MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE
Transcript
MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE
DEMOCRAZIA LOCALE AL DI LA’ DEL POLITICO UNA RIVOLUZIONE DAL BASSO “La politica che c’è ha bisogno di una sola cosa: la politica che non c’è”. Franco Arminio, La politica che non c’é MANIFESTO PER IL GOVERNO LOCALE Il nuovo Municipio soggetto attivo verso il superamento dell’attuale stato di crisi e dell’impotenza della classe e delle forze politiche di governo del Paese "Per uscire da un cammino senza futuro non resta che riprendere una via orientata dai valori che la Costituzione ha tradotto in principi di valore cogente che rendono del tutto illeggittime le misure contrarie a eguaglianza, solidarietà, libertà, dignità. E' tempo di rientrare nella legalità costituzionale". Lorenza Carlassare, Nel segno della Costituzione. La nostra carta per il futuro Un programma per le prossime elezioni amministrative comunali non può più avere senso rispetto alla attuale situazione generale caratterizzata da una crisi economica, sociale e politica di lungo periodo che investe non solo il nostro Paese ma, tendenzialmente, buona parte del nostro pianeta, mostrando i limiti storici dell’attuale modello economico-sociale e culturale, nonché delle forze politiche di governo. E’ necessario, quindi, dotarsi di un progetto capace di dare un nuovo orientamento ai problemi generali del Paese e al loro riflesso su scala locale, progetto da cui derivare un programma che non può non essere comune per le sue scelte generali a tutte le amministrazioni comunali, nella valorizzazione imprescindibile delle specificità locali. Il Progetto deve potersi definire rispetto alle seguenti problematiche: 1. Il rispetto della Carta Costituzionale e la necessita di alcune sue modifiche sempre nel riferimento ai suoi principi ispiratori. E' questo, richiama la necessità di difendere, applicare la Costituzione e modificarla eventualmente sulla scorta dei suoi principi ispiratori, 2. La riacquisizione della sovranità dello Stato (politica, economica, monetaria) oggi ceduta al potere dell’alta finanza e al “Whascington consensus”, rilevando i pesanti inganni del cosiddetto “riformismo neoliberale” e dei suoi sostenitori. E, questo, richiama come la sovranità appartenga al popolo e come esercitarla concretamente, 3. Stoppare la politica dei tagli alla spesa pubblica che ci sta portando al massacro e che non ha inciso minimamente nella riduzione del debito e nel rilancio della operosità nazionale. E, questo, richiama la questione centrale del pareggio di bilancio e del debito pubblico e delle sue sorti, 4. Risignificare il ruolo degli enti locali come protagonisti della politica nazionale e di una democrazia diretta, dal basso E', questo, richiama la salvaguardia e il potenziamento dell'autonomia degli enti locali, 5. Ripensare e considerare il concetto stesso di “locale” non come dimensione puramente territoriale ma come una nuova visione della realtà: “il locale non verso il globale ma avverso il globale”. Il Rispetto della Carta Costituzionale La nostra Costituzione ha nel lavoro il suo principio (primo) ispiratore e pone il lavoro a fondamento della Repubblica democratica (Art.1). "Il lavoro in tutte le sue manifestazioni è dunque titolo di appartenenza alla comunità nazionale, alla cittadinanza" (G. Zagrebelski, Fondata sul lavoro. La solitudine dell'Articolo 1). La stessa "questione democratica è questione del lavoro e del lavoro libero e dignitoso....La democrazia non è solo questione di regole formali, ma anche di condizioni materiali dell'esistenza...Il lavoro è la prima di queste condizioni materiali" . La Costituzione pone il lavoro a suo fondamento per cui è dal lavoro che devono svilupparsi le politiche economiche e dalla politiche economiche prendere corpo l'economia. Oggi, purtroppo e drammaticamente, viviamo una realtà totalmente "rovesciata" e, quindi, totalmente anti-costituzionale: dall'economia dipendono le politiche economiche, dalle politiche economiche dipende l'intera realtà (diritti e doveri) del lavoro. Nella nostra Costituzione se c'è qualcosa di condizionato questo non è il lavoro ma la politica che ha nel lavoro il suo riferimento principale! Oggi, invece, nel momento in cui la politica è totalmente asservita all'economia, il mondo del lavoro è in fase di decostruzione. Questo, soprattutto per il fatto che l'economia reale è stata fagocitata 2 dall'economia fittizia, dall'economia finanziaria che non ha come scopo e obiettivo la produzione di beni e servizi ma l'accumulazione di denaro per mezzo del denaro. In breve: - l'economia reale può produrre lavoro e stabilità sociale, quella fittizia (l'attività finanziaria), no, - gli attori sociali non sono più né i lavoratori né gli imprenditori ma gli speculatori, - la finanza come mezzo (di sostegno e promozione dell'economia reale) è diventata un fine (è fine a sé stessa); - la finanza, come tale, non è interessata a costruire stabilmente. Anzi, prospera e si alimenta dallo sfruttamento di ogni instabilità (che lei stessa concorre a determinare), - la finanza che poteva generare lavoro si è trasformata, dunque, in finanza che lo distrugge, - la finanza rende ormai tutti (stati, collettività, singoli) del pari debitori e sottomette tutti alle sue regole, imponendoci una dura legge: dal poter vivere al poter, al più, sopravvivere, - l'economia finanziaria con i suoi prodotti immateriali non adempie, oggi, a nessuna funzione sociale: è speculativa, parassitaria, destabilizzante, colonizzatrice, impositiva, anti-democratica e, per noi, quindi, anticostituzionale. Questa situazione ha nel rovesciamento del rapporto tra politica ed economia la sua garanzia e il suo sostegno. Questo rovescimento é in totale contraddizione con l'Articolo 1 della Costituzione che fissa come la sovranità appartenga al popolo e, quindi, come non possa esaurirsi tra una elezione e l'altra. Carlo Esposito (La Costituzione italiana) afferma: "il contenuto della democrazia non è che il popolo costituisca la fonte storica o ideale del potere, ma che abbia 'potere' non che abbia 'la nuda sovranità' (che praticamente non è niente) ma l'esercizio della sovranità (che praticamente è tutto)". Di questo, oggi, sempre più persone stanno prendendone piena consapevolezza. "Gli anticorpi spontanei che i movimenti stanno esprimendo sono un segno di buona salute della democrazia, ma esigono la pazienza e i tempi dell'analisi. Richiedono la saggezza necessaria per non identificare i governi (spesso nemici del bene comune) con lo Stato. L'orgoglio necessario per ricordarci che lo Stato siamo noi, i cittadini...". Si rende necessario "raccogliere informazioni, sviluppare argomentazioni, identificare obiettivi di lungo periodo (il progetto -nostro inciso), perché 'nessun vento è favorevole, se il marinaio non sa dove andare' (Seneca). Per pensare senza delegare nessuno, sapendo quel che vogliamo. Assumendoci la nostra responsabilità di cittadini. In prima persona" (Salvatore Settis, Azione popolare). Quindi, essenziale alla democrazia è la protezione del dissenso. La 3 necessità di manifestare una posizione radicalmente critica, di mettere in discussione l'indirizzo politico della maggioranza al potere è una delle principali caratteristiche della democrazia (Lorenza Carlassare, Nel segno della Costituzione. La nostra carta per il futuro). Lo slittamento della sovranità fino alla sua evaporazione, non è un fenomeno esclusivamente italiano ma riguarda la quasi totalità di paesi con economia di mercato e con istituzioni tipiche della "democrazia rappresentativa", oggi in via di dissoluzione. "La democrazia rappresentativa con le sue progressive conquiste, appare svuotata delle sue capacità di costituire il ponte tra i cittadini e chi è chiamato a esprimere le loro istanze nelle diverse istituzioni...Fino a quando l'intera catena della sovranità, dal parlamento agli enti locali, dal governo centrale alle amministrazioni del territorio, è stata svuotata, lo slittamento verso il basso, che pure poteva portare a una migliore partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, si è tradotto in una somma di fragili trasferimenti di competenze nel nome di un astratto e opaco federalismo, più volte sventolato come una bandiera del cambiamento. Il risultato è che le regioni sono state trasformate in gigantesche Asl, con una spesa sanitaria pari a circa l'80 per cento dei bilanci regionali; le provincie sono in via di liquidazione e di scioglimento; i comuni hanno molta visibilità ma scarso potere, a partire dalle leve finanziarie che non controllono" (Giuseppe De Rita, Antonio Galdo, Il popolo e gli dei. Così la Grande crisi ha separato gli italiani). Abbiamo anche perso le tradizionali leve che permettevono un controllo dei processi di sviluppo e di maggior equilibrio della spesa pubblica: la sovranità monetaria, il Tesoro e la Banca d'Italia che non è più pubblica ma privata. Così, oggi, "La moneta è unica, sovranazionale; il debito, invece, è nazionale". Lo Stato quanto deve attingere moneta è trattato come un privato, in assenza di una banca nazionale pubblica, pagando interessi altissimi che, accumulatisi, costituiscono la più parte del debito pubblico. E' sempre più chiaro che il "riformismo neoliberale" che caratterizza l'attuale stagione politica (quella del "bipolarismo", del "bipartisan", dei "governi tecnici") non è una operazione utile per riformare istituzioni obsolete o socialmente non produttive, ma una vera e propria ideologia che giustifica la cultura giuridica (le norme imposte) del capitalismo finanziario attraverso una trasformazione sostanziale dell'ordine sociale e degli stessi fondamenti, per noi, della Carta Costituzionale. In che consiste il "riformismo neoliberale"? "Il riformismo neoliberale, promuovendo politiche di dismissione, liberalizzazione, deregolamentazione, saccheggio del territorio e restringendo gli spazi pubblici, apre continuamente varchi istituzionali prontamente occupati da soggetti privati o misto pubblico-privato… politicamente irresponsabili. Tali nuovi poteri costituiti sono oggi tanto 4 forti da poter rivendicare con successo spazi sempre più ampi di sovranità costituita, sostituendosi a istituzioni statali ridotte a mere forze di polizia e controllo sociale al servizio del potere privato concentrato nei nuovi assetti proprietari globali" (U.Mattei, Contro riforme). Le linee guida del resuscitato "paradigma neoliberistia" sono, nascoste sotto una idea luccicante di modernizzazione: deregolamentazione, privatizzazione, liberalizzazione. “Basato sul presupposto di mercati dei capitali efficienti, esso invoca la riduzione della spesa degli stati, la privatizzazione dei servizi pubblici, l'aumento della flessibilità del mercato del lavoro, la liberalizzazione del commercio” (AA.VV., Manifesto degli economisti sgomenti). Un prodotto, in politica, della riaffermazione del paradigma neoliberale è il "bipolarismo" sostenuto dal sistema elettorale "maggioritario", un sistema elettorale capace di svuotare progressivamente ogni funzione parlamentare. Altro prodotto, frutto della stessa logica, è il "governo tecnico", possibilmente formato da uomini al soldo delle grandi agenzie finanziarie e, oggi, il "governo delle larghe intese" che, sotto l'insegna dell'emergenza riformista, fa perdere qualsiasi traccia della identità storico-politica delle forze che lo compongono anche perchè le "riforme neoliberali" in atto si svolgono sotto dettatura internazionale (il Washington Consensus) nel disinteresse per qualsiasi preoccupazione sociale, in netto contrasto, quindi, con gli indirizzi solidaristici della Costituzione. Dal 1992 al 2000, a esempio, l'Italia si è collocata al primo posto mondiale per l'importo complessivo delle dismissioni e per la loro incidenza sul PIL. Il patrimonio pubblico privatizzato si calcola in circa 140 miliardi di euro, con interi settori chiave, come quello del credito, consegnati al capitale privato. Anche le dismissioni operate per sanare il debito pubblico si sono dimostrate un totale fallimento: il debito è passato da circa 1.066 miliardi di euro nel 1994 a più di 2.000 miliardi di oggi, aumentando, per altro, la sua incidenza sul PIL (da 124% a 126%). Drammatica conseguenza del riformismo neoliberarle è che il settore pubblico smette di 'fare' e quindi di 'saper fare', e si limita a controllare i modi e le forme con cui il privato 'fa' e 'sa fare'. Ciò che le “riforme neoliberali” perseguono, nell'interesse unico del capitalismo globale/finanziario e del Washington Consensus, sono medicine assolutamente più nocive e devastanti che non i mali che nominalmente dicono di curare, togliendo contemporaneamente, allo Stato sovranità e capacità reale di intervento. Di fatto, la finanza ha due strategie: o "vampirizza", succhia il sangue all'economia reale, continuando a prosciugare risorse, oppure crea ricchezza fittizia attraverso speculazioni "gonfiando bolle che prima o poi scoppieranno provocando crisi e miseria" e, questo, soprattutto nel mercato immobiliare con grave incidenza sugli assetti territoriali e sulle 5 città, quindi, sui Comuni. Ha, conseguentemente, necessità di nuovi mercati e nuovi capitali per potersi sostenere. La ricerca di nuovi mercati è il motivo dei continui e prolungati attacchi ai "beni comuni" e ai diritti, imponendo ai Governi (meglio se tecnici) privatizzazioni e successive finanziarizzazioni dei servizi essenziali. "Trasformare l'acqua, il cibo, l'istruzione e la sanità in merci significa garantire profitti enormi e duraturi alle imprese e aprire nuovi spazi di conquista alla finanza, ovviamente al prezzo di escludere da questi mercati chi non può permettersi la scuola o la sanità private. Un discorso analogo, oltre che per i nuovi mercati, si può fare per i continui apporti di capitale necessari alla finanza per mantenersi (l’attuale rifinanziamento della Banca d’Italia ne è un esempio). E il serbatoio siamo noi e i nostri risparmi...i nostri conto correnti, fondi di investimento e fondi pensione alimentano il trasferimento di risorse dal lavoro alla finanza" (A.Baranes, Breve storia della crisi). Anche il territorio è "territorio di conquista" del capitale e del capitale finanziario. Come analizza David Harvey (Città ribelli. I movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street) "il capitalismo necessita di processi urbani per assorbire l'eccedenza di capitale che costantemente produce. Tra lo sviluppo del capitalismo e l'urbanizzazione emerge, così, un'intima connessione. Motivo per cui non sorprende affatto che le curve logistiche di crescita nel tempo della produzione capitalistica tendano a coincidere con le curve logistiche del tasso di urbanizzazione della popolazione mondiale". Di conseguenza, la creazione di nuovi istituti e strumenti finanziari in grado di convogliare sul mercato immobiliare la massa creditizia per sostenerlo, le innovazioni finanziarie inrodotte negli anni '80 - le cartolarizzazioni dei mutui locali e il loro confezionamento in titoli da vendere a investitori di tutto il mondo, la messa a punto di nuovi istituti finanziari per facilitare un mercato finanziario dei mutui attraverso obbligazioni garantite dal debitohanno svolto un ruolo cruciale per l'arricchimento del capitale finanziario, promuovendo una economia fittizia di pura speculazione (e anche di distruzione del territorio) che a portato a quella acutizzazione della crisi del 2007/2008 che ha travolto la stessa finanza internazionale dopo lo scoppio della bolla dei mutui "subprime", crisi che ha avuto il suo culmine del 2011 e che ha visto l'intervento di Governi e Istituzioni pubbliche per l'attuazione di giganteschi piani di salvataggio che hanno visto transitare una cifra di 14.000 miliari di dollari dal settore pubblico al settore finanziario privato. Non solo l'acqua, il cibo, l'istruzione, la sanità ma anche il territorio e i terreni agricoli trasformati in merci capaci di garantire enormi profitti ai capitali finanziari. Da qui , è chiara la necessità che una revisione del Titolo V della Costituzione, in ottemperanza non dei giochi di potere ma degli interessi di tutti i cittadini, si orienti anche a considerare l'abolizione 6 della possibilità di istituire "città metropolitane". La mercificazione in atto di servizi e territorio influenza pesantemente e condiziona la politica dell'Ente locale, dei Comuni. Ne è esempio significativo l'impegno del 13 Febbraio 2013 (dopo l'accordo multilaterale sugli investimenti "Mai" nel '90 e la direttiva Bolkestein nel primo decennio del 2000), siglato dal Presidente degli Stati Uniti e dai leader dell'Unione Europea per un accordo transatlantico per il libero commercio e la libertà degli investimenti (TTIP). Sono accordi per lo più tenuti segreti, che vedono coinvolti più di 600 imprese multinazionali per la realizzazione della zona di libero scambio la più grande del pianeta che può interessare la produzione del 60% del PIL mondiale. Si tratta di rendere "compatibili" le differenti normative tra USA e UE che regolano i diversi settori dell'economia, compreso i servizi pubblici e sociali, per rendere più libere le attività delle grandi imprese, permettendo loro di poter muovere, senza alcun vincolo, capitali, merci e lavoro nei territori dei paesi firmatari l'accordo che si dovrebbe chiudere entro il 2014. E' un ulteriore accordo che spaccia l' "uscita dalla crisi" con il potenziamento delle multinazionali dove diritti, beni comuni e democrazia siano considerate, sempre più, variabili dipendenti dai profitti. Qualsiasi pubblicizzazione o ri-publicizzazione di un servizio da parte di un Comune, a esempio, potrebbe essere denunciato da parte di una multinazionale come restrizione e inadempienza dell'accordo e giudicato da una "corte speciale" composta da 3 avvocati d'affari rispondenti (ovviamente) alle normative della Banca Mondiale. Il diritto alla città: i luoghi, la città (e la città metropolitana) La città possiede una storia che è profondamente legata alla creazione dei significati culturali, sociali e politici che, nel loro insieme determinano l'identità collettiva, il senso di comunità, la cittadinanza come comune apparteneza. Oggi, però, la vita, come afferma Marc Augé (Non luoghi), si svolge prevalentemente in “non luoghi” (centri commerciali, multisala, stazioni, aeroporti, autostrade, spazi per il tempo libero, spazio-giochi, spazio cibernetico, reti cablate…), “non luoghi” dove non si rapportano le diverse identità ed esperienze ma si definisce, astrattamente, una identità condivisa: quella di passeggeri, utenti-clienti, spettatori, consumatori… L’individuo, qui, è messo in rapporto solo con un’altra immagine di se stesso garantita dal comune anonimato e da codici comuni di comportamento. Anche le nostre città sono, ormai, caratterizzate da “non luoghi” ovvero luoghi in cui paradossalmente non si produce nessuna presenza relazionale 7 ma si transita. Questi “non luoghi” si contrappongono ai luoghi pubblici della socializzazione dove lo stare insieme era comunicare non solo informazioni ma affetti e stili di vita, trasformare passioni, produrre iniziazioni nel senso di aver accesso al mondo storico, alla tradizione, alla cultura . Alla “città comunità” si sostituisce la “città funzionale” che si limita a connettere i “non luoghi”, a creare connessioni tra spazi attrezzati per realizzare funzioni legate prevalentemente al mondo dell’economia, dell’efficienza, del potere, del denaro e della tecnica. La “città funzionale, la “città telematica”, con la sua presunta efficienza, dissolve gli spazi, la piazza e tutti i luoghi di riferimento. Il collegamento è tra “punti” e non tra “luoghi”. Un sistema di connessioni funzionali che definiscono un continuum urbano e delle conurbazioni (città metropolitana), continuum fatto di equivalenze che collegano punti. Gli spazi pubblici perdono di significato e la socialità si restringe sempre più in piccoli cerchi e tende a risolversi nel “ritiro”, nella dimensione privata. Allora, è difficile che ci sia cura di ciò che è comune senza qualche forma di amor loci. Dal canto suo, questa città, produce costi insostenibili dal punto di vista sociale, culturale e ambientale. La città, come la società, per altro, si può rappresentare, oggi, come un mondo di merci che si muovono portandosi dietro gli uomini. La città sembra essere, sempre più, una realtà virtuale. Oggi, la “città ipermercato” contro la “città teatro”. La città teatro, invece, é teatro nel senso greco, come luogo della rappresentazione pubblica delle dinamiche relazionali, sociali e affettive. Di fronte al continuum urbano non ci sono più distinzioni (se non di funzioni amministrative) e i luoghi perdono il loro confine e la loro identità. Il confine è la città e il confine è essenziale alla costruzione di ogni identità. La città, quindi, non permette più di istituire la realtà come realtà sociale di tutti gli uomini, come comune appartenenza. La società urbana nasce dalle rovine della città. Si perdono, così, identità storico – culturali, - esperienze singolari, - valori e risorse locali, - forme di conoscenza, - sistemi di relazioni. Il sistema città non è più aperto nei termini in cui coincide con l’intera società. Come dice Adorno (Minima moralia), quando il generale penetra nel particolare, il particolare scompare. I territori urbani si uniformano e divengono indistinguibili: è qui, anche, una ulteriore ragione contro la devastante massificazione insita nell’ipotesi di costituire “città metropolitane” . 8 La dimensione "locale" Nell’ipotesi di un cambiamento radicale e di un processo di transizione, che esca dalla situazione di irreversibilità della crisi indotta dal sistema capitalistico, il concetto di “locale” assume una importanza strategica. Ancor oggi, nonostante precedenti studi e approfondimenti (si veda AA.VV.,“Il territorio dell’abitare. Lo sviluppo locale come alternativa strategica”), il concetto di locale può apparire ambiguo e suscitare fraintendimenti. Il concetto di locale va, quindi, riconcettualizzato a partire da ciò che il locale non è: il locale non è, innanzitutto, un concetto dimensionale, quindi il locale non ha scala e non può essere ridotto al concetto di “piccolo”, il concetto di locale non è, necessariamente, legato a una dimensione fisicospaziale esclusiva e concreta, il locale non è il “periferico” ma allude alla dissoluzione della categoria stessa di perifericità. Il fenomeni locali sono posti al “centro” e la sfera globale è considerata residuale, periferica, l’esterno. Infatti, la dimensione spaziale del globale ha come obiettivo e significato la riduzione della complessità e della ricchezza del locale, la sua omologazione e, quindi, non può che stare all’esterno, ai margini, nella periferia delle geografie reali e di esistenza dei sistemi locali. Il locale, quindi, non è una articolazione del globale, non è un suo dettaglio e il globale non è la sintesi delle realtà e degli elementi locali. Il locale è una modalità di concepire il territorio indipendentemente dalla scala di riferimento, di concepire le risorse, la società e il loro governo. Locale è, di fatto, una “visione del mondo”. Lo sviluppo delle società locali rimanda, quindi, a un progetto che richiede il superamento del territorio e dell’ambiente come dati, meri supporti delle attività economiche o come risorsa da consumarsi all’interno dell’idea di crescita illimitata (N.Georgescu-Roegen, Bioeconomia. Verso un’ economia biologicamente e socialmente sostenibile). Un salto concettuale richiede di considerare il locale come punto di vista che assume l’unicità, lo specifico come valore, la complessità come regola, l’auto organizzazione sociale ed economica come modalità (Alberto Magnaghi, Il progetto locale). Il territorio assume, quindi, la valenza di ecosistema e di società locale intesa come realtà complessa. Il rapporto tra territorio e processi socio-economici locali non va inteso, quindi, esclusivamente come proiezione spaziale di dinamiche economiche, ma come rapporto tra un insieme complesso di elementi le cui specificità territoriali sono espresse fondamentalmente dalla qualità di interazioni 9 sociali e sistemi di comunicazione, cooperazione e scambio all’interno di concreti ambiti di identificazione culturale. La costruzione sociale del territorio (Ivano Spano, Ricerca di rilevante interesse nazionale: Sviluppo di comunità e partecipazione), che si esplicita nel processo di estensione delle relazioni e di produzione di autonomia dei soggetti, viene intesa come sviluppo delle risorse viste non come date ma come prodotto (emergenza) delle dinamiche relazionali stesse (I. Spano, D. Padovan, Complessità sistemica e sviluppo ecosostenibile). Il locale non coincide assolutamente, poi, con il “localismo”, il campanilismo che si presentano come la “chiusura” del sistema locale, la sua conservazione retta dalla presunzione della propria superiorità. Il localismo, il campanilismo individuano come controparti tanto il livello globale e centrale, quanto le altre culture locali (si veda la Lega). La visione locale, invece, sa leggere nella formazione di altri livelli locali un aumento vantaggioso di complessità e di potenzialità di interscambio e, quindi una risorsa per il suo e l’altrui sviluppo. In questa direzione, la Provincia rinnovata potrebbe svolgere il ruolo essenziale: la “Provincia dei Comuni” come “nuova modalità di relazione tra enti in chiave antigerarchica che, riconoscendo la sovranità municipale nell’autogoverno del territorio, assegna agli enti sovra territoriali un ruolo di coordinamento e copianificazione, fondati su ‘azioni di sostegno, generalizzazione, servizioe definizione di quadri e strumenti per le politiche sorgenti dal municipalismo federato’…Ciò conduce inevitabilmente a ridefinire il ruolo degli enti sovraordinati, mettendone in discussione il principio di governo fino ad oggi piramidale, de localizzando potere sugli organismi municipali, per poter poi ricomporre un nuovo patto, costruire un nuovo spazio pubblico che sia seriamente fondato sui principi di autonomia relazionale e responsabilità sociale dei soggetti coinvolti” (ARNM Gruppo di Lavoro sugli Enti Intermedi, Province & Partecipazione). E’ necessario impedire che i luoghi di governo si allontanino sempre più dai cittadini e non certo credere nella “leggenda metropolitana” della attuale politica che indica nella eliminazione delle Province una soluzione dei mali economici. Con grande probabilità si potrebbe affermare la necessità di ridefinire il territorio delle Province secondo criteri ecologici e alla natura dei sistemi ambientali. Va da sé l’eliminazione di quelle Provincie recentemente istituite per consolidare interessi politici di governo. Rilocalizzare: per una rinascita del locale La rilocalizzazione è considerata anche dall’economista Serge Latouche, “teorico” della decrescita, lo strumento strategico più importante per 10 avviare e realizzare il processo di radicale cambiamento della realtà economica, sociale e politica attuale, superando l’ “inferno della crescita” (S. Latouche, La scommessa della decrescita) e le sue catastrofiche conseguenze. Rilocalizzare significa avviare un processo tendenziale di produzione a livello locale della maggior parte dei prodotti necessari alla soddisfazione dei bisogni della popolazione insediata, attraverso una rivalutazione delle risorse locali (materiali e umane), la ridefinizione di nuove forme sociali di produzione ( patto sociale tra detentori di capitale e lavoratori, principio di sussidiarietà del lavoro e della produzione per il superamento del lavoro dipendente, affermando, in particolare l’applicazione dell’Articolo 43 della Costituzione), la riconversione dei processi produttivi attuando risparmi energetici e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, utilizzando materiali riciclabili e producendo beni durevoli (contro l’ideologia e la cultura dell’usa e getta), riqualificando la qualità di ogni prodotto (e di ogni servizio). Questo, è qualcosa in più che non, come spesso accade per ovvi motivi di propaganda, la banalizzazione dell’ipotesi “territorio zero”, “Kilometri zero”, ipotesi ridotte a poco più che una lista della spesa (Padova 2020 insegna). La “ricetta culturale” per tutto questo è alquanto semplice e richiede solo il coraggio di sperimentarla e realizzarla compiutamente: meno quantità, più qualità, ossia più relazioni! (R. Normann, La gestione strategica dei servizi). La necessità di rivitalizzare il locale è, di fatto, strategica come risposta decisiva al fallimento del sistema capitalistico e ai disastri indotti dalla globalizzazione, tra cui anche la perdita, la rottura dei legami sociali. Ritrovare il rapporto con il legame sociale significa fattivamente aver accesso alla creazione sociale dei significati e porre in essere la dimensione normativa (trasformativa e regolativa) della società. Anche i bisogni umani sono una creazione sociale: abbiamo bisogno di ciò a cui diamo valore. Se non istituiamo valori non avremo alcun sviluppo di bisogni. I valori sono un prodotto sociale a cui ognuno deve contribuire al fine di restituire alla società la sua natura relazionale, di sistema aperto, auto creativo, auto trasformativo, autoregolativo. A proposito del riferimento ai valori come prodotto sociale, Fritjof Capra e Hazel Henderson nel loro lavoro “Crescita qualitativa. Un quadro concettuale per individuare soluzioni all’attuale crisi…”, in relazione al presunto valore della “Crescita” sbandierato da tutti i poteri dominanti e dalla loro classe politica come la panacea di tutti i mali, affermano: “ Riconoscere l’errore fondamentale insito nel concetto convenzionale di crescita economica…rappresenta il primo passo essenziale per superare la 11 crisi economica…Dato che ciò che definiamo “crescita” è più che altro spreco chiamiamola per quello che è! Chiamiamola una economia dello spreco e della distruzione. Definiamo invece crescita ciò che valorizza la vita…e affermiamo che è di questa che il pianeta ha bisogno...Questa nozione di ‘crescita che valorizza la vita è ciò che intendiamo per crescita qualitativa – una crescita che intensifica la qualità della vita”. Il riferimento a questo concetto di “crescita qualitativa” come capacità di intensificare la qualità della vita, rende necessario non riferirsi più a quell’ indicatore storico più diffuso e utilizzato dall’economia capitalista: il PIL (Prodotto Interno Lordo). Da più parti (studiosi, istituzioni, organizzazioni della società civile…) ne hanno documentato i limiti e, soprattutto, la incapacità a essere indicativo della realtà della dimensione locale e individuale. Di fatto il PIL è legato alla “crescita economica” quantitativa, è un indice generale – sintetico di benessere che non tiene conto delle differenze tra i percettori di reddito, tra questi e chi reddito non ha, non tiene conto di quei beni che non hanno un mercato (indicatori di qualità e non di quantità), non considera le esternalità negative ossia i costi indotti dalle attività produttive (inquinamento, sfruttamento incontrollato delle risorse, perdita di biodiversità…), né la qualità della spesa pubblica. E’ necessario rifarsi, conseguentemente, a indicatori, sopratutto qualitativi, capaci di dare visibilità ai diversi parametri e attribuzioni di significato dei termini “benessere” e “qualità della vita”, indicatori analitici in grado di potersi riferire anche a realtà locali come quella rappresentata dalla dimensione comunale. L’indicatore di benessere che qui viene proposto, come esempio, costituisce un’ipotesi di partenza da valutare anche rispetto alla dimensione locale – comunale, così come proposto su scala nazionale e regionale da “Sbilanciamoci”, Campagna Nazionale coordinata da Lunaria (Sbilanciamoci, Come si vive in Italia? Indice di Qualità Regionale dello Sviluppo QUARS). Si tratta dell’indice denominato “Qualità Regionale dello Sviluppo”, QUARS. “Il QUARS descrive un nuovo modello di sviluppo, fondato sulla sostenibilità, l’equità, la solidarietà e la pace, che non può limitarsi all’osservazione della semplice crescita economica ma deve estendersi alla qualità dei servizi, all’attenzione per le problematiche ambientali, all’osservazione dei nuovi percorsi di sviluppo, alle forme di un’economia diversa, ad un welfare della cittadinanza” (Sbilanciamoci, Come si vive in Italia?). Il QUARS rappresenta, sintetizza e quantifica quattro dimensioni: Indice di Sviluppo Umano, elaborato e assunto dalle Nazioni Unite, Indice di Qualità Sociale, composto da indicatori su sanità, salute, assistenza, scuola, pari opportunità, Indice di Ecosistema Urbano, ottenuto a 12 partire dall’indice elaborato da Legambiente sui situazione dei capoluoghi di provincia, Indice di Dimensione della Spesa Pubblica, che valuta i livelli di spesa su istruzione, sanità, assistenza, infanzia e giovani, disabilità, ambiente... Sono questi indicatori che possono essere considerati una base da arricchire ed elaborare. A nostro avviso si possono già prevedere due ulteriori indicatori: Indice di Crescita Culturale “processi di integrazione culturale” (immigrati, nomadi, soggetti marginali…), - “estensione dei diritti culturali”, - “comunità educante”, - “rapporto tra politiche culturali ed educative”, - “valorizzazione patrimonio culturale”, (banche dati, museo virtuale, itinerari turistici…), - “socializzazione delle informazioni”, - “accesso alla dimensione digitale dei progetti collettivi”, - “cooperazione culturale internazionale”. Indice di Sviluppo Locale - “valorizzazione dell’identità dei luoghi”, - “sviluppo di trame e relazioni virtuose” (capitale sociale, reti di reti…), - “processi di auto – organizzazione sociale ed economica”, - “creazione di spazi di economia sociale e solidale”, - “soluzioni abitative come risposta alle esigenze sociali dell’abitare, condomini solidali…”. A questo riguardo, duecento gruppi e reti di sviluppo locale confluiti a Lima (1997) in un primo incontro mondiale sull’economia sociale e solidale individuano in queste la funzione di rivelare le dimensioni dell’economia occultate dal modello neoliberista. Il loro punto di partenza è lo sviluppo delle capacità locali al fine di: - permettere lo sviluppo di ogni persona e l’assunzione di responsabilità nella definizione di attività socialmente utili, - rafforzare le capacità delle comunità insediate di garantire l’equità e promuovere accesso, - attuare una ripartizione egualitaria delle risorse a partire dal livello locale. Sono, questi, processi che hanno come condizioni: - stabilire un vero e proprio diritto alla iniziativa singola e collettiva, - promuovere processi partecipativi come capacità d’ intervento in decisioni pubbliche, - articolare in rete le diverse iniziative economiche e sociali, - sviluppare una società civile sul piano locale che internazionale, 13 - far assumere allo Stato responsabilità a garanzia reale dei diritti sociali universali. Si rende necessario, quindi, intervenire per permettere l’emergenza di nuovi soggetti e ridar senso agli stessi al fine di ricostituire il tessuto relazionale, i legami sociali e permettere la socializzazione delle diverse capacità superando ogni separazione (Martha C. Nussbaum, Creare capacità. Liberarsi dalla dittatura del PIL). E’ implicito il riferimento allo sviluppo della “comunità locale” ambito della esperienze vitali e realtà del gruppo sociale in cui l’omogeneità culturale (esperenziale) permette l’adozione di una progettualità immanente, spontanea, implicita, ricorsiva, pressoché autoriferita. Anche l’ipotesi “Territorio zero. Per una società a emissioni zero, rifiuti zero e chilometri zero”, considera come punto base e di partenza per una politica innovativa di sviluppo e attivazione di una “economia reale” in contrapposizione a quella virtuale e speculativa, il livello locale. Si parla di “un’ economia capace di valorizzare la produzione effettiva di beni e servizi per la comunità, attraverso la riduzione di emissioni climalteranti, rifiuti, intermediazione parassitaria, disoccupazione, devastazione del territorio”. La riconcettualizzazione della dimensione locale, la rinascita dell’idea di comunità, la ricostruzione dello spazio pubblico a partire dalle esperienze concrete (che oggi si stanno moltiplicando in tutto il mondo) di riappropriazione cooperativa/solidale di spazi per l’abitare e per il produrre, sono strumenti per la creazione di una radicale trasformazione dell’attuale stato di cose. La “comunità possibile” (De la Pierre, L’etnicità comunitaria) come il prodotto di relazioni fra differenze che trovano riconoscimento reciproco e regole di convivenza e accordo su comuni progetti (“solidarietà vissuta”), facendo evolvere i processi di partecipazione dalle forme di adesione a progetti predeterminati verso l’autopromozione progettuale capace di valorizzare le capacità espressive di tutta la comunità insediata e gemmare forme e istituti di autogoverno rivolti allo sviluppo di tutta la comunità stessa: “Solo nel saper costruire si da la possibilità del saper abitare inteso non come l’abitare qualcosa ma come qualcosa che abita in noi”, M. Heidegger, Saggi e discorsi). Già nel 1945, Adriano Olivetti formulava un concetto straordinario di comunità definendola "concreta" (L'ordine politico delle comunità). La comunità è prioritariamente uno spazio. E' il quantum di territorio in cui gli uomini possono abitare, vivere e convivere, ossia comporre i conflitti in virtù del "comune interesse morale e materiale". La comunità è più che "a misura d'uomo", è essa stessa una "misura d'uomo". La comunità, che per Olivetti è più della dimensione comunale, nella propria autonomia ha funzioni attive nel governo del territorio e 14 nell'economia, funzioni trasformatrice. da assolvere in maniera diretta, attiva, La comunità, basata su valori di equità e giustizia, si pone quindi come "diaframma indispensabile" fra l'individuo e lo Stato. Un diaframma che contine l'idea di una grande riforma sociale ed economica: "determinate imprese private saranno progressivamente trasformate in enti di diritto pubblico e prenderanno il nome di Industrie sociali autonome o Associazioni agricole autonome. La Comunità possiederà sempre una parte importante del capitale delle società autonome, appartenendo il rimanente ai dipendenti o allo Stato regionale o ad altre Comunità" (Adriano Olivetti, L'ordine politico delle comunità). Come ricorda Salvatore Settis (Democrazia molecolare) la rete delle comunità è il mezzo concreto per rifondare lo Stato dal basso, passando progressivamente dalla "piccola patria" alla nazione: "affinché la persona sia libera..occorre che lo stato esista per l'uomo e non già l'uomo per lo Stato...La nostra resurrezione potrebbe solo attuarsi giorno per giorno, dando nuova responsabilità e moralità alle industrie, dando vigore e autonomia ai sindacati...innalzando un diaframma creativo tra l'individuo e lo Stato...la Comunità sarà un valido, nuovo strumento di autogoverno, essa nascerà come consorzio di comuni. E le Comunità, federate, daranno luogo, esse sole, alle Regioni e allo Stato". (A. Olivetti, L'ordine politico delle comunità). Anche da qui, l'dea e la proposta di una "Democrazia locale". Il livello politico La rilocalizzazione deve avvenire anche a livello politico. Takis Fotopoulos (La crisi dell’economia di crescita in Complessità sistemica e sviluppo eco-sostenibile) parla a questo riguardo di “democrazia inclusiva” che vede nel livello locale la possibilità concreta per cambiare l’intera società a partire da un rinnovato impegno a livello delle municipalità. In questo modo, la politica non sarebbe più una tecnica per detenere il potere ma rappresenterebbe l’autogestione della società da parte dei suoi membri. “Il grande problema di una politica di emancipazione sta nel trovare i modi per unire tutti i gruppi sociali che formano la base potenziale del nuovo soggetto di liberazione, per accumunarli attorno a una visione del mondo comune, a un paradigma condiviso che attacchi chiaramente le strutture attuali che continuano a concentrare il potere a tutti i livelli e il loro sistema di valori”. Il locale rappresenta lo spazio in cui sperimentare pratiche di rafforzamento dell’esercizio della democrazia: laboratori di analisi 15 critica e di autogoverno della cosa pubblica. L’associarsi sembra essere, oggi, un compito in salita specialmente se si vuol mettere insieme i più deboli, coloro che senza un legame comune rimarrebbero schiacciati dalla diseguaglianza di condizione e dalle insidie dei poteri economico e politico costituiti. “L’homo civicus è la risposta a questi poteri sociali in lotta contro le élites della politica e dell’economia” (Franco Cassano, Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni). L’homo civicus non è semplicemente la società civile ma la società civile che si associa e si occupa della cosa pubblica. L’esercizio della cittadinanza diventa, allora, una funzione essenziale per la rinascita della società contemporanea: l’unica forma attraverso la quale gli interessi comuni sono al centro dell’attenzione di ogni individuo, senza imposizioni dall’alto. La “cittadinanza attiva” non legittima, allora, nessuna delega data una volta per tutte. Una nuova concezione della democrazia implica quindi, necessariamente, un’idea diversa di cittadinanza che non può non abbracciare gli aspetti economico, politico, sociale e culturale. La “cittadinanza politica” si centra sulla idea di homo civicus, comporta nuove forme politiche e il ritorno alla concezione classica della politica: la democrazia diretta. La “cittadinanza economica” implica la definizione e costituzione di nuove strutture economiche di proprietà e gestite dalla comunità, nonché il controllo delle risorse economiche: la democrazia economica. La “cittadinanza sociale” comporta la definizione e la realizzazione di strutture di autogestione dei processi produttivi e del lavoro, della produzione di servizi, nonché la democratizzazione della famiglia (il superamento delle disparità in essa ancora presenti) e nuove strutture per il benessere collettivo: la democrazia sociale. La “cittadinanza culturale” definisce il luogo ed è il prodotto dell’incontro/scontro tra le diverse esperienze, determina il controllo dei mezzi di informazione e lo sviluppo di tutte le potenzialità e manifestazioni espressive del soggetto umano (le arti). Potremmo definire questa cittadinanza come “cittadinanza democratica” che presuppone una concezione ‘partecipatoria’ della cittadinanza attiva. Su questa base assume ulteriore significato il concetto di “democrazia inclusiva” nella sua articolazione di “democrazia politica”, “democrazia economica”, “democrazia sociale” a cui si aggiunge il concetto di “democrazia ecologica” intesa come legame stabile e ineludibile tra realtà sociale e natura. L’inserimento reale (e non ideale) della prospettiva ecologica in un progetto politico democratico radicale è assolutamente indispensabile o, meglio, ne è il fondamento attraverso cui mettere in discussione i valori che reggono l’attuale società. 16 Anche da qui, l'idea e la proposta di "Democrazia locale". Si rende, quindi, necessario definire collettivamente un “progetto” di politica sociale che renda visibile la coincidenza tra trasformazioni sociali e divenire individuale. Occorre aprire un orizzonte progettuale in grado di agire “produzione di territorio” come bene che produce la forma, la qualità e lo stile dell’insediamento umano. Fare sviluppo è operazione non separabile dalla produzione di nuova territorialità. Ma, solo se nelle trasformazioni o nelle attività di produzione sociali un luogo viene percepito come “dono” attraverso il quale noi stabiliamo un rapporto ( come qualcosa che si possiede in comune ) riusciremo a ritrovare una sintonia, a porre in essere delle possibilità. La dilatazione del territorio dell’abitare è, infatti, la condizione per inventare modelli spazio – temporali - che producano spazio, dove la crescita quantitativa della congestione lo distrugge , - che producano tempo , laddove la civiltà quantitativa della congestione lo dissipa, - che producano valore aggiunto estetico, ossia punti di riferimento simbolici sempre carichi di una efficacia semantica capace di mantenere una memoria affettiva del proprio habitat, - infine, che valorizzino la ricchezza qualitativa e la pluralità dei luoghi spazio - temporali contro la sparizione dello spazio – tempo umano prodotta dalla ipervelocità dei mezzi di comunicazione. Uno sviluppo locale, quindi, ma anche una architettura orientati in senso ecologico che assumono come oggetto un oggetto complesso quale lo “spazio del vivere”, allargando lo spazio della memoria e del sentimento, ampliando i significati che riappaiono sul “teatro della nostra vita intima”. Hoederlin, in questo senso ha parlato di “abitare poeticamente la terra” ossia della necessità di rompere la razionalità del calcolo dell’uomo sulla natura, per liberare quelle potenzialità, quelle modalità espressive, creative e relazionali che ci rimandano alla memoria dell’unità mitica tra uomo e natura, tra uomo e uomo, al punto che il mondo sia veramente il nostro mondo. Da qui la necessità di considerare la città come sistema aperto. La città aperta vuole essere : - Un luogo di incontro delle diversità: italiani, stranieri, categorie deboli e categorie forti. - Un luogo dove si realizzi un concetto di cittadinanza attiva che permetta alle diverse espressioni di bisogni di rendersi visibili e di attivare risposte corrispondenti, - Un luogo dove le decisioni su tutte le problematiche del territorio 17 interessato vengono affrontate secondo una metodologia come quella del bilancio partecipativo. Il bilancio partecipativo prevede che tutti i soggetti interessati, singoli o gruppi e istituzioni definiscano : a) la lista dei problemi b) mettano in evidenza le priorità c) individuino le risorse esistenti capaci di portare a soluzione (totale/parziale) i problemi elencati d) i ndichino i soggetti responsabili delle azioni corrispondenti e) valutino la necessità di integrare le risorse non immediatamente disponibili f) stabiliscano dei tempi di attuazione. La Città Aperta dovrebbe permettere la piena espressione di diversi soggetti (culture/etnie) divenendo: - luogo privilegiato per tutte le attività cittadine sui temi dell’interculturalità, della diversità, dell’emarginazione - laboratorio di esperienze delle diverse culture (es. organizzazione di feste: foklore, riti, tradizioni ,cucina etnica…) dove dare sviluppo alle esperienze singolari (dimensione di civiltà), a giochi da scambiare e laboratorio sui giochi (attività pedagogiche educative per bambini tese a ritrovare le radici antropologiche dei significati), alla dimensione dei riti. - forum attivo delle rappresentanze ( tipo consiglio di quartiere) - strumento di elevazione delle qualità della vità con l’estensione di servizi sociali e servizi assistenziali e per il disagio etnico - laboratorio di sperimentazione di processi di Welfare locale-municipale (Welfar community) capace di promuovere la piena cittadinanza attiva di ogni individuo a partire da quei diritti che ogni persona ritiene le debbano essere riconosciuti nella vita quotidiana e nelle situazioni di bisogno. Le nuove forme di "democrazia diretta dal basso" Il nuovo Municipio non può non relizzarsi che attraverso la riconquista della autonomia di governo che la Costituzione gli attribuisce, potenziando gli istituti di decisione per permettere una gestione della cosa pubblica espressione diretta della cittadinanza attiva (governo dal basso), come animazione e sostegno degli istituti di democrazia delegata (sindaco, giunta, consiglio comunale). Anche da qui, l'idea e la proposta di "Democrazia locale". In particolare, si pensa a una Giunta comunale con "assessorati aperti" composti da - una rappresentanza delle principali associazioni economiche e di categoria 18 (agricoltori, artigiani, commercianti, imprenditori, ecc.) - una rappresentanza delle associazioni con diverse finalità (culurali, sociali, di difesa del territorio e dell'ambiente, ecc.) - una rappresentanza di comitati e di forum specifici (tematici, territoriali, urbani, di categoria, ecc.) e degli studemti delle Superiori e Università - una rappresentanza delle circoscrizioni e consigli di quartiere e dei lavoratori dei diversi settori del'amministrazione comunale e altro. Il ruolo di ogni assessore, come esponente del governo locale, sarà quello di predisporre gli strumenti per garantire la partecipazione stabile delle diverse rappresentanze, predisporre linee di indirizzo dell'assessorato, fornire la documentazione disponibile e quella che potrà essere richiesta dai partecipanti, produrre il piano degli interventi secondo la metodologia del "bilancio partecipativo", frutto del concorso di tutta l'assemblea dei partecipanti. E' dal Progetto, come questo Manifesto per il Governo Locale prospetta, che verrà derivato un Programma operazionabile (e non una lista della spesa), con una reale partecipazione dal basso dei cittadini attivi. Al Sindaco e al Consiglio comunale spettano compiti politici e di indirizzo legati al Progetto. Tra questi, i prioritari: 1. Difesa della Costituzione e dei suoi principi istitutivi con particolare - - - riferimento alla salvaguardia, difesa del lavoro e potenziamento delle possibilità di lavoro, alla difesa e sviluppo della sovranità popolare, alla difesa ed estensione dell'autonomia degli Enti Locali, compreso la possibilità di istituire banche pubbliche locali, attraverso anche una revisione del Titotlo V della Costituzione che non obblighi all'osservanza e a dipendere da trattati internazionali lesivi dell'autonomia degli Enti stessi (Fiscal Compact e conseguente "pareggio di bilancio",...), all'abolizione della possibilità di isituire "città metropolitane" sia per impedire processi devastanti di ulteriore urbanizzazione che appesantimento dei processi amministrativi in senso burocratico; alla rivalutazione all'interno della Costituzione dei temi relativi alla salute e alla scuola come diritti costituzionali inalienabili e non soggetti a politche di restrizione e taglio della spesa pubblica, nonché delle problematiche dell'informazione rispondendo alla inderogabile esigenza di far fronte alla degenerazione causata dal doppio controllo politico e proprietario dell'informazione stessa, alla riforma del Senato (granda assemblea delle rappresentanze), con presenza maggioritaria di 19 amministratori degli enti locali, rispetto ad altre rappresentnze, come ulteriore espressione della "democrazia dal basso"; 2. Riforma dell'ANCI, l'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, al fine di potenziare attività di indirizzo della politica nazionale, iniziative di proposta di leggi, forme di aggregazione di comuni (reti) per la gestione delle politiche locali e sostegno ai piccoli comuni, diffusione di buone pratiche amministrative locali, interventi e coinvolgimenti stabili nei confronti del Governo nazionale sulle problematiche (leggi, provvedimenti, piani...) che interessano il Governo locale, osservatorio sulle problematiche della realtà locale e diffusione di informazioni su politiche e strumenti di inervento; 3. L' assunzione, come ipotesi stabile di lavoro, del Progetto "Territorio zero. Per una società a emissioni zero, rifiuti zero e chilometri zero", manifesto che introduce nuove modalità per lo sviluppo lacale ("neocrescita" o, come affermato in questo documento "Crescita qualitativa") centrato sulla valorizzazione del territorio e su una economia reale che a partire dal rispetto dell'ambiente e delle risorse naturali, valorizzi la produzione effettiva di beni e servizi per la comunità (Livio de Santoli, Angelo Consoli, Territorio zero. Per una società a emissioni zero, rifiuti zero e chilometri zero). Il termine neocrescita, in questo contesto, "significa crescere liberi, senza sprechi e con una forte riduzione delle diseguaglianze, a partire dalla modellazione locale del mercato finanziario e bancario". E' necessario, quindi, "imporre standard di finanza etica nel territorio della propria amministrazione locale...misure attive di creazione di credito cooperativo, circolazione controllato di monete alternative, microcredito pubblico...creazione di altre forma di finanziamento sociale...A livello nazionale ed europeo è necessaria un'azione spinta dal basso, cioé dalla coalizione degli mministratori locali, perché si arrivi a ridefinire le regole del mercato finanziario, scoraggiando le forme di investimento speculativo e opaco". (Alessandro Politi, Territorio zero...). 4. La necessità di riappropriarsi della Banca d'Italia, ora istituto privato, di istituire banche pubbliche e riformare la Cassa Depositi e Prestiti a vantaggio degli enti locali, di intervenire sul debito pubblico richiedento immediatamente l'audit del debito. " Un esame della provenienza del debito pubblico italiano e di chi ne è oggi in possesso, per valutare quale parte va pagata, quale ristrutturata, quale eventualmente dichiarare in insolvenza" (A.Baranes, Breve storia della crisi), sono misure indispensabili per una rinnovata gestione del governo locale e nazionale. Di fatto è il debito pubblico e le politiche di austerità e taglio della spesa pubblica che presumono di mitigare il debito, a mantenere in dissesto il nostro Paese e impedire una adeguata gestione del governo locale. Ora, la 20 domanda essenziale che si pone è se è preferibile in default guidato dal debitore (come nel caso dell'Islanda), o un default guidato dai creditori (come nel caso della Grecia)? La risposta appare scontata soprattutto prendendo in considerazione anche le tre domande successive. "Uno stato è in fallimento nel momento in cui , per tutelare i propri cittadini e il loro futuro, smette di pagare interessi agli speculatori internazionali? O al contrario uno Stato che taglia la spesa per la scuola pubblica e la ricerca, uno stato che chiude ospedali e teatri, uno stato che non riesce a dare lavoro ai giovani e mantiene privilegi inaccettabili è già uno stato in fallimento? E se uno stato è già in fallimento, che senso ha pagare il debito? (A.Baranes, Breve storia della crisi). 5. La necessità di stoppare con estrema fermezza ogni azione di privatizzazione e di procedere alla ripubblicizzazione di quanto fino a ora privatizzato, restituendo alla collettività il possesso e la gestione di beni e servizi. Pari fermezza va agita nei confronti di ogni operazione di liquidazione (svendita) del patrimonio pubblico. 6. Si rende anche necessario e urgente ricomporre il rapporto tra realtà sociale e questione istituzionale al fine di giungere all’obbiettivo della effettiva ricostruzione della cittadinanza attiva nelle sue diverse forme sociale, culturale, politica, economica. Questo comporta alcune priorità: - un “patto sociale” tra detentori di capitale e forza lavoro, per una ridefinizione dei rapporti di produzione e la tendenziale abolizione del lavoro dipendente, un “patto sociale” tra generazioni fondato sulla costituzionalizzazione del “reddito di base incondizionato”, come indicatore di libertà, di reali possibilità espressive e decisionali della persona, come espressione di pratiche creative e produttive e di servizi sociali orientati a valori non mercantili, - azioni normative decisive per sottrarre alla competizione mercantile e, quindi, anche alla logica astratta della mera garanzia delle pari opportunità, il godimento effettivo dei servizi e funzioni istituzionali fondamentali (istruzione, salute, solidarietà…) e di quelle risorse (abitazione…) che costituiscono storicamente le condizioni necessarie verso un libero sviluppo della persona (eguaglianza dello standard vitale minimo), - un “nuovo patto” tra Nord e Sud in grado di “ricostruire”, idealmente e materialmente, il Paese senza misconoscere e avvilire le specifiche vocazioni delle diverse aree geografiche, delle diverse realtà locali, - recuperare con fermezza il nesso tra democrazia politica e 21 diritti costituzionali che operano come limiti e vincolo verso la volontà “assoluta” delle maggioranze e anche per superare il sentimento di avversione verso la politica da parte di un numero sempre maggiore di cittadini esteso, oramai, all’intero ceto politico, considerato indistintamente una “casta abusiva e parassitaria". 7. L'Italia, poi, ha veramente bisogno di un "Piano delle Grandi Opere" . Certamente non sono quelle già ipotizzate e, in parte, in via di realizzazione che hanno una dubbia o meglio inconsistente utilità sociale ed economica, a fronte di ingenti speculazioni finanziarie garantite, per altro, dallo Stato, ovvero con i soldi di ognuno di noi. (I. Cicconi,Il libro nero dell'alta velocità). Diamo, quindi, alcune indicazioni su cosa intendiamo per "Grandi Opere": - interventi estesi per il riassetto idro-geologico del territorio nazionale (è costantemente e drammaticamente avanti agli occhi di tutti noi la perdita di vite umane per le diverse alluvioni, frane, cedimenti, la distruzione di territorio e di produzioni con particolare riferimento a quelle agricole-alimentari), - la salvaguardia boschiva e il ripopolamento (contro l'eutrofizzazione e i molteplici incendi, il disbocamento e le progressive frane di terreno). Si pensi oltre alla salvaguardia del territorio, solo al fatto che l'Italia è il secondo paese al mondo per l'esportazione di mobili e arredi e che è costretto a comprare all'estero più dell'80% del legname). Questo intervento richiederebbe, altresì, che lo Stato si dotasse di una legge quadro sulla montagna (e, ovviamente, su altre importanti questioni), - interventi per l'arresto del processo di desertificazione del territorio agricolo. E palese il fatto che l'uso di sostanze chimiche (diserbanti, concimi, fitofarmaci) riduce significativamente la produttività del terreno agricolo, trasformando il terreno in sabbia e imponendo una legge alle produzioni agricole definita dei "rendimenti decrescenti" . Questo significa che di anno in anno, per mantenere lo stesso livello produttivo si rende necessario aumentare tutti i trattamenti chimici con la conseguenza di potenziare la desertificazione del terreno agricolo e, ovviamente, la presenza della chimica nei nostri piatti, oltre che l'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. "In questo scenario diventa un imperativoetico riportare l'uomo al centro delle attività di rilancio di un'agricoltura di qualità basata su un'economia della conoscenza che sappia mettere nsieme i saperi agricoli tradizionali e le tecnologia energetiche innovative" (L. de Santoli. A Consoli, Territorio zero). - recupero e valorizzazione dei centri storici e di interesse ambientale/culturale e di altri manufatti (come, ad esempio, la Via Francigena...), con attività non solo di restauro ma di ripopolazione e recupero della memoria storica, - valorizzazione del paesaggio, potenziamento e valorizzazione dei parchi e 22 riserve nazionali e regionali, - recuperare, salvaguardare e valorizzare il "patrimonio italiano" complesso eterogeneo naturale, e culturale, riconosciuto e, spesso, ignorato, a volte pubblico e a volte privatizzato. Il patrimonio ambientale, territoriale, storico/culturale è da considerarsi "bene comune" e, come tale, va salvaguardato e valorizzato (con vincoli e piani, come dovrebbe essere anche per il Paesaggio oggi soggetto a duri attacchi). Di questo patrimonio l'Italia è ancora ricchissima ed è, per tutti noi, anche una risorsa economica straordinaria, un campo, a esempio, in cui attivare e sostenere l'imprenditoria giovanile, progettando anche attività correlate come i "Distretti culturali", gli "Ecomusei", i "Musei virtuali" capaci di portare alla luce un patrimonio complementare a quello custodito nei vari musei, ma non per questo storicamente e culturalmente meno importante, la più parte presente in parecchie nostre case, - interventi sulle abitazioni, specialmente quelle di non recente costruzione, al fine di ridurre gli sprechi energetici dovuti a cattivo isolamento (infissi, ecc,). Il Wuppertal Institut ha stimato che questa perdita energetica si aggira intorno al 30% dell'inquinamento di una normale città. Si pensi non solo al risparmio economico generale e di ognuno degli interessati ma anche al fatto che una riduzione dell'inquinamento di questa percentuale sarebbe maggiore a quello ottenibile con il blocco dei veicoli a motore, stimato intorno al 20% del totale. Anche questo è un campo significativo di sviluppo imprenditoriale e di imprese cooperativistiche giovanili, - interventi estesi e sistematici sulla sicurezza delle strade e la viabilità (anche qui, i costi di vite umane non si contano...) in direzione, anche, della "banalizzazione" di una parte delle ferrovie per convertire il trasporto su gomma in trasporto su rotaia, - promozione di politiche locali come, a esempio, quelle attivate dai "Comuni virtuosi". "I 'Comuni virtuosi' hanno dimostrato che è possibile ed economicamente conveniente, aspirare a una ottimale gestione del territorio..., è possibile ed economicamente conveniente ridurre l'impronta ecologica della macchina comunale..., è possibile ed economicamente conveniente ridurre l'inquinamento atmosferico promuovendo politiche e progetti concreti di mobilità sostenibile..., è possibile ed economicamente conveniente promuovere una corretta gestione dei rifiuti visti non più come un problema ma come una risorsa..., è possibile incentivare nuovi stili di vita negli enti locali e nelle loro comunità, ecc". (M.Boschini, Viaggio nell'Italia della buona politica, I piccoli comuni virtuosi). Un esempio importante di politica virtuosa a livello urbano può essere l'organizzazione di "Condomini solidali". I condomini solidali, ricavati anche dalla ristrutturazione di vecchi stabili, possono ospitare anziani soli, persone in difficoltà a sostenere il costo di un alloggio (stranieri, disoccupati, persone in cerca di un reinserimento sociale, giovani e giovani 23 sposi che vogliono mettere su casa e non ne hanno i mezzi, persone residenti in SRBIA strutture residenziali a bassa intensita assistenziale con livello adeguato di autonomia, giovani artigiani o professionisti che non hanno i mezzi per avviare la propria attività...) che possono godere di servizi comuni (portierato sociale, assistenza medica e domiciliare, mensa sociale, lavanderia comune ed altro). Il Comune potrebbe mettere a disposizione materiali e strumenti per la ristrutturazione degli stabili nonché progettazione e direzione dei lavori e i lavori stessi potrebbere esere eseguiti con l'aiuto dei potenziali abitanti, di cooperative e delle associazioni di auto-costruttori. In generale, "Il mettere mano a una grande opera di valorizzazione del patrimonio pubblico cominciando dal territorio sarebbe una potente manovra anticiclica che andrebbe avviata subito per creare nuovi posti di lavoro" (U.Mattei, Contro riforme) e riavviare e sostenere l'economia locale e nazionale. 8. L'Assemblea dei Sindaci, nei diversi territori, deve assumere, poi, un ruolo di indirizzo ma anche di goverso delle ASL Aziende Sanitarie Locali e degli Ospedali. Quali requisiti, allora (spunti tratti anche da A.L.B.A., Documento sulla salute): - la Salute è un diritto da tutelare universalmente e non è una merce oggetto di mercato: è necessario far passare il messaggio che non è consumando più prestazioni che si produce una salute migliore, - l’accettazione e la costruzione di equilibrio e di adattamento ai propri limiti anche nella salute (cronicità, invecchiamento ecc.) sono obiettivi da perseguire, non la ricerca della perfezione a costo di una eccessiva medicalizzazione della vita, - una medicina sobria ed equa comporta che il rigore e l’austerità non solo non devono ridurre – come purtroppo le attuali politiche rischiano di fare ma addirittura devono potenziare l’impegno pubblico a rimuovere gli ostacoli di ordine socio-economico che di fatto limitano il diritto alla salute (articolo 3 della costituzione): anche a livello individuale, è da valorizzare l’impegno per la prevenzione e scoraggiare la medicalizzazione eccessiva, - la politica per la salute non può essere un variabile dipendente, subordinata alle politiche finanziarie, - l’impegno che ogni cittadino - doppiamente vero per i professionisti sanitari e per chiunque abbia responsabilità nell’amministrazione pubblica - deve porre per la salute propria e di chi lo circonda è di fatto un impegno politico, stante la correlazione tra la salute e le varie dimensioni della vita quali le condizioni socio-economiche, il livello culturale, gli stili di vita, l’ambiente, il lavoro, la sicurezza, i trasporti, ecc. Di fatto, è necessario e prioritario: - abbattere, anche con adeguate campagne di educazione al benessere, ogni processo di medicalizzazione delle fasi della vita (a partire da 24 quell'atteggiamento e quelle pratiche tese a trasformare de dinamiche e le espressioni dello sviluppo psico-fisico dei bambini in espressioni patologiche, non sapendoci, in tendenza, più rapportare a loro), - impedire l'espansione della cronicizzazione di buona parte delle patologie ad opera di una politica sanitaria, indotta dalle grandi aziende farmaceutiche, che, sotto la seduzione della cura, rendano dipendenti a vita dai loro farmaci, - temperare il ricorso, ormai quasi sempre prescritto in maniera rutinaria, alle cure specialistiche, ospedaliere e alle alte tecnologie, nonché quell'atteggiamento culturale verso la totipotenza della medicina. E' necessario, di fronte alla crisi del "modello gerarchico di sanità", tornare a un "modello distribuito di medicina del territorio, -dove- i professionisti sanitari e i medici di famiglia sono le figure centrali per realizzare una medicina proattiva...con al centro la promozione della salute e la prevenzione...La salute di una comunità è determinata da fattori socioeconomici e ambientali, dallo stile di vita e dall'accesso ai servizi" (L. De Santoli, A. Consolo, Territorio zero). Si evince la necessità di una strategia integrata tra organi di governo e non, nei possibili ambiti di intervento territoriale: dall'azione dei medici e di altre figura professionali (psicologi, naturopati, esperti di tecniche riabilitative e corporee...) nel territori, agli interventi delle amministrazioni pubbliche sul piano di una cultura del benessere e di intrventi pedagogici. "La medicina moderna diventerà di iniziativa perché non deve essere più il cittadino-paziente a rivolgersi al sistemma ospedale ma deve essere il sistema Territorio Zero a prendere in carico il cittadino-paziente in maniera proattiva" (L. De Santoli, A. Consolo, Territorio zero), intervenendo sulle condizioni di rischio di disagio e di prevenire l'evoluzione della malattia verso la cronicità. 9. Come per la salute anche la scuola è un diritto costituzionale inalienabile e, quindi, non soggetta ad alcun taglio che possa minacciarne, contrariamente alla situazione attuale, lo svluppo e ledere il diritto allo studio. E' evidente che un impegno in tal senso da parte degli enti locali, dei comuni, si ascrive nel processo di appropriazione della politica e della politica economica, ridando nuvo significato e identità certa e riconoscibile alla spesa pubblica. Non si tratta, qui, di poter assicurare solamenete l'adeguatezza, pur necessaria, della edilizia scolastica e dei servizi alla scuola, ma di essere come comunità partecipi a quel compito straordinario e fondamentale che caratteriza ogni insegnamento, ossia alla costruzione della identità del soggetto umano. Si tratta di ricostruire il significato e le pratiche di una "Comunità educante". A tal proposito, il Ministro dell'Istruzione del Canton di Ginevra, alla domanda sul "come mai la comunità produce uno 25 sforzo economico gigantesco del la scuola, risponde: "La principale fonte di ricchezza per Ginevra è l'intelligenza: "Se non investissimo in intelligenza saremmo degli irresponsabili". Per questo, l'ente locale, deve mettere in atto un'azione costante e condivisa verso gli organi nazionali di governo al fine: - di potenziare le risorse a favore della scuola, - di potenziare le risorse a vantaggio del "diritto allo studio", diritto universale e non riducibile, - di risignificare la figura professionale dell'insegnante, del docente che non può essere ricondotta alla sola istruzione, ancorché universitaria, ma ad una necessaria attività di tirocinio pratico, con la supervisione di un tutor, prima di assumere il ruolo di insegnante, che valuti le capacità di relazionarsi con i ragazzi e le altre figure presenti nella scuola (colleghi, genitori, altri educatori...), anche aldilà del contesto classe, dell'aula ma nell'ambiente cittadino, in occasioni di vacanze, gite e altre attività socializzanti. Da qui, anche la necessaria rivalutazione della professione anche sul piano contrattuale ed economico, - il riqualificare la formazione e la didattica non tanto sulla scorta dei parametri di valutazione della stessa, quanto sull'apertura al mondo, sui significati complessi dell'esperienza umana, sulla ricostruzione dei processi storici e la capacità di problematizzare la realtà, sulla acquisizione di quella capacità anche metodologica non solo di apprendere ma di "apprendere ad apprendere", - far ritornare l'insegnamento e, in particolare quello di base, all'interno della non contraddizione tra tempi storici e tempi biologici. Nonostante i progressi della conoscenza, della tecnologia, dei mezzi di comunicazione, "I bambini continuano a venir al mondo sempre uguali. L'evoluzione tecnologica non ha ancora influito sull'apparato genetico (e meno male -nostra aggiunta). La scuola di base, oggi più di ieri, si deve porre il problema di seguire la natura...E' venuto il momento di parlare con franchezza di slow education, e cioé di una scuola di base che senza fretta aiuti il bambino a sentirsi parte della natura, a conoscere le stelle, ad amare le belle storie lette a voce alta da adulti amati, a distinguere Mozart da Rossini, a fare grandi dipinti tutti pieni di colore...Ciò che ha umanizzato gli uomini nel passato dev continuare a umanizzare gli uomini nel futuro" (Fiorenzo Alfieri, Esperimenti sul mondo, in La mia scuola). 26 Democrazia locale aldilà del politico una rivoluzione dal basso www.democrazialocale.eu [email protected] Una politica rivoluzionaria non significa, oggi, rifarsi necessariamente alla natura delle rivoluzioni già agite nella storia umana ma, piuttosto, un loro superamento in quanto capacità di cambiamento continuo, giorno dopo giorno. “La rivoluzione è un processo di liberazione...e soprattutto un lungo e consistente processo di trasformazione in grado di creare una nuova umanità” M. Hardt, A. Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico La democrazia si impara solo facendola! Si tratta, quindi, di scegliere tra diverse visioni del mondo, alla ricerca di ciò che appare più significativo, convincente, dotato di senso, capace di dare risposte a questioni da troppo tempo trascurate e ritenuti irrilevanti. Ivano Spano, Università di Padova, , 339 3399853 [email protected], Dipartimento di Sociologia, Via Cesarotti 12, 35123 Padova ore 24.00 del 9 Febbraio 2014 27