26 02 09 Jalla - Italia nostra Milano

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26 02 09 Jalla - Italia nostra Milano
SEZI
ONE DI MILANO
“TESORI D’EUROPA,
PATRIMONIO DEI CITTADINI: NASCITA E SVILUPPO
DEL MUSEO MODERNO”
Corso di aggiornamento 2008/2009
Giovedì 26 febbraio 2009
Gli Ecomusei e la gestione partecipata del patrimonio culturale
Prof. Daniele Jalla
Musei civici del comune di Torino
Storico di formazione, funzionario dal 1980 e dirigente della Regione
Piemonte dal 1991, dal 1994 è passato a dirigere i Musei civici della
Città di Torino, dove attualmente svolge la funzione di Coordinatore
dei Servizi museali. Presidente di ICOM Italia è anche membro del
Consiglio superiore dei beni culturali e docente a contratto di
museologia presso l’Università di Torino.
Sommario
Gli ecomusei – una denominazione creata “a tavolino” prima di
divenire una realtà – nascono e si sviluppano a partire dagli anni
Settanta del Novecento alla confluenza delle istanze sociali della
Nuova Museologia come della ricerca di un più stretto legame fra
museo e territorio, fra natura e cultura, fra comunità e patrimonio
culturale. Con caratteristiche molto diverse da ecomuseo a ecomuseo,
costituiscono un fenomeno tuttora in espansione in Italia e
un’occasione per dare vita a nuove forme e modalità di tutela,
valorizzazione e gestione partecipata dei beni culturali e ambientali.
Abstract
Alle origini degli ecomusei
Se la nascita del nome e del fenomeno hanno una data certa e un
luogo di origine definito (meglio: più luoghi, ma un paese in
particolare: la Francia), alle origini degli ecomusei si possono porre
fenomeni ed esperienze assai diverse fra loro, distribuite lungo un
periodo di tempo lungo e diffuse in più paesi.
I musei del folklore
Tra gli antecedenti degli ecomusei possono essere annoverati
innanzitutto i musei del folklore sorti nell’ultimo quarto del XIX
secolo, destinati a raccogliere le testimonianze della cultura popolare
e della vita quotidiana delle classi più sfavorite (contadini, artigiani in
particolare). Uno in particolare merita di essere menzionato: il
Nordiska Museet, creato nel 1873 a Stoccolma con l’obiettivo di
fornire una visione assai ampia della civiltà nordica, dalle Alpi alla
Lapponia. Hazelius il suo fondatore fu spinto a immaginare un museo
all’aria aperta.
I musei all’aria aperta
Il primo museo all’aria aperta (open air museum) ad essere aperto fu
lo Skansen (tuttora esistente), nel 1891, sempre a Stoccolma: un
parco in cui sono riuniti diversi tipi di edifici, i cui interni sono
egualmente ricostruiti e animati da figuranti che svolgono attività
tradizionali, il cui modello fu ripreso anche dalle Esposizioni universali
e/o nazionali.
Gli Heimatmuseen
Musei d’identità, della “piccola patria”, a carattere locale o regionale,
gli Heimatmuseen, benché sorti prima del nazismo, ebbero uno
straordinario sviluppo durante gli anni Trenta e Quaranta sino a
diventare più di 2000. Non sono gli unici «musei di comunità» ad
essere sorti in Europa. Esperienze simili si ebbero infatti anche in
Francia ed altri paesi, con la comune caratteristica di centrare la loro
esistenza ed attività sulla partecipazione attiva della popolazione di
riferimento.
I musei laboratorio
Tra gli antecedenti degli ecomusei possiamo annoverare anche i
cosiddetti «musei laboratorio», come quello di Lejte, in Danimarca,
dove – a partire da un sito archeologico – nel 1964 venne ricreato il
paesaggio e un villaggio dell’età del ferro, per dare modo ai visitatori
di assistere allo svolgersi della vita quotidiana, e partecipare ad essa
in modo attivo, da protagonisti.
Il museo “integrale”
Nel 1972 la risoluzione finale della Tavola rotonda di Santiago del Cile
propose un’idea e una definizione di museo integrale, fondato su un
sapere interdisciplinare, sul ruolo sociale attribuito al patrimonio
culturale, su uno stretto rapporto con la comunità, di cui deve
promuovere lo sviluppo. La Carta di Santiago costituisce una sorta di
manifesto non solo della Nuova Museologia, ma di un museo la cui
missione lega la conservazione del patrimonio a una prospettiva di
sviluppo locale.
Il museo “di vicinato”
Sovente citato negli anni del suo primo sviluppo come museo
“alternativo” dagli esponenti della Nuova Museologia, l’Anacostia
Neighborhood Museum di Washington, fondato con l’aiuto dello
Smthsonian Institut al servizio del ghetto nero non è stato, alle origini,
un museo nel senso tradizionale del termine, ma anche un centro di
ricerca, di formazione, di incontro, un centro multimediale e culturale
artistico.
Dicotomie
Questo insieme disparato di esperienze, per molti versi
profondamente diverse fra loro, mettono in luce una serie di dilemmi e
dicotomie presenti nell’intera storia dei musei moderni, a cui gli
ecomusei si sono proposti di dare risposta, alla ricerca di un
superamento e/o di una sintesi fra i musei chiusi e quelli all’aria
aperta, fra la decontestualizzazione dei beni operata dai musei e la
loro conservazione in sito, fra i musei territoriali e di comunità e
quelli, fra i musei locali e d’identità e quelli di prestigio, fra i musei
statici tradizionali e quelli sperimentali.
Gli ecomusei
Gli ecomusei sono soprattutto figli del loro tempo e della cosiddetta
«Nuova Museologia» che, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni
Settanta, soprattutto in Francia e in Gran Bretagna si propose di
rinnovare profondamente i musei mettendone da un lato in
discussione il carattere elitario e chiuso di «tempio della cultura» e,
dall’altro, promuovendo sperimentazioni e prove sul campo molto
diverse.
Cos’è un ecomuseo?
È bene premettere che, per le modalità stesse con cui sono nati, gli
ecomuseo costituiscono una galassia molto differenziata al suo interno
e anche dai confini incerti e fluidi. Non ci si deve stupire quindi che a
un nome comune corrispondano realtà diversissime. E non è neppure
il caso di stigmatizzare l’uso e l’abuso del termine in nome di una
pretesa “ortodossia ecomuseale” rifiutata peraltro dai suoi stessi padri
fondatori.
Per capire meglio cosa essi intesero proporre e fare può essere
comunque utile cogliere lo spirito con cui venne inteso il termine di
ecomuseo, seguendone alcune delle principali definizioni «storiche».
Secondo Georges Henri Rivière (la definizione che segue è del 1973),
«un ecomuseo è essenzialmente, allo stato attuale della nozione, un
museo dell’uomo e della natura, un museo ecologico emergente da un
territorio dato, nel quale vive una popolazione alla cui concezione ed
evoluzione permanente partecipa la stessa popolazione … un
laboratorio permanente sul campo … uno strumento d’informazione e
di presa di coscienza per questa popolazione … un museo del tempo:
espressione per periodi, sotto forma di un museo al chiuso, della
dimensione temporale di quel territorio, e, a un momento dato, delle
popolazioni che vi sono succedute, sino alla popolazione presente e
alle prospettive del suo avvenire. È un museo dello spazio:
espressione esplosa della dimensione spaziale di quel territorio e di
quella popolazione, in forme, rispettivamente: puntuali, al chiuso o
all’aperto, come siti e campioni naturali, siti e monumenti archeologici
e storici, musei e altre entità umane; lineari aperti: percorsi di
osservazione globale o specializzata dell’ambiente, in grado di
collegarle questi elementi; gestito a condizioni variabili, a seconda che
si tratti di ecomusei emergenti da parchi nazionali o regionali, o di
altre entità pubbliche.
Qualche anno più tardi, nel 1978, Georges Henri Rivière torna a darne
una definizione, scrivendo: «L’ecomuseo è una struttura nuova,
sperimentata e realizzata, nei parchi naturali regionali francesi fra il
1968 e il 1971. L’ecomuseo assicura le funzioni di ricerca,
conservazione, presentazione, spiegazione, in un dato territorio, d’un
insieme coerente di elementi naturali e culturali, rappresentativi di un
contesto di vita e lavoro. L’ecomuseo esprime le relazioni fra uomo e
natura attraverso il tempo e lo spazio. Si compone di beni d’interesse
scientifico e culturale riconosciuti, rappresentativi del patrimonio
della comunità di cui è al servizio: beni immobili, non edificati (spazi
naturali selvaggi e antropizzati, edifici, beni mobili, beni fungibili
(beni naturali deperibili generatori di beni analoghi, trasferibili). E di
un centro, sede delle principali strutture d’accoglienza, ricerca,
conservazione, presentazione, azione culturale, amministrazione
(laboratorio, strutture di conservazione materiale, sale riunione,
laboratorio socio-culturale, ospitalità…) dei percorsi e delle stazioni,
per l’osservazione del territorio. L’ecomuseo è realizzato e gestito con
la partecipazione della popolazione che trova in esso uno strumento
di presa di coscienza ed espressione del suo patrimonio culturale e del
suo sviluppo…
Un ecomuseo è uno strumento che un potere e una popolazione
concepiscono, costruiscono e utilizzano insieme. Quel potere, con gli
esperti, le facilitazioni e le risorse che fornisce. Quella popolazione,
secondo le sue aspirazioni, i suoi saperi, le sue facoltà di approccio.
Uno specchio in cui questa popolazione si guarda, per riconoscersi,
dove cerca la spiegazione del territorio a cui è legata, unita a quelle
che l’hanno preceduta, nella discontinuità e continuità delle
generazioni. Uno specchio che questa popolazione porge ai suoi ospiti,
per farsi capire, nel rispetto del suo lavoro, dei suoi comportamenti,
della sua intimità.
Un’espressione dell’uomo e della natura. L’uomo vi è interpretato nel
suo ambiente naturale. La natura nella sua naturalità, ma come la
società tradizionale e la società industriale l’hanno adattata a loro
immagine. Un’espressione del tempo, dove la spiegazione risale al di
là del tempo in cui l’uomo è apparso, si estende attraverso la
preistoria e la storia e sbocca nel tempo che egli vive. Con
un’apertura al tempo del domani, senza che l’ecomuseo si ponga come
decisore, ma giocando un ruolo d’informazione e di analisi critica, se
occorre. Un’interpretazione dello spazio: di spazi privilegiati, in cui
fermarsi o da percorrere. Un laboratorio, nella misura in cui
contribuisce allo studio storico e contemporaneo di questa
popolazione e del suo ambiente e favorisce la formazione di specialisti
in questi ambiti, in collaborazione con gli organismi di ricerca esterni.
Un conservatorio, nella misura in cui aiuta la tutela e la valorizzazione
del patrimonio culturale e naturale di questa popolazione. Una scuola,
nella misura in cui associa questa popolazione alle sue azioni di studio
e protezione e la incita a dominare meglio i problemi del suo avvenire.
Questo laboratorio, questo conservatorio, questa scuola s’ispirano a
principi comuni. La cultura a cui si rifanno è da intendersi nel suo
senso più ampio, e si impegnano a farne conoscere la dignità e
l’espressione artistica, qualsiasi sia la condizione sociale da cui essa
emana. La diversità è senza limiti, tanto i dati differiscono da una
campione all’altro. Non si chiudono in sé, ricevono e danno.”
Sin qui Rivière, la cui elaborazione teorica si intreccia e differenzia da
quella di un altro protagonista: Hugues de Varine, che sin dall’inizio
accentua altri aspetti della pratica ecomuseale, centrandone la
specificità piuttosto che sul rapporto natura/cultura, sulla
partecipazione attiva della comunità: “L’ecomuseo nella sua varietà
comunitaria, è innanzitutto una comunità e un obiettivo: lo sviluppo di
questa comunità. E’ inoltre una pedagogia globale che si fonda su un
patrimonio e su degli attori, appartenenti entrambi a questa stessa
comunità. È infine un modello organizzativo finalizzato allo sviluppo e
un processo critico di valutazione e correzione continue. (1978)
A questa impostazione credo sia importante rifarsi, come è avvenuto,
nel 2006 a Catania, quando i rappresentanti degli ecomusei italiani
hanno concordato una comune definizione di ecomuseo a cui ci si può
molto validamente ispirarsi, al di là delle diverse definizioni date dalle
leggi regionali esistenti in Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia
ecc.
“L’ecomuseo è una pratica partecipata di valorizzazione del
patrimonio culturale materiale e immateriale, elaborata e
sviluppata da un soggetto organizzato, espressione di una
comunità locale, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile”
A partire da questa definizione il dibattito e il confronto sugli
ecomusei, mi sembra, possano svilupparsi, sulla questione centrale
dei caratteri e delle forme delle pratiche messe in atto nella tutela,
valorizzazione e gestione del patrimonio culturale ben più
fondamentale del pur affascinante ed evocativo nome di ecomuseo.
Bibliografia essenziale
Peter Davis, Ecomuseums, A sense of place, Leicester Univresity
Press, London and New York, 1999
Aa Vv, L’écomusée: rêve ou réalité, «Publics & Musées» n.17-18,
gennaio-dicembre 2000
Serge Chaumier, Des musées en quête d’identité. Ecomusée versus
technomusée, L’Harmattan, Paris 2003.
Hugues de Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al
servizio dello sviluppo locale, Clueb, Bologna 2005.