Immagini 7. - Edizioni Lipa

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Immagini 7. - Edizioni Lipa
Immagini
7.
Marko Ivan Rupnik
I racconti di Boguljub
L’amore rimane
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
©2006 Lipa Srl, Roma
prima edizione: marzo 2006
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
& 064747770
fax 06485876
e-mail: [email protected]
www.lipaonline.org
Autori: Marko Ivan Rupnik
Titolo: I racconti di Boguljub. L’amore rimane
Collana: Immagini
Formato: 140x205 mm
Pagine: 176
Immagine di copertina: dettaglio della Cappella della Risurrezione della
Nunziatura Apostolica a Parigi (foto di Aurelio Amendola)
Immagini dell’interno: disegni preparatori per mosaici di M.I. Rupnik (foto
di Renata Trifkoviç)
Stampa e selezioni Graficapuntoprint
marzo 2006
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-89667-04-4 copia con CD
codice ISBN 88-89667-09-5 copia senza CD
Indice
Introduzione
(card. Tomበ·pidlík)...........................
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1. L’oro dell’icona ...................................
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2. Fiori d’autunno...................................
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3. La nevicata ..........................................
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4. L’impasse del pensiero........................
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5. Le fragole e il ghiaccio........................
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6. Pentimento e pace ..............................
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7. Liturgia di casa....................................
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Ai tempi dei nostri antenati, che non avevano la televisione e risparmiavano le deboli sorgenti di luce per leggere, i racconti vivi
delle storie riempivano il vuoto delle lunghe sere d’inverno. La
gente ascoltava per divertirsi e per abbreviare il tempo. Ma, inconsciamente, avvertiva che si trattava piú del solo divertimento. Gli
anziani, divenuti saggi, chinavano la testa e commentavano le narrazioni con il solito sospiro: “Cosí è la vita”. La storiella particolare
diventava un insegnamento vivo da cui si potevano trarre conclusioni morali generali. E i bambini, ai quali mancava ancora l’esperienza della vita, preferivano che le storielle fossero loro raccontate
prima di addormentarsi. Avevano cosí delle ripercussioni nei sogni
e diventavano nutrimento per i desideri da realizzare in futuro.
Non ci sorprende, quindi, che nelle scuole antiche la morale
s’insegnasse solo per mezzo degli “esempi” vissuti dai saggi famosi,
o dagli eroi che avevano influito sulla vita del popolo.
E la Bibbia? Essa rivela i piani di Dio e i suoi interventi nel
mondo raccontando la storia del popolo eletto e dei suoi principali
rappresentanti. Con questo scopo leggevano le Scritture anche i cristiani, e consideravano utile l’Antico Testamento, anche se sapevano di essere stati liberati dai suoi precetti legislativi. Quando poi i
monaci desideravano condurre una vita cristiana perfetta secondo
le esigenze del loro tempo, non dubitavano che la lettura delle vite
dei santi fosse un mezzo migliore delle prediche generiche. Le immagini sono sempre state piú utili dei concetti per ispirare uno stile
di vita, fatto di gesti e di atteggiamenti concreti.
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Il modo di un insegnamento “narrativo” viene apprezzato anche
dagli psicologi moderni. La verità è qualcosa di comunicato da persona a persona, e per questo riceve uno speciale “valore”. Ma, allo
stesso tempo, gli intellettuali convinti e gli scienziati sollevano l’obiezione che una verità comunicata in questo modo viene declassata
e, perdendo la sua assoluta “oggettività”, diventa “soggettiva”.
Un grande pensatore e maestro dei tempi antichi, Platone, che
riuniva nella sua persona doti che sembrano opposte – quelle cioè
di uno straordinario intellettuale e allo stesso tempo di un grande
poeta –, trovò un compromesso felice. Propose le verità eterne nella
forma di “dialoghi” tra amici. Lo scopo di questo genere letterario
non era puramente divulgativo. Egli era intellettuale al massimo
grado, ma non un “intellettualista”. Questi ultimi vorrebbero applicare le verità prefabbricate nella loro mente alla realtà concreta del
mondo visibile. Platone, al contrario, voleva insegnare ai suoi discepoli l’arte di saper sollevare la mente dalle cose concrete alle verità eterne. Nei suoi dialoghi, l’aspetto dialogale concreto è assai ridotto, serve soltanto come punto di partenza, come base per la scansione della narrazione ed occasione del volo verso l’alto. Questa è
la nota essenziale della poesia.
Il libro che ora prendiamo tra le mani è opera di un artista di un
genere diverso, di un maestro in pittura. Ma quando anch’egli ha
voluto comunicare agli altri con parole ciò che matura nella sua
mente quando contempla la realtà con gli occhi, ha scelto un genere
letterario molto vicino ai dialoghi platonici. Si può dire, tuttavia,
che in un aspetto egli sia piú esplicito. Bisogna elevare la mente.
Allora ci si chiede: fin dove? Platone non dubita che la cima piú alta sia Dio stesso. Però teme che non tutti ne siano capaci. Perciò
egli fa un’insolita distinzione fra la conoscenza diretta di Dio (theología) e la conoscenza delle cose “di sopra”, considerate ugualmente
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divine (meteorología), ma senza essere Dio stesso. La prima è opera dei poeti, la seconda è raggiungibile dai metafisici. I dialoghi di
Platone sono destinati per lo piú ai secondi. L’autore dei “dialoghi”
che presentiamo non accetta questa divisione. Suppone che la vocazione di elevare la mente a Dio sia data a tutti gli uomini di buona
volontà, semplici o dotti, e persino non credenti. E perciò, nel suo
stile, riduce quasi al minimo non solo l’elemento narrativo, ma anche quello intellettuale, per dare la possibilità al lettore di elevarsi
con lo Spirito fino alla verità spirituale e divina nel senso vero e
proprio. Da queste contemplazioni spirituali, si torna alla vita rinnovati nel pensiero e nell’immaginazione.
Forse sarà utile illustrare quanto abbiamo detto con due esempi
concreti. Il primo è tratto dalla vita di Raffaello. Raffaello, a quanto
si racconta, da giovane aveva in mente una visione viva della bellezza della Madonna. Come artista, naturalmente, desiderava dipingerla. Ma come trovare la giusta forma? Le ragazze che osservava attorno a sé davano l’impressione di essere belle, ma nessuna di loro corrispondeva all’ideale che aveva nella sua mente. Ma un giorno venne una sorpresa. Camminando per le strade di Firenze, incontrò
una giovane e rimase stupefatto. Sarebbe stata lei la Madonna? È
difficile. Esternamente, si trattava di una ragazza uguale alle altre.
Ma aveva una caratteristica speciale: fissando gli occhi su di lei, nella sua mente era evocata la visione interiore della Madonna. La ragazza divenne allora simbolo efficace di questo processo. Raffaello
la dipinse come la Madonna. Che insegnamento ne viene per noi?
Tutto quanto vediamo intorno si può personalizzare come se si trattasse di tante ragazze, che tuttavia diventano realmente belle solo
nel momento in cui riusciamo a vedere in loro la Madonna, cioè
quando siamo capaci di vederle come simbolo di una bellezza spirituale. Venerarle senza questa fede equivarrebbe all’idolatria.
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Il secondo esempio è tratto dalla vita di san Gregorio Nazianzeno. Gregorio amava gli studi intellettuali e, ammirando la nobiltà
delle idee, scriveva poesie per celebrare la bellezza di Dio. Fu però
coinvolto nelle discussioni con i cosiddetti ariani. Scoprí che questi
erano pensatori eccellenti, maestri nell’esercizio di dispute erudite
sulla verità. Nonostante ciò, non riuscivano a credere nella divinità
di Cristo, a riconoscere in Lui la Verità incarnata. Gregorio li presenta con questa caratteristica: essi hanno convertito la “teologia”
in “tecnologia”. Con le loro idee costruiscono un palazzo di vetro
dove non c’è né vita né amore, un palazzo quindi che non può
neanche servire da abitazione per l’uomo vivo che desidera vivere
ed amare.
Nel mondo di oggi, sia l’idolatria della bellezza superficiale che
la “tecnologia” di vane costruzioni razionali sono assai diffuse. Il libro che abbiamo nelle mani può essere un aiuto a superare questi
pericoli. Auguriamo, quindi, a tutti i lettori la grazia di usarlo con
profitto spirituale.
card. Tomበ·pidlík
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1. L’ORO DELL’ICONA
... Ivan era alla guida della sua auto. Insieme a lui viaggiavano la moglie e i loro tre bambini, di ritorno da una settimana di vacanze. Era un momento particolarmente calmo,
quell’ora del tardo pomeriggio, quando il sole di settembre
scende e tinge tutto della luce nella quale i colori cominciano a congedarsi dal giorno. La strada era libera, la macchina scivolava quasi da sola. I bambini dietro cinguettavano.
Già da un po’ di tempo la moglie accanto a lui era in silenzio. Ivan ripercorreva ancora alcuni episodi dei giorni passati. C’erano dei momenti di quei giorni che gli ritornavano
spesso nella memoria con una tale naturalezza che ci si intratteneva volentieri e li ripassava molte volte senza stancarsi. In modo particolare, aveva segnato queste vacanze un
monaco, che quasi per caso avevano incontrato nel famoso
monastero della Madre di Dio. Erano arrivati fin là per vedere gli antichi affreschi del refettorio e altre opere d’arte di
un certo valore presenti nel monastero.
Ivan e sua moglie Zvezdana di per sé non erano credenti,
neanche battezzati. Ma si ritenevano amatori d’arte e soprattutto lei era innamorata delle cose antiche, del passato,
della memoria. Girando nella parte del monastero aperta ai
visitatori, ad un tratto dovevano aver sbagliato qualche por-
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ta, perché si erano trovati di fronte ad un monaco anziano
che passeggiava su un corridoio e mormorava qualcosa tra
sé, come se parlasse da solo.
Avvertita la loro presenza, aveva fatto un piccolo sobbalzo. Ivan si era subito reso conto che lí, in quel corridoio, il
monaco non era abituato ad incontrare nessuno. Già temeva qualche rimprovero e di passare da invadenti. Ma il monaco gli era venuto incontro con un sorriso, che Ivan da allora si era già ricordato molte volte.
Una parola dopo l’altra, avevano cominciato a parlare. Il
monaco Boguljub, cosí si chiamava, con gentilezza aveva
fatto loro vedere ancora altre cose custodite all’interno del
monastero. Poi, come se li avesse introdotti in un luogo assolutamente privato, inaccessibile, come se ci fossero stati
dei tesori nascosti, quasi in punta di piedi, Boguljub era entrato in una stanza dove c’era un’icona serba portata durante la guerra dai militari e lasciata lí come ringraziamento per
quanto il monastero aveva fatto per loro.
Davanti all’icona c’era una lampada a cera liquida accesa.
Boguljub si era fermato a due, tre metri dall’icona e aveva
fatto un inchino profondo, anche se con fatica per l’artrite
che affliggeva la sua vecchiaia. Si era fatto un ampio segno
di croce e, con la mano ferma sul cuore, aveva bisbigliato:
“O beata, sempre pura, Vergine e Madre di Dio, quanto
è mite il tuo santo volto!”
Poi, con la stessa voce bassa, aveva cominciato a spiegare
che quell’icona rappresentava il mistero dell’annunciazione
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dell’arcangelo Gabriele a Maria di Nazaret. A Ivan sembrava che il monaco parlasse con un tale rispetto, come se l’angelo e la Madonna fossero là presenti. Anzi, addirittura aveva pensato che il monaco probabilmente percepiva proprio
la presenza dell’angelo e parlava cosí per non spaventarlo.
Ma subito questo pensiero gli era sembrato stupido, infantile, quasi da favola. Il vecchio monaco pareva non preoccuparsi affatto se Ivan e Zvezdana fossero credenti o no, se
fossero aperti alla fede oppure contrari, se fosse la prima
volta che ascoltavano qualcosa del genere. Sembrava che si
fosse sentito autorizzato a mostrare questa meraviglia molto
antica e a cercare di dire con le parole quello che gli occhi
guardavano.
Zvezdana era rimasta colpita dall’oro, che con la lampada accesa e la luce che filtrava dalla finestra attraverso una
tenda di lino puro acquistava la profondità e la densità dell’antico, di qualcosa senza data, come se fosse un oro senza
origine. Per un momento pensò che quest’icona fosse cosí
da sempre. Ma anche a lei sembrò un po’ di vaneggiare e di
farsi troppo suggestionare dal fascino dell’anziano.
“Oro, la santità di Dio, Dio è santo e fedele, anche se la
madre ti abbandonasse, io non ti abbandonerò mai”, sussurrava il monaco. “O beato oro, o beata luce che niente
può spegnere: questo è il nostro Dio”.
E il monaco si segnò di nuovo con la croce. Anche i
bambini erano rimasti zitti, qualche passo indietro. Ma a loro questo monaco, che mormorava di continuo e si faceva
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ampi segni di croce, non sembrava tanto strano. Erano Ivan
e Zvezdana che sentivano la sua radicale diversità dal loro
mondo. Ma, siccome era un uomo tagliato tutto d’un pezzo,
come da una roccia molto preziosa, non li urtava questo suo
modo di fare. Anzi, il velo di mistero che avvolgeva i suoi
gesti e le sue parole li metteva sempre piú a loro agio.
Il monaco intanto aveva fatto un passo in avanti e con
premura aveva indicato con il dito un piccolo gomitolo di
filo rosso che la Madonna teneva tra le mani.
“Vedete il gomitolo?”
“Sí”, aveva risposto Ivan.
“Secondo voi, perché Maria ha un gomitolo in mano?”
Dopo un po’ di silenzio, Zvezdana aveva detto:
“Per far vedere il valore del lavoro quotidiano”.
“Bello”, aveva risposto il monaco, “ma di per sé – e la
sua voce si era resa particolarmente densa di rispetto – il
gomitolo fa vedere che questa donna, questa santa donna, la
Vergine, sta tessendo la carne al Verbo di Dio, a quel Verbo
che fu sin dal principio e per mezzo del quale tutto è stato
creato, che è Gesú Cristo, nostro Signore, a Lui la gloria nei
secoli dei secoli”.
Di fronte alla Madonna, poco sopra l’angelo, si percepiva
appena qualche disegno nell’oro, appena tracciato. Ivan si
era avvicinato per guardare meglio, passando oltre il monaco.
“È lo Spirito Santo, aveva detto Boguljub, Amore dell’amore di Dio, che mette in pratica la parola, che la incarna nella vita. Anzi, che delinea i tratti della vita secondo la Parola!”
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“Hai sonno?” Ad un tratto la voce di Zvezdana interruppe Ivan dai suoi ricordi. “Sta’ attento a non addormentarti”.
“No, non ho sonno”. E subito nella memoria ritornò al
monaco Boguljub. “Chissà chi è questo Spirito Santo… E
che cosa voleva dire, con lo Spirito Santo che unisce la parola e la vita? Non capisco…”
Ma già si affacciava nella sua memoria un altro episodio.
Alla fine della visita, il monaco li aveva invitati ad un piccolo spuntino, offrendo un cesto di pere, un piatto di formaggio e un po’ di pane, pane scuro, sfornato da poco, che
diffondeva un buon odore di pane appena cotto, che gli ricordava quando era bambino. Le pere erano quelle piccole,
di un giallo un po’ verdastro da un lato e rosse dall’altro,
appena lavate, ancora con delle goccioline d’acqua. La loro
buccia sembrava lucidata, tanto brillavano. Il monaco aveva
tranquillamente fatto il segno di croce e, sempre nel suo solito stile a bassa voce, aveva chiamato la benedizione di Dio,
la santa comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E, siccome loro erano rimasti zitti, dopo qualche secondo era stato lui a concludere la preghiera:
“Ora e sempre. Amen”.
Le sue mani erano particolarmente belle. Rispecchiavano
la grande maturità alla quale era giunto. Erano mani di un
uomo che da giovane doveva essere stato anche forte, ma
adesso aveva vinto in lui la bontà. Le mani si muovevano al
ritmo dei gesti di una persona molto buona, e offrivano
questi cibi semplici con la stessa densità e lo stesso rispetto
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per cui prima non avevano osato neanche sfiorare l’oro dell’icona. Avevano preso e mangiato. E, mentre mangiavano
in silenzio e gustavano come il sapore delle pere si combinava bene con quello del formaggio, lui aveva ripreso il suo
mormorio.
“Allora, vi è piaciuta la nostra santa icona? Io vado spesso lí. Mi piace tanto quell’oro antico e la mitezza della Madre di Dio. Mi fa bene pensare che è lo Spirito Santo a rendere i nostri pensieri buoni e i nostri gesti capaci di farli vedere. Il pensiero, il gesto e la bontà. Sto parlando di arte.
Ma, scusate, siccome poche volte trovo qualcuno, forse parlo troppo...”
Ivan stava ancora visitando il monastero nella memoria,
si lasciava ancora affascinare dai gesti e dalle parole semplici, ma cosí misteriose e vere di quest’anziano, che già erano
arrivati a casa. Mentre alla sera si mettevano a tavola per cenare, Zvezdana aveva detto:
“Ma sai che mi ricordo di quel monaco, di quella tavola
di legno di noce scuro, di come lui si è messo a tavola, ci ha
offerto il formaggio e le pere. Mi torna alla mente tante volte, e non so perché…”
“Anch’io”, le aveva fatto eco Ivan. E, mentre si sedeva a
tavola, gli sembrava di guardare i bambini quasi piú buono.
Gli sembrava che non si potesse piú semplicemente mangiare, che bisognasse cogliere quel velo di mistero che avvolgeva il monaco e che sarebbe stato bello anche durante la loro
cena percepire un po’ di quella presenza che Boguljub evi-
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dentemente avvertiva dappertutto. Con uno sguardo dimesso aveva sfiorato i figli e si era incontrato con lo sguardo di
Zvezdana. Il suo sguardo gli era sempre piaciuto, ma questa
sera voleva proprio cogliere un po’ di luce nei suoi occhi.
Gli era venuto in mente che il monaco, in una delle sue preghiere mormorate a bassa voce, aveva menzionato anche
una santa comunione...
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