Lo sfruttamento criminale del minore

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Lo sfruttamento criminale del minore
Afterschool
di Antonio Campos
Sinossi lunga
Robert frequenta il secondo anno del Brighton College negli Stati Uniti. Solitario e timido, Robert non
ha molti amici, a parte il suo compagno di stanza Dave (che spaccia cocaina all’interno del college) e la
sua amica Amy. Trascorre il suo tempo libero al computer, alla ricerca di immagini particolari catturate in
rete. Affascinato dal mondo delle immagini, Robert si iscrive – insieme ad Amy – ad un corso di tecniche
audiovisive. Tra i suoi compiti c’è quello di riprendere gli spazi della scuola. Un giorno, mentre sta
riprendendo un corridoio vuoto vede arrivare due studentesse, due gemelle dell’ultimo anno; le due
ragazze sono in piena crisi da overdose di cocaina e la videocamera di Robert riprende la loro agonia e la
loro morte, mentre il ragazzo si avvicina lentamente senza sapere bene cosa fare. Dopo le indagini iniziali,
la direzione del college decide di realizzare un video in memoria delle due ragazze e Robert viene
incaricato di realizzare il lavoro. Insieme ad Amy inizia il lavoro con un’intervista ai genitori delle due
ragazze. Amy, sconvolta dalla scena, porta Robert in un bosco e fa l’amore con lui, il quale, subito dopo
l’accaduto, sembra vergognarsi dell’atto ed evita la ragazza. Intanto continua il suo lavoro di
preparazione del video, sempre più ossessionato dal lavoro. Dopo aver presentato un primo montaggio che
viene rifiutato dai professori, Robert aggredisce Dave accusandolo di essere il responsabile della morte
delle due ragazze. Finalmente il video viene realizzato (montato da un altro studente) e la scuola sembra
tornata alla normalità.
Presentazione critica
Introduzione al film
L’ossessione dell’immagine
Afterschool, lungometraggio d’esordio del regista newyorkese Antonio Campos, si mostra sin dall’inizio
intenzionato a lavorare su forme e tematiche che appartengono ad un filone ben preciso del cinema
americano contemporaneo, quello del High School Movie, filone incentrato su quel complesso micromondo
che è la scuola. Quest’ultima, nell’immaginario cinematografico statunitense, spesso assume due diverse e
in qualche modo antipodali sfaccettature. Da una parte è il luogo dove proiettare i desideri e le
aspirazioni dei teenager, dove rappresentare un mondo idilliaco in cui i conflitti possono essere in qualche
modo risolti, dove quel microcosmo diventa il luogo preparatorio dell’ingresso nel mondo degli adulti. Un
esempio per tutti può essere la serie di grande successo High School Musical, e in particolare il terzo
capitolo, High School Musical 3: Senior Year (Id., USA 2008) di Kenny Ortega. D’altra parte la scuola, lungi
dall’essere un luogo di formazione e preparazione all’età adulta, può anche essere rappresentata come
l’ambiente elettivo attraverso il quale evidenziare inquietudini e patologie del vivere contemporaneo, lo
spazio di dispersione e moltiplicazione dei conflitti e della perdita di senso e di equilibrio di un’intera
generazione. A tale categoria appartengono, ad esempio, i film di Gus Van Sant sono senz’altro i più
emblematici.
Il film di Campos si iscrivem senza dubbio a questa secondo filone di indagine ed è dunque film
assolutamente contemporaneo, capace di immergersi con il suo stile particolare all’interno delle
dinamiche più profonde di una società che da tempo ormai mostra i segni della propria malattia. L’inizio
del film, un montaggio di immagini a bassa risoluzione prese tra quelle che circolano all’interno della rete
e la ripresa in controluce di un ragazzo (Robert) che al buio osserva con morbosa attenzione quelle
immagini lampeggianti dallo schermo del suo computer, sottolinea immediatamente che il linguaggio del
film non vuole essere convenzionale, ma che in gioco c’è esattamente questo: un nuovo statuto
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Afterschool – scheda critica
dell’immagine, un nuovo circuito di fruizione dell’immagine che sta attraversando la contemporaneità, ed
è questo che il cinema è chiamato a rappresentare. Il dispositivo cinematografico è qui l’elemento che si
mette anzitutto in questione, grazie al raffinato lavoro del regista su certe inquadrature che non vogliono
drammatizzare la narrazione, amplificarne il tasso emotivo, ma al contario, proporre punti di vista
inusuali, distanti, distopici, come se non ci fosse un soggetto che filma, ma un filmare senza soggetto,
riflesso dei corpi che abitano il film. La ripresa della morte delle due gemelle avviene con la macchina da
presa che riprende quasi autonomamente, mentre Robert si avvicina alle ragazze. Segno, questo, di un
altro modo di pensare il rapporto con le immagini, non più rappresentazioni, gesti emotivi, carichi di
senso, capaci di restituire i gesti del reale, ma macchine automatiche, diffuse, disseminate
nell’immaginario e nelle pratiche collettive (tutto nel film ha a che fare con l’ossessione del filmare e del
guardare come unica esperienza possibile); pratiche di una umanità che ha perduto i suoi gesti e può
(vuole) solo (ri)vederli una volta filmati.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Corpi filmati, corpi svuotati
Tutto il film ruota ovviamente intorno al mondo adolescenziale di un college americano. Ma la
rappresentazione di questo mondo è strettamente legata a due dinamiche sociali, una verticale e una
orizzontale: il rapporto tra adolescenti e mondo adulto (l’istituzione scolastica, i professori, consulenti
scolastici, autorità di controllo, poliziotti), e il rapporto degli adolescenti tra loro. È in questo duplice
asse che si constituisce il mondo relazionale del film. Lungo la prima direttrice, ciò che il film sancisce è
un evidente fallimento comunicativo, una evidente frattura tra i due mondi (quello adolescenziale e
quello adulto). Le relazioni tra i due mondi sono costituite dall’inganno, dalla finzione rappresentativa.
Robert, Dave, Trevor, Amy hanno sviluppato una sorta di strategia di difesa nei confronti dei tentativi
comunicativi degli adulti. Il dialogo c’è ma si basa su una finzione, che lascia assolutamente a distanza i
due mondi e soprattutto quello degli adolescenti, sempre più proiettato verso un universo affettivo
autoreferenziale in cui il contatto con gli altri può avvenire solo a distanza, mediato da una videocamera o
dallo schermo di un computer. Ma il mondo degli adulti accetta, consciamente o meno, tale finzione,
alimentandola con la propria. L’illusione della possibilità di un’etica della comunicazione (che il film
distrugge senza appello) giunge al suo zenith quando Robert presenta il suo montaggio del video,
enigmatico e inquietante, immediatamente rifiutato dal docente a favore di un montaggio tradizionale,
che restituisce un’immagine solare e angelica delle due ragazze morte. L’inquietudine “della” morte viene
sostituita, nel mondo adulto, dalla consolazione “dalla” morte. Il rovesciamento è completo, i due mondi
sono separati. Ecco perché – ed è il secondo degli assi relazionali del film – il rapporto corpo-parola tra i
ragazzi del college mostra con assoluta evidenza che la parola ha perso sia la sua capacità comunicativa,
che quella espressiva. Da Robert a Dave, da Amy agli altri studenti, la parola non caratterizza
l’affermazione di sé o la nascita e lo sviluppo di legami relazionali, quanto un pallido riflesso di un
rapporto con il mondo, ormai mediato da schermi, occhi elettronici, autoreferenzialità assoluta. Se la
parola è vuota, priva di significazione, riempimento di un tempo svuotato di senso, il corpo è spesso
immobile, in attesa, incapace di scaricare una energia che sembra dissiparsi lentamente. Solo a volte il
copro adolescenziale sembra emergere in tutta la sua potenza, quando Robert aggredisce Dave, o quando
Robert e Amy tentano di fare l’amore. Ma sono approcci minimi, che non aprono al mondo, che non lo
cambiano, anzi. Ogni scatto improvviso è un’ulteriore prova dell’impossibilità di fare esperienza del
mondo, e nel mondo. ogni azione è seguita dal mutismo e dal rinchiudersi in se stessi dei ragazzi che ne
sono stati gli attori principali. Ogni gesto rimane un isolato e in fondo sterile momento di rabbia e sfogo,
ma che rimane vuoto e incapace di trasformarsi in coscienza di sé, progettualità, apertura di senso.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Il film si lega profondamente ad un filone che attraversa constantemente il cinema americano
contemporaneo (soprattutto indipendente). Un filone che rovescia il classico High School Movie o College
movie, per mostrarne, anziché il ruolo di formazione, di passaggio all’età adulta, il luogo dove emerge con
chiarezza la perdita di senso dell’esistere contemporaneo, il vuoto esistenziale, morale e spirituale di una
intera generazione. In questo senso si muove con coerenza il cinema di Gus Van Sant – con film come
Elephant (Id., USA, 2003), Paranoid Park (Id. USA, 2008), Last Days (Id., USA, 2005). Il film di Campos,
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Afterschool – scheda critica
però, si lega anche ad un lavoro che, come Social Network (The Social Network, USA, 2011) di David
Fincher o Cosmopolis (id, USA, 2012) di David Cronenberg, lavora sul rapporto (tipicamente
contemporaneo) tra il corpo immobile (spesso seduto) e la parola che si fa simulacro di conversazione,
esperienza vicaria, costruzione simbolica di un mondo accessibile a tutti. Infine, il film si potrebbe
inserire in un percorso sulla scuola superiore e l’università come microcosmo, microrappresentazione di un
mondo sempre più folle e deviante, come in Napoleon Dynamite (Id., USA, 2004) di Jared Hess o Twin
Peaks: fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walks With Me, USA, 1992) di David Lynch.
Daniele Dottorini
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