Se studi musica il cervello migliora
Transcript
Se studi musica il cervello migliora
CORRIERE SCIENZA. SUONARE UNO STRUMENTO SVILUPPA L' AREA DELLA CORTECCIA INTERESSATA ALL' ELABORAZIONE DEGLI STIMOLI SONORI. LO RIVELA UN' INDAGINE CONDOTTA DA NEUROLOGI TEDESCHI Se studi musica il cervello migliora La zona coinvolta diventa piu' grande del 25 per cento rispetto alla norma. Suonare uno strumento sviluppa l'area della corteccia interessata all'elaborazione degli stimoli sonori. Lo rivela un'indagine condotta da neurologi tedeschi Se studi musica il cervello migliora. La zona coinvolta diventa più grande del 25 per cento rispetto alla norma. Suonare uno strumento e studiare musica non è solo un piacere, ma anche un mezzo per sviluppare le capacità del cervello. E’ quanto hanno scoperto alcuni neuroscienziati di Munster, in Germania, che da alcuni anni stanno studiando le aree cerebrali coinvolte nella percezione dei suoni in un gruppo di musicisti e in un gruppo di controllo formato da persone che non avevano mai praticato alcun esercizio musicale. Il risultato e' sorprendente: i musicisti hanno un planum temporale sinistro, la zona di corteccia responsabile dell'elaborazione degli stimoli sonori, più grande del 25 per cento rispetto ai comuni mortali. Inoltre, sottoposti alla risonanza magnetica funzionale (uno strumento che permette di vedere abbastanza bene quali aree cerebrali vengono attivate mentre la persona svolge un determinato compito), i musicisti mostrano un'attività elevatissima dei neuroni che rispondono agli stimoli sonori tonali. Ogni gruppo di cellule cerebrali risponde a un suono di altezza ben precisa, ovvero a una nota della scala tonale: i gruppi sono vicini tra loro secondo l'altezza del suono che elaborano, come i tasti di un pianoforte. I neuroni, insomma, sono disposti naturalmente secondo un ordine detto tonotopico. Probabilmente proprio a causa di questa disposizione l'attivazione è molto minore quando il suono che giunge all'orecchio del musicista non fa parte della scala tonale, ovvero non è compreso, per frequenza, nell'ambito dei mezzi toni della scala. Questi risultati sono simili sia in artisti che posseggono il cosiddetto orecchio assoluto, che permette di riconoscere l'altezza esatta della nota ascoltata - e quindi di dire se il suono emesso è, per esempio, un do o un sol - sia in coloro che hanno l'orecchio relativo, ovvero sono completamente privi di questa capacità ma sanno dire qual è l'intervallo tra due note. La scoperta dei neurologi di Munster è, in fondo, attesa: una precedente ricerca aveva già dimostrato, per esempio, che alle dita della mano sinistra di coloro che suonano uno strumento ad arco corrisponde, sulla corteccia cerebrale, un'area più ampia di quella della mano destra. Poiché ogni parte del corpo occupa sulla superficie del cervello uno spazio in relazione al suo utilizzo e agli stimoli che raccoglie, nella popolazione normale - a maggioranza destrimane - accade proprio il contrario. Questi fenomeni sono più marcati quando la pratica strumentale inizia prima dei 10 anni. Da tutto ciò si traggono alcune interessanti considerazioni sulle modalità evolutive del cervello: utilizzarne le potenzialità in fase precoce ne influenza l'organizzazione e aumenta il numero delle sinapsi, ovvero dei collegamenti tra le cellule. I primi anni di vita sono quindi quelli più utili da questo punto di vista, ma comunque non è mai troppo tardi per affrontare nuove attività: I musicisti che hanno iniziato in eta' più avanzata sono riusciti a raggiungere i più precoci grazie allo studio. L'esercizio è infatti in grado di supplire al ritardo e, dopo qualche anno, la differenza fra le due categorie si annulla. Un secondo aspetto intrigante riguarda la qualità dei suoni che risvegliano l'interesse del cervello dei musicisti: soltanto le note musicali della scala tonale temperata (vale a dire quelle del pianoforte) hanno questa capacità. Le spiegazioni potrebbero essere molte. Secondo alcuni questi sarebbero suoni "naturalmente" speciali per l'orecchio umano, il che, pero', sarebbe in contraddizione con lo sviluppo di musiche che non usano la nostra scala a sette note e semitoni, come, per esempio, quella indiana o cinese, o come la musica occidentale contemporanea che fa del superamento della tonalita', anche grazie a sofisticati ausili elettronici, uno dei capisaldi sperimentali. Per i neurofisiologi tedeschi si tratta, invece, molto piu' semplicemente, di un meccanismo di selezione messo in atto col tempo per distinguere i suoni utili alla pratica musicale da tutti gli altri, in primis dalle frequenze del linguaggio parlato e dai rumori della vita quotidiana. Si potrebbe obiettare che, se cio' fosse vero, i violinisti dovrebbero avere capacita' superiori ai pianisti. Essi dispongono infatti di uno strumento non temperato, ovvero in grado di generare suoni di frequenza continua, e non sono quindi vincolati nell'ascolto dalla rigida struttura della tastiera. Anche a questa obiezione rispondono i ricercatori tedeschi: il campione di musicisti esaminato e' stato selezionato nell'ambito del Conservatorio di Munster, e li', come in tutti i conservatori, il pianoforte e' strumento complementare obbligatorio per tutti gli studenti fin dal primo anno di pratica. Inoltre la musica insegnata ed eseguita e' soprattutto quella occidentale dal diciottesimo secolo in poi. Proprio dalla neurologia giunge quindi la conferma dell'opportunità non solo di incentivare la pratica musicale infantile, in Italia ormai quasi del tutto dimenticata, ma anche di aprirsi a espressioni artistiche provenienti da altre culture: un buon modo per avere un cervello ben sviluppato sia in senso reale sia figurato. Ovadia Daniela