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I volumi di base
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i COMPENDI
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Gianni
de Luca
in Italia
Compendio di
Diritto
Consolare
In appendice:
Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, Protocolli
relativi e principali normative nazionali e comunitarie
Analisi ragionata degli istituti
Domande più ricorrenti in sede
d’esame o di concorso
2008
Gruppo Editoriale
SIMONE
EDIZIONI GIURIDICHE
Esselibri - Simone
Estratto della pubblicazione
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TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Vietata la riproduzione anche parziale
Di particolare interesse per i lettori di questo volume segnaliamo:
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Diritto Internazionale Pubblico
Compendio di Organizzazione Internazionale
Prepararsi per l’esame di Diritto Internazionale
Schemi e schede di Diritto Internazionale
La tutela internazionale dei diritti umani
Le Nazioni Unite (ONU) e gli istituti specializzati
Ideazione e direzione scientifica del prof. Federico del Giudice
Ha collaborato alla stesura del volume Giovanna Cammilli
Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it
ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati
Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.
(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)
Finito di stampare nel mese di agosto 2008
dalla «INK & PAPER s.r.l.» Via Censi dell’Arco, 22 - Cercola (NA)
per conto della ESSELIBRI S.p.A., Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli
Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno
PREMESSA
La funzione diplomatica e quella consolare costituiscono due elementi imprescindibili del corretto svolgimento delle relazioni interstatuali. Da un lato,
esse si completano a vicenda, formando un sistema omogeneo e coerente di
politiche con cui lo Stato partecipa alla società internazionale; dall’altro, ognuna
ha sviluppato un proprio corpus giuridico in aderenza alle funzioni svolte.
Questo volume tratta specificamente della funzione consolare: si parte da
un excursus storico per comprenderne la nascita e l’evoluzione, si analizza
l’importante tema delle immunità e dei trattamenti privilegiati, per giungere ad
una descrizione, per quanto possibile esaustiva, delle competenze attribuite al
Console e all’intero ufficio consolare in materia di assistenza ai connazionali
all’estero, anche alla luce degli sviluppi del processo di integrazione in ambito
europeo.
Il testo contiene puntuali riferimenti alle fonti normative che disciplinano
la funzione consolare, allo scopo di fornire al lettore i corretti riferimenti; allo
stesso tempo, si sofferma sull’analisi di istituti e fattispecie riconducibili ad
altri rami del diritto (civile, penale, marittimo, etc.), in modo da rispondere alle
esigenze di chi non vuole ricorrere ad una pluralità di testi per reperire le nozioni base di cui ha bisogno.
Queste caratteristiche rendono il presente volume un valido supporto per coloro che intendono partecipare a concorsi pubblici indetti dal Ministero degli
Affari esteri, o che già prestino servizio presso un ufficio consolare; per gli studenti universitari di discipline giuridiche ed internazionalistiche, nonché per quanti
vogliono approfondire le proprie conoscenze sulla materia consolare.
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Capitolo 1 Cenni storici sulle funzioni
diplomatica e consolare
Sommario 冟 1. Nascita ed evoluzione della figura del diplomatico. - 2. Funzioni diplomatica e consolare. - 3. La missione diplomatica. - 4. Le missioni consolari,
funzioni e natura dell’exequatur. - 5. L’era delle codificazioni: premessa. - 6.
La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961). - 7. La
Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari (1963-67).
1. Nascita ed evoluzione della figura del diplomatico
A) Egizi e città-Stato greche
Datare la nascita della diplomazia è un’impresa estremamente ardua.
È opinione comune che sin dalla preistoria, quando gli uomini iniziarono ad organizzarsi in gruppi sociali e a lottare tra loro, si sia avvertita la necessità di inviare emissari
per proporre tregue ai combattimenti in corso.
Storicamente, i primi ad avviare contatti formali con i popoli vicini, creando una
sorta di «proto diplomazia», furono gli egizi: nel 1887 vennero ritrovate delle tavolette di argilla, note come «Lettere di Amarna», che costituivano l’archivio reale
dei Faraoni egizi. Si tratta di documenti di vario genere, ma alcuni di essi rappresentano una vera e propria corrispondenza diplomatica che i funzionari del faraone avviarono con babilonesi, assiri, ittiti ed altre popolazioni allo scopo di instaurare una pacifica convivenza nell’area mesopotamica, ad esempio mediante lo sviluppo di traffici commerciali, l’avvio di trattative matrimoniali a fini politici e la
stipula di alleanze militari.
Nel mondo greco i rapporti diplomatici erano altrettanto importanti, conseguenza del
frazionamento delle città-Stato. I greci istituirono una serie di immunità diplomatiche
ai rappresentanti delle polis, che divennero presto una prassi consolidata pur non essendo oggetto di una codificazione scritta. Furono pertanto i primi a comprendere che,
in caso di guerra e ostilità non guerreggiata, se gli emissari delle città-Stato fossero
stati uccisi o catturati sarebbe diventato impossibile condurre qualsiasi trattativa di
pace; ad essi andavano perciò riservati privilegi straordinari, primo fra tutti l’inviolabilità personale.
Nel VI sec. a.C., inoltre, i greci iniziarono a scegliere i propri ambasciatori tra i migliori oratori e avvocati del foro. Le scuole di retorica diventarono al tempo stesso scuole
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Capitolo 1
di diplomazia, poiché si capì che per condurre una politica estera di successo erano
indispensabili personalità dotate di carisma, tatto e buona dialettica.
B) La diplomazia a Roma
Una diplomazia simile a quella moderna nacque, però, parallelamente all’espansione
imperiale di Roma. Se formalmente l’Impero romano si formò dopo l’assunzione della dittatura da parte di Gaio Giulio Cesare, in realtà già durante il periodo repubblicano
Roma aveva intrapreso una politica di conquista e aveva trasformato i territori acquisiti
in province interne, sottoponendole al suo imperium.
L’Impero romano aveva quindi bisogno sia di funzionari interni, che controllassero le popolazioni sottomesse, sia di funzionari all’estero, che avviassero relazioni
pacifiche con le entità politiche confinanti. Essi presero il nome di legati (1), e nel
tempo divennero cariche politico-diplomatiche di rilievo. Il legatus veniva nominato dall’imperatore e successivamente inviato nella destinazione prescelta per
intrattenere collegamenti politici, economici, commerciali o di altro tipo con la
capitale, Roma. Il suo ruolo era quello di ambasciatore, ovvero di un nunzio privo
di poteri militari, ma latore di messaggi e proposte di trattativa tra eserciti e governanti.
In questo modo veniva creata una rete diplomatica stabile sia all’interno, tra l’Impero
e le sue province, che all’estero, tra l’Impero e le altre realtà politiche; vennero così
prodotti i primi documenti «diplomatici», quali ad esempio lasciapassare e permessi di
transito, che prendevano il nome di diplomas e venivano raccolti in appositi archivi di
Stato.
La diplomazia romana non va però intesa come quella attuale: nel caso delle
province, le relazioni avviate da Roma non si basavano sul riconoscimento di
soggetti politici di pari rango, bensì sull’imposizione della propria superiorità
militare e di un conseguente rapporto di subordinazione; esisteva una struttura
diplomatica permanente, ma certamente non articolata in uffici competenti per
materia in cui fosse possibile distinguere tra una funzione propriamente diplomatica ed una consolare.
Rimane comunque il fatto che il diritto romano fu il primo a codificare uno jus
legationis, ad istituire a tale scopo un legatus quale precursore dell’odierno ambasciatore e ad attribuirgli mediante norme scritte privilegi particolari, come l’inviolabilità personale, affinché potesse svolgere appieno la sua funzione di rappresentanza.
(1) In età repubblicana il legatus era un membro dell’ordine senatorio che poteva essere posto al comando di
una legione (legatus legionis), con attribuzioni essenzialmente militari, o al governo di una provincia (legatus
Augusti pro praetore).
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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C) La diplomazia bizantina
Con l’appartenenza all’Impero romano (2), i bizantini appresero la centralità delle
ambasciate nello svolgimento delle relazioni internazionali e svilupparono alcuni elementi tipici della funzione diplomatica.
Istituirono un cerimoniale ad hoc per accogliere gli ambasciatori provenienti da entità
politiche straniere ed ufficializzarono la consegna delle credenziali e la ratifica dei
trattati.
Agli ambasciatori vennero riconosciuti formalmente l’inviolabilità personale e delle loro
residenze sulla base del criterio di reciprocità, ovvero nella misura in cui gli Stati terzi
concedessero gli stessi privilegi ai propri emissari. Oltre a ciò, gli imperatori bizantini
contribuirono a creare la figura del diplomatico di professione, attribuendogli compiti
specifici, quali ad esempio la stesura di rapporti periodici sulla situazione interna del
Paese di destinazione e la rappresentanza ufficiale degli interessi dell’Impero.
D) La diplomazia del Papa
La funzione diplomatica si perfezionò nell’ambito della Chiesa cattolica, su esigenza
del pontefice di inviare propri rappresentanti nelle aree in cui si era diffuso il cristianesimo per dirimere le dispute religiose e per far valere la propria autorità alle riunioni
conciliari. Nacque così la diplomazia pontificia, ed il primo inviato pontificio comparve al sinodo di Arles nel 314, un anno dopo l’Editto di Costantino, durante il pontificato di Silvestro I. Dopo lo scisma d’Oriente che coinvolse l’Impero romano, la figura
del mero inviato fu sostituita da quella dell’apocrisario, un nunzio che il Papa inviava
a Costantinopoli, ricevendo il suo equivalente a Roma, in qualità di portavoce (3). Tra
i secoli V e VIII tale carica venne istituzionalizzata e l’apocrisario si trasformò nel
rappresentante ufficiale e permanente del pontefice.
Durante il pontificato di Innocenzo I, nel V secolo, alla Chiesa cattolica fu riconosciuta
una prerogativa che andava oltre la mera rappresentanza: mediante una bolla, il Papa
poteva nominare un vicario apostolico che si occupasse del vescovado e della gestione delle ordinazioni vescovili su tutto il territorio dell’Impero, potestà che fino ad
allora era appartenuta all’Imperatore. Ciò comportava non solo una maggiore autonomia della Chiesa, ma addirittura l’applicabilità del diritto canonico, che prevaleva su
quello dell’Impero in materia di nomine vescovili.
E) Medioevo e Rinascimento
Nel Medioevo non vi furono innovazioni di rilievo: a differenza del periodo romano, il
diplomatico rimaneva sostanzialmente un delegato pro tempore, inviato dal sovrano in
(2) Bisanzio fu ceduta a Roma in età repubblicana, quando Attalo III, ultimo sovrano del regno di Pergamo che
deteneva un controllo indiretto sulla città-Stato bizantina, la cedette ai romani nel suo testamento (180 a.C.).
(3) Il termine deriva dal greco apòkrisis, risposta: in origine designava un funzionario della corte di Bisanzio,
incaricato di trasmettere i rescritti dell’imperatore nelle province.
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Capitolo 1
uno Stato terzo per intrattenere relazioni pacifiche, ma senza poter godere di una struttura fissa in cui esercitare la sua carica.
Solo durante il Rinascimento, in Italia, fu istituita una diplomazia intesa in senso moderno: furono i Principati italiani, infatti, a dar vita a missioni diplomatiche permanenti (4) che rappresentassero i rispettivi interessi e si impegnassero nella stipula di
accordi. In quest’opera si distinse la Repubblica di Venezia, il cui Senato definiva il
modus operandi dell’ambasciatore, le scadenze da rispettare nella presentazione di
rapporti periodici, la loro cifratura, ecc.
Gli ambasciatori ricevevano l’incarico di monitorare le attività interne del Paese ospitante, soprattutto in ordine a questioni politico-militari; talvolta si trasformavano in
vere e proprie spie, il cui obiettivo consisteva nell’intercettare i dispacci degli altri
diplomatici, svolgere attività occulte di propaganda, scoprire i segreti di Stato e trasmetterli al proprio governo.
Sospettosi del loro operato, spesso i Paesi accreditanti ricorrevano a misure detentive
cautelari per autotutelarsi, al punto che nel XVI sec. esse si erano trasformate in un
abuso nei confronti degli ambasciatori stranieri, che provocava ritorsioni e un generale
clima di ostilità.
F) Le nuove guarentigie dei diplomatici
Si affermarono pertanto due princìpi connessi tra loro, l’extraterritorialità e l’immunità dalla giurisdizione penale (ma non ancora civile) (5): si riteneva che la sede
diplomatica fosse una sorta di appendice territoriale dello Stato di appartenenza, e che
dovesse essere pertanto sottoposta alle sue leggi e al suo potere coercitivo pur trovandosi sul territorio di un Paese straniero; solo in questo modo, il Paese ospitante non ne
avrebbe ostacolato l’attività diplomatica (nel rispetto del brocardo latino ne impediatur legatio). Data l’ampia gamma di inviolabilità e immunità concesse da allora in poi,
si iniziò a parlare di «sacertà» del diplomatico, quasi si trattasse di una figura sacra ed
intoccabile.
Il sistema della diplomazia italiana si estese anche agli altri Paesi europei, assumendo
come obiettivo principale, a partire dal XVII sec., l’equilibrio tra le grandi potenze. In
questo stesso periodo fu elaborato un codice etico formale che il diplomatico era tenuto a rispettare, ed il giurista olandese Ugo Grozio pose le basi di una nuova branca del
diritto, il diritto internazionale, che includeva anche norme riconducibili alla condotta del diplomatico e della diplomazia nel suo complesso.
(4) La prima missione permanente, secondo fonti storiche accreditate, fu quella del duca di Milano Francesco
Sforza, istituita a Genova nel 1455. Nel Rinascimento autorevoli personalità svolsero funzioni diplomatiche di
rilievo, tra cui Dante, Machiavelli e Guicciardini.
(5) Si riteneva che anche le navi situate nelle acque territoriali di uno Stato straniero dovessero essere immuni
dal suo potere giurisdizionale e coercitivo.
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Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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G) La diplomazia dopo la Pace di Westphalia
La pace di Westphalia nel 1648 segna convenzionalmente la nascita degli Stati nazionali
moderni, quali soggetti internazionali di pari dignità giuridica perché tutti sovrani ed
indipendenti. Da quella data si intensificarono le relazioni internazionali e si moltiplicò
l’invio di missioni diplomatiche permanenti (6). L’ambasciatore divenne formalmente il
rappresentante di più alto rango di uno Stato all’estero, coadiuvato da organi consultivi
che possono essere definiti come i precursori dell’odierno Ministero degli Affari esteri.
Nei secoli successivi l’organizzazione dell’attività diplomatica fu gradualmente perfezionata; vennero create strutture interdipendenti ma distinte: il Ministero degli esteri,
quale organo di vertice con sede sul territorio nazionale, e le missioni diplomatiche e
consolari diramate all’estero, che armonizzavano la propria azione nel quadro di una
politica estera delineata dal primo. Si completò così la differenziazione tra la figura del
diplomatico e quella del console, ognuno dotato di competenze specifiche.
2. Funzioni diplomatica e consolare
Come detto in precedenza, in origine la diplomazia consisteva nell’invio di propri
emissari all’estero, essenzialmente in tempo di guerra per concordare il ripristino di
rapporti pacifici; nel tempo, la figura del diplomatico fu istituzionalizzata, in quanto
rappresentava una presenza permanente sul territorio dell’entità politica ospitante.
Il «diplomatico» veniva posto al vertice di una Legazione che svolgeva sia funzioni
propriamente diplomatiche (difesa degli interessi dello Stato di appartenenza), che
funzioni di tipo consolare (protezione e assistenza dei connazionali); solo in età moderna, come detto, si assistette ad una migliore organizzazione degli organi diplomatici presenti all’estero, mediante la creazione di una struttura complessa e articolata,
all’interno della quale sussistevano due organi con competenze distinte ma complementari: il diplomatico ed il console.
A) Il significato di Consul nell’antica Roma e di «prosseni»
In realtà, durante la fase repubblicana gli antichi Romani indicavano con il termine
consul una carica diversa da quella attuale: il consolato era il livello più alto della
magistratura, rivestito da due consules che esercitavano collegialmente il supremo potere
civile e militare; essi provvedevano agli interessi dello Stato, in qualità di tutores rei
publicae, ma svolgevano la loro opera sul territorio nazionale.
In età imperiale la carica consolare fu progressivamente privata dei poteri originari,
pur continuando ad avere un alto valore simbolico, finché i consoli si trasformarono in
funzionari nominati all’estero dall’imperatore per assistere gli stranieri e tutelare i
traffici commerciali.
(6) Basti pensare che nel 1661 la Francia aveva ben ventidue rappresentanti permanenti all’estero.
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Capitolo 1
Ancora in età antica, nelle città greche i governi locali nominavano dei prosseni, originari del luogo, conferendo loro il mandato di tutelare gli stranieri: essi possono essere
considerati i precursori degli attuali consoli onorari, o di II grado, prescelti da uno Stato
straniero per svolgere la loro attività nel territorio dello Stato di cui sono cittadini.
B) Il Medioevo
Nella prima fase del Medioevo, parallelamente all’espansione del commercio marittimo, si avvertì la necessità di tutelare i navigatori e mercanti che approdavano in un
Paese straniero dalle leggi di quest’ultimo; essendo talvolta costretti a risiedere all’estero per lungo tempo, al fine di poter svolgere i loro affari, ottennero la possibilità
di creare una giurisdizione autonoma a cui ricorrere per dirimere le controversie sorte
con i propri connazionali in loco. Sulla base di accordi con il Paese di origine, quello
ospitante consentiva che appositi agenti tutelassero i rispettivi connazionali, percepissero le imposte sul commercio (7) ed espletassero funzioni giurisdizionali in nome dei
loro sovrani.
C) Il Consolato del Mare
Le stesse prerogative in campo marittimo e commerciale, nell’area mediterranea, furono attribuite ad un organo ad hoc, il cosiddetto Consolato del Mare. Esso era composto
da consoli-giudici che uno Stato inviava in un altro per risolvere contenziosi tra i propri sudditi.
Più specificamente, un Consolato del Mare esercitava una giurisdizione di primo grado, per le cause tra padroni di navi e mercanti, e di appello, per tutte le altre questioni
marittime e mercantili.
I principali furono il Consolato di Barcellona, che nel 1494 codificò il diritto marittimo fino ad allora
consuetudinario, e quello di Venezia, che nel 1599 riscrisse il codice barcellonese, includendovi
«tutti gli Statuti et Ordini: disposti da gli antichi, per ogni caso di Mercantia et di Navigare: così a
beneficio di Marinari, come di Mercanti, et Patroni di nave, et navilij […]» (8). I suddetti testi normativi furono entrambi chiamati «Consolati del Mare», assumendo quindi la stessa denominazione
dell’organo che li aveva redatti.
D) Le capitolazioni
La figura del console-giudice si diffuse anche in Oriente, ricevendo però come incarico fondamentale quello di applicare l’istituto giuridico delle capitolazioni. Il regime
delle capitolazioni consisteva in una serie di obbligazioni unilaterali, ovvero speciali
concessioni che a decorrere dall’XI sec. furono attribuite dall’Impero bizantino alle
Repubbliche marinare italiane e, successivamente, ad altre città italiane e Paesi euro(7) Le imposte sul commercio ricordano senza dubbio i «diritti consolari» odierni.
(8) Gli altri Comuni dell’Italia medievale recuperarono invece la carica di console di tradizione romana, quale
magistrato investito di poteri civili e militari (essenzialmente, il potere esecutivo ed il comando militare in caso di
guerra).
Estratto della pubblicazione
Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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pei. Dopo la caduta dell’Impero d’Oriente e l’insediamento dell’Impero ottomano a
Costantinopoli, i sultani confermarono tali concessioni, non disponendo di un proprio
diritto sul commercio e la navigazione. Le capitolazioni garantivano ai cittadini europei libertà di commercio, arte, professione e fede religiosa; inviolabilità del domicilio
da parte della polizia locale; inapplicabilità della legge islamica civile e penale; esenzione dalle imposte.
Il diritto capitolare rimase in vigore per diversi secoli (9), comportando la cessione di
molte prerogative sovrane da parte dei territori dell’Impero ottomano. Una volta abolito, i Paesi europei decisero di non ritirare i propri consoli, ma di attribuire loro nuove
competenze e, sulla base del principio di reciprocità, di acconsentire alla presenza sul
territorio nazionale di consoli e consolati provenienti da Oriente.
3. La missione diplomatica
Si giunse così alla nascita della missione consolare moderna, ben distinta da quella
diplomatica. Ad oggi, le principali differenze consistono negli atti da esse prodotti,
nelle rispettive competenze e nelle procedure previste allo scopo di avviare le relazioni
tra due Stati.
La missione diplomatica ha sede nella capitale dello Stato accreditatario, in permanente contatto con i suoi organi centrali (Ministri, capo dello Stato e del Governo,
ecc.): ne deriva che gli atti emanati sono il prodotto di una concertazione interstatale,
riconducibili pertanto al diritto internazionale.
I suoi compiti consistono nel rappresentare lo Stato di appartenenza, proteggerne gli interessi nello Stato accreditatario, fornire assistenza ai propri connazionali, negoziare con il
governo dello Stato che li ospita, inviare rapporti allo Stato accreditante su quanto accade in
quello accreditatario, e promuovere tra essi rapporti amichevoli, anche intensificandone le
relazioni economiche, commerciali, culturali o di altro tipo. Essa può svolgere le proprie
prerogative solo dopo una complesso iter che prende il nome di accreditamento:
— il Ministero degli esteri (o l’organo equivalente) dello Stato accreditante richiede il
gradimento dello Stato accreditatario nei confronti dell’agente diplomatico designato come capo missione;
— il Ministero degli esteri dello Stato accreditatario comunica a quello dell’accreditante il gradimento; qualora esso venga negato, il diplomatico viene formalmente
ritenuto persona non grata;
— l’organo competente dello Stato accreditante, solitamente il capo di Stato, consegna all’agente diplomatico un’apposita lettera credenziale, nella quale attesta che
è abilitato dal suo governo ad esercitare le funzioni di capo missione;
(9) In Egitto, ad esempio, il regime delle capitolazioni fu abolito solo nel 1948, in seguito alla stipula di un
Accordo Anglo-egiziano firmato nel 1936 e comprendente un periodo di transizione che sarebbe durato 12 anni.
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Capitolo 1
— l’agente accreditato presenta pro manibus la lettera credenziale all’organo competente dello Stato accreditatario, (trattasi anche in questo caso, generalmente, del
Capo di Stato, essendo necessaria una parità di rango ai sensi del protocollo diplomatico), durante una cerimonia solenne che però ha un valore solo formale: l’agente diplomatico, in realtà, ha già ottenuto il gradimento ed il visto diplomatico, con
cui è entrato in territorio straniero.
Per l’agente diplomatico che non ha il ruolo di capo missione è prevista una procedura
semplificata: il Ministero degli esteri dello Stato accreditante trasmette una comunicazione dell’avvenuta nomina, in cui è ovviamente implicita la richiesta di gradimento,
ed in risposta il Ministero degli esteri dello Stato accreditatario comunica la presa
d’atto, dalla quale si desume l’avvenuto gradimento.
4. Le missioni consolari, funzioni e natura dell’exequatur
A) Generalità e funzioni del console
Quanto alle missioni consolari, esse sono organi di carattere più tecnico-amministrativo (10). A differenza delle missioni diplomatiche, nello Stato ospitante vi sono varie
sedi, dette genericamente posti consolari, ognuna competente ratione loci per la parte
del territorio in cui è collocata (ma può anche esistere un solo posto consolare responsabile di tutto il territorio o del territorio di più Stati).
Le funzioni consolari sono variate nel tempo: inizialmente al Console, per provvedere
all’assistenza dei propri connazionali, erano stati concessi pieni poteri nell’applicazione di leggi patrie in territorio straniero; in seguito alle rimostranze del Paese ospitante,
che rivendicava per sé molte di tali prerogative nel rispetto del principio di sovranità, la
funzione consolare si andò progressivamente restringendo, fino a trasformarsi in una
tutela degli interessi dei connazionali rispettosa dell’ordinamento giuridico straniero
(e solo in quanto tale, ritenuta legittima dal Paese in cui essa avviene).
La tutela consolare ha carattere preventivo, perché evita allo Stato ospitante la violazione del diritto internazionale sulla tutela degli stranieri, e localizzato, perché a differenza della missione diplomatica (che si relaziona agli organi centrali dello Stato),
quella consolare intrattiene rapporti con le autorità locali.
Le funzioni del Console possono essere così classificate:
— proteggere nello Stato di residenza gli interessi dello Stato d’invio e dei suoi cittadini, siano questi persone fisiche oppure giuridiche, nei limiti ammessi dal diritto
internazionale;
— favorire lo sviluppo di relazioni economiche, culturali, scientifiche o di altro tipo;
— fare rapporto al proprio governo, o alle persone fisiche e giuridiche interessate,
della vita commerciale, economica, culturale e scientifica dello Stato di residenza;
(10) L’eminente giurista e docente italiano Biscottini definiva il console un «funzionario amministrativo».
Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
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— concedere passaporti, visti e documenti di viaggio;
— prestare soccorso e assistenza ai connazionali, in particolare a minorenni ed incapaci qualora si renda necessaria l’istituzione di una tutela o di una curatela;
— agire come notaio e ufficiale dello stato civile ed esercitare talune funzioni d’ordine
amministrativo, purché non ostino le leggi e i regolamenti dello stato di residenza;
— tutelare gli interessi dei cittadini in materia successoria;
— rappresentare in giudizio i connazionali o provvederli di una rappresentanza appropriata davanti ai tribunali o alle altre autorità dello Stato di residenza;
— trasmettere atti giudiziali e stragiudiziali o eseguire commissioni rogatorie secondo gli accordi internazionali vigenti o, in mancanza di tali accordi, in maniera compatibile con le leggi e i regolamenti dello Stato di residenza;
— esercitare i diritti di controllo e d’ispezione, previsti dalle leggi e dai regolamenti
dello Stato d’invio, sui navigli marittimi e sui battelli fluviali battenti bandiera di
tale Stato, sugli aeromobili immatricolati nello stesso e sui loro equipaggi;
— prestare assistenza ai suddetti, ricevere le dichiarazioni sul viaggio di navigli e battelli,
esaminare e vistare le carte di bordo, fare inchieste sugli infortuni occorsi nella traversata
e comporre le controversie di qualsiasi natura tra il capitano, gli ufficiali e i marinai;
— esercitare tutte le altre funzioni affidate a un posto consolare dallo Stato di invio,
compatibili con leggi e regolamenti dello Stato di residenza e con gli accordi bilaterali in vigore tra i due Stati.
B) I soggetti della funzione consolare
I soggetti responsabili della funzione consolare si distinguono gerarchicamente in console generale, console, viceconsole o agente consolare.
Il console generale riceve il suo incarico mediante una lettera patente firmata dal capo di
Stato o dal Ministro degli esteri (o dall’organo corrispondente), mentre nel caso del console, del viceconsole e dell’agente consolare la lettera patente viene rilasciata dal soggetto di rango superiore o dal capo della missione diplomatica presente in quel Paese.
Il capo della missione diplomatica provvede poi a notificare la nomina al Ministero
degli esteri dello Stato ospitante, e quest’ultimo rilascia un’autorizzazione di gradimento che prende il nome di exequatur («si esegua»).
Nel rispetto del principio di reciprocità, l’exequatur viene concesso dall’organo che ha
lo stesso rango di quello che ha firmato la lettera patente (dunque, il capo di Stato o il
Ministro degli esteri), per essere, infine notificato dal Ministro degli esteri al capo
della missione diplomatica dello Stato che ha inviato l’agente consolare.
A differenza degli atti necessari all’accreditamento dei diplomatici, lettera patente ed
exequatur rientrano nell’ambito del diritto interno.
Missioni diplomatiche e consolari creano una rete interdipendente che garantisce coerenza alla politica estera di uno Stato; è per questo che i posti consolari dipendono
dalla missione diplomatica accreditata nello Stato di residenza. Le loro prerogative ed
i privilegi che ad esse spettano sono disciplinati da norme evolutesi in un processo
consolidatosi nei secoli.
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Capitolo 1
5. L’era delle codificazioni: premessa
Sebbene le funzioni diplomatica e consolare si distinguano per competenze, incarichi
e atti prodotti, da un punto di vista formale le fonti del diritto sono le medesime.
In origine, le funzioni diplomatica e consolare venivano disciplinate dalla sola comitas
gentium, ovvero da regole di comportamento, solitamente non scritte ed esistenti tutt’oggi, che invitano alla «cortesia» a livello internazionale e all’instaurazione di rapporti pacifici.
Esse stabiliscono i princìpi di non discriminazione e reciprocità, ma non trattandosi di
norme giuridiche, la loro inosservanza non comporta un illecito internazionale, rappresentando una mera scortesia politica che potrebbe però ledere il buon andamento
dei rapporti diplomatici.
La comitas gentium è parte imprescindibile del cerimoniale diplomatico e consolare,
inteso come complesso di procedure, tecniche e norme di comportamento che gli organi della diplomazia devono assumere nel relazionarsi a soggetti di pari rango. Al cerimoniale appartiene l’oratoria diplomatica, uno stile retorico enfatico fatto di precise
formule ed espressioni verbali con cui intercorrono comunicazioni scritte a livello internazionale.
Le prime fonti del diritto diplomatico e consolare ad essere prodotte, con effetto vincolante, furono ovviamente le consuetudini.
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Cosa sono le consuetudini?
Trattasi di fonti-fatto di natura spontanea, caratterizzate dalla diuturnitas (il ripetersi di un determinato
comportamento in maniera costante) e dall’opinio iuris sive necessitatis (la convinzione dell’obbligatorietà del comportamento stesso); esse vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale (secondo la norma consuetudo est servanda), sia quelli responsabili della sua formazione, sia quelli sorti in
un’età storica successiva.
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Qualora nascano dei comportamenti condivisi da uno specifico gruppo di Stati, e non
dall’intera comunità internazionale, si parla di consuetudini particolari, applicabili
solo nei rapporti che intercorrono tra quei soggetti (11).
Una fonte secondaria è l’analogia iuris, secondo cui, nel giudicare un caso concreto, è
possibile sopperire all’assenza di una norma giuridica applicando una norma relativa
ad una fattispecie affine.
Nell’ambito del diritto particolare, infine, la fonte per eccellenza è l’accordo scritto.
L’accordo tipico è quello bilaterale: trattasi di un patto stipulato tra due Stati in cui
vengono fissati i procedimenti protocollari delle loro relazioni diplomatico-consolari,
subordinato alle consuetudini e alla norma pacta sunt servanda.
(11) Molte consuetudini particolari sussistono, ad esempio, tra gli Stati arabi, i cui diplomatici ricorrono a formalità, dovute ad una certa omogeneità culturale, che differiscono da quelli adoperati per rapportarsi ai diplomatici
occidentali.
Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
冟 15
Ma a partire dal secondo dopoguerra si è avvertita l’esigenza di razionalizzare il diritto
diplomatico e consolare attraverso la successiva stipula di due trattati multilaterali: la
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, del 1961, e la Convenzione di
Vienna sulle relazioni consolari, entrata in vigore due anni dopo. Entrambe furono
redatte dalla Commissione di Diritto Internazionale (organo sussidiario dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ai sensi dell’art. 13, comma I, dello Statuto ONU,
secondo il quale «L’Assemblea Generale intraprende studi e fa raccomandazioni allo
scopo di: a) promuovere la cooperazione internazionale nel campo politico ed incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione […]».
6. La Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961)
A) La missione diplomatica
La Convenzione adottata a Vienna il 18 aprile 1961, ed entrata in vigore nel 1964,
consta di 53 articoli che riassumono le norme di diritto diplomatico precedentemente
sorte per via consuetudinaria.
Ai sensi dell’art.1, una missione diplomatica è composta dal capo missione e dagli
altri agenti diplomatici (12), tutti denominati «membri del personale diplomatico»; dai
«membri del personale tecnico» (13); e dai «membri del personale di servizio».
Essi costituiscono i cosiddetti «membri della missione». Qualora il capo missione sia
impossibilitato a svolgere la propria funzione, viene sostituito dal soggetto di rango
immediatamente inferiore che assume così il ruolo di incaricato d’affari (ex art. 19).
In base all’art. 14, esiste una gerarchia discendente secondo cui i capi missione sono
ripartiti in tre classi: ambasciatori (o nunzi nel caso della Santa Sede); inviati o ministri
plenipotenziari (o internunzi inviati dallo Stato del Vaticano); e incaricati d’affari.
Le funzioni di una missione diplomatica, l’intera procedura di accreditamento e gli
strumenti previsti per quest’ultima (lettere credenziali, gradimento), di cui si è già
detto, sono enunciate dagli artt. 3-14. L’invio delle missioni diplomatiche deve avvenire per mutuo consenso, nel rispetto dell’art. 2 e secondo il principio per cui uno Stato,
superiorem non recognoscens, accetta la presenza di un organo straniero sul proprio
territorio solo mediante un’autolimitazione di sovranità. Ai sensi di questo stesso principio, l’art. 4, co. 2, autorizza uno Stato a non fornire spiegazioni su un eventuale
rifiuto di gradimento (ma allo stesso tempo la Convenzione non prevede procedure di
espulsione: lo Stato ospitante può revocare il gradimento semplicemente invitando
l’agente diplomatico a lasciare il territorio).
(12) Gli agenti diplomatici che collaborano con il capo missione sono consiglieri e segretari di legazione, nonostante la Convenzione non li citi espressamente.
(13) Trattasi di soggetti con competenze tecniche e settoriali (addetti militari, commerciali, etc., detti anche
attachés).
Estratto della pubblicazione
16
冟
Capitolo 1
B) Lo status diplomatico
Gli artt. 22 e seguenti definiscono nel dettaglio lo status diplomatico, ovvero un’ampia gamma di inviolabilità, immunità, diritti di protezione e trattamenti particolari.
L’inviolabilità viene garantita ai locali della missione, che insieme con i mezzi di trasporto non possono essere oggetto di perquisizione, requisizione, sequestro o misura
di esecuzione (art. 22); ad archivi e documenti (art. 24) (14); alla corrispondenza, alla
valigia diplomatica e al corriere diplomatico (o staffetta), purché munito di documento
che ne attesti la qualifica (art. 27); alla persona dell’agente diplomatico, che non può
essere sottoposto a nessuna forma di arresto o detenzione (neanche in via cautelare),
alla sua dimora privata e ai suoi beni (artt. 29 e 30).
I trattamenti particolari comprendono una completa esenzione fiscale riservata sia all’intera missione (artt. 23 e 28), che all’agente diplomatico (art. 34); libertà di spostamento e circolazione (art. 26); e libertà di comunicazione da intendersi in maniera
funzionale, cioè ai soli fini ufficiali dell’attività diplomatica.
Fulcro della Convenzione sono gli articoli relativi alle immunità, che insieme ai precedenti rendono talvolta difficile bilanciare i privilegi attribuiti all’agente diplomatico
con il rispetto delle leggi interne dello Stato accreditatario.
Ai sensi dell’art. 31, un diplomatico gode dell’immunità assoluta dalla giurisdizione
penale, salvo i casi di flagranza di reato, e di un’immunità dalla giurisdizione civile e
amministrativa parziale, che esclude le situazioni riguardanti azioni reali e possessorie
(15), azioni successorie (e a tal proposito, la Convenzione innova rispetto al diritto
consuetudinario) ed azioni relative ad attività professionali e commerciali.
L’ultimo punto sembrerebbe in contrasto con l’art. 42, che vieta al diplomatico lo svolgimento di tali attività: la dottrina ha risolto l’incongruenza applicando ai familiari
l’art. 31, lett. c), e l’art. 42 all’agente diplomatico stesso.
Nella prassi è emerso un quarto punto che andrebbe aggiunto all’art. 31: l’agente diplomatico non gode dell’immunità giurisdizionale nel caso di infrazioni al codice della strada. Ai sensi del successivo art. 32, da un lato il diplomatico può rinunciare alla
propria immunità (ad esempio per presentare una deposizione o testimoniare ad un
processo), dall’altro non può avvalersene se, dopo aver intentato una procedura giudiziaria, il convenuto presenta una domanda riconvenzionale.
La parte della Convenzione relativa alle immunità è stata quella che ha comportato maggiori difficoltà di scrittura e, successivamente, di interpretazione. Sotto un primo punto di
vista, è stato arduo dare una definizione comune di giurisdizione civile, poiché esistono
nette divergenze tra i sistemi giuridici di common law, civil law e di diritto islamico (16).
(14) In origine tale disposizione si riferiva al materiale cartaceo in possesso della missione diplomatica, ma per
analogia è stata estesa anche alla documentazione informatica, ormai prevalente in seguito alla rivoluzione dei
mezzi di comunicazione.
(15) Vale però la pena di ricordare che in Italia la deroga all’immunità è stata interpretata come applicabile nel
caso di diritti di proprietà, ma non per i contratti di locazione (secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale
nella sentenza Russell).
(16) Basti pensare che nel sistema di common law, real actions e possessory actions sono due categorie distinte.
Estratto della pubblicazione
Cenni storici sulle funzioni diplomatica e consolare
冟 17
Sotto un secondo aspetto, in dottrina manca un’uniformità di vedute sul valore da
attribuire alle immunità: per alcuni esse riguardano gli atti iure privatorum, perché
per gli atti di ufficio sarebbe improprio parlare di non punibilità trattandosi di atti
compiuti dal diplomatico non in quanto individuo, ma in quanto organo-rappresentante (agli atti d’ufficio spetterebbe pertanto a priori un’immunità derivante dal principio
di domestic jurisdiction, che impedisce allon Stato accreditatario di interferire con gli
affari interni di quello accreditante).
7. La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari (1963-67)
A) Gli uffici consolari e i loro membri
La Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, firmata il 24 aprile 1963 e vigente
dal 19 marzo 1967, seguì a ruota quella sulle relazioni diplomatiche, conseguenza della
volontà codificatrice di quegli anni. Essa comprende 79 articoli suddivisi in cinque capitoli (ad eccezione del primo) che hanno trascritto gran parte del diritto consuetudinario.
Ai sensi dell’art. 1, rubricato «Definizioni», gli uffici (o posti) consolari si distinguono
in consolati generali, consolati, vice consolati e agenzie generali; la porzione di territorio per la quale è competente un posto consolare è definita «circoscrizione consolare»
(o distretto); i soggetti che svolgono la loro attività sono il capo dell’ufficio consolare,
gli altri funzionari consolari a lui subordinati (che formano il personale consolare), gli
impiegati consolari (dotati di specifiche competenze tecnico-amministrative) ed i membri del personale di servizio.
L’art. 9 specifica in senso discendente il rango di capi dell’ufficio consolare, che possono essere consoli generali, consoli, vice-consoli o agenti consolari. Essi sono abilitati
allo svolgimento della loro missione da atti definiti lettere patenti ed exequatur (artt. 11
e 12). Generalmente i funzionari consolari devono possedere la cittadinanza dello Stato
di invio (art. 22), ma i cittadini dello Stato ospitante, con il suo consenso, possono essere
chiamati a svolgere la funzione di consoli onorari; questi ultimi, ex art.64, hanno il diritto di ricevere una protezione adeguata alla loro posizione ufficiale (17).
Al pari delle relazioni diplomatiche, anche quelle consolari avvengono per mutuo
consenso, che ha un senso politico, ma tra le due non c’è interferenza perché la rottura
delle relazioni diplomatiche non inficia il buon andamento di quelle consolari (art. 2).
Come esplicitato dall’art. 5, le funzioni consolari hanno natura preminentemente burocratico-amministrativa, ma l’art. 17 prevede che se nello Stato di residenza manca una
missione diplomatica, i funzionari consolari possano essere autorizzati all’espletamento
di atti diplomatici. Nel rispetto dell’art. 28 e del brocardo latino ne impediatur legatio,
lo Stato di residenza si impegna a non ostacolare in alcun modo lo svolgimento delle
attività consolari.
(17) Ma in realtà per usufruire di tale protezione devono presentare una richiesta motivata: si tratta di un’eccezione
insolita nella materia diplomatica e consolare, in cui nulla va motivato.
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Capitolo 1
B) I trattamenti privilegiati
Le facilitazioni, i privilegi e le immunità sono simili a quelli riservati ad una missione
diplomatica: inviolabilità di locali consolari, archivi e documenti, libertà di movimento e comunicazioni, esenzioni fiscali, etc.
Vale però la pena di ricordare che l’art. 35.3 prevede l’apertura della valigia consolare
(a differenza di quella diplomatica), in presenza di un rappresentante dello Stato d’invio, qualora le autorità competenti locali abbiano una seria giustificazione.
I funzionari consolari godono dell’inviolabilità personale, a meno che non abbiano commesso crimini gravi: in tal caso, sono sottoponibili a procedimento penale, arresto e detenzione preventiva avvisando il prima possibile il capo dell’ufficio consolare (artt. 41 e 42).
Per quanto riguarda le immunità, l’art. 43 stabilisce che né i funzionari, né gli impiegati consolari possano essere tratti in giudizio per gli atti compiuti nell’esercizio delle
loro funzioni, salvo illeciti commessi stipulando un contratto senza essere stati designati come mandatari dallo Stato d’invio ed illeciti contro i quali sia un soggetto terzo
ad intentare una causa. I membri di un ufficio consolare hanno altresì l’obbligo di
presentarsi come testimoni in procedimenti giudiziari o amministrativi.
Da quanto detto finora risulta che le due Convenzioni redatte a Vienna hanno avuto due
obiettivi.
Da un lato, cristallizzare le norme fino ad allora consuetudinarie, inserendole in testi
scritti per ragioni di certezza del diritto.
Dall’altro, armonizzare il diritto diplomatico e consolare, mediante disposizioni che
trasformano l’agente diplomatico ed il funzionario consolare in due figure entrambe
rappresentative del proprio Stato di appartenenza, in quanto tali degne di godere di uno
status per molti versi simile.
Questionario
1. Quando nacquero le prime missioni diplomatiche permanenti?
(par. 1)
2. Cos’era il Consolato del Mare?
(par. 2)
3. In cosa consiste la procedura di accreditamento?
(par. 3)
4. Come avviene la nomina del console generale e degli altri funzionari consolari?
(par. 4)
5. Quali sono le fonti del diritto diplomatico e consolare?
(par. 5)
6. Quali sono le Convenzioni codificatrici del diritto diplomatico e consolare? Qual
è il loro scopo?
(parr. 6 e 7)
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Capitolo 2 Le prerogative diplomatiche
e consolari
Sommario 冟 1. Definizione e caratteristiche dello status diplomatico e consolare. - 2. Le
prerogative derivanti dallo status diplomatico. - 3. Le prerogative derivanti
dallo status consolare.
1. Definizione e caratteristiche dello status diplomatico e consolare
Gli agenti diplomatici e consolari godono di una serie di trattamenti privilegiati, dotati
di efficacia giuridica, che ne caratterizzano lo status particolare.
Di essi fanno parte facilitazioni, privilegi ed immunità, intesi come particolari prerogative che spettano agli organi delle relazioni internazionali in virtù delle funzioni che
adempiono e dell’ufficio che rivestono. Ne deriva un’ovvia restrizione alla sovrana
potestas dello Stato ospitante, che deve consentire agli agenti diplomatici e consolari
di svolgere liberamente le loro funzioni.
Le suddette prerogative presentano talune caratteristiche imprescindibili: sono innanzitutto esenti dal principio di reciprocità, poiché nel caso di due Stati che intrattengono relazioni internazionali attraverso l’invio di missioni diplomatiche, il mancato
rispetto delle norme da parte di uno non autorizza l’altro a mettere in atto ritorsioni e
rappresaglie.
Sono, come detto, prerogative funzionali (o ratione materiae), perché spettano agli
organi diplomatici e consolari per permettere loro di svolgere la propria funzione, nel
rispetto delle direttive del proprio governo.
Infine, sono prerogative ratione temporis, la cui efficacia nel tempo si estende da quando
il soggetto entra nel territorio dello Stato ospitante fino al momento della sua partenza,
per la durata, cioè, dell’attività diplomatica.
A) La ratio dei trattamenti privilegiati
La ragione per cui al diplomatico e al console sono riservate particolari prerogative, che
li differenziano dai normali cittadini all’estero, è sintetizzata dal citato brocardo latino ne
impediatur legatio: se tali soggetti non godessero di uno speciale trattamento, qualsiasi
attività considerata «scomoda» a livello politico, anche se non necessariamente illecita,
potrebbe essere sottoposta a procedimenti giudiziari, controlli e restrizioni di libertà.
Estratto della pubblicazione
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Capitolo 2
Nel caso delle immunità giurisdizionali, ad esempio, l’obbligo dell’organo diplomatico o consolare a comparire in giudizio lo costringerebbe ad interrompere il suo ufficio,
compromettendo l’attività della missione diplomatica o del posto consolare.
Una conseguenza estrema, ma purtroppo non improbabile, potrebbe essere l’adozione
da parte dello Stato d’invio di misure di ritorsione e, più in generale, un brusco inasprimento delle relazioni tra i due Paesi.
B) I destinatari dei trattamenti privilegiati: gli individui-organi
Ulteriore motivo per cui ai diplomatici e consolari sono riservate particolari ed importanti prerogative consiste nel fatto che essi espletano la loro funzione su indirizzo del
proprio governo.
Non vanno pertanto considerati alla stregua di privati cittadini, direttamente responsabili
per atti individuali di natura volontaria; trattasi piuttosto di organi dello Stato d’invio o
della missione, che svolgono il loro ufficio nell’esclusivo interesse di quest’ultimo.
Riguardo alle immunità, in particolare, è sorta una diatriba dottrinale sulla terminologia utilizzata: secondo alcuni, infatti, sarebbe improprio parlare di «immunità», intesa
come non punibilità, per atti compiuti in veste di organo-rappresentante del proprio
Stato. Diplomatici e consolari sarebbero già tutelati dal principio di diritto internazionale di rispetto della domestic jurisdiction, che osta allo Stato accreditatario di interferire con gli affari interni di quello accreditante.
In virtù di ciò, parte della dottrina sostiene che si debba riferire il termine «immunità»
solo agli atti privati, valendo per gli atti d’ufficio una norma differente che ne garantisce comunque una tutela assoluta.
2. Le prerogative derivanti dallo status diplomatico
Nonostante le similitudini sopra descritte, lo status di agente diplomatico comprende
una serie più ampia di prerogative rispetto a quello degli organi consolari, conformemente alla portata dell’ufficio che essi ricoprono: trattasi di una funzione di carattere
«politico» più che tecnico-amministrativo, che li induce a relazionarsi con le maggiori
cariche dello Stato territoriale e da cui dipende il buon andamento complessivo delle
relazioni internazionali tra i due Paesi.
Le prime guarentigie
Le prime guarentigie, che portarono a parlare di «sacertà» del diplomatico, comparvero in Italia
durante il XVII sec. (periodo in cui si affermò, d’altronde, una diplomazia di tipo moderno).
Fino ad allora, i Paesi che ospitavano una missione diplomatica ricorrevano frequentemente a
misure detentive cautelari, nel timore che gli organi stranieri presenti sul territorio praticassero
attività di spionaggio o di propaganda politica finalizzate alla sovversione.
Si comprese dunque la necessità di ricorrere ad espedienti giuridici per ovviare a tali abusi e
permettere alla missione diplomatica di espletare il proprio mandato in piena sicurezza sul
territorio dello Stato accreditatario.
Estratto della pubblicazione
Le prerogative diplomatiche e consolari
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A) Le fonti
Le norme che disciplinano lo status diplomatico hanno tutte natura consuetudinaria,
e sono il risultato di un processo storico lungo secoli.
La loro nascita è strettamente collegata al principio, ormai desueto, di extraterritorialità della missione diplomatica: in base ad esso, originariamente la missione diplomatica veniva considerata una sorta di appendice dello Stato di appartenenza, per questo
sottoponibile unicamente alle sue leggi.
A questo principio vanno connesse le prime norme consuetudinarie, in particolare quella
espressa dal brocardo latino ne impediatur legatio: lo Stato ospitante non avrebbe
ostacolato l’operato della missione diplomatica, ma avrebbe anzi limitato volontariamente la propria potestà sovrana, non intromettendosi nei suoi affari interni e garantendo la non giustiziabilità degli atti d’ufficio degli organi diplomatici in caso di presunta violazione delle norme interne (1).
Le norme che in concreto sanciscono e descrivono le immunità del diplomatico discendono dal suddetto principio.
Nel caso delle immunità, inoltre, il difetto di giurisdizione da parte dello Stato accreditatario va interpretato anche alla luce del principio generale di diritto par in parem
non habet iudicium: dal momento che la missione diplomatica è il rappresentante
ufficiale di uno Stato all’estero, i suoi atti devono essere considerati come atti sovrani
dello stesso, e pertanto non possono essere giudicati da uno Stato terzo che, ai sensi del
diritto internazionale, gode del medesimo status giuridico.
Le prime ad emergere nella comunità internazionale furono quelle sull’immunità dalla
giurisdizione penale; solo in seguito furono riconosciute anche quelle relative alla giurisdizione civile, che perfezionarono così quella sorta di «intoccabilità» di cui gode il
diplomatico.
Come già detto, le norme sullo status diplomatico vanno rinvenute esclusivamente nel
diritto internazionale generale, in assenza di una prassi da parte degli Stati a stipulare accordi bi- o multilaterali in materia.
Questo non fa che confermare il valore cogente di tali norme, poiché a differenza del
diritto interno, in quello internazionale le fonti primarie sono proprio quelle consuetudinarie, vincolanti e imperative per tutti i soggetti.
Va però sottolineato che l’esistenza di una moltitudine di norme ha reso necessaria, per
ragioni di certezza del diritto, un’opera di razionalizzazione da parte delle Commissione
di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite, che ha codificato tutte le norme di natura
consuetudinaria nella Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961.
B) Il regime delle immunità
Le norme di maggiore importanza nella definizione dello status diplomatico sono quelle
che disciplinano il regime delle immunità.
(1) D’altra parte, gli agenti diplomatici si impegnarono a rispettare l’ordinamento vigente nello Stato che li accoglieva.
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Capitolo 2
Con il termine «immunità diplomatica» si intende la non processabilità di atti, fatti e
comportamenti posti in essere dall’organo deputato della funzione diplomatica, che risulta così esente dal comparire in giudizio dinanzi ai tribunali dello Stato accreditatario.
Il regime delle immunità varia in base al tipo di atto prodotto.
Per gli atti iure imperii, ovvero gli atti d’ufficio posti in essere dallo Stato d’invio in
qualità di ente sovrano, il soggetto diplomatico gode di immunità assoluta. Se ne deduce che sussiste un difetto di giurisdizione da parte dello Stato ospitante a prescindere
dal contenuto dell’atto e senza limiti di durata.
Per gli atti iure gestionis, ovvero gli atti d’ufficio di tipo privatistico posti in essere
dallo Stato della missione in qualità di persona giuridica e nel rispetto del diritto interno, non sempre l’agente diplomatico risulta «immunizzato» dalla giurisdizione dello
Stato territoriale, a causa dell’assenza di criteri astratti e generali applicabili in materia. Conseguentemente a ciò, è lo Stato territoriale o accreditatario a decidere autonomamente sulla processabilità o meno di tali atti, tenendo però presente che un eventuale procedimento giudiziario può essere avviato solo alla scadenza del mandato diplomatico.
C) Le immunità dalla giurisdizione penale degli agenti diplomatici
La Convenzione di Vienna del 1961 adotta un regime differenziato per i vari componenti della missione diplomatica.
Essa si occupa primariamente degli «agenti diplomatici», che ai sensi dell’art. 1 comprendono il capo della missione e tutti i membri del personale dotati del rango di
diplomatici.
Per essi, l’art. 31 sancisce genericamente che «l’agente diplomatico gode della immunità dalla giurisdizione penale (2) dello Stato accreditatario». Non essendoci ulteriori specificazioni, il dettato normativo implica la non giustiziabilità degli atti d’ufficio
(siano essi iure imperii o iure gestionis) e di quelli svolti dall’agente diplomatico in
quanto privato cittadino (atti iure privatorum).
La disposizione va però letta in combinato disposto con l’art. 39, secondo cui tutte le
immunità rimangono in vigore dall’entrata in territorio straniero fino alla partenza,
eccetto che per gli atti compiuti dall’agente diplomatico «nell’esercizio delle sue funzioni come membro della missione». Risulta in maniera ancora più palese che l’immunità dalla giurisdizione penale è assoluta per tutti gli atti d’ufficio.
L’art. 31 prevede, al par. 2, che l’agente diplomatico sia esentato dal presentarsi in tribunale anche in qualità di semplice testimone; ma conformemente al par. 4, l’immunità di
cui gode nello Stato accreditatario non lo rende del tutto «intoccabile», perché essendo
cittadino dello Stato accreditante, è sottoposto alla giurisdizione di quest’ultimo.
Le stesse immunità devono essere riconosciute dai Paesi terzi il cui territorio è percorso dagli agenti diplomatici per recarsi dallo Stato della missione a quello territoriale, o
viceversa.
(2) Criminal jurisdiction e jurisdiction pénale nelle due versioni facenti fede, ovvero quelle inglese e francese.
Estratto della pubblicazione
Le prerogative diplomatiche e consolari
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Stabilisce infatti l’art. 40: «se l’agente diplomatico attraversa il territorio o si trova sul
territorio di uno Stato terzo, che gli abbia concesso un visto se tale visto è richiesto,
per recarsi ad assumere le sue funzioni o raggiungere il suo posto, o per rientrare nel
suo Paese, lo Stato terzo gli accorderà l’inviolabilità e tutte le altre immunità necessarie per consentire il suo passaggio o il suo ritorno […]».
Dal tenore della norma si evince che tra le concessioni è implicitamente inclusa anche
l’immunità dalla giurisdizione penale, purché il soggetto sia in possesso dei documenti richiesti e purché l’immunità sia funzionale al transito temporaneo.
Un trattamento particolare spetta agli agenti diplomatici aventi la nazionalità dello
Stato accreditatario o residenti in esso: ex art. 38, il soggetto in questione ha diritto
all’immunità giurisdizionale (ivi compresa quella penale) solo in relazione agli atti
ufficiali, dovendo perciò presentarsi in giudizio per atti privati. Tale restrizione può
essere oggetto di deroga su volontà dello Stato territoriale, qualora decida di concedere
privilegi ed immunità supplementari.
D) Le immunità dalla giurisdizione penale per i soggetti che non rivestono la carica di
agenti diplomatici
La Convenzione predispone all’art. 37 un regime simile, ma non identico, per i soggetti che non rivestano la carica di agenti diplomatici.
In generale, i familiari degli agenti diplomatici ed i membri del personale tecnico e
amministrativo beneficiano delle stesse immunità degli agenti diplomatici, ma le perdono completamente ed automaticamente qualora siano cittadini o residenti nello Stato territoriale (parr. 1 e 2).
I membri del personale di servizio godono dell’immunità dalla giurisdizione solo in
relazione agli atti d’ufficio (par. 3).
I domestici privati beneficiano delle immunità solo «nella misura ammessa dallo Stato
accreditatario» (par. 4), cosa che quindi non esclude la processabilità dei loro atti.
Il diritto diplomatico prevede due norme che bilanciano parzialmente le ampie concessioni dello Stato territoriale.
In base all’art. 32 della Convenzione, da un lato, lo Stato accreditante (3) può rinunciare
all’immunità giurisdizionale di tutti i soggetti che compongono la missione, purché lo
faccia in maniera espressa, chiara (4); dall’altro, l’immunità non può essere invocata se il
soggetto inizia una procedura giurisdizionale da cui deriva un’azione riconvenzionale.
L’art. 41, infine, obbliga la missione diplomatica a rispettare le leggi ed i regolamenti
dello Stato che la ospita: si tratta di un impegno «morale», perché non pregiudica
l’immunità giurisdizionale, ma il suo mancato rispetto avrebbe comunque conseguenze gravi.
(3) Il testo della Convenzione si riferisce allo Stato accreditante sottintendendo che prima di rinunciare all’immunità, l’agente diplomatico deve sempre informare il proprio Governo.
(4) Nel silenzio della Convenzione, la dottrina ritiene che per «espressa» debba intendersi qualsiasi nota, scritta
o verbale.
Estratto della pubblicazione
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Capitolo 2
Esiste infatti una norma di «salvaguardia» dello Stato accreditatario prevista all’art. 9,
per cui in caso di eventuali trasgressioni del diritto interno esso potrebbe dichiarare un
membro del personale diplomatico come persona non grata ed invitarlo a lasciare il
territorio, senza obbligo di fornire motivazioni.
E) Le immunità dalla giurisdizione civile
Il diritto internazionale generale, come risulta dalla Convenzione codificatrice di Vienna, provvede la missione diplomatica di una serie di immunità dalla giurisdizione
civile, oltre che penale.
Tali immunità si sono affermate solo nel XX secolo (5), quando si è interrotta la prassi
di considerare gli ambasciatori come soggetti civilmente perseguibili.
La definizione di norme in quest’ambito ha richiesto un intenso lavoro di comparazione, date
le diversità tra i vari ordinamenti, fino ad individuare quei rami del diritto universalmente
riconosciuti come parte del diritto civile: il diritto privato, amministrativo e tributario.
Nella Convenzione di Vienna, gli articoli 32 (rinuncia all’immunità giurisdizionale),
37 (disciplina giuridica per i soggetti diversi dagli agenti diplomatici), 38 (disciplina
giuridica per agenti diplomatici provvisti di nazionalità e/o residenza dello Stato territoriale), 39 (efficacia delle immunità ratione temporis), 40 (immunità durante il transito sul territorio di uno Stato terzo) e 41 (rispetto di leggi e regolamenti dello Stato
accreditatario) non differenziano la materia penale da quella civile: valgono pertanto
le stesse considerazioni di cui al paragrafo precedente.
L’articolo che predispone una disciplina parzialmente diversa è il 31. Se l’immunità
dalla giurisdizione penale copre qualsiasi fattispecie, quella dalla giurisdizione civile è
sottoposta a tre deroghe.
Un agente diplomatico non può avvalersi dell’immunità nel caso di:
— azioni reali e possessorie, a meno che l’immobile non sia stato acquistato «per
conto dello Stato accreditante ai fini della missione» (par. 1, lett. a));
— azioni successorie, nelle quali l’agente diplomatico figuri come testamentario, amministratore, erede o legatario» (lett. b). Questa norma innova rispetto al diritto consuetudinario, ma una volta inserita nella Convenzione ha ottenuto il riconoscimento
da parte dell’intera comunità internazionale fino a diventare norma generale;
— azioni riguardanti attività professionali o commerciali esercitate al di fuori dell’ufficio diplomatico. Il testo normativo appare in evidente contrasto con l’art. 42,
che impone all’agente diplomatico di non svolgere attività private in vista di un
guadagno personale, a tal punto da far discutere sulla validità giuridica del punto c.
L’incompatibilità è stata risolta dando una diversa interpretazione alle due norme:
la portata giuridica della lettera c è stata estesa anche ai familiari, mentre l’art. 42
riguarda esclusivamente la sola persona dell’agente diplomatico.
(5) Ma già nella seconda metà del XIX sec. la giurisprudenza inglese aveva tentato di estendere le immunità dal
campo penale a quello civile.
Estratto della pubblicazione