ha fatto spegnere il fuoco». S
era pigra ma, come capita spesso agli adolescenti, sognava di vivere in un mondo perfetto. Pove
illusa.
Anche se mi doleva la testa per via della sbronza, andai alla finestra a vedere il massacro. Avev
scordato che quello era il giorno in cui James voleva fare i suoi dannati innesti. Mi capitava spesso
perdere la cognizione del tempo... Da lì comunque non si vedeva niente, dovevano essere nell’ango
più lontano del frutteto. Pioveva e non volevo che le gocce mi martellassero sulla testa ch
rimbombava già per conto suo. Ma ero troppo curiosa, per cui dissi a Sal: «Vado a dare un’occhiata, t
intanto dissoda l’orto, sei grande ormai e puoi farlo anche da sola». Sal storse la bocca, ma prese
zappa e si avviò.
Lo scialle in testa, uscii nella pioggia per vedere cosa stavano combinando James e Robert. M
acquattai fra gli alberi per non farmi notare ma non mi avrebbero notato comunque, presi com’eran
dal lavoro. Li avevo a pochi passi, le teste così vicine che quasi si toccavano, e mi prese una rabb
così forte che gli avrei tirato un sasso. Era come con le mie cognate in Connecticut, che la sera
radunavano a chiacchierare e ridere intorno al fuoco quasi che io non ci fossi.
Sal però aveva ragione: stavano macellando gli alberi. Non ricordavo il numero che James m
aveva detto, anche se me l’aveva ripetuto mille volte. Dieci, forse, ma ne avevano tagliati molti
più! Stavano distruggendo i miei meli da sidro! Dunque James voleva la guerra? Avevo una gra
voglia di uscire dal bosco e prenderlo a calci, ma non mi mossi. Avrei aspettato che tornasse Joh
Chapman: lui gli avrebbe detto il fatto suo vedendo le palle di merda che James appiccicava ag
alberi.
E pochi giorni dopo arrivò, infatti, scivolando sul fiume con la sua canoa, preceduto come semp
da quel fischio, il verso della quaglia. Grazie Dio, per il mio John! Il mio salvatore, e le bottiglie
roba forte che mi portava per... le zanzare. A dire il vero l’estate era ancora lontana, ma avrei saput
fare buon uso di quelle bottiglie!
Aveva portato anche la merce che James gli aveva ordinato, ma non la scaricò subito dalla cano
perché James era impaziente di mostrargli quel che aveva combinato con Robert e lo trascinò subi
nel frutteto. E così John Chapman poté vedere la mostruosità che piaceva tanto a mio marito. Moriv
dalla voglia di sentire cosa gli avrebbe detto, ma per farlo dovetti nascondermi di nuovo perché Jame
non mi voleva fra i piedi quando c’erano di mezzo le sue adorate mele. Sgattaiolai lungo la siepe e m
accovacciai dietro i rovi.
sample content of I Frutti Del Vento
read online Canard Jeux Vidéo [FR] (March 2014)
read Race Unmasked: Biology and Race in the Twentieth Century
click Saint Odd (Odd Thomas, Book 7) book
Small Steps: The Year I Got Polio book
read online Bonica's Management of Pain for free
http://paulczajak.com/?library/Arguing-with-Idiots--How-to-Stop-Small-Minds-and-BigGovernment.pdf
http://conexdxb.com/library/The-Oxford-Handbook-of-Byzantine-Studies--OxfordHandbooks-.pdf
http://dadhoc.com/lib/Saint-Odd--Odd-Thomas--Book-7-.pdf
http://paulczajak.com/?library/Small-Steps--The-Year-I-Got-Polio.pdf
http://dadhoc.com/lib/Bonica-s-Management-of-Pain.pdf
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