Riflessioni sul narcisismo: volersi bene o
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Riflessioni sul narcisismo: volersi bene o
NOTA INFORMATIVA Marzo 2013 Gli articoli presenti in questa sezione sono liberamente redatti e curati dal dott. Di Nuzzi, attingendo dalla propria complessiva formazione, e quindi dalle fonti scientifiche più accreditate e dalla propria esperienza clinica professionale. Al lettore si rivolge la più viva raccomandazione a voler cogliere tale materiale come una semplice fonte divulgativa, che in nessun caso può e deve sostituirsi ad una diagnosi diretta effettuata da un professionista psicologo e/o medico specialista. Riflessioni sul narcisismo: volersi bene o ammalarsi di sé? Un attore recita l’Amleto, e una volta terminato, non riceve una grande ovazione dal pubblico: pochissimi applausi, molti “buuuhh”, fischi e commenti poco gradevoli. “Ignoranti, non capiscono Shakespeare!”, chiosa l’attore, mentre voltandosi si allontana; il dubbio che la sua performance sia stata quanto meno mediocre non lo sfiora minimamente. Questa scherzosa vignetta introduce uno degli elementi caratterizzanti del narcisismo patologico: la totale centratura sul proprio Sé, l’assoluta incapacità di spostare il focus dell’attenzione dalla propria visione del mondo al punto di vista degli altri. Ma il narcisismo và sempre inteso come una patologia? Esiste un modo sufficientemente sano di volersi bene, o lo sguardo che troppo a lungo indugia su se stessi inevitabilmente conduce a quella fonte d’acqua ove Narciso si smarrì? Personaggio della mitologia greca, famoso per la sua bellezza, una punizione divina gli impone un amore totalizzante per la sua stessa immagine riflessa in uno specchio d’acqua, sino a lasciarsi morire in quanto consapevole dell’impossibilità del suo amore. Eppure, al di là degli eccessi, tutti noi sappiamo che volersi bene è una caratteristica fondamentale del benessere psichico, tant’è che la sua assenza presagisce lo spettro terrifico della depressione: “ha smesso di volersi bene, è depresso!”, diciamo di quel conoscente chiuso in casa da tempo, privo di gioia di vivere e di motivazione. Dunque il senso comune ci insegna che una minima quota d’amor proprio non solo non è patologica, ma risulta necessaria per il proprio equilibrio mentale. Ma è possibile tracciare un confine tra normalità e patologia? Proviamoci. Cominciamo ad immaginare l’amore come un’entità fisicamente tangibile, ad esempio un’ottima torta. Due uomini, tutti e due in compagnia delle rispettive fidanzate, si comportano diversamente: il primo trova il dolce molto gustoso, lo condivide con la sua partner e le domanda: “ti piace?”, mentre il secondo assalta la torta senza offrirne e pretende che la fidanzata ammiri la propria felicità! In sostanza, nel primo caso la quota d’amore rivolta a se stesso non impedisce al soggetto di destinare un po’ di attenzione anche all’esterno, mentre nel secondo caso l’amor proprio è totalizzante, il focus è completamente egocentrico, e le altre persone divengono assolutamente strumentali al proprio bisogno di ammirazione. Si comincia così a delineare la fisionomia di un narcisismo patologico, sebbene sia opportuno operare una distinzione tra due forme diverse, che possiamo metaforicamente definire come segue: il narcisista dalla pelle spessa, e il narcisista dalla pelle sottile. Ambedue le figure sono caratterizzate da un Dott. Gianni Di Nuzzi Psicologo clinico esperto in Neuropsicologia n. iscr. OPL 03/13197 www.giannidinuzzi.it sentimento inconscio di insicurezza, cui accennerò brevemente in seguito; cerchiamo ora di sintetizzare le caratteristiche prevalenti. Pelle spessa: arroganza, assenza di empatia, utilizzo strumentale degli altri, eccessivo bisogno di ammirazione, svalutazione degli altri, convinzione di essere speciale. Pelle sottile: inibizione sociale, ritiro, eccessiva sensibilità alle critiche e alle reazioni degli altri, tendenza a sentirsi ferito dagli altri, sentimenti di umiliazione e di vergogna. Come possiamo notare, si tratta di strutture di personalità molto diverse, anche se alla base è possibile ravvisare un fattore scatenante comune: un deficit di “rispecchiamento”! Di nuovo echeggia Narciso che si specchia nell’acqua, ma in questo caso parliamo di un rispecchiamento diverso: quello genitoriale. Secondo il pensiero di Heinz Kohut (1913-1981), psicoanalista fondatore della “psicologia del Sé”, lo sviluppo psichico dell’individuo si snoda lungo due assi fondamentali: 1) l’amore narcisistico; 2) l’amore oggettuale, dove per “oggetto” si intende un essere che non sia il Sé, destinatario di una certa quota d’affetto. Nel mondo inconscio del bambino, fino ad un dato stadio evolutivo sopravvive una sorta di “delirio di onnipotenza”, grazie al quale il soggetto, per strutturare la propria autostima, si convince di disporre di un potere pressoché infinito, che gli consentirà di padroneggiare il mondo, per buona parte ancora ignoto, e chiede dunque conferma, implicitamente, alle figure adulte di riferimento, per sostanziare le proprie capacità esplorative e procedere lungo il binario della crescita e dell’autonomia. In tutto questo, i genitori svolgono un ruolo delicatissimo e complesso, che in molti casi avviene naturalmente, per sostenere il cucciolo umano ed infondergli sicurezza, fiducia nelle proprie capacità ed autostima, ma anche, inevitabilmente, consapevolezza dei propri limiti e superamento del “delirio di onnipotenza”, favorendo quindi la definizione armonica di una personalità matura. In genere, abbiamo detto, tutto ciò avviene in modo spontaneo, senza che i genitori debbano studiare manuali o interiorizzare teorie evolutive. A volte, però, qualcosa non và a segno in queste articolate dinamiche relazionali, e allora può emergere ciò che Kohut ha definito “fallimento empatico da Oggetto-Sé”: il bambino non trova la spinta necessaria alla propria crescita psicologica nel rispecchiamento genitoriale, e nel proprio mondo inconscio si deposita l’intrinseca convinzione di un difetto fondamentale, una sorta di angoscia inafferrabile, un’enigmatica sensazione di inadeguatezza che l’individuo, anche quando divenuto adulto, continuerà ad avvertire, sentendosi sospinto verso l’inesorabile ricerca di conferme sul proprio valore. Dunque, nel sistema di difese psicologiche adottate (sempre a livello inconscio!), potremmo semplificare enunciando che il narcisista dalla pelle spessa pensi: “poiché il mio valore non è mai stato riconosciuto dal mondo esterno, ora tu, mondo esterno, fermati ed ammira! Riconoscimi finalmente!”, mentre il narcisista dalla pelle sottile chieda: “sono già stato svalutato (non riconosciuto) abbastanza, ora tu, mondo esterno, non continuare a svalutarmi e a disinteressarti di me, o reagirò distanziandomi!”. Ovviamente questa è solo una semplificazione, nella realtà i casi clinici si presentano in maniera molto più diversificata. Olte a ciò, si consideri che tendenzialmente al narcisista non bastano una o più conferme, quell’inconscio sentimento di disvalore continuerà a “bussare” nella forma di un’ansia relazionale, e il soggetto difficilmente diverrà consapevole di quelle ferite Dott. Gianni Di Nuzzi Psicologo clinico esperto in Neuropsicologia n. iscr. OPL 03/13197 www.giannidinuzzi.it di base che lo orientano in modo disadattivo, a meno che non decida di accedere ad un percorso di cura, che nel caso della pelle spessa non avviene di frequente... Un’ultima considerazione, importante ma breve per esigenze di sintesi, riguarda la dimensione sociologica e storico-culturale. I comportamenti dei singoli sono rinforzati o scoraggiati dal modello culturale vigente in una data società, per cui, ad esempio, un narcisista patologico dalla pelle spessa (che la psichiatria ufficiale denomina “Disturbo Narcisistico di Personalità”) troverà un certo tipo di risposta nell’ambiente esterno, e questa risposta contribuirà ad orientare il suo comportamento. In tal senso, che tipo di società abbiamo di fronte quando pensiamo ad un paese occidentale del XXI secolo, ad esempio l’Italia? Una società che informa il proprio stile comunicativo secondo i canoni della bellezza esteriore, dell’apparire, di un’estetica giovanilistica impeccabile e scintillante, di una competizione sgomitante a scapito dell’altro, dove i messaggi impliciti della classe dirigente sembrano affermare: “è legittimo calpestare per arrivare primi!”, ebbene, una siffatta società, quanti narcisisti pseudo-patologici è in grado di sfornare? La domanda è palesemente retorica, e qui mi fermo, auspicando che tale riflessione venga condivisa e diffusa, affinché l’essere, la sua essenza, la sua umana profondità tornino a farsi spazio, in un mondo tribolato e afflitto da un’aberrante moda socio-relazionale, mai sazia nel proporre abiti artificiosi sulla pelle, spessa o sottile, di un’umanità che appare sempre più esecrabilmente assuefatta. Principali riferimenti bibliografici: Galimberti, U.(1999), Psicologia, Garzanti, Milano. Kohut, H. (1976), Narcisismo e analisi del Sé, tr. it. Bollati Boringhieri, Torino. Dott. Gianni Di Nuzzi Psicologo clinico esperto in Neuropsicologia n. iscr. OPL 03/13197 www.giannidinuzzi.it