Un profeta antipatico

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Un profeta antipatico
Quanti furono i profeti in Israele?
Rispondere a questa domanda non è impossibile, se ci si attiene a mettere nel conto i profeti
scrittori, cioè quelli che hanno lasciato una testimonianza scritta della loro predicazione. Tra i
maggiori e i minori, escludendo dal novero alcuni testi che sono stati inseriti posteriormente
senza appartenere al genere profetico, si supera di poco la decina. Naturalmente il numero
aumenta, quando si comincia a tener conto, che alcuni testi profetici contengono al loro interno
più raccolte oracolari di autori e epoche diverse.
Poi esistono i profeti non-scrittori di cui si parla più o meno ampiamente nell'Antico
Testamento a cominciare dai più noti, come Elia e Eliseo. Però tenendo conto anche di questi
l'elenco complessivo alla fine non riesce a superare il numero di qualche decina, e distribuiti
nell'arco di qualche secolo.
Ma furono veramente così pochi? Sorge il dubbio, che attivi fossero molti di più e che la
documentazione oggi disponibile all'interno dell'Antico Testamento sia il risultato di un'opera di
selezione, fatta secondo particolari criteri.
La lettura del capitolo 21 del Primo libro dei Re potrebbe essere istruttiva, perché ci dà in
proposito una vera serie di informazioni. Con ciò non si vuole affermare che il passo abbia
l'esattezza di una cronaca giornalistica o sia un sicuro documento storico, ma che dal suo
estensore, non contemporaneo ai fatti raccontati, era considerato verosimile e quindi recepibile
senza difficoltà dai suoi lettori.
Vi si narra dunque come il re d'Israele intendeva muovere guerra al confinante regno di Aram,
(l'odierna Siria) per riprendersi una città che questo aveva occupato. Approfitta perciò di una
visita del re del piccolo regno di Giuda, Giosafat, da lui considerato niente più di un vassallo, per
chiedergli se è disposto ad aggiungersi a lui con il suo esercito. Tenendo conto dell'asimmetria
del rapporto tra i due re, si può capire la reazione del re di Giuda: obbligata adesione da un lato,
ma riserve dall'altro manifestate implicitamente nel richiedere subito una ulteriore consultazione
dei profeti.
Allora il re d'Israele radunò i profeti, quattrocento persone, e domandò loro:«Devo
andare in guerra contro Ramot di Galaad o devo rinunciare?». Risposero: «Attacca; il
Signore la metterà in mano al re». Giosafat disse: «Non c’è qui ancora un profeta del
Signore da consultare?». Il re d’Israele rispose a Giosafat: «C’è ancora un uomo, per
consultare tramite lui il Signore, ma io lo detesto perché non mi profetizza il bene, ma il
male: è Michea, figlio di Imla». Giosafat disse: «Il re
non parli così!». Il re d’Israele, chiamato un cortigiano, gli ordinò: «Convoca subito
Michea, figlio di Imla».
Mentre il cortigiano eseguiva l'ordine del re, la manifestazione (o liturgia) di tutti i quattrocento
profeti continuava:
Il re d’Israele e Giosafat, re di Giuda, sedevano ognuno sul suo trono, vestiti dei loro
mantelli, nello spiazzo all’ingresso della porta di Samaria; tutti i profeti profetizzavano
davanti a loro. Sedecìa, figlio di Chenaanà, che si era fatto corna di ferro, affermava:
«Così dice il Signore: “Con queste cozzerai contro gli Aramei sino a finirli”». Tutti i
profeti profetizzavano allo stesso modo: «Assali Ramot di Galaad, avrai successo. Il
Signore la metterà in mano al re».
Il messaggero, che era andato a chiamare Michea, gli disse: «Ecco, le parole dei profeti
concordano sul successo del re; ora la tua parola sia come quella degli altri: preannuncia
il successo!».
Il profeta accettò il consiglio, ma con molte riserve. Così, giunto davanti al re pronunciò la sua
brava profezia di successo, ma in modo tale che il re capì che stava mentendo. Messo alle strette
disse tutto quello che pensava. E ciò fece arrabbiare il re, ma anche gli altri profeti che si erano
espressi in modo opposto.
A questo punto Michea rivela il perché della contraddizione tra il suo dire e quello degli altri.
Racconta di aver avuto come una visione di quanto stesse avvenendo in cielo, alla corte di Dio,
dove si voleva trovare il modo per perdere il re d'Israele. E qui si arriva al punto centrale della
narrazione, dove viene spiegato il senso della funzione profetica, perché non tutti i profeti sono
uguali. Nel gremio del consiglio celeste si è infatti fatto avanti uno spirito, che ha proposto di
ingannare il re diventando spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti. Naturalmente si
intende con l'unica eccezione di Michea, figlio di Imla.
«Come?» gli domandò il Signore. Rispose: «Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla
bocca di tutti i suoi profeti.»
È questo il senso del racconto, che si vuole porre come esemplare: i profeti sono stati molti e
sono ancora tanti, ma nella stragrande maggioranza, e non sempre per colpa loro, furono
menzogneri. Perciò con la fine dei due regni, prima quello di Israele, poi quello di Giuda,
sparirono anche i profeti di corte, che furono associati nella responsabilità della catastrofe.
Si deve ipotizzare, che una parte di questi, almeno quelli più importanti, avessero uno o più
segretari che trascrivevano i loro oracoli. Come avvenne, per esempio, nel caso a noi noto del
primo-Isaia oppure di Geremia. Ma la loro eredità fu poi censurata e cancellata. Non superò la
barriera elevata dai redattori dell'Antico Testamento. Così noi siamo cresciuti nella convinzione
che i profeti siano stati pochi, molto pochi.