145 gini armene Ida e Ani Kavafian, che l`hanno eseguita per la

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145 gini armene Ida e Ani Kavafian, che l`hanno eseguita per la
gini armene Ida e Ani Kavafian, che l’hanno eseguita per la prima volta
il 17 novembre 1983, alla Carnegie Hall di New York. Una partitura che
deve il suo nome all’omonima raccolta di liriche curata da Makoto Ooka
e Thomas Fitzsimmons, poeti e studiosi di letteratura giapponese coetanei
di Takemitsu. Ciascuno dei quattro rapidi movimenti in cui è articolata
prende il nome dall’incipit del testo poetico ispiratore, e Takemitsu allude
alle immagini naturali evocate (come l’autunno o il passaggio di un uccello) affidando alle voci dei due violini scale di otto e cinque suoni, silenzi
eloquenti, sonorità ben tangibili eppur sospese e misteriose, che paiono
rifrangersi in quello specchio chiamato in causa dal titolo di questa suggestiva composizione.
Giuseppe Verdi
L’unico e solo lavoro strumentale da camera non venne scritto da Giuseppe Verdi negli anni giovanili, come pagina dimostrativa di una sapienza
compositiva maturata attraverso un rigoroso studio, come saggio di un
genere poi abbandonato a favore di un percorso artistico indirizzato esclusivamente verso il mondo dell’opera. Il Quartetto per archi in mi minore
venne da lui composto a sessant’anni compiuti, nella primavera del 1873.
All’epoca Verdi si trovava a Napoli, per seguire al Teatro San Carlo la prima
ripresa di Aida, l’ultima opera allora scritta, tenuta trionfalmente a battesimo al Cairo nel 1871 e presentata con successo anche alla Scala di Milano,
l’anno subito dopo. Fra una prova e l’altra dell’Aida napoletana, Verdi si
dedicò alla scrittura di un quartetto per archi, che poi presentò a sorpresa a
un ristretto gruppo di amici, riuniti, con la scusa di un ricevimento, in una
sala dell’albergo delle Crocelle (poi divenuto il noto Hotel Hassler), dove
il maestro alloggiava: il 1 aprile di quello stesso 1873, quell’uditorio privilegiato poté così accogliere con particolare ammirazione e stupore il nuovo
Quartetto di Verdi, suonato nell’occasione da alcune prime parti dell’Orchestra del Teatro San Carlo. Nel 1876, il Quartetto avrebbe conosciuto la
sua prima stampa, per Ricordi, e avrebbe iniziato a circolare nei maggiori
centri musicali d’Europa, fra l’altro con un particolare successo. E questo
nonostante Verdi avesse più volte dichiarato un certo distacco nel parlare
di quel lavoro, scritto, diceva, quasi come una sorta di passatempo, e che
inizialmente non voleva neppure render noto. Ma poi la fortuna che iniziò
ad arridere al Quartetto gli fece tirar definitivamente fuori quell’orgoglio in
fondo malcelato («Se il Quartetto sia bello o brutto non so... so però che è
un quartetto!», aveva scritto all’amico Opprandino Arrivabene, il 13 aprile
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