MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE

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MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE
DEMOCRAZIA LOCALE
AL DI LA’ DEL POLITICO
UNA RIVOLUZIONE DAL BASSO
“La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa:
la politica che non c’è”.
Franco Arminio, La politica che non c’é
MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE
Il nuovo Municipio
soggetto attivo verso il superamento dell’attuale stato di crisi
e dell’impotenza della classe e delle forze politiche
di governo del Paese
"Per uscire da un cammino senza futuro non
resta che riprendere una via orientata dai valori
che la Costituzione ha tradotto in principi di
valore cogente che rendono del tutto illeggittime
le misure contrarie a eguaglianza, solidarietà,
libertà, dignità. E' tempo di rientrare nella
legalità costituzionale".
Lorenza Carlassare, Nel segno della Costituzione.
La nostra carta per il futuro
Un programma per le prossime elezioni amministrative comunali non può
più avere senso rispetto alla attuale situazione generale caratterizzata da
una crisi economica, sociale e politica di lungo periodo che investe non solo
il nostro Paese ma, tendenzialmente, buona parte del nostro pianeta,
mostrando i limiti storici dell’attuale modello economico-sociale e
culturale, nonché delle forze politiche di governo.
E’ necessario, quindi, dotarsi di un progetto capace di dare un nuovo
orientamento ai problemi generali del Paese e al loro riflesso su scala locale,
progetto da cui derivare un programma che non può non essere
comune per le sue scelte generali a tutte le amministrazioni comunali, nella
valorizzazione imprescindibile delle specificità locali.
Il Progetto deve potersi definire rispetto alle seguenti problematiche:
1.
Il rispetto della Carta Costituzionale e la necessita di alcune sue
modifiche sempre nel riferimento ai suoi principi ispiratori. E' questo,
richiama la necessità di difendere, applicare la Costituzione e modificarla
eventualmente sulla scorta dei suoi principi ispiratori,
2.
La riacquisizione della sovranità dello Stato (politica,
economica, monetaria) oggi ceduta al potere dell’alta finanza e al
“Whascington consensus”, rilevando i pesanti inganni del cosiddetto
“riformismo neoliberale” e dei suoi sostenitori. E, questo, richiama come la
sovranità appartenga al popolo e come esercitarla concretamente,
3.
Stoppare la politica dei tagli alla spesa pubblica che ci sta
portando al massacro e che non ha inciso minimamente nella riduzione del
debito e nel rilancio della operosità nazionale. E, questo, richiama la
questione centrale del pareggio di bilancio e del debito pubblico e delle sue
sorti,
4.
Risignificare il ruolo degli enti locali come protagonisti della
politica nazionale e di una democrazia diretta, dal basso E', questo,
richiama la salvaguardia e il potenziamento dell'autonomia degli enti locali,
5.
Ripensare e considerare il concetto stesso di “locale” non
come dimensione puramente territoriale ma come una nuova visione della
realtà: “il locale non verso il globale ma avverso il globale”.
Il Rispetto della Carta Costituzionale
La nostra Costituzione ha nel lavoro il suo principio (primo) ispiratore e
pone il lavoro a fondamento della Repubblica democratica (Art.1).
"Il lavoro in tutte le sue manifestazioni è dunque titolo di appartenenza
alla comunità nazionale, alla cittadinanza" (G. Zagrebelski, Fondata sul
lavoro. La solitudine dell'Articolo 1).
La stessa "questione democratica è questione del lavoro e del lavoro libero
e dignitoso....La democrazia non è solo questione di regole formali, ma
anche di condizioni materiali dell'esistenza...Il lavoro è la prima di queste
condizioni materiali" .
La Costituzione pone il lavoro a suo fondamento per cui è dal lavoro che
devono svilupparsi le politiche economiche e dalla politiche
economiche prendere corpo l'economia.
Oggi, purtroppo e drammaticamente, viviamo una realtà totalmente
"rovesciata" e, quindi, totalmente anti-costituzionale: dall'economia
dipendono le politiche economiche, dalle politiche economiche dipende
l'intera realtà (diritti e doveri) del lavoro.
Nella nostra Costituzione se c'è qualcosa di condizionato questo
non è il lavoro ma la politica che ha nel lavoro il suo riferimento
principale!
Oggi, invece, nel momento in cui la politica è totalmente asservita
all'economia, il mondo del lavoro è in fase di decostruzione.
Questo, soprattutto per il fatto che l'economia reale è stata fagocitata
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dall'economia fittizia, dall'economia finanziaria che non ha come scopo e
obiettivo la produzione di beni e servizi ma l'accumulazione di denaro per
mezzo del denaro.
In breve:
- l'economia reale può produrre lavoro e stabilità sociale, quella fittizia
(l'attività finanziaria), no,
- gli attori sociali non sono più né i lavoratori né gli imprenditori ma gli
speculatori,
- la finanza come mezzo (di sostegno e promozione dell'economia reale) è
diventata un fine (è fine a sé stessa);
- la finanza, come tale, non è interessata a costruire stabilmente. Anzi,
prospera e si alimenta dallo sfruttamento di ogni instabilità (che lei stessa
concorre a determinare),
- la finanza che poteva generare lavoro si è trasformata, dunque, in finanza
che lo distrugge,
- la finanza rende ormai tutti (stati, collettività, singoli) del pari debitori e
sottomette tutti alle sue regole, imponendoci una dura legge: dal poter
vivere al poter, al più, sopravvivere,
- l'economia finanziaria con i suoi prodotti immateriali non adempie, oggi,
a nessuna funzione sociale: è speculativa, parassitaria, destabilizzante,
colonizzatrice, impositiva, anti-democratica e, per noi, quindi, anticostituzionale.
Questa situazione ha nel rovesciamento del rapporto tra politica ed
economia la sua garanzia e il suo sostegno.
Questo rovescimento é in totale contraddizione con l'Articolo 1 della
Costituzione che fissa come la sovranità appartenga al popolo e, quindi,
come non possa esaurirsi tra una elezione e l'altra. Carlo Esposito (La
Costituzione italiana) afferma: "il contenuto della democrazia non è
che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che
abbia 'potere' non che abbia 'la nuda sovranità' (che praticamente non
è niente) ma l'esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)".
Di questo, oggi, sempre più persone stanno prendendone piena
consapevolezza. "Gli anticorpi spontanei che i movimenti stanno
esprimendo sono un segno di buona salute della democrazia, ma esigono
la pazienza e i tempi dell'analisi. Richiedono la saggezza necessaria per
non identificare i governi (spesso nemici del bene comune) con lo Stato.
L'orgoglio necessario per ricordarci che lo Stato siamo noi, i
cittadini...". Si rende necessario "raccogliere informazioni, sviluppare
argomentazioni, identificare obiettivi di lungo periodo (il progetto -nostro
inciso), perché 'nessun vento è favorevole, se il marinaio non sa dove
andare' (Seneca). Per pensare senza delegare nessuno, sapendo quel che
vogliamo. Assumendoci la nostra responsabilità di cittadini. In prima
persona" (Salvatore Settis, Azione popolare).
Quindi, essenziale alla democrazia è la protezione del dissenso. La
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necessità di manifestare una posizione radicalmente critica, di mettere in
discussione l'indirizzo politico della maggioranza al potere è una
delle principali caratteristiche della democrazia (Lorenza Carlassare, Nel
segno della Costituzione. La nostra carta per il futuro).
Lo slittamento della sovranità fino alla sua evaporazione, non è un
fenomeno esclusivamente italiano ma riguarda la quasi totalità di paesi con
economia di mercato e con istituzioni tipiche della "democrazia
rappresentativa", oggi in via di dissoluzione.
"La democrazia rappresentativa con le sue progressive conquiste, appare
svuotata delle sue capacità di costituire il ponte tra i cittadini e chi è
chiamato a esprimere le loro istanze nelle diverse istituzioni...Fino a
quando l'intera catena della sovranità, dal parlamento agli enti locali, dal
governo centrale alle amministrazioni del territorio, è stata svuotata, lo
slittamento verso il basso, che pure poteva portare a una migliore
partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, si è tradotto in una somma
di fragili trasferimenti di competenze nel nome di un astratto e opaco
federalismo, più volte sventolato come una bandiera del cambiamento. Il
risultato è che le regioni sono state trasformate in gigantesche Asl, con
una spesa sanitaria pari a circa l'80 per cento dei bilanci regionali; le
provincie sono in via di liquidazione e di scioglimento; i comuni hanno
molta visibilità ma scarso potere, a partire dalle leve finanziarie che non
controllono" (Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Il popolo e gli dei. Così la
Grande crisi ha separato gli italiani). Abbiamo anche perso le tradizionali
leve che permettevono un controllo dei processi di sviluppo e di maggior
equilibrio della spesa pubblica: la sovranità monetaria, il Tesoro e la Banca
d'Italia che non è più pubblica ma privata.
Così, oggi, "La moneta è unica, sovranazionale; il debito, invece, è
nazionale". Lo Stato quanto deve attingere moneta è trattato come un
privato, in assenza di una banca nazionale pubblica, pagando interessi
altissimi che, accumulatisi, costituiscono la più parte del debito pubblico.
E' sempre più chiaro che il "riformismo neoliberale" che caratterizza
l'attuale stagione politica (quella del "bipolarismo", del "bipartisan", dei
"governi tecnici") non è una operazione utile per riformare istituzioni
obsolete o socialmente non produttive, ma una vera e propria ideologia
che giustifica la cultura giuridica (le norme imposte) del
capitalismo
finanziario
attraverso
una
trasformazione
sostanziale dell'ordine sociale e degli stessi fondamenti, per noi,
della Carta Costituzionale.
In che consiste il "riformismo neoliberale"?
"Il riformismo neoliberale, promuovendo politiche di dismissione,
liberalizzazione, deregolamentazione, saccheggio del territorio e
restringendo gli spazi pubblici, apre continuamente varchi istituzionali
prontamente occupati da soggetti privati o misto pubblico-privato…
politicamente irresponsabili. Tali nuovi poteri costituiti sono oggi tanto
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forti da poter rivendicare con successo spazi sempre più ampi di
sovranità costituita, sostituendosi a istituzioni statali ridotte a mere forze
di polizia e controllo sociale al servizio del potere privato concentrato nei
nuovi assetti proprietari globali" (U.Mattei, Contro riforme).
Le linee guida del resuscitato "paradigma neoliberistia" sono, nascoste
sotto una idea luccicante di modernizzazione: deregolamentazione,
privatizzazione, liberalizzazione.
“Basato sul presupposto di mercati dei capitali efficienti, esso invoca la
riduzione della spesa degli stati, la privatizzazione dei servizi
pubblici, l'aumento della flessibilità del mercato del lavoro, la
liberalizzazione del commercio” (AA.VV., Manifesto degli economisti
sgomenti).
Un prodotto, in politica, della riaffermazione del paradigma neoliberale è il
"bipolarismo" sostenuto dal sistema elettorale "maggioritario", un sistema
elettorale capace di svuotare progressivamente ogni funzione parlamentare.
Altro prodotto, frutto della stessa logica, è il "governo tecnico",
possibilmente formato da uomini al soldo delle grandi agenzie finanziarie e,
oggi, il "governo delle larghe intese" che, sotto l'insegna dell'emergenza
riformista, fa perdere qualsiasi traccia della identità storico-politica delle
forze che lo compongono anche perchè le "riforme neoliberali" in atto
si svolgono sotto dettatura internazionale (il Washington
Consensus) nel disinteresse per qualsiasi preoccupazione sociale, in netto
contrasto, quindi, con gli indirizzi solidaristici della Costituzione.
Dal 1992 al 2000, a esempio, l'Italia si è collocata al primo posto mondiale
per l'importo complessivo delle dismissioni e per la loro incidenza sul PIL.
Il patrimonio pubblico privatizzato si calcola in circa 140 miliardi di euro,
con interi settori chiave, come quello del credito, consegnati al capitale
privato.
Anche le dismissioni operate per sanare il debito pubblico si sono
dimostrate un totale fallimento: il debito è passato da circa 1.066 miliardi
di euro nel 1994 a più di 2.000 miliardi di oggi, aumentando, per altro, la
sua incidenza sul PIL (da 124% a 126%).
Drammatica conseguenza del riformismo neoliberarle è che il settore
pubblico smette di 'fare' e quindi di 'saper fare', e si limita a controllare i
modi e le forme con cui il privato 'fa' e 'sa fare'.
Ciò che le “riforme neoliberali” perseguono, nell'interesse unico del
capitalismo globale/finanziario e del Washington Consensus, sono
medicine assolutamente più nocive e devastanti che non i mali
che nominalmente dicono di curare, togliendo contemporaneamente,
allo Stato sovranità e capacità reale di intervento.
Di fatto, la finanza ha due strategie: o "vampirizza", succhia il sangue
all'economia reale, continuando a prosciugare risorse, oppure crea
ricchezza fittizia attraverso speculazioni "gonfiando bolle che prima o poi
scoppieranno provocando crisi e miseria" e, questo, soprattutto nel
mercato immobiliare con grave incidenza sugli assetti territoriali e sulle
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città, quindi, sui Comuni. Ha, conseguentemente, necessità di nuovi
mercati e nuovi capitali per potersi sostenere.
La ricerca di nuovi mercati è il motivo dei continui e prolungati attacchi ai
"beni comuni" e ai diritti, imponendo ai Governi (meglio se tecnici)
privatizzazioni e successive finanziarizzazioni dei servizi essenziali.
"Trasformare l'acqua, il cibo, l'istruzione e la sanità in merci
significa garantire profitti enormi e duraturi alle imprese e aprire nuovi
spazi di conquista alla finanza, ovviamente al prezzo di escludere da
questi mercati chi non può permettersi la scuola o la sanità private. Un
discorso analogo, oltre che per i nuovi mercati, si può fare per i continui
apporti di capitale necessari alla finanza per mantenersi (l’attuale
rifinanziamento della Banca d’Italia ne è un esempio). E il serbatoio siamo
noi e i nostri risparmi...i nostri conto correnti, fondi di investimento e
fondi pensione alimentano il trasferimento di risorse dal lavoro
alla finanza" (A.Baranes, Breve storia della crisi).
Anche il territorio è "territorio di conquista" del capitale e del capitale
finanziario.
Come analizza David Harvey (Città ribelli. I movimenti urbani dalla
Comune di Parigi a Occupy Wall Street) "il capitalismo necessita di
processi urbani per assorbire l'eccedenza di capitale che costantemente
produce. Tra lo sviluppo del capitalismo e l'urbanizzazione emerge, così,
un'intima connessione. Motivo per cui non sorprende affatto che le curve
logistiche di crescita nel tempo della produzione capitalistica tendano a
coincidere con le curve logistiche del tasso di urbanizzazione della
popolazione mondiale".
Di conseguenza, la creazione di nuovi istituti e strumenti finanziari in grado
di convogliare sul mercato immobiliare la massa creditizia per sostenerlo, le
innovazioni finanziarie inrodotte negli anni '80 - le cartolarizzazioni dei
mutui locali e il loro confezionamento in titoli da vendere a investitori di
tutto il mondo, la messa a punto di nuovi istituti finanziari per facilitare un
mercato finanziario dei mutui attraverso obbligazioni garantite dal debitohanno svolto un ruolo cruciale per l'arricchimento del capitale finanziario,
promuovendo una economia fittizia di pura speculazione (e anche di
distruzione del territorio) che a portato a quella acutizzazione della crisi del
2007/2008 che ha travolto la stessa finanza internazionale dopo lo scoppio
della bolla dei mutui "subprime", crisi che ha avuto il suo culmine del 2011
e che ha visto l'intervento di Governi e Istituzioni pubbliche per l'attuazione
di giganteschi piani di salvataggio che hanno visto transitare una cifra di
14.000 miliari di dollari dal settore pubblico al settore finanziario privato.
Non solo l'acqua, il cibo, l'istruzione, la sanità ma anche il territorio e i
terreni agricoli trasformati in merci capaci di garantire enormi profitti ai
capitali finanziari.
Da qui , è chiara la necessità che una revisione del Titolo V della
Costituzione, in ottemperanza non dei giochi di potere ma degli
interessi di tutti i cittadini, si orienti anche a considerare l'abolizione
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della possibilità di istituire "città metropolitane".
La mercificazione in atto di servizi e territorio influenza
pesantemente e condiziona la politica dell'Ente locale, dei
Comuni.
Ne è esempio significativo l'impegno del 13 Febbraio 2013 (dopo l'accordo
multilaterale sugli investimenti "Mai" nel '90 e la direttiva Bolkestein nel
primo decennio del 2000), siglato dal Presidente degli Stati Uniti e dai
leader dell'Unione Europea per un accordo transatlantico per il libero
commercio e la libertà degli investimenti (TTIP).
Sono accordi per lo più tenuti segreti, che vedono coinvolti più di 600
imprese multinazionali per la realizzazione della zona di libero scambio la
più grande del pianeta che può interessare la produzione del 60% del PIL
mondiale. Si tratta di rendere "compatibili" le differenti normative tra USA
e UE che regolano i diversi settori dell'economia, compreso i servizi
pubblici e sociali, per rendere più libere le attività delle grandi imprese,
permettendo loro di poter muovere, senza alcun vincolo, capitali, merci e
lavoro nei territori dei paesi firmatari l'accordo che si dovrebbe chiudere
entro il 2014.
E' un ulteriore accordo che spaccia l' "uscita dalla crisi" con il
potenziamento delle multinazionali dove diritti, beni comuni e democrazia
siano considerate, sempre più, variabili dipendenti dai profitti.
Qualsiasi pubblicizzazione o ri-publicizzazione di un servizio da parte di un
Comune, a esempio, potrebbe essere denunciato da parte di una
multinazionale come restrizione e inadempienza dell'accordo e giudicato da
una "corte speciale" composta da 3 avvocati d'affari rispondenti
(ovviamente) alle normative della Banca Mondiale.
Il diritto alla città: i luoghi, la città (e la città metropolitana)
La città possiede una storia che è profondamente legata alla creazione dei
significati culturali, sociali e politici che, nel loro insieme determinano
l'identità collettiva, il senso di comunità, la cittadinanza come comune
apparteneza.
Oggi, però, la vita, come afferma Marc Augé (Non luoghi), si svolge
prevalentemente in “non luoghi” (centri commerciali, multisala, stazioni,
aeroporti, autostrade, spazi per il tempo libero, spazio-giochi, spazio
cibernetico, reti cablate…), “non luoghi” dove non si rapportano le diverse
identità ed esperienze ma si definisce, astrattamente, una identità
condivisa: quella di passeggeri, utenti-clienti, spettatori, consumatori…
L’individuo, qui, è messo in rapporto solo con un’altra immagine di se
stesso garantita dal comune anonimato e da codici comuni di
comportamento.
Anche le nostre città sono, ormai, caratterizzate da “non luoghi” ovvero
luoghi in cui paradossalmente non si produce nessuna presenza relazionale
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ma si transita. Questi “non luoghi” si contrappongono ai luoghi pubblici
della socializzazione dove lo stare insieme era comunicare non solo
informazioni ma affetti e stili di vita, trasformare passioni, produrre
iniziazioni nel senso di aver accesso al mondo storico, alla tradizione, alla
cultura .
Alla “città comunità” si sostituisce la “città funzionale” che si
limita a connettere i “non luoghi”, a creare connessioni tra spazi attrezzati
per realizzare funzioni legate prevalentemente al mondo dell’economia,
dell’efficienza, del potere, del denaro e della tecnica.
La “città funzionale, la “città telematica”, con la sua presunta efficienza,
dissolve gli spazi, la piazza e tutti i luoghi di riferimento. Il collegamento è
tra “punti” e non tra “luoghi”. Un sistema di connessioni funzionali che
definiscono un continuum urbano e delle conurbazioni (città
metropolitana), continuum fatto di equivalenze che collegano punti.
Gli spazi pubblici perdono di significato e la socialità si restringe sempre
più in piccoli cerchi e tende a risolversi nel “ritiro”, nella dimensione
privata. Allora, è difficile che ci sia cura di ciò che è comune senza qualche
forma di amor loci.
Dal canto suo, questa città, produce costi insostenibili dal punto di vista
sociale, culturale e ambientale.
La città, come la società, per altro, si può rappresentare, oggi,
come un mondo di merci che si muovono portandosi dietro gli
uomini. La città sembra essere, sempre più, una realtà virtuale.
Oggi, la “città ipermercato” contro la “città teatro”.
La città teatro, invece, é teatro nel senso greco, come luogo della
rappresentazione pubblica delle dinamiche relazionali, sociali e affettive.
Di fronte al continuum urbano non ci sono più distinzioni (se non di
funzioni amministrative) e i luoghi perdono il loro confine e la loro identità.
Il confine è la città e il confine è essenziale alla costruzione di ogni identità.
La città, quindi, non permette più di istituire la realtà come realtà sociale di
tutti gli uomini, come comune appartenenza.
La società urbana nasce dalle rovine della città. Si perdono, così, identità
storico – culturali,
- esperienze singolari,
- valori e risorse locali,
- forme di conoscenza,
- sistemi di relazioni.
Il sistema città non è più aperto nei termini in cui coincide con l’intera
società.
Come dice Adorno (Minima moralia), quando il generale penetra nel
particolare, il particolare scompare.
I territori urbani si uniformano e divengono indistinguibili: è qui, anche,
una ulteriore ragione contro la devastante massificazione insita nell’ipotesi
di costituire “città metropolitane” .
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La dimensione "locale"
Nell’ipotesi di un cambiamento radicale e di un processo di
transizione, che esca dalla situazione di irreversibilità della crisi indotta dal
sistema capitalistico, il concetto di “locale” assume una importanza
strategica.
Ancor oggi, nonostante precedenti studi e approfondimenti (si veda
AA.VV.,“Il territorio dell’abitare. Lo sviluppo locale come alternativa
strategica”), il concetto di locale può apparire ambiguo e suscitare
fraintendimenti.
Il concetto di locale va, quindi, riconcettualizzato a partire da ciò che il
locale non è: il locale non è, innanzitutto, un concetto dimensionale, quindi
il locale non ha scala e non può essere ridotto al concetto di “piccolo”, il
concetto di locale non è, necessariamente, legato a una dimensione fisicospaziale esclusiva e concreta, il locale non è il “periferico” ma allude alla
dissoluzione della categoria stessa di perifericità. Il fenomeni locali sono
posti al “centro” e la sfera globale è considerata residuale, periferica,
l’esterno. Infatti, la dimensione spaziale del globale ha come obiettivo e
significato la riduzione della complessità e della ricchezza del locale, la sua
omologazione e, quindi, non può che stare all’esterno, ai margini, nella
periferia delle geografie reali e di esistenza dei sistemi locali.
Il locale, quindi, non è una articolazione del globale, non è un suo
dettaglio e il globale non è la sintesi delle realtà e degli elementi locali.
Il locale è una modalità di concepire il territorio
indipendentemente dalla scala di riferimento, di concepire le
risorse, la società e il loro governo.
Locale è, di fatto, una “visione del mondo”.
Lo sviluppo delle società locali rimanda, quindi, a un progetto
che richiede il superamento del territorio e dell’ambiente come
dati, meri supporti delle attività economiche o come risorsa da consumarsi
all’interno dell’idea di crescita illimitata (N.Georgescu-Roegen,
Bioeconomia. Verso un’ economia biologicamente e socialmente
sostenibile).
Un salto concettuale richiede di considerare il locale come punto di
vista che assume l’unicità, lo specifico come valore, la
complessità come regola, l’auto organizzazione sociale ed
economica come modalità (Alberto Magnaghi, Il progetto locale). Il
territorio assume, quindi, la valenza di ecosistema e di società
locale intesa come realtà complessa.
Il rapporto tra territorio e processi socio-economici locali non va inteso,
quindi, esclusivamente come proiezione spaziale di dinamiche economiche,
ma come rapporto tra un insieme complesso di elementi le cui specificità
territoriali sono espresse fondamentalmente dalla qualità di interazioni
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sociali e sistemi di comunicazione, cooperazione e scambio all’interno di
concreti ambiti di identificazione culturale.
La costruzione sociale del territorio (Ivano Spano, Ricerca di rilevante
interesse nazionale: Sviluppo di comunità e partecipazione), che si
esplicita nel processo di estensione delle relazioni e di produzione
di autonomia dei soggetti, viene intesa come sviluppo delle risorse viste
non come date ma come prodotto (emergenza) delle dinamiche relazionali
stesse (I. Spano, D. Padovan, Complessità sistemica e sviluppo ecosostenibile).
Il locale non coincide assolutamente, poi, con il “localismo”, il
campanilismo che si presentano come la “chiusura” del sistema locale, la
sua conservazione retta dalla presunzione della propria superiorità.
Il localismo, il campanilismo individuano come controparti tanto il livello
globale e centrale, quanto le altre culture locali (si veda la Lega). La visione
locale, invece, sa leggere nella formazione di altri livelli locali un aumento
vantaggioso di complessità e di potenzialità di interscambio e, quindi una
risorsa per il suo e l’altrui sviluppo.
In questa direzione, la Provincia rinnovata potrebbe svolgere il ruolo
essenziale: la “Provincia dei Comuni” come “nuova modalità di
relazione tra enti in chiave antigerarchica che, riconoscendo la sovranità
municipale nell’autogoverno del territorio, assegna agli enti sovra
territoriali un ruolo di coordinamento e copianificazione, fondati su
‘azioni di sostegno, generalizzazione, servizioe definizione di quadri e
strumenti per le politiche sorgenti dal municipalismo federato’…Ciò
conduce inevitabilmente a ridefinire il ruolo degli enti sovraordinati,
mettendone in discussione il principio di governo fino ad oggi piramidale,
de localizzando potere sugli organismi municipali, per poter poi
ricomporre un nuovo patto, costruire un nuovo spazio pubblico che sia
seriamente fondato sui principi di autonomia relazionale e responsabilità
sociale dei soggetti coinvolti” (ARNM Gruppo di Lavoro sugli Enti
Intermedi, Province & Partecipazione).
E’ necessario impedire che i luoghi di governo si allontanino
sempre più dai cittadini e non certo credere nella “leggenda
metropolitana” della attuale politica che indica nella eliminazione delle
Province una soluzione dei mali economici.
Con grande probabilità si potrebbe affermare la necessità di ridefinire il
territorio delle Province secondo criteri ecologici e alla natura dei sistemi
ambientali. Va da sé l’eliminazione di quelle Provincie recentemente
istituite per consolidare interessi politici di governo.
Rilocalizzare: per una rinascita del locale
La rilocalizzazione è considerata anche dall’economista Serge Latouche,
“teorico” della decrescita, lo strumento strategico più importante per
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avviare e realizzare il processo di radicale cambiamento della realtà
economica, sociale e politica attuale, superando l’ “inferno della crescita”
(S. Latouche, La scommessa della decrescita) e le sue catastrofiche
conseguenze.
Rilocalizzare significa avviare un processo tendenziale di
produzione a livello locale della maggior parte dei prodotti necessari
alla soddisfazione dei bisogni della popolazione insediata, attraverso una
rivalutazione delle risorse locali (materiali e umane), la ridefinizione di
nuove forme sociali di produzione ( patto sociale tra detentori di
capitale e lavoratori, principio di sussidiarietà del lavoro e della
produzione per il superamento del lavoro dipendente,
affermando, in particolare l’applicazione dell’Articolo 43 della
Costituzione), la riconversione dei processi produttivi attuando
risparmi energetici e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, utilizzando
materiali riciclabili e producendo beni durevoli (contro l’ideologia e la
cultura dell’usa e getta), riqualificando la qualità di ogni prodotto (e
di ogni servizio).
Questo, è qualcosa in più che non, come spesso accade per ovvi motivi di
propaganda, la banalizzazione dell’ipotesi “territorio zero”, “Kilometri
zero”, ipotesi ridotte a poco più che una lista della spesa (Padova 2020
insegna).
La “ricetta culturale” per tutto questo è alquanto semplice e richiede
solo il coraggio di sperimentarla e realizzarla compiutamente: meno
quantità, più qualità, ossia più relazioni! (R. Normann, La gestione
strategica dei servizi).
La necessità di rivitalizzare il locale è, di fatto, strategica come
risposta decisiva al fallimento del sistema capitalistico e ai disastri
indotti dalla globalizzazione, tra cui anche la perdita, la rottura dei legami
sociali.
Ritrovare il rapporto con il legame sociale significa fattivamente aver
accesso alla creazione sociale dei significati e porre in essere la
dimensione normativa (trasformativa e regolativa) della società.
Anche i bisogni umani sono una creazione sociale: abbiamo
bisogno di ciò a cui diamo valore. Se non istituiamo valori
non avremo alcun sviluppo di bisogni. I valori sono un prodotto sociale a
cui ognuno deve contribuire al fine di restituire alla società la sua natura
relazionale, di sistema aperto, auto creativo, auto trasformativo,
autoregolativo.
A proposito del riferimento ai valori come prodotto sociale, Fritjof Capra e
Hazel Henderson nel loro lavoro “Crescita qualitativa. Un quadro
concettuale per individuare soluzioni all’attuale crisi…”, in relazione al
presunto valore della “Crescita” sbandierato da tutti i poteri dominanti e
dalla loro classe politica come la panacea di tutti i mali, affermano: “
Riconoscere l’errore fondamentale insito nel concetto convenzionale di
crescita economica…rappresenta il primo passo essenziale per superare la
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crisi economica…Dato che ciò che definiamo “crescita” è più che altro
spreco chiamiamola per quello che è! Chiamiamola una economia dello
spreco e della distruzione. Definiamo invece crescita ciò che
valorizza la vita…e affermiamo che è di questa che il pianeta ha
bisogno...Questa nozione di ‘crescita che valorizza la vita è ciò che
intendiamo per crescita qualitativa – una crescita che intensifica la
qualità della vita”.
Il riferimento a questo concetto di “crescita qualitativa” come capacità di
intensificare la qualità della vita, rende necessario non riferirsi più a quell’
indicatore storico più diffuso e utilizzato dall’economia capitalista: il PIL
(Prodotto Interno Lordo). Da più parti (studiosi, istituzioni, organizzazioni
della società civile…) ne hanno documentato i limiti e, soprattutto, la
incapacità a essere indicativo della realtà della dimensione locale e
individuale.
Di fatto il PIL è legato alla “crescita economica” quantitativa, è un
indice generale – sintetico di benessere che non tiene conto delle differenze
tra i percettori di reddito, tra questi e chi reddito non ha, non tiene conto di
quei beni che non hanno un mercato (indicatori di qualità e non di
quantità), non considera le esternalità negative ossia i costi indotti dalle
attività produttive (inquinamento, sfruttamento incontrollato delle risorse,
perdita di biodiversità…), né la qualità della spesa pubblica.
E’ necessario rifarsi, conseguentemente, a indicatori, sopratutto
qualitativi, capaci di dare visibilità ai diversi parametri e attribuzioni di
significato dei termini “benessere” e “qualità della vita”, indicatori analitici
in grado di potersi riferire anche a realtà locali come quella rappresentata
dalla dimensione comunale.
L’indicatore di benessere che qui viene proposto, come esempio, costituisce
un’ipotesi di partenza da valutare anche rispetto alla dimensione locale –
comunale, così come proposto su scala nazionale e regionale da
“Sbilanciamoci”,
Campagna
Nazionale
coordinata
da
Lunaria
(Sbilanciamoci, Come si vive in Italia? Indice di Qualità Regionale dello
Sviluppo QUARS).
Si tratta dell’indice denominato “Qualità Regionale dello Sviluppo”,
QUARS. “Il QUARS descrive un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla
sostenibilità, l’equità, la solidarietà e la pace, che non può limitarsi
all’osservazione della semplice crescita economica ma deve estendersi alla
qualità dei servizi, all’attenzione per le problematiche ambientali,
all’osservazione dei nuovi percorsi di sviluppo, alle forme di un’economia
diversa, ad un welfare della cittadinanza” (Sbilanciamoci, Come si vive in
Italia?).
Il QUARS rappresenta, sintetizza e quantifica quattro dimensioni: Indice
di Sviluppo Umano, elaborato e assunto dalle Nazioni Unite, Indice di
Qualità Sociale, composto da indicatori su sanità, salute, assistenza,
scuola, pari opportunità, Indice di Ecosistema Urbano, ottenuto a
12
partire dall’indice elaborato da Legambiente sui situazione dei capoluoghi
di provincia, Indice di Dimensione della Spesa Pubblica, che valuta i
livelli di spesa su istruzione, sanità, assistenza, infanzia e giovani, disabilità,
ambiente...
Sono questi indicatori che possono essere considerati una base da
arricchire ed elaborare. A nostro avviso si possono già prevedere due
ulteriori indicatori:
Indice di Crescita Culturale
“processi di integrazione culturale” (immigrati, nomadi, soggetti
marginali…),
- “estensione dei diritti culturali”,
- “comunità educante”,
- “rapporto tra politiche culturali ed educative”,
- “valorizzazione patrimonio culturale”, (banche dati, museo virtuale,
itinerari turistici…),
- “socializzazione delle informazioni”,
- “accesso alla dimensione digitale dei progetti collettivi”,
- “cooperazione culturale internazionale”.
Indice di Sviluppo Locale
- “valorizzazione dell’identità dei luoghi”,
- “sviluppo di trame e relazioni virtuose” (capitale sociale, reti di reti…),
- “processi di auto – organizzazione sociale ed economica”,
- “creazione di spazi di economia sociale e solidale”,
- “soluzioni abitative come risposta alle esigenze sociali dell’abitare,
condomini solidali…”.
A questo riguardo, duecento gruppi e reti di sviluppo locale confluiti a Lima
(1997) in un primo incontro mondiale sull’economia sociale e solidale
individuano in queste la funzione di rivelare le dimensioni
dell’economia occultate dal modello neoliberista.
Il loro punto di partenza è lo sviluppo delle capacità locali al fine di:
- permettere lo sviluppo di ogni persona e l’assunzione di responsabilità
nella definizione di attività socialmente utili,
- rafforzare le capacità delle comunità insediate di garantire l’equità e
promuovere accesso,
- attuare una ripartizione egualitaria delle risorse a partire dal livello
locale.
Sono, questi, processi che hanno come condizioni:
- stabilire un vero e proprio diritto alla iniziativa singola e collettiva,
- promuovere processi partecipativi come capacità d’ intervento in decisioni
pubbliche,
- articolare in rete le diverse iniziative economiche e sociali,
- sviluppare una società civile sul piano locale che internazionale,
13
- far assumere allo Stato responsabilità a garanzia reale dei diritti sociali
universali.
Si rende necessario, quindi, intervenire per permettere l’emergenza di
nuovi soggetti e ridar senso agli stessi al fine di ricostituire il tessuto
relazionale, i legami sociali e permettere la socializzazione delle diverse
capacità superando ogni separazione (Martha C. Nussbaum, Creare
capacità. Liberarsi dalla dittatura del PIL).
E’ implicito il riferimento allo sviluppo della “comunità locale”
ambito della esperienze vitali e realtà del gruppo sociale in cui l’omogeneità
culturale (esperenziale) permette l’adozione di una progettualità
immanente, spontanea, implicita, ricorsiva, pressoché autoriferita.
Anche l’ipotesi “Territorio zero. Per una società a emissioni zero,
rifiuti zero e chilometri zero”, considera come punto base e di
partenza per una politica innovativa di sviluppo e attivazione di una
“economia reale” in contrapposizione a quella virtuale e speculativa, il
livello locale. Si parla di “un’ economia capace di valorizzare la produzione
effettiva di beni e servizi per la comunità, attraverso la riduzione di
emissioni
climalteranti,
rifiuti,
intermediazione
parassitaria,
disoccupazione, devastazione del territorio”.
La riconcettualizzazione della dimensione locale, la rinascita dell’idea di
comunità, la ricostruzione dello spazio pubblico a partire dalle esperienze
concrete (che oggi si stanno moltiplicando in tutto il mondo) di
riappropriazione cooperativa/solidale di spazi per l’abitare e per il
produrre, sono strumenti per la creazione di una radicale trasformazione
dell’attuale stato di cose.
La “comunità possibile” (De la Pierre, L’etnicità comunitaria) come il
prodotto di relazioni fra differenze che trovano riconoscimento reciproco e
regole di convivenza e accordo su comuni progetti (“solidarietà vissuta”),
facendo evolvere i processi di partecipazione dalle forme di adesione a
progetti predeterminati verso l’autopromozione progettuale capace di
valorizzare le capacità espressive di tutta la comunità insediata e
gemmare forme e istituti di autogoverno rivolti allo sviluppo di tutta
la comunità stessa: “Solo nel saper costruire si da la possibilità del saper
abitare inteso non come l’abitare qualcosa ma come qualcosa che abita in
noi”, M. Heidegger, Saggi e discorsi).
Già nel 1945, Adriano Olivetti formulava un concetto straordinario
di comunità definendola "concreta" (L'ordine politico delle
comunità). La comunità è prioritariamente uno spazio. E' il quantum di
territorio in cui gli uomini possono abitare, vivere e convivere, ossia
comporre i conflitti in virtù del "comune interesse morale e materiale". La
comunità è più che "a misura d'uomo", è essa stessa una "misura d'uomo".
La comunità, che per Olivetti è più della dimensione comunale, nella
propria autonomia ha funzioni attive nel governo del territorio e
14
nell'economia, funzioni
trasformatrice.
da
assolvere
in
maniera
diretta,
attiva,
La comunità, basata su valori di equità e giustizia, si pone quindi come
"diaframma indispensabile" fra l'individuo e lo Stato. Un
diaframma che contine l'idea di una grande riforma sociale ed
economica: "determinate imprese private saranno progressivamente
trasformate in enti di diritto pubblico e prenderanno il nome di Industrie
sociali autonome o Associazioni agricole autonome. La Comunità
possiederà sempre una parte importante del capitale delle società
autonome, appartenendo il rimanente ai dipendenti o allo Stato regionale
o ad altre Comunità" (Adriano Olivetti, L'ordine politico delle comunità).
Come ricorda Salvatore Settis (Democrazia molecolare) la rete delle
comunità è il mezzo concreto per rifondare lo Stato dal basso, passando
progressivamente dalla "piccola patria" alla nazione: "affinché la persona
sia libera..occorre che lo stato esista per l'uomo e non già l'uomo per lo
Stato...La nostra resurrezione potrebbe solo attuarsi giorno per giorno,
dando nuova responsabilità e moralità alle industrie, dando vigore e
autonomia ai sindacati...innalzando un diaframma creativo tra
l'individuo e lo Stato...la Comunità sarà un valido, nuovo strumento di
autogoverno, essa nascerà come consorzio di comuni. E le Comunità,
federate, daranno luogo, esse sole, alle Regioni e allo Stato". (A. Olivetti,
L'ordine politico delle comunità).
Anche da qui, l'dea e la proposta di una "Democrazia locale".
Il livello politico
La rilocalizzazione deve avvenire anche a livello politico.
Takis Fotopoulos (La crisi dell’economia di crescita in Complessità
sistemica e sviluppo eco-sostenibile) parla a questo riguardo di
“democrazia inclusiva” che vede nel livello locale la possibilità concreta per
cambiare l’intera società a partire da un rinnovato impegno a livello delle
municipalità. In questo modo, la politica non sarebbe più una tecnica per
detenere il potere ma rappresenterebbe l’autogestione della società da parte
dei suoi membri.
“Il grande problema di una politica di emancipazione sta nel
trovare i modi per unire tutti i gruppi sociali che formano la
base potenziale del nuovo soggetto di liberazione, per
accumunarli attorno a una visione del mondo comune, a un
paradigma condiviso che attacchi chiaramente le strutture
attuali che continuano a concentrare il potere a tutti i livelli e il
loro sistema di valori”.
Il locale rappresenta lo spazio in cui sperimentare pratiche di
rafforzamento dell’esercizio della democrazia: laboratori di analisi
15
critica e di autogoverno della cosa pubblica.
L’associarsi sembra essere, oggi, un compito in salita specialmente
se si vuol mettere insieme i più deboli, coloro che senza un legame comune
rimarrebbero schiacciati dalla diseguaglianza di condizione e dalle insidie
dei poteri economico e politico costituiti.
“L’homo civicus è la risposta a questi poteri sociali in lotta contro le élites
della politica e dell’economia” (Franco Cassano, Homo civicus. La
ragionevole follia dei beni comuni). L’homo civicus non è
semplicemente la società civile ma la società civile che si associa
e si occupa della cosa pubblica.
L’esercizio della cittadinanza diventa, allora, una funzione essenziale per la
rinascita della società contemporanea: l’unica forma attraverso la quale gli
interessi comuni sono al centro dell’attenzione di ogni individuo, senza
imposizioni dall’alto.
La “cittadinanza attiva” non legittima, allora, nessuna delega data una
volta per tutte.
Una nuova concezione della democrazia implica quindi,
necessariamente, un’idea diversa di cittadinanza che non può non
abbracciare gli aspetti economico, politico, sociale e culturale.
La “cittadinanza politica” si centra sulla idea di homo civicus, comporta
nuove forme politiche e il ritorno alla concezione classica della politica: la
democrazia diretta.
La “cittadinanza economica” implica la definizione e costituzione di
nuove strutture economiche di proprietà e gestite dalla comunità, nonché il
controllo delle risorse economiche: la democrazia economica.
La “cittadinanza sociale” comporta la definizione e la realizzazione di
strutture di autogestione dei processi produttivi e del lavoro, della
produzione di servizi, nonché la democratizzazione della famiglia (il
superamento delle disparità in essa ancora presenti) e nuove strutture per il
benessere collettivo: la democrazia sociale.
La “cittadinanza culturale” definisce il luogo ed è il prodotto
dell’incontro/scontro tra le diverse esperienze, determina il controllo dei
mezzi di informazione e lo sviluppo di tutte le potenzialità e manifestazioni
espressive del soggetto umano (le arti).
Potremmo
definire
questa
cittadinanza
come
“cittadinanza
democratica” che presuppone una concezione ‘partecipatoria’ della
cittadinanza attiva.
Su questa base assume ulteriore significato il concetto di “democrazia
inclusiva” nella sua articolazione di “democrazia politica”,
“democrazia economica”, “democrazia sociale” a cui si aggiunge il
concetto di “democrazia ecologica” intesa come legame stabile e
ineludibile tra realtà sociale e natura. L’inserimento reale (e non ideale)
della prospettiva ecologica in un progetto politico democratico radicale è
assolutamente indispensabile o, meglio, ne è il fondamento attraverso cui
mettere in discussione i valori che reggono l’attuale società.
16
Anche da qui, l'idea e la proposta di "Democrazia locale".
Si rende, quindi, necessario definire collettivamente un “progetto” di
politica sociale che renda visibile la coincidenza tra
trasformazioni sociali e divenire individuale.
Occorre aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di
territorio” come bene che produce la forma, la qualità e lo stile
dell’insediamento umano.
Fare sviluppo è operazione non separabile dalla produzione di nuova
territorialità.
Ma, solo se nelle trasformazioni o nelle attività di produzione sociali un
luogo viene percepito come “dono” attraverso il quale noi stabiliamo un
rapporto ( come qualcosa che si possiede in comune ) riusciremo a ritrovare
una sintonia, a porre in essere delle possibilità.
La dilatazione del territorio dell’abitare è, infatti, la condizione per
inventare modelli spazio – temporali
- che producano spazio, dove la crescita quantitativa della congestione lo
distrugge ,
- che producano tempo , laddove la civiltà quantitativa della congestione
lo dissipa,
- che producano valore aggiunto estetico, ossia punti di riferimento
simbolici sempre carichi di una efficacia semantica capace di mantenere
una memoria affettiva del proprio habitat,
- infine, che valorizzino la ricchezza qualitativa e la pluralità dei luoghi
spazio - temporali contro la sparizione dello spazio – tempo umano
prodotta dalla ipervelocità dei mezzi di comunicazione.
Uno sviluppo locale, quindi, ma anche una architettura orientati in senso
ecologico che assumono come oggetto un oggetto complesso quale lo
“spazio del vivere”, allargando lo spazio della memoria e del sentimento,
ampliando i significati che riappaiono sul “teatro della nostra vita intima”.
Hoederlin, in questo senso ha parlato di “abitare poeticamente la
terra” ossia della necessità di rompere la razionalità del calcolo dell’uomo
sulla natura, per liberare quelle potenzialità, quelle modalità espressive,
creative e relazionali che ci rimandano alla memoria dell’unità mitica tra
uomo e natura, tra uomo e uomo, al punto che il mondo sia veramente il
nostro mondo.
Da qui la necessità di considerare la città come sistema aperto.
La città aperta vuole essere :
- Un luogo di incontro delle diversità: italiani, stranieri, categorie deboli e
categorie forti.
- Un luogo dove si realizzi un concetto di cittadinanza attiva che permetta
alle diverse espressioni di bisogni di rendersi visibili e di attivare risposte
corrispondenti,
- Un luogo dove le decisioni su tutte le problematiche del territorio
17
interessato vengono affrontate secondo una metodologia come quella del
bilancio partecipativo.
Il bilancio partecipativo prevede che tutti i soggetti interessati, singoli
o gruppi e istituzioni definiscano :
a) la lista dei problemi
b) mettano in evidenza le priorità
c) individuino le risorse esistenti capaci di portare a soluzione
(totale/parziale) i problemi elencati
d) i ndichino i soggetti responsabili delle azioni corrispondenti
e) valutino la necessità di integrare le risorse non immediatamente
disponibili
f) stabiliscano dei tempi di attuazione.
La Città Aperta dovrebbe permettere la piena espressione di diversi
soggetti (culture/etnie) divenendo:
- luogo privilegiato per tutte le attività cittadine sui temi
dell’interculturalità, della diversità, dell’emarginazione
- laboratorio di esperienze delle diverse culture (es. organizzazione di feste:
foklore, riti, tradizioni ,cucina etnica…) dove dare sviluppo alle esperienze
singolari (dimensione di civiltà), a giochi da scambiare e laboratorio sui
giochi (attività pedagogiche educative per bambini tese a ritrovare le radici
antropologiche dei significati), alla dimensione dei riti.
- forum attivo delle rappresentanze ( tipo consiglio di quartiere)
- strumento di elevazione delle qualità della vità con l’estensione di servizi
sociali e servizi assistenziali e per il disagio etnico
- laboratorio di sperimentazione di processi di Welfare locale-municipale
(Welfar community) capace di promuovere la piena cittadinanza attiva di
ogni individuo a partire da quei diritti che ogni persona ritiene le debbano
essere riconosciuti nella vita quotidiana e nelle situazioni di bisogno.
Le nuove forme di "democrazia diretta dal basso"
Il nuovo Municipio non può non relizzarsi che attraverso la
riconquista della autonomia di governo che la Costituzione gli
attribuisce, potenziando gli istituti di decisione per permettere
una gestione della cosa pubblica espressione diretta della
cittadinanza attiva (governo dal basso), come animazione e
sostegno degli istituti di democrazia delegata (sindaco, giunta,
consiglio comunale).
Anche da qui, l'idea e la proposta di "Democrazia locale".
In particolare, si pensa a una Giunta comunale con "assessorati
aperti" composti da
- una rappresentanza delle principali associazioni economiche e di categoria
18
(agricoltori, artigiani, commercianti, imprenditori, ecc.)
- una rappresentanza delle associazioni con diverse finalità (culurali,
sociali, di difesa del territorio e dell'ambiente, ecc.)
- una rappresentanza di comitati e di forum specifici (tematici, territoriali,
urbani, di categoria, ecc.) e degli studemti delle Superiori e Università
- una rappresentanza delle circoscrizioni e consigli di quartiere e dei
lavoratori dei diversi settori del'amministrazione comunale e altro.
Il ruolo di ogni assessore, come esponente del governo locale, sarà quello
di predisporre gli strumenti per garantire la partecipazione stabile delle
diverse rappresentanze, predisporre linee di indirizzo dell'assessorato,
fornire la documentazione disponibile e quella che potrà essere richiesta
dai partecipanti, produrre il piano degli interventi secondo la metodologia
del "bilancio partecipativo", frutto del concorso di tutta l'assemblea dei
partecipanti.
E' dal Progetto, come questo Manifesto per il Governo Locale prospetta,
che verrà derivato un Programma operazionabile (e non una lista
della spesa), con una reale partecipazione dal basso dei cittadini
attivi.
Al Sindaco e al Consiglio comunale spettano compiti politici e di indirizzo
legati al Progetto.
Tra questi, i prioritari:
1. Difesa della Costituzione e dei suoi principi istitutivi con particolare
-
-
-
riferimento
alla salvaguardia, difesa del lavoro e potenziamento delle possibilità di
lavoro,
alla difesa e sviluppo della sovranità popolare,
alla difesa ed estensione dell'autonomia degli Enti Locali,
compreso la possibilità di istituire banche pubbliche locali,
attraverso anche una revisione del Titotlo V della Costituzione che
non obblighi all'osservanza e a dipendere da trattati internazionali lesivi
dell'autonomia degli Enti stessi (Fiscal Compact e conseguente "pareggio
di bilancio",...),
all'abolizione della possibilità di isituire "città metropolitane" sia per
impedire processi devastanti di ulteriore urbanizzazione che
appesantimento dei processi amministrativi in senso burocratico;
alla rivalutazione all'interno della Costituzione dei temi relativi alla
salute e alla scuola come diritti costituzionali inalienabili e non soggetti
a politche di restrizione e taglio della spesa pubblica, nonché delle
problematiche dell'informazione rispondendo alla inderogabile
esigenza di far fronte alla degenerazione causata dal doppio controllo
politico e proprietario dell'informazione stessa,
alla riforma
del Senato (granda assemblea
delle
rappresentanze),
con
presenza
maggioritaria
di
19
amministratori degli enti locali, rispetto ad altre rappresentnze,
come ulteriore espressione della "democrazia dal basso";
2. Riforma dell'ANCI, l'Associazione Nazionale dei Comuni
Italiani, al fine di potenziare attività di indirizzo della politica nazionale,
iniziative di proposta di leggi, forme di aggregazione di comuni (reti) per la
gestione delle politiche locali e sostegno ai piccoli comuni, diffusione di
buone pratiche amministrative locali, interventi e coinvolgimenti stabili nei
confronti del Governo nazionale sulle problematiche (leggi, provvedimenti,
piani...) che interessano il Governo locale, osservatorio sulle problematiche
della realtà locale e diffusione di informazioni su politiche e strumenti di
inervento;
3. L' assunzione, come ipotesi stabile di lavoro, del Progetto
"Territorio zero. Per una società a emissioni zero, rifiuti zero e
chilometri zero", manifesto che introduce nuove modalità per lo
sviluppo lacale ("neocrescita" o, come affermato in questo documento
"Crescita qualitativa") centrato sulla valorizzazione del territorio e su una
economia reale che a partire dal rispetto dell'ambiente e delle risorse
naturali, valorizzi la produzione effettiva di beni e servizi per la comunità
(Livio de Santoli, Angelo Consoli, Territorio zero. Per una società a
emissioni zero, rifiuti zero e chilometri zero). Il termine neocrescita, in
questo contesto, "significa crescere liberi, senza sprechi e con una forte
riduzione delle diseguaglianze, a partire dalla modellazione locale del
mercato finanziario e bancario".
E' necessario, quindi, "imporre standard di finanza etica nel territorio
della propria amministrazione locale...misure attive di creazione di
credito cooperativo, circolazione controllato di monete alternative,
microcredito pubblico...creazione di altre forma di finanziamento
sociale...A livello nazionale ed europeo è necessaria un'azione spinta dal
basso, cioé dalla coalizione degli mministratori locali, perché si arrivi a
ridefinire le regole del mercato finanziario, scoraggiando le forme di
investimento speculativo e opaco". (Alessandro Politi, Territorio zero...).
4. La necessità di riappropriarsi della Banca d'Italia, ora istituto
privato, di istituire banche pubbliche e riformare la Cassa Depositi
e Prestiti a vantaggio degli enti locali, di intervenire sul debito
pubblico richiedento immediatamente l'audit del debito. " Un esame della
provenienza del debito pubblico italiano e di chi ne è oggi in possesso, per
valutare quale parte va pagata, quale ristrutturata, quale eventualmente
dichiarare in insolvenza" (A.Baranes, Breve storia della crisi), sono misure
indispensabili per una rinnovata gestione del governo locale e nazionale.
Di fatto è il debito pubblico e le politiche di austerità e taglio della spesa
pubblica che presumono di mitigare il debito, a mantenere in dissesto il
nostro Paese e impedire una adeguata gestione del governo locale. Ora, la
20
domanda essenziale che si pone è se è preferibile in default guidato dal
debitore (come nel caso dell'Islanda), o un default guidato dai creditori
(come nel caso della Grecia)?
La risposta appare scontata soprattutto prendendo in considerazione anche
le tre domande successive. "Uno stato è in fallimento nel momento in cui ,
per tutelare i propri cittadini e il loro futuro, smette di pagare interessi
agli speculatori internazionali? O al contrario uno Stato che taglia la
spesa per la scuola pubblica e la ricerca, uno stato che chiude ospedali e
teatri, uno stato che non riesce a dare lavoro ai giovani e mantiene
privilegi inaccettabili è già uno stato in fallimento? E se uno stato è già in
fallimento, che senso ha pagare il debito? (A.Baranes, Breve storia della
crisi).
5. La necessità di stoppare con estrema fermezza ogni azione di
privatizzazione e di procedere alla ripubblicizzazione di quanto
fino a ora privatizzato, restituendo alla collettività il possesso e la
gestione di beni e servizi. Pari fermezza va agita nei confronti di ogni
operazione di liquidazione (svendita) del patrimonio pubblico.
6. Si rende anche necessario e urgente ricomporre il rapporto tra realtà
sociale e questione istituzionale al fine di giungere all’obbiettivo della
effettiva ricostruzione della cittadinanza attiva nelle sue diverse
forme sociale, culturale, politica, economica.
Questo comporta alcune priorità:
- un “patto sociale” tra detentori di capitale e forza lavoro, per una
ridefinizione dei rapporti di produzione e la tendenziale abolizione del
lavoro dipendente,
un
“patto
sociale”
tra
generazioni
fondato
sulla
costituzionalizzazione del “reddito di base incondizionato”, come
indicatore di libertà, di reali possibilità espressive e decisionali della
persona, come espressione di pratiche creative e produttive e di servizi
sociali orientati a valori non mercantili,
- azioni normative decisive per sottrarre alla competizione mercantile e,
quindi, anche alla logica astratta della mera garanzia delle pari
opportunità, il godimento effettivo dei servizi e funzioni istituzionali
fondamentali (istruzione, salute, solidarietà…) e di quelle risorse
(abitazione…) che costituiscono storicamente le condizioni necessarie
verso un libero sviluppo della persona (eguaglianza dello standard vitale
minimo),
- un “nuovo patto” tra Nord e Sud in grado di “ricostruire”,
idealmente e materialmente, il Paese senza misconoscere e avvilire le
specifiche vocazioni delle diverse aree geografiche, delle diverse realtà
locali,
- recuperare con fermezza il nesso tra democrazia politica e
21
diritti costituzionali che operano come limiti e vincolo verso la
volontà “assoluta” delle maggioranze e anche per superare il
sentimento di avversione verso la politica da parte di un numero
sempre maggiore di cittadini esteso, oramai, all’intero ceto politico,
considerato indistintamente una “casta abusiva e parassitaria".
7. L'Italia, poi, ha veramente bisogno di un "Piano delle Grandi Opere"
. Certamente non sono quelle già ipotizzate e, in parte, in via di
realizzazione che hanno una dubbia o meglio inconsistente utilità sociale ed
economica, a fronte di ingenti speculazioni finanziarie garantite, per altro,
dallo Stato, ovvero con i soldi di ognuno di noi. (I. Cicconi,Il libro nero
dell'alta velocità).
Diamo, quindi, alcune indicazioni su cosa intendiamo per "Grandi
Opere":
- interventi estesi per il riassetto idro-geologico del territorio
nazionale (è costantemente e drammaticamente avanti agli occhi di tutti
noi la perdita di vite umane per le diverse alluvioni, frane, cedimenti, la
distruzione di territorio e di produzioni con particolare riferimento a quelle
agricole-alimentari),
- la salvaguardia boschiva e il ripopolamento (contro
l'eutrofizzazione e i molteplici incendi, il disbocamento e le progressive
frane di terreno). Si pensi oltre alla salvaguardia del territorio, solo al fatto
che l'Italia è il secondo paese al mondo per l'esportazione di mobili e arredi
e che è costretto a comprare all'estero più dell'80% del legname). Questo
intervento richiederebbe, altresì, che lo Stato si dotasse di una legge quadro
sulla montagna (e, ovviamente, su altre importanti questioni),
- interventi per l'arresto del processo di desertificazione del
territorio agricolo. E palese il fatto che l'uso di sostanze chimiche
(diserbanti, concimi, fitofarmaci) riduce significativamente la produttività
del terreno agricolo, trasformando il terreno in sabbia e imponendo una
legge alle produzioni agricole definita dei "rendimenti decrescenti" . Questo
significa che di anno in anno, per mantenere lo stesso livello produttivo si
rende necessario aumentare tutti i trattamenti chimici con la conseguenza
di potenziare la desertificazione del terreno agricolo e, ovviamente, la
presenza della chimica nei nostri piatti, oltre che l'aumento dei prezzi dei
prodotti alimentari. "In questo scenario diventa un imperativoetico
riportare l'uomo al centro delle attività di rilancio di un'agricoltura di
qualità basata su un'economia della conoscenza che sappia mettere
nsieme i saperi agricoli tradizionali e le tecnologia energetiche innovative"
(L. de Santoli. A Consoli, Territorio zero).
- recupero e valorizzazione dei centri storici e di interesse
ambientale/culturale e di altri manufatti (come, ad esempio, la Via
Francigena...), con attività non solo di restauro ma di ripopolazione e
recupero della memoria storica,
- valorizzazione del paesaggio, potenziamento e valorizzazione dei parchi e
22
riserve nazionali e regionali,
- recuperare, salvaguardare e valorizzare il "patrimonio italiano" complesso
eterogeneo naturale, e culturale, riconosciuto e, spesso, ignorato, a volte
pubblico e a volte privatizzato.
Il patrimonio ambientale, territoriale, storico/culturale è da
considerarsi "bene comune" e, come tale, va salvaguardato e
valorizzato (con vincoli e piani, come dovrebbe essere anche per il
Paesaggio oggi soggetto a duri attacchi). Di questo patrimonio l'Italia è
ancora ricchissima ed è, per tutti noi, anche una risorsa economica
straordinaria, un campo, a esempio, in cui attivare e sostenere
l'imprenditoria giovanile, progettando anche attività correlate come i
"Distretti culturali", gli "Ecomusei", i "Musei virtuali" capaci di portare alla
luce un patrimonio complementare a quello custodito nei vari musei, ma
non per questo storicamente e culturalmente meno importante, la più parte
presente in parecchie nostre case,
- interventi sulle abitazioni, specialmente quelle di non recente costruzione,
al fine di ridurre gli sprechi energetici dovuti a cattivo isolamento (infissi,
ecc,). Il Wuppertal Institut ha stimato che questa perdita energetica si
aggira intorno al 30% dell'inquinamento di una normale città. Si pensi non
solo al risparmio economico generale e di ognuno degli interessati ma
anche al fatto che una riduzione dell'inquinamento di questa percentuale
sarebbe maggiore a quello ottenibile con il blocco dei veicoli a motore,
stimato intorno al 20% del totale. Anche questo è un campo significativo di
sviluppo imprenditoriale e di imprese cooperativistiche giovanili,
- interventi estesi e sistematici sulla sicurezza delle strade e la
viabilità (anche qui, i costi di vite umane non si contano...) in direzione,
anche, della "banalizzazione" di una parte delle ferrovie per convertire il
trasporto su gomma in trasporto su rotaia,
- promozione di politiche locali come, a esempio, quelle attivate dai
"Comuni virtuosi". "I 'Comuni virtuosi' hanno dimostrato che è
possibile ed economicamente conveniente, aspirare a una ottimale
gestione del territorio..., è possibile ed economicamente conveniente
ridurre l'impronta ecologica della macchina comunale..., è possibile ed
economicamente conveniente ridurre l'inquinamento atmosferico
promuovendo politiche e progetti concreti di mobilità sostenibile..., è
possibile ed economicamente conveniente promuovere una corretta
gestione dei rifiuti visti non più come un problema ma come una risorsa...,
è possibile incentivare nuovi stili di vita negli enti locali e nelle loro
comunità, ecc". (M.Boschini, Viaggio nell'Italia della buona politica, I
piccoli comuni virtuosi).
Un esempio importante di politica virtuosa a livello urbano può essere
l'organizzazione di "Condomini solidali". I condomini solidali, ricavati
anche dalla ristrutturazione di vecchi stabili, possono ospitare anziani soli,
persone in difficoltà a sostenere il costo di un alloggio (stranieri,
disoccupati, persone in cerca di un reinserimento sociale, giovani e giovani
23
sposi che vogliono mettere su casa e non ne hanno i mezzi, persone
residenti in SRBIA strutture residenziali a bassa intensita assistenziale con
livello adeguato di autonomia, giovani artigiani o professionisti che non
hanno i mezzi per avviare la propria attività...) che possono godere di
servizi comuni (portierato sociale, assistenza medica e domiciliare, mensa
sociale, lavanderia comune ed altro).
Il Comune potrebbe mettere a disposizione materiali e strumenti per la
ristrutturazione degli stabili nonché progettazione e direzione dei lavori e i
lavori stessi potrebbere esere eseguiti con l'aiuto dei potenziali abitanti, di
cooperative e delle associazioni di auto-costruttori.
In generale, "Il mettere mano a una grande opera di
valorizzazione del patrimonio pubblico cominciando dal
territorio sarebbe una potente manovra anticiclica che
andrebbe avviata subito per creare nuovi posti di lavoro"
(U.Mattei, Contro riforme) e riavviare e sostenere l'economia locale e
nazionale.
8. L'Assemblea dei Sindaci, nei diversi territori, deve assumere, poi, un
ruolo di indirizzo ma anche di goverso delle ASL Aziende Sanitarie
Locali e degli Ospedali.
Quali requisiti, allora (spunti tratti anche da A.L.B.A., Documento sulla salute):
- la Salute è un diritto da tutelare universalmente e non è una merce oggetto
di mercato: è necessario far passare il messaggio che non è consumando più
prestazioni che si produce una salute migliore,
- l’accettazione e la costruzione di equilibrio e di adattamento ai propri
limiti anche nella salute (cronicità, invecchiamento ecc.) sono obiettivi da
perseguire, non la ricerca della perfezione a costo di una eccessiva
medicalizzazione della vita,
- una medicina sobria ed equa comporta che il rigore e l’austerità non solo
non devono ridurre – come purtroppo le attuali politiche rischiano di fare ma addirittura devono potenziare l’impegno pubblico a rimuovere gli
ostacoli di ordine socio-economico che di fatto limitano il diritto alla salute
(articolo 3 della costituzione): anche a livello individuale, è da valorizzare
l’impegno per la prevenzione e scoraggiare la medicalizzazione eccessiva,
- la politica per la salute non può essere un variabile dipendente,
subordinata alle politiche finanziarie,
- l’impegno che ogni cittadino - doppiamente vero per i professionisti
sanitari e per chiunque abbia responsabilità nell’amministrazione pubblica
- deve porre per la salute propria e di chi lo circonda è di fatto un impegno
politico, stante la correlazione tra la salute e le varie dimensioni della vita
quali le condizioni socio-economiche, il livello culturale, gli stili di vita,
l’ambiente, il lavoro, la sicurezza, i trasporti, ecc.
Di fatto, è necessario e prioritario:
- abbattere, anche con adeguate campagne di educazione al benessere, ogni
processo di medicalizzazione delle fasi della vita (a partire da
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quell'atteggiamento e quelle pratiche tese a trasformare de dinamiche e le
espressioni dello sviluppo psico-fisico dei bambini in espressioni
patologiche, non sapendoci, in tendenza, più rapportare a loro),
- impedire l'espansione della cronicizzazione di buona parte delle patologie
ad opera di una politica sanitaria, indotta dalle grandi aziende
farmaceutiche, che, sotto la seduzione della cura, rendano dipendenti a vita
dai loro farmaci,
- temperare il ricorso, ormai quasi sempre prescritto in maniera rutinaria,
alle cure specialistiche, ospedaliere e alle alte tecnologie, nonché
quell'atteggiamento culturale verso la totipotenza della medicina.
E' necessario, di fronte alla crisi del "modello gerarchico di sanità",
tornare a un "modello distribuito di medicina del territorio,
-dove- i professionisti sanitari e i medici di famiglia sono le figure centrali
per realizzare una medicina proattiva...con al centro la promozione della
salute e la prevenzione...La salute di una comunità è determinata da
fattori socioeconomici e ambientali, dallo stile di vita e dall'accesso ai
servizi" (L. De Santoli, A. Consolo, Territorio zero).
Si evince la necessità di una strategia integrata tra organi di governo e
non, nei possibili ambiti di intervento territoriale: dall'azione dei medici e
di altre figura professionali (psicologi, naturopati, esperti di tecniche
riabilitative e corporee...) nel territori, agli interventi delle amministrazioni
pubbliche sul piano di una cultura del benessere e di intrventi pedagogici.
"La medicina moderna diventerà di iniziativa perché non deve essere più il
cittadino-paziente a rivolgersi al sistemma ospedale ma deve essere il
sistema Territorio Zero a prendere in carico il cittadino-paziente in maniera
proattiva" (L. De Santoli, A. Consolo, Territorio zero), intervenendo sulle
condizioni di rischio di disagio e di prevenire l'evoluzione della malattia
verso la cronicità.
9. Come per la salute anche la scuola è un diritto costituzionale
inalienabile e, quindi, non soggetta ad alcun taglio che possa
minacciarne, contrariamente alla situazione attuale, lo svluppo e ledere il
diritto allo studio. E' evidente che un impegno in tal senso da parte degli
enti locali, dei comuni, si ascrive nel processo di appropriazione della
politica e della politica economica, ridando nuvo significato e identità certa
e riconoscibile alla spesa pubblica.
Non si tratta, qui, di poter assicurare solamenete l'adeguatezza, pur
necessaria, della edilizia scolastica e dei servizi alla scuola, ma di essere
come comunità partecipi a quel compito straordinario e fondamentale che
caratteriza ogni insegnamento, ossia alla costruzione della identità del
soggetto umano.
Si tratta di ricostruire il significato e le pratiche di una
"Comunità educante". A tal proposito, il Ministro dell'Istruzione del
Canton di Ginevra, alla domanda sul "come mai la comunità produce uno
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sforzo economico gigantesco del la scuola, risponde: "La principale fonte di
ricchezza per Ginevra è l'intelligenza: "Se non investissimo in intelligenza
saremmo degli irresponsabili".
Per questo, l'ente locale, deve mettere in atto un'azione costante e condivisa
verso gli organi nazionali di governo al fine:
- di potenziare le risorse a favore della scuola,
- di potenziare le risorse a vantaggio del "diritto allo studio", diritto
universale e non riducibile,
- di risignificare la figura professionale dell'insegnante, del docente che non
può essere ricondotta alla sola istruzione, ancorché universitaria, ma ad
una necessaria attività di tirocinio pratico, con la supervisione di un tutor,
prima di assumere il ruolo di insegnante, che valuti le capacità di
relazionarsi con i ragazzi e le altre figure presenti nella scuola (colleghi,
genitori, altri educatori...), anche aldilà del contesto classe, dell'aula ma
nell'ambiente cittadino, in occasioni di vacanze, gite e altre attività
socializzanti. Da qui, anche la necessaria rivalutazione della professione
anche sul piano contrattuale ed economico,
- il riqualificare la formazione e la didattica non tanto sulla scorta dei
parametri di valutazione della stessa, quanto sull'apertura al mondo, sui
significati complessi dell'esperienza umana, sulla ricostruzione dei processi
storici e la capacità di problematizzare la realtà, sulla acquisizione di quella
capacità anche metodologica non solo di apprendere ma di "apprendere ad
apprendere",
- far ritornare l'insegnamento e, in particolare quello di base, all'interno
della non contraddizione tra tempi storici e tempi biologici. Nonostante i
progressi della conoscenza, della tecnologia, dei mezzi di comunicazione, "I
bambini continuano a venir al mondo sempre uguali. L'evoluzione
tecnologica non ha ancora influito sull'apparato genetico (e meno male
-nostra aggiunta). La scuola di base, oggi più di ieri, si deve porre il
problema di seguire la natura...E' venuto il momento di parlare con
franchezza di slow education, e cioé di una scuola di base che senza fretta
aiuti il bambino a sentirsi parte della natura, a conoscere le stelle, ad
amare le belle storie lette a voce alta da adulti amati, a distinguere
Mozart da Rossini, a fare grandi dipinti tutti pieni di colore...Ciò che ha
umanizzato gli uomini nel passato dev continuare a umanizzare gli
uomini nel futuro" (Fiorenzo Alfieri, Esperimenti sul mondo, in La mia
scuola).
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Democrazia locale
aldilà del politico
una rivoluzione dal basso
www.democrazialocale.eu
[email protected]
Una politica rivoluzionaria non significa, oggi, rifarsi necessariamente
alla natura delle rivoluzioni già agite nella storia umana ma, piuttosto, un
loro superamento in quanto capacità di cambiamento continuo,
giorno dopo giorno.
“La rivoluzione è un processo di liberazione...e
soprattutto un lungo e consistente processo di
trasformazione in grado di creare una nuova
umanità”
M. Hardt, A. Negri, Comune. Oltre il privato e il
pubblico
La democrazia si impara solo facendola!
Si tratta, quindi, di scegliere tra diverse visioni del mondo, alla
ricerca di ciò che appare più significativo, convincente, dotato di
senso, capace di dare risposte a questioni da troppo tempo
trascurate e ritenuti irrilevanti.
Ivano Spano, Università di Padova, , 339 3399853
[email protected], Dipartimento di Sociologia, Via Cesarotti 12, 35123 Padova
ore 24.00 del 9 Febbraio 2014
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