Isterectomia laparoscopica per la patologia benigna

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Isterectomia laparoscopica per la patologia benigna
Isterectomia laparoscopica per la patologia benigna. Evoluzione della tecnica ed alternative.
De Placido G., Clarizia R., Conforti S., Mollo A., Cadente Colucci C.
Area Funzionale di Chirurgia Ostetrica e Ginecologica, Laparotomica ed Endoscopica, Università Federico II,
Napoli
Nonostante l’evoluzione ed il perfezionamento della tecnica laparoscopica, l’isterectomia addominale è
ancora l’intervento più frequentemente eseguito dal ginecologo. Negli USA si praticano circa 600.000
isterectomie all’anno, di cui, approssimativamente, 400.000 sono isterectomie addominali (Lepine et al.,
1997).
Per isterectomia laparoscopica si intende uno spettro di procedure chirurgiche in cui la via laparoscopica può
essere utilizzata in modo differente, dalla semplice adesiolisi alla rimozione totale dell’utero. La procedura,
eseguita per la prima volta da Reich nel 1988, veniva dallo stesso autore così classificata: TLH (isterectomia
totalmente laparoscopica), in cui tutti i tempi sono eseguiti per via laparoscopica; LAVH (isterectomia
vaginale laparoscopicamente assistita), in cui il tempo dei vasi uterini viene eseguito per via laparoscopica o
vaginale. Variante è rappresentata dalla isterectomia laparoscopica sovracervicale (LSH) o subtotale, in cui il
collo dell’utero viene conservato. Già all’epoca, infine, si prevedeva la possibilità di una linfoadenectomia
laparoscopica concomitante (LHL), in caso di patologia maligna.
Una recente meta-analisi (Johnson et al., 2005) ha messo a confronto le diverse tecniche di isterectomia
valutandone l’impatto in termini di soddisfazione della paziente, di complicanze tardive e precoci e di
vantaggio per il sistema sanitario nazionale. Sono stati presi in considerazione 27 trials randomizzati
controllati, per un totale di 3643 pazienti, in cui venivano messe a confronto le tre tecniche di isterectomia
(addominale, vaginale, laparoscopica). Riassumeremo di seguito, brevemente, i risultati riportati dagli autori
nei relativi confronti.
Quando venivano considerate l’isterectomia vaginale versus quella addominale, i tempi operatori risultavano
sovrapponibili, così come le complicanze (sebbene con un trend a favore della via vaginale). La qualità di
vita successiva riferita dalle pazienti risultava tuttavia significativamente migliore con la via vaginale.
Nel confronto con la via laparoscopica (sia LAVH che TLH) risultavano più lunghi i tempi operatori con la
laparoscopia, così come più elevato il rischio di complicanze intra-operatorie (specie i danni all’uretere). La
qualità di vita ed i tempi di recupero deponevano invece nettamente a favore della via laparoscopica, così
come risultava minore il rischio di infezioni con questo tipo di approccio.
Confrontando invece la via vaginale con quella laparoscopica, i tempi operatori risultavano significativamente
più rapidi con la via vaginale, le complicanze avevano percentuali simili, mentre la qualità di vita
praticamente sovrapponibile tra le due tecniche.
Gli autori della meta-analisi giungevano quindi alla conclusione che l’isterectomia vaginale è da preferire a
quella addominale quando possibile; ove non sia praticabile la via vaginale, l’isterectomia laparoscopica può
servire ad evitare una laparotomia, anche se comporta un rischio aumentato di danni alla vescica ed
all’uretere.
Nel nostro modo di vedere, le conclusioni della meta-analisi, sostanzialmente inoppugnabili, sono da rivedere
alla luce degli avanzamenti della tecnica laparoscopica. Da tenere in considerazione, soprattutto, il fatto che
il tasso di complicanze è sensibilmente operatore-dipendente.
Lo shift di una gran parte delle isterectomie addominali verso la via laparoscopica ci appare un fenomeno
auspicabile e forse inevitabile in futuro, piuttosto il dibattito si sposterà (e già sta accadendo in letteratura)
sulle alternative all’isterectomia per la patologia benigna.
La questione della isterectomia subtotale appare ad esempio non ancora conclusa. In pazienti
adeguatamente selezionate (e spesso motivate già di loro a quello specifico tipo di intervento) quali le donne
di età inferiore a 60 anni, con utero non esageratamente grande (<14w), assenza di prolasso, citologia
cervicale normale, e sopratutto ben disposte ad un follow-up preventivo per il moncone cervicale, la scelta
della conservazione del collo può apportare vantaggi indubbi sia all’operatore sia alla paziente.
E’ stato ultimamente pubblicato in letteratura (Hoffman et al., 2005) un trial retrospettivo che analizzava i
dati di 108 isterectomie laparoscopiche totali, 251 sovracervicali e 251 addominali. Gli autori riportano che la
degenza ospedaliera risulta nettamente ridotta con la LSH mentre le complicanze maggiori risultano
significativamente ridotte nella LSH se confrontata a TLH e TAH insieme.
A supporto di tali risultati, altri autori (Sarmini et al., 2005) hanno riportato, in uno studio di coorte
retrospettivo su 220 TLH versus 220 LSH, tempi di recupero più brevi con l’approccio sovracervicale e tassi di
complicanze significativamente ridotti, prospettando addirittura la possibilità di eseguire l’intervento in
regime di day surgery.
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Lethaby e colleghi nel 2006 hanno condotto una metanalisi su 3 trials (733 pazienti in totale), confrontando i
risultati di isterectomie subtotali versus totali. Non sono emerse evidenze a favore di un minor tasso di
incontinenza né di migliore funzione sessuale dopo conservazione del collo; la durata dell’intervento e la
perdita ematica risultava significativamente ridotta nell’approccio subtotale tuttavia non veniva rilevata
nessuna altra differenza significativa in termini di complicanze intra e post-operatorie tra le due tecniche.
Recentemente, a tentare di dare un filo conduttore a tutti gli studi e metanalisi finora descritti, si è
pronunciato il National Institute for Clinical Excellance (NICE, 2006). Riguardo alla tecnica laparoscopica le
evidenze a disposizione appaiono sufficienti, secondo gli esperti, a supportare un suo uso, anche se il tasso
di complicanze è più elevato che nell’isterectomia addominale. Le pazienti dovrebbero essere quindi
esaurientemente informate dei rischi e benefici dell’una e dell’altra tecnica, con consensi esaurienti e
documentati.
Riguardo alle alternative all’isterectomia (sia totale che subtotale), da tenere presente è che circa il 20%
delle isterectomie vengono eseguite per AUB (abnormal uterine bleeding) o per HMB (heavy menstrual
bleeding) e che oggi l’ablazione endometriale appare un’alternativa più che futuribile per la risoluzione di tale
problematica.
Anche su tale tema si è pronunciata la Cochrane Library con una meta-analisi del 2005, in cui venivano
confrontati i risultati dell’ablazione endometriale con quelli delle isterectomie. Globalmente il grado di
soddisfazione appariva migliore quando veniva eseguita l’isterectomia, così come lo stato di salute globale
della paziente. Sull’altro piatto della bilancia c’è però un tasso di complicanze significativamente ridotto con
l’ablazione endometriale, così come tempi operativi dell’ordine di pochi minuti con le tecniche di seconda
generazione, e quindi costi per il sistema sanitario decisamente vantaggiosi.
Nostra opinione è che l’opzione terapeutica in donne con patologia benigna sia da valutare caso per caso,
scegliendo la tecnica che da un lato offra più vantaggi in termini di compliance e soddisfazione della
paziente, dall’altro sia più confortevole per l’operatore e vantaggiosa per l’economia del sistema sanitario.
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NATIONAL INSTITUTE FOR CLINICAL EXCELLENCE (NICE)
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