Il caso dei Farmaci Antiepilettici, tollerabilità come sinonimo di

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Il caso dei Farmaci Antiepilettici, tollerabilità come sinonimo di
Il caso dei Farmaci Antiepilettici, tollerabilità come sinonimo di efficacia
L’Epilessia è la più comune sindrome neurologica e rappresenta anche una patologia
tra le più medicalizzate, non solo per il grande numero di principi attivi disponibili,
ma anche per il fatto che questi pur agendo in modi diversi trovano specifiche
indicazioni per le diverse forme in cui la sindrome epilettica si presenta. Un
imponente numero di farmaci antiepilettici (FAE) è stato immesso sul mercato negli
ultimi venti anni, nel contemporaneo tentativo di migliorare la risposta terapeutica
in termini di riduzione delle crisi, ma anche di migliorare la qualità della vita anche
attraverso una sensibile riduzione degli effetti collaterali.
I FAE, infatti, agiscono sempre con un decremento della eccitabilità neuronale che si
manifesta anche con un forte carico di effetti neurologici e vegetativi che
compromettono funzioni complesse e limitano fortemente il vissuto quotidiano dei
pazienti.
Si deve aggiungere a questo che circa il 30% dei pazienti che soffrono di epilessia
non si gioveranno mai di un sufficiente controllo delle crisi, indifferentemente dal
farmaco scelto per la loro cura. I clinici in questo caso si vedranno ridurre ancora di
più la finestra terapeutica e spesso dovranno valutare in modo critico quanto valga la
pena di introdurre un nuovo farmaco ad una terapia spesso pesantissima per ottenere
magari solo una relativa riduzione delle crisi.
I nuovi FAE, tuttavia, pur presentando un profilo di attività sovrapponibile rispetto
ai vecchi anticonvulsivanti sono senz’altro più vantaggiosi nello sviluppo degli effetti
collaterali.
La scelta clinica di un anticonvulsivante rispetto ad un altro resta comunque
estremamente complessa. Molto recentemente è stato valutato l’atteggiamento di
alcuni neurologi nel trattare per la prima volta una crisi epilettica, da questa analisi è
emerso che quando si tratta una crisi parziale il farmaco maggiormente utilizzato è la
carbamazepina, quando invece si tratta un a forma generalizzata si preferisce
utilizzare l’acido valproico, relegando i nuovi FAE ad un ruolo marginale soprattutto
all’inizio della terapia1 ed evidenziando come i miglioramenti dello spettro
terapeutico ottenuti attraverso l’introduzione di nuovi FAE siano spesso relegati ad
un ruolo marginale nel momento della scelta clinica concreta.
La cattiva medicalizzazione con farmaci antiepilettici non coinvolge solo aspetti di
gestione terapeutica ma può avere importanti ricadute anche da un punto di vista
sociale ed economico con difficoltà nel mantenere il proprio posto di lavoro, e
relative ricadute economiche che dovrebbero essere considerate nella valutazione
dell’impatto globale di spesa della patologia epilettica.
Il disturbo soggettivo del paziente può dipendere anche dal fatto che i farmaci
nonostante siano adeguatamente assunti non siano del tutto efficaci nel controllare la
sintomatologia, questo dato può comportare con il tempo anche un incremento
secondario della spesa sanitaria e come dimostrato da alcuni autori anche della
mortalità2
Alcuni studi hanno evidenziato come quando si comparano monoterapie con nuovi o
con vecchi FAE non esistono differenze sistematiche nell’impatto sulla qualità della
vita dei pazienti3 .
Il trattamento di una sindrome epilettica di nuova diagnosi trova la risoluzione del
quadro sintomatologico in quasi il 50% dei casi con un solo farmaco. Inoltre la
successiva sostituzione di quel farmaco può essere efficacemente realizzata dalla
somministrazione di un altro farmaco mantenendo il regime monoterapeutico. In uno
studio fondamentale è stato stabilito che Il 47% dei pazienti epilettici risponderà ad
un trattamento con un solo farmaco, ed il 13% sarà trattato con successo nel momento
in cui il primo farmaco dimostratosi inefficace sarà sostituito da un secondo singolo
medicamento4
L’adozione di un singolo medicamento è una opzione particolarmente gradita dai
neurologi, tuttavia esistono dei problemi di carattere squisitamente pratico che si
interpongono nella corretta ottimizzazione della terapia.
In primis i nuovi FAE ovvero i FAE di seconda generazione ( felbamato, gabapentin,
pregabalin, lamotrigina, topiramato, tiagabina, oxcarbazepina, levetiracetam e
zonisamide) hanno trovato indicazione clinica in studi randomizzati controllati di
add-on. Quando un nuovo FAE diviene disponibile, infatti, il suo uso è spesso
limitato alla epilessia farmaco resistente nel tentativo di migliorare lo scarso controllo
delle crisi, almeno fino a quando il profilo di tollerabilità e sicurezza globale non
venga definito nel real setting nel corso degli anni. Nonostante tutto i FAE di seconda
generazione sono stati incoraggiati nel loro uso in monoterapia attraverso alcuni trials
clinici randomizzati5
Esistono molti motivi per utilizzare un solo farmaco invece che molti nel trattamento
delle crisi epilettiche:
 simile profilo di efficacia e migliore tollerabilità del singolo medicamento
rispetto alla azione sinergica di più principi attivi
 incremento del carico degli effetti collaterali nei pazienti in politerapia
 interazioni farmacologiche nei pazienti in politerapia
 incidenza di sindromi depressive in comorbidità
 rischio di morte improvvisa di natura inspiegabile nei pazienti epilettici
(SUDEP)
 scarsa compliance
 aumento dei costi
Si può affermare che la monoterapia sia auspicabile per tutti i pazienti che soffrono di
epilessia, ma sia particolarmente desiderabile per alcune categorie particolari di
pazienti:
Sottopopolazioni
Farmaco di Scelta Ottimale
Epilettiche
Pazienti Anziani
Lamotrigina
Gravidanza
Lamotrigina
Insufficienza epatica
Levetiracetam/Lamotrigina/Gabapentin
Insufficienza Renale
Lamotrigina/Acido Valproico
Depressione
Lamotrigina/AcidoValproico/Oxcarbazepina
Negli ultimi anni svariati studi sono stati condotti nel tentativo di definire se e come
la qualità della vita dei pazienti epilettici possa essere influenzata dal carico della
terapia. In un recente studio tedesco condotto su una larga coorte di pazienti è stato
evidenziato come la monoterapia sia scelta dai clinici con maggiore frequenza
rispetto alla politerapia come opzione di trattamento in una proporzione del 69%. Il
criterio della efficacia clinica, che in questo caso è estremamente correlato a quello
della appropriatezza nella prescrizione (come testimoniato dalla predominanza di
alcuni tipi di trattamento rispetto ad altri a seconda che le crisi siano semplici o
complesse, generalizzate o parziali) è accompagnato dalla significatività statistica
della correlazione tra la qualità della vita e l’uso di un solo FAE. La qualità della vita
dei pazienti epilettici dipende quindi dall’utilizzo di uno piuttosto che di due FAE,
senza che tuttavia esitano delle differenze significative tra i vari gruppi di
monoterapia6
La diminuzione della qualità della vita dei pazienti in politerapia
analogamente non sembra dipendere dai farmaci utilizzati, essendo come unica
discriminante il fatto che siano due o più di due.
Più complesso sembra essere il quadro se si inserisce come variabile anche il
controllo delle crisi.
Il punto di partenza da considerare è che il primo FAE somministrato sarà sufficiente
a controllare le crisi nella metà dei pazienti; in modo importante saranno gli effetti
collaterali a guidare lo switch verso un secondo FAE. Se il Secondo FAE renderà più
disagevole il controllo delle crisi sarà possibile l’inserimento in terapia di un nuovo
FAE con l’istaurarsi di un circolo vizioso in cui l’incremento del numero di farmaci
somministrati incrementa enormemente il rischio di sviluppare effetti collaterali. Da
quel punto in poi, nella storia clinica di quel paziente il controllo delle crisi potrebbe
assumere un ruolo relativo. Quali sono pertanto i fattori più importanti nella corretta
gestione di una terapia antiepilettica: il corretto controllo delle crisi oppure lo scarso
sviluppo di effetti collaterali?
Il primo importante contributo in questo senso è giunto da Deckers 7, che ha stabilito
come la tossicità complessiva dei FAE correli in maniera più significativa con il
rapporto tra il carico farmacologico reale e la media prescrittiva di ciascun principio
attivo in termini di DDD (ovvero quanto farmaco in più rispetto ad una dose teorica)
rispetto al numero dei farmaci assunti.
Si potrebbe pensare in questo senso che la quantità di ciascun FAE eccedente la
quantità teoricamente efficace si sommi per ciascun principio attivo e risulti più
importante nel generare gli effetti collaterali di un numero altissimo di farmaci presi
contemporaneamente. Lo stesso autore
8
nel 2000 ha delineato come queste
interazioni implicate nella genesi degli effetti collaterali avvengano sulla base di un
meccanismo di tipo farmacodinamico.
Una misura degli effetti collaterali dei farmaci antiepilettici può essere fornita da un
questionario, denominato AEP (antiepileptic drug adverse events profile) , di cui di
seguito si offre una traduzione in italiano nella sua versione a 21 items.
Quest’ultimo consta di una scheda di valutazione graduata fino a ad un punteggio di 4
per ciascuno dei 21 item. Dallo score 1, che indica l’assenza dell’evento avverso, fino
al punteggio di 4, che ne indica la continua presenza . Il questionario è stato validato
attraverso un grande studio europeo9
La validazione di uno strumento che offre una misura ponderata del carico degli
effetti collaterali ha consentito di delineare come la qualità della vita dei pazienti
epilettici farmaco resistenti dipendesse in modo assai più importante dal carico degli
effetti collaterali piuttosto che dalla frequenza delle crisi 10.
Recentemente uno studio italiano11 ha condotto una larga attività di sorveglianza sul
ruolo che gli effetti collaterali dei FAE esercitano nella qualità della vita dei pazienti
epilettici affetti da sindromi farmaco resistenti. Lo studio ha delineato in modo
prevalente come solo un quarto dei pazienti sia in grado di gestire le crisi con un solo
farmaco . Se si osservano i dati da un punto di vista della appropriatezza prescrittiva
emerge poi come la politerapia nei pazienti epilettici farmaco resistenti sia condotta
in una proporzione del 90% con almeno un nuovo FAE, mentre circa il 43% di questa
coorte di pazienti ha ricevuto terapia con almeno due FAE di più moderna
concezione.
In questo senso è stato chiarito come le associazioni più importanti siano
rappresentate dal levetiracetam
in combinazione con carbamazepina od
oxcarbazepina.
Lo studio, inoltre, ha fornito la grande possibilità di confrontare il gruppo dei pazienti
in monoterapia rispetto al gruppo in politerapia; i due gruppi sebbene si siano
dimostrati disomogenei da un punto di vista ponderale hanno presentato analoghe
caratteristiche di composizione , e finanche una eguale rappresentanza al loro interno
delle diverse etiologie epilettiche.
Tuttavia, i pazienti in monoterapia hanno presentato un migliore profilo dell’umore,
valutato attraverso la scala BDI in 4 interviste distanziate di 6 mesi rispetto a quelli in
politerapia; con un migliore controllo delle crisi.
Lo stesso studio ha consentito di paragonare la percezione degli eventi avversi
rilevata attraverso l’esecuzione di una intervista non strutturata con il risultato della
compilazione dei vari items del questionario AEP.
Solo un relativa percentuale dei pazienti ( circa il 37%) ha riferito eventi avversi
riferibili alla terapia con uno specifico farmaco, dato che tuttavia ha correlato in
modo significativo con il numero degli eventi avversi rilevati dal questionario AEP,
che si è rivelato però molto più sensibile nell’identificare la tossicità iatrogena.
La reale disponibilità di uno strumento di analisi quantitativa del danno iatrogeno ha
consentito inoltre agli autori di delineare dei gruppi diversi a seconda del punteggio
ottenuto, e di verificare la composizione interna degli stessi in termini di omogeneità
tra monoterapia e politerapia. I risultati hanno messo in evidenza come non esistano
di fatto delle differenze tangibili tra monoterapaie politerapia, se si confrontano
gruppi di pazienti che hanno lo stesso punteggio al questionario..
I pazienti in politerapia, nonostante siano già trattati con molti farmaci, sono inoltre
esposti ad un carico farmacologico maggiore che si può rilevare dal rapporto esistente
tra la PDD (dose prescritta) e la DDD (dose giornaliera definita), ma il carico
farmacologico che risulta essere l’espressione di questo rapporto non si è correlato in
modo coerente con i valori ottenuti al questionario AEP, smentendo l’idea di una
relazione lineare tra il carico farmacologico e l’attesa dell’evento avverso.
Dunque il carico farmacologico è un fattore di rischio, ma non si dimostra
necessariamente importante nel determinare una aumentata rilevazione degli effetti
collaterali.
Il caso di questo grande studio (condotto su più di 900 pazienti) ha ulteriormente
dimostrato come la metodica di determinazione dell’evento avverso influenzi in
modo importante l’entità del risultato ottenuto essendo le metodiche non strutturate
passibili di una sottostima del danno iatrogeno ed i questionari sovrastimanti lo
stesso, ( il numero di eventi avversi rilevati attraverso il questionario è stato il triplo
rispetto alla segnalazione non strutturata).
Si deve pertanto porre attenzione su alcune questioni:
1) Il carico farmacologico della politerapia inteso come discrepanza tra la dose
prescritta e la dose teorica non è necessariamente predittivo di avere molti
effetti collaterali
2) L’entità degli effetti collaterali misurata attraverso uno strumento numerico
(ovvero un punteggio in un questionario standardizzato seppur validato) non
consente di evidenziare delle differenze tra i pazienti in terapia con un solo
farmaco e quelli in politerapia.
3) Risulta pertanto fondamentale in un sistema che impegni degli studi cross
sectional di farmacovigilanza considerare l’enorme bias della farmaco
utilizzazione spesso mutevole e della soggettiva suscettibilità a particolari
eventi avversi piuttosto che ad altri.
In questo senso risulta indispensabile garantire anche al paziente ogni preliminare
condizione di sicurezza del farmaco anche attraverso (soprattutto per i FAE) una
corretta valutazione delle interazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche.
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