Fides et Ratio 2/2015 - "Romano Guardini"
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Fides et Ratio 2/2015 - "Romano Guardini"
Con approvazione ecclesiastica Edizioni VIVEREIN Roma - Tel. e Fax 0659640096 C.da Piangevino, 224/A - Monopoli - Tel. 0806907030 - Fax 0806907026 E-mail: [email protected] - www.edizioniviverein.it INDICE Editoriale 227-229 ARTICOLI FILIPPO SANTORO Nuovo umanesimo e custodia del creato 233-246 ANTONIO PANICO Perché custodire la “casa comune” 247-258 PAOLA CASELLA La Parola tra verità e mistificazione nella Laudato Si’ 259-267 ANTONIO RUBINO Liturgia e carità nei Padri della Chiesa 269-283 VITA DELLA CHIESA FILIPPO URSO Gregorio di Narek Monaco Armeno, Doctor Ecclesiae Universalis La trasformazione del gemito del cuore in Teologia 287-296 FRANCESCO NIGRO La misericordia: Il vero volto dell’umanesimo cristiano 297-306 LUCANGELO DE CANTIS Il Cristo “todo”, pienezza dell’itinerario di “umanazione” in San Giovanni della Croce – II Attualità pastorale del messaggio Sanjuanista 307-336 XVI INDICE MINO IANNE “Il patrimonio greco parte integrante della fede cristiana” Riflessioni a 10 anni dal discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. Prima parte 337-366 TERRITORIO MARCELLO ACQUAVIVA Un viaggio nel tempo L’enciclica Laudato Si’ nella Taranto di inizio ’700 369-384 FEDERICA MONACO Un inventario inedito di Giuseppe Blandamura del 1933 385-422 RECENSIONI 423-438 CEI, UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, “L’avete fatto a me”. Le Opere di Misericordia corporale e spirituale nel mondo della cura (F. Urso), p. 425; CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE CONSULTA REGIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Valore ontologico della persona e apertura all’Assoluto per un umanesimo nel mondo della sanità. Un contributo della pastorale della salute per il convegno ecclesiale di Firenze (G. Carrieri), p. 428; M. SIBILLA, Politica sociale. Un approccio differente (A. Gorgoni), p. 430; L. MANSI, Pastori di una Chiesa in uscita. Meditazioni per Ministri ordinati. Sui passi della Evangelii Gaudium di Papa Francesco (A. Greco), p. 433; DI TARANTO L., La parrocchia e la pastorale della salute (G. Polimeni), p. 434; Pastore e mecenate. Giuseppe Capecelatro e la scienza della moneta, a cura di FRANCESCO CASTELLI e GIUSEPPE LIBERO MANGIERI (F. Mastrocinque), p. 436; M. RONCALLI, Giovanni Paolo I. Albino Luciani (L. Zamboni), p. 437. LIBRI RICEVUTI 439-440 INDICE DELL’ANNATA 2015 441-443 SOMMARIO ARTICOLI FILIPPO SANTORO, Nuovo umanesimo e custodia del creato Nella vita del credente l’attenzione all’ambiente non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana, ma rappresenta un impegno che scaturisce dal cuore della propria fede. Ciò significa che il rapporto con il mistero implica un rapporto diverso con gli altri, con le povertà, con i bisogni, con la creazione. ANTONIO PANICO, Perché custodire la “casa comune” L’enciclica Laudato sì richiama tutti gli abitanti della casa comune ad impegnarsi perché il “magnifico pianeta” nel quale viviamo non vada incontro alla distruzione. Il mondo ha bisogno di cura perché è malato ed i cristiani, tra tutti gli abitanti della “madre e sorella terra”, nel mostrare gratitudine verso il Creatore, sono invitati a riscoprire la vocazione originaria a coltivare e custodire il dono piuttosto che sfruttarlo scriteriatamente. L’anno santo della misericordia costituisce l’occasione propizia perché i credenti si impegnino a ripristinare l’ordine valoriale che guida il loro agire nel mondo. PAOLA CASELLA, La parola tra verità e mistificazione nella Laudato si’ È questa l’era della comunicazione. Sempre più spesso si assiste, però, ad una degenerazione di questa attività connaturata alla natura umana che, nel bene e nel male, ha ricevuto forza e potenza con l’avvento dei mezzi della comunicazione di massa e dei new media. Papa Francesco nella Laudato si’, considerata la connessione tra ogni cosa creata e l’importanza della parola, binario su cui viaggiano le relazioni, si sofferma in diversi numeri dell’enciclica sull’attuale situazione dei mezzi di comunicazione. Non nascondendo le criticità del momento, il pontefice, nel solco della Dottrina Sociale della Chiesa, continua a vedere in essi XVIII SOMMARIO un’eccezionale strumento di promozione spirituale ed umana, in vista di una conversione ecologica integrale. ANTONIO RUBINO, Liturgia e carità nei Padri della Chiesa L’autore, partendo dal significato neotestamentario del termine liturgia, che designa non soltanto la celebrazione del culto ma anche l’annuncio del Vangelo e la carità in atto come servizio di Dio e degli uomini, fa emergere in che modo, nella Chiesa dei Padri, liturgia e carità manifestano concretamente la loro unità. Amore per i bisogni esistenziali e materiali del prossimo e liturgia sono congiunti tra di loro, perché le periferie antropologiche, di ogni genere, sono liturgia. Non può esistere, di conseguenza, separazione tra culto e vita, tra fede e opere, tra preghiera e carità. Questa unità, ancora oggi auspicata, è particolarmente vissuta e sempre sollecitata dai Padri preniceni e postniceni, nelle omelie e negli scritti, come si evince dalla prassi pastorale della Chiesa dei primi secoli. VITA DELLA CHIESA FILIPPO URSO, Gregorio di Narek Monaco Armeno, Doctor Ecclesiae Universalis. La trasformazione del gemito del cuore in Teologia Papa Francesco il 12 aprile 2015 nella Basilica di San Pietro ha proclamato solennemente San Gregorio di Narek Dottore della Chiesa Universale. In questa breve riflessione, dopo aver presentato un breve profilo biografico e le opere composte dal monaco armeno, si offre in estrema sintesi l’originalità e l’universalità della sua “eminens doctrina” di poeta, monaco, filosofo e teologo mistico. FRANCESCO NIGRO, La Misericordia: il vero volto dell’umanesimo cristiano La tipicità della misericordia è quella di essere una realtà proprio di Dio, il suo concreto modo di essere in relazione con il mondo e con gli uomini. Il tema della misericordia va colto in primo luogo nei suoi aspetti teologici e, quindi, anche teologali, quali modalità concreta di vivere le relazioni nel mistero di Dio. Le opere di misericordia sono l'esplicitazione concreta di questa verità che parte dal cuore, dalla fede e dall'amore autentico per Dio e per i fratelli. Il breve studio offre alcuni spunti di carattere fondativo sul tema di questo anno giubilare, orientando verso uno “stile ecclesiale” ed uno “stile credente” che parte dall'essere “misericordiosi”, ossia dal cuore misero/umile e vicino ai piccoli, proprio di Cristo e dei cristiani. SOMMARIO XIX LUCANGELO DE CANTIS , Il Cristo “Todo”, pienezza dell’itinerario di “umanazione” in San Giovanni della Croce - Attualità pastorale del messaggio Sanjuanista La mistica, e in particolare la riflessione di san Giovanni della Croce, donano prospettive attuali per l’evangelizzazione, nell’accompagnamento dell’“umanarsi” di ogni figlio di Dio. Gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato per il primo decennio del Duemila sottolineano chiaramente l’urgenza di un impatto divino che rimotivi l’agire ecclesiale dandone sapore per incidere nel cuore della storia. È molto significativo che il primo “compito” da effettuare per una credibile comunicazione del Vangelo non sia “fare delle cose” ma ricontemplare un Volto, il Volto del Cristo, riappropriarsi dell’evento che annunciamo. Spesso dietro un molteplice “fare pastorale” si dimentica la sorgente e la nostra attività, nonostante sia carica di molteplici iniziative, risulta sterile. Gli Orientamenti ci ricordano l’essenziale da recuperare (cf. CVMC 10-31). L’introduzione, dopo aver richiamato la meravigliosa icona biblica giovannea, di cui sopra, si conclude con la bellissima preghiera di Newman, “Risplendere della tua luce” (cf. CVMC 8), dove sembra che la Chiesa intera, coralmente, invochi il Volto di Cristo per brillare della sua bellezza, perché in tutto il vissuto ecclesiale appaia la luce di Cristo. La mistica evangelica abbracciata anche da san Giovanni della Croce non implica l’allontanamento da impegni terreni ma l’apertura del cuore alla volontà divina che desidera l’uomo viva nella quotidianità dell’esistenza la pratica delle virtù teologali; la condotta dell’uomo mistico deriva dal rapporto che egli mantiene con Dio. MINO IANNE, “Il patrimonio greco parte integrante della fede cristiana”: riflessioni a 10 anni dal discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona Due sono gli assi portanti contenuti nel discorso del Papa Ratzinger a Ratisbona che l’autore si propone di discutere: il valore essenziale e irrinunciabile della cultura greca e il connesso dibattito modernocontemporaneo sulla deellenizzazione. L’importanza del Discorso di Ratisbona risiede nella modalità con cui Benedetto XVI imposta, in una forma singolarmente radicale, il nesso totale che unisce la ragione alla fede. L’identificazione della fede con la ragione (che abolisce la congiunzione “e” in “fede e ragione”) consente una seria proposta culturale ed esistenziale del cristianesimo contemporaneo nel mondo. La sfida che, infatti, la Chiesa deve affrontare nell’epoca della “dittatura del relativismo” è il tentativo di riduzione della fede all’insignificanza, confinata come fatto privato nel mercato dei sentimenti e, al più, accettata nella funzione di assistenzialismo sociale e di surrogato etico XX SOMMARIO TERRITORIO MARCELLO ACQUAVIVA, Un viaggio nel tempo. L’enciclica Laudato si’ nella Taranto di inizio ’700. L’enciclica sociale del papa Francesco Laudato si’ (24 maggio 2015) è una netta chiamata a conversione per tutta l’umanità e per la Chiesa. Lo è particolarmente per la nostra terra, nella quale già ai primi del XVIII secolo una voce poetica (quella di Tommaso Niccolò d’Aquino) si levò a cantare, nelle Deliciae Tarentinae, la bellezza della creazione nel nostro circondario. Può costituire motivo d’interesse porre a confronto alcune affermazioni dell’enciclica e alcuni passi del poema di d’Aquino. Nella evidente diversità di intenti e di forme espressive, emergono però alcune significative convergenze, identificabili soprattutto nella gratitudine al Creatore per le meraviglie donate al nostro territorio, nella preoccupazione che questo patrimonio possa andare perduto a causa delle cattive inclinazioni del cuore umano e nel porre proprio in questo la chiave per custodire responsabilmente la creazione che Dio ci ha affidato. Al di là dei limiti di varia natura che il poema reca con sé, esso è stato un grido inascoltato nella nostra realtà jonica. FEDERICA MONACO, Un inventario inedito di Giuseppe Blandamura del 1933 Nel 1933, mons. Giuseppe Blandamura, dietro richiesta della Soprintendenza di Taranto, stilò l’inventario degli oggetti artistici appartenenti alla cattedrale, documento che la Soprintendenza mandò a sua volta al Ministero dell’Educazione Nazionale. Una copia restò nell’archivio capitolare. Al termine del suo lavoro Blandamura schedò 74 oggetti d’arte costituiti da statue, dipinti, parati e arredi sacri, e beni facenti parte del Sacro Tesoro del Santo. Il manoscritto di mons. Blandamura si presenta chiaro e ordinato. I fogli non sono numerati ma compare l’indicazione numerica dei paragrafi formulata dall’autore, i beni inventariati sono contraddistinti da un numero progressivo che trova riscontro nell’indice e ogni singolo bene risponde ai requisiti fondamentali per la cultura della tutela che, ieri come oggi, sono gli stessi. RECENSIONI LIBRI RICEVUTI INDICE DELL’ANNATA 2015 EDITORIALE Alla conclusione dell’anno 2015, più che parlare di bilanci, è più opportuno ripercorrere gli eventi che si sono succeduti e il loro significato, a partire dall’annuncio del giubileo straordinario della misericordia i cui motivi e i contenuti sono illustrati da papa Francesco nella bolla di indizione Misericordiae vultus. Il tema della misericordia, costantemente presente in ogni suo intervento, caratterizza l’intero suo pontificato poiché come egli stesso denuncia, la comunità mondiale è flagellata da divisioni, odio, voglia insopprimibile di vendetta. L’apertura della Porta Santa, prima della cattedrale di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, poi di S. Pietro in Vaticano, ha dato inizio al cammino di conversione che il popolo di Dio vive come un pellegrinaggio, sperimentando ogni giorno l’amore del Padre per l’uomo peccatore. La celebrazione del giubileo, oggi, è più che mai urgente, in seguito agli ultimi e gravi fatti accaduti, tra cui si segnala la strage di Parigi del 13 novembre 2015 a cui, purtroppo, ne sono seguite altre. Non è un caso che Francesco parli, al n. 23 della Misericordiae Vultus, degli effetti benefici che il giubileo e il dono delle indulgenze potranno avere per la pace e per il dialogo con l’Ebraismo e con l’Islam: La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla Fides et Ratio VIII/2 (2015), 227-229 228 ALESSANDRO GRECO misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione. Sulla linea di quanto Francesco ha compiuto l’8 dicembre, nella diocesi di Taranto si è celebrato il rito dell’apertura della Porta Santa della cattedrale, dedicata a S. Cataldo, con la partecipazione dell’intera comunità diocesana, dando inizio al cammino penitenziale per aprire il cuore ad accogliere la misericordia di Dio, donataci in Cristo, morto e risorto. Questo è il primo aspetto a cui deve far seguito il secondo: il dono reciproco della misericordia. Infatti, nessuna persona, nessun ambiente, nessuna famiglia, comunità o aggregazione è immune da tensioni, divisioni conflitti o altro, per cui è necessaria questa testimonianza reciproca. Nel territorio ionico, sono note le situazioni di conflittualità a motivo della disoccupazione, dell’inquinamento, dei danni alla salute: la misericordia può aiutare a superare queste situazioni, a volte drammatiche, che hanno una incidenza negativa sulle famiglie e sull’avvenire del mondo giovanile. La chiesa diocesana, per i problemi menzionati, rappresenta un punto di riferimento costante e un concreto segno di speranza. Il 19 settembre u.s., si è tenuto, a Taranto, un convegno nazionale su ambiente e salute, dando seguito a quanto Papa Francesco scrive nell’enciclica Laudato si’, divenuta oggetto di riflessione e di confronto nelle comunità parrocchiali e negli ambienti civili, grazie alla disponibilità di S. E. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo Metropolita di Taranto e Presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e Presidente del Comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, il quale presenta il testo del Santo Padre anche in altre diocesi italiane. Ha accolto l’invito del direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini”, di tenere la prolusione per l’inaugurazione dell’Anno Accademico 2015-2016, presentando i EDITORIALE 229 contenuti dell’enciclica con opportune provocazioni e sollecitando l’intera Istituzione Accademica, docenti e studenti, a continuare a riflettere sul tema e ad approfondirlo, rendendo un prezioso servizio a tutta la comunità. Il cammino della Chiesa diocesana è scandito in comunione con la Chiesa universale che trova il suo punto di forza nel magistero e nella guida di Papa Francesco. Infatti, i punti indicati dall’Arcivescovo, per l’anno pastorale 2015-2016, sono: cultura dell’incontro, misericordia, famiglia, custodia del creato. Essi richiamano il giubileo straordinario, l’enciclica di Francesco, il Sinodo sulla famiglia. Questi temi sono stati oggetto di riflessione e di confronto nelle comunità parrocchiali le cui sintesi sono state presentate nell’annuale Assemblea diocesana con l’intento di mettere a fuoco le urgenze e le priorità per la comunità ecclesiale nel dialogo con la società civile. Il richiamo a questi eventi, nell’editoriale di Fides et ratio, non hanno un intento pubblicitario, ma dimostrano come la rivista di Scienze Religiose, riflette con taglio scientifico su ciò che accade nella vita diocesana e nel territorio, tenendo conto delle loro attese e delle concrete prospettive. Alessandro Greco ARTICOLI NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO1 † Filippo Santoro* L’Istituto Superiore di Scienze Religiose è una valente istituzione formativa della nostra Arcidiocesi che è chiamata a servire con costante inquietudine la nostra chiesa particolare. È importante che tutti, docenti e studenti, siano sempre alla ricerca del valore, del significato della propria vita: in questa ricerca ciascuno applichi l’intelligenza, la ragione, il cuore, tutte le proprie capacità. Ho insegnato teologia per tantissimo tempo, per circa quarant’anni, ed ho compreso che l’aspetto più bello del mio impegno veniva appagato dal fatto che potessi vedere crescere in me e negli altri il gusto per la teologia, per la ricerca, per la fede: ciascuna di queste realtà è parte di un unicum che, in ultima analisi, rappresentava l’attenzione più vera ed autentica alla realtà ecclesiale. 1. Per iniziare, una nota di metodo Papa Francesco al n. 17 della Laudato si’ (LS) dice: Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio ripetitivo e 1 Prolusione tenuta il 25 novembre 2015 presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “R. Guardini” di Taranto per l’apertura dell’anno accademico 2015-2016. * Arcivescovo Metropolita di Taranto, Presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace e Presidente del Comitato scientifico ed organizzatore delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 233-246 234 FILIPPO SANTORO vuoto se non si presentano nuovamente a partire da un confronto con il contesto attuale in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità. Questo significa che le riflessioni teologiche e filosofiche rimangono una realtà astratta, un messaggio praticamente inutile se non sono offerte a partire da un confronto con il contesto attuale. Il discorso teologico non può essere un discorso astratto, ma è qualcosa di significativo, di rilevante, di pertinente alla vita; quindi, la sfida e l’attenzione alla realtà che viviamo sono indispensabile, altrimenti elaboriamo teorie separate dal vissuto che resterebbero sterili perché non terrebbero conto del fatto che il primo modo con cui il Signore ci provoca sono i fatti che accadono attorno a noi. Gli avvenimenti sono la maniera con cui egli ci viene incontro e ci sollecita; infatti, la sua stessa incarnazione è un fatto, un evento che rende visibile una presenza e che non resta una teoria. Cristo si è reso presente nel ventre di una donna, ha sorpreso gli Apostoli, si è fatto conoscere e poi ha sorpreso i successori degli Apostoli perché quella sua presenza, con la Resurrezione e il dono dello Spirito Santo, è diventata qualcosa che ha cambiato la loro vita e la storia. L’attenzione ai fatti ci porta, quindi, ad essere attenti anche al fatto dell’Incarnazione che ci tocca e ci sorprende a millenni di distanza dal momento in cui è accaduto. Questo è il metodo della teologia. San Tommaso D’Aquino diceva che l’atto della fede fa riferimento innanzitutto alla res, alla cosa, a un fatto e non alla riflessione teologica sull’enunciato2. Dobbiamo sempre partire da questa res che è l’avvenimento dell’incarnazione così come si è sviluppato in mezzo a noi. Un avvenimento che è veramente successo e che noi oggi verifichiamo e sperimentiamo personalmente. Questa nota di metodo è molto importante perché, come suggerisce Papa Francesco, è in questa modalità che devono essere presentate le riflessioni teologiche e filosofiche: non si può prescindere dal confronto con il contesto attuale in tutto ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità. Nella sua ultima enciclica, il Papa ci in2 S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Teologiae, II-II, 2. NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 235 vita a soffermarci su ciò che sta accadendo alla nostra casa comune e proprio questo ci dimostra la sua attenzione al tema ecologico, alla custodia del creato; sono tutti fatti che rappresentano una novità rispetto al passato. È l’atteggiamento giusto con il quale riflettere costruttivamente anche rispetto agli altri gravi avvenimenti che in questi ultimi tempi ci provocano, come il flusso crescente di migranti e rifugiati, i fatti di Parigi e la questione del terrorismo che su scala mondiale, da un momento all’altro, possono essere la causa di un conflitto internazionale, di una guerra mondiale combattuta a pezzi, come dice papa Francesco. 2. Al Convegno Ecclesiale di Firenze Queste sono tutte questioni che non lasciano indifferente la nostra fede e ci richiedono di metterci in gioco. Dobbiamo sempre tenere presente questo punto di partenza fondamentale in chiave metodologica. Il discorso tenuto da Francesco al recente Convegno Nazionale di Firenze ha determinato un’effettiva novità nella proposta della Conferenza Episcopale Italiana. Partendo dalla descrizione del dipinto in cui Gesù è giudicato da Pilato e che si trova nella Cattedrale di Firenze sotto la cupola del Brunelleschi, il Santo Padre ha affermato che nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui “ha dato sé stesso in riscatto per tutti” (1Tm 2,6). “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17)3. Nel Giudizio Universale, a Gesù un Angelo presenta una spada, 3 FRANCESCO, Incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italiana, discorso nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, 10-11-2015 in www.vatican.va//content/francesco/it/speeches/2015/november/documents/ papa-francesco_20151110_firenze-convegno-chiesa-italiana.html 236 FILIPPO SANTORO affinché possa fare giustizia di tutti i peccati commessi nel mondo, tra cui anche quello commesso da Pilato, condannandolo. Di fronte alla spada, Gesù mostra le sue piaghe gloriose, quindi un giudizio di misericordia. Papa Francesco ci suggerisce di provare a comprendere cosa debba intendersi per nuovo umanesimo guardando a Cristo che è il fondamento e l’origine della persona nuova, della nostra vita rinnovata a partire da questo criterio sconvolgente che è la misericordia. Cristo non risponde con le accuse a chi lo ha condannato ingiustamente e non ha risposto al male con il male: si è lasciato giudicare e condannare. Il Papa ci ripete: “guardiamo a Cristo e lasciamoci guardare da Lui”. Lasciamoci guardare dal Signore che è entrato nella nostra vita. Papa Francesco declina poi i sentimenti che furono di Cristo: l’umiltà, il disinteresse nei rapporti e le beatitudini. Vivere i sentimenti di Cristo ci mette in guardia contro la tentazione del pelagianesimo e dello gnosticismo. Il Santo Padre si è poi soffermato sulla bella tradizione della Chiesa italiana che è ricca di Santi che lui ha passato in rassegna per poi parlare, servendosi delle vicende romanzesche di Don Camillo e Peppone ed invitare i sacerdoti ad immergersi nella realtà vissuta dai fedeli dei quali vogliono interessarsi4. Tutti i convenuti a Firenze hanno avuto modo di riflettere sulle cinque vie proposte dagli organizzatori, seguendo una nuova modalità di discussione: siamo stati divisi in 100 tavoli da 10 persone per ciascuna delle cinque vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. In questo modo tutti hanno potuto partecipare ai lavori attivamente, anche se è stato più complesso realizzare delle sintesi che tenessero conto della ricchezza di proposte presentate. Ed infatti, è stato ignorato il tema della custodia del creato, per quanto se ne sia parlato non solo nel mio gruppo che era composto da me vescovo, da due sacerdoti, da due religiose e da cinque laici, ma anche in altri gruppi. Inoltre questo tema era stato citato nella prolusione di Monsignor Nosiglia, Presidente del Comitato preparatorio del Conve4 È il richiamo ad essere sacerdoti; essi sono come i pastori che odorano delle pecore che guidano. È un pensiero che il Santo Padre ripete spesso rivolgendosi al clero. NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 237 gno, come una delle priorità, insieme ai poveri. Senza dire che, come sappiamo, al tema ecologico è stata dedicata l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. È importante allora insistere nella sensibilizzazione a queste problematiche se si vuole essere realmente attenti alla realtà. Ed infatti, tornando al n. 17 della Laudato sì, è bene ribadire che le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità devono “farsi ferire” dalla realtà per cui il metodo che siamo chiamati a seguire nel nostro studio è proprio quello dell’attenzione alla realtà, alle circostanze che toccano il nostro vissuto. Tutto quello che ci succede, i fatti della vita familiare e affettiva non sono scollegati dal nostro incontro con il Signore: tutto è connesso, cioè tutto è in relazione e questo è uno dei principi-chiave dei criteri ermeneutici dell’Enciclica. 2. I passi e la novità della Laudato Si’ Il primo capitolo si intitola: Quello che sta accadendo alla nostra casa. Qui il Papa si fa aiutare da esperti di prim’ordine nel fare un’analisi, una fotografia della situazione molto accurata e aggiornata. Prima, però, di entrare nel dettaglio dei problemi che affliggono il nostro pianeta, il Papa premette alcune riflessioni di tipo metodologico, richiamando quanto già proposto sul tema dai suoi predecessori ai quali aggiunge il pensiero del Patriarca ortodosso Bartolomeo II di Costantinopoli. La prospettiva è data dallo sguardo di fede perché non esiste un’analisi neutra della realtà; essa è sempre vista a partire da una prospettiva che è quella di chi ha ricevuto il dono della rivelazione compiuta da Cristo. Già nella Conferenza di Aparecida, alla quale ho avuto la gioia di partecipare, l’allora Cardinal Bergoglio ricordava che lo sguardo dei discepoli e dei missionari deve partire dall’esperienza della fede per concentrarsi sui problemi dell’America Latina perché i popoli del Continente abbiano la vita. Questa premessa è molto importante perché il Papa e i successori degli Apostoli non sono dei sociologi o degli analisti sociali, ma dei pastori. Noi utilizziamo il frutto di una riflessione analitica e sociologica 238 FILIPPO SANTORO aggiornata, comparata, ma la prospettiva è quella della fede, altrimenti si tradisce lo scopo ultimo del nostro agire. Anche nel documento finale di Aparecida si seguono i tre passi del vedere, giudicare e agire che costituiscono il metodo proprio della dottrina sociale della Chiesa. Si parte dal vedere la realtà, dal giudicarla alla luce della Sacra Scrittura per passare all’agire, indicando piste di sviluppo e di riflessione. Però il punto di partenza del vedere, dopo un preciso intervento del cardinal Bergoglio fu identificato nella fede dei discepoli missionari. Posta questa prospettiva, il Papa tocca, nel primo capitolo, la questione dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici, del riscaldamento globale, della cultura dello scarto, della distruzione degli ecosistemi, dell’acqua, della perdita della biodiversità, la questione degli oceani, il deterioramento della qualità della vita, il degrado sociale; c’è una iniquità di tipo planetario in cui insieme con l’ambiente sono i più poveri a soffrire maggiormente. Questa prima parte termina con un invito caratteristico dell’America Latina: il Papa esorta ad ascoltare il grido della terra e il grido dei poveri; il clamore – è il termine spagnolo e portoghese – della terra e dei popoli. Non si può ignorare quanto la questione ambientale e quella umana e sociale siano connesse e quanto sia diventato oneroso il debito ecologico che abbiamo nei confronti della natura e qui a Taranto lo comprendiamo meglio che altrove. Qui l’industria siderurgica si è sviluppata offrendo lavoro; gli abitanti del luogo da contadini si sono ritrovati a fabbricare acciaio, come dipendenti statali, ma l’inquinamento che ne è derivato è stato devastante per le nostre vite. Il secondo capitolo della LS ha come titolo Il Vangelo della creazione. Nell’Antico Testamento si presentano tre rapporti fondamentali: il rapporto con Dio, il rapporto con il prossimo e il rapporto con la terra. Nel libro della Genesi, si parla dell’invito di Dio Creatore ad Adamo ed Eva a dominare la terra (cf. 1,38), ma questo testo va letto insieme con Genesi 2,15 in cui l’invito è coltivare e custodire il giardino di Dio. È del tutto evidente che il Creatore chieda all’uomo e alla donna non di approfittare della terra spadroneggiando, ma di coltivare e custodire il giardino del mondo. NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 239 Nel n. 76 della Laudato si’, la realtà è definita come il mistero dell’universo; la creazione è qualcosa di più che la semplice natura, è indicata come un dono che viene dalle mani di Dio. Qui si mette in evidenza l’aspetto della realtà come dono, della realtà creaturale. Dire creazione, per la tradizione giudeo-cristiana è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natura viene spesso intesa come un sistema che si analizza, si comprende, si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre. La natura non può essere intesa come un sistema meccanico, senz’anima, ma è un dono che nasce dalla mano di Dio, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale. Questa è la prospettiva già nell’Antico Testamento in cui si mette bene in evidenza il fatto che la realtà sia da intendersi come dono che rende l’uomo capace di custodire e coltivare e non depredare5. Nel Nuovo Testamento, l’attenzione è posta sullo sguardo di Gesù, sguardo attento alla natura perché in tutte le creature è presente la bellezza del Padre: pensiamo ai gigli del campo, agli uccelli del cielo… a questo sguardo benevolo del Signore su tutta la creazione, su tutte le persone, sulle cose e sui fatti. Perché questo sguardo diverso? Qui la chiave di lettura è la percezione che ha Gesù della presenza del mistero del Padre, del mistero dell’Essere. In ogni realtà, nel filo d’erba, nella pianta, negli uccelli del cielo, nei gigli del campo è presente il mistero del Padre che è Creatore: dovunque incontriamo i segni della sua presenza. Il motivo dominante della vita di Cristo è proprio il suo rapporto con il Padre. Questa annotazione di tipo cristologico ci permette di comprendere che punto essenziale e dominante dell’essere del Signore è la sua missione: è mandato dal Padre. Tutta l’attività di Cristo è mostrare questa origine misteriosa e il dono di sé presente nella storia che ha bisogno di essere redenta dal momento che il peccato ha alterato la trasparenza della storia. La realtà è così violentata e violenta allo stesso tempo. Al disordine viene accostato lo 5 Nell’enciclica il Santo Padre dedica all’analisi di questo particolare aspetto dei racconti della creazione i numeri 66 e 67. 240 FILIPPO SANTORO sguardo, la presenza di Cristo con la sua passione, morte e resurrezione che recuperano e restaurano lo sguardo più puro e vero rivolto all’intera realtà creata. Nel terzo capitolo, La radice umana della crisi ecologica, il Papa elabora ulteriormente il tema del peccato che distanzia gli uomini dal rapporto d’amore con il Creatore. In questo capitolo troviamo un approfondimento sulla tecnologia che, pur presentando aspetti molto positivi, in particolare nel campo dell’ingegneria, della medicina, della comunicazione, in diverse circostanze mostra tutte le sue potenzialità distruttive. Al n. 105 dell’enciclica, il Papa parla del contributo di Romano Guardini e, prendendo in considerazione una sua opera, riporta: “si tende a credere che ‘ogni acquisto di potenza sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di benessere, di forza vitale, di pienezza di valori’”. In realtà il bene e la verità non sbocciano spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia. Purtroppo, l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano in ordine alla responsabilità, ai valori e alla coscienza. La possibilità dell’uomo, di usare male della sua potenza, è in continuo aumento, dal momento che si guarda solo alle pretese di utilità e di sicurezza, dimenticando le norme che invitano al rispetto della libertà della persona umana. Sappiamo che l’autonomia di ciascuno “si ammala” quando si consegna alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della violenza brutale e prevaricatrice che produce. Possiamo affermare che quando manca un’etica adeguatamente solida, fondata su una cultura che non ignora la dimensione spirituale, lo sviluppo produce troppo spesso un dominio che si fa sopruso nei confronti della realtà. Il Papa sottolinea questo atteggiamento scorretto della scienza nel momento in cui si separa dalla coscienza, dando vita al cosiddetto “paradigma tecnocratico”. Al n. 106 approfondisce il discorso dicendo che questo paradigma è omogeneo e unidimensionale: in esso risalta una concezione del soggetto che progressivamente, NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 241 nel processo logico-razionale, comprende e in tal modo possiede l’oggetto che si trova all’esterno. La conseguenza logica è che il soggetto “possiede” l’oggetto, vuole conquistarlo e dominarlo attraverso la sperimentazione scientifica che è già esplicitamente una tecnica di possesso, dominio e trasformazione. È come se il soggetto si trovi di fronte alla realtà informe, totalmente disponibile alla sua manipolazione. Va detto che, in effetti, l’intervento dell’essere umano sulla natura si è sempre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si tratta di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette come tendendo la mano, sviluppando ciò che è potenzialmente presente perché insito nell’oggetto che si ha di fronte e non a manipolarlo stravolgendolo. Oggi sembra che interessi estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso una modalità di imposizione della mano umana che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che si ha dinanzi. Il potere e la volontà di dominio del soggetto danno origine all’idea di una crescita infinita e illimitata. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a spremerlo fino al limite ed anche oltre. Questa deriva ha le sue conseguenze anche sul versante relazionale, dal momento che i rapporti interpersonali invece che essere improntati alla dimensione del dono reciproco nell’accoglienza dell’altro, diventano rapporti di dominio e di sfruttamento. Comprendiamo come il paradigma tecnocratico così inteso produca distruzione. Se associato in queste deleterie modalità all’economia che, come sappiamo, ha già infinite pretese di autoregolazione come ricordatoci da tutte le encicliche sociali a partire dalla Rerum novarum6, il paradigma tecnocratico diventa supremo idolo funzionale ad un’economia di mercato senza scrupoli che Papa Francesco ha sempre considerato come “un’economia che uccide”. Egli ribadisce che è falso credere che tutte le problematiche del mondo, compresa quella della miseria, si risolveranno semplice6 Su questo tema, si veda in particolare l’enciclica Centesimus annus del 1991 di San Giovanni Paolo II che metteva in guardia dai facili entusiasmi dopo la caduta dei regimi comunisti ad economia pianificata. 242 FILIPPO SANTORO mente con la crescita del mercato. Il mercato, da solo, non è in grado di garantire lo sviluppo umano integrale e, soprattutto, non è attento alle dinamiche necessarie per generare inclusione sociale come già affermato da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in Veritate7. Quando l’uomo si sente al centro dell’universo e non sente l’esigenza di rapportarsi al suo Creatore, perde qualsiasi riferimento e, nel relativismo più cieco e deleterio, nega l’esistenza di verità oggettive e di principi stabili. L’affermazione del relativismo dà origine alla logica dell’usa e getta ed è tutto questo a provocare l’attuale crisi ecologica. Nel quarto capitolo, vi è la proposta centrale di Papa Francesco che parla di un’ecologia integrale: questa è la novità del suo messaggio. Egli parte da un principio secondo cui tutto è intimamente connesso, tutto è in relazione. Egli, andando oltre le istanze del variegato arcipelago del movimento ambientalista, afferma che l’ecologia classicamente intesa non è tutto: insieme con l’ecologia ambientale, c’è l’ecologia sociale, la condizione umana; al grido della terra si unisce quello dei poveri. A Taranto stiamo vivendo questo problema nella questione che ci invita a difendere la salute e l’ambiente, senza dimenticare il lavoro. Le istanze non possono essere separate perché si richiamano reciprocamente. Sappiamo anche che, oltre all’ecologia ambientale e sociale, c’è n’è una economica ed anche una culturale che intendono preservare le tradizioni, gli usi e i costumi che fanno parte della vita di un popolo, di un territorio. Nello sviluppo della persona e della società, c’è la valorizzazione non solo dell’ambiente, del lavoro e della società, ma anche della storia, della vocazione propria e specifica di una determinata terra, di un determinato territorio. Il Papa termina affermando che è necessaria anche un’ecologia della vita quotidiana nella quale è fondamentale la purificazione delle coscienze. Troppo spesso, infatti, vediamo che le coscienze sono avvelenate: di fronte a una proposta, c’è sempre chi immediatamente la distrugge, la denigra. 7 Si veda tutto il capitolo III della Caritas in veritate ed in particolare il n. 35 dove Benedetto XVI espone i limiti del mercato. NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 243 Nel quinto capitolo, vi sono alcune linee di orientamento e di azione che spiegano come sia possibile sviluppare questo cammino di crescita. Al n. 193, il Papa parla della necessità di un cambiamento del modello di sviluppo globale e ciò comporta anche l’accettazione di una naturale decrescita. Notiamo come alcune cose non siano necessarie per la vita, per il sostegno quotidiano, ma sono bisogni indotti dal mercato; non si può sviluppare un settore che, di fatto, è utile solo al guadagno, al consumo e non allo sviluppo della vita delle persone. Mentre tutti i maggiori quotidiani italiani hanno elogiato complessivamente l’enciclica, i giornalisti del New York Times e di altri giornali statunitensi, invece, hanno manifestato apertamente le loro riserve in relazione a quest’ultimo aspetto. Nella cultura liberista americana è praticamente impossibile parlare di decrescita. Francesco coraggiosamente in questo quinto capitolo esprime un giudizio non certo lusinghiero nei confronti di un modello di sviluppo che ha bisogno di essere rivisto, come ci dimostra la nostra esperienza qui a Taranto con l’Ilva; è del tutto evidente che lo sviluppo autonomo della scienza e dell’economia sia stato la fonte del disastro che ci stiamo trovando ad affrontare. Questa economia ciecamente va avanti senza vedere le disuguaglianze, le disparità e le situazioni ingiuste, inumane che si sviluppano. È davvero necessario un cambiamento. Papa Francesco riprende quanto detto da S. Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI e cioè che la scienza e l’economia hanno bisogno di ascoltare le grandi tradizioni religiose così da permettere un dialogo positivo tra queste e la scienza (cf. nn. 199-201). È necessario uno sguardo al di fuori di quel meccanismo che stritola i più deboli: se non c’è uno sguardo più lungimirante e più attento non si può riuscire a venire fuori da una situazione così complessa nella quale sono sempre i più deboli a soccombere invece che essere aiutati a crescere. Come si può immaginare di eliminare la guerra e il terrorismo dell’ISIS? Forse bombardando e distruggendo tutto, ma sappiamo che non è questa la soluzione. Tutta la rete umana che produce il pensiero che ha permesso l’annidarsi di queste forme terroristiche non viene affatto scalfita dai bombardamenti: si interviene in queste situazioni con le stesse armi di chi attacca, ma 244 FILIPPO SANTORO come risultato si ha solo un aumento esponenziale dei danni come recentemente è avvenuto in Iraq, in Libia e in tutti gli altri posti in cui si è deciso di intervenire con la forza. In questo caso è da apprezzare la soluzione del governo italiano che si rende presente nell’alleanza, ma non parla di guerra perché, con decisione, intende perseguire l’obiettivo con un lavoro diverso, certamente più lento e faticoso, ma sicuramente più fruttuoso nel lungo periodo. La scienza, la tecnica e l’uso della forza non bastano per creare le condizioni per un mondo migliore. Le grandi religioni possono offrire elementi utili per creare un dialogo dal quale può scaturire la pace con pazienza, ascesi e generosità. Nel sesto capitolo che si intitola: Educazione e spiritualità ecologica, il Papa offre consigli pratici, molto utili e importanti. Parla esattamente di educazione ad un altro stile di vita più sobrio che tenda a superare il meccanismo consumista compulsivo8. Questo è possibile con un’educazione in cui si acquisisca uno stile di vita più sobrio, a partire da elementi positivi che già ci sono. Non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superare il proprio limite che a volte sembra insuperabile e salvarsi. L’enciclica, quindi, non è solo un lungo elenco di lamentele rispetto a ciò che di sbagliato gli uomini hanno compiuto e continuano a compiere, ma è piuttosto un invito a cambiare la situazione e le circostanze. Gli uomini possono ritornare a scegliere il bene, rigenerarsi al di là di qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono capaci di guardare a se stessi con onestà, far emergere la propria disapprovazione e intraprendere nuove strade verso la vera libertà. Questo è il cammino che comporta l’uscita da sé stessi per andare verso l’altro. Questo è uno dei punti cardine del magistero di Papa Francesco che spesso invita tutti al superamento dell’autoreferenzialità (cf. n. 208). Ciò riguarda la sfera della vita personale di ciascuno di noi, ma anche la società e la stessa scienza che non può chiudersi al confronto condannandosi all’autoreferenzialità. 8 Un esempio tra tutti il modello proposto dal film americano di grande successo del regista David Frankel “Il diavolo veste Prada”. NUOVO UMANESIMO E CUSTODIA DEL CREATO 245 L’enciclica ha l’ambizione di proporre uno stile di vita alternativo che nasce dall’alleanza tra l’umanità e l’ambiente. Questo renderà possibile una cittadinanza ecologica. Al n. 213, il Papa enumera gli ambiti educativi, dove ci si può e ci si deve educare, cioè la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi…, ma prima, al n. 208, quando ha parla dell’auto-trascendersi, cioè dell’uscire da sé, indica piccole azioni quotidiane che aiutano in questo senso. Al n. 211 infatti dice: se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita […] come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità. Tutti questi sono gli ambiti educativi. 3. Concludendo Termino con l’affermazione del Santo Padre, contenuta nel n. 217, in cui ricorda che l’attenzione all’ambiente non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana. Non si tratta di un fatto opzionale, ma è un’attenzione che scaturisce dal cuore della nostra fede; il rapporto con il mistero implica immediatamente un rapporto diverso con gli altri, con le povertà, con i bisogni, un rapporto diverso con la creazione. Per questo motivo, nei tre punti che abbiamo indicato qui a Ta- 246 FILIPPO SANTORO ranto, come obiettivi del nostro cammino pastorale di quest’anno, abbiamo inserito la custodia del creato che va ad aggiungersi alla misericordia che sarà la grande protagonista del giubileo e la famiglia così come indicatoci dai recenti sinodi, particolarmente dal secondo. Nella prospettiva della cultura dell’incontro, del rispetto della realtà, l’attenzione al creato, all’ambiente, alla società è per noi un punto essenziale che non può essere dimenticato. Il Papa ritiene necessaria una crescita autentica che non dimentichi l’importanza della sobrietà. Poi, ricorda anche la bellezza del ringraziare, con la preghiera, prima e dopo i pasti perché il pasto che si sta consumando è in connessione con il mistero di Dio, come un dono che viene da Lui. Per i figli, per le nuove generazioni, per le associazioni, i gruppi, i movimenti, è importante l’educazione al ringraziamento. L’enciclica ha uno sguardo grande e uno sguardo attento ai particolari, proprio per una conversione ecologica a cui il Papa ci chiama. Questo è un aspetto chiave per la conversione di cui ciascuno dovrebbe tener conto. Qualche tempo fa, quando ancora il tema ecologico non era molto sviluppato, ci fu un intervento di Don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, in una assemblea in cui, parlando ai giovani, diceva: “stai camminando in un corridoio; trovi una carta per terra, non l’hai buttata tu, normalmente che fai? Non l’ho buttata io, la lascio stare. Invece io la raccolgo, non per moralismo, ma per amore alla bellezza, perché voglio un ambiente così sia come casa mia”. Il creato è parte della nostra casa, è la nostra casa, dono di Dio e noi siamo chiamati a conservarla e a renderla sempre più bella. Ascoltiamo il messaggio del Papa e sicuramente la nostra casa diventerà più bella. PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” Antonio Panico * Intendo motivare l’attenzione verso la casa comune a partire da tre parole sulle quali concentrare sinteticamente l’attenzione: cura, vocazione, gratitudine. Nell’utilizzare il metodo proprio della Dottrina sociale cristiana con le sue tre fasi tipiche come è ormai sana consuetudine da parte del Santo Padre Francesco che ha voluto accrescere il patrimonio di questa particolare tipologia di magistero con la sua ultima enciclica Laudato sì1 è possibile comprendere con immediatezza quale sia l’urgenza di questo interesse. Nel primo capitolo della sua lettera e in diversi altri passaggi dell’enciclica Francesco utilizza il primo momento metodologico, quello del vedere, facendo luce sulle criticità che stanno investendo il mondo attraverso una sintetica analisi che si basa su un valido supporto scientifico che ha suscitato interesse ed approvazione anche in ambienti generalmente poco amichevoli nei confronti della Chiesa Cattolica. Il Santo Padre interpreta in maniera innovativa il metodo della Dottrina sociale dal momento che Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria ed una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti2. * Vicario episcopale per i problemi sociali e la custodia del Creato dell’Arcidiocesi di Taranto, docente di Sociologia generale e Sociologia del territorio presso la LUMSA e docente stabile di Dottrina sociale della Chiesa presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Romano Guardini di Taranto. 1 Nell’introduzione del documento, nelle prima righe del numero 15, il Papa chiarisce infatti che questa enciclica “si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa”. 2 La Laudato sì è composta da sei capitoli oltre che da un’illuminante introduzione. Nella PARTE INTRODUTTIVA (nn. 1-16), a partire dalle parole del Cantico delle Fides et Ratio VIII/2 (2015), 247-258 248 ANTONIO PANICO Le questioni importanti sono proprio quelle che ci inducono a guardare con particolare apprensione ciò che sta avvenendo nel nostro pianeta. 1. La cura Questo vocabolo così centrale nella stesura del documento regalatoci da Francesco va inteso in due modi differenti: prendersi cura nel senso del custodire e curare nel senso del provare a guarire la malattia del pianeta3. 1.1 La cura come custodia Già nell’introduzione dell’enciclica il Pontefice scrive che la nostra sorella e madre terra “protesta per il male che le provochiamo a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha pocreature di san Francesco d’Assisi, si richiama l’attenzione verso un Creato che si è “ammalato” e si reclama l’attenzione di tutti gli uomini che vivono in questo mondo. Nel CAPITOLO PRIMO “Quello che sta accadendo alla nostra terra” (nn. 17-61) viene descritta la gravità della situazione, con un inquinamento che determina cambiamenti climatici, perdita della biodiversità, consumo sconsiderato di risorse indispensabili per la vita come l’acqua, deterioramento complessivo della qualità della vita umana che genera a sua volta iniquità sociale su scala planetaria e tanto altro ancora. Nel CAPITOLO SECONDO “Il Vangelo della creazione” (nn. 62-100) viene evidenziato il contributo offerto dalla fede nella lettura della realtà e per la risoluzione dei gravi problemi individuati. Il CAPITOLO TERZO “La radice umana della crisi ecologica” (nn. 101-136) individua la causa della sofferenza del creato nel paradigma tecnocratico legato alla finanziarizzazione dell’economia e al relativismo. Il CAPITOLO QUARTO “Un’ecologia integrale” (nn. 137-162) è riservato alla proposta costruttiva che consiste in un approccio “olistico”, l’unico da adottare per la vera risoluzione dei problemi. Nel CAPITOLO QUINTO “Alcune linee di orientamento e di azione” (nn. 163-201) viene presentato l’elemento capace di combattere vittoriosamente la sofferenza dei poveri e della terra che è il dialogo tra politica ed economia nell’ottica della trasparenza. Il CAPITOLO SESTO “Educazione e spiritualità ecologica” (nn. 202-246) è dedicato all’importanza dell’educazione e della spiritualità nel processo di conversione integrale che risanerà il creato. L’enciclica si conclude con la preghiera per il creato e con il creato. 3 Già nei primissimi momenti significativi del suo ministero Papa Francesco ha invitato tutti a guardare il mondo come ad un malato che ha bisogno di cure e del resto, come raccontava ai giornalisti pochi giorni dopo la sua elezione, la scelta del nome che avrebbe portato da pontefice è stata ispirata dall’attenzione ai poveri ed al creato che ha fortemente caratterizzato l’esperienza di Francesco d’Assisi. PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” 249 sto in lei” (n. 2) e poco oltre ci ricorda che di fronte al deterioramento globale dell’ambiente è necessario rivolgersi ad ogni persona che abita il Pianeta (n. 3). Questo aspetto costituisce una delle novità più significative dell’enciclica che vuole annoverare tra i destinatari della sua lettera tutti gli uomini che abitano “la casa comune”. Francesco va ben oltre i classici destinatari dei documenti pontifici che tradizionalmente erano indirizzati al mondo cattolico ed estende ulteriormente la platea dei lettori che già con Giovanni XXIII era stata ampliata a tutti gli uomini di buona volontà4. Al n. 19 dell’enciclica Papa Francesco scrive che “prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo” è ciò che il cristiano è chiamato a vivere. Su questo tema deve concorrere l’attenzione di tutti e per questo non ci sono confini ideologici invalicabili: le citazioni del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, del maestro spirituale islamico All Al-Khawwas, di filosofi come Paul Recouer, di teologi classici e contemporanei come Romano Guardini, al quale è intitolato l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di cui questa rivista è emanazione, o anche il vivente teologo argentino Scannone, delle tante Conferenze episcopali locali come quella neozelandese o quella paraguaiana che mai erano state chiamate in causa in precedenza, e addirittura trovare riportati i principi 1 e 12 proposti nel documento sintetico finale approvato al termine della Conferenza di Rio del 1992 e la proposta di brani della Carta della Terra approvata all’Aja il 29 giugno 2000 dimostrano la massima inclusività manifestata dal Pontefice sudamericano che invita ciascuno ovunque nel mondo a fare la sua parte perché questo malato non aggravi la sua condizione Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità (n. 14). 4 Papa Roncalli immagina che ogni uomo di buona volontà che è presente nel mondo è un potenziale costruttore di pace e per questo alla fine della grave crisi cubana del 1963 volle rivolgersi anche ai non credenti o ai fedeli di altre religioni che manifestavano interesse verso l’edificazione di un mondo nel quale non avrebbe dovuto più esserci spazio per la guerra. 250 ANTONIO PANICO Noi cristiani poi abbiamo un vantaggio che deriva dalla spiritualità della quale alimentiamo la nostra vita interiore che ci aiuta a godere con poco e a non disdegnare la sobrietà … un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né a rattristarci per ciò che non possediamo (n. 222). Questa è per Francesco una ricetta infallibile che ci può permettere di evitare la dinamica del dominio che continuerebbe a procurare guasti che sarà sempre più difficile riparare. Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso e nella capacità umana e di renderlo inarrestabile e di governarlo senza difficoltà molti uomini e molte donne avvertono … una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta (n. 19). Il Papa non ha timore nell’affermare che mai come in questi due ultimi secoli la casa comune è stata maltrattata dagli uomini e che, nonostante questa presa di consapevolezza di molti, sia necessario che tutti gli abitanti del pianeta comprendano l’importanza di invertire la rotta Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecno-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia (n. 53). Il timore del Santo Padre è quello che si continui a tergiversare dal momento che non si dispone ancora della cultura necessaria per superare questa crisi in un momento nel quale c’è ancora molto da fare nel costruire leadership che siano in grado di indicare con chiarezza e forza strategie che salvaguardino il più possibile il diritto a crescere delle generazioni attuali senza compromettere lo stesso diritto per le generazioni future5. 5 Cf. FRANCESCO, Laudato sì, lettera enciclica del 24 maggio 2015, n. 53. PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” 251 La politica e l’industria rispondono con lentezza alle istanze poste da chi con impegno e dedizione studia le “malattie” che affliggono la terra ma il mondo non può aspettare Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio6. La perentorietà con la quale il Papa stimola i “potenti” della terra ad impegnarsi per cambiare rotta è coraggiosa. Pur tenendo conto delle maggiori difficoltà incontrate dai paesi che hanno bisogno di crescere ed emanciparsi da un’insopportabile condizione di povertà, Francesco invita tutti gli Stati a stabilire con rapidità ed equità, “percorsi concordati per evitare catastrofi locali che finirebbero per danneggiare tutti” (n. 173). 1.2 La cura come uscita dalla malattia Il papa evidenzia in più passaggi dell’enciclica da quali mali è afflitto il mondo7 ed individua nel paradigma tecnocratico associato a forme deteriori di economia e finanza la radice della crisi nella quale si è imbattuto il nostro pianeta Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita tecnologica ed economica (n. 109). La terapia grazie alla quale è possibile curare il mondo è il dialogo e per questo bisogna fare in modo che i prossimi vertici mondiali sull’ambiente non siano più improduttivi come quelli che nel recente passato non hanno visto il raggiungimento di accordi globali realmente significativi ed efficaci8. Toni quasi trionfalistici hanno accompagnato la recente chiusura della COP 21 sui mutamenti climatici tenutasi a Parigi ma, per Ibidem, n. 165 Tra i tanti brani si veda in particolare il lungo elenco di danni subiti dal suolo, dall’acqua, dall’aria e dalle creature viventi presenti nei paragrafi 20 e 21 del primo capitolo. 8 Cf. Ibidem, n. 166. 6 7 252 ANTONIO PANICO quanto il documento finale sia abbastanza incoraggiante, sono in molti a ritenere che si potesse sperare in qualcosa di più e che il pericolo di un’“aggravamento” della malattia della terra sia solo rimandato di qualche anno anche nel caso in cui tutti i paesi riuscissero a tener fede agli impegni presi. Se il mondo è malato e per Francesco la Chiesa è un ospedale da campo, questa deve spendersi senza risparmiarsi da subito perché il creato e le creature possano essere curate e salvarsi. Ovunque udiamo quel grido della terra e quel grido dei poveri che il Papa ci dice essere intimamente connessi, e questi ci provocano ad una conversione ecologica integrale, individuale e comunitaria. Questa conversione non può più essere rimandata. Il campanello d’allarme era già squillato, almeno a Taranto già dalla fine degli anni ’80 come ci segnalò San Giovanni Paolo II nella sua visita Il campanello d’allarme è già scattato, anche qui a Taranto. Occorre ora far si che le decisioni dei responsabili ne tengano conto, cosicché l’ambiente non venga sacrificato ad uno sviluppo industriale dissennato: la vera vittima, nel caso, sarebbe l’uomo; saremmo tutti noi9. Quell’allarme ora suona in modo assordante in tante altre parti del mondo mentre nella stessa “città dei due mari” dove venne lanciato 26 anni fa si è giunti al paradosso che in molte giornate durante il corso dell’anno è possibile tenere le finestre dell’abitazioni aperte soltanto dalle 12 alle 18 e che i bambini non possano giocare all’aperto nelle zone più vicine al perimetro della grande industria. Sarebbe il caso di non attendere oltre viste le previsioni catastrofiche alle quali si richiama Francesco nella Laudato sì: Ci sono regioni che sono già particolarmente a rischio e, al di là di qualunque previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano (n. 61). La cura passa attraverso gesti concreti che Francesco elenca e che anche noi dobbiamo compiere in prima persona. Il quinto ed il 9 GIOVANNI PAOLO II, Incontro con i lavoratori dell’industria e i loro familiari nel piazzale dell’Ilva, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XII, 2, 1989, LEV, Città del Vaticano 1991, 1069. PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” 253 sesto capitolo dell’enciclica offrono alcune linee di orientamento e di azione pratica perché ci si educhi tutti ad uno stile di vita più rispettoso della natura e delle sue prerogative. Il Papa non teme di suscitare ilarità nei lettori quando scrive che sarebbe importante Evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo d’acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili e così via (n. 211). Dalla malattia si può guarire se ciascuno si prende cura del pianeta potenziando il proprio senso di responsabilità. Il mondo si può salvare solo se tutti concorrono alla sua salvezza. 2. La vocazione Come cristiani “siamo nel mondo” come ci ricorda la lettera A Diogneto e non possiamo non sentirci coinvolti in prima persona da ciò che ci capita attorno. Per quanto possiamo non sentirci “del mondo” non possiamo far finta che nulla di grave accada e quindi non possiamo commettere un serio peccato di omissione trascurando la cura del dono del “magnifico pianeta” nel quale siamo stati posti dalla bontà del Dio Creatore come già evidenziato da Papa Francesco nella sua esortazione apostolica Evangeli gaudium al n. 183: Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Al n. 217 della Laudato si’, Francesco ci ricorda che l’attenzione nei confronti del creato nella sua interezza costituisce una modalità essenziale attraverso la quale mostrare la positività delle conseguenze determinate dall’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda. Possiamo pensare ad una vera e propria 254 ANTONIO PANICO chiamata, ad una vocazione alla custodia del creato che contraddistingue l’esperienza umana dalle sue origini. Lo si evince dalla Parola di Dio che, sin dai primi capitoli del libro della Genesi con i due racconti della creazione, pone l’uomo al centro dell’interesse di Dio. Nel primo racconto il Creatore non si limita ad invitare i nostri progenitori ad essere fecondi e moltiplicarsi riempiendo la terra ma anche a “soggiogare e dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,28). Nel secondo racconto l’uomo viene, invece, inserito in un habitat particolare, il giardino di Eden, che è chiamato a coltivare e custodire (Gen 2,15). Le due coppie di verbi che illustrano l’azione degli uomini rispetto al resto della creazione sembrano essere in palese contraddizione tra loro: soggiogare e dominare sono ben altra cosa se rapportati a coltivare e custodire. In realtà esiste una complementarietà nascosta tra i verbi riportati nei due capitoli di Genesi che va resa evidente: l’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio e per quanto tutte le creature siano “cosa buona”, con lui solo tutto diventa “cosa molto buona”. In quanto rappresentante di Dio, l’uomo deve assoggettare a sé la natura senza dimenticare di custodirla, salvaguardarla. L’uomo deve non solo coltivare la terra, allevare gli animali, in una parola plasmare il mondo che è messo a sua disposizione, ma è chiamato anche a tenere ordinato, per conto di Dio stesso, il luogo che Egli ha assegnato a lui come dimora. L’intero creato è dato all’uomo come suo habitat perché sia da lui abitato e governato ed è un bene che non gli appartiene ma è da custodire responsabilmente in maniera attiva, coltivandolo, in modo che attraverso il suo lavoro porti frutti perpetuando l’opera stessa della creazione. La prospettiva biblica dei primi capitoli della Genesi non considera l’opera di Dio come un’opera compiuta ma piuttosto come l’avvio di un processo nel quale la creatura umana é artefice e protagonista10. La natura non coincide con Dio, ma per quanto questa visione la desacralizzi rispetto alla proposta della religiosità pagana per10 Cf. P. BOVATI, Genesi 1: vivere l’armonia del creato, La Civiltà Cattolica I (2013) 123. PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” 255 ché altro da Dio che è suo creatore11, questo non autorizza l’uomo ad imperversare su di essa riducendola ad oggetto. Per la Scrittura la natura, pur non essendo divina, appartiene sempre a Dio e non all’uomo ed è evidente che, se le creature esistono per l’uomo, l’uomo esiste solo con esse. Se l’uomo, che è creato per amore da Dio, è realmente immagine di Dio che crea per amore tutto ciò che è presente nel mondo, allora egli non può tradire questo mandato d’amore che lo invita a coltivare e custodire ordinando al bene tutto ciò che gli viene messo a disposizione. Possiamo dire che la sua signoria non è sull’universo ma è nell’universo. L’antropocentrismo biblico non è cieco: con la sua intelligenza, con le sue capacità, con il suo lavoro l’uomo indirizza la natura al suo servizio custodendola non distruggendola. Lo sfruttamento sconsiderato, la devastazione derivano dagli sconfinamenti di chi, tra le creature umane, da sempre interpreta in modo peccaminoso la supremazia sulle altre creature. Nel disegno originario di Dio c’è l’amore e l’amore vero non si concilia con la riduzione della parte amata in un oggetto. È il tradimento dell’ideale creativo a reificare l’universo andando oltre i limiti dell’azione trasformatrice dell’uomo e mostrando disprezzo verso il dono ricevuto. Già nella Caritas in veritate il predecessore di Francesco, papa Benedetto XVI ricorda che Nella natura il credente riconosce il meraviglioso risultato dell’intervento creativo di Dio, che l’uomo può responsabilmente utilizzare per i suoi bisogni – materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso… l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una grammatica che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario12. Papa Ratzinger, con la sensibilità tipica di chi è nato e vissuto in un territorio in cui da sempre il rispetto per la natura ha segnato fortemente anche la scena politico-amministrativa, addebita a que- 11 Nel n. 48 della Caritas in veritate Benedetto XVI sottolinea che la natura non va considerata più importante della stessa natura umana e che “questa posizione induce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo: dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, non può derivare la salvezza per l’uomo”. 12 Idem. 256 ANTONIO PANICO sta concezione distorta del rapporto con il creato i danni con i quali il mondo si sta confrontando in questi ultimi decenni. Tutto questo segna una sconfitta grave per l’umanità che si mostra incapace di conservare la bellezza di un mondo che corre il rischio di non essere più così attraente come invece meriterebbe di essere e persino di risultare come luogo inospitale ed inadatto per la vita degli uomini. Papa Francesco ricorda allora a tutti i cristiani che Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana13. Il dono del mondo che ci è stato messo a disposizione impegna ogni cristiano a profondere il massimo impegno perché siano in tanti ancora a goderne nel futuro. 3. La gratitudine La dinamica del dono ci richiama al dovere di gratitudine che abbiamo nei confronti di chi ci ha consegnato il regalo. Questa virtù però sembra latitare come ci dimostrano le Scritture che ne hanno denunciato l’assenza in più occasioni14. Un po’ tutti abbiamo potuto personalmente appurare in più circostanze nella nostra vita quanto sia triste constatare che nel momento stesso in cui ci prodighiamo per il nostro fratello che ci ha chiesto una mano oppure doniamo qualcosa a qualcuno, capita che questi dimentica chi per lui si è dato da fare. Il dolore provato da chi è dimenticato può essere attenuato quando si constata che di quel dono si sta facendo buon uso ma… per quanto attiene quello del pianeta, sembra proprio che il Creatore non possa fare a meno di intristirsi. Se è vero che “i cristiani sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste”15 non FRANCESCO, Laudato sì, già cit., n. 217 Tra i tanti testi: Os 2,10 e 13,6 (“si sono inorgogliti e mi hanno dimenticato”); Am 2,9-12 (“vi ho fatti uscire dal paese d’Egitto”); Lc 17,12 (il brano dei lebbrosi guariti). 15 Lettera a Diogneto, n. 6 13 14 PERCHÉ CUSTODIRE LA “CASA COMUNE” 257 possono permettersi di essere essi stessi i corruttori del dono ricevuto che, pur essendo destinato alla corruzione perché creato e non divino come il Creatore, andrebbe custodito. Nella sua infinita misericordia Dio perdona la nostra “distrazione” ma questa disattenzione nel medio-lungo periodo provoca l’oblio di ciò per cui Dio andrebbe ringraziato. L’assenza di memoria ci mette in condizione di usare del suo dono come se fosse da sempre solo nostro rendendoci dominatori, sfruttatori senza scrupoli di ciò che contiene. Ricordare che il mondo è un dono che Dio ha fatto all’uomo aiuta a ripristinare un ordine che sembra essersi smarrito. Gli uomini appaiono ormai incapaci di fermarsi a contemplare ciò che li circonda La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità… e questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente16. Fermarsi a riflettere, dedicarsi con attenzione al presente concentrandosi nell’ascolto attento dell’altro senza distrarsi pensando già a cosa faremo dopo è un atteggiamento che può favorire la piena consapevolezza del momento che ci è stato concesso di vivere. Francesco suggerisce un semplice espediente per recuperare la dimensione migliore del nostro essere nel mondo quando al n. 227 della Laudato sì scrive che Un’espressione di questo nostro atteggiamento è fermarsi a ringraziare Dio prima e dopo i pasti. Propongo ai credenti che riprendano questa preziosa abitudine e la vivano con profondità. Tale momento della benedizione, anche se molto breve, ci ricorda il nostro dipendere da Dio per la vita, fortifica il nostro senso di gratitudine per i doni della creazione, è riconoscente verso quelli che con il loro lavoro forniscono questi beni e rafforza la solidarietà con i più bisognosi. Proprio in questo anno giubilare dedicato alla misericordia possiamo provare a riprenderci cura del meraviglioso dono del creato. Sarà proprio la sua misericordia con la quale guarisce le ferite pro16 FRANCESCO, Laudato sì, già cit., n. 225. 258 ANTONIO PANICO vocate dalle nostre infedeltà a permetterci di guardare al futuro non con disperata rassegnazione. Il peggio può essere evitato perché non siamo soli nel tentativo di ripristinare condizioni accettabili dal momento che la sua grazia ci viene in soccorso. Se allo sforzo della bonifica della nostra interiorità17 si aggiungono gli sforzi concreti delle istituzioni a tutti i livelli (dal locale al globale) perché vengano poste in essere azioni concrete per custodire e curare il mondo malato allora il futuro non sarà necessariamente apocalittico. Il Papa ci invita a “camminare cantando” a vivere da protagonisti in una Chiesa in uscita in cui ciascuno di noi “consuma la suola delle scarpe” come ci ricorda il nostro Arcivescovo Santoro. L’auspicio è che davvero “le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza” (n. 244). G. MEIATTINI, Bonificare la cultura per (non dover) bonificare l’ambiente, in PAA. (a cura di), Ambiente, salute, lavoro. Un cammino possibile per il bene comune, Scorpione Editore, Taranto 2014, 19-29. 17 NICO LA PAROLA TRA VERITÀ E MISTIFICAZIONE NELLA LAUDATO SI’ Paola Casella* Nell’enciclica Laudato si’ papa Francesco mostra come nel creato tutto sia connesso1 ed evidenzia che l’equilibrio del “sistema” dipende dall’armonia delle relazioni: quella con il Creatore, con se stessi, con gli altri e con la natura. Sin dal principio le relazioni “viaggiano” su un binario privilegiato: la parola. Infatti, in Genesi 1,1-2,4 a l’autore sacerdotale2 apporta un fattore di novità rispetto alle religioni praticate fino ad allora: la creazione non è più un atto che scaturisce dalla lotta tra divinità3, ma dalla parola e dall’azione di Dio4, il quale “dà il nome ad ogni * Giornalista, è laureata in Scienze politiche e Scienze religiose. Insegna Religione cattolica ed è componente del direttivo della Commissione diocesana per la custodia del creato di Taranto. 1 Papa Francesco nell’enciclica riprende più volte questo concetto. Cf. FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato si’, 24 maggio 2015, nn. 20, 42, 70, 79, 89, 92, 120, 137, 138, 139, 140, 141, 142, 240. Non si tratta di una semplice ripetizione, ma è una caratteristica del metodo seguito che è quello da lui stesso definito “circolare”. Cf. D. FARES, “Povertà e fragilità del pianeta”, in La Civiltà Cattolica 13 (2015) 35. 2 Questa tradizione è denominata sacerdotale proprio perché è maturata nell’ambiente sacerdotale di Gerusalemme al tempo dell’esilio. Essa rappresenta il tentativo di attualizzare l’esperienza di fede ebraica per infondere speranza. Questi autori erano “attivi durante la fine dell’esilio caldeo (circa 588/587-539 a.C., sotto i regni neobabilonesi di Nebukadnezzar II, Amil-Marduk, Neriglissar, Labashi-Marduk e Nabonedo) e, soprattutto, durante la prima generazione del ritorno in patria degli esiliati (circa 538-522 a.C., sotto i regni achemenidi di Ciro II e Cambise II)”. F. GIUNTOLI (a cura di), Nuova versione della Bibbia dai testi antichi - Genesi 1-11 - Introduzione traduzione e commento, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, p. 74. 3 Un esempio su tutti sono i miti babilonesi. 4 Alla creazione per mezzo della parola, “Dio disse”, si affianca la creazione per mezzo dell’atto, “Dio fece” il firmamento, gli astri, gli animali e l’uomo. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 259-267 260 PAOLA CASELLA realtà creata, rivelandone così l’identità e dichiarandosene possessore”5. L’uomo, nella bipolarità sessuale, a differenza degli altri esseri viventi, non è creato “secondo la specie”, ma ad “immagine” e “somiglianza di Dio”6. Questo status ontologico evidenzia che “l’essenza e l’esistenza dell’uomo sono costitutivamente relazionate a Dio nel modo più profondo”7. Si tratta di una relazione fondante che si riflette “nella dimensione relazionale sociale della natura umana”8. Da questa pagina della Genesi emerge che gli esseri umani sono le uniche creature alle quali Dio parla9. L’umanità, dunque, essendo creata ad “immagine” e somiglianza” di Dio può entrare in relazione con Lui, essendo destinataria di un primato relazionale trasmissibile con la vita10 che non potrà mai perdersi. Ogni singolo uomo è chiamato all’esistenza da Dio come suo tu e non come un burattino di cui muove i fili. È questa, dunque, la questa ragione per la quale l’uomo ha una natura relazionale che si manifesta nella sua apertura alla trascendenza e alla socialità11. L’autore sacerdotale probabilmente integra la visione più spirituale della creazione con una tradizione antica, parallela a quella del secondo racconto della creazione (2,4b-25), in cui Dio fa il cielo, la terra, l’uomo e gli animali. Cf. Ibidem, 89. 5 A. PANICO - P. CASELLA, La vocazione dell’uomo alla custodia del creato. Fedeltà, tradimenti e misericordia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, 17-18. 6 Dietro queste espressioni si nascondono, in realtà, immagini, riferite alla somiglianza del re ad un Dio, frequentemente evocate nella letteratura accadica che possono essere rinvenute in alcune iscrizioni e lettere neoassire. Cf. F. GIUNTOLI, Nuova versione della Bibbia dai testi antichi, cit., 84. 7 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004³, n. 109. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, nn. 356 e 358. 8 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina Sociale della Chiesa, cit., n. 110. 9 Cf. L. MAZZINGHI, “‘Dominate la terra!’: la vocazione dell’uomo e il problema ecologico”, in Notiziario Ufficio Nazionale per i Problemi sociali e il Lavoro 2 (2008) 15. 10 Cf. M.P. SCANU, “L’uomo nel mondo creato da Dio”, in Parole, Spirito e Vita 45 (2002) 11-26 e PANICO A. - CASELLA P., La vocazione dell’uomo alla custodia del creato, cit., 21. 11 L’uomo “è aperto anche verso l’altro, gli altri uomini e il mondo, perché solo in quanto si comprende in riferimento ad un tu può dire io. Esce da sé, dalla conservazione egoistica della propria vita, per entrare in relazione di dialogo e di LA PAROLA TRA VERITÀ E MISTIFICAZIONE NELLA LAUDATO SI’ 261 Egli, sia consapevole o no, è costitutivamente in relazione con Dio, con se stesso e con ogni realtà creata: il proprio simile e la natura. Il rapporto con l’altro, e in particolare il dinamismo di reciprocità che anima la coppia umana, con il dono della fecondità, è immagine di Dio trinitario e mediazione a Dio. In Genesi 2,4b-25, opera dell’autore jahvista12, si parla del progetto divino, cercando di spiegare le ragioni dell’ambivalenza dell’esistenza umana. Dapprima (Gen 2,4b-25) si mostra il progetto di “pienezza di vita”13 che Dio ha sull’uomo e successivamente (Gen 3,1-24) la condizione “attuale” dell’umanità, lacerata dal male, dalla sofferenza e dalla morte. I due capitoli vanno letti come un unico racconto grazie al quale l’uomo può comprendere la sua identità più profonda, con la quale è chiamato a confrontarsi se davvero vuole capire le conflittualità caratteristiche di ogni esistenza umana. Come si evince dal racconto biblico, ciascuno è “da sempre” chiamato da Dio a vivere in maniera armoniosa il ventaglio delle relazioni, ma “da sempre” è anche capace di scegliere il contrario14. Infatti, il quadro idilliaco iniziale, in cui regna armonia e relazione, lentamente si stravolge, provocando profonde ferite. comunione con l’altro”. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina Sociale della Chiesa, cit., n. 130. 12 La tradizione jahvista è collocata intorno al IX secolo nel Regno di Giuda. È così chiamata perché Dio è designato JHWH (Signore), nome con il quale si è rivelato a Mosè, mentre nella più tarda tradizione elohista, messa per iscritto in Israele, è denominato Elohim (Dio). Cf. “Introduzione Pentateuco” in La Bibbia di Gerusalemme, 5. L’autore riflette sul perché della creazione e dell’esistenza dell’uomo, sul senso della vita umana, caratterizzata non solo dal bene, dall’amore, dalla pace, ma anche dal male, dall’odio, dalla violenza, dalla sofferenza e dalla morte. L’autore sacerdotale si interroga, invece, sul perché il popolo ebraico sia in esilio a Babilonia. Entrambe le fonti sono certe che Dio, creatore del mondo e liberatore di Israele dalla schiavitù egiziana, interverrà nuovamente e sempre. Questo modo di procedere è definito dagli studiosi “Eziologia metastorica”: è la conoscenza delle cause della storia attuale mediante la riflessione fatta alla luce della propria fede che indaga su ciò che sta al di là della storia e la definisce. Cf. G. CAPPELLETTO, In cammino con Israele. Introduzione all’Antico Testamento, vol. I, Messaggero, Padova 2002³, 109. 13 In lingua ebraica shalom. L’uomo realizza il progetto di “pienezza di vita” solo se riesce da stare in relazione armoniosa con il Creatore, se stesso, il prossimo e la natura. 14 Cf. G. CAPPELLETTO, In cammino con Israele, cit., 130. 262 PAOLA CASELLA Il lettore è accompagnato, attraverso il linguaggio del simbolo e del mito, a capire cosa è accaduto e cosa può accadere ancora. L’autore, per spiegare l’origine e la presenza del male, introduce la figura del serpente15, “la più astuta16 di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio”. Il serpente è astuto, cioè capace di offrire, attraverso la mistificazione17 della parola del Creatore, ragioni per vivere e per realizzare un progetto di “pienezza di vita” alternativo, indipendentemente da Dio. Il tentatore, inoltre, semina il dubbio sulla bontà di Dio: Egli ha posto il divieto perché sa che, qualora fosse violato, “si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio”, capaci cioè di stabilire da soli ciò che è bene e ciò che è male. La prima coppia umana, ingannata dalla parola del serpente, compie la sua scelta. L’infedeltà alla parola di Dio, al suo progetto, rompe tutte le relazioni18, fa scoprire all’uomo e alla donna di essere nudi19, fa “capire loro chi siano realmente: esseri soli, fragili, impauriti”20. L’autore sacro vuole evidenziare così che “in questa rottura originaria va ricercata la radice più profonda di tutti i mali che insidiano le relazioni sociali tra le persone umane, di tutte le situazioni 15 Nell’Antico oriente il serpente era simbolo di fecondità (Canaan), di regalità (Egitto), mentre nell’epopea di Ghilgamesh è il serpente a rubare all’eroe la pianta dell’immortalità. In Sapienza è identificato con l’avversario di Dio, il diavolo (Sap 2,23-24), perché per Israele rappresenta la tentazione di cedere alle lusinghe della religiosità dei popoli cananei. “Il Tentatore per eccellenza è, quindi, l’idolo. E il peccato è appunto il sostituire se stessi o un idolo al Dio vivente e creatore”. G. RAVASI, “‘In principio Dio creò il cielo e la terra…’”, in L. ANDREATTA (a cura di), Il creato santuario di Dio - Il pellegrinaggio tra ricerca, incontro, contemplazione e testimonianza, Piemme, Casale Monferrato 2002, 46. 16 Astuto in Ebraico arum. 17 Il serpente chiede alla donna se sia vero che Dio ha detto che non debbano mangiare di “alcun albero del giardino”, cf. Gen 3,1 con Gen 2,16-17. 18 La rottura della relazione con Dio determina la rottura del rapporto dell’uomo con se stesso, il prossimo ed anche con la terra che da giardino si trasforma in luogo ostile in cui crescono spine e cardi. 19 C’è nel testo un gioco di parole: il serpente è astuto (arum), l’umanità si accorge di essere nuda (arom). L’uomo e la donna, che pensavano di diventare saggi (arumin), si scoprono nudi (erummim). 20 PANICO A. - CASELLA P., La vocazione dell’uomo alla custodia del creato, cit., 34. LA PAROLA TRA VERITÀ E MISTIFICAZIONE NELLA LAUDATO SI’ 263 che nella vita economica e politica attentano alla dignità della persona, alla giustizia e alla solidarietà”21. Dalla fedeltà/infedeltà alla parola dipende, dunque, la riuscita della vita di ciascuno e di tutti poiché ogni realtà è connessa. Il Creatore non rinuncia al suo progetto per l’umanità, ma, rivelando la sua misericordia, è pronto a riattivare la relazione vitale, nonostante i continui tradimenti della creatura posta al vertice della sua opera. Dio, infatti, che molte volte e in diversi modi aveva parlato agli uomini per mezzo dei profeti, per mezzo del suo Figlio risana per sempre le relazioni spezzate22. La Rivelazione, iniziata dalla parola creatrice di Dio e continuata attraverso le Sacre Scritture, giunge a compimento in Gesù Cristo, Verbo incarnato, che si offre come mediatore perché gli uomini siano riammessi alla relazione vitale con il Padre. La sapienza biblica sottolinea, dunque, l’importanza fondamentale della parola sia nella creazione sia nella redenzione, evidenzia quanto essa sia decisiva per l’armonia di relazioni vive ed autentiche. Si tratta di una verità sperimentabile a tutt’oggi, nel vissuto quotidiano, a livello personale e in tutti gli ambiti della vita comunitaria: all’origine dei numerosi problemi che lacerano le famiglie e la società c’è sempre la rottura della relazione fondante con il Creatore, con il conseguente inaridimento di tutti gli altri rapporti. Lo sviluppo straordinario dei media amplifica e a volte influisce direttamente sulla dinamica relazionale, soprattutto nell’era della globalizzazione. Infatti, l’utilizzo che “le persone fanno dei mezzi di comunicazione sociale può conseguire effetti positivi o negativi”23. Lo si coglie oggi soprattutto a causa della grave crisi etica che ha colpito la società a livello mondiale, in cui i valori dominanti sono figli di un antropocentrismo deviato, del relativismo pratico, del paradigma tecnocratico e del consumismo generatore di quel modo di porsi rispetto al mondo definito da papa Francesco come 21 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della dottrina Sociale della Chiesa, cit., n. 27. 22 Cf. Eb 1,1-2. 23 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Etica nelle comunicazioni sociali, Paoline, Milano 2000, n. 1. 264 PAOLA CASELLA cultura dello scarto che “colpisce tanto gli esseri umani che le cose che si trasformano velocemente in spazzatura”24. Una visione della vita, questa, in cui si è perduta la dinamica relazionale io-tu, a vantaggio di un atteggiamento unidirezionale soggetto-oggetto. In questo quadro e nell’assoluta carenza di editori puri25, molto spesso i mezzi di comunicazione sociale diventano uno mero strumento di potere, in spregio della verità sostanziale dei fatti26, dell’etica e della deontologia. Da circa vent’anni, in Italia, più che in passato, la “verità” raccontata nei salotti televisivi, nei servizi dei tg e sulle pagine dei giornali non sempre è fedele alla descrizione oggettiva dei fatti27. Papa Francesco affronta questa questione in diversi passaggi della Laudato si’. Particolarmente significativo è il riferimento ai media che fa al n. 47, che si trova nel capitolo in cui descrive Quello che sta accadendo alla nostra casa comune e nel paragrafo in cui parla di Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale. Il pontefice, nell’illustrare gli effetti prodotti dalla rottura delle relazioni a partire dalla relazione fondante con il Creatore, sottolinea che le dinamiche dei media e del mondo digitale, quando divengono troppo invasivi, non favoriscono lo sviluppo della capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di amare con generosità. L’analisi poi si fa ancora più severa: “I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il rischio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione”. Il papa mette, dunque, in guardia da un pericolo attuale e concreto: generare rumore piuttosto che trasmettere informazioni e messaggi rappresenta il fallimento di ogni comunicatore ed un paradossale arretramento sul piano della civiltà. Francesco chiarisce, infatti, che la vera sapienza, che nasce dalla riflessione, dal dialogo e dall’incontro autentico tra le persone, non 24 FRANCESCO, Lettera enciclica Laudato si’, cit., n. 22. Coloro che operano nell’editoria senza porla a corredo di altre attività economiche. 26 Si veda in proposito l’articolo 2 della legge n. 69/1963 sui diritti ed i doveri dei giornalisti. 27 Interessante in proposito confrontare F. D’AGOSTINI, La verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati e Boringhieri, Torino 2010. 25 LA PAROLA TRA VERITÀ E MISTIFICAZIONE NELLA LAUDATO SI’ 265 si raggiunge attraverso una semplice accumulazione di dati, che ha il solo effetto di saturare e confondere, producendo “una specie di inquinamento mentale”. Come tutti i media, anche internet può essere usato in maniera positiva, attivando relazioni vitali, o negativa, generando estraneazione rispetto alla vita reale. … le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. Il pontefice constata che l’opprimente offerta dei nuovi strumenti di comunicazione si accompagna ad una crescente, profonda e malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali o a un dannoso isolamento. Francesco al n. 183, che si trova nel capitolo in cui indica Alcune linee di orientamento e di azione e nel paragrafo dedicato al Dialogo e trasparenza dei processi decisionali, dice che “c’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione28“. Entra qui in gioco il ruolo dell’informazione che rischia di essere manipolata29 o imbavagliata (cf. nn. 182 e 184). Tutto ciò non deve far pensare che la Chiesa guardi con sfiducia ai mezzi della comunicazione sociale. Essi rappresentano, infatti, 28 La cronaca mostra che spesso è proprio il riferimento a ciò che è permesso o meno dalla legislazione a favorire atteggiamenti farisaici che fanno chiudere gli occhi di fronte alla realtà. 29 Cf. anche n. 54 al primo capitolo Quello che sta accadendo alla nostra casa comune e n. 135 del capitolo terzo La radice umana della crisi ecologica. Un esempio di manipolazione dell’informazione ha visto come protagonista lo stesso papa Francesco. Il Quotidiano Nazionale ha pubblicato alle pagine 2 e 3 dell’edizione del 21 ottobre 2015 la notizia completamente falsa su un tumore benigno al cervello del pontefice, dedicandovi grande spazio anche in prima pagina, con un editoriale in cui ci si appellava persino ai doveri del giornalista. Immediata la smentita del direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Cf. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/ bollettino/pubblico/2015/10/21/0806/01811.html. 266 PAOLA CASELLA uno strumento straordinario da porre al servizio della missione di proclamare il Vangelo30. Si tratta, anzi, di restituire loro la funzione originaria. Nei capitoli quinto Alcune linee di orientamento e di azione e sesto Educazione e spiritualità ecologica a prevalere è l’ottimismo: il pontefice, infatti, operando in quell’ospedale da campo che è la Chiesa, propone una terapia per il mondo che è malato: il dialogo a tutti i livelli (cf. nn. 164-201). Per Francesco, infatti, è “sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro” (n. 208). I media, insieme alle altre agenzie educative (cf. n. 213), possono fare molto in questa direzione, per favorire la cultura della vita ed educare alla bellezza, a condizione di una conversione ecologica integrale che abbia riguardato in primo luogo loro stessi. Papa Francesco spiega chiaramente in che cosa consista la conversione ecologica integrale, sia per chi è cristiano sia per chi guarda con rispetto, da un’altra prospettiva, all’uomo di Nazaret: “Comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo” (n. 217). Uno sguardo superficiale alla realtà può portare a concludere che la situazione attuale sia particolarmente difficile perché non c’è verità (nichilismo) e allo stesso tempo tutto è vero (trivialismo)31. In realtà quanto accade oggi non è un fatto nuovo. Dei pericoli che corre la verità erano, infatti, consapevoli già i greci del V-IV secolo a.C., tanto che per combattere la degenerazione sofistica32 del di30 Cf. PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Etica nelle comunicazioni sociali, cit., 1. 31 È la tesi che la tradizione assegna a Protagora (490 a.C. - 420 a.C.), (cf. in particolare Platone, Teeteto, 17 I a-d). Il pensatore di Abdera riteneva l’uomo misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono. Ne consegue un relativismo conoscitivo e morale, in quanto non esiste una verità assoluta, ma ogni verità è relativa a chi giudica nell’ambito di una certa situazione. 32 Nel panorama socio-culturale dell’epoca nacquero i sofisti, coloro cioè che facevano professione di sapienza e la insegnavano dietro compenso. Le loro lezioni erano seguite da esponenti delle classi economiche più agiate che, attraverso la retorica, cioè l’arte della persuasione, aspiravano a conquistare il potere. I principali esponenti di questa corrente furono Protagora e Gorgia (483 a.C. - 375 a.C.), LA PAROLA TRA VERITÀ E MISTIFICAZIONE NELLA LAUDATO SI’ 267 battito pubblico fecero ricorso alla dialettica, cioè all’abilità argomentativa rivolta al giusto, al vero, al bene. Socrate lo comprese, probabilmente in forza dei semina Verbi, ed indicò agli uomini del suo tempo la via: si deve argomentare non per prevalere né per vanità o autopromozione33, ma bisogna porre la parola al servizio della verità. Oggi, meglio di allora, è possibile restituire dignità alla parola perché la verità34 ha assunto storicamente il volto di Gesù di Nazaret, Verbo incarnato. i loro discorsi non erano finalizzati al vero, ma al prevalere sull’avversario e, dunque, all’utile. Cf. N. ABBAGNANO - G. FORNERO, Itinerari di filosofia, vol. 1 A, Paravia, Pioltello (Mi), 2002, 94-106. 33 Cf. F. D’AGOSTINI, La verità avvelenata, cit., 14. 34 Cf. Gv 14,6. LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA Antonio Rubino* I Padri della Chiesa, fedeli al significato neotestamentario di liturgia1, esprimono, negli scritti e nelle omelie, una rilevante teologia liturgica. Essi intendono la liturgia, atto di culto, anche come norma di vita cristiana, e fanno trasparire chiaramente che lo stile liturgico deve sempre essere ispirato e illuminato dalla carità evangelica2. Il legame che i Padri affermano costantemente – scrive M. Pellegrino – fra la liturgia e la vita si può ravvisare particolarmente in due temi sui quali esse ritornano con frequenza: la preghiera che, mentre con le parole è espressione di fede e del sentimento religioso, deve tradursi coerentemente nelle opere: in tal modo, dice Agostino, si può attuare il precetto di pregare sempre; la celebrazione dell’Eucaristia, che è comunione non solo con Cristo che ci dona in cibo il suo corpo, ma anche con i fratelli, con i quali costituiamo l’unico corpo del Signore3. * Docente di Introduzione alla Teologia della Carità presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “R. Guardini” di Taranto. 1 Cf. Catechismo Chiesa Cattolica, 11 ottobre 1992, 1070. 2 Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sul Vangelo di Matteo, 50, 3-4: PG 59, 281282. Un importante contributo, che spiega come questa esigenza evangelica si sia consolidata nella prassi pastorale dei primi secoli della Chiesa, è dato da A. Von Harnack, che dedica un intero capitolo, il Vangelo dell’amore e della beneficenza, nella sua nota opera: cf. A. VON HARNACK, Missione e propagazione del Cristianesimo nei primi tre secoli, Edizioni Giordano, Cosenza 1986, rist. 2009, 109-152. 3 M. PELLEGRINO, Liturgia e Padri, in A. Di Berardino (diretto da), “Nuovo Dizionario Patristico e di antichità cristiane” Institutum Patristicum Augustinianum, Editrice Marietti, 2007, 2857-2858. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 269-283 270 ANTONIO RUBINO Per Papa Clemente Romano liturgia è un termine: Che si estende a inglobare tutta la vita comunitaria nella sua dimensione sociale: la lode liturgica a Dio non consiste perciò solamente nell’innalzare a Lui parole di lode, ma nel vivere concretamente ogni giorno la fede cristiana4. Egli, infatti, nella sua lunga Lettera5 alla comunità di Corinto, scritta verso la fine dell’anno 96, mette in evidenza che i vescovi e i presbiteri svolgono una liturgia che consiste non solo nella presidenza del culto, ma, anche, nella organizzazione della carità nella Chiesa locale. Scopo dell’educazione cristiana, pertanto, è formare il fedele, come uomo nuovo, a una fede adulta, che lo renda capace di testimoniare nel proprio ambiente la speranza cristiana da cui è animato come sollecita l’Apostolo Pietro: Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi6. Poiché “la gioia del Vangelo – afferma Papa Francesco – riempie il cuore e la vita intera di coloro che s’incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento”7. Leone Magno sollecita i suoi interlocutori, con vigore e con chiarezza disarmante, in un famoso Sermone nella Veglia pasquale, incalzandoli con queste parole ricche di afflato pastorale: Vi abbiamo suggerito di partecipare alla Croce di Cristo, perché la stessa vita dei credenti realizzi in sé il mistero della Pasqua, e così si onori con la solennità ciò che si divulga con la vita8. Agostino, con la stessa tenacia, è convinto, e non si stanca di ripeterlo, che la vera partecipazione alla liturgia è garantita esclusivamente dalla coerenza con la vita. Nel commento al salmo 102 afferma: 4 E. GALLICET, La lode liturgica a Dio nella Didaché e nella Lettera di Clemente romano, in “Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica”, Culto divino-Liturgia, 12, Edizioni Borla, Città di Castello 1996, 140. 5 Clemente Romano, Lettera ai Corinti, in “I padri Apostolici”, Collana di testi patristici, Città Nuova editrice, Roma 1976, 49-92. 6 1Pt 3,15. 7 FRANCESCO, Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 1. 8 LEONE MAGNO, Sermone LXXI, 1: PL 54, 385-387. LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 271 A che vale che la tua lingua canti l'inno di lode, se poi la tua vita emana il lezzo dell'empietà? Vivendo male hai indotto molte altre lingue a bestemmiare […]. Se dunque vuoi veramente benedire il Signore, devi eseguire la sua parola e compiere la sua volontà. Devi costruire sulla roccia, e non sulla sabbia. Ascoltare e non fare vuol dire costruire sulla sabbia; ascoltare e fare vuol dire costruire sulla roccia: non ascoltare e non fare equivale a non costruire nulla9. Per il Vescovo di Ippona la vera vita liturgica è essenzialmente sociale. Nessuno può viverla isolato, ne risulterebbe una deformazione, in quanto per sua propria natura essa esige un comportamento sociale, comunitario. Quest’aspetto sociale della liturgia non è un’aggiunta esteriore a se stessa, ma è insita nella natura stessa dei sacramenti, i cui riti celebrativi rilevano quest’aspetto sociale10. La stessa convinzione, circa lo stretto legame tra culto e vita, aveva sollecitato Origene, nel Contro Celso, a orientare i suoi ascoltatori a comprendere e a vivere la liturgia in piena coerenza con la fede cristiana: L’amore tributato al Figlio di Dio, consiste in una vita sana11. 1. Liturgia e attenzione ai bisogni materiali I Padri sembrano accogliere dall’Apostolo Paolo la testimonianza più bella della sollecitudine per i bisogni materiali, secondo quanto emerge dalla Lettera ai cristiani di Corinto, con la colletta per la Chiesa di Gerusalemme12. Essa esprime quello che lo stesso Apostolo aveva fatto notare ai Galati: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo”13. AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, 102, 28: PL 37, 1334-1335. Cf. A. NOCENT, Sant’Agostino e la Liturgia, in “Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica”, Culto divino-Liturgia, 12, Edizioni Borla, Città di Castello 1996, 276-292. Bisogna rilevare che non possediamo nessuna opera intera di Agostino che manifesti il suo parere sulla liturgia, tuttavia numerosi scritti sono disseminati di riflessioni sull’argomento ed hanno frequentemente come punto di partenza un intento pastorale o un’apertura spirituale. 11 ORIGENE, Contro Celso VIII, 10: PG 11, 1531. 12 Cf. 1Cor 16, 1-4 e 2Cor 8-9. 13 Gal 6, 2. 9 10 272 ANTONIO RUBINO La colletta, sollecitata ai Corinti, mette anche in risalto il problema del rapporto, nelle prime comunità cristiane, tra le risorse materiali e il Vangelo ma, ancora di più, essa è considerata un servizio liturgico14: Riguardo poi alla colletta in favore dei santi, fate anche voi come ho ordinato alle chiese della Galazia. Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi metta da parte ciò che è riuscito a risparmiare15. A quest’accorato appello l’Apostolo fa seguire un’esortazione: Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia16. È rilevante che la colletta, richiesta da san Paolo, è donata nel giorno del Signore17, la domenica del Signore18, il primo giorno della settimana19, quando in Cristo Gesù si rende a Dio l’azione di grazia (eucaristia), per sovvenire ai santi poveri di Gerusalemme: è liturgia “un servizio in favore dei santi”20; azione dell’intera comunità, che avveniva “ogni primo giorno della settimana”21, nella celebrazione Eucaristica22, dove i doni a Dio erano strettamente legati ai doni per i poveri e l’offerta a Dio si coniugava in condivisione. Benedetto XVI fa emergere, commentando questa iniziativa di Paolo, lo stretto rapporto tra liturgia e amore per i poveri: Amore per i poveri e liturgia divina vanno insieme, l’amore per i poveri è liturgia. I due orizzonti sono presenti in ogni liturgia celebrata e vissuta nella Chiesa, che per sua natura si oppone alla separazione tra il culto e la vita, tra la fede e le opere, tra la preghiera e la carità per i fratelli23. 2Cor 9, 12. 1Cor 16, 1-2. 16 2Cor 9, 7. 17 Ap 1, 10. 18 Didachè XIV, 1, [trad. it., in “I padri Apostolici”, Collana di testi patristici, Città Nuova editrice, Roma 1976, 28-39]. 19 At 20, 7. 20 2Cor 9, 1. 21 1Cor 16,2. 22 Cf. V. GROSSI, La colletta era parte integrante dell’Eucaristia? Testimonianze pre e postnicene. Teologia della solidarietà cristiana nei commenti patristici a 1Cor 16, 1-4; 2Cor 8-9, in “Analecta Nicolaiana” 1, Bari 2007, 39-52. 23 BENEDETTO XVI, Udienza Generale, 1 ottobre 2008. 14 15 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 273 La convinzione dello stretto legame tra Eucaristia e apertura ai bisogni del prossimo, attraverso la colletta, è evidente in alcune testimonianze della Chiesa prenicena. Infatti, una di esse, da non trascurare, la troviamo in Tertulliano nell’Apologetico, una vivace e vigorosa arringa in difesa dei cristiani, che spiega la destinazione di quanto raccolto nella colletta e di quello che mettevano in comune: Si attinge non per provvedere a banchetti, a bicchierate, a gozzoviglie spinte anche oltre il desiderio: ma per nutrire i poveri e seppellirli, per nutrire i fanciulli e le fanciulle rimasti privi dei genitori, anche i servitori vecchi e, del pari, i naufraghi e quelli che, condannati nelle miniere o nelle isole o nelle prigioni soltanto per appartenere alla setta di Dio, diventano pupilli della religione da loro confessata”24. 2. La Colletta nel giorno del Signore La Didaché non fa accenno alla colletta, ma pone l’Eucaristia, come l’atto di culto sacrificale dei cristiani nel giorno del Signore: Riuniti nel giorno del Signore, spezzate il pane e rendete grazie quando avete confessato i vostri peccati, perché sia puro il vostro sacrificio25. Sarà Giustino nell’Apologia prima a ritornare sugli elementi della celebrazione eucaristica26 unitamente alla colletta per i bisognosi. Essa fu scritta all’imperatore Antonino Pio e al Senato di Roma27, per informarli, in difesa dei cristiani, della celebrazione del pasto eucaristico nella mattina della Domenica. In essa ci ha lasciato lo schema della celebrazione che comprende, come parte costitutiva, la colletta. Giustino descrive, nel cap. LXV, di una celebrazione eucaristica connessa con il Battesimo, al culmine dell’iniziazione cristiana, e una, nel cap. LXVII, fatta ogni domenica, nel giorno del Sole28, lasciandoci un identico schema. La colletta si faceva al termine della TERTULLIANO, Apologetico 39, 6: PL 1, 533-534. Didachè, XIV, 1. 26 Cf. GIUSTINO, I Apologia LXV-LXVI: PG 6, 427-430. 27 Cf. Ibidem, I, 1: PG 6, 327-330. 28 Ibidem, LXVII, 3: PG 6, 430. 24 25 274 ANTONIO RUBINO celebrazione secondo le possibilità e il volere di ciascuno e, poi, era consegnata a chi presiedeva l’Eucaristia. Tale prassi la troviamo, quindi, ormai consolidata a Roma, secondo la notizia tramandata da Giustino, essa è inserita dopo la memoria della Cena del Signore e ne spiega la sua finalità: I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso colui che presiede. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno29. Attraverso questo elenco di bisogni e di assistenza economica, è possibile percepire qualcosa dell’intimo legame fra Eucaristia e giustizia, fra liturgia e vita, fra partecipazione liturgica e attenzione al sociale. È da considerare con interesse quest’aspetto umanitario30, che caratterizzò il cristianesimo dei primi secoli, all’interno dell’Impero romano, come aiuto non solo al civis romanus, ma a ogni uomo che si trovava in necessità. Esso non nasceva, come ci ricorda ancora oggi Papa Bergoglio nell’Evangelii Gaudium, da indrottinamento ideologico e, di conseguenza, non portava alla propaganda di un’ideologia religiosa tra le tante, ma partiva dall’annuncio del Vangelo di Dio che tocca l’uomo nel cuore della sua esistenza e lo evangelizza con la bellezza della liturgia, per condurlo alla necessità di una risposta gioiosa e a una completa apertura verso ogni tipo di bisogno del fratello. Perché questo si realizzi, è necessario che la liturgia sia cristiana, di Cristo. 3. Eucaristia e condivisione L’Apostolo Paolo, infatti, manifesta con forza singolare il legame intrinseco che deve esistere tra Eucaristia e condivisione31, e su Ibidem, LXVII, 6: PG 6, 430. Cf. W. KASPER, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della vita cristiana, Giornale di Teologia 361, Queriniana, Brescia 2012, 248. 31 Cf. E. BIANCHI, “L’Eucaristia come condivisione”, in Rivista Liturgica, 1 (2015), 19-28. 29 30 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 275 questo vigilava attentamente e interveniva. Nella prima Lettera ai Corinti32 esprime, a proposito, un severo giudizio verso chi aveva distorto il significato della cena del Signore, nell'episodio accaduto durante l’agape eucaristica, quando alcuni mangiavano troppo e altri niente: Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è un mangiare la cena del Signore33. Offesi da questo malcostume, presente nella chiesa di Corinto, sono i più poveri, ma in essi è offesa l’intera comunità che dev’essere solidale con tutti i suoi membri, anzi è offesa l’intera Chiesa, perché essa è presente in ciascuna comunità particolare che la rappresenta34: Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti, infatti, partecipiamo dell’unico pane35. Per Paolo è evidente il non senso del radunarsi, nel primo giorno dopo il sabato, se viene meno la fedeltà al gesto di Cristo, che era da celebrare come una comunità in cui tutti sono alla pari: Io ho ricevuto dal Signore quello che vi ho trasmesso36. La fedeltà alla generosa dedizione di Cristo, incarnatosi e fattosi povero per amore: “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”37, presente nello spezzare il pane della comunità, deve rispecchiarsi nella generosa carità di chi partecipa all’Eucaristia: “voi stessi date loro da mangiare”38; questo importante aspetto, se non viene tenuto presente, permette l’emergere delle più gravi fragilità umane e la liturgia, anche se celebrata, non è l’espressione evidente della memoria affidata alla Chiesa: 1Cor 11, 17-34. 1Cor 11, 20. 34 Cf. E. GALBIATI, L’Eucaristia nella Bibbia, Jaca Book, Milano 1968, 170. 35 1Cor 10, 17. 36 1Cor 11, 23. 37 2Cor 8, 9. 38 Mc 6, 37. 32 33 276 ANTONIO RUBINO Non avete forse le vostre case per mangiare e bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e fare arrossire chi non ha niente? Che debbo dirvi? Devo lodarvi? In questo non vi lodo!39 4. Corpo di Cristo e corpo ecclesiale Il rimprovero di Paolo ai cristiani di Corinto, che condividevano l’agape eucaristica, non è legato a un’eventuale indegnità morale o alla mancanza del riconoscimento della presenza reale, ma ha un significato ben diverso. Perché non sanno discernere – afferma E. Bianchi – il corpo ecclesiale come corpo di Cristo, non riconoscono il corpo di Cristo nei poveri, in chi non ha nulla eppure è convocato come gli altri alla cena del Signore. Li ammonisce perché si comportano come se non vedessero, non conoscessero questo legame indissolubile tra Cristo corpo eucaristico e Cristo corpo ecclesiale40. Lo stretto legame tra pane eucaristico, quale corpo di Cristo, e la Chiesa, s’intravvede già nella Didachè ai capp. IX e X: Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto divenne una cosa sola, così la Chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno, poiché tua è la gloria e la potenza per Gesù Cristo nei secoli41. Dopo esservi saziati ringraziate così: Ricordati Signore della tua Chiesa, liberala da ogni male, rendila perfetta nel tuo amore e santificata raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che a essa preparasti perché tua è la potenza e la gloria nei secoli42. Il collegamento, presente nella Didachè, tra la Chiesa e il ringraziamento per il pane e il vino, è portato a grande sviluppo teologico, in modo particolare, da Agostino. L’Eucaristia, corpo di Cristo nel segno del pane e del vino, per il vescovo d’Ippona, è, al tempo 1Cor 11, 22. E. BIANCHI, L’Eucaristia come condivisione, cit., 25. 41 Didachè, IX, 4. 42 Ibidem, X, 1.5. 39 40 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 277 stesso, anche la Chiesa-corpo che, unita al suo capo Cristo, forma il Cristo totale (Christus totus)43; Se dunque avrete in lui la vita, sarete con lui in una sola carne. Non è, infatti, che questo sacramento dia il corpo di Cristo per poi lasciarvene separati. E l'Apostolo ricorda che questo era già stato predetto nella santa Scrittura: I due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande, soggiunge, lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa. E in un altro passo, riguardo a questa medesima Eucarestia, dice: Uno solo è il pane, e noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo. Voi quindi cominciate a ricevere quel che già avete cominciato ad essere44. Agostino, anche nei brani del commento al vangelo di Giovanni, sviluppa la concezione del corpo eucaristico di Cristo a corpo della Chiesa: I fedeli dimostrano di conoscere il corpo di Cristo, se non trascurano di essere il corpo di Cristo. Diventino corpo di Cristo se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Dello Spirito di Cristo vive soltanto il corpo di Cristo […]. Ebbene, vuoi tu vivere dello Spirito di Cristo? Devi essere nel corpo di Cristo […]. Non disdegni d'appartenere alla compagine delle membra, non sia un membro infetto che si debba amputare, non sia un membro deforme di cui si debba arrossire. Sia bello, sia valido, sia sano, rimanga unito al corpo, viva di Dio per Iddio; sopporti ora la fatica in terra per regnare poi in cielo45. Con questo cibo e con questa bevanda vuol farci intendere l'unione sociale del suo corpo e delle sue membra, che è la santa Chiesa nei suoi santi predestinati e chiamati, giustificati e glorificati, e nei suoi fedeli46. La relazione tra il corpo di Cristo eucaristico e quello ecclesiale ha nel Chistus totus il suo fondamento; da esso nasce inevitabilmente l’attenzione ai poveri che collima con l’incarnazione del Verbo che ha assunto tutta l’umanità: non creando differenze discriminanti né di classi e neppure di persone, come quella dei poveri, ma li include in quello slancio di amore che l’ha portato libe43 Cf. V. GROSSI, L’Eucaristia in S. Agostino, in “Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica”, L’Eucaristia e i Padri della Chiesa, 20, Edizioni Borla, Città di Castello 1998, 261-270. 44 AGOSTINO, Sermones (= Ser), 228B, 4: MA 1, 20. 45 AGOSTINO, In Evangelium Ioannis Tractatus (= in Io Ev tr), 26, 12: PL 35, 1612. 46 Ibidem, 26, 15: PL 35, 1613-1614. 278 ANTONIO RUBINO ramente a donare la vita: “facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce”47, e chiedendo ai suoi discepoli di fare altrettanto, nell’offrire la propria vita, che unita al Suo sacrificio, “possa essere gradito a Dio, Padre onnipotente”48. Nella Traditio Apostolica, che contiene le descrizioni di usi liturgici con alcune formule di preghiera, la Liturgia rivela una grande importanza nella vita di ogni comunità cristiana e di ogni singolo fedele49. 5. Quale ricco si salva? Un’opera di Clemente di Alessandria, Quale ricco si salva?50, sviluppa, in una lunga o più omelie, il problema che animava la comunità cristiana di Alessandria circa la ricchezza in rapporto alle esigenze della morale evangelica e all’escatologia cristiana. Clemente, commentando, nel soggiorno alessandrino51 durato fino al 202, il brano evangelico del ricco52, probabilmente letto nella Liturgia, propone che i beni di consumo sono di chi ne ha bisogno e non di chi li possiede che ne è solo un custode. Egli si prefigge di sfumare, attraverso una corretta esegesi del brano di Marco, la tentazione dello smarrimento e dell’isolamento morale di alcuni ricchi cristiani53di Alessandria dinanzi alle radicali risposte date da Gesù Fil 2, 8. Messale Romano, Riformato a norma dei decreti del Concilio Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1983, Liturgia Eucaristica, 309. 49 Cf. I. SCICOLONE, La Liturgia nella “Tradizione apostolica” di Ippolito, in “Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica”, Culto divino-Liturgia, 12, Edizioni Borla, Città di Castello 1996, 152. 50 Uso la traduzione italiana del testo: Clemente di Alessandria, Quale ricco si salva? Il cristiano e l’economia, C. Nardi (a cura di), in V. Grossi (diretta da) Collana di testi e studi di Cultura cristiana antica, Edizioni Borla, Roma 1991. 51 Cf. M. RIZZI, La scuola alessandrina: da Clemente a Origene, in E. DAL COVOLO (a cura di), Storia della Teologia. Dalle origini a Bernardo di Chiaravalle, 1, EDB, Bologna 2015, 81-120. 52 Cf. Mc 10, 17-31. 53 Cf. CLEMENTE DI ALESSANDRIA, Quis dives salvetur (= Qds) 2, 4; 3, 1; 4, 1: PG 9, 603. 606. 607. 47 48 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 279 al ricco, indirizzandoli sulle vie della vita eterna54. L’Alessandrino, attraverso la presentazione di tratti eucaristici, guida, chi desidera attuare una conversione di vita nella carità, verso l’Eucaristia55 che definisce nutrimento: Io sono chi ti nutre, dandoti come pane me stesso, al cui assaggio nessuno più esperimenta la morte, e dando giorno per giorno una bevanda d’immortalità. Io sono maestro d’insegnamenti che trascendono i cieli. Per te ho lottato fino alla morte e ho riscattato la tua morte, di cui eri debitore per i precedenti peccati e per la mancanza di fede in Dio56. Quis dives salvetur57 è la prima opera di letteratura cristiana antica che porta, così palesemente, all’identificazione del povero con Cristo, com’è scritto nel Vangelo di Matteo: Ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare […]. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me58. Clemente, partendo da una prospettiva di fede, non spiritualizza il problema dell’ingiustizia insita nelle strutture economiche, ma ne fa scaturire scelte concrete. Alcune coordinate sono rilevanti e da evidenziare. Un primo elemento è legato al patrimonio che ciascuno è tentato di utilizzare solo per se stesso: se non si mette in comune con chi ha bisogno, è sostanzialmente ingiusto ma che da questa realtà ingiusta sia possibile anche compiere un’opera giusta e salutare: dare ristoro a qualcuno che ha la dimora eterna presso il Padre59. Clemente incoraggia, poi, il ricco a riflettere che non deve aspettare che il bisognoso bussi alla sua porta perché: Il Salvatore non ti ha dato l’ordine di farti pregare né di attendeCf. Ibidem, 1, 1-5: PG 9, 603. Cf. C. NARDI, L’Eucaristia in Clemente di Alessandria, in “Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica”, L’Eucaristia e i Padri della Chiesa, 20, Edizioni Borla, Città di Castello 1998, 102-135. 56 Qds, 23, 4: PG 9, 627. 57 Il titolo dell’opera di Clemente Alessandrino è tramandato da: EUSEBIO DI CESAREA, Storia Ecclesiastica III, 23, 5; VI, 13, 3; VI, 11, 1. 58 Mt 25, 35.40. 59 Qds, 31,6: PG 9, 635. 54 55 280 ANTONIO RUBINO re di essere importunato, ma di cercare tu stesso quelli a cui far del bene e che sono suoi degni discepoli60. L’impegno attivo di condivisione nasce, infatti, dalla consapevolezza che non è il povero ad aver: “avuto l’ordine di ricevere, bensì sei tu [il ricco] che hai avuto quello di dare”61. Questa generosità, richiesta dal Vangelo, non può fare discriminazioni62 tra poveri, “perché una generosità del genere è propria di Dio”63. Così, al contrario, chi si sente padrone dei propri beni, e li gestisce in modo non solidale, non può considerarsi cristiano. Anzi il ricco, secondo Clemente, che, fattosi cristiano, continua “a trattenere per sé e a nascondere i beni di questo mondo” e li nega agli altri: È omicida, è seme di Caino […] non ha la tenerezza di Dio, non ha la speranza di cose migliori; è sterile, non è un tralcio della vite sempre viva, è tagliato via e deve aspettarsi il fuoco incessante64. La sensibilità, espressa nell’opera di Clemente, permette di comprendere il grado di maturità al quale l’autore desiderava pervenissero i cristiani di Alessandria circa la comprensione della Liturgia legata al vissuto, in modo particolare nel giorno del Signore. 6. La pastorale della carità del Vescovo d’Ippona Agostino, nella Chiesa postnicena, apportò nuovi suggerimenti alle scelte concrete di vita cristiana, dandoci, nei suoi Scritti, la possibilità di conoscere più dettagliatamente la destinazione dei beni della comunità ecclesiale. La teologia di Agostino supera l’insegnamento che attribuisce al dovere morale e religioso dei ricchi di soccorrere i poveri, motivandolo con la convinzione che negli indigenti, di qualsiasi necessità abbiano bisogno, vive la stessa carne sofferente di Cristo che si riceve ogni volta che si mangia il pane dell’Eucaristia. Ibidem, 31, 7: PG 9, 635. Ibidem, 32, 5: PG 9, 638. 62 Cf. Lc 6,30. 63 Qds, 31, 9: PG 9, 635. 64 Ibidem, 37, 5: PG 9, 642. 60 61 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 281 Il Vescovo d’Ippona, nel tentativo di evitare scandali nelle vertenze d’interessi, rileva che i beni della Chiesa appartengono ai poveri65, i Vescovi ne sono gli amministratori; egli attuò la possibilità di aiuto per prostitute e combattenti nell’arena66, invitò a essere generosi e a dare alloggio ai fuggiaschi dopo il sacco di Roma: In quest’occasione dell'afflusso di molti forestieri, di poveri, di sofferenti, sia più generosa la vostra ospitalità, siano più numerose le vostre opere buone. I cristiani mettano in pratica i comandi di Cristo67. Egli scrisse lettere di protesta a favore dei coloni costretti a pagare due volte le tasse68. La liturgia non può ridursi a sola scienza, ma deve essere celebrata e vissuta nella consapevolezza che il suo vero fine è la caritas, perdendo questo fine è superflua e dannosa. Agostino con tale consapevolezza, verso l’anno 400, risponde al suo interlocutore, il laico Gennaro69, sulle restanti questioni che gli aveva presentato sui riti ecclesiastici, facendo chiaramente notare: Tu quindi, carissimo, leggi e impara queste cose ed altre simili ma sempre ricordandoti il verissimo detto che la scienza gonfia, la carità edifica. La carità invece non è gelosa né si gonfia d'orgoglio. Sèrviti dunque della scienza come d’una macchina per innalzare l'edificio della carità che rimane in eterno anche quando la scienza sarà distrutta. La scienza è molto utile se serve solo allo scopo della carità, mentre per sé stessa, priva di questo scopo, è provato che è non solo superflua ma pure dannosa70. L’apertura, sempre più larga verso i bisogni delle periferie del tempo di Agostino, esprime il significato che egli dava all’Eucaristia, come l’ha resa comprensibile, in modo particolare, nel suo commento al testo di Giovanni71: O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità! Chi Cf. AGOSTINO, Epistolae (= Ep), 83, 2: PL 33, 292. Cf. AGOSTINO, Ser. Lambot, 28: PL 40, 1227-1230. 67 Ser, 81,9: PL 38, 506. 68 Cf. Ep, 247: Pl 33, 1063. 69 Agostino scrisse due lettere a Gennaro, 54 e 55, che contengono preziose risposte al suo interlocutore sulle abitudini e i riti della Chiesa. 70 Cf. Ep, 55, 39: PL 33, 223. 71 Gv 6, 51: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. 65 66 282 ANTONIO RUBINO vuol vivere, ha dove vivere, ha donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato72. L’Eucaristia, per Agostino, dona la forza a chi la riceve per vivere la testimonianza della carità, fino al martirio. A questo proposito porta l’esempio del martire Lorenzo: Ora, in quella lenta morte, in quei tormenti, siccome aveva mangiato e bevuto al banchetto eucaristico, saziato di quel cibo e inebriato di quel calice, non sentì i tormenti. Era presente in lui chi ha detto: È lo Spirito che vivifica (Gv 6, 64). La carne ardeva, ma lo Spirito vivificava l'anima. Non venne meno, e così fece il suo ingresso nel Regno73. Il solido pensiero teologico di Agostino esprime chiaramente che, dalla pratica del culto, scaturisce la caritas che edifica la comunità nell’esperienza vissuta dei suoi membri. Il culto pubblico, collettivo, sacramentale della Chiesa, e quello privato, personale e interiore, sono forme che s’integrano e si compenetrano a vicenda. La caritas è il fine a cui tende la Liturgia nella sua pratica quotidiana74. 7. Conclusione Prestando attenzione all’orientamento pastorale comune degli scritti patristici, si comprende una delle caratteristiche più rilevanti della Liturgia dei primi secoli, cioè il suo stretto rapporto con la vita quotidiana: Le celebrazioni liturgiche di allora non si esaurivano nel culto, non costituivano solo un annuncio dei magnalia Dei, una commemorazione dei misteri di Gesù Cristo, l’adorazione e il ringraziamento dovuti alla Trinità, unico Dio, ma erano sollecitate anche da un impegno ascetico e spirituale. Anzitutto sbocciavano in una vita di fede, speranza e di amore. È proprio quest’orizzonte esistenziale della Liturgia paleocristiana che si apre al lettore delle opere patristiche, In Io Ev tr, 26, 13: PL 35, 1612. Ibidem, 27, 12: PL 35, 1621. 74 Cf. P.F. BEATRICE, Culto cristiano, in A. FITZGERARD (ed.), Agostino. Dizionario Enciclopedico, edizione italiana L. Alici e A. Pieretti (a cura di), Città Nuova, Roma 2007, 514-523. 72 73 LITURGIA E CARITÀ NEI PADRI DELLA CHIESA 283 che del resto sono in gran parte composte da omelie o almeno da brani di prediche, pronunciate in assemblee e liturgiche75. Un profondo recupero di questo insegnamento dei Padri permetterà, sempre di più anche a noi oggi76, di esprimere, con sano equilibrio, l’inscindibile rapporto tra celebrazione eucaristica e l’aprirsi sia al costante annuncio del Vangelo, che alla condivisione dei bisogni del prossimo, in quella consapevolezza espressa da Papa Bergoglio, che la Chiesa evangelizzatrice si evangelizza nella bellezza della Liturgia: “Tutto avvenga per l’edificazione della comunità”77. Da questo stile evangelico sarà, chiaramente, evidenziato in che modo appartenga, alla sostanza più profonda della celebrazione liturgica, l’esercizio della carità fraterna: Contro la globalizzazione dell’indifferenza e della mondanità spirituale che ricerca l’apparenza, la Liturgia può valere come controambiente capace di far passare dalla logica dell’elemosina alla logica della condivisione, dalla logica mercantile (nella quale il servizio religioso ha il suo prezzo) alla logica della gratuità78. 75 B. STUDER, Liturgia e Padri, in A.J. CHUPUNGCO (direzione di), Scientia Liturgica, “Manuale di Liturgia” I, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1998, 72-73. 76 Cf. E. GALAVOTTI, “Liturgia e povertà al Concilio Vaticano II”, in Rivista Liturgica, 1 (2015), 29-41. 77 1Cor 14, 26. 78 P. TOMATIS, “Liturgia e mondanità spirituale”, in Rivista Liturigca, 1 (2015), 54. VITA DELLA CHIESA GREGORIO DI NAREK Monaco Armeno, Doctor Ecclesiae Universalis La trasformazione del gemito del cuore in Teologia Filippo Urso* 1. Breve profilo biografico e opere San Gregorio di Narek, poeta, monaco, filosofo e teologo mistico, è una figura di rilievo della Chiesa armena di cui viene spesso detto “Padre” per l’influsso decisivo che ha esercitato sulla vita spirituale e poetica della nazione armena fino a oggi Sulla vita di San Gregorio di Narek non si posseggono molte notizie e quelle che si hanno non sono sempre storicamente verificate. Probabilmente nacque intorno al 950 ad Andzevatsik da Xosrov Andzevatsi, prolifico scrittore colto e di grande zelo e pietà, che dopo la morte della moglie, entrò nella vita religiosa e divenne di seguito Vescovo. Si conoscono dalla tradizione anche i nomi di due suoi fratelli, il più anziano Yovhannès e il più giovane Sahak, oltre a quello del suo maestro, Anania Narekatsi, cugino di sua madre e abate del monastero di Narek, che influenzò l’orientamento spirituale e culturale del giovane Gregorio. La famiglia di letterati favorì in Gregorio la sua formazione e lo sviluppo delle sue doti letterarie. Gregorio da giovanissimo entrò nel monastero di Narek (fondato nei primi anni del secolo X sulle rive sud-orientali del lago di * Docente stabile di Sacra Scrittura all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Romano Guardini” di Taranto, Consultore Pontificio della Congregazione per le cause dei Santi. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 287-296 288 FILIPPO URSO Van), dove vi era un celebre scuola di Sacra Scrittura e di Patristica. Lì vivevano centinaia di monaci, di cui molti anacoreti con appositi eremi, vasti cantieri di produzione artigianale, scriptoria ferventi di attività. Ordinato sacerdote, divenne abate del monastero e fu animato da un ardente amore per Cristo e la sua Madre Santissima, contraddistinguendosi come insigne teologo e come uno dei più importanti poeti della letteratura armena. In quel luogo di preghiera e studio raggiunse le vette della santità e dell’esperienza mistica, componendo varie opere teologiche e mistiche. Si caratterizzò anche per la difesa della fede cristiana dalla eresia della setta dei Thondrakiani, i quali avanzavano delle riserve sul potere ecclesiastico e sul complesso simbolico-sacramentale, come pure delle forti critiche verso le ingiustizie sociali. La fama di santità e di miracoli lo accompagnò lungo il corso della sua vita e perdura tuttora, così da essere ritenuto uomo di grande dottrina e di intensa spiritualità; inoltre, per la singolarità del suo pensiero e la profondità della sua dottrina dogmatica e mistica, è stato equiparato agli antichi Padri della Chiesa. Probabilmente morì il 27 febbraio del 1005/06 e venne sepolto nella chiesa del monastero dedicata alla santa Sanducht, figlia del re Sanatruk e prima martire armena nel I secolo, sacrificata per la fede su ordine di suo padre. Da subito la sua tomba divenne subito meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli armeni, anche dopo la conquista dell’Armenia da parte dei turchi nel 1071. In seguito alle deportazioni e ai massacri degli anni 1915-1916 furono distrutti sia il monastero, sia la sua tomba. La chiesa Armena lo festeggia il 27 febbraio e il Martyrologium Romanum lo annovera come grande mistico e come “doctor Armenorum”. La sua produzione letteraria non è abbondante; tra i suoi scritti, uno dei maggiori capolavori della poesia e della mistica di tutti i tempi, è il Libro della Lamentazione (Matean Olbergut’ean), designato semplicemente come il Narek, tuttora collocato, dalle persone pie, sotto il guanciale, per invocare le benedizioni di Dio per cacciare le forze del male e declamato al capezzale dei malati per il suo potere taumaturgico. Sono stati conservati altresì alcuni panegirici: - Nerbol i Surbn Yakob, [Panegirico a San Giacomo]; GREGORIO DI NAREK 289 - Patmut’iwn Aparanic’ Xac `i, [Storia della Croce di Aparankh], composta nel 983 su richiesta di Stephanos, vescovo di Mokkh; - Nerbol Srboy Xac `in, [Panegirico della Santa Croce]; - Nerbol Srboy Astuacacnin, [Panegirico della Santa Deipara], noto pure sotto il nome di Gumark’ Xmbic’ [Le schiere dei cori]; - Nerbol Srboc’ Arak’eloc’, [Panegirico dei Santi Apostoli]; - Vari Ganj [letteralmente Tesoro], di genere poetico-liturgico, dei quali San Gregorio è forse l’ideatore. Questi sono in numero di tre, rispettivamente sull’“Avvento dello Spirito Santo” (I Galust Surb Hogwoyn), sulla “Santa Chiesa” (I Surb Ekelec’i), sulla “Santa Croce a Dio accetta” (I Surb Xac `n astuacónkal), secondo l’editio princeps degli Opera omnia del 1840 dei PP. Mechitaristi di Venezia. Invece, l’edizione critica del 1981 di Erevan delle Odi e dei Ganj, ne propone dieci come genuini e uno come di attribuzione dubbia. - Talk’ (Odi): in numero di diciassette nella editio princeps del 1840, e di ventuno date come genuine più sei considerate dubbie nell’edizione critica del 1981. Le odi più belle e più celebri sono quelle sulla Risurrezione, sulla Natività, sulla Trasfigurazione, sulla Deipara. Tradizionalmente è attribuito a Narekatsi, come già accennato, un commento al Cantico dei Cantici, il cui autore è un omonimo sacerdote, forse uxorato, del villaggio di Narek, quasi contemporaneo del grande mistico, ma che reca senz’altro l’impronta della teologia della celebre scuola di Narek, di cui San Gregoirio fu il rappresentante più geniale ed emblematico. Nel celebre Girk’ Tlt’oc’ (Libro delle Lettere), raccolta di documenti dogmatici e teologici della Chiesa Armena, vi è una letteratrattato del nostro all’abate di Kedchav sui misteri della Chiesa e contro l’eresia dei Thondrakiani. Non è certa la paternità di alcuni scritti come un commentario al libro di Giobbe, un “Discorso per consigliare sulla fede retta e sulla pura condotta delle virtù”, un’omelia sull’esame di coscienza, un canone di preghiere, un discorso di consolazione per i defunti e infine un commentario sul Padre Nostro. 290 FILIPPO URSO 2. L’originalità, l’universalità e l’“eminens doctrina” di Gregorio di Narek San Gregorio di Narek fu canonizzato e introdotto nel calendario liturgico festivo (Tonatsuyts) non più tardi del XII sec. Comunque, sin dalla sua morte fino al XIII sec. vi sono allusioni e citazioni di San Gregorio in autori appartenenti a un’aera geografica intorno all’Armenia. A cavallo tra il XIV e XV sec. il poeta Yovhannès Telkurantsi, scrisse una versione rimata della vita del Santo. Ma è dopo la II guerra mondiale, nella diaspora del popolo armeno in tutto il mondo, che la dottrina biblica, teologica e mistica di Gregorio di Narek, ha goduto e gode di grande popolarità nella religiosità e spiritualità del popolo armeno. In San Gregorio la teologia monastica della lirica del cuore non si distinsea dalla teologia argomentata razionalmente: infatti, pur non esistendo ancora la differenziazione medievale della teologia quale scienza universitaria distinta da quella monastica, emerge spesso nel Nakerasti un pensiero teologico formale: saint Grégoire n’était pas enclin à des exposés systématique. Il jugeait sans doute que le arguments de la raison n’ont pas, à eux seuls, le pouvoir de convertir le cœur. Mais il n’en reste pas moins vrai que son enseignement, si poétique qu’il soit, repose sur un usage précis et sur une analyse rigoureuse du langage de la foi, c’est-à-dire en fin de compte sur des conceptions dogmatiques fortement structurées1 (239). Per la conoscenza della teologia del Narek risulta determinante il ruolo spirituale e religioso assunto dal Narek, libro prediletto per la diaspora armena, così come si evince dalle affermazioni di Mons. Nareg Alemezian, vescovo di Antélias in Libano: Le Narek est devenu parmi nous un livre de chevet, tout empreint de l’action prodigieuse de son auteur [...]. Le Narek devint aussi mon livre à moi depuis le jour où je le découvris, près de la Bible de ma grand-mère paternelle qui vivait avec nous. Je vis alors de quelle sainteté sa lecture quotidienne imprégnait notre foyer. Mon intimité avec le Narek s’approfondit encore pendant mes études au 1 CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM, Gregori De Narek, Positio Super Ecclesiae Doctoratu, Roma 2014, 239. GREGORIO DI NAREK 291 séminaire d’Antélias. Il devint mon livre de chevet durant les quarante jours de retraite qui suivirent mon ordination monastique: j’y acquis une intimité de prière et de méditation avec le Saint2. Alla stregua di alcuni Padri della Chiesa, l’opera di San Gregorio di Narek presenta contenuti religiosi e culturali che spaziano dalla poesia alla miniatura, fino alla musica, all’agiografia, alla liturgia e al folkore. In questi termini si pronunzia il Prof. Prof. JeanPierre Mahé: La profondeur des idées théologiques du saint, la nouveauté de sa pensée et la vigueur de son verbe poétique lui valurent une popularité croissante. De plus en plus, ori le compara aux Pères de l’Eglise, comme Jean Chrysostome, Ephrem le Syrien ou Grégoire l’Illuminateur. Son oeuvre pénétra peu à peu tous les champs de la vie religieuse et de la culture: la poésie, la miniature, la musique, l’hagiographie, la liturgie et le folklore3. Cronologicamente San Gregorio di Narek si presenta anzitutto come a) difensore e teologo dell’efficacia soprannaturale dei sacramenti. L’occasione per riaffermare l’efficacia salvifica dei sacramenti e il ruolo sacramentale di trasmissione e di mediazione della Chiesa, gli è data dalle eresie dottrinali dei Thondrakiani, i quali pretendevano di essere conformi alla Chiesa primitiva, rinnegando gerarchia, sacramenti, chiesa e liturgia. Gli unici precetti per essi erano la carità e l’amore fraterno. b) Da un punto di vista dogmatico un posto di primo piano riguarda la riflessione sulla Trinità. Nel Libro delle Lamentazioni sostiene che esiste un riflesso della Trinità nell’anima umana e soprattutto pone un’analogia tra Dio Uno e Trino e le tre virtù teologali che si implicano reciprocamente: La foi, écrit-il, est glorifiée au nom de la Sainte Trinité, / Elle siège au rang de l’amour et de l’espérance. / En effet, ces trois êtres existent séparément, / Mais si on les contemple Gomme la même unité mystérieuse, / On sera d’autant plus exalté jusqu’à Dieu. / 2 3 Ibidem, XIV. Ibidem, 63. 292 FILIPPO URSO Car, si l’on croit en Lui et si on 1’aime, / Par là même on espère aussi en ses dons invisibles4. Inoltre, il mistero della Trinità si intuisce quando si considera il Verbo incarnato, entrando così nell’intimità trinitaria di Colui che è nato dal Padre prima di tutti i secoli. Riguardo alla relazione che distingue lo Spirito Santo dalle altre due Persone egli la interpreta in modo differente dalla tradizione latina che invece si basa sul Filioque e si pone nella prospettiva dell’azione della Trinità nell’Incarnazione5. Fedele poi alla tradizione armena intuisce lo Spirito Santo come esperienza esistenziale nel credente illuminato nella sua coscienza. Sono le Tre persone della Trinità che hanno dato vita al creato; e a questo mistero della creazione e all’azione dello Spirito Santo San Gregorio collega il mistero battesimale: Il battesimo riapre… attraverso le acque visibili – le acque santificate per la discesa in esse del Figlio di Dio –, il grembo dello Spirito per farne scaturire la nuova creazione. Il fonte delle acque battesimali è esso pure un grembo ove rinasce l’umanità nuova, ma è un grembo simbolo dell’invisibile Spirito, il vero e primario fonte della rigenerazione6. Si può notare come nella teologia mistica del Narekasti si esplicita la teologia arcaica dell’indole femminile dello Spirito Santo7. c) Nella trattazione sulla Panaghia, la “Tutta Santa”, San Gregorio non cessa di esaltare i titoli di “Madre del Signore” e “Madre di Dio”: “Ella è l’’ancella di Dio’, ma in quanto Madre di Dio è ‘al di sopra di tutto ciò che non è Dio’”8. Sottolineandone l’assoluta purezza, come Colei che è uscita intatta dalle mani del Creatore, presuppone in Maria i grandi privilegi legati alla sua missione della maternità divina, come la Concezione Immacolata e l’Assunzione, e comunque “1’assoluta invulnerabilità della Santa Deipara nei confronti del peccato”9. Della Panaghia sottolinea anche il suo ruolo 4 Ibidem, 239. Cf. Ibidem, 242. 6 Ibidem, 292-293. 7 Cf. Ibidem, 293. 8 Ibidem, 212. 9 Ibidem, XV-XVI. 5 GREGORIO DI NAREK 293 di mediatrice, di “ponte tra Dio e l’uomo”, in quanto dispensatrice e ministra del grande mistero della grazia della salvezza10. Infine, il rivolgersi alla Vergine è per il Nakerasti, afflitto dal tormento in questo mondo burrascoso, la consolazione e il conforto più potente11. d) L’Incarnazione del Verbo, vero uomo e Dio è ampiamente trattata e la divinità e generazione ab aeterno è alla base della Cristologia del Nakerasti. È da precisare che la sua è una Cristologia “pre-calcedoniana” (e non “anti-calcedoniana”): La christologie de saint Grégoire de Narek n’est donc pas antichalcédonienne mais pré- chalcédonienne. Bien que la theologia se situe à un autre niveau ontologique que l’oikonomia, on affirme sans équivoque que le même est Dieu et le même est homme, le même est glorifié éternellement et le même a souffert dans la chair. C’est très précisément lorsqu’il médite sur la Passion et l’agonie du Christ que Grégoire trouve ses accents les plus poignants. Il faut reconnaître aussi que si la science dogmatique doit discerner, diviser et distinguer d’une façon telle qu’inévitablement dans son langage le “deux” dominera, le mystique en prière d’union avec son Seigneur visera tout naturellement un langage où l’“un” règne. Cependant la foi en l’Incarnation est inséparable de la reconnaissance du rôle de la Mère de Dieu. On perçoit d’emblée la ferveur mariale exceptionnelle de saint Grégoire. La légende veut que Notre Dame lui soit apparue sur l’îlot d’Arter dans le lac de Van, lui présentant l’enfant Jésus qu’elle tenait dans ses bras. A deux reprises Grégoire lui-même, d’habitude si réservé sur sa personne, fait allusion à une vision du Christ12. e) L’ecclesiologia di San Gregorio vede la Chiesa come popolo dei credenti, la Sposa di Cristo, l’Arca del Signore, madre di tutti i credenti, che unisce i fedeli cristiani agli angeli e i cui aspetti di carattere nazionale devono confluire nella Chiesa universale. f) Riguardo ai Sacramenti, insiste soprattutto su quelli dell’iniziazione cristiana, in particolare il battesimo, che rende l’uomo una nuova creatura tramite la funzione mediatrice della Chiesa, la confermazione con l’unzione del sacro crisma, che rafforza 10 Ibidem, 214. Cf. Ibidem, 212. 12 Ibidem, 339-340. 11 294 FILIPPO URSO l’inabitazione della Trinità nell’anima del cristiano, e infine il sacramento della penitenza, a partire dal penthos, la katanyxis, cioè il pianto sulla salvezza perduta, memoria di una salvezza donata e tradita13. San Gregorio si sente partecipe del peccato del mondo e ne assume la piena responsabilità e per esso invoca il divino perdono14. g) La mistica in San Gregorio non è un’esperienza di pure dimensioni umane, di pura elevazione naturale dello spirito per quanto sublime possa essere, ma è un’esperienza tale che è tocco del divino, frutto di una ispirazione, di un’illuminazione superiori alla portata dell’uomo… è il nucleo più intimo, la dimensione più profonda e misteriosa dell’atto di fede, cioè di quell’accoglienza di assoluta fiducia, di totale abbandono con cui l’uomo si apre alla manifestazione, alla parola, alla penetrazione di Dio nella sua vita, nella sua più arcana interiorità e da essi si lascia coinvolgere senza riserve… fino all’unione trasformante e beata15. Da quanto finora detto emergono alcuni tratti di notevole interesse e meravigliosa originalità dell’esperienza mistica narekiana: 1. il senso di orrore, nausea e nefandezza del peccato; 2. il senso della trascendenza di Dio da cui la ripulsione totale del peccato e la considerazione della misericordia onnipotente di Dio, quale fondamento della speranza della salvezza; 3. il senso della precarietà dell’essere e del limite umano di fronte a Dio; 4. la percezione della radicale inadeguatezza, anzi della inanità, della parola umana, incapace di dire, esprimere e di esprimersi; 5. la percezione della vacuità e dell’impotenza della parola umana da una parte e della pienezza e onnipotenza redentrice della Parola divina dall’altra; 6. lo sviluppo di una “mistica dell’abisso”, dove all’apofasis si sostituisce l’afasia, cioè l’incapacità del dire, che riassume la problematica della dialettica salvifica tra “parola” e “Parola”. 13 Cf. Ibidem, 167. Ibidem, 179. 15 Ibidem, 279-280. 14 GREGORIO DI NAREK 295 Nella mistica narekiana Cristo non si manifesta all’anima nella sua funzione sponsale che prima la purifica e poi l’unisce a sé (cf. S. Teresa D’Avila, San Giovanni della Croce), ma – pur non essendo assente la tipologia sponsale (cf. Parola XII) – si manifesta all’anima soprattutto nella sua funzione del Logos-Redentore che la salva dal naufragio esistenziale: “possiamo qualificare tale tipologia come una mistica ‘ontologica’”16. 3. Conclusioni “Ci troviamo – afferma Boghos Levon Zekiyan – veramente di fronte ad un Maestro eccezionale il cui acume e grandezza non erano sfuggiti già ai suoi contemporanei e per più di un millennio a chi lo visitò assiduamente: il suo popolo, il popolo armeno che ne è stato certamente il maggior testimone e interprete sia della santità, sia della sublime poesia, mistica e dottrina”17. San Gregorio di Narek si presenta come un uomo di Dio, accompagnato da una fama di santità e di miracoli durante la vita e dopo la morte. Si distinse in primo luogo per la perfetta ortodossia della fede e il rispetto delle tradizioni della sua chiesa nazionale, aderendo alla cristologia del Concilio ecumenico di Efeso (431) su Gesù Cristo Signore, Figlio di Dio, Unigenito, perfetto Dio e perfetto uomo. Ai suoi occhi, la teologia fu più l’arte di parlare a Dio piuttosto che parlare di Dio. Arshak Chobanian, critico, letterato e pensatore moderno, in un suo saggio dedicato a San Gregorio di Narek, esaltando l’ardore di vita mistica stillante dalla sua penna, scriveva agli inizi del XX secolo: “Narekatsi ha visto Dio”18. La sua eredità dottrinale è segnata da una profonda originalità e universalità per il suo impatto sulla Chiesa di tutti i paesi e di tutti i tempi. 16 Ibidem, 282. Ibidem, 352. 18 Ibidem, 215. 17 296 FILIPPO URSO Materiale Bibliografico GRÉGOIRE DE NAREK, Commentaire sur le Cantique des Cantiques. Introduction, traduction et notes par Lévon Pétrossian = Orientalia Christiana Analecta 285 (Roma, Pontificio Istituto Orientale 2010); GREGOIRE DE NAREK, Paroles à Dieu, I-II. Introduction, traduction et notes par Annie et Jean-Pierre Mahé (Louvain, Peeters 2007); Saint Grégoire de Nera et la liturgie de l’Eglise. Colloque international organisé par le Patriarcat Arménien Catholique à l’Université SaintEsprit de Kaslik (USEK), Liban. Actes publiés par Jean-Pierre Mahé, Paul Rouhana, Boghos Levon Zekiyan (Kaslik, Université Saint-Esprìt 2010), in Revue Théologigue de Kaslilc 3-4 (2009-2010). LA MISERICORDIA: IL VERO VOLTO DELL’UMANESIMO CRISTIANO Francesco Nigro* Introduzione Ogni qualvolta pensiamo alla “misericordia” emerge un mondo molto ricco e complesso di atteggiamenti e pratiche legate alle opere di misericordia, al perdono, all’amore per i più disagiati. Nel noto discorso inaugurale del concilio san Giovanni XXIII affermava “ora la sposa di Cristo preferisce far uso della medicina della misericordia piuttosto che della severità”1. Tutto questo rappresenta il cuore della rivelazione biblica. San Tommaso d’Aquino affermava che “fra tutte le virtù che riguardano il prossimo la prima è la misericordia, e il suo atto è il più eccellente”2. Questo breve studio mira a cogliere in maniera sintetica la concezione teologica della misericordia e quali atteggiamenti ne derivano per ogni credente. Tre sono i passaggi: cosa è la misericordia, cosa dice a noi credenti e cosa ci chiede di fare operativamente. * Docente stabile di teologia sacramentaria presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “R. Guardini” (TA), Docente incaricato di teologia sacramentaria presso la Facoltà Teologica Pugliese - ITRA (Molfetta- BA). 1 GIOVANNI XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, 11.10.1962: EV 1/57*. 2 S. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 30 a. 4. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 297-306 298 FRANCESCO NIGRO 1. La misericordia: un concetto dinamico “Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (Salmo 144). Forse queste potrebbero essere le parole più significative con cui introdurci nel tema della Misericordia, con un salmo che rivela l’identità stessa di Dio riprendendo la sua rivelazione fatta a Mose in Esodo (34,6)3. La misericordia, infatti, non è semplicemente un “modo di essere di Dio”; ma è il nome stesso di Dio, il predicato verbale del suo essere Dio, cioè l’essere di Dio in relazione con il mondo, il creato, quindi con noi. Si può dire che la misericordia è il modo attraverso il quale Dio fa fiorire l’umano in noi, rendendoci pienamente persona a sua immagine e somiglianza. Pertanto la misericordia prima di essere intesa in senso etico-pratico (cosa devo fare), va colta nella sua dimensione teologica e teologale, esprimendo l’essere di Dio ed il nostro essere in comunione con Lui, secondo la sua opera creatrice e redentrice. La tradizione biblica esprime la misericordia con il termine raµmîm da reµem (in ebraico) splagkna (in greco), grembo materno, viscere umane, indicando la solidarietà e prossimità di Dio con l’umanità, la sua tenacia a lottare contro il male presente nel cuore umano e nel mondo, la sua generosa attenzione per noi che si esprime con i tratti della tenerezza di una madre, la premura verso ogni genere di sofferenza disumanizzante (povero, orfano, vedova, peccatore, schiavo,…), andando al di là della infedeltà umana4. Si può pertanto affermare che la misericordia è la giustizia specifica di Dio. Dio è capace di amare andando oltre la giustizia5. Afferma 3 Come nella rivelazione di Dio a Mosè, dopo la vicenda del vitello d’oro, scende con la sua gloria nella nube, avvolge Mosè e gli grida “YHWH è un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore (µesedh) e di fedeltà (µmeth) (Es 34,6). 4 Cf. KÖSTER, σπλάγχνον, in Grande Lessico del Nuovo Testamento 12, Paideia, Brescia 1979, 903-934. 5 Cf. W. KASPER, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita cristiana, gdt 361, Queriniana, Brescia 2013, 72: “Il fatto che Dio onnipotente e santo si occupi della misera situazione in cui l’uomo si è colpevolmente cacciato, LA MISERICORDIA: IL VERO VOLTO DELL’UMANESIMO CRISTIANO 299 il papa: “Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia”6. Un amore che è espresso dalla Croce. La misericordia va abbinata così alla giustizia, alla verità quindi, ma anche al cuore (leb, cardia), che indica il centro esistenziale dell’uomo e la sede dei suoi sentimenti e del giudizio, spingendoci oltre una semplice logica della attestazione della colpa e della punizione perché il Suo amore è più grande del nostro peccato7. 2. Cosa la misericordia chiede a noi credenti Il giubileo che ci accingiamo a vivere è sì dedicato alla misericordia, ma ogni giubileo è misericordia – si può dire che i due termini sono una tautologia, dicono la stessa cosa, come insegna Gesù inaugurando il suo ministero in Lc 4, 18-198 – ma anche la missione dei discepoli del Signore è sempre un giubileo, un annuncio del vangelo della misericordia (cuore stesso della rivelazione) per aiutare a riconoscere nella vita di ogni uomo la presenza di Dio che salva tutti. Il papa ci ricorda che: La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là che veda la miseria di un uomo povero e miserabile, che presti orecchio al suo lamento, che si chini e si abbassi, che scenda fino all’uomo immerso nella sua miseria e si prenda incessantemente cura di lui nonostante l’infedeltà umana, che lo perdoni anche se meriterebbe una giusta punizione e gli concede una nuova possibilità, tutto questo supera il pensiero e la capacità umana di comprendere”. 6 PAPA FRANCESCO, Misericordiae Vultus , 21. 7 Gesù vive l’indignazione per la durezza di cuore dei suoi connazionali (Mc 3,5), e la compassione profonda per le vicende umane, come per la vedova di Naim (Lc 7,13) o per Lazzaro morto (Gv 11,38). Cf. W. KASPER, Misericordia, 70-71. 8 Citando Is 61,1-2: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi e a proclamare l’anno di grazia del Signore”. 300 FRANCESCO NIGRO deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia9. Per essere “oasi di misericordia” Gesù ci offre delle coordinate: far fiorire l’umano che è in noi, imparando da lui che è “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). Il miglior commento a questo testo lo ritroviamo nelle parole che papa Francesco ha pronunciato a Firenze alla Chiesa italiana, indicandoci tre atteggiamenti evangelici per far fiorire l’umanesimo cristiano ed essere icona e fontana di Misericordia: l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine. L’umiltà di Gesù è il volto di un Dio svuotato, servo fino alla morte di croce che perdona i suoi uccisori, sguardo semplice che non giudica, non superbo, non ossessionato dalla propria dignità e dalla gloria10, capace di essere con il cuore vicino ai miseri (miseri-cordia), perché si scopre tale, solidarizzando con l’umanità (cf. Eb 2,17). Un secondo atteggiamento è il disinteresse, ossia la ricerca dell’interesse altrui (cf. Fil 2,4), espressione di un’umanità in uscita, non narcisista ed autoreferenziale, rinchiusa nelle strutture e nel legalismo11. La misericordia è un impegno a lottare per un mondo più umano e più vivibile, scegliendo di essere chiesa povera e quindi capace di vivere la povertà. Da ultimo il papa invita a vivere lo spirito delle beatitudini, secondo una gioia che apre all’eternità di Dio, proprio di “chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care, e anche quella delle proprie miserie, tuttavia, vissute con fidu9 PAPA FRANCESCO, Misericordiae Vultus , 12. https: //w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/november/ documents/papa-francesco_20151110_firenze-convegno-chiesa-italiana.html «L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio e questa non coincide con la nostra». 11 “Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di ‘rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli (EG 49)’”. 10 LA MISERICORDIA: IL VERO VOLTO DELL’UMANESIMO CRISTIANO 301 cia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre”. Questo cammino di misericordia chiede a noi rinuncia, ascolto di Dio e del prossimo e apprendimento continuo. Umiltà, disinteresse e beatitudine sono gli atteggiamenti specifici che Gesù ci insegna a vivere sempre, facendo della nostra vita un’opera di misericordia. 3. Cosa possiamo fare C’è il rischio di vivere l’anno della misericordia come un tempo ricco di opere caritative. L’anno della misericordia è questione di fede, prima di tutto, fiducia piena nel cuore fedele di Dio, quindi di speranza nella sua salvezza per coloro che lo riconoscono nei piccoli delle beatitudini e nel discorso escatologico di Mt 25, e quindi di una carità che è il compendio delle altre due virtù teologali. La prima opera di misericordia è “avere misericordia di Dio”, e permettergli di essere Lui il Signore e noi le creature, lasciandoci amare da Lui, salvare da Lui, guidare da Lui, perdonare. Questo richiede preghiera, adorazione, silenzio. Come singoli e come comunità siamo chiamati a lasciarci abitare ed avvolgere dalla misericordia divina (“la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”, ci ricorda il Magnificat), riconoscendola nella nostra vita come il segno della presenza di Dio in noi e per noi (“si è ricordato della sua Misericordia”, ha riportato Israele nel mistero del suo cuore con umiltà, come ancora Maria ci insegna), per essere a nostra volta in grado di compiere azioni autenticamente misericordiose (“beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”). Bisogna far memoria della nostra esperienza di misericordia, di come ci sentiamo visti da Dio, di come avvertiamo la sua paternità per noi, di come ci sentiamo amati e perdonati da Lui. Ricordando i sentimenti basilari che legano genitori e figli e la passione di un innamorato per il proprio partner, capace di donarsi totalmente, si apprende l’arte di essere misericordiosi e quindi di compiere opere di misericordia. Questo cammino di misericordia si riflette anche nelle scelte di vita, attraverso un processo progressivo a tappe che va dal- 302 FRANCESCO NIGRO l’empatia, la condivisione emotiva, che dice filantropia, benignità, comune ad ogni persona umana; al livello più profondo che coinvolge esistenzialmente le persone, la sin-patia, la compassione e consolazione, lo stare accanto condividendo la vita delle persone; fino all’ultimo stadio, quello prettamente cristiano e verso cui miriamo, la misericordia, ossia la sin-fonia, cioè l’amore caritativo, il condividere lo stesso soffio vitale dello Spirito vedendo nell’altro il Cristo. Questo ci rende capaci di solidarietà incondizionata e ricerca del bene altrui12, che è l’arte di armonizzare la vita di ogni persona secondo la melodia del progetto salvifico. Il supporto che possiamo offrire per combattere la “globalizzazione dell’indifferenza” e favorire una “ecologia integrale” parte primariamente da una bonifica dello sguardo, del nostro modo di lasciarci scolpire dal volto dell’altro. Pensiamo a cosa rimanda lo sguardo di Gesù verso Zaccheo, la Samaritana, la prostituta che lava i piedi con le lacrime13. Se per ben 35 volte ritorna il tema della misericordia nella Evangelii Gaudium, si comprende primariamente che la comunità ecclesiale e la sua pastorale esigono un cambio di prospettiva a partire dalla misericordia. Partendo dalle opere di misericordia, quelle Corporali (Dar da mangiare agli affamati; Dar da bere agli assetati; Vestire i nudi; Alloggiare i pellegrini; Visitare gli infermi; Visitare i carcerati; Seppellire i morti) e Spirituali (Consigliare i dubbiosi; Insegnare agli ignoranti; Ammonire i peccatori; Consolare gli afflitti; Perdonare le offese; Sopportare pazientemente le persone moleste; Pregare Dio per i vivi e per i morti)14, è possibile prospettare qualche suggerimento. Tre attenzioni pastorali particolari: la misericordia esprime in primis l’identità stessa della Chiesa; ripensare alla Chiesa alla luce della misericordia; prospettare cammini di misericordia per tutti. L’identità della Chiesa è dato dal suo essere “portatrice della memoria di Gesù e custode del suo messaggio e quindi non può declinare le parole della sua comunicazione della fede che in rap12 Cf. Ibidem, 52. Cf. G. BOSCOLO, “Gesù, volto della misericordia divina”, in CredOg 34 (4/ 2014), 42-54. 14 Cf. CCC 2447. 13 LA MISERICORDIA: IL VERO VOLTO DELL’UMANESIMO CRISTIANO 303 porto alla misericordia”15. Quindi la Chiesa è chiamata ad annunciare la misericordia a coloro che non la conoscono, a coloro che vagano nelle “tenebre dell’ignoranza e dell’errore”, ma anche a vivere nella misericordia, di cui i sacramenti sono espressione salvifica. Per questo la Chiesa, nel suo essere sacramento di unione con Dio e con l’intera umanità (cf. LG 1) deve farsi mediatrice della misericordia. Anche “il modo di vivere l’autorità, di esercitare il potere, di strutturare le relazioni intraecclesiali dovrebbe rispecchiare dinamiche di comunione e di partecipazione inclusiva, dal momento che la forma ecclesiale costituisce in molti casi la prima manifestazione percepibile della fede cristiana”16. Questo esige una conversione alla misericordia da parte di tutta la comunità ecclesiale, secondo la logica delle beatitudini che mette al centro i deboli ed i fragili, secondo la logica della più autentica “pietas cristiana”17. L’annuncio della misericordia assume i tratti dell’accoglienza fraterna e gratuita delle nostre comunità, la logica del servizio senza ambizione e aggressività o pretesa di potere tra i vari gruppi o persone, diventa monito educativo a richiamare la “dignità”, il “bene comune”, la “condivisione” e la “comunione” come i pilastri del vivere sociale, quindi necessarie alla famiglia, alla politica, alla scuola, alle parrocchie, dovunque ci sono persone. La comunità deve inoltre ripensarsi come Chiesa che trae dalla misericordia la sua forza attraverso il perdono e l’aiuto concreto ai bisognosi. Basterebbe valorizzare questi due aspetti nella prassi delle comunità e nel cammino di ogni credente che la società riuscirebbe ad assumere un volto autenticamente umano e vivibile, la società dell’amore tanto desiderata ed auspicata da Paolo VI. Compiere opere secondo la più autentica compassione cristiana significa ricostruire il tessuto umano della vita di ogni persona, aprendo alla speranza ed intessendo relazioni autentiche e profonde, segnate dal sigillo della carità divina. Di questo sono segno 15 S. NOCETI, “Verso una Chiesa della misericordia”, in CredOg 34 (4/2014), 69. Ibidem, 70. 17 Ibidem, 71: “Vivere la misericordia a livello ecclesiale non comporta, infatti, solo aiutare, compatire, sostenere, assistere chi ha vissuto una sconfitta, sperimenta fragilità e debolezza, o si trova nel bisogno, ma richiede di con-dividere, com-partecipare l’esperienza del ‘ricevere misericordia’”. 16 304 FRANCESCO NIGRO la solidarietà e l’accoglienza degli immigrati e delle famiglie segnate dalla prova, dalla malattia o dal lutto, portando a tutti il vangelo della consolazione e dell’amorevolezza che si fa condivisione di vita. Un supporto potrebbe venire dalla realtà delle confraternite e della pietà popolare che sono una grande risorsa da valorizzare, come anche dalle varie associazioni e movimenti valorizzando i vari ministeri laicali . Nel vivere tutto questo è fondamentale aver sempre presente lo stile che Gesù ci chiede di vivere. Si tratta di “stile cristiano”, che diventa prossimità, passare accanto con uno sguardo amorevole ed una condivisione del cuore. La vera missione parte da questo camminare accanto ai luoghi e alle soglie esistenziali che segnano la vita delle persone, senza invadenze ed indifferenze. Il fasciare le ferite versando l’olio della consolazione ed il vino della speranza (come dice il prefazio VIII), ricordando il buon samaritano che versa prima l’olio, che ha capacità emollienti e facilita la ricostruzione dei tessuti, e solo dopo il vino che disinfetta, il tutto accompagnato dalla fasciatura che contiene e preserva, custodisce e protegge. Ma questi non sono anche gli atti “liturgici” della missione ecclesiale? Offrire consolazione non significa offrire a tutti il dono di essere figli amati e consacrati da Dio nel battesimo, ricordare che non siamo soli, ma amati e benedetti da Dio? E versare il vino, non significa aiutare a disinfettarsi, a purificarsi per far guarire le ferite del proprio cuore, come avviene con la riconciliazione e con l’eucaristia? Forse il fasciare non rimanda alla Parola di Dio che ci sostiene e protegge nel cammino guarendo le ferite? E l’immagine dell’albergo non rimanda forse alla chiesa, alla quale consegniamo le persone che incontriamo “per la strada” a cui vogliamo offrire le nostre cure, consci di non essere noi “padroni” della vita di alcuno, ma solo servi? Da ultimo è fondamentale attivare cammini di misericordia per tutti, memori dell’espressione di Gesù: “Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,13). Vigilando sulle derive del legalismo – che porta il cristianesimo ad assumere la fisionomia di una morale e di un insieme di norme da rispettare – ed il ritualismo – che porta a LA MISERICORDIA: IL VERO VOLTO DELL’UMANESIMO CRISTIANO 305 vedere il cristianesimo come una solenne liturgia per i perfetti, i puri – le varie comunità sono chiamate a rinnovarsi offrendo a tutti la possibilità di cammini di conversione, di riconciliazione e di purificazione. Si tratta di offrire cammini penitenziali ai più lontani, come i carcerati, i tossicodipendenti, ma anche a chi vive in una situazione “non totalmente regolare” la vita affettiva o familiare (divorziati, conviventi, omosessuali), in cui far sperimentare la bontà e magnanimità di Dio, consci sempre che il peccato e la fragilità segnano la stessa chiesa. Questo anno potrebbe contribuire a chiarificare anche l’amministrazione dei sacramenti a persone che oggi sono impedite a riceverli, seguendo quanto più volte il papa richiama che i sacramenti sono per i peccatori e non per i sani18. In ogni modo il giubileo prevede un maggiore impegno per sostenere queste persone ed integrarle nelle nostre comunità. Sarà altresì provvidenziale promuovere e favorire la riconciliazione all’interno delle famiglie e delle realtà sociali ed ecclesiali (associazioni, parrocchie,…) secondo la logica evangelica dell’amore fraterno che esige anche la correzione fraterna per crescere nell’unità. In conclusione La misericordia-compassione rimanda all’esperienza esodale, all’uscire da se stessi per introdurre l’altro nel nostro spazio vitale, riconoscendo nella sua vulnerabilità un gemito, una ferita che risveglia la nostra coscienza verso le nostre fragilità e sollecitando il nostro imperativo etico del prenderci cura dell’altro, e quindi in profondità anche di noi stessi. Tutto questo esige delle “preposizioni” al nostro essere operatori di misericordia: lo stare davanti (“prae”) all’altro nel dolore, rispettandolo nella sua alterità; il farsi compagno di viaggio (“cum”) attraverso la condivisione di gioie e dolori, speranze e delusioni; il fare spazio (“in”) nel proprio cuore alla presenza e vita dell’altro; il seguire come Gesù lo spirito del servizio (“sub”), mettendoci a lavare i piedi dei fratelli, il tutto 18 Cf. G.L. BRENA, “Misericordia e verità”, in La Civiltà Cattolica 3958 (30.5. 2015), 329-338. L’autore offre una riflessione interessante alla luce del primo sinodo sulla famiglia, quello del 2014. 306 FRANCESCO NIGRO per offrire il benessere (“pro”) di ogni persona che Dio ci affida. Tutto questo trova la sua fonte nel fatto che “il pathos di Dio in Cristo genera l’ethos del discepolo, ove etica è tradurre al di fuori di sé la compassione di Dio in Cristo per ciascuno”19, ma è anche estetica, ricerca della Vera Bellezza, riflessa nel volto dell’Altro. Per far fiorire l’umano la Chiesa ha bisogno di essere casa e scuola di misericordia, D. Bonhoeffer in Sequela ci indi lo “stile misericordioso”. I misericordiosi hanno un amore irresistibile per gli umili, i malati, i miseri, per chi è stato umiliato e ha patito violenza, per chi subisce torti ed è estromesso, per chi si tormenta e si affligge; essi cercano chi è caduto nel peccato e nella colpa. Nessuna miseria è troppo profonda, nessun peccato troppo terribile, perché non vi applichi misericordia. Il misericordioso fa dono del proprio onore a chi è caduto nell’ignominia e se ne fa carico. Si fa trovare presso i pubblicano e i peccatori e assume volontariamente la vergogna della familiarità con loro. Essi rinunciano al massimo bene dell’uomo, alla propria dignità, al proprio onore e sono misericordiosi. Essi conoscono solo una dignità e un onore: la misericordia del loro Signore, della quale soltanto vivono. […] Questa è la misericordia di Gesù della quale vogliono vivere coloro che sono legati a lui, la misericordia del crocifisso. Una misericordia che fa loro dimenticare ogni proprio onore e dignità, alla ricerca solo della comunione con i peccatori […] beati i misericordiosi perché colui che è misericordioso è il loro Signore20. 19 G. BRUNI, Misericordia e Compassione. Vie di umanizzazione, Cittadella Editrice, Assisi 2015, 71. 20 D. BONHOEFFER, Sequela, Queriniana, Brescia 1997, 103-104. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE” IN SAN GIOVANNI DELLA CROCE – II Attualità pastorale del messaggio Sanjuanista Lucangelo De Cantis* La mistica, e in particolare la riflessione di san Giovanni della Croce, donano prospettive attuali per l’evangelizzazione, nell’accompagnamento dell’“umanarsi” di ogni figlio di Dio. Gli Orientamenti pastorali dell’Episcopato per il primo decennio del Duemila1 sottolineano chiaramente l’urgenza di un impatto divino che rimotivi l’agire ecclesiale dandone sapore per incidere nel cuore della storia. Già il titolo sottolinea tale identità: il desiderio di comunicare agli uomini del nostro tempo il Vangelo, la bella notizia di Dio che ama profondamente la storia. Ci pare che il compito assolutamente primario per la Chiesa in un mondo che cambia e che cerca ragioni per gioire e sperare, sia e resti sempre la comunicazione della fede, della vita in Cristo sotto la guida dello Spirito, della perla preziosa del Vangelo (CVMC 4). Abbreviazioni: CA Cantico Spirituale, prima redazione; CB Cantico Spirituale, seconda redazione; Caut Cautele; D Detti di luce e di amore; FA Fiamma d’amor viva, prima redazione; FB Fiamma d’amor viva, seconda redazione; L Lettere; N Notte oscura; O Orazione dell’anima innamorata; P Poesie; S Salita del monte Carmelo. * Sacerdote dell’Arcidiocesi di Taranto, Dottore in Teologia presso la Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum”. 1 Cf. CEI, Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia (cito CVMC), Roma 2001. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 307-336 308 LUCANGELO DE CANTIS È nel Vangelo da annunciare che risiede l’unica ricchezza della Chiesa, chiamata a ripetere con Pietro: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina!” (cf. At 3, 1-10). Il Vangelo non è un libro, ma una persona, la persona di Gesù Cristo nostro Signore: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,1-4). Questo brano posto agli inizi degli Orientamenti (cf. CVMC 1) indirizza tutta la riflessione del documento, fondandola e orientandola su Gesù Cristo, Vangelo da comunicare. L’utopia del Vangelo illumina realmente l’intera esperienza umana perché incontra l’uomo nel suo intimo ed è capace di orientarlo con la sua forza. La presentazione del messaggio evangelico non è per la Chiesa un contributo facoltativo: è il dovere che incombe per mandato del Signore Gesù. Sì, questo messaggio è necessario. È unico. È insostituibile. Non sopporta né indifferenza, né sincretismi, né accomodamenti. Esso rappresenta la bellezza della rivelazione. È capace di suscitare, per se stesso, la fede, una fede che poggia sulla potenza di Dio. Esso è la verità. Merita che l’Apostolo vi consacri tutto il suo tempo, tutte le sue energie e vi sacrifichi, se necessario, la propria vita2. Questa riflessione nasce dal desiderio che la mia personale vita di Presbitero e tutta l’esperienza ecclesiale possa sempre essere “bella di Vangelo”. Credo che la prima comunicazione del Vangelo coincida con la stessa vita cristiana e che un vissuto cristiano autentico susciti degli interrogativi, anche in chi apparentemente sembra indifferente. Una Chiesa che con sincerità si apre sempre più allo “stupore del Vangelo”, diventa nella società capace di contagiare con la forza della speranza annunciata da Cristo. 2 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 5: EV 5/1597. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 309 Lo studio di san Giovanni della Croce ha radicato ancor più queste mie convinzioni aiutandomi a sperimentare come la teologia mistica è cammino concreto che aiuta l’uomo a realizzare la sua più profonda identità. 1. Contemplare il Volto di Cristo “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). La “passione” unica della Chiesa è il Signore Gesù Cristo e il desiderio più grande che deve animare la vita di ogni credente è l’annuncio del Vangelo. Il primato dell’evangelizzazione nella comunicazione pastorale è l’urgenza prioritaria che occorre sempre più riscoprire per un’efficace azione ecclesiale. All’interno delle diverse funzioni-mediazioni pastorali fondamentali – non in termini di settorialità quanto piuttosto in una prospettiva missionaria – oggi viene sottolineato con forza il primato dell’evangelizzazione, come nucleo centrale e urgente dell’agire ecclesiale3 . Può sembrare questo un assunto scontato ma, a mio avviso, non lo è affatto. Probabilmente, l’agire ecclesiale talvolta non risulta efficace perché si è smarrita questa priorità: “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda”4 . È molto significativo che il primo “compito” da effettuare per una credibile comunicazione del Vangelo non sia “fare delle cose” ma ri-contemplare un Volto, il Volto del Cristo, riappropriarsi dell’evento che annunciamo. Spesso dietro un molteplice “fare pastorale” si dimentica la sorgente e la nostra attività, nonostante sia carica di molteplici iniziative, risulta sterile. Gli Orientamenti ci ricordano l’essenziale da recuperare (cf. CVMC 10-31). L’introduzione, dopo aver richiamato la meravigliosa icona biblica giovannea, di cui sopra, si conclude con la bellissima preghiera di 3 S. PINTOR, L’uomo via della Chiesa. Elementi di teologia pastorale, Bologna 1992, 155. 4 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 14: EV 5/1606. 310 LUCANGELO DE CANTIS Newman, “Risplendere della tua luce” (cf. CVMC 8), dove sembra che la Chiesa intera, coralmente, invochi il Volto di Cristo per brillare della sua bellezza, perché in tutto il vissuto ecclesiale appaia la luce di Cristo. La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne. Egli è la grande sorpresa di Dio, colui che è all’origine della nostra fede e che nella sua vita ci ha lasciato un esempio, affinché camminassimo nelle sue tracce. Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo Volto permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo (CVMC 10). Lasciandomi interpellare da questa profonda esigenza di contemplazione del Volto di Cristo, mi ritornano in mente magnifiche espressioni di Dietrich Bonhoeffer: La dottrina intorno a Cristo comincia nel silenzio. Il silenzio della Chiesa è il silenzio al cospetto della Parola. Nell’annunciare la Parola, la Chiesa in verità cade in ginocchio, silenziosa, dinanzi all’Ineffabile. La Parola feconda della Chiesa nata dal silenzio fecondo, ecco la predicazione intorno a Cristo5. Tutto il primo capitolo degli Orientamenti è un invito a vivere questa profonda dimensione contemplativa di Cristo, a riscoprire in lui l’inviato del Padre (CVMC 11-15), il dono meraviglioso dell’amore di Dio, a sentirlo compagno vicino della nostra vita (CVMC 16-23), risorto in mezzo a noi (CVMC 24-28), colui che viene per portare a compimento la vita dell’uomo e della storia (CVMC 29-31). Si richiama la vita di Gesù che condivide la totalità della vita del suo popolo, della sua gente e che oggi, Risorto, accompagna la vita del’uomo per darne senso profondo. È un forte invito a porre Cristo al centro della vita personale ed ecclesiale. È questa una scelta da ritenersi assolutamente essenziale per liberare l’esperienza religiosa cristiana da una situazione di marginalità esistenziale che sfiora soltanto la vita e non ci permette di essere strumenti idonei della comunicazione del Vangelo. Alla luce degli Orientamenti occorre considerare realmente la relazione 5 D. BONHOEFFER, nella prima lezione di Cristologia, estate del 1933, a Berlino; Gesammelte Schriften, 3, Munchen, 1966, 167. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 311 vitale con Cristo come la cosa più seria che esista, alla quale bisogna dare il primato nella gerarchia dei propri interessi: “cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia” (Mt 6,33). È un’esigenza quella indicata, che urge per tutti i battezzati e che corrisponde all’impegno comune per la santità. Essa è uguale per tutti i cristiani, pur nella molteplicità delle vocazioni. “I percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone”6. Dunque, la prima e inderogabile indicazione pastorale degli Orientamenti che risulta assolutamente prioritaria sulle altre, è mettersi tutti “alla scuola di Gesù”, quasi in un apprendistato di vita, come i discepoli durante la sua vita storica. La spiritualità è la sorgente autentica di ogni vera azione pastorale. Non uno “spiritualismo evanescente”, ma la vita che, in comunione profonda col Cristo, permeata dal suo Spirito, diventa significativa. Quanto più urgente è l’impegno pastorale della Chiesa, tanto più è necessario recuperare un rapporto vitale con la fonte, il Signore Gesù. Lo sguardo fisso su Gesù, inviato del Padre”, per donare la sua gioia e la sua speranza agli uomini del nostro tempo (cf. CVMC 1). “Le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore (GS 1). La riflessione mistica di san Giovanni della Croce è profondamente attuale perché riconduce l’esperienza cristiana al centro dell’annuncio, l’incontro vitale con Dio. Egli è definito “servitore del centro divino”7, perché propone di tener vivo in se stessi quell’amore divino che permette un annuncio credibile, solo ciò che “si è mietuto con la falce della contemplazione può essere predicato e condiviso con le genti”8. Annunciare il suo Volto senza averlo contemplato è come pre6 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 31. Cf. W. STINISSEN, La notte è la mia luce. La mistica nel quotidiano sulla scia di Giovanni della Croce, Città Nuova, Roma 2004, 175 - 192. 8 A. ARBORELIUS, Den brennende pilen [La freccia ardente], Karmeliterna, Tagarp Glumslov 1986, 43. 7 312 LUCANGELO DE CANTIS tendere di dare quello che non si possiede. Annunciarlo dopo essere entrati nelle profondità dell’incontro con Lui ci permette di essere dono vero. Per san Giovanni della Croce tutto è finalizzato all’operare in Dio e per Dio9; l’anima che vive per Dio irradia la divinità che in essa accoglie. 2. “Potenzialità e rischi” del contesto sociale contemporaneo Dinanzi a un mondo che cambia, con continui mutamenti sociali e culturali, la Chiesa, per essere “al servizio della gioia e della speranza di ogni uomo” (cf. CVMC 1), sente il bisogno di interrogare la realtà (cf. CVMC 34-45). È dovere permanente della Chiesa scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo, così che in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita (…). Bisogna conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonché le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole (GS 4). Dopo aver ricordato la fonte e il senso unico dell’evangelizzazione, il Signore Gesù, gli Orientamenti pastorali cercano di leggere la nostra storia. La conoscenza del tempo in cui viviamo non è un optional, qualcosa lasciato alla nostra libera discrezione, ma è un dovere umano e cristiano, necessario per una comunicazione quanto più possibile efficace dell’annuncio evangelico. Non è conforme alla dignità umana lasciarsi passivamente travolgere dalle vicende che accadono nel mondo e nella Chiesa senza capire che cosa succede. Gesù stesso rimprovera la folla che, pur essendo esperta nelle previsioni metereologiche del tempo, ignora cosa in verità accada all’interno di esso: “Quando vedete una nuvola salire da ponente subito dite: viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco dite: ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?” (Lc 12,54-57). Per essere evangelizzatori efficaci, oltre al necessario e indispensabile sguardo fisso sul Signore Gesù, 9 Cf. CA 20,4. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 313 occorre avere una retta valutazione della nostra storia, della situazione socio-culturale in cui vive la Chiesa. Gli scenari del mondo cambiano in maniera rapida e profonda, come cambiano in una maniera rapida e profonda le modalità esistenziali con le quali le nuove generazioni si pongono di fronte a Dio, alla fede cristiana, alla vita e alla missione della Chiesa. Una lettura sbagliata del nostro tempo potrebbe indurre o ad atteggiamenti di ingenua e superficiale euforia, oppure ad atteggiamenti di demoralizzante angoscia. Nell’uno e nell’altro caso viene meno la funzione illuminante della fede. Bisogna interrogarsi sull’oggi di Dio, sulle opportunità e sui problemi posti dal tempo in cui viviamo alla missione della Chiesa. Si tratta di leggere la realtà del nostro mondo per discernere i semi del Verbo presenti in essa, anche al di là dei confini visibili della Chiesa, e per individuare gli ostacoli posti all’annuncio del Vangelo (cf. CVMC 34-36). Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia tra immense potenzialità (cf. CVMC 37-39) e rischi (cf. CVMC 40-43) è l’essere stesso della Chiesa. 2.1. San Giovanni della Croce e le potenzialità attuali Ritrovare nella ricerca di san Giovanni della Croce quei desideri profondi che accompagnano l’uomo di ogni tempo ci permette di sentire la perenne attualità della rivelazione. L’uomo è l’Amato di Dio, accompagnare l’esistere di ciascuno è il sogno della Trinità. Il bisogno di infinito che ogni persona porta nelle sue viscere è segno di una mistica presenza che accompagna ciascuno. 2.2. Autenticità, prossimità e senso religioso L’uomo di ogni tempo, anche quando apparentemente superficiale, è affascinato dall’autenticità. Chi sceglie l’autenticità, chi risulta coerente con il messaggio che propone, chi vive le scelte che annuncia, rimane una persona incredibilmente “affascinante”. I giovani, in particolare, sono disposti a investire con generosità energie, ove sentano che davvero quello che stanno facendo ha un senso. […] Riconoscendo questa esigenza (di autenticità) come un 314 LUCANGELO DE CANTIS valore, sarà possibile dare risposte vere e profonde alla ricerca di significato che abita le nostre vite (CVMC 37). L’uomo perché creato da Dio porta in sé questo profondo desiderio di autenticità. Lo Spirito abita l’uomo con il suo sguardo e vi diffonde in esso desiderio costante di vita. È nell’atto creativo che questa realtà è collocata nell’uomo e non è solo un inizio primordiale, ma un evento presente. San Giovanni della Croce dice che costantemente il Padre guarda l’uomo e il mondo attraverso il Figlio e in esso prende l’iniziativa di riempirci di sé10. Questo essere pieni di Dio muove nell’uomo consciamente o inconsciamente la ricerca dell’autentico. Dio con il suo sguardo riveste l’uomo e il mondo di bellezza e di gioia11. Questo è anche il modo in cui interpreta la sua esperienza di Dio nella Fiamma mentre commentando il verso “le profonde caverne della mia anima”12 interrompe il flusso del suo scritto dicendo che tutte le anime ricercando la verità di se stesse vanno alla ricerca dell’Amato: Non solo per le anime che camminano prosperamente, ma anche per tutte le altre le quali vanno in cerca del loro Amato13. C’è ancora in ogni uomo “Il desiderio di prossimità, di socialità, di incontro, di solidarietà, e di ricerca della pace” (CVMC 37). Si “respirano” questi sentimenti, è evidente lo sviluppo di gruppi che propongono e coltivano il volontariato, l’impegno sociale, l’attenzione a varie forme di emarginazione. Una Chiesa, che scegliendo autenticamente il Vangelo, vive sull’esempio del Cristo l’attenzione ai bisogni dell’uomo, si ritrova compagna fedele del desiderio di prossimità che coinvolge gli uomini del nostro tempo. Continua nella storia la parabola del Buon Samaritano e il racconto di un Dio che “non è passato oltre”, non si è dimenticato dell’uomo, non si è scandalizzato della sua solitudine, delle sue piaghe può essere oggi particolare annuncio di Salvezza. Penso che per la Chiesa il bisogno di “non passare oltre” dinanzi al “grido di dignità” che sale dalle strade degli uomini nasca da 10 Cf. CB 5,4. Cf. CB 6,1. 12 FB 3. 13 FB 3, 27. 11 IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 315 questa scoperta: Lui Ama l’uomo senza un perché, solo uomo, semplicemente uomo. Ogni uomo è una meraviglia, un “pensiero straordinario di Dio” e il non comprometterci con “il grido” dell’uomo forse vuol dire non aver realmente scoperto il Volto del Dio vivo del Vangelo. Gli occhi dei fratelli e delle sorelle sfruttate, abbandonate sulle strade della nostra storia ci interpellano, non ci lasciano indifferenti, ci invitano a fare sul serio! Allora con tutta la nostra povertà ma con tanta passione siamo chiamati oggi a collaborare con Dio affinché ogni uomo possa scoprire di essere “un’opera d’arte”, non perché appartenga ad una categoria sociale particolare ma perché “figlio di Dio”. Nelle nostre menti il Suo pensiero che il Vangelo ci racconta, nelle nostre mani la Sua forza che passa e libera, nei nostri sguardi il Suo sguardo di tenerezza e compassione, nelle nostre lacrime i Suoi sogni di Vita nuova, nelle nostre incapacità e “morti” la Sua risurrezione che ha rinnovato il volto ferito della terra. Nell’individuo senza nome che giace mezzo morto sul ciglio della strada, infatti, non c’è più alcun segno di vita, ma la fede del Samaritano che si accorge di lui e gli si avvicina, gli restituisce salute e dignità. Un atto di amore per il fratello è sempre anche un atto di fede e, fermandosi a soccorrere quell’uomo, il samaritano “vede” ciò che del mistero della vita gli occhi da soli non possono vedere. […] Abbandonato alla morte da perversi assalitori e da tutti coloro che gli passano accanto senza curarsene, riprende vita sotto lo sguardo e le mani di un samaritano che si ferma a soccorrerlo. […] L’amore deve annodarsi su Dio e sul fratello ed il vero culto sta nella lotta per mantenere uniti i due amori che, poi, non sono che uno14. La Chiesa è la “locanda” dove ogni uomo, accompagnato dal Cristo è chiamato a sentirsi “a casa”. Tanti erroneamente pensano che la mistica non ha nulla a che fare con l’impegno concreto di prossimità all’uomo e affermano che i mistici vivono racchiusi nelle loro categorie contemplative, assorti nei loro esercizi ascetici e indifferenti della concretezza sociale. Ma non è nel Vangelo che si trovano tali ragioni ma nelle antiche scuole precristiane – come il madeismo – e in quelle filosofiche romane e greche che proclama14 B. MORICONI, Farsi prossimo. Meditazione sulla parabola del Buon Samaritano, Città Nuova 2006, 5-9. 316 LUCANGELO DE CANTIS vano il dualismo tra l’anima e il corpo, il naturale e il soprannaturale, il sacro e il profano. Il monachesimo, che nasce nel IV secolo come affermazione della fedeltà evangelica dinanzi alla debolezza emergente della chiesa costantiniana, non ebbe alternativa per il suo nutrimento se non nel platonismo con la sua idea di una natura umana in perpetuo conflitto tra la carne e lo spirito. La santità veniva concepita come la negazione della materia, la morte della carne, la rinunzia alla propria volontà e il godimento dell’estasi spirituale. Ma la mistica evangelica abbracciata anche da san Giovanni della Croce non implica l’allontanamento da impegni terreni ma l’apertura del cuore alla volontà divina che desidera l’uomo viva nella quotidianità dell’esistenza la pratica delle virtù teologali; la condotta dell’uomo mistico deriva dal rapporto che egli mantiene con Dio. La mistica può generare una trasformazione liberatrice della società. Affermare che la mistica non ha nulla a che fare con la praticità delle scelte di prossimità all’uomo sarebbe come negare la storicità di Gesù e affermare che i doni di Dio non servono per vivere nel mondo che Egli ha creato. Ciò che di più intimo Dio ci ha potuto donare – la sua unione spirituale in questa vita – sarebbe riservato solo a quelli che, contrariamente al comportamento di Dio, rinunziano al modo di vivere umano per vivere meglio la loro fede. Ma la proposta evangelica va in senso contrario, nell’insegnamento di Gesù c’è una relazione profonda fra la vita di fede e il percorrere i sentieri della prossimità. La radice e il frutto di ogni trasformazione sociale più completa sarà il cuore umano dove la divinizzazione della persona passa a divinizzare la storia. È evidente un forte risveglio del senso religioso. C’è un proliferare di esperienze religiose, di sette, di gruppi, di mentalità culturale piena di ambigua religiosità (cf. il New Age - Next Age). La persona umana è stanca di ciò che non dà senso e si aggrappa alla religiosità. Tante esperienze religiose sembrano risultare più affascinanti della nostra vita cristiana perché spesso siamo demotivati nel nostro credere. Ritorna il problema iniziale, il bisogno di rinnovare il nostro rapporto con Cristo per ridare “sapore di senso” al nostro vissuto evangelico. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 317 Scriveva nel 1972 Nouwen: La prossima generazione cerca disperatamente una visione, un ideale a cui dedicarsi, una fede se così volete chiamarla15. Penso che questa potenzialità sia un bisogno da cogliere per annunciare con la nostra vita che Cristo dona senso al nostro esistere. Al contrario di chi pensa, erroneamente, che il cristianesimo non valorizzi l’esperienza umana, la Chiesa è chiamata ad annunciare il compimento, il senso profondo che l’esperienza di Gesù di Nazaret dona al vissuto. Negli ultimi anni, il progresso tecnico e scientifico è cresciuto moltissimo. Progressi grandi nel mondo delle telecomunicazioni, della medicina, dell’educativo, dell’industria. Nonostante ciò, nella stessa misura si sono moltiplicate la violenza, l’insicurezza, il senso di frustrazione e solitudine. È preoccupante la constatazione che il suicidio sia la prima causa di morte violenta nel mondo, con più di 815.000 casi all’anno16. Nell’uomo è ontologicamente radicato un profondo bisogno di senso e la proposta di un antropologia radicata nella teologia si presenta profondamente attuale. La teologia contemporanea è fortemente convinta che per costruire l’antropologia bisogna scegliere come punto di partenza Gesù Cristo17. Così, nella glorificazione dell’incarnazione di suo Figlio e della sua risurrezione secondo la carne, il Padre non solo abbellì in parte le creature, ma potremmo dire che le rivestì completamente di bellezza e di dignità18. L’uomo assetato di senso trova in Dio pacificazione interiore perché anche il momento faticoso e assurdo della morte Lui ha condiviso e vissuto. In quell’attimo l’uomo, lo riconosca o no, in quella solitudine della morte avverrà per ognuno il mistico incontro e si apriranno i nostri occhi e trovando Lui ritroveremo l’intima verità di noi stessi, il senso al quale abbiamo anelato. Penso che 15 H. J.M. NOUWEN, Il guaritore ferito, Queriniana 1998 (6 ed.), 37. Originale by Doubleday and Company Inc., Garden City, New York 1977. 16 Cf. AA.VV., Antropologia soprannaturale, Ed. Vaticana 2003, 7. 17 C. LAUDAZI, “L’uomo nel progetto di Dio”, in Teresianum 39(1988/II), 357. 18 FA 4, 7. 318 LUCANGELO DE CANTIS questa sia la sintesi del percorso mistico-esistenziale di san Giovanni della Croce. “Siamo stati creati per simili grandezze e ad esse chiamati, siamo stati creati per questo fine d’amore”19 ed è la coscienza di questa realtà a porsi come fondamento di tutta la vita umana. In questo consiste essere trasformata nelle tre Persone…; in questo l’anima è simile a Dio; a tal fine Dio la creò a sua immagine e somiglianza20. L’uomo è pensato da Dio fin dall’eternità per partecipare della sua vita divina, questo è il senso profondo del suo esistere, la sua più profonda natura, questa realtà traspare negli scritti di san Giovanni della Croce. Nelle ultime strofe del suo Cantico, il mistico e il poeta focalizza con profonda densità crescente il “desiderio” che attraversa la persona intera. L’uomo che arriva all’unione desidera “diventare simile all’Amato”, desidera nella pienezza escatologica vedere Cristo “faccia a faccia”21. Il culmine del processo di umanazione di cui parla san Giovanni della Croce e i mistici in generale, riguarda tutti gli uomini, nell’ordinarietà dell’esistere. La vocazione dell’uomo è Dio, lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di venire a contatto nel modo che Dio conosce con il mistero pasquale per ritrovare in esso l’intima verità di se stessi. 2.3. Lo sviluppo culturale “Anche lo sviluppo della scienza e della tecnica presenta aspetti positivi da cogliere e valorizzare. L’uomo che si spinge in avanti nelle vie del sapere scientifico si trova di fronte a domande non di tipo tecnico e tuttavia ineludibili, che riguardano il fondamento e il senso dell’esistenza” (CVMC 38). Come già precedentemente affermavo, la persona umana che con vera intelligenza osserva la realtà, si rende conto che, pur in mille competenze scientifiche acquisite, ci sono domande fondamentali che vanno al di là di un dato tecnico ma invitano ad una necessaria e vitale ricerca. La scienza, 19 Cf. CB 8,3; 29,3; 39,7 CB 39,4. 21 Cf. CB 36, 3.5; 37,1. 20 IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 319 mentre cerca di rispondere a domande sulla realtà degli esseri, non può mai arrivare a delineare il significato profondo del loro esistere. Tutti gli studiosi e gli scienziati che con serietà ricercano devono necessariamente ammettere quest’evidenza. Si può paragonare la condizione umana a quella di chi si sveglia in un treno che corre nella notte. Da dove è partito quel convoglio sul quale siamo stati caricati senza volerlo, senza sapere da chi e perché? Dove è diretto? Cosa c’è, se qualcosa c’è, al fondo di quel buio dentro il quale stiamo correndo? Compito dell’uomo di scienza, qui, è esaminare lo scompartimento, descriverlo, verificare le dimensioni dei sedili, analizzare i materiali, misurare temperatura e pressione atmosferica. Ma da quella dimensione che è la sola sua, lo scienziato dovrà necessariamente uscire, se vorrà mettersi alla ricerca delle possibili ragioni di quel viaggio. […] Ma sì, ripetiamolo: constatare, misurare, descrivere è una cosa; interpretare, spiegare è un’altra. Non si intralciano né tanto meno si annullano tra di loro, ma procedono in dimensioni e ordini diversi22. Non c’è sapere tecnico scientifico che riesca a colmare la vita umana. L’uomo ha bisogno di vivere la sua figliolanza. Il bisogno radicato nel cuore di un Padre da scoprire e amare è la vita piena dell’uomo. La tecnica e la scienza da sole non aiutano a riscoprire nel tessuto umano l’appartenenza radicale ad un “padre” nel quale riconoscere le radici di questa vita. Dinanzi all’uomo le scoperte meravigliose compiute da esse che sono di valore immenso hanno bisogno di essere accompagnate dal silenzio di domanda e stupore tipici della contemplazione del mistero. In questo mistero di figliolanza si colloca la ricerca di san Giovanni della Croce e dei mistici. Il mistero è il luogo della loro ricerca, non qualcosa di innaturale e astratto ma la verità profonda dell’esistenza. La Parola definitiva della Rivelazione, infatti, stabilisce proprio in termini di filialità la vocazione umana. Al punto che, alla domanda su quando il credente cristiano, in quanto tale, diventerà adulto e, cioè “padre” / “madre”, si deve rispondere mai. La sua massima realizzazione, infatti, è quella di riconoscersi e di diventare sempre più figlio, nel Figlio, dello stesso Padre “Suo” e “nostro”. Una prospettiva che a livello mistico esistenziale, è stata interpretata dal ne- 22 V. MESSORI, Qualche ragione per credere, Mondadori 1997, 225-226. 320 LUCANGELO DE CANTIS odottore della Chiesa Teresa di Lisieux (1873-1897) come infanzia spirituale23. Sensibilità ai temi della salvaguardia del creato. Appare forte l’attenzione alla natura, ai problemi ecologici. Da sempre per i credenti la natura è stata un richiamo alla bellezza e alla grandezza di Dio. La Parola di Dio è ricca di brani che lodano il Signore per la meravigliosa bellezza del creato: “I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento” (Sal 18,1). E poi, basterebbe ricordare Francesco D’Assisi, il suo amore e rispetto profondo per il creato. Guardando con attenzione la creazione, il cuore umano non può evitare di stupirsi e di riconoscere che una tale perfezione richiama la trascendenza di Qualcuno che sia artefice di tutte le cose. Milioni di galassie, la bellezza dei fiori, l’immensità delle montagne, la vastità degli oceani… “Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature” (Sal 103,24). L’umanità è stata redenta da Cristo e fatta nuova dallo Spirito Santo. Attraverso Lui ami l’uomo tutto quello che Dio ha creato, perché da Lui l’ha ricevuto ed ammiri ed apprezzi quel che fluisce dalla Sua mano. L’umanità è riconoscente al suo benefattore ed in povertà ed in libertà di spirito si rallegra delle cose create e le usa, poiché tale è la sua proprietà “che essendo povera in tutto, tutto in verità possiede” (2Cor 6,10). “ Tutto è vostro ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio (1Cor 3,22-23) (GS 37). La conclusione paolina riporta spontaneamente la nostra vita al meraviglioso inno dell’anima innamorata del nostro san Giovanni della Croce: Miei sono i cieli e la terra. Miei sono i popoli. Miei sono i giusti e i peccatori. Gli angeli sono miei e mia è la Madre di Dio e tutte le cose create. Dio stesso è mio poiché anche Cristo è mio e mi appartiene totalmente. Cosa vai chiedendo nella tua orazione, anima mia? Tutto quel che chiedi è già tuo24. Se san Giovanni della Croce avesse letto il testo della Costituzione pastorale avrebbe certamente ritrovato la sua intuizione: 23 B. MORICONI, La filialità divina base dell’antropologia teologica cristiana, in B. MORICONI (ed.), Antropologia cristiana. Bibbia, teologia, cultura, Città Nuova 2001. 24 Orazione dell’anima innamorata, D 25. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 321 Tutto è dell’uomo benché esso rimanga nella libertà e nella povertà di spirito senza le quali sarebbe impossibile “possedere” davvero il mondo. Un cuore libero che fa di Dio il centro unificante della sua esistenza, l’unico bene, può contenere in se ogni realtà. Basta un minimo attaccamento egoistico per non essere liberi di possedere tutto. San Giovanni della Croce cita la “remora”, un pesciolino leggendario che ha la brutta abitudine di attaccarsi allo scafo dei navigli: Infatti l’appetito o il legame dell’anima ha la proprietà della remora, la quale come si dice, quantunque sia un pesce piccolo, se riesce ad attaccarsi ad una nave, la tiene così immobile da impedirle di navigare e di giungere in porto. Ci sono alcune anime che non hanno il coraggio di romperla definitivamente con qualche piccolo gusto, con qualche attaccamento o con qualche affezione. In tal modo pur essendo cariche come navi di ricchezze, di opere buone, di pratiche di pietà, di virtù e di grazie concesse loro da Dio, esse non vanno avanti né giungono mai al porto della perfezione, mentre sarebbe sufficiente per spiccare il volo, spezzare il laccio con cui sono attaccate e liberarsi definitivamente da quella remora dell’appetito25. L’intuizione grande di san Giovanni della Croce è la possibilità di possedere realmente tutto se il cuore è libero da tutto e riconosce solo in Dio la fonte della sua esistenza. Il creato, di cui sottolinea molto nei suoi scritti la bellezza26, è abitato e redento da Colui che il cuore dell’uomo ama e cerca consciamente o inconsciamente. San Giovanni della Croce considera il creato in relazione al suo Creatore, la sua bellezza è riflesso dell’infinita bellezza di Dio. Il compito del creato è quello di parlarci di Dio, la rinuncia permette all’uomo di non idolatrare il creato ma di realizzare pienamente la sua missione tipica di elevare il cuore a Colui che ne è autore e che è vivo e presente in ogni cosa. Accompagnare l’uomo nell’amare il Creatore partendo dalla bellezza del creato è strada di evangelizzazione sempre attuale, soprattutto oggi dove una sete di autentica bellezza prepotentemente abita il cuore dell’uomo. Nel Cantico spirituale27 la sposa chiede alla creazione se è stata sfiorata dal tocco dello Sposo. La soavità che vi riscontra riaccende 25 1S 11,4. Cf. 1S 9,1; P 6,3 – 4. 27 Cf. CA 4 – 7. 26 322 LUCANGELO DE CANTIS il suo ardente desiderio di cercarlo. Ascoltare la voce del creato accresce il desiderio di Dio fino allo struggimento. “Un campo in cui stanno emergendo grandi potenzialità è anche quello della comunicazione sociale” (CVMC 39). È una ricca opportunità da cogliere perché attraverso i mezzi di comunicazione possono essere trasmessi valori profondi. La Chiesa cerca in questo ambito di rendersi sempre più esperta nel desiderio di “creare una cultura della fede” perché i cristiani divengano “forza cementatrice della società civile”28. San Giovanni della Croce ci aiuta a riempire di senso la comunicazione, ci permette di metterci in ascolto dell’interiorità profonda dove bisogno di comunicare è bisogno d’amore che permette all’uomo di realizzarsi. Difatti, proprio oggi, epoca delle grandi comunicazioni globali, un profondo senso di amarezza e solitudine attraversa i cuori, forse perché tanti modi di comunicare sono svuotati del “senso”. Compito nostro potrebbe essere quello di collaborare nel riempire di senso le possibilità mediatiche che ci vengono offerte. L’esperienza della fede completa e porta a compimento tutte quelle dimensioni della vita dell’uomo che altrimenti resterebbero sospese tra il desiderio di una pienezza anelata e l’effettiva conquista di essa. La fede non ruba l’uomo all’uomo, alienandolo, ma rivela all’uomo la sua autentica e ultima vocazione. Allo stesso tempo non si può avere fede senza decidere di diventare adulti, cioè senza che questa fede sia autenticamente percepita come maturazione di un cammino di amore e di libera risposta ad una chiamata, ad una sfida, ad una vocazione che è pro – vocazione di amore che trova in Dio la sua sorgente. 2.4. San Giovanni della Croce e i rischi attuali “Ma accanto alle potenzialità a cui abbiamo fatto cenno, non si possono tacere i rischi e i problemi che riscontriamo oggi nel nostro paese riguardo al compito della trasmissione della fede” (cf. CVMC 40-43). 28 B.L. PAPA, Cattedrale e piazza. Dieci anni di dialogo, Ed. Dialogo - Taranto, Maggio 2000, 166. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 323 – I senza religione. Molti leggono la storia semplicemente con parametri economici, estetici, d’interesse. Altri con completa indifferenza, rassegnazione, sguardo solo su bisogni immediati. Vi sono poi persone disposte a riconoscere un certo riferimento a Cristo, ma non alla Chiesa; non mancano neppure le conversioni dal cristianesimo ad altre religioni. È preoccupante il crescente analfabetismo religioso. […] È poi indubbio che, nella mentalità comune e di conseguenza nella legislazione, si diffondono su diversi argomenti prese di posizione lontane dal Vangelo (CVMC 40). Evidentemente tutto questo ci induce ancora a pensare a un nostro modo di essere cristiani, nell’ordinario, negli ambienti di vita, dove, in modo significativo siamo chiamati ad annunciare la nostra identità con il nostro modo di essere. Forse, questi rischi sono frutto di un nostro vissuto storico delle volte poco significativo. – Eclissi del senso morale. A mio avviso, il relativismo morale è frutto di una sorta di rigetto psicologico. C’è da ammettere che per tanto tempo, più che annunciare Gesù Cristo abbiamo comunicato leggi morali, senza aiutare gli uomini a incontrare il Suo volto. Per secoli la Scrittura è stata una realtà riservata a pochi, per tutti, invece, proposte moraleggianti. Ma il cristianesimo non è la religione della morale. Ogni serio impegno cristiano da vivere nasce dall’incontro con la persona del Signore Gesù. Il cristiano è “una creatura nuova” (2Cor 5,7) chiamata a vivere “una vita nuova” (Rm 6,4) plasmata dalla relazione con Cristo. – Forme di relativismo e di indifferenza. Tutto questo provoca una sorta di smarrimento. Si richiama il forte bisogno di senso racchiuso nel cuore dell’uomo. Tanti, disgregati interiormente, vivono depressioni psicologiche, ansia, senso di solitudine. Come precedentemente affermavo è paradossale che nella grande società della comunicazione ci sia un diffuso senso di solitudine29. Cresce l’incertezza e il disorientamento; aumentano le paure, non si ha 29 Per una lettura della società contemporanea Cf. A. ARDIGÒ, L’universo di fronte al III millennio: interrogativi esistenziali ed etici, in Il futuro come responsabilità etica, a cura di F. COMPAGNONI e S. PRIVITERA, Atti del XIX Congresso nazionale dell’ATISM (2000), San Paolo 2002. 324 LUCANGELO DE CANTIS voglia di pensare in termini progettuali al futuro, si vive il presente con angoscia. Dinanzi a questa realtà il cristiano autentico è chiamato ad essere un uomo che ama la vita, la promuove, la difende, la serve, se ne interessa con passione (cf. CVMC 43). – Scarsa trasmissione della memoria storica. È urgente assumersi la responsabilità di trasmettere pazientemente il senso di ciò che ci ha preceduti […]. Senza questo allargamento dello sguardo fino ad abbracciare la dimensione storica delle nostre esistenze personali e comunitarie, non saremo capaci di far fronte alle sfide della globalizzazione30, la quale amplia sì gli orizzonti spaziali delle nostre vite, creando grandi e sempre nuove opportunità, ma in realtà restringe quelli temporali appiattendoci sul presente […] (CVMC 42). La fede cristiana è una fede fondata sulla memoria. Il popolo d’Israele vive continuamente la memoria dell’Alleanza, della Pasqua, si ricorda del cammino che il suo Dio gli ha fatto percorrere. Tutta la fede biblica è una memoria tramandata: “Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6,4-7). Gesù entra nella storia del suo popolo e con la sua vita, con il suo donarsi ci dona il memoriale perpetuo dell’amore di Dio per l’umanità. Siamo chiamati a ricordare con la nostra vita di Chiesa un amore immenso per questa nostra storia, per questo nostro tempo, richiamando le origini storiche della nostra fede. Siamo chiamati a fare ritorno con la memoria all’anno 0, a permettere attraverso la nostra vita, libera da tutto ciò che Cristo non è, a trasmettere l’amore perenne di Dio per l’uomo. 3. Ri–appassionarsi alla missione: il “paradosso cristiano”, dono per l’umanità La Chiesa sceglie di entrare sempre più in dialogo con la storia. Non si concepisce un cristianesimo disincarnato. Occorre accoglie30 Circa il fenomeno della globalizzazione cf. G. MARTIRANI, Il drago e l’agnello, Paoline 2001. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 325 re le risorse e i rischi del nostro mondo e amarlo. “Dio ha tanto amato il mondo da donare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16). Gli Orientamenti pastorali, mostrando la nostra identità cristiana e aiutandoci a riflettere sulla realtà del nostro mondo, mirano ad aiutarci ad entrare in dialogo con esso accompagnando le attese della nostra storia con la trascendenza del Vangelo (cf. CVMC 35). Se la Chiesa perdesse il contatto con la storia smarrirebbe la sua identità correndo il serio pericolo di una spiritualità intimistica che non ha il sapore di Cristo. Proprio la dedizione a questo compito ci chiede di essere disposti anche a operare cambiamenti, qualora siano necessari, nella pastorale e nelle forme di evangelizzazione, fiduciosi nella parola di Cristo: Duc in altum! (CVMC 32). Risulta necessaria una conversione pastorale che imprima un dinamismo missionario alla Chiesa. È questa un’urgenza da vivere ad intra e ad extra. Gli Orientamenti individuano tre livelli (ambiti) specifici ai quali rivolgere l’attenzione per un’autentica pastorale missionaria che coinvolga l’intera comunità e non solo degli “specialisti”, quali potrebbero essere considerati i missionari (cf. CVMC 46). Il primo livello è la comunità eucaristica (CVMC 47-55), chiaramente incentrato su tutti coloro che partecipano assiduamente all’Eucaristia; ci ricorda che i primi che hanno bisogno di essere evangelizzati, siamo noi. “La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera se noi per primi non fossimo contemplatori del volto di Cristo”31. L’Eucaristia, sorgente e culmine dell’esperienza del Cristo e della vita ecclesiale, sollecita a maturare una fede adulta e “pensata” che fa unità in Cristo dei vari aspetti della vita, per cogliere le attese che vengono dalla storia e testimoniare il Vangelo della gioia e della speranza. È necessario passare da una liturgia formale ad una liturgia “veicolo del mistero”, che formi al dono del Cristo. “La valorizzazione della liturgia non mira a sottrarci al rapporto vitale con il mondo di ogni giorno” (CVMC 50). È interessante il desiderio emergente e urgente di formare perso31 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Ap. Novo millennio ineunte, n. 16-17. 326 LUCANGELO DE CANTIS ne adulte nella fede per un’autentica comunità cristiana missionaria32. La proposta è quella di attingere forza all’Eucaristia celebrata, dove la Parola e il Pane, diventano fonte e forza per il vissuto sociale cristiano. Chi celebra con verità e consapevolezza l’Eucaristia non può assistere con superficialità o indifferenza alle vicende dal mondo. La celebrazione liturgica è incontro salvifico con Cristo da cui parte quel movimento di vita “secondo lo Spirito”, che è il primo e fondativo movimento da cui tutto parte e tutto s’irradia. Il cristiano adulto si impegna ad essere cittadino consapevole e maturo, artefice anche di progetti concreti che illuminano il contesto sociale. Nessuno è escluso da questo compito, ognuno con la propria vocazione è chiamato all’umanizzazione del mondo secondo il Vangelo. L’Eucaristia ci aiuta anche a riscoprire questa nostra identità ecclesiale: “siamo corpo di Cristo” (cf. 1Cor 12), e tutti partecipiamo della sua missione. La Parrocchia, dove si celebra l’Eucaristia e si vive la comunione, è chiamata a riscoprirsi come luogo dell’incontro con Cristo e con i fratelli che condividono la stessa fede (cf. CVMC 47). Perché la Parrocchia viva quest’identità, probabilmente è quanto mai necessaria una conversione di noi, pastori33. Conversione è anzitutto “morire a noi stessi”, ricentrare l’obiettivo del nostro ministero sacerdotale, Gesù Cristo. Conversione è sentirci in comunione con gli altri Presbiteri, partecipi di un immenso dono comune che ci fa veri fratelli. Conversione è vivere un’umanità più disponibile a creare famiglia, dove ognuno riscopra la bellezza della propria identità vocazionale. Una Parrocchia, impostata secondo tali criteri, sostenuta da un costante contatto vitale con la Parola, diviene eucaristia vivente, luogo naturale per attingere forza e luce per una testimonianza cristiana efficace. Il secondo livello della missionarietà della Chiesa è La comunità 32 A questo proposito, potrebbe risultare utile la lettura del “Progetto pastorale degli anni ’90 per la Chiesa di Taranto”: B.L. PAPA, La Chiesa di Taranto e la nuova evangelizzazione. Formare persone adulte nella fede e comunità cristiane missionarie solidali con i bisogni del territorio, Taranto 1991. 33 Cf. G. MACCHIONI, Evangelizzare in Parrocchia. Il metodo delle cellule, Ancora, Milano 1994. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 327 dei Battezzati (CVMC 56-62). È l’attenzione degli Orientamenti rivolta ai cristiani di confessioni diverse dalla nostra: Il riferimento al battesimo richiama anzitutto al nostro pensiero i cristiani appartenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiali, coloro che credono e hanno ricevuto debitamente il battesimo (CVMC 56). È richiamato fortemente l’impegno nell’ecumenismo come criterio per verificare la nostra fedeltà al Vangelo e come scuola per camminare insieme nelle diversità, cercando di dare concretezza alla preghiera di Gesù: “Padre che siano tutti una cosa sola” (Gv 17,21). Inoltre, è necessario rivolgere la nostra attenzione a quanti, pur inseriti in Cristo per il grande dono del Battesimo, hanno rapporti deboli con Lui e sporadici con la comunità ecclesiale. Essi vanno aiutati a rivitalizzare il loro vincolo con Cristo nella Chiesa. Quanto più la Chiesa sentirà di essere segno e strumento di salvezza per l’umanità, tanto più rinvigorirà il suo slancio pastorale valorizzando i momenti di possibile rapporto con questi battezzati: celebrazione del sacramento del matrimonio, sacramenti dell’iniziazione cristiana a figli e parenti, funerali e preghiere per i defunti, ecc. (cf. CVMC 57). Penso che, in tali occasioni, momento favorevole per incontrare la vita di questi fedeli potrebbe essere l’omelia. Essa non è una scuola di esegesi, o un’occasione per interventi paternalistici, moralistici, o per dare avvisi di iniziative pastorali. Strettamente legata alla Parola di Dio (come la prassi della Chiesa in ogni rubrica liturgica raccomanda!) essa può contenere una forza straordinaria perché, con la ricchezza della Parola, incontra il quotidiano dei fedeli comunicando motivi di gioia e speranza per il vissuto. Occorre, poi, una creatività missionaria per inventare nuove forme di comunicazione e di incontro: dialogo sulle problematiche mondiali, sociali, familiari e personali, impegno comune negli ambienti di vita, della cultura e del lavoro, iniziative solidali a favore dei poveri e degli ultimi, ecc. (cf. CVMC 58 e 62). La vita parli della nostra fede. È meraviglioso e illuminante a questo proposito il n. 62 degli Orientamenti. Ogni cristiano, sull’esempio di Gesù, è chiamato a farsi prossimo, “buon samaritano” dei piccoli, dei soli, dei 328 LUCANGELO DE CANTIS poveri. Siamo chiamati ad essere Chiesa guardando i bisogni di chi ci sta intorno facendoci vicini, prendendoci cura di chi vive disagi e solitudini. Una Chiesa che sceglie insieme di vivere la fedeltà al Vangelo, incoraggerà tanti battezzati spesso delusi della nostra poca credibilità. Se i primi due livelli, di cui sopra, sono assunti seriamente e responsabilmente, saremo aiutati ad allargare il nostro sguardo alla comunità planetaria (CVMC 46 e 58), a quanti hanno aderito ad altre religioni e ai non battezzati presenti nelle nostre terre e nel mondo. È questa la missione ad gentes, chiamata a riprendere significato e vigore nelle nostre comunità ecclesiali. L’allargamento dello sguardo verso un orizzonte planetario aiuterà le nostre comunità a non chiudersi, ma ad attingere risorse di speranza e intuizioni apostoliche nuove guardando a realtà spesso più povere materialmente, ma non a livello spirituale e pastorale. È anche necessaria un’attenzione evangelizzatrice nei confronti di uomini e donne condotti tra di noi dalle migrazioni. La Chiesa nasce missionaria su mandato del Risorto (At 1,8). La sua missione non è nata per volontà di uomini ma in obbedienza alla volontà esplicita di Gesù. Anzi, la radice profonda della missione della Chiesa è la Santissima Trinità che da sempre decide di comunicarsi agli uomini: “La Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria, essa trae origine dalla missione del Figlio di Dio (Lc 4,49) e dalla missione dello Spirito Santo (Lc 24,49) secondo il disegno di Dio Padre” (AG 2). L’annuncio e la testimonianza degli apostoli, al pari della passione, morte e risurrezione di Gesù, è parte integrante dello stesso disegno salvifico di Dio (Lc 24,46). Mi sembra si possa affermare con facilità che l’aiuto essenziale che san Giovanni della Croce può donarci oggi nell’annuncio della fede è il suo desiderio di guardare al cuore del messaggio che la vita credente annuncia, nutrirci di esso perché sia credibile la Parola che attraverso la nostra vita continua a farsi carne. Sento qui il bisogno di fare accenno alla forza della preghiera così come ne parla san Giovanni della Croce perché essa è strada privilegiata che aiuta ad assimilare in noi il pensiero di Cristo perché il nostro vissuto sia credibile nella comunità eucaristica, nella comunità dei battezzati e nella comunità planetaria. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 329 Egli usa il termine “preghiera” con parsimonia perché esso potrebbe sembrare riferirsi semplicemente ad un metodo e, pur essendo questo importante, san Giovanni della Croce racconta come l’uomo sia chiamato a trasformarsi in preghiera nel suo cammino di unione con Dio. Solo “uomini fatti preghiera” diventano annunciatori appassionati e credibili del Suo volto. Preghiera è conversazione costante con Dio forza e luce del credente. In tutte le nostre necessità e difficoltà e in tutti i nostri travagli noi non abbiamo altro aiuto migliore e più sicuro della preghiera e della speranza che il Signore provvederà con quei mezzi che a Lui piaceranno. Quando mancano i mezzi e la ragione non arriva a provvedere nelle necessità, ci resta solo di elevare i nostri occhi a te, perché Tu provveda come meglio ti piace34. L’esortazione di fondo che anche oggi è vitale nello stile della missione della Chiesa è: “Rivolgiti a Dio” come fonte della fecondità dell’annuncio. Si può certamente pregare per avere la forza nel domani, per invocare la misericordia, per le tante concrete necessità che attraversano la vita e la storia, ma non bisogna mai dimenticare che ogni bisogno è sintomo del bisogno più grande di vita piena che l’uomo porta in se. La preghiera è la forza che corrobora la comunità eucaristica, rinvigorisce la comunità dei battezzati, custodisce e diffonde l’annuncio nella comunità planetaria. Invero è più prezioso al cospetto del Signore e dell’anima e di maggior profitto per la Chiesa un briciolo di puro amore che tutte le sue opere insieme35. Quelli dunque che sono molto attivi e che pensano di abbracciare il mondo con le loro molte prediche ricordino che sarebbero di maggior profitto per la Chiesa e molto più accetti a Dio se spendessero almeno la metà del loro tempo nello starsene con Lui in preghiera, anche se non fossero giunti a una preghiera così alta come questa. Certamente allora con minor fatica otterrebbero più con un’opera che con mille per il merito della loro preghiera e per le forze spirituali acquistate in essa36. C’è una straordinaria vitalità nel cuore di chi custodisce lo spiri34 2S 21,5. CB 29, 2. 36 CB 29,3. 35 330 LUCANGELO DE CANTIS to di preghiera, è uno “starsene con Dio” che abita la vita del credente: Entri nel suo intimo e lavori alla presenza dello Sposo, il quale è sempre presente e le vuole bene37. Lo sguardo di Dio produce nell’anima quattro beni; la purifica, l’abbellisce, l’arricchisce e la illumina38. La “Chiesa bella di Vangelo” è il tempio vivo che nella preghiera si nutre del suo Signore per esserne trasparenza nella storia. 4. San Giovanni della Croce e l’educazione familiare Ci pare opportuno chiedere per gli anni a venire un’attenzione particolare ai giovani e alla famiglia39. Questo è l’impegno che affidiamo e raccomandiamo alla comunità cristiana (CVMC 51). Gli Orientamenti richiamano in primo luogo una grande attenzione verso i giovani che occorre ascoltare, seguire e iniziare ad un’esperienza religiosa che punti sull’essenziale (preghiera, Parola di Dio, sequela di Cristo, Eucaristia, testimonianza di carità), sull’accoglienza dei valori umani, sull’importanza di vivere scelte autentiche di libertà per assumere con intelligenza le proprie responsabilità in campo ecclesiale, civile e politico. Occorre cogliere la loro ricerca di autenticità e il loro anelito alla vera libertà, dando fiducia alle loro persone, guardandoli con simpatia e mai con diffidenza e rassegnazione. Ai giovani non possiamo offrire una vaga proposta religiosa che sfiora soltanto la loro vita perché tradiremmo i giovani e tradiremmo la fede cristiana. Un’educazione alla fede che non facesse riferimento alla vita e non avesse riscontro nella vita, non sarebbe un’educazione alla fede vera. Occorre saper creare veri laboratori della fede40, in cui i giovani crescano, si irrobustiscano nella vita spirituale e diventino capaci di testimoniare la Buona notizia del Signore (CVMC 51). 37 D 11. CB 19,6; 32, 6; 33,1. 39 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millenno ineunte, 9; 40; 47. 40 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Omelia durante la veglia a Tor Vergata per la XV Giornata Mondiale della Gioventù, 2-3: OR, 21-22 Agosto 2000, 4 -5. 38 IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 331 Un’attenzione particolare è rivolta agli ambienti scolastici e universitari, affinché i giovani possano incontrare luoghi significativi per la loro formazione. Decisivo risulta anche un accompagnamento nel discernimento vocazionale per aiutare ciascuno a vivere la propria vita in modo pieno, secondo il progetto di Dio che, scoperto e valorizzato, può donare a un cuore umano di vivere la dimensione autentica della propria pienezza e generare autentica gioia. Nostro compito è quello di accompagnare i giovani nella scelta vocazionale sino alla soglia del Mistero, avendo massima cura di rispettare la libertà di Dio e del battezzato che deve valutare, con senso di responsabilità, la proposta che viene dall’Alto41. Ogni autentico educatore è chiamato ad accompagnare le scelte di ciascuno senza mai influire sulla libertà personale. Per quanto riguarda la famiglia va ricordato che essa è il luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, nonché dell’esperienza e della trasmissione della fede.[…] Spetta dunque anzitutto alle famiglie comunicare i primi elementi della fede ai propri figli, sin da bambini. Sono esse le prime scuole di preghiera, gli ambienti in cui insegnare quanto sia importante stare con Gesù ascoltando i Vangeli che ci parlano di lui. I coniugi cristiani sono i primi responsabili di quella introduzione all’esperienza del cristianesimo di cui poi chi è beneficiario porterà in sé il seme per tutta la vita (CVMC 52). La famiglia è il contesto primario ed insostituibile per l’educazione delle giovani generazioni. Essa è anche il luogo privilegiato in cui è possibile vivere l’esperienza della fede ed imparare a conoscere il messaggio evangelico. Il primato riconosciuto alla famiglia nell’ambito dell’educazione alla fede deve essere accompagnato dal sostegno che le comunità parrocchiali possono offrire ad essa, per accompagnarla in tale compito. A causa del ruolo delicato e decisivo riconosciuto alla famiglia, gli Orientamenti invitano ad un particolare accompagnamento delle famiglie che miri ad una forte riscoperta dell’identità vocazionale propria del sacramento nuziale. “Famiglia, riscopri e contempla ciò che sei”, meraviglioso segno dell’amore sponsale di Cristo per la Chiesa. Pensando alle coppie e alle famiglie in difficoltà, i vescovi italiani contano sulla 41 B.L. PAPA, Comunicare il Vangelo ai giovani e alle famiglie. Scelta pastorale prioritaria per il biennio 2002-2004, Collana “Cataldus”, n. 25, Taranto 2002, 24. 332 LUCANGELO DE CANTIS solidarietà tra le famiglie e su nuove forme ministeriali tese ad ascoltare, accompagnare e sostenere nei momenti di crisi. Per sostenere la compagine domestica si indica come scelta fondamentale quella di “riuscire a stabilire, da parte delle comunità cristiane, attraverso i presbiteri, i religiosi e gli operatori pastorali, rapporti personali con ogni famiglia in un tessuto nuovo, veramente capillare” (CVMC 52). La Parrocchia può, quindi diventare il luogo dal quale tessere quella rete di solidarietà che sostiene la famiglia, alimentando la comunicazione e lo scambio reciproco per l’avvento di una comunità educante. La famiglia è un contesto affettivo, di apprendimento e di esperienza in cui il soggetto costruisce la propria identità e la propria capacità di mettersi in relazione con gli altri. Rappresenta la prima scuola nella quale la persona può imparare a conoscere Gesù e vivere l’esperienza dell’amore. La famiglia è una scuola di tenerezza, di reciprocità, di amore, di perdono. È attraverso queste sue qualità specifiche che essa può offrire alle giovani generazioni e alla comunità cristiana nel suo insieme un contributo eccezionale. Nell’amore che abita il nucleo domestico è possibile riconoscere il riflesso dell’amore di Dio, attraverso l’esperienza concreta della relazioni familiari è possibile conoscere il messaggio evangelico. Necessita oggi soprattutto una grande maturità affettiva che permetta ai giovani di consolidarsi su percorsi che aiutano a vivere in modo stabile la propria adultità, il proprio mondo affettivo - relazionale. La sociologia definisce la nostra società “liquida” (Zygmunt Bauman) e come ogni liquido non possiede una propria forma definita e stabile. È una metafora che fotografa bene il contesto culturale e sociale in cui viviamo dove tutto sembra attraversato da un continuo e profondo cambiamento. Mi piace pensare che san Giovanni della Croce possa dare un forte contributo ad una crescita affettiva che permetta all’uomo di vivere radicato la sua vita in modo robusto e significativo. Nessuno mai riuscirà a comprendere la realtà e tanto meno il senso della propria esistenza se non fa esperienza d’amore, un amore concreto, pieno e maturo; un amore che non alieni, ma che al contrario permetta di aderire perfettamente alla realtà, anche quando imbat- IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 333 tersi in essa è passare attraverso il crogiolo della sofferenza che purifica e rafforza. Vivere un’affettività matura significa scoprire esperienzialmente il senso ultimo e profondo dell’esistenza e della realtà. Il percorso vissuto da san Giovanni della Croce ci dimostra che è indispensabile per questo cammino di maturità un’antropologia teologica, l’uomo infatti non potrà mai raggiungere una sua perfezione autonomamente, solo la risposta alla chiamata soprannaturale lo perfeziona e lo completa portando a pienezza la sua esistenza. Nel campo umano si può già notare come la legge della vita naturale consista in questo continuo impatto con la realtà e con gli altri, in un incessante superamento. Il bambino per “venire alla luce” dovrà soffrire e piangere, diversamente non riuscirà a sopravvivere. C'è insito nella vita umana un bisogno di dipendenza, di patire e reagire, che rimanda a qualcosa di molto più profondo e che, in ultima analisi, svela il senso ultimo dell'esistenza. Per tal motivo la crescita dell'essere umano non può verificarsi senza lo sviluppo dell'affettività intesa in senso onnicomprensivo. L'adolescente non può diventare adulto senza il superamento delle sue fasi fantastiche e l'accoglienza della realtà, in una donazione totale di se stesso. Così pure l'alienazione psicologica e mentale coincide con l'alienazione dalla realtà, con un blocco interiore che non permette di aprirsi e di donarsi agli altri, ma che fa credere, paradossalmente, di essere a un tempo isolati e onnipotenti, allontanandosi sempre più dalla verità. In questo senso si è un po’ tutti alienati quando non si raggiunge la dimensione richiesta dalla medesima costituzione creaturale. L'uomo, infatti, è un essere essenzialmente relazionale, e soltanto tramite un'autentica relazione può crescere, sempre più svilupparsi e realizzarsi. Quando, invece, si resta isolati nel proprio mondo egoistico e, quindi, infantili nell'amore, si rimane disgregati e si confonde la realtà con la percezione soggettiva delle cose. Soprattutto nella nostra epoca si rischia di volere tutto secondo la logica del profitto e consumo; tutto diventa oggetto, anche il soggetto che sta di fronte. Anche quando il soggetto è Dio, l’uomo non fa altro che percepirlo secondo la sua limitata esperienza, strumentalizzandolo e restringendolo secondo meschine vedute. Mentre al contrario egli è chia- 334 LUCANGELO DE CANTIS mato a svilupparsi integralmente comunicando con questo Dio: Soggetto vivo e reale che prende l'iniziativa e si lascia incontrare. Solo attraverso questo incontro diretto che unifica l'intera esistenza, l'uomo potrà espandersi e uscire da sé per diventare, a Sua somiglianza, dono d'amore. 5. Mistica e missione ecclesiale Appare evidente dalla lettura degli Orientamenti che la totalità della Chiesa, l’intero corpo mistico, è chiamato a partecipare della missione del Cristo, nessun discepolo è escluso dal mandato missionario. Le conclusioni e l’appendice degli Orientamenti sottolineano lo stile della missione, richiamando ancora una volta la necessità di un’evangelizzazione che parta dall’interno: siamo inviati perché discepoli, evangelizzatori perché per primi ci lasciamo evangelizzare da Cristo. L’evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù, il “primo e più grande evangelizzatore”42. Solo seguendo Cristo, sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario conforme a quello del Servo. Il Verbo ha compiuto la sua missione scendendo, calandosi in ogni nostra oscurità, con umiltà e con un profondo amore per gli uomini. Anche la Chiesa, allora, non potrà seguire altra via che quella della Kènosis per rivelare al mondo il Servo del Signore[…]. L’unico modo per rivolgersi agli uomini in maniera conforme alla grazia ricevuta è quello di parlare loro in ginocchio (CVMC 63). Per tale motivazione in questo lavoro ho accostato lo studio di san Giovanni della Croce alla riflessione che nell’oggi della storia la Chiesa intera va compiendo. Egli ci invita a contemplare con occhio amante e penetrante il mistero di Dio, mi ha condotto per mano a motivare lo stare con Dio come sorgente della fecondità dell’annuncio. È questa la via che porta alla fecondità: la Chiesa umile e serva, che scende accanto agli uomini, soffrendo con loro in ogni debolez42 PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, 7: EV 5/1599. IL CRISTO “TODO”, PIENEZZA DELL’ITINERARIO DI “UMANAZIONE”... 335 za, può trasmettere davvero il Verbo della vita fino a far rinascere la speranza e la gioia nei cuori degli uomini (CVMC 64). Sono espressioni meravigliose che, se realmente e comunitariamente vissute, illuminano l’intero vissuto ecclesiale. La Chiesa, come ha espresso chiaramente il Concilio, “mira a questo solo: a continuare, sotto la guida dello Spirito Paraclito, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza della verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” (GS 3). Quest’identità è da vivere in una Chiesa “casa e scuola di comunione” (CVMC 65). Consapevoli di essere noi per primi amati e perdonati gratuitamente, siamo chiamati a non guardare l’altro con sospetto ma come “uno che mi appartiene”. Con lui potrò rallegrarmi della comune misericordia, potrò condividere gioie e dolori, contraddizioni e speranze […]. Soltanto se sarà davvero casa di comunione, resa salda dal Signore e dalla Parola della sua grazia, che ha il potere di edificare (cf. At 20,32), la Chiesa potrà diventare anche scuola di comunione (CVMC 65). La “comunione dei santi” (caratteristica dell’essere Chiesa) si renderà più serena e visibile se sarà viva la nostra “comunione al Santo”, Gesù Cristo. Ogni espressione della vita della Chiesa deve essere caratterizzata da una vitalità comunionale. Perché la Chiesa sia casa e scuola di comunione non ci si può accontentare di mettere in atto gesti episodici di comunione ma occorre dilatare gli spazi della comunione in modo vasto, tanto da fare della comunione il clima distintivo della Chiesa, l’aria che respiriamo. La comunione è fondata sul Battesimo che riceviamo ed è alimentata dall’Eucaristia. Il modello di Chiesa evangelico è quello che considera la Chiesa mistero di comunione. L’analisi di “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, mi ha permesso di riflettere con maggiore consapevolezza sul primato dell’evangelizzazione nella comunicazione pastorale. Mi piace pensare che Dio sogna una Chiesa capace di ritrovare la gioia e la freschezza dell’età apostolica, dove tutti i cristiani, coinvolti dal dinamismo della fede siano comunicatori appassionati del Signore Gesù. Chiunque scopre in Cristo la gioia della vita non può tenere per sé tale esperienza ma sente il bisogno interiore 336 LUCANGELO DE CANTIS di comunicarla agli altri. Tutti siamo chiamati ad “andare nella vigna del Signore” (cf. Mt 20,7) sentendoci corresponsabili della comunicazione del Vangelo, ad annunciare che la fede cristiana interessa la totalità della persona umana in tutte le sue espressioni, individuali e comunitarie. Nel proporre una forte esperienza di evangelizzazione occorre pensare a una modalità di incarnare la fede nella nostra vita. Le parole di Gesù – “voi siete la luce del mondo… voi siete il sale della terra” (Mt 5,13-14) – risvegliano il senso della nostra missione e ci incoraggiano a recuperare un rapporto forte con il sapore della nostra vita cristiana, Gesù Cristo, e ad essere strumenti umili e appassionati della sua presenza. Quanto san Giovanni della Croce e i mistici possano dire alla riflessione teologica e pastorale contemporanea è un’esigenza da riscoprire sempre più. Anche l’uomo apparentemente distratto, dinanzi ad una proposta di Vangelo intrecciata in vite appassionate, credibili e semplici, si sente interpellato. Una vita radicata nel mistero non dona risposte ma suscita domande che sgorgano dalla verità più intima di ogni essere umano creato ad immagine e somiglianza di Dio. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA” Riflessioni a 10 anni dal discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona Prima parte Mino Ianne* 1. L’Europa destino storico del Cristianesimo Ricorrono, quest’anno, i dieci anni dalla celebre lectio magistralis “Fede, ragione e università - Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006 dal papa Benedetto XVI all'università di Ratisbona1. In quella occasione il pontefice-teologo riproponeva, in una sintesi di rara efficacia, questioni decisive per l’esserci stesso del cristianesimo nel mondo; questioni che oggi paiono non essere più all’ordine del giorno della riflessione culturale ed ecclesiale e che, invece, consentono di comprendere il significato universale delle radici europee della cultura cristiana. Osserva il papa Benedetto a Ratisbona: Il vicendevole avvicinamento interiore che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quella della storia universale: un dato * Università di Bari-Dipartimento Jonico. Dottore di ricerca in Filosofia Antica all’Università di Roma-Tor Vergata. 1 BENEDETTO XVI, “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”, discorso all’Università di Ratisbona, 12 settembre 2006, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. II, 2/2006, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, 257-267; anche in La Traccia 9/2006, 893-901; il testo, con numerosi saggi di commento, anche in BENEDETTO XVI, Dio salvi la ragione, Cantagalli, Siena 2007. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 337-366 338 MINO IANNE che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro non è sorprendente che il Cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante in Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa2. L’Europa è il luogo in cui l’uomo ha fatto esperienza della verità per la via del lÒgoj: il Cristianesimo, accettando la filosofia greca, accoglie il vasto campo della ragione in tutta la sua ampiezza; dice Benedetto nel suo discorso: “Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza, è il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica entra nella disputa del tempo presente”. Risiede, forse, il questa frase la comprensione dell’importanza di fare memoria del Discorso di Ratisbona: ripensare in forma radicale il nesso totale che unisce la ragione alla fede è la via che consente una seria proposta culturale ed esistenziale del cristianesimo contemporaneo nel mondo3. La sfida che, infatti, il Cristianesimo deve affrontare nell’epoca della “dittatura del relativismo”4 è la riduzione della fede all’insignificanza, confinata come fatto privato nel mercato dei sentimenti e, al più, accettata nella funzione di assistenzialismo sociale, di rivendicazionismo sindacale, di richiamo all’etica kantiana dei valori comuni. Poiché il relativismo si presenta “come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi mo2 In Insegnamenti, cit., 262; analogamente J. RATZINGER, Einführung in das Christentum.Vorlesungen über das Apostolische Glaubensbekenntnis, Kösel-Verllag, München 1968, trad it. di Edoardo Martinelli Introduzione al Cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, Biblioteca di Teologia Contemporanea 5, Queriniana, Brescia 1969 e successive edizioni, ultima ed. 2008; qui si citerà dall’ed. 1974, p. 45. Sulla corrispondenza di destino e di missione tra Cristianesimo ed Europa cf. M. PERAJ. RATZINGER, Senza radici. Europa Relativismo Cristianesimo Islam, Mondadori, Milano 2004; J. RATZINGER, Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1992; ID., Fede, Verità, Tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo, Czantagalli, Siena 2003; ID., Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 2004; ID., L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma-Siena 2005; in questi testi, tra l’altro, viene dibattuto a fondo e in modo sistematico il tema del relativismo e il suo nesso con il nichilismo, che sembra presentarsi come la base filosofica delle democrazie occidentali. 3 Cf. R. FISICHELLA, “Verità fede e ragione in J. Ratzinger”, in PATH 1/2007, 27-43, qui 28. 4 J. RATZINGER, Omelia alla Messa “Pro Eligendo Romano Pontifice“, 18 aprile 2005, in L’Osservatore Romano, martedì 19 aprile 2005. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 339 derni”5, una fede chiaramente e integralmente professata viene vista come un intollerabile fondamentalismo. Se vuole essere “moderno” il Cristianesimo deve accettare l’autolimitazione della ragione6; quest’ultima, a partire da Cartesio, identifica la certezza razionale con la sola certezza matematica e, vichianamente, verum è solo il factum, l’unica verità è quella prodotta dalla fattibilità umana7. In questo senso la ragione non è più apertura all’essere e spazio contemplativo del theorein, ma razionalità calcolante valida solo se capace di “produrre”, di “realizzare”, di apportare concreti benefici materiali o psichici. La ratio tecnica e i nuovi saperi della contemporaneità, senza legami con le radici storiche e con la tradizione, appaiono come gli unici criteri della ragione autosufficiente, fondata sul pensiero calcolante e sperimentale. Dentro questo nuovo paradigma di razionalità il cristianesimo deve accontentarsi di essere una religione tra le altre e il processo di deellenizzazione delle originarie categorie della fede appare come una “premessa liberatoria”8 verso il superamento dell’orizzonte metafisico ereditato dal pensiero greco. Nell’epoca “adulta” post-illuminista la fede – si afferma – deve sapersi emancipare dal condizionamento della metafisica greca e dal suo legame con i concetti di vero, bello, buono; i preamboli razionali sono visti come un ostacolo alla purezza della fede originaria e il logos greco come una limitazione regionale di un cristianesimo che, invece, deve aprirsi a tutte le culture9. Due sono gli assi portanti contenuti nel discorso del Papa Ratzinger a Ratisbona che qui si vogliono riprendere: il valore essenziale e irrinunciabile della cultura greca e il connesso dibattito moderno-contemporaneo sulla deellenizzazione. Entro queste due direttrici si condensa l’unica e più ampia problematica che è quella del nesso tra fede e ragione. Un nesso sul quale ha insistito Giovanni Paolo II, per il quale 5 Ibidem. Cf. J. RATZINGER, L’Europa di Benedetto, cit. 48-49. 7 Cf. J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, cit., 32-35. 8 G. COTTINI, “Deellenizzazione e inculturazione della fede”, in RTLu XII, 1/2007, 39-55 qui 44. 9 Cf. G. BONTANDINI, Metafisica e deellenizzazione, Vita e Pensiero, Milano 1975, 67-68 e 94. 6 340 MINO IANNE non vi è “competitività tra la ragione e la fede: l’una è nell’altra e ciascuna ha un suo spazio proprio di realizzazione”10. Ma la posizione che esprime Benedetto XVI a Ratisbona pare essere più radicale; per lui la congiunzione “e” nel sintagma “fede e ragione” sembra inutile e ambigua, perché la ragione, con l’assunzione delle categorie del pensiero greco, è diventata parte integrante della fede: il lÒgoj greco e il lÒgoj della fede si identificano, laddove la parola lÒgoj è accolta in tutta la complessità semantico-teoretica del pensiero ellenico e, in questo senso, la tradizione greca entra strutturalmente a far parte della fede cristiana. La radice stessa dell’agire morale sta nell’agire con lÒgoj; il Dio del Cristianesimo è un Dio che è LÒgoj e agisce con lÒgoj e incontra il lÒgoj umano. Di qui il rifiuto radicale del Papa Benedetto per ogni forma di deellenizzazione della fede, pena la sua riduzione all’insignificanza nell’alveo della ragione calcolante della modernità. 2. La cultura greca viatico dell’annuncio cristiano Il celebre passo degli Atti degli Apostoli 17, 16-34, consente di vedere come, sin dagli inizi del cristianesimo, viene messa a tema la questione – che nasce da una forma mentis tutta greca – del rapporto tra fede e ragione; questione che, da allora, è rimasta all’ordine del giorno del pensiero che vede la religiosità coincidere con l’interesse, integralmente umano e razionale, per il significato totale della vita. La cultura greca è il “luogo” in cui questa riflessione ha potuto assumere quella consistenza umana e intellettuale entro la quale radicare l’annuncio del Vangelo. In effetti, pur nascendo in Palestina e in ambiente giudaico, la lingua con la quale l’evento cristiano viene comunicato e proposto, sin dall’inizio, è la lingua greca. Che la cultura classica greca e romana faccia parte del patrimonio storico della civiltà occidentale e che essa sia stata accolta, in gran parte salvata e valorizzata dalla Chiesa cattolica è nozione acquisita alla consapevolezza storica. La 10 GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Fides et ratio, 17, in AAS, 91 (1999); EE, 8 (19782005), Dehoniane, Bologna 2005 (1. ed. 1998), 1808-2000. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 341 communicatio idiomatum con cui, sin dalle origini, il cristianesimo annuncia la sua fede, sono le lingue ebraica, greca e latina con cui fu composta l’iscrizione posta sulla Croce di Cristo e da allora definitivamente inchiodate al suo Mistero, come già ha notato san Bonaventura11. È ben noto, altresì, che evento storico-simbolico e, sotto tanti aspetti, paradigmatico, dell’incontro tra antichità classica e annuncio cristiano, sia considerato il discorso pronunciato da San Paolo nell’Areopago di Atene, così come viene riportato da Luca, nel citato passo di At 17, 16-34. Lo stesso sviluppo narrativo con cui l’autore degli Atti presenta la predicazione di Paolo dà la misura della consapevolezza che già i primi cristiani avevano della centralità dell’incontro nell’Areopago tra il fatto cristiano e il logos greco. Un evento che appare decisivo per comprendere tutto lo sviluppo storico del cristianesimo e che Luca presenta addirittura come conseguenza di una precisa volontà divina. Va messo in rilievo che, nel contesto del mondo antico nel quale è sorta, la religione cristiana, a differenza di altre, non propone una dottrina esoterica, ma annuncia a tutti le sue convinzioni. Si presenta, così, sin dal primo cristianesimo, un problema la cui questione centrale è stata riassunta dal prof. Joseph Ratzinger, nel lontano 1959, in occasione della prolusione tenuta all’Università di Bonn, quando si insediò nella cattedra di Teologia Fondamentale12. L’intera tematica affrontata in quello studio è stata poi ripresa e ampliata nei capp. II-IV della successiva e fondamentale opera di Ratzinger Introduzione al Cristianesimo. Il teologo bavarese parte dalla considerazione che “se è essenziale, per il messaggio cristiano, essere non una dottrina segreta esoterica per una limitata cer11 Bonaventura, In Hexaëmeron 14.19, dice che Cristo “habuit tres filios, scilicet Graecos, Iudeos et Latinos: qui scriptus erat titulus litteris Graecis, Hebraicis et Latinis”. 12 Il testo della prolusione all’Università di Bonn, per la prima volta pubblicata dalla casa editrice Schnell & Steiner, München-Zürich 1960, ora in J. RATZINGER, Der Gott des Glaubens und der Gott der Philosophen. Eins Beitung zum problem der Teologia naturalis, Herausgegeben und mit einem Nachwort versehen von Heino Sonnemans, Paulinus Verlag GmbH, Trier 2006, trad it. di Edmondo Coccia Il Dio della fede e il Dio dei filosofi. Un contributo al problema della teologia naturalis, a cura e con postfazione di Heino Sonnemans, Marcianum Press, Venezia 2007. 342 MINO IANNE chia d’iniziati, ma il messaggio di Dio rivolto a tutti, allora è essenziale, per esso, anche il tradurlo verso l’esterno nel linguaggio comune della ragione umana”13. Ecco sorgere, sin dal primo momento, la necessità di rendere ragione della fede14 nel Dio-Logos, come lo chiama Giovanni nella celebre pericope del Prologo del suo Vangelo, che prende a prestito, ma modifica, il primo versetto del Libro del Genesi15. Dice il Papa Benedetto nel discorso all’Università di Ratisbona che Dio è un Dio-Logos perché agisce con logos e attraverso il logos bisogna comprenderlo; dunque, osserva Benedetto, “l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso”; per quanto l’amore sorpassa la conoscenza, aggiunge più avanti citando Ef 3, 19, “tuttavia rimane l’amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è logik¾ latre…a, un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione”. Il sintagma logik¾ latre…a è citazione da Rm 12, 1, dove Paolo con questa espressione definisce il modo nuovo di vivere di coloro che aderiscono alla fede cristiana: “questo è il vostro culto spirituale”, dice la consueta traduzione italiana che, nella versione latina, è tradotta rationabile obsequium. Commentando questa espressione in uno dei discorsi pronunciati in occasione dell’anno paolino 2008, il Papa Benedetto fa notare il limite della traduzione italiana, che non riflette le sfumature del testo greco e neppure di quello latino: all’uomo “nella sua totalità di un essere dotato di ragione” la Chiesa chiede un culto “rationabile” che piace a Dio16. Nella prima sezione del discorso a Ratisbona Benedetto XVI cita l’espressione del dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. Ma la ragione è anche il dato costitutivo dell’uomo17. La cultu13 J. RATZINGER, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, cit., 50. 1 Pt 3, 15. 15 Sull’importanza teologica del versetto iniziale del Genesi, cf., più recentemente, P. BOVATI, “Genesi 1: vivere l’armonia del creato”, in La Civiltà Cattolica 3902/2013, 113-124. 16 BENEDETTO XVI, Il culto spirituale, discorso per l’udienza del mercoledì, 7.1.2009, in L. COCO (a cura di) Pensieri su Paolo. Riflessioni di papa Benedetto XVI in occasione dell'“Anno Paolino" (28 giugno 2008 - 29 giugno 2009), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, prefazione del card. Tarcisio Bertone, introduzione di Edmondo Caruana. 17 Discutendo sul volontarismo scotista che, alla fine del medioevo, in contra14 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 343 ra, cioè l’apertura della ragione alla totalità dell’essere, è la “dimensione fondamentale della persona che in tal modo si apre alla realtà totale cercandone il fondamento”18. Così intesa la cultura può essere considerata un viatico per il cammino della vita e non si identifica con il sapere dei dotti, ma con la capacità di cogliere nel particolare il significato totale, di unire il frammento all’intero19. La realtà fenomenica e storica acquista, così, un significato non altrimenti rinvenibile ed è fonte di continuo stupore; e lo stupore è ciò che mette in movimento la ragione, come hanno capito già i primi filosofi greci20. La letteratura che affronta la relazione tra mondo ellenista e cristiano è aumentata vertiginosamente a partire dalla pubblicazione della tesi di von Harnack alla fine del secolo XIX. Durante il secolo passato questa discussione è diventata un tema classico della teologia, dando seguito a un intenso campo di ricerca che è generalsto con l’intellettualismo agostiniano e tomista, rompe la sintesi tra spirito greco e spirito cristiano, il Papa afferma che l’esagerata accentuazione sulla trascendenza e la diversità di Dio, compromette la comprensione della ragione umana come specchio di Dio; “in contrasto con ciò la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l’analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro e impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore”, BENEDETTO XVI, Fede, ragione e università, cit. 18 M.G. FANTOLI, “L’idea di cultura: una questione rilevante per la riflessione pedagogica”, in Cqia, 11/2010, 9. 19 L’apertura filosofica ai fondamenti dell’essere spiega l’apertura al concetto di “rivelazione” come incontro con la cifra più alta della ragione filosofica, che diventa “ragione radicalmente aperta”, contrapposta ad una “ragione radicalmente chiusa”, H.U. VON BALTHASAR, Das Ganze im Fragment. Aspecte der Geschichtheologie, Verlagstalt Benzinger & Co, Einsiedeln 1963, trad. it. di Laura e Pierangelo Squeri, Il tutto nel frammento.Per una teologia della storia: ecco l’uomo, Jaca Book, Milano 1972, 149. 20 Nella metà degli anni ’50 del secolo scorso un pittore francese, Jean-Francois Millet, ha dipinto un quadro, poi divenuto celebre e oggi conservato al Muée d’Orsay di Parigi, intitolato “L’Angelus”, in cui appare plasticamente rappresentata questa idea della cultura come apertura alla realtà totale: sono ritratti due contadini in piedi che, interrotto il lavoro, recitano la preghiera del mezzogiorno; l’autore ha voluto ritrarre nel contegno di questi umili personaggi l’intensità di vita e di cultura che traspare dalla profondità del gesto della preghiera che dà senso e valore alla fatica quotidiana del loro lavoro. 344 MINO IANNE mente conosciuto come la questione Antike und Christentum21. Nell'ambito di questa vasta tematica viene studiata la relazione della fede cristiana con la cultura greco-romana in tutta la sua vastità. In campo propriamente teologico a questa grande discussione hanno partecipato, in un modo o nell'altro, molti tra i nomi più autorevoli della teologia contemporanea (Joseph. Ratzinger, Karl Rahner, Hans Urs von Balthasar, Jean Daniélou, Wolfang Pannemberg, Oscar Cullmann, Karl Barth, Aloys Grillmeier, Leo Scheffczyk, tra gli altri). Ciascun autore è intervenuto secondo una propria prospettiva, con i principi e i presupposti specifici della propria tradizione teologica e confessionale di provenienza - cattolica, protestante, calvinista, ortodossa o anglicana. In ogni caso va notato che, negli ultimi tempi, sono venute meno posizioni massimaliste e intransigenti, che pretendono di risolvere con apparente facilità la complessa questione del dialogo tra fede cristiana e cultura greca. Così si sono espressi autori come Eginhard Peter Meijering, Leo Scheffczyk, Aloys Grillmeier. Il cristianesimo nasce in una matrice giudaica che conosce un radicato interscambio culturale col mondo ellenico ed in questa ambientazione viene redatto il Nuovo Testamento e proprio nel primo secolo si nota una atmosfera spirituale impregnata di mentalità filosofica e culturale greca in tutta la sua ampiezza e complessità. Wolfang Pannemberg, Caterina de Vogel e Leo Scheffczyk hanno richiamato il fatto che era non solo comprensibile, ma anche obbligato l'interscambio comunicativo tra cristianesimo nascente e filosofia greca. Affrontando gli aspetti positivi e negativi della atmosfera culturale del tempo tutti i teologi della prima patristica, soprattutto Giustino e Taziano, Clemente e Tertulliano, hanno dialogato col mondo culturale greco-romano come chi, formato in quella matrice, comincia a ripensare quella cultura con un nuovo centro di gravità, che porta a una completa riorganizzazione del suo mondo intellettuale. 21 Su questo fondamentale dibattito teologico si veda l’ampia trattazione di J.I. RUIZ ALDAZ, El concepto de Dios en la Teologia del siglo II. Reflexiones de J. Ratzinger, W. Pannemberg y otros, Eunsa, Pamplona 2006 che, nel presente lavoro, è stata ampiamente tenuta in conto. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 345 Ciò appare bene nell’ideale umanistico proposto dalla grecità. Come ha insegnato Werner Jäger, la parola con la quale i greci esprimono il concetto di cultura è paideia, “consapevole ideale di umana perfezione”, che si raggiunge attraverso l’eccellenza dell’areté22. Paolo, arrivando ad Atene, conosce bene questo ideale pedagogico dei greci e, guardando ad altra prospettiva, lo condivide. L’apostolo parla alla cultura ateniese di un Dio-Logos che si rivela al logos dell’uomo; i greci, per loro conto, da secoli indagano sull’¢rc¾, sul principio originario di tutte le cose, l’assoluta perfezione del tutto. Due logoi, non due mentalità contrapposte, si incontrano in quella storica piazza denominata Areopago, riservata alla ratio dei filosofi, dove l’uomo per la prima volta nella sua storia ha fatto esperienza del logos profondo; quel logos che, secondo le sentenze eraclitee, non ha limiti23 e accresce la grandezza dell’anima24; solo esso comprende che la vera sapienza è ciò che governa tutte le cose attraverso tutte le cose25. L’apostolo Giovanni, con lo stesso linguaggio del logos, dice che il Principio originario della realtà, l’¢rc¾, è diventato un particolare tra noi26. E ciò che è logos non è estraneo all’uomo e al suo desiderio di capire e di conoscere27; nel non casuale uso comune della parola logos il linguaggio di Giovanni arricchisce il concetto greco, che ora non è più principio astratto, ma creativo e vitale. Ciò appare evidente se si considera la diversità espressiva del prologo del Genesi con il prologo giovanneo: il primo usa l’aoristo ™po…hsen 22 W. JÄGER, Paideia. Die Formung der griechischen Menschen, Walter de Gruyter & Co, Berlin und Leipzig, I, 1944, trad. It. di L. Emery-A. Setti, Paideia. La formazione dell’uomo greco, La nuova Italia, Firenze, 1978, III voll. qui vol. I, 2. 23 Heracl., fr. 22 B 45DK. 24 Heracl., fr. 22 B 115DK. 25 Heracl., fr. 22 B 41DK. 26 BENEDETTO XVI, enc. Deus caritas est, 1; la sottolineatura della fede come “avvenimento”, su cui tanto insiste il regnante pontefice, consente di capire che il Cristianesimo è incontro con una fatto, con una Persona, e “non è la ‘religione del Libro’, oppure una variante delle dottrine filosofiche, oppure una teoria etica”, G. COTTINI, “Deellenizzazione e inculturazione della fede”,cit., 41. 27 Arist., Meth., I 980a1. 346 MINO IANNE (creò), il secondo l’imperfetto Ãn (era)28; l’espediente linguistico consente all’apostolo di evidenziare la dinamica creativa, sempre in atto, del logos originario29. Questi due logoi, quello biblico e quello greco, si incontrano nell’Areopago della città dei filosofi; entrambi hanno in comune di essere, appunto, due logoi. Non una religione e una scienza, non una favola e una dimostrazione razionale, ma due logoi: il primo è quello del fr. 45 di Eraclito, che accresce se stesso nell’anima, il solo che fa di un uomo un uomo; è un logos che è nell’uomo, frutto della capacità umana, dello sforzo umano e, in ultima analisi, dell’autosufficienza dell’uomo. Il secondo non è nell’uomo, ma fuori dell’uomo, non è frutto di uno sforzo umano, ma è pura gratuità divina: il Logos di Dio si apre al logos dell’uomo e gli conferisce quella misura e quella grandezza che i greci cercano nella cultura, cioè nell’autosufficiente sforzo umano. Il primo ha il nome di Zeus30, usato per comodità linguistica anche dai filosofi per indica28 Cf. M. MORANI, “La parola che mette d’accordo il messaggio e il pensiero”, in L’Osservatore Romano, 22 gennaio 2010. 29 Il principio dell’arché si presenta come intuizione filosofica e religiosa dell’essere; il logos giovanneo è l’atto rivelativo di Dio. Dal punto di vista cattolico i due principi si incontrano, nella considerazione che la filosofia senza religione è vuoto gioco di concetti e la religione senza logos è puro sentimento, cf. J. RATZINGER, La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Ares, Milano 2005² (1996), 30-31. Dal punto di vista protestante di Barth, invece, religione e rivelazione sono su prospettive contrapposte, cf. K. BARTH, Die kirchliche Dogmatik. I/2, Prolegomena zur kirchlichen Dogmatik, Theol. Verl., Zürich 1948, dove l’intero § 17 (sez. III) è dedicato alla trattazione della religione come forma di incredulità dell’uomo senza Dio; nella religione è l’uomo che parla e non si mete all’ascolto di Dio; l’uomo è protagonista della religione, Dio è protagonista della rivelazione. In questa prospettiva non si tratta di due logoi contrapposti, ma della pretesa di un logos umano, a cui Dio, in alternativa, presenta la sua Parola che richiede ascolto passivo. La diversità tra l’approccio ratzingeriano e quello barthiano sta nella contrapposta visione del problema dell’analogia entis. Su Barth cf. l’interpretazione di H. U. VON BALTHASAR, Kark Barth. Darstellung und Deutung seiner Teologie, Johannes Verlag, Einsiedeln 1976, trad. it. di Giovani Moretto La teologia di Karl Barth, trad. it. Jaca Book, Milano, in particolare 54-57; per una introduzione generale al pensiero barthiano, più recentemente, E. Cerasi, Il paradosso della grazia. La teo-antropologia di Karl Barth, Città Nuova, Roma 2006, con ampi rinvii bibliografici. 30 ZenÒj Ónoma, Heracl., fr. 22 B 32DK; cf. Crat. 396ab. Per l’insistenza eraclitea al gioco di parole per indicare l’identità degli opposti, cf. fr. 22 B 48DK b…oj (vita), biÒj (arco). “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 347 re l’Assoluto, come scherzosamente fa Eraclito quando, giocando sul genitivo di zÁn, vivere, identico al genitivo di Zeus, dice che il padre degli dèi vuole e non vuole essere chiamato col suo nome: il vivere implica il morire e appartiene al divenire, non all’essere; ma la divinità è l’essere puro e perfetto, il sostrato immutabile del divenire; il dio è al di sopra del vivere, che suppone il mutamento e il cambiamento, dunque il non essere; il dio è l’immobile e immutabile perfezione dell’istante eterno che non richiede il vivere, perché egli semplicemente è. Questo concetto del Dio che eternamente è e il cui nome è Io sono è Jahvé, il Dio della Bibbia: Io sono colui che sono. Discutendo questo celebre passo dell’Es. 3, 14, il prof. Ratzinger mostra come esso sia uno dei luoghi centrali del generarsi del rapporto tra fede biblica e cultura greca, nonché delle controversie teologiche e filosofiche che questo rapporto genera. In effetti il testo greco della LXX, quella massimamente letta e che più circolava al di fuori dell’area linguistica semitica, traduce la frase Io sono colui che sono con Egë e„mi Ð ên. Al posto della forma attiva del testo ebraico, ripetuta due volte, il testo greco traduce, nel secondo caso, con un participio presente. L’Io sono, nota Ratzinger, diventa Colui che è. Dio rivela, qui, la sua essenza metafisica, laddove essenza ed esistenza coincidono; l’ e„mi esprime l’essenza, l’ ên l’esistenza, nel senso dell’esserci (Dasein dice il testo tedesco). “In tal modo si prendeva una decisione d’incalcolabile portata”31, con effetti ben noti sulla patristica e sulla scolastica. “Quello che è il concetto supremo dell’ontologia e il concetto finale della teologia filosofica appare qui come l’autoaffermazione centrale del Dio biblico”32. Osserva Ratzinger che il Dio biblico di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che si manifesta nel fuoco e si esprime con le parole, è diverso dall’Assoluto dei filosofi, immobilmente statico nella contemplazione della sua perfezione33. Anzi, è lo stesso identico Assoluto che, nel testo biblico, dice Ratzinger, diventa interpellabile dall’uomo; il Dio dei filosofi diventa il Dio di Abramo, di Isacco, 31 J. RATZINGER, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, 28. Ibidem, 29 33 Sull’incapacità dei filosofi di mettere in relazione con gli uomini il pensiero dell’essere, il logos assoluto, cf. J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, 111-116. 32 348 MINO IANNE di Giacobbe, il Dio degli uomini, “il Dio muto e ineffabile dei filosofi è divenuto, in Gesù Cristo, il Dio che parla e ascolta”34. Ed è così che il monoteismo trova la sua giustificazione: L’elemento costitutivo del politeismo, che lo determina come politeismo, non è la mancanza dell’idea di unità, ma l’idea che l’Assoluto, in sé e in quanto tale, non è per gli uomini ‘interpellabile’. Esso, quindi, deve decidersi ad invocare le immagini riflesse dell’Assoluto, che sono finite, cioè gli dèi, che per l’appunto non sono ‘Dio’ neppure per esso. Infatti ‘Dio’, cioè l’Assoluto in se stesso è, per dirlo ancora una volta, non ‘interpellabile’. E l’essenza del monoteismo consiste… nel fatto che esso osa ‘interpellare’ l’Assoluto stesso in quanto Assoluto, come Dio che è nello stesso tempo l’Assoluto in sé il Dio dell’uomo35. 3. La sintesi “necessaria” tra fede biblica e filosofia greca Si comprende così, spiega Ratzinger, che la sintesi operata dalla Chiesa delle origini e dalla Patristica tra fede biblica e spirito filosofico ellenico “fu non solo legittima, ma necessaria per dare espressione alla piena esigenza e a tutta la serietà della fede biblica…Ciò viene a significare che la verità filosofica rientra in un certo senso come elemento costitutivo nella fede cristiana e…che l’analogia entis è una dimensione necessaria della realtà cristiana”36. Il concetto di analogia entis è espresso bene da Sap 13, 5: dalla grandezza e bellezza delle creature si conosce, per analogia, il suo creatore; il principio, in sostanza, corrisponde alla IV via tomista per la prova dell’esistenza di Dio37. L'analogia entis – come viene sintetizzata da Henry De Lubac - è una forma di similitudine o di via mediana tra identità e alterità tra il Creatore e la sua creazione; viene perciò definita via eminentiae tra teologia apofatica (negativa) e teologia catafatica (positiva)38. 34 Ibidem, 43. Ibidem, 41-43; l’autore sviluppa ampiamente la questione dell’interpellabilità e del nome di Dio in J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, 88-97. 36 Ibidem, 44. 37 TOMMASO D’AQUINO, Sum. Theol. I, q. 1, art. 2, sviluppa il concetto di analogia entis sulla base della triplice via dello Pseudo Aeropagita: via affirmationis, via negationis, via eminentiae. 38 Cf. H. DE LUBAC, Sur les chemins de Dieu, Les Éditions du Cerf, Paris 1956, 35 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 349 Di fatto “partire dalla creazione implica l’analogia e un approccio fortemente filosofico”39, cioè la sollecitazione che la realtà dell’essere provoca al logos umano; di qui la corrispondenza tra dottrina cristiana e ragione filosofica40, come già aveva capito bene San Paolo: è attraverso l’opera creativa di Dio che è possibile cogliere la perfezione dei suoi attributi (Rm 1, 20); ciò suppone che, dal punto di vista cristiano, la conoscibilità di Dio richiede la Rivelazione, che sfugge alla riduzione filosofica degli attributi divini41. Non tuttavia fino al punto a cui giunge, a partire dal secolo XIX, la teologia liberale protestante, che prende le mosse, oltre che da Adolf von Harnack, anche dal divieto kantiano della conoscibilità metafisica degli attributi divini42 e, su questa premessa, Bultmann, Barth, Pannemberg43 e altri respingono il motivo cattolico della analogia entis. Esso trova, come è noto, il più importante punto di appoggio nel pensiero di Tommaso d’Aquino, il quale considera questa teologia un prolegomeno indispensabile alla teologia rivelata44. Pertanto, secondo l’Aquinate, non c'è nessun conflitto o antinomia tra analogia entis e analogia fidei, bensì correlazione e armonia: si tratta dello stesso rapporto di correlazione e armonia che egli pone tra fede e ragione45. Del tutto diverso è, su questo argotrad. it. di Marcello Morganti Sulle vie di Dio. L'uomo davanti a Dio, vol. 1 dell'Opera Omnia, Milano, Jaca Book, 1959, nuova ed. aggiornata 2008 (1. ed. it. Paoline, Roma 1959), 128. 39 M. HAUKE, “Gli attributi di Dio”, in RTLu XVI, 1/2011, 8. 40 Sull’approccio argomentativi della Teologia come “discorso su Dio”, cf. L. SCHEFFCZYK, Der Gott Offenbarung. Gotteslehere [Katholische Dogmatik II], Aachen 1996, trad. it. Il Dio della Rivelazione. Il mistero di Dio (Dogmatica cattolica II), Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2011. 41 Cf. M. HAUKE, “Gli attributi di Dio”, cit., 9. 42 Cf. L. SCHEFFCZYK, Il Dio della Rivelazione, cit. 380 ss. 43 W. PANNEMBERG, Questioni fondamentali di teologia sistematica, respinge il concetto analogico dell’essere sulla base di Duns Scoto e Guglielmo di Occam, 449 ss. 44 Nella visione tomista la fede perfeziona ciò che la ragione è in grado di raggiungere con i mezzi suoi propri e questi traguardi sono preambula fidei, per cui la fede presuppone la ragione, così come la grazia presuppone la natura, ST, I, 2, 2, ad 1. 45 Nella vastissima bibliografia sull’argomento si segnala qui, come efficace introduzione, AA. VV., Metafore dell'invisibile. Ricerche sull'analogia, XXXVIII Convegno del Centro di studi filosofici di Gallarate, Morcelliana, Brescia 1984, 292, in particolare E. BERTI, L'analogia dell'essere nella tradizione aristotelico-tomistica, 13-33; 350 MINO IANNE mento, come detto, il punto di vista protestante. Lo si vede bene e in modo significativo nella teologia di Karl Barth, il quale respinge l’analogia entis, considerandola un arrogante e “diabolico” tentativo; Barth la chiama addirittura una “invenzione dell'Anticristo”46. All'analogia entis Barth contrappone l'analogia fidei, una conoscenza di Dio che non si basa sulle forze della ragione e non procede dalle creature, ma si basa sulla grazia di Dio e procede dalla rivelazione47. Dal punto di vista cattolico, invece, l’analogia entis è la conditio della analogia libertatis, perché consente alla libertà dell’uomo di essere effettivamente esercitata, così che la libertà creaturale possa essere pienamente reinserita nella assoluta libertà divina48. L’argomento è discusso da von Balthasar in relazione al pensiero di Anselmo d’Aosta e di Karl Barth; “Anselmo afferma che la riflessione ha compreso in modo razionale che Dio è incomprensibile: rationabiliter comprehendit incomprehensibile esse (Mons. 64)”. Per Balthasar la soluzione di questo paradosso risiede “nello spirito umano che può comprendere se stesso come copia di un modello totalmente altro”49. Nella comprensione della distanza abissale con J. Moreau, La tradizione aristotelica e l'"analogia entis", 91-96; A. TOGNOLO, L'"analogia dell'ente" in Tommaso d'Aquino, 97-119; utile anche I. PETRIGLIERI, L'avventura della fede. Ovvero l'intellectus fidei tra ragione e ragioni, Armando, Roma 2010, 40-72, che ripercorre il linguaggio dell'analogia in Tommaso d'Aquino, Kant, Barth, Przywara, von Balthasar, Jüngle; sulla problematica storica della analogia entis da Platone fino a Tommaso, E. PRZYWARA, Analogia entis. Metaphisik. Urstruktur un All-rhitmus, Johannes Verlag, Einsiedeln 1962 trad. it. di Paolo Volontè Analogia entis. Metafisica. La struttura originaria e il ritmo cosmico, Vita e Pensiero, Milano 1995, 137-197. 46 K.L. JOHNSON, Karl Barth and the Analogia Entis, T&T Clark , London 2010, 150-157. 47 Ibidem, 161 ss.; l’autore propone un interessante confronto con tra Barth e la Religionsphilosophie katholischer Theologie, 94-108; si veda, in particolare, la discussione sulla interpretazione balthasariana di Barth, 193-200. 48 Cf. P.J. CASARELLA, "Hans Urs von Balthasar, Erich Przywara's Analogia Entis, and the Problem of a Catholic Denkform", in Th. J. WHITE (ed.), The Analogy of Being: Invention of the Antichrist or the Wisdom of God?, Eerdmans Publishing Company, Washington 2011, 192-206; il volume raccoglie gli atti del simposio svoltosi a Washington il 4-6 aprile 2008 tra studiosi cattolici, ortodossi e protestanti sul tema dell’analogia entis. 49 J. VILLAGRASA, “L’Anselmo di Hans Urs von Balthasar. L’analogia entis maturata nel dialogo con K. Barth e riletta come analogia libertatis”, in Alpha Omega XIII, 1/2010, 104; cf. J. URAM, La ricezione del pensiero di Karl Barth nella teologia cat- “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 351 Dio sta la possibilità per l’uomo di una trasformazione come partecipazione alla vita divina, che è poi il tema dominante della Teodrammatica balthasariana50. Ratzinger considera l’argomento con l’idea che “la fede implica la decisione che il pensiero e il significato delle cose non costituiscono solo un prodotto secondario e meramente casuale dell’essere, ma ogni essere costituisce invece un prodotto del pensiero, anzi è addirittura pensiero nella sua stessa più intima struttura”51. Cita, a riguardo, l’intuizione pitagorica della struttura matematica dell’essere, per cui nemmeno la materia è non senso che si sottrae alla comprensione; al contrario essa porta con sé una dose di verità e comprensibilità. Consegue che “ogni nostro vero pensiero rappresenta in effetti solo il ripensamento d’una realtà già pensata prima di noi”52. Resta il fatto che questo, così pensato, è il Dio dei filosofi. Ma, si chiede il teologo tedesco, come mettere in relazione questa idea dell’essere con l’uomo? E qual è l’essere che, per così dire, sta dietro le molte cose esistenti? Ratzinger sintetizza così le risposte storicamente date a questo interrogativo. Una è la via materialistica: la materia è l’unico elemento che resta come dato perennemente dimostrabile; l’altra è la via idealistica: la materia è pensiero oggettivato, la sua realtà originaria risale allo spirito. Allora l’interrogativo è: che cosa è la materia e che cosa è lo spirito? “Chiamiamo materia un’entità che non si autocomprende in quanto essere, ossia un ente che ‘è’, sì, ma non ha consapevolezza di sé”; ciò comporta che la comprensione dell’essere “è un mero sottoprodotto puramente casuale dell’evoluzione… Abbiamo ottenuto, al contempo, anche la definizione dello spirito: esso va descritto come un essere capace di comprendere se stesso, come un’entità consapevole di sé. tolica: analisi delle opere di Hans Urs von Balthasar, Pontificia università gregoriana, Roma 2006. 50 Significative le considerazioni balthasariane sulla analogia entis cristologia, H. U. VON BALTHASAR, Theodramatik. Die Personen des Spiels, Teil 2, Die Personen in Christus, Johannes Verlag, Einsiedeln 1978, trad. it. di Guido Sommavilla Teodrammatica, vol. 3, Le persone del dramma: l’uomo in Cristo, Jaca Book, Milano 1992 (1. ed 1983), 206-214. 51 J. RATZINGER, Introduzione al Cristianesimo, cit., 111-112. 52 Ibidem, 112-113. 352 MINO IANNE Pertanto, la soluzione idealistica del problema concernente l’essere esprime l’idea che ogni essere sia un ente pensato da un’unica coscienza”. Il punto di vista cristiano non coincide né con l’una né con l’altra soluzione: “le cose sono entità pensate da una Coscienza creatrice, con un atto di libertà creatrice”53. Di conseguenza “se il ‘Logos’ di ogni essere, ossia l’Ente che tutto sostenta ed abbraccia, è al contempo coscienza, libertà ed amore, va da sé che la suprema legge del mondo non è affatto l’ineluttabile necessità cosmica, bensì la libertà”54. Questa modalità di guardare l’essere è prossima alla sensibilità della filosofia antica, la quale non era filosofia in senso moderno, ma, nelle sue linee fondamentali, era teologia: discorso sul divino, sull’eternità, sull’essere dell’ente e l’ente affonda le sue radici là dove proviene e dove rinvia. Ma i greci non avevano l’idea di Dio Persona, libero creatore che, a sua immagine, rende il singolo individuo persona55. Ed è qui – osserva a sua volta von Balthasar, riflettendo sul pensiero anselmiano – che la differenza tra filosofia e teologia appare alquanto diluita: “Di fronte alla soggiogante profondità della realtà sarebbe irrilevante e privo di interesse chiedere che cosa sia in grado di fare la ragione senza rivelazione, ma sarebbe altresì impensabile voler fare a meno della ragione per vivere della ‘pura fede’, poiché la rivelazione di Dio è il suo lasciarsi vedere che fa perciò appello inequivocabilmente alla comprensione del credente, alla vista della ragione”56. Né sola ratio, né sola fides ma, anselmianamente, credo ut intelligam. Anche il punto di vista dei filosofi greci, che ovviamente prescinde dalla questione della fides, è uno sforzo intellettuale per la comprensione dell’essere supremo, dell’Assoluto, e in questa direzione si muovono tanto i filosofi arcaici della physis57, quanto le 53 Ibidem, 116. Ibidem, 118. 55 “In questa evoluzione dall’individuo alla persona affonda le sue radici tutta la tensione provocata dal passaggio dall’antichità al cristianesimo”, ibidem, 119. 56 H.U. VON BALTHASAR, Herrlichkeit II: Fächer der Stile, Johannes Verlag, Einsiedln 1962, trad. it. di Guido Sommavilla Gloria. Una estetica teologica. Vol. II. Stili ecclesiastici, Jaca Book, Milano, 1978, 1985, 194. 57 L’ispirazione religiosa della prima filosofia greca è documentata nel classico 54 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 353 metafisiche di Platone e di Aristotele58. Lo Stagirita identifica sof…a e qeolog…a59 e chiama espressamente “teologia” la sua “filosofia prima”60 e un evidente interesse teologico presentano pure le filosofie di età imperiale, come quelle medioplatoniche e stoiche61. Secondo Jäger è la stessa impostazione religiosa della filosofia greca a dare l’idea al primo cristianesimo di poter intessere un dialogo tra teologi, giustificato “dal fatto che unica è la fonte dell’uno e dell’altra: il Logos divino”62. I filosofi greci hanno costruito la loro scienza diretta alla conoscenza della verità, attraverso l’esercizio della capacità intellettiva dell’uomo, rispondendo, essi soli in forma insuperata, alla grande studio di W. JÄGER, Die Teologie der frühen griechischen Denker, W. Kohlhammer, Stuttgart 1961, trad it. di Ervino Pocar La teologia dei primi pensatori greci, La Nuova Italia, Firenze 1982. Nella conoscenza della natura e dell’essere e nel primo principio generatore del tutto, il pensiero filosofico presocratico, sostiene Jäger, “trovava anche la somma di tutto il ‘divino’. In esso si dissolvevano l’individualità e la forma degli ‘dèi’ che empivano la coscienza mitica, e così aveva inizio una nuova formazione dell’immagine della divinità”, 271; “I filosofi continuano a dire che il divino è ciò che tutto comprende, che tutto governa e così via, presupponendo che in questo modo sia senz’altro motivata la sua pretesa a essere chiamato Dio. Di fronte a una siffatta mentalità nulla che sia finito e limitato può passare per divino. Così si inizia un continuo sforzo mentale per afferrare l’essenza di questo tutto-divino… Lo svolgimento di questo sforzo filosofico…s’inserisce dunque come parte integrante nello sviluppo complessivo della religione greca dal quale si vuole staccarlo in quanto ‘filosofia’, in quanto cioè cosa del tutto eterogenea”, 272. 58 Cf. le osservazioni di O. GIGON, La teoria e i suoi problemi in Platone e Aristotele, Bibliopolis, Napoli 1986, con premessa di Marcello Gigante, 64-65. 59 Meth. E, I, 1026a 19; K, 7, 1064b 3. 60 Meth. A, 2, 983a 8-9; commentando questo luogo il Reale scrive: “Se in A manca il termine “qeologik””, c’è, tuttavia, una espressione non meno pregnante “tîn qe…on ™pist”mh” e di significato identico. Il passo dà, inoltre, la ragione per cui la nostra scienza [dei principi primi] deve necessariamente essere ‘di cose divinÈ. Sapienza è scienza delle cause e dei principi primi; ora Dio è, appunto, causa e principio – causa e principio supremo –; da ciò segue che la dottrina delle cause e dei principi primi necessariamente deve aver Dio come oggetto, ossia che deve essere ‘teologia’. ‘Aitiologia’ o ‘archeologia’e ‘teologia’ risultano, in tal modo, nel pensiero aristotelico, strutturalmente connesse, quindi inscindibili”, G. REALE, Il concetto di “filosofia prima” e l’unità della Metafisica di Aristotele, Vita e Pensiero, Milano 1994, 21-22 (corsivi dell’autore). 61 R. CANTALAMESSA, Cristianesimo primitivo e filosofia greca, in ID (a cura di), Il cristianesimo e le filosofie, Vita e Pensiero, Milano 1971, 32. 62 Ibidem, 54. 354 MINO IANNE questione che l’intelligenza umana si pone, la questione della verità. Per parte sua la fede cristiana è un messaggio che interessa in quanto essa è verità. Se si limitasse ad essere un bel racconto sarebbe una bella opera di letteratura, ma non arriverebbe a soddisfare l’aspirazione più profonda dello spirito umano: incontrare il Dio vivo e vero, significato e senso integrale della vita. Per questo, la fede ha bisogno della ragione: per mostrare il grado di serietà del suo legame con la verità e per approfondirne la conoscenza. Fede e filosofia si incontrano perché entrambe cercano la verità. Come osserva von Balthasar, l’idea della “bellezza dell’azione salvatrice di Dio in Cristo” viene preceduta dall’idea metafisica della bellezza dell’essere, che “espone già in forma preparatoria l’uomo costituito radicalmente nel suo ordinamento al ‘divino’ “63; è tuttavia con Platone che l’atto filosofico vene associato, nella figura di Socrate, alla dedizione assoluta alla verità64, in un senso che è inscindibilmente filosofico e religioso. Nel suo Stato perfetto il filosofo ateniese vuole che i giovani siano educati a seguire non le divinità dei racconti mitici e poetici65, ma il divino nella sua verità, così come viene colto solo dal pensiero filosofico66. Perciò per Platone veri filosofi sono quelli che amano contemplare la verità67 e solo l’uomo che ha contemplato la verità totale dell’essere può dirsi veramente uomo: solo nella verità l’uomo diventa uomo68. Nelle Leggi Platone fa ricorso al mito, come dice espressamente69, per indicare nel tempo di Crono l’originario regno del buon governo felice; i migliori governi attuali (nàn), dice, sono imitazione 63 H. U. VON BALTHASAR, Gloria, IV, Nello spazio della metafisica. L’Antichità, cit., 30. 64 Ibidem,161. Pl, Resp. II 378c. 66 Pl, Resp. II 379a7-8: oŒoj Ð qeÕj ên, ¢eˆ d”pou ¢podotšon, (bisogna rappresentare la divinità qual è veramente); qeÕj ên sta a indicare la divinità nella sua essenza ontologica, come pienezza dell’essere in senso metafisico, la quale eternamene (¢eˆ) con certezza (d”pou) si manifesta (¢podotšon). 67 Resp. V 475e. 68 Phaedr.249b; cf. G. REALE, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, Bur, Milano 1998, 229-230. 69 Leg IV 713a6. 65 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 355 (o„ke‹tai) di quello70. Nel mito del Politico è il dio che governa tÕ p©n71, l’universo cosmico, così come gli uomini governano e pascolano gli animali, essendo gli uomini gli essere viventi (zùon) più vicini alla natura divina (×n ›teron qeiÒteron)72. Dio è, infatti realizzatore e padre (poiht¾n kaˆ patšra) di tutte le cose visibili73; essendo l’idea del Bene il vertice supremo, da essa promana (certamente non nel senso plotiniano) il bene nel mondo e per questo merita l’appellativo di pat”r74. Troviamo qui la radice del motivo platonico della Ðmo…wsij qeù75 come imitazione umana della giu- 70 Leg IV 713b2. Pol 271d. 72 Pol 271e7. 73 Tim 28c. 74 Resp VI 506e, 506a; VII 517bc. Già la letteratura arcaica riserva a Zeus l’appellativo di pat”r; si veda, a solo titolo di esempio, Il. I 544, dove Zeus è definito padre degli uomini e degli dei; in Od. I 348-349, si dice che Zeus è causa del destino che spetta agli uomini (ZeÝj a‡tioj, Ój te d…dwsin | ¢ndr£sin ¢lfhstÍsin); in Od. VI 187-188 Zeus è il solo che dona ai mortali il bene e il male (ZeÝj d' aÙtÕj nšmei Ôlbon 'OlÚmpioj ¢nqrèpoisin, | ™sqlo‹j ºdš kako‹sin); nel fr. 1 Diehl di Semonide d’Amorgo l’incontenibile potere di Zeus fa da contraltare alla fragilità umana, ridotta in balia di una sorte malsicura e infelice. Sfuggente e terribile si manifesta, in tutta la lirica arcaica, il senso di impotenza e fragilità che accompagna l’esistenza dell’uomo, cf. B. SNELL, Die Entdeckung des Geistes. Studien zur Enstehung des europäischen Denkens bei den Grieken, Hamburg 1946, trad. it. di V. Degli Alberti e A. Solmi Marietti La cultujra greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi, Torino 1963 e successive edizioni, 119; così, ad esempio, Alceo, fr. 130 Lobel-Page, si sente dominato da un destino cosmico che impone l’infelice sorte di una triste esistenza; un pessimismo che in Teognide raggiunge il suo vertice nei due distici celebri in cui la tragicità del vivere umano è posta nell’atto stesso di nascere, vv. 425-428 e incomprensibile appare il disinteresse di Zeus nel concedere giustizia a tutti in egual misura, buoni e malvagi, vv. 133-136, 373-380; “la dottrina della completa dipendenza dell’uomo da una Potenza arbitraria non è nuova, ma qui c’è un accento nuovo e disperato, un insistere, nuovo e amaro, sulla futilità dei propositi umani. Siamo più vicini al mondo dell’Edipo Re che a quello dell’Iliade”, E. R. DODDS, The Greeks and the Irrational, University of California Press, Berkeley and Los Angeles 1951, trad it. di V. Vacca De Bosis I greci e l’irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1997 (1. ed. 1959), 36; stessi sentimenti nel più tardo Simonide di Ceo, fr. 9 Diehl, ma per tutti vale la notazione di Eschilo, che in Zeus vede la pienezza della vita cosmica, perché lui è aria, terra, cielo e quanto vi può essere di ancora più alto, fr. 70 Nauck, cf. M. POHLENZ, Der hellenische Mensch, Vandenhoeck & Ruprecht, trad. it. di Beniamino Proto L’uomo greco, La Nuova Italia, Firenze 1989 (1. ed. 1962), 115. 75 ™ij Óson dunatÕn ¢nqrèpJ Ðmoioàsqai qeù, Resp X 613b1; cf. anche Theaet. 176b; Phaed. 253ab; Tim. 90d; Leg. IV 716 cd. 71 356 MINO IANNE stizia divina76, che ha, poi, un’eco ampia e persistente in ambito stoico, medio e neoplatonico e patristico77. Alla perfetta assimilazione a Dio e alla sua imitazione, secondo Platone, l’uomo giunge con la costruzione della città perfetta, quella che ha la sua fondazione nel pensiero filosofico78 e che ha come modello la città ideale, che è in cielo79, dove regnano fil…a e koinon…a80. Questa comunanza, fatta di amicizia, rinsaldata dal legame dell’ordine (kosmiÒthj), della moderazione (swfrosÚnh), della giustizia (dikaiÒthj), tiene unito cielo e terra, uomini e dèi, a lode del dio geometra81, in “quel profondo sentimento della koinon…a o della stretta comunanza di qeÒj, ¥nqrwpoj, fÚsij che fa ordinato l’universo e buone le leggi che lo governano”82. Infatti Dio è per noi – così pensa Platone – misura di tutte le cose (Ñ d¾ qeÕj ¹m‹n p£ntwn crhm£twn mštron)83 e chi a lui vuole diventare caro (tù toioÚtJ prosfilÁ genhsÒmenon) è necessario (¢nagka‹on) che, per quanto possibile, diventi come esso è (aÙtÕn toioàton g…gnesqai)84. Ciò è possibile perché nell’uomo c’è una impronta divina che è l’anima (yuc”), ente spirituale congenere (suggenšj) alle Idee85, motivo per il quale ad essa spetta un destino oltremondano perché, in quanto sostanza eterna e immutabile, deve tornare nel luogo ad essa congenere e sibile (e„j tÕ suggenšj kaˆ e„j tÕ toioàton)86 Questa idea platonica della paternità divina e della suggšneia tra Dio e l’uomo ha una ampia eco nel pensiero stoico87, come ap76 Cf. R. JOLY, “ Les origines de l’OMOIWSIS QEW ”, in ID.(ed.), Glane de philosophie antique, Bruxelles 1994, 7-14. 77 Cf. H. MERKI, Homoíosis theôi. Von der platonischen Angleichungen Gott zur Göttähnlichkeit bei Gregor von Nyssa, Freiburg 1952, Paradosis 7. 78 Resp. IX 592a. 79 Resp. IX 592b1 (™n oÙranù ‡swj par£deigma). 80 Gorg.508a; Resp. 424a; Leg. IV 715de. 81 Gorg. 507e-508a. 82 M. MONTUORI, Per una nuova interpretazione del “Critone” di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1998, 70-71. 83 Leg. IV 716 c4. 84 Leg. IV 716 c6-7. 85 Phaed. 79d3. 86 Phaed. 84b2-3. 87 Appare prossima a Platone l’idea stoica della animazione cosmica e della giustizia che governa l’universo, cf. J. LONGRIGG, “Elementary Physics in the Lyceum and Stoa”, in Isis 76/1975, 223. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 357 pare, per fare solo qualche fugace esempio, in Musonio Rufo, maestro di Epitteto, per il quale Dio è padre comune degli uomini88 e chi segue la sua legge diventa cittadino della città di Zeus89. E un analogo appello alla paternità divina lo troviamo nell’Inno a Zeus di Cleante, “poiché di te siamo stirpe (gšnoj)“90. Per l’etica stoica anche la giustizia umana promana dall’unica legge divina e razionale che governa l’universo91, in quanto l’eterno lÒgoj governa tutte le cose92. Come concetto centrale della filosofia stoica, il lÒgoj è principio normativo dell’etica, che indica a ciascun uomo la giusta via da seguire nella vita, ma la meta ci appare ben distinta soltanto se la guardiamo sullo sfondo del divino ordine universale”93. Poiché il lÒgoj plasma tutte le cose, la saggezza umana, per gli stoici, trova il suo compimento nella scienza delle cose umane e divine e “la filosofia trova il suo coronamento della teologia”94. Cleante propone quattro ragioni per dimostrare il tendere naturale dell’uomo verso la divinità; la più importante di queste richiama il motivo, tanto platonico quanto aristotelico, che similmente alla scala assiologica dell’essere, vede nella bellezza e nell’ordine delle cose naturali la possibilità di ascendere all’intelligenza suprema 88 Ð koinÕj ¡p¦ntwn pat¾r ¢nqrèpwn, Diss. XVI 86,19 – 87, 1 Hense. Pol…thj tÁj toà DiÕj pÒlewj, Diss. IX 9, 42, 1-13 Hense; cf. I. RAMELLI, “La città di Zeus di Musonio Rufo nelle sue ascendenze vetero-stoiche e nell’eredità neostoica e cristiana“, in Stylos 11/2002, 151-158; M. M. SCHOFIELD, The Stoic Idea of City, Cambridge University Press, Cambridge 1999 (1. ed. 1991). 90 L’Inno di Cleante è conservato in Stob., Ecl. I 25, 3 ss=SVF I 537 ss. Sulla concezione stoica della paternità divina e sulla sua ascendenza platonica cf. I. RAMELLI, “Dio come padre nello stoicismo romano”, cit., 343-351; ID., “La concezione di Giove negli stoici romani di età neroniana”, in Rend. Ist. Lombardo 131/1999, 293-320. 91 Cf. R. RADICE, Oikeiosis. Ricerche sul fondamento del pensiero stoico e sulla sua genesi, Vita e Pensiero, Milano 2000; G. REALE, Storia della filosofia greca e romana, vol. V, Vita e Pensiero, Milano 2004, 463-468. 92 M. FATTAI, Ricerche sul logos. Da Omero a Plotino, ed. it. a cura di R. Radice, Vita e Pensiero, Milano 2005. 93 M. POHLENZ, Die Stoa. Geschichte einer geistigen Bewegung, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1959, trad. it. di Vittorio Enzo Alfieri, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, La Nuova Italia, Firenze 1967 & 1978, II voll., vol. 1, 52. 94 Ibidem, 183. Sulla differenza, anche sul piano della tensione religiosa del filosofare, tra il pensiero stoico e quello epicureo, cf. ibidem, 184. 89 358 MINO IANNE che governa il mondo95. Nella visione di Crisippo l’intermo universo cosmico è ordinatamente costituito dagli dèi, dagli uomini e dalle cose create in loro favore96 e tutta quanta la realtà è finalisticamente ordinata, secondo un principio che gli stoici chiamavano prÒnoia, provvidenza universale97 (che è anche prescienza divina98), identificata con il nome di Zeus, al quale Cleante dedica il suo Inno; la scelta per una composizione poetica, invece che trattatistica, è dettata dalla convinzione che “la fredda prosa scientifica non basta più quando si voglia celebrare degnamente la maestà di Dio”99. Zeus è nÒmoj e lÒgoj universale, che ordina tutte le cose ed è Bene supremo e modello etico; così che da questi principi i cristiani furono molto colpiti e di lui ebbero evidente 100. stima L’idea stoica della concezione universalistica della divinità appare presente nel prologo a Zeus nei Phaenomena di Arato101: dio antropomorfico della religione tradizionale, dio dei miti esiodei, dio del pensiero stoico, “Zeus in the Phaenomena appears in a variety of different characters: and in the phrase 'en Diˆ patr… (253) these two extremes are amusingly merged with the mythological god who in known as the father of Perseus”102. In Arato appaiono tutti i motivi della concezione cosmica dello stoicismo antico, dal dio padre al dio benefattore dell’uomo, in afflato di autentico e sincero sentimento religioso103, proteso verso l’unico dio-natura 95 Cf. Ibidem, 186.; cf. W. JÄGER, Paideia, I, cit., 11. Cf. SVF II 527: Kòsmon d' eŒna… fhsin Ð CrÚsippoj sÚsthma ™x oÙranoà kaˆ gÁj kaˆ tîn ™n toÚtoij fÚsewn À tÕ ™k qeîn kaˆ ¢nqrèpwn sÚsthma kaˆ ™k tîn ›neka toÚtwn gegonÒtwn; cf. SVF II 1152-1167. 97 Per il più antico concetto greco di prÒnoia toà qe…ou e toà qeoà, cf. Er. 3, 108; Sof., Oc. 1180; Eu., Ph. 637; Pl. Tim. 44c6. 98 Cf. Esch. Ag. 684; Sof., Or. 978, Tr. 823. 99 M. POHLENZ, La Stoa, I, cit., 217. 100 Cf. I. RAMELLI, “L’allegoresi vetero-stoica del mito teologico”, in I. RAMELLIG. LUCCHETTA, Allegoria, I, L’età classica, Vita e Pensiero, Milano 2004, 89. 101 Aratus, Phaenomena, with introduction, translation, and commentary by Douglas Kidd, Cambridge University Press, Cambridge 2004 (1. ed, 1997); sulla vita di Arato e la struttura del poema, D. KIDD, 3-7. 102 D. KIDD, in Aratus, Phaenomena, cit., 11. 103 “The traditional sky-god Zeus si now presented as the life-giving force that pervades the whole cosmos (Phaen.2-5; Cl. 1-2, 4-5, 11-13), and since we are a part of the cosmos and derive life from that force, we can still describe Zeus ad the phather of men (5, 15; Cl. 34). This god is also envisaged as a rational providence that directs everything for the best (5-9, 11-13; Cl. 2), and can therefore be seen as 96 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 359 che tutto pervade e del quale le singole divinità sono solo la parziale espressione104. In quanto ragione universale il dio-natura è una sola cosa con l’essenza dello spirito umano; per questo anche la moralità, nell’uomo, non è altro che l’attualizzarsi della sua natura razionale. Questi principi colpiscono molto un cristiano dalla profonda razionalità filosofica come Giustino105 che se, in esse, trova motivi di inconciliabilità con la sua fede, nondimeno si rende conto che con lo stoicismo è possibile un dialogo, tanto più in relazione al concetto stoico di paternità divina “e al legame di suggšneia tra Dio e l’uomo come fondamento della vita morale”106. “Fu così nel cristianesimo primitivo un’esigenza di missione quella che spinse predicatori e apostoli a usare generi letterari greci e lingua greca… La stessa forma protreptica assunta dalla predicazione era una caratteristica della filosofia greca dell’età ellenistica… Persino la parola ‘conversione’ deriva da Platone, perché accettare una filosofia significa in primo luogo cambiare vita”107. Platone presenta l’idea della met£noia, nel senso del cambiare modo di pensare, con l’immagine fisica del corpo che, voltandosi, dirige lo sguardo in altra direzione108; per Platone, che ne parla nel famoso mito della caverna, vuol dire lasciare dietro di sé le tenebre e dirigere lo sguardo verso la luce, il Bene109. a benefactor of men (5, 11-13, 15; Cl. 32-4)”, D. KIDD, in Aratus, Phaenomena, cit., 10. 104 La visione del dio secondo natura che tutto pervade è il motivo costante di tutta la tradizione stoica, che Zenone condivide con Antistene e la tradizione antistenica, cf. I. RAMELLI, “L’allegoresi vetero-stoica del mito teologico”, cit., 79. 105 Apol. II 7-8. 106 I. RAMELLI, “Dio come padre nello stoicismo romano al tempo della predicazione cristiana e dell’Epistola Anne”, in S. C. ORTIZ DE ZÁRATE-A. A. ÁVILA, Scripta antiqua. In onorem Ángel Montenegro Duque et José María Blázquez Martínez, Valladolid 2002, 345. 107 W. JÄGER, Cristianesimo primitivo e paideia greca, cit., 12; “quando si ponga il problema… dell’origine del concetto cristiano di conversione, si deve riconoscere in Platone l’autore primo di questo concetto. Il trasferimento del vocabolo all’esperienza religiosa cristiana ebbe luogo sul terreno del primitivo platonismo cristiano”, W. JÄGER, Paideia, cit., II, 512, n. 82. Sul concetto di conversione filosofica nel pensiero antico, cf. G. BARDY, La conversion au christianisme durant les premiers siècles, Aubier, Editions Montagne, Paris 1947, trad. it. di Giuseppe Ruggirei La conversione al cristianesimo nei primi secoli, Jaca Book, Milano 1975, 55-94. 108 Resp. VII 518c. 109 Resp. VII 519b. 360 MINO IANNE 4. Fede, razionalità, deellenizzazione Da queste considerazioni si capisce, forse, meglio come il concetto di deellenizzazione viene a identificarsi con lo strappare al Cristianesimo la sua dimensione razionale. Questo ha molte conseguenze: significa privare il Cristianesimo della sua intrinseca relazione con la verità, impedire un autentico dialogo della fede con gli altri saperi, ridurlo ad un puro fenomeno soggettivo e negargli la legittimità ad entrare nei grandi dibattiti filosofici ed etici del mondo contemporaneo. Da questo punto di vista appaiono non integralmente comprese nella loro interezza la portata delle conquiste per l’universalità dell’uomo raggiunte dal pensiero greco da parte di chi, come per esempio il padre Raniero Cantalamessa, pur manifestando ammirazione per la grecità e per l’efficace “traduzione” greca del Cristianesimo compiuta dai Padri della Chiesa, mostra dubbi sul “modo” e la “misura” con cui l’ellenizzazione è avvenuta. A suo avviso essa è stata così esclusiva, “da rendere di fatto difficile,se non impossibile, un incontro analogo con altre filosofie, specie con le filosofie moderne”. Per il Cantalamessa occorre pensare al messaggio evangelico legato “a nessuna cultura umana, in modo da lasciarlo disponibile per amarle e assumerle tutte”110. Questa posizione, divergente da quella ratzingeriana, non considera la definitività per la storia delle conquiste compiute per sempre dai greci, visti,invece – in senso opposto, ad esempio, al punto di vista jägeriano – come una cultura tra le tante111. Inutile dire che la stessa filosofia contemporanea non sarebbe pensabile senza il confronto serrato che essa ha istituito con il pensiero greco.Non ci sarebbero, tra i tanti, Husserl, Heidegger, Levinas, Derridà, Gadamer. Proprio Gadamer, per fare un esempio celebre, ha individuato il modello della sua ermeneutica prima nella “logica 110 Ibidem, 52. Sulla relativizzazione del cristianesimo come “religione tra le altre” ad opera dei teologi europei postconciliari e sulla teoria della deellenizzazione del cristianesimo come premessa liberatoria di una vera inculturazione della fede, il cui esito è il congedarsi del cristianesimo stesso dalla storia, cf. G. COTTINI, “Deellenizzazione e inculturazione della fede”, cit., 44. 111 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 361 della domanda e della risposta”, cioè nella dialettica di Platone, e poi nella “filosofia pratica” di Aristotele, la virtù della phronesis, quel sapere pratico, fatto di esperienza, di intelligenza e di senso della misura. E ancora, il pensiero greco è quello che ha consentito la nascita della moderna scienza galileiana, che parla il linguaggio della logica aristotelica e tutti coloro che, nel mondo, vogliono fare scienza devono prima acquisire la logica di tipo occidentale, di matrice greca, senza la quale non c’è scienza. Senza la struttura intellettuale greca il cristianesimo non solo non avrebbe mai prodotto quel patrimonio di pensiero, di saperi, di produzione artistica che ha consegnato all’umanità, ma oggi non potrebbe venire a confronto proprio con le acquisizioni della modernità. Sarebbe, appunto, ridotto all’insignificanza e,quindi, all’inutilità. Ma l’osservazione che appare maggiormente rilevante del Cantalamessa, che qui viene assunta come significativa di un punto di vista ben presente nel pensiero cattolico, è quella che invita il cristianesimo a non legarsi ad alcuna cultura per poter meglio inculturarsi in tutte le culture; per cui un certo grado almeno di deellenizzazione sarebbe auspicabile. La indiretta discussione di questo argomento viene svolta dal citato discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, che conclusivamente vale la pena riprendere. Il Pontefice passa in rassegna le “tre onde nel programma di deellenizzazione”, come le chiama (quasi un’eco delle platoniche “tre ondate”, trikum…a, in Resp. V 472a 4), proponendo una “critica della ragione moderna dal suo interno”. Se il primo atto di deellenizzazione del cristianesimo lo si è avuto con la Riforma protestante e il secondo con la deteologizzazione formulata da Adolf von Harnack, il terzo momento è quello messo a punto ai nostri giorni. Poiché l’ellenizzazione sarebbe soltanto il primo tentativo di inculturazione della fede ad opera della Chiesa antica, per continuare anche oggi questo compito in relazione alle altre culture, è necessario ritornare all’originaria e primitiva natura del cristianesimo, antecedente al suo incontro con la cultura greca. La necessità della sua deellenizzazione sarebbe motivata, quindi, dal ritorno alla purezza originaria, dimenticando – chiosa Benedetto XVI – che il cri- 362 MINO IANNE stianesimo si è posto in una relazione essenziale con la cultura greca, creando le condizioni per lo sviluppo delle proprie potenzialità filosofiche e teologiche. Pensare all’ellenizzazione della fede come ad un fattore di contaminazione, significa relativizzarne il valore, e renderlo quindi temporaneo, con un inevitabile restringimento della ragione, e quindi l’esclusione della fede dalla sfera della ragione. Benedetto, invece, mostra la necessità che anche l’inculturazione si sottoponga al vaglio della ragione e consegni alla coscienza dell’umanità ciò che è permanente e alla contingenza culturale ciò che ha esaurito la sua funzione storica. Soltanto un simile discernimento razionale, a partire dall’inclusione del divino nell’universalità della ragione, può restituire a quest’ultima tutta l’ampiezza della realtà112. È di un nuovo illuminismo religioso – sembra dire Benedetto XVI – che ha bisogno la società postmoderna, della rifondazione della naturale alleanza tra fede e ragione, la cui base teologica è garantita dall’unità della creazione e della redenzione, natura e sovranatura. La deellenizzazione del cristianesimo è proprio questa alleanza che va a spezzare. E non solo sul piano teologico, ma anche metafisico. Si può vedere in Augusto Del Noce l’autore che ha, meglio di altri, mostrato filosoficamente come la deellenizzazione del cristianesimo sia essenziale alla secolarizzazione e come questo processo dalla teologia e dalla filosofia passi alla vita, cambiando il senso comune, come voleva Gramsci, attraverso la mediazione della politica. Nella visione gramsciano-rodaniana l’accettazione, da parte del cattolicesimo, delle verità contenute nella moderna prassi rivoluzionaria, avrebbe comportato la necessità di liberarsi dall’involucro dell’antico pensiero pagano; in questo senso la deel112 Giovanni Paolo II ha chiarito questo punto: “È necessaria una filosofia di portata autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca della verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante […]. Non intendo qui parlare della metafisica come di una scuola specifica o di una particolare corrente storica. Desidero solo affermare che la realtà e la verità trascendono il fattuale e l’empirico, e voglio rivendicare la capacità che l’uomo possiede di conoscere questa dimensione trascendente e metafisica in modo vero e certo, benché imperfetto e analogico”, Lett. Enc. Fides et Ratio, n. 83. “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 363 lenizzazione corrisponderebbe alla purificazione e alla modernizzazione del cristianesimo113 il quale, per questa via, deve anche abbandonare la nozione teologia di analogia entis. Essa presuppone, infatti, la metafisica greca della partecipazione del logos umano al Logos divino; la scissione con la dimensione trascendente e con l’idea dell’uomo come partecipazione al divino, consente al cristianesimo di conquistare pienamente il moderno concetto di uomo faber, che – emancipato dall’involucro contemplativo del theorein e, perciò, dalla metafisica – sa trasformare tecnicamente la realtà in virtù delle sue sole capacità scientifiche114. La deellenizzazione conduce, per la via del progressismo filosofico115, al relativismo etico e al nichilismo etico; il relativismo etico si riassume nell’affermazione che tutto è vero e buono. Se tutto è vero e buono, niente è vero e buono, la verità e il bene oggettivamente non esistono. Da questo punto di vista, il relativismo morale deve necessariamente condurre al nichilismo etico. Nel contesto interculturale della società occidentale, stanca di razionalità e in preda al relativismo, il teologo Ratzinger propone il ritorno ad una alleanza tra fede cristiana e razionalità secolare occidentale, non per una chiusura verso le altre culture ma, anzi, per accentuare la vocazione propria del pensiero occidentale, strutturalmente aperto al dialogo116. Per Del Noce il tema della deellenizzazione del cristianesimo è connesso con quello della tradizione, e dunque dell’interpretazione della storia e dell’assunzione del pensiero greco come struttura razionale idonea a definire filosoficamente la visione cristiana della vita. La “prima ondata” della deellenizzazione segnalata da Benedetto XVI, quella protestante della sola Scriptura, recide 113 Cf. A. DEL NOCE, Il cattolico comunista, Rusconi, Milano 1981, 384-488. Ibidem, 395-397. 115 Cf. A. DEL NOCE, I cattolici e il progressismo, Leonardo Editore, Milano 1994, 153-154. 116 La posizione antirelativista ratzingeriana costituisce una organica alternativa all'idea e al progetto di Hans Kung di Weltethos, cf. J. RATZINGER, Ciò che tiene unito il mondo, in J. RATZINGER-J. HABERMAS, Vorpolitische moralische Grundlagen eines freiheitichen Staates, Katholische Akademie in Bayern 2004, trad. it. di Giulio Colombi e Omar Brino Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005, 55-56. 114 364 MINO IANNE l’intrinseco legame del cristianesimo con la storia. Il principio protestante della sola Scrittura ingessa il patrimonio biblico e lo toglie dalla storia; ma la storia è parte essenziale della natura del cristianesimo, che è la fede in Dio fatto Uomo ed entrato nella realtà fenomenica per camminare nella storia in compagnia degli uomini. Perciò la Tradizione, cioè la storia, non è epifenomeno corruttivo dell’evento cristiano, ma parte del modo stesso con cui Dio a scelto di rapportarsi con l’umanità117. Il cristianesimo separato dalla Tradizione, il cristianesimo della “sola Scriptura” viene privato della dimensione propria dell’umano,che è il divenire e la storia. Il Cristianesimo cresce con l’uomo nel tempo, mentre la fedeltà all’origine è garantita dall’Autorità apostolica e dalla tradizione stessa118. Eliminata la categoria di “tradizione”, il suo posto viene preso dalla categoria di “rivoluzione”, ai nostri giorni trasformata ed evoluta nell'idea di “progresso”, omogenea al sociologismo, che nega l’esistenza di un ordine assoluto e metafisico dei valori119. Il sociologismo, diventato il quadro di riferimento teorico della società tecnocratica e del benessere, dopo la decomposizione del marxismo e la devitalizzazione del cattolicesimo, diventa il criterio culturale dominante che fa coincidere il “reale”, come dato sociologico, con “razionale”. In questo modo si compie la totale sostituzione della sociologia alla metafisica all’interno della società contemporanea. Il sociologismo interpreta l’uomo e le relazioni sociali separando queste ultime dall’essenza umana e riducendo il primo alle seconde120. La concezione sociologistica è in radicale contrasto con quella religiosa. Se alla prima è congeniale il primato dell’azione, alla seconda è connaturale il primato della contemplazione. Le loro posizioni risultano perciò totalmente incompatibili. Il primato della 117 Si vede l’ampia trattazione in ibidem, 173-191. Cf. H.U. VON BALTHASAR, Il tutto nel frammento, cit., 66-67. 119 A. DEL NOCE, I cattolici e il progressismo, cit., 166. 120 Sulla concezione totalitaria della scienza, in quanto vista come unica conoscenza vera, cf. A. DEL NOCE, Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione. Scritti su “L’Europa”, a cura di F. Marcadante, A. Tarantino, B. Casadei, Giuffrè, Milano 1993, 133-134; ID., “Appunti sull’irreligione occidentale”, in A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1990 (1. ed. 1964), 293-333. 118 “IL PATRIMONIO GRECO PARTE INTEGRANTE DELLA FEDE CRISTIANA”... 365 contemplazione, infatti, comporta la superiorità dell’immutabile su ciò che cambia, il primato dell’azione, invece, dichiara che la vita è un continuo superamento di ciò che è dato. Il rifiuto del dato, però, non può che concludere nella dissacrazione dell’esistente e nella negazione della tradizione. 5. Conclusione: la Chiesa luogo pedagogico Conclusivamente si può osservare che il suggerimento pedagogico riveniente dal discorso di Benedetto XVI a Ratisbona e dalla discussione fin qui svolta può essere ricercato nella unità strutturale esistente da conoscenza della ragione e conoscenza della fede121: la fede spinge l’uomo a continuare il cammino verso la verità, che valorizza la ragione filosofica come sapere sapienziale, ma individuando i limiti che esso incontra nel pensiero contemporaneo, laddove la ragione diventa puramente strumentale. La coincidenza della fede con la ragione, così come viene esposta da Benedetto XVI, apre la possibilità di incontrare realmente ogni aspetto vero della vita dell’uomo, in qualsiasi contesto culturale o religioso, “senza dovere perciò mettere tra parentesi la propria identità. Una fede cristiana non formalista, che tiene vivo il senso religioso invece di addormentarlo, favorisce la possibilità di un incontro non ideologico con qualunque uomo in cui risplendano, poco o tanto, queste caratteristiche di razionalità, libertà e spiritualità”122. Il luogo in cui è possibile fare esperienza di un incontro esistenzialmente significativo tra la fede e la ragione è la Chiesa, avvenimento di vita e quindi di conoscenza; è così possibile la comprensione – già patrimonio della cultura greca123 – che la verità non si trova nella solitudine individualistica, ma nell’affi121 GIOVANNI PAOLO II, Enc. Fides et Ratio, n. 16. J. PRADES, “La rivelazione di Gesù Cristo come ambito del rapporto fra ragione e fede”, in Il Nuovo Areopago, 1/2000, 28. 123 Pl. Epist VII 341c6, dove dice che l’intuizione intellettuale delle verità ultime avviene dopo lungo esercizio e comunanza di vita (pollÁj sunous…aj). Del resto lo stesso filosofare socratico-platonico avviene nella forma del dialogo; domanda e risposta consentono, a chi partecipa alla dimensione dialogica, di progredire insieme nella conoscenza della verità. 122 366 MINO IANNE damento di sé alla comunità cristiana, guidata dall’autorità che aiuta educativamente a crescere e a far emergere le domande fondamentali sulla vita124. 124 Cf. L. NEGRI, “Un’enciclica per ripensare il rapporto tra fede e ragione”, in Il Nuovo Areopago, 1/2000, 14-15. TERRITORIO UN VIAGGIO NEL TEMPO L’enciclica Laudato Si’ nella Taranto di inizio ’700 Marcello Acquaviva* Significato e limiti di queste pagine L’enciclica del papa Francesco Laudato si’, “sulla cura della casa comune”, datata 24 maggio 2015, domenica di Pentecoste, è sicuramente un testo straordinario, ricco, suscettibile di molte e diverse (anche se non contraddittorie) letture. Si tratta di un unicum nel Magistero della Chiesa cattolica, e appare destinato ad avere effetti ed echi per molto tempo, anche quando l’onda emotiva suscitata al suo apparire potrà (e per certi versi dovrà) attenuarsi. Personalmente (e per una volta mi permetto, almeno in queste notazioni introduttive, di abbandonare il “noi” della produzione scientifica) mi sono sentito seriamente interpellato da queste pagine, che raccolgono un’attenzione tradizionale della Chiesa verso la cura della creazione, affidata alle “mani operose”1 dell’uomo e la riesprimono con accenti indubbiamente nuovi, dovuti alle mutate condizioni del nostro pianeta nei giorni che ci è toccato in sorte di vivere, ma anche alla prospettiva data a questi argomenti dal papa venuto “dalla fine del mondo”. Non ho potuto fare a meno di interrogarmi, leggendo l’enciclica, sull’impatto che essa potrebbe avere sulla nostra realtà di Taranto, ormai proverbialmente, purtroppo, sino* Professore ordinario di filosofia teoretica e di filosofia della religione presso la Facoltà Teologica Pugliese (Istituto “Regina Apuliae” - Molfetta) e presso l’ISSR “Romano Guardini” di Taranto. 1 Messale Romano, Preghiera eucaristica IV. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 369-384 370 MARCELLO ACQUAVIVA nimo di degrado ambientale, di inquinamento, di assurda alternativa tra lavoro e salute2. D’altra parte, nel 2013 – l’anno dell’elezione di J. M. Bergoglio a vescovo di Roma – è apparsa una nuova edizione del poema Deliciae Tarentinae, opera giovanile postuma di Tommaso Niccolò d’Aquino (1665-1721), che celebrava, con toni arcadici e non senza reminiscenze classiche, le bellezze di Taranto, descritta come una sorta di paradiso terrestre3. Anche ad una lettura superficiale, non si può non rimanere colpiti dalla descrizione che il poeta compie dei nostri ambienti, del territorio, delle acque, dei campi, delle specie animali; si può essere tentati di attribuire tale descrizione all’iperbole poetica trasfigurata dalla fantasia, ma, a ben guardare, soprattutto confrontando fonti coeve o posteriori, si può constatare che “quei paesaggi e quelle acque erano veri, non parto di fantasia arcadica”4. Guardando alla Taranto di oggi, ben diversa da quella descritta dal poeta, ci si può legittimamente domandare dove sia finita quella terra incantevole e dotata dalla Provvidenza di tanti beni. Parimenti ci si può domandare quali siano state le cause profonde (al di là di quelle contingenti, fin troppo note) dell’attuale degrado; soprattutto (e questo, ritengo, dovrebbe essere lo scopo di una riflessione su tali argomenti) ci si potrebbe domandare quale sia il modo di uscire, sia pure gradualmente, ma con decisione, da questo deplorevole stato. Mi sembra che l’enciclica Laudato si’ conten- 2 L’atteggiamento di grande sollecitudine per la nostra realtà locale testimoniato dalla Chiesa è testimoniato, oltre che dalle scelte pastorali di questi anni, anche dal convegno promosso dall’Arcidiocesi e celebratosi il 7 novembre 2013; se ne vedano gli atti: A. PANICO (a cura di), Ambiente, salute, lavoro, Taranto 2014. 3 T.N. D’AQUINO, Delle Delizie Tarantine. Traduzione del testo poetico, Prefazione e Glossario di L. Pierri, Taranto 2013. Da questa edizione saranno ordinariamente tratte le citazioni, usando l’abbreviazione DT. Sul poeta tarentino è sempre utile la lettura della dotta e controversa presentazione di E. PARATORE, Tommaso Niccolò d’Aquino, Manduria, 1969 (si tratta della conferenza tenuta a Taranto il 20 maggio 1967; il libro contiene anche testo latino e traduzione di un’ecloga fino ad allora inedita del medesimo poeta). 4 L. PIERRI, Prefazione a T.N. D’AQUINO, Delle Delizie Tarantine, cit., 6. In questo il curatore della traduzione citata si discosta da alcuni tratti dell’analisi di Paratore. UN VIAGGIO NEL TEMPO 371 ga indicazioni abbondanti, autorevoli e fattibili perché ciò possa avvenire anche da noi, a Taranto. Appare così più chiaro l’intento di queste pagine: non fornire una lettura completa del testo pontificio (sono state compiute e sono ancora in corso operazioni del genere, con ben maggiore competenza della mia; il presente fascicolo della rivista ne è un’ulteriore conferma), né del poema di d’Aquino; semplicemente, porre a confronto alcune affermazioni dell’enciclica con la descrizione di qualcuna delle “delizie tarentine” che splendevano sotto il nostro sole tre secoli fa. Ma questo – sia chiaro – non per favorire una sorta di “operazione nostalgia”, bensì per ricordarci da dove siamo caduti (cf. Ap 2,5) e riprendere un cammino di riscatto, direi proprio di autentica redenzione del nostro ambiente, a cominciare da noi stessi5. Un viaggio nel tempo, insomma, ma tenendo sempre sotto gli occhi la nostra realtà odierna. 1. La diagnosi sul pianeta compiuta in LS e le condizioni di Taranto in DT Come si ricorderà, il primo capitolo di LS, intitolato “Quello che sta accadendo alla nostra casa”, descrive la condizione del nostro pianeta prendendo in considerazione diversi fenomeni osservati come sintomi della crisi globale che l’umanità oggi attraversa. Il papa non risparmia accenti forti, coerenti con quanto sta sotto i nostri occhi, senza peraltro cedere ad allarmismi eccessivi o a toni apocalittici. Possiamo leggere alcuni passi in proposito e confrontarli con la descrizione contenuta nel poema DT. a) L’inquinamento La trattazione del papa comincia con il dato che più salta agli occhi pressoché in ogni parte del nostro pianeta, vale a dire 5 Scrive il papa Francesco: “Quando parliamo di ‘ambiente’ facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati” (Laudato si’ [d’ora in poi LS] 139). 372 MARCELLO ACQUAVIVA l’inquinamento, fenomeno che tocca tutto l’ambiente: terra, acqua e aria. Questa autentica piaga è prodotta, come è noto, dai fumi prodotti per cucinare o per riscaldarsi, ma anche dalle industrie e dalle discariche. Il degrado del nostro ambiente è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti, ma non è sempre stato così. Taranto, da molti secoli, era decantata come un sito dotato di clima favorevole e di luoghi incantevoli6; il poema di d’Aquino si apre con il desiderio di inneggiare a tanta bellezza: “Cantiamo le selve di Ebalia e le alte mura di Taranto / bimare, a cui la clemenza del cielo dona innumerevoli / dolcezze della Natura: dove il Galeso nutre i fecondi campi, / e scorre in un piccolo ma non inglorioso letto: / quali delizie il Mare, quali frutti del fiorente Eliso / somministra l’industriosa Terra” (I, 1-5). Tutto il primo libro del poema celebra la salubrità dell’ambiente e del clima, lo splendore del sole e la tranquillità del mare, l’inverno intiepidito e le altre stagioni temperate. Ogni dettaglio descritto invita ad un abbraccio con una creazione percepita come uscita buona dalle mani di Dio – sebbene, conforme all’uso del tempo, spesso compaia l’espressione “madre Natura” (Natura parens) – e non rovinata dall’intervento dell’uomo. Bisogna però tenere presente che quando il poeta canta le nostre zone, “i riferimenti sono ai luoghi esterni della città (…). Il fatto è che la contrada di Taranto era (…) uno dei più bei siti dell’universo, ma la città, malgrado fosse una delle prime del Regno per popolazione, era oltremodo sporca e deforme, e non poteva essere cantata”7. Era in qualche modo già cominciato, e non da poco tempo, dunque, il degrado ambientale che avrebbe poi invaso in modo nefasto anche il territorio extraurbano. Il clima, che “è un bene comune” (LS 23), si è visibilmente mutato, ed eventi estremi diventano, anche da noi, sempre meno infrequenti. Questi e molti altri effetti negativi continueranno e peggioreranno “se continuiamo con gli 6 È noto l’accenno fatto da SENECA in De tranquillitate animi 2,13: “Puntiamo su Taranto: c’è un porto celebre, un clima invernale molto mite, un territorio abbastanza ricco che manterrebbe anche tutta la popolazione d’una volta…” (in L.A. SENECA, Tutti gli scritti in prosa. Dialoghi, trattati e lettere, a cura di G. Reale, Milano 1994, 271). 7 L. PIERRI, Prefazione a T.N. D’AQUINO, Delle delizie tarantine, cit., 11. UN VIAGGIO NEL TEMPO 373 attuali modelli di produzione e di consumo”. È, questo, uno dei motivi dominanti dell’enciclica di Francesco, che giustamente connette al cuore umano, sedotto dalla sete di potere e di ricchezza, le miopi e insensate politiche di sfruttamento del pianeta. Tale tema, bisogna dire, trova una qualche eco nelle DT: a parte un paio di riferimenti classicheggianti alla “auri sacra sitis” (II, 184-185) o “auri sacra fames”8 (IV, 37-38), alla fine del secondo libro si trova un’invettiva contro l’avarizia (ancora “auri sacra fames”, v. 599), fonte di temerarietà dissennate e di guerre. Ne riparleremo più avanti. Questa intuizione è però rovinata dal desiderio che, mentre Taranto dovrebbe godere di una pace sempiterna, la Mesopotamia conosca la guerra, portata dai cristiani, e sia sottomessa a Roma come parte di un vasto impero, “da Paro all’Atlante, dalla Battra al Tago, dal Tevere al Gange” (vv. 615-616). Vero è che ci si trovava in tempi nei quali vi era la concreta minaccia che i Turchi potessero invadere militarmente9 l’Europa, ma certo tali auspici stridono considerevolmente con l’atmosfera generalmente pacifica del poema. b) L’acqua Dal punto di vista delle risorse ambientali, l’acqua costituisce una delle questioni decisive. “In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani” (LS 30; corsivo del papa); i gravi squilibri introdotti nel mondo da comportamenti irresponsabili, tanto nei paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo, mettono in risalto che “il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità” (ivi). Il testo dell’enciclica prosegue poi sottolineando la dimensione globale, mondiale di tale questione; i nostri La citazione è ovviamente desunta da VIRGILIO, Eneide, IV, 56-57. Gli ultimi anni del XVII secolo (1683-1699) sono quelli della seconda grande guerra turca e delle prime imprese militari del principe Eugenio di Savoia, con la vittoriosa battaglia di Zenta e la conquista di Sarajevo (1697) per conto dell’imperatore austriaco Ferdinando III. 8 9 374 MARCELLO ACQUAVIVA tempi sono tali da non ammettere più una visione limitata, per non dire provinciale ed egoista di questo come di altri problemi. Fa così una certa impressione leggere, nel poema di d’Aquino, di una fontana “bellissima (…) opera grande, ed invero degna di un Re” (I, 296-297), nella quale scorre abbondante un’acqua cristallina, che viene portata in città da un acquedotto di struttura ingegnosa e assai dispendiosa10, e questo in una Puglia proverbialmente assetata11. Così anche nell’ultimo libro del poema (IV, 312-497) viene descritta una leggendaria fontana, adornata di immagini descriventi la storia di Taranto, e grazie alla quale “se la dolce terra di Ebalia gode le delizie di così ameno / grembo, e ammaliata va superba per i fecondi raccolti, / deve la sua gloria a quelle acque” (IV, 312-314). Ci si potrebbe domandare, molto a proposito, che fine abbiano fatto quelle acque e la decantata fecondità della terra; ma è difficile trattenere l’impressione che il poeta pensi a celebrare la sua terra senza pensare ad altro, o magari pensando di suscitare l’invidia degli abitanti di altre terre meno dotate. c) La perdita delle biodiversità Un sintomo non trascurabile del degrado planetario è rappresentato dalla perdita di specie vegetali e animali che sono funzionali all’andamento del sistema – Terra, ma anche sono belle a vedersi: “Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto” (LS 33). Il necessario intervento umano per stabilizzare l’equilibrio di un luogo è stato largamente superato da livelli inaccettabili di sfruttamento ambientale, causati da interessi economici (“al servizio della finanza e del consumismo”, LS 34). Il papa prosegue osservando: “In questo modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non recuperabile con un’altra creata da noi” (ivi). 10 Si può trovare un puntiglioso commento di tipo prevalentemente storico e archeologico, datato ma sempre di un certo interesse, nell’edizione citata di DT, a cura di Cataldantonio Carducci, pronipote del d’Aquino; qui, 110-111. 11 È sintomatico, anche se scientificamente insostenibile, che il nome Apulia si voglia far derivare dall’espressione “a-pluvia”, vale a dire “senza pioggia”. UN VIAGGIO NEL TEMPO 375 Ai §§ 40 e 41 di LS il papa Francesco fa esplicito riferimento agli eccessi compiuti nella pesca, con gli annessi rischi – tutt’altro che ipotetici – di deformare o distruggere in modo irreversibile la catena alimentare marina, e quindi con conseguenze per l’alimentazione umana. Ma, pur partendo da questi dati che sono – o dovrebbero essere – molto d’impatto per la pubblica opinione, l’enciclica non si appiattisce su criteri utilitaristici o funzionalistici, bensì ha sempre uno sguardo ampio, comprensivo, che al bene (non dunque al puro utile) congiunge continuamente la verità e la bellezza. Un tale sguardo – occorre dirlo – sembra assente da DT, quando il D’Aquino si dilunga a descrivere le specie pescate e cacciate, nelle acque e sulla terra circostante Taranto. Il II e il III libro del poema sono, infatti, rispettivamente dedicati in gran parte alla pesca e alla caccia. Il poeta elenca e descrive oltre quaranta specie marine che potevano essere pescate nelle nostre acque, e spiega con sufficiente competenza il modo di catturare ciascun animale commestibile12. Mentre ne descrive la bellezza, non sembra avere alcun pensiero (ma sarebbe eccessivo chiedergli qualcosa del genere) su un eventuale limite delle risorse ittiche; si accontenta di magnificare la fecondità e prolificità delle acque tarentine. A voler forzare un po’ questa visione, si potrebbe risentire, in alcuni punti, una lontana eco del salmo 103 (104), 25: “ecco il mare spazioso e vasto: là rettili e pesci senza numero, animali piccoli e grandi”13, o anche, quando si descrive la barca piena di pescato, tanto che stenta a non affondare (II, 450), si potrebbe intravedere un riferimento a Lc 5,6 (“fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano”). Ma pare evidente che è il contesto ad essere del tutto differente: il Pescatore e il Pastore menzionati nel primo libro (I, 270.275) sembrano avere poco in comune con le corrispondenti figure bibliche. L’atmosfera appare di una serenità del tutto 12 Non per nulla nell’ecloga Galeso Pescatore, Benaco Pastore il poeta impersona se stesso con un pescatore (cf. E. PARATORE, Tommaso Niccolò d’Aquino, cit., 100125). 13 La descrizione degli animali marini si conclude così: “Non io, anche se il felice Apollo mi aprisse a piena vena / la sorgente del Pindo, potrei mai conoscere tutte le / specie e dare il nome a tutte le creature marine” (II, 547-549). 376 MARCELLO ACQUAVIVA naturale (o, se si vuole, creaturale), senza alcun presentimento del dramma costituito dal vivere umano. Qualcosa cambia nel III libro, dove peraltro continua l’esaltazione della nostra terra, stavolta attraverso l’elenco di specie animali terrestri e le avvertenze per la caccia. Per prima cosa, il poeta si dilunga sul tipo di cani e di attrezzatura necessari per la caccia; in seguito, descrive alcuni animali che possono essere cacciati, come la lepre, il cinghiale e il cervo, sul quale vi è un ampio sviluppo poetico; infine passa agli uccelli, tra i quali segnaliamo qui la tortora e la quaglia. Come è noto, il cervo, la tortora e la quaglia sono animali conosciuti nella Bibbia14, e certo sarebbe suggestivo poter dimostrare che D’Aquino ha conservato nel suo poema qualche eco di questi testi così belli e densi di sapienza; ma ne mancano le prove. Ciò che dà un tono diverso al III libro di DT è un elogio, apparentemente sganciato dal contesto, di san Cataldo, patrono della città, (III, 48-94), con la promessa di cantarne le gesta e di innalzargli un tempio marmoreo, con un altare e una statua di grande valore e con quadri raffiguranti le sue opere. Tra queste il poeta ricorda il miracolo del sasso intenerito dalla testa del santo bambino, la risurrezione della madre che era morta partorendolo, il potere (non è chiaro se spirituale o di altro tipo) sui nemici, l’arrivo a Taranto dall’Irlanda (e non dalla Terra Santa, come una più diffusa tradizione afferma), l’evangelizzazione e il battesimo della città (divenuta pagana per mancanza di cura pastorale), la guarigione di ciechi e zoppi, la risurrezione di alcuni morti. Questa parentesi permette forse di collocare adeguatamente alcuni accenni che diversamente resterebbero isolati nel corso del poema: il desiderio di un tempo di pace per la città di Taranto (III,106-117, con toni che ricordano quelli di Is 2,4); due passi sulla morte, che pone tutti sullo stesso piano (III, 257-262; 518-523); l’anelito a fuggire dalla città verso la campagna (un’eco lontana, forse, di Mt 24,18 e Lc 17,31?) e il timore che, per il malvagio com14 Il cervo: Salmo 41 (42),2; Ct 8,14; Ab 3,19; Salmo 17 (18),34. La tortora Ct 2,12. La quaglia: Es 16. UN VIAGGIO NEL TEMPO 377 portamento degli esseri umani, gli elementi della creazione possano entrare in rivolta contro il genere umano (III, 541-570; sembra qui risuonare Sap 5,21, citata, com’è noto, nel primo capitolo dell’Itinerarium mentis in Deum di san Bonaventura15); infine, un ammonimento a osservare i comandamenti (“sacra iussa”), perché Dio non distrugga in un attimo ciò che è stato costruito nel corso di secoli. 2. L’ecologia umana, cuore della questione Con questi passaggi del poema, che possono sorprendere un lettore tendente ad adagiarsi mollemente nella descrizione di un Eden jonico, d’Aquino sembra mostrarsi cosciente, per quanto glielo permetteva la sua formazione e la cultura del suo tempo, che la creazione, uscita buona (e anzi, nel caso dell’uomo, “molto buona”) dalle mani di Dio, è affidata a noi, primi interlocutori del Creatore. Il nostro atteggiamento di fronte alla “casa comune”, secondo l’espressione di LS, è chiamato dunque a muoversi tra i poli della fede nella creazione e della responsabilità umana, alla ricerca di un equilibrio delicatissimo, forse mai dato una volta per tutte, al quale tendere con tutte le nostre risorse di intelligenza, cuore, volontà, affettività. È evidente che in un poema come DT non si possono trovare (né, forse, cercare) affermazioni filosofiche o teologiche in merito; ma è pur vero che il poeta (non solo T. N. D’Aquino, evidentemente), dando libero corso alla propria ispirazione, finisce con il mostrare alcune delle proprie convinzioni profonde, e queste possono 15 È noto che il Dottore Serafico, imbevuto di spirito francescano, ha dato voce al carisma del santo di Assisi specialmente in questo compendio del suo pensiero filosofico, teologico e mistico. Ecco il passo in questione, davvero significativo: “Apri, dunque, i tuoi occhi, tendi le orecchie del tuo spirito, apri le tue labbra e disponi il tuo cuore in modo da poter vedere, sentire, lodare, amare e adorare, glorificare e onorare il tuo Dio in tutte le creature, affinché l’universo intero non insorga contro di te. A motivo di ciò, infatti, l’universo si scaglierà contro gli stolti e, al contrario, sarà motivo di gloria per quei saggi che possono affermare, secondo la parola del profeta: Mi hai allietato, o Signore, con le tue opere ed esulterò per l’opera delle tue mani” (BONAVENTURA, Itinerario dell’anima a Dio, a cura di L. Mauro, testo latino a fronte, Milano 2002, I, 15 [73]). 378 MARCELLO ACQUAVIVA benissimo essere formulate, dagli autori stessi o dai loro lettori, in articolazioni concettuali16. Così, quello che il papa Francesco chiama “il vangelo della creazione” (LS, cap. II) sembra trovare una parziale corrispondenza in DT come la meraviglia per aver ricevuto in sorte (dalla provvidenza del Creatore, o dalla Natura parens, secondo i moduli espressivi usati dal poeta) un angolo di terra incantevole. Tutto il poema, in effetti, è come avvolto in questa visione stupita e affascinata delle bellezze di questa terra. Cantarne lo splendore è riconoscere che questo dato non è ovvio, né scontato; si tratta di un dono (con una certa frequenza emerge dai versi di d’Aquino questa coscienza), segno di un’elezione, di una preferenza che il Creatore sembra aver avuto nei confronti di questa terra. Di fronte a questi doni, può essere forte la tentazione di dimenticare il Donatore per infatuarsi del dono; ma questa tentazione non è una novità nella storia dei rapporti tra Dio e l’uomo: Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; (…) Guardati dunque dal dire nel tuo cuore: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore, tuo Dio, perché egli ti dà la forza per acquistare ricchezze, al fine di mantenere, come fa oggi, l’alleanza che ha giurato ai tuoi padri (Dt 8,1214.17-18). Le DT sono un testo che documenta una situazione quasi al limite tra l’indolente e incosciente godimento dei doni di Dio e una residua coscienza che tali doni, se non amministrati rettamente, possono andare persi. Il papa riserva una sezione del secondo capitolo di LS allo “sguardo di Gesù” sulla creazione, e bisogna ammettere francaPer limitarci ai casi più evidenti nella letteratura italiana, Dante Alighieri e Giacomo Leopardi hanno mostrato, oltre all’ineguagliabile talento poetico, anche una non secondaria vena filosofica e teologica. Le innumerevoli letture di cui questi autori sono stati oggetto lo testimoniano oltre ogni ragionevole dubbio. 16 UN VIAGGIO NEL TEMPO 379 mente che qualcosa del genere è del tutto assente in DT. Si direbbe che l’umanista tarentino abbia una certa riservatezza, o un certo pudore, nel far uscire dalla sua penna anche un indiretto accenno alla persona di Gesù (a meno che – ma non crediamo si possa provarlo in modo convincente – i riferimenti alle figure del pescatore e del pastore del I libro non siano lontane allusioni alla figura di Cristo). Si potrebbe forse discutere a lungo su questa circostanza. L’età moderna, quella che K. Barth chiamò “la stagione del cristianesimo borghese” ha avuto indiscutibilmente un problema con la persona di Gesù Cristo. Tale problema è culminato, in Germania, con la Leben Jesu Forschung, nella prima metà del XVIII secolo, e poi con la particolare posizione di Kant che, nella Religione nei limiti della pura ragione (1793), pur utilizzando e citando moltissimi versetti biblici, omette con puntiglio il nome di Gesù Cristo, sostituendolo con parafrasi più o meno idonee. Era un altro tempo rispetto a quello di D’Aquino, era un contesto diverso, ma singolarmente l’esito è analogo: si moltiplicano i riferimenti mitologici a divinità pagane, si riconosce un Dio creatore, se ne apprezzano i doni e perfino gli inviati (come san Cataldo), ma non vi è posto per il Figlio di Dio. Questa omissione preclude una dimensione non secondaria delle bellezze creaturali: poiché esse sono create nel Verbo di Dio (Gv 1,3), hanno una loro “verbalità”, cioè sono parole dotate di senso pronunciate da Dio nei confronti dell’uomo, custode della creazione. Non tenerne conto in alcun modo impoverisce la visione che si ha delle cose create, allontana dalla terra Dio Salvatore e lascia noi soli, in balia di chi ha più forza per farsi valere. C’è il rischio – tutt’altro che ipotetico – di ridurre la fede cristiana ad un rivestimento esteriore, magari esteticamente attraente, commovente fino alle lacrime, ma inefficace perché affidata, nel suo compimento a puri sforzi umani, in un moralismo opprimente, che carica pesi insopportabili sulle spalle di tutti, specialmente dei piccoli e dei semplici. Non per nulla la terza parte dell’enciclica analizza “la radice umana della crisi ecologica”, perché “dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male” (Mc 7,21), con l’impressionante elenco che segue. E dunque, sarà chiamando per 380 MARCELLO ACQUAVIVA nome i mali che schiavizzano il cuore umano e offrendone il rimedio radicale portato da Gesù Cristo, che la questione ambientale potrà essere correttamente posta, affrontata e risanata. È sintomatico che in questa parte il papa si richiami con una certa frequenza a un’opera del filosofo, teologo e sacerdote tedesco Romano Guardini, precisamente al breve saggio La fine dell’epoca moderna (1950). Si tratta, originariamente, di tre lezioni introduttive ad un corso su Pascal, in seguito pubblicate a parte, che offrono un sintetico ed efficace schizzo sulle grandi intuizioni che hanno sorretto l’età moderna17, arrivata drammaticamente alla sua fine con la tragedia delle grandi dittature del XX secolo e con la seconda guerra mondiale. Quasi trenta anni prima che si parlasse di “condizione postmoderna”18, Romano Guardini vedeva lucidamente che si entrava in una situazione ben diversa da quella anche solo di qualche tempo addietro19. Egli scriveva quelle limpide pagine nel secondo dopoguerra, in una Germania appena uscita da una dittatura folle e disumana e dalla tragedia della distruzione bellica, sul piano materiale e morale. Non era facile mettersi a progettare un avvenire in modo positivo; né c’erano motivi per abbandonarsi ad un incosciente ottimismo, poiché i miti del Novecento erano miseramente crollati. Eppure, Guardini, con grande realismo e con la speranza che sempre dà forma al pensare e all’agire da cristiani, ha intuito delle linee di sviluppo della nuova era. L’antropocentrismo moderno è andato in una crisi che pare irreversibile, eppure le sue conseguenze sono ancora ben avvertibili, al punto che è cresciuta la distanza tra l’uomo e il suo ambiente: nei tempi che avanzano, l’uomo sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di dominio; dominio nel senso estremo della parola, che si 17 Sembra importante notare che, proprio in quest’opera, tra i pilastri della mentalità moderna Guardini annovera, discutendolo con una certa ampiezza, proprio il concetto di “natura”, identificandolo con la secolarizzazione del concetto cristiano di “creazione”: cf. R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, Brescia 1979, 40-43. 18 Cf. in proposito F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Milano 1981. L’originale francese è del 1979. 19 Sia permesso qui rimandare a M. ACQUAVIVA, Il concreto vivente. L’antropologia filosofica e religiosa di Romano Guardini, Roma 2007, 131-141. UN VIAGGIO NEL TEMPO 381 esprime in una nuova struttura del mondo. (…) I rapporti con la natura assumono perciò il carattere di una opzione decisiva: o l’uomo riesce a realizzare come si conviene la sua opera di dominazione e questa sarà immensa, o sarà la fine di tutto20. Così appariranno, in questi nuovi tempi – che sono quelli in cui viviamo – nuovi aspetti di virtù ben conosciute: la serietà che viene dalla vicinanza alla verità, il coraggio (ben oltre quello richiesto dalle situazioni belliche) e la libertà interiore di fronte agli slogan martellati e contrabbandati per verità indiscutibili. In una mentalità segnata in senso non cristiano, afferma Guardini, apparirà più chiaramente la luce e la forza della Rivelazione cristiana, che andrà vissuta in modo radicale, senza compromessi con le idolatrie mondane, ma pure “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,16). Tommaso Niccolò d’Aquino, naturalmente, non sapeva e non poteva sapere nulla di tutto questo. Pure, nella sua ricostruzione edenica del circondario tarentino, non mancano, come abbiamo più sopra notato, considerazioni amare a proposito dei vizi umani, in particolare dell’avarizia, quasi egli ricordasse che essa “è la radice di tutti i mali” (1Tm 6,10). Come già sottolineato, difficilmente si poteva chiedere di più ad un poeta della fine del XVII secolo. Forse i suoi moniti, o le sue “grida silenziose” (data la circostanza della pubblicazione postuma del poema, che per giunta, essendo in latino, poteva oggettivamente essere letto da ben poche persone), se condivisi a tempo opportuno, avrebbero potuto incidere sulla mentalità, almeno di una parte della popolazione tarentina; ma la storia non si regge sulle ipotesi. 3. Considerazioni conclusive Si potrebbe obiettare, a queste nostre pagine, che porre un poema arcadico di fronte all’articolato magistero di un’enciclica pontificia è un’operazione azzardata, dall’esito decisamente impari e, per certi versi, scontato. Cercheremo di fornire un’ultima giustifi20 R. GUARDINI, La fine dell’epoca moderna, cit., 58. 382 MARCELLO ACQUAVIVA cazione di quanto siamo venuti dicendo nel trarre qualche conclusione. Prima di tutto, il poema Delle Delizie Tarantine, opera postuma di un autore morto prematuramente e salvata dall’oblio solo per l’acribia di un suo lontano discendente, ci dice, con la sua sola esistenza, che nelle nostre terre si è data un’attenzione, sia pure con i limiti del caso, al tema dell’ambiente. Esso è stato cantato e celebrato, con i mezzi dell’arte poetica, in modo entusiasta e commosso, esprimendo gratitudine a Dio creatore (sia pure con gli espedienti mitologici e naturalistici usuali al tempo) per le meraviglie della creazione. Casomai ci sarebbe da domandarsi a chi volesse rivolgersi il poeta scrivendo in esametri latini e non pubblicando in vita l’opera sua. Questa domanda non può avere risposta certa per mancanza di documenti, ma certo oggi noi abbiamo di fronte questo testo, fruibile anche in rete – e dunque con la massima diffusione possibile, che d’Aquino non poteva neanche lontanamente immaginare –, come una meditazione sul passato della nostra terra e come un ammonimento. I limiti del poema (non tanto dal punto di vista letterario, quanto della forza contenutistica) hanno varie ragioni, in parte già sottolineate. La temperie storico-culturale, l’estrazione sociale dell’autore, il suo amore tendente all’esclusività per la sua terra, l’adesione poco profonda alla “buona notizia” del Vangelo, sono fattori che possono spiegare diversi aspetti di DT21. Come già rilevato, spesso appare nel poema la tendenza a godersi le bellezze 21 I seguenti rilievi possono dare un’idea più precisa della situazione complessiva (anche riguardo alla fede cristiana) della nostra terra in quel periodo: “(Il vescovo) Francesco Pignatelli (1683-1703), nelle sue relazioni ad limina, scriveva essere soddisfatto del grado di cultura del clero diocesano, soprattutto di quello tarantino, presentando nel complesso una città colta e industriosa che sembrava aver superato, con tutto il contado circostante, una lunga fase di recessione economica che durava da circa cento anni. (…) Nel passaggio dal XVII al XVIII secolo la diocesi rimase vacante per dieci anni (1703-1713), fenomeno comune nel viceregno a causa della instabilità politica a livello centrale dovuta al passaggio dei poteri dalla corona spagnola a quella austriaca. Bastarono dieci anni di sede vacante per registrare un arretramento generale nella disciplina del clero e dello stesso popolo come ebbe modo di constatare il primo arcivescovo del nuovo secolo Giovanni Battista Stella” (V. DE MARCO, Taranto, in S. PALESE - L.M. DE PALMA (edd.), Storia delle Chiese di Puglia, Bari 2008, 314-315). UN VIAGGIO NEL TEMPO 383 creaturali, fuggendo dal caos e dal degrado della città, per condurre un’esistenza appartata, borghese, senza grandi scosse (si ricordi che il poeta era rimasto vedovo nel 1705, era stato per un biennio sindaco di Taranto e aveva dovuto per un certo tempo abbandonare la sua città a causa di disordini provocati dalla guerra di successione spagnola)22. A d’Aquino piace immaginare che i beni creaturali, di cui Dio provvidente ha abbondantemente dotato la nostra terra, sarebbero durati indefinitamente, senza eccessivi problemi. Eppure, qualcosa gli suggerisce nell’intimo che le cose possano anche prendere un’altra piega. Il poeta conosce le vicende umane, anche quelle relative alla vita pubblica, e ne ha tratto una forte delusione, sicché più volte, nel poema, ammonisce a guardarsi dall’ingordigia e dalla “maledetta fame di oro”, che porta con sé una quantità enorme di mali. Questo, precisamente, potrebbe essere ciò che turba la pace edenica del circondario tarentino: l’avarizia, eccitatrice di violenze dell’uomo sull’uomo, ma anche sull’ambiente, al punto che Dio stesso potrebbe sanzionare i comportamenti deviati delle sue creature predilette facendo sì che la creazione si ribelli all’uomo e i beni così a lungo conservati e goduti vengano perduti per sempre. Per quanto distanti tre secoli, non è difficile rapportare questi atteggiamenti di d’Aquino ad alcune caratteristiche dei nostri contemporanei, o, per essere più chiari, di noi tarentini d’oggi. Anche noi abbiamo, in maniera abbastanza diffusa, la tendenza ad un forte individualismo (ieri era quello di estrazione borghese, oggi è quello nichilista), che rende difficile il pensare e l’agire insieme, a tutti i livelli, a cominciare da quello della società civile. Anche noi abbiamo l’ideale di una vita comoda, appiattita sull’immediato, senza grandi prospettive. Anche noi ci atteggiamo spesso a vittime e diamo la colpa dei nostri mali ad altri; così, aspettiamo la soluzione dei nostri problemi “dal di fuori”, possibilmente senza essere troppo disturbati (ma questo è un problema antico: non ironizzava un poeta sulla “molle, imbelle Tarentum”23?). Anche noi 22 23 Cf. E. PARATORE, cit., 40. Q. ORAZIO FLACCO, Satyrae, II, 4, 34. 384 MARCELLO ACQUAVIVA abbiamo vissuto – e in certa misura ancora viviamo – in modo abbastanza incosciente, incuranti di ciò che sconvolge il mondo, e subendone passivamente le conseguenze che riusciamo a percepire. Tuttavia, vi è ancora una coscienza morale, per così dire, che ci suggerisce che non va proprio tutto per il verso giusto in noi, nei rapporti con gli altri e con l’ambiente. Tale coscienza può essere illuminata dai fatti che accadono, sempre che si abbia il discernimento per leggerli. È per questo che l’enciclica Laudato si’ del papa Francesco, che fornisce abbondanti criteri di discernimento sulla situazione della “casa comune”, costituisce un banco di prova, nel nostro tempo, in questa generazione, per la nostra terra. Si tratta dell’ultima espressione, in ordine di tempo, dell’insegnamento sociale della Chiesa, inteso come uno sviluppo dell’antropologia cristiana, e segnatamente biblica; pertanto ha a che fare in modo particolare con la virtù della giustizia, via imprescindibile verso la carità, caratteristica qualificante di Cristo e dei cristiani. L’enciclica, con accenti nuovi e adatti ai nostri giorni, ma in mirabile continuità con gli interventi dei papi precedenti, ci aiuta a pensare in grande, in modo globale e intergenerazionale, superando gli egoismi inveterati che tanto male hanno fatto a questa città. Davanti ad un’espressione nobile della “tarentinità”, quale il poema di d’Aquino, oggi si pone, per le mani della Provvidenza, un segno di elevato profilo della cura materna della Chiesa, che è come dire di Cristo, buon pastore, che viene a cercare le pecore perdute di oggi, per condurle ad una misura alta di vita cristiana. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 Federica Monaco* 1. Importante personalità del clero e della cultura tarantina, Giuseppe Blandamura ha lasciato alla città un documento risalente al maggio del 1933: si tratta di un manoscritto custodito nell’Archivio storico della diocesi di Taranto, nel quale riporta l’inventario degli oggetti d’arte presenti nel duomo di San Cataldo. In questo contributo si intende pubblicarlo ripercorrendo parte delle vicende storiche e religiose legate alla cattedrale cittadina. Arcidiacono del capitolo Metropolitano e dottore in S. Teologia, per molti anni professore di lettere e di teologia morale nel seminario arcivescovile, mons. Giuseppe Blandamura1 è stato un prolifico studioso di storia patria2, definito a ragione da Francesco * Laureata in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo storico-artistico presso l’Università degli Studi di Pisa. 1 Su mons. Blandamura cf. F. CASTELLI, Blandamura Giuseppe (1866-1957, Taranto), in Preti Pugliesi del Novecento, a cura di C. DELL’OSSO, Edizioni Viverein, Roma, 2012, 259-260; V. DE MARCO, Taranto: La Chiesa e la città nel Novecento, Scorpione Editrice, Taranto, 2012, ad vocem; G. MOTOLESE, Nella Liturgia del Cielo. Ricordando i sacerdoti che, nello splendore della luce, contemplano il mistero di salvezza che hanno servito sulla terra (1935-1993), Schena Editore, Fasano, 1993, 88-89. 2 Tra i vari studi di storia patria effettuati dal Blandamura ricordiamo: Un cimelio del secolo VII esistente nel duomo di Taranto, Tipografia Salentina, Lecce, 1917; Badia cistercense di Santa Maria del Galeso presso Taranto – studi e ricerche – 11691392, Tipografia Salentina, Lecce, 1916; Badie Basiliane nel tarantino, Tipografia Salentina, Lecce 1917; Badia basiliana di San Vito del Pizzo, Lecce, 1917; Il duomo di Taranto nella storia e nell’arte, Tipografia Arcivescovile, Taranto, 1923; Choerades Insulae, Taranto 1925; Santa Maria di Costantinopoli – una chiesa che si demolisce –, in “Taras”, Taranto 1926, Taranto 1928; Chiesa e monastero di San Michele, Tipografia Arcivescovile, Taranto, 1934; San Pietro Imperiale – Contributo alla storia dei benedettini in Taranto, in Rassegna del Comune di Taranto, Taranto, 1934; I Celestini della SS. Fides et Ratio VIII/2 (2015), 385-422 386 FEDERICA MONACO Gandolfo “quell’attento storico della cattedrale”3, che nel 1923 pubblicò l’ormai celebre “Il Duomo di Taranto nella storia e nell’arte”, testo di riferimento per gli studiosi novecenteschi della cattedrale cataldiana. Nel 1933, esattamente a dieci anni da tale pubblicazione, dietro richiesta della Soprintendenza di Taranto, stilò l’inventario degli oggetti artistici appartenenti alla cattedrale, documento che la Soprintendenza mandò a sua volta al Ministero dell’Educazione Nazionale. Una copia restò nell’archivio capitolare. Brevi cenni sulla storia della Chiesa di Taranto dalle origini fino all’episcopato dell’arcivescovo Drogone 2. Prima di passare alla lettura dell’inventario si ripercorre brevemente parte della storia della Chiesa di Taranto4 in relazione alla fondazione della cattedrale. La primitiva comunità cristiana della città bimare, secondo l’antica tradizione, si fa risalire alla predicazione di s. Pietro che, proveniente da Antiochia, sarebbe sbarcato a Taranto per poi proseguire alla volta di Roma. In realtà la tesi dell’apostolicità petrina della sede episcopale tarantina, cioè della sua venuta insieme a s. Marco e dell’elezione del primo vescovo Amasiano, non è storicamente fondata; analogamente leggendaria è da considerare l’altra tradizione di s. Cataldo, protovescovo creato da s. Pietro. Solo nel Novecento mons. Giuseppe Blandamura ed il francescano P. Antonio Primaldo Coco intrapresero una seria revisione critica della storia ecclesiastica cittadina. In particolare entrambi ritenevano di collocare il soggiorno a Taranto di s. Catalto, in Annunziata, Tipografia Pappacena, Taranto 1938; Giovanni d’Aragona, un figlio di re sulla cattedra di San Cataldo, in “Rinascenza Salentina”, a. VII, 1939, n. 1. 3 F. GANDOLFO, La “Galilea” della Cattedrale di Taranto, in “Archivio Storico Pugliese”, XXVIII, 1975, 343-352. 4 Il testo di riferimento di queste brevi note è: AA.VV., “La Chiesa di Taranto dalle origini all’avvento dei Normanni”, a cura di C. D. FONSECA, Congedo, Galatina, 1977. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 387 viaggio verso la Terrasanta, non prima della seconda metà del secolo VII, quindi secoli dopo la presunta venuta dell’Apostolo. Il riferimento più antico alla comunità cristiana cittadina è nel Carme XIV, datato agli ultimi anni del IV secolo, del vescovo Paolino da Nola, a proposito di pellegrini tarantini in visita alla tomba del martire s. Felice. Un’altra testimonianza del tutto attendibile è la lettera inviata – tra il 494 ed il 495 – da papa Gelasio I al “Clero, Ordini et Plebi Tarenti” in cui si comunicava l’arrivo di un nuovo vescovo di nome Pietro, oltre a dettare alcune disposizioni liturgiche. Il primitivo edificio di culto è da considerare la basilica paleocristina di s. Maria sul cui sito fu poi edificata la Cattedrale normanna. Gregorio Magno in una lettera indirizzata nel 603 al vescovo Onorio, ne autorizzava l’uso del battistero. Distrutta durante l’occupazione saracena, fu sostituita nel secolo X da una chiesa bizantina a croce, con quattro bracci voltati a botte e cupola di intersezione, durante il regno di Niceforo Foca. Nel 649 papa Martino, in forte contrasto con l’imperatore Eraclio fautore del Monoteismo, convocò a Roma un Concilio Ecumenico cui presenziò anche l’arcivescovo di Taranto Giovanni. Dopo il tentativo fallito di Costante II, sbarcato nel 663 a Taranto per riunire il Sud a Bisanzio, i Longobardi di Benevento conquistarono verso il 680 Brindisi e Taranto, al tempo in cui il vescovo tarantino Germano sottoscriveva il documento di condanna del Monoteismo, nel IV Sinodo Romano indetto da papa Agatone. Dopo questa data la scarsezza delle fonti documentarie non permette di illuminare la vita della nostra diocesi, pur nella continuità dei presuli, politicamente soggetti al duca longobardo che ne promuoveva l’elezione, ratificata poi dal clero e dal popolo. Ci è solo noto che nel 734 il vescovo Aufredo fu presente al Concilio Romano I. La caduta del regno longobardo nel 774 ad opera dei Franchi non intaccò il potere del ducato di Benevento che, con Arechi II raggiunse il culmine del prestigio politico. Tuttavia le lotte tra i suoi successori causarono una scissione che favorì l’occupazione di Taranto (840) e poi di Bari (842) da parte dei Saraceni, impiegati imprevidentemente come mercenari dai principi in lotta. 388 FEDERICA MONACO Dopo la liberazione di Bari da parte di Ludovico II, il nuovo imperatore bizantino Basilio I, organizzò una spedizione verso la Puglia: nell’880 due eserciti al comando di Procopio e Leone Apostyppes posero fine ad un quarantennio di occupazione musulmana nella città jonica, dove molti dei suoi abitanti di costumi ormai islamici, furono epurati e venduti come schiavi dall’autorità bizantina. Ebbe inizio l’ellenizzazione di Taranto, segnata, oltre che dall’insediamento di immigrati del Peloponneso e di greci provenienti dalla Sicilia e Calabria, dal tentativo del patrizio Giorgio di insediare nella città un vescovo greco. Ma sul versante dell’opposizione islamica, dopo alcuni decenni di relativa calma l’incubo si ripropose nel 927 allorché Taranto fu completamente distrutta dallo slavo Sobîr e tale rimase fino alla ricostruzione promossa da Niceforo Foca. Ignorando quasi tutto dell’azione politica ed ecclesiastica dei vescovi tarantini – sinanco i nomi – tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, certamente in linea con il piano di conformismo religioso imposto da Bisanzio, le uniche eccezioni sono rappresentate da Giovanni II che nel 978 si fregia del titolo di “archiepiscopus” concessogli dal Patriarca di Costantinopoli, e dall’episcopato di Dionisio che favorì la fondazione di un monastero benedettino. Alla conquista militare del Sud da parte dei Normanni, dell’XI secolo dopo una fase iniziale di espoliazione a danno soprattuto del patrimonio ecclesiastico, seguì un rapporto privilegiato con la Chiesa di Roma: i guerrieri del nord, con sano realismo, rafforzarono le istituzioni del clero latino e dettero impulso al monachesimo benedettino, senza peraltro deprimere i monasteri greci, verso i quali usarono tolleranza e mugnificenza (s. Pietro Imperiale e s. Vito al Pizzo). L’episcopato di Drogone, per tornare al periodo della conquista, e da collocarsi dopo la battaglia di Cividale (1053), in conseguenza della quale il papa Leone IX, catturato e tenuto – con molto rispetto – prigioniero da Roberto il Guiscardo, riconobbe di fatto la piena legittimità del potere normanno nell’ Italia del Sud. Le fonti segnalano la presenza di Drogone a Montecassino (1071) per la consacrazione della basilica di s. Benedetto e nello UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 389 stesso anno l’impulso da lui impresso alla costruzione della Cattedrale cittadina. Le energie del presule furono impiegate per ridimensionare politicamente e culturalmente gli effetti dell’opera di grecizzazione che perduravano da più di un secolo. L’edificazione del Duomo di Taranto 3. La costruzione della cattedrale di S. Cataldo è costituita da due fasi: la prima di committenza bizantina, la seconda di committenza normanna5. La prima, edificata dopo la metà del X secolo durante la ricostruzione niceforiana della città era costituita dal capocroce e dal soccorpo dell’attuale edificio. La struttura della pianta era a croce latina. Ancora oggi sono visibili delle archeggiature cieche collegate da archetti. Anche la cripta appartiene alla fase bizantina, divisa nei bracci da due navate e circondata da finestre. Circa la seconda fase, nell’ultimo quarto dell’XI secolo sull’impianto cruciforme bizantino si impostò l’attuale cattedrale a pianta basilicale. Il braccio longitudinale bizantino fu ampliato e ribassato divenendo la navata centrale ai cui lati furono costruite le due navate minori. La navata fu scandita da due file di otto colonne sormontate da capitelli diversi, alcuni dei quali provenienti da ruderi di edifici classici. Le murature presentano archetti e specchiature con all’interno conci bicolori. Agli inizi del XII secolo fu innalzato il campanile somigliante a quello distrutto dal terremoto del 1456. Nel 1151 l’arcivescovo Giraldo fece costruire vicino al braccio nord del transetto una cappella per le reliquie di S. Cataldo. Le pareti furono affrescate e il pavimento musivo fu messo in opera: di essi ci rimane ben poco. Dal XIII secolo furono costruiti lungo le navate laterali altari e cappelle gentilizie. La cappella di S. Agnese 5 Si è fatto riferimento ai seguenti saggi di P. BELLI D’ELIA, La cattedrale di Taranto, aggiunte e precisazioni, in AA.VV., La Chiesa di Taranto, dalle origini all’avvento dei Normanni, a cura di C. D. FONSECA, vol. I, 129-161; Ripensando alla cattedrale di Taranto, in una sera d’estate, in Bisanzio e l’occidente : arte, archeologia, storia, a cura di C. BARSANTI, M. DELLA VALLE, Viella, Roma, 1996, 455-478; Cf. anche P. DE LUCA, La Cattedrale di Taranto, Scorpione Editrice, Taranto, 1997. 390 FEDERICA MONACO vicina al braccio sud del transetto fu trasformata nella cappella del Sacramento. Accanto al battistero a sinistra dell’ingresso fu eretta da Giacomo Protontino la Cappella di S. Giacomo. Nel vano attiguo fu trasferito nel XVII secolo il fonte battesimale, un blocco di marmo rotondo e concavo. Nel 1432 fu costruita la cappella di S. Marta. Pare che qui precedentemente ci fosse la cappella di S. Giovanni in Galilea, in cui sarebbe stato ritrovato il corpo di s. Cataldo. Il soffitto della navata centrale è a cassettoni con statue di legno di s. Cataldo e dell’Immacolata. La volta del “cappellone” del patrono fu affrescata da Paolo De Matteis, rappresentando la vita e i miracoli del Santo. All’interno dell’altare dietro una grata di marmo si trova il sarcofago. Sul braccio sinistro del transetto si trova la cappella del Sacramento rivestita da marmi e pitture commissionate da mons. Caracciolo nella metà del XVII secolo. Analisi del documento 4. Nella prima pagina dell’inventario di Blandamura vengono indicate le circostanze della genesi del documento. Nel 1933 la Soprintendenza di Taranto aveva inviato al Ministero dell’Educazione Nazionale6 l’inventario in esame. Il testo scritto di pugno da Blandamura era redatto seguendo l’ordine delle domande formulate dal modello n. 50 (Antichità e Belle Arti). Le domande e/o i temi da sviluppare erano i seguenti: 1. Oggetto d’arte – Descrizione- Autore cui è attribuito. 2. Ubicazione attuale. 3. Dimensioni. 6 Con l’avvento della Repubblica, che con la Costituzione “promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione”, si passa dapprima al “ministero per i Beni culturali e ambientali” con un decreto-legge del governo Moro presentato, per la conversione in legge, dal ministro Spadolini al Senato, legge promulgata dal presidente della Repubblica Leone il 29 gennaio dello stesso anno; poi nel 1998 viene istituito il nuovo Ministero per i Beni e le Attività Culturali a cui vengono accorpate la promozione dello sport, le cui competenze con decreto-legge nel 2006 verranno assegnate ad un nuovo ministero. Infine con decreto del presidente della Repubblica del 2007 viene approvato il nuovo regolamento di riorganizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della relativa legge dicembre 2006. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 4. 5. 6. 391 Stato di conservazione – Restauri subiti. Appartenenza dell’oggetto – Condizioni giuridiche. Basi storiche e condizioni critiche all’attribuzione ecc. Al termine del suo lavoro Blandamura schedò 74 oggetti d’arte7 costituiti da statue, dipinti, parati e arredi sacri, e beni facenti parte del Sacro Tesoro del Santo. Il manoscritto di mons. Blandamura si presenta chiaro e ordinato. I fogli non sono numerati ma compare l’indicazione numerica dei paragrafi formulata dall’autore, i beni inventariati sono contraddistinti da un numero progressivo che trova riscontro nell’indice e ogni singolo bene risponde ai requisiti fondamentali per la cultura della tutela che, ieri come oggi, sono gli stessi. Il primo paragrafo riguarda il bassorilievo in stucco raffigurante la Madonna col Bambino, detta Madonna della Candelora, che Blandamura descrive in maniera dettagliata: “La Vergine a mezzo busto siede sopra un trono ricoperto dal manto, in un piano leggermente trasversale da destra a sinistra…”8, e ne indica la collocazione, “… incastrata nella parete, sotto custodia di vetro, nella navata di destra all’altezza del presbiterio”9, e continua sottolineando che: “Di essa è fatta menzione nella visita pastorale di mons. Brancaccio nel 1577”10. Indica infine le dimensioni “cm 53x75”11 e i restauri subiti: “Decentemente restaurata”12, e riporta la fonte a cui ha fatto riferimento per rispondere al quesito riguardante le basi storiche e le condizioni critiche all’attribuzione citando: “Mario Salmi – Restauri artistici in Puglia –…”13. A tale bassorilievo Blan- 7 Si parla per la prima volta di “bene culturale” nel documento internazionale per la “protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato” redatto dalla Convenzione Unesco dell’Aja del 15 maggio 1954, che corona un processo di pensiero e una serie di iniziative, che muovono dalle risultanze del Comitato di esperti di Firenze nel 1949. 8 Paragrafo 1 dell’inventario. 9 Ibidem. Attualmente sull’altare collocato nel vestibolo della cripta. 10 Ib. 11 Ib. 12 Ib. 13 Ib. 392 FEDERICA MONACO damura ha dedicato un paragrafo nel libro sul duomo riportandone le vicende14. Dal paragrafo 2 al paragrafo 14 sono enumerate le statue collocate all’interno delle nicchie della cappella di San Cataldo.15 L’autore alla voce 6 – Basi storiche e condizioni critiche dell’attribuzione ecc. – rimanda al suo testo, Il Duomo di Taranto, dando l’indicazione precisa delle pagine; qui, come è noto, l’identità dello scultore era sconosciuta al tempo, e solo gli studi successivi porteranno al ritrovamento dei documenti16 relativi alla realizzazione delle sei statue di marmo che ornano la cappella del patrono di Taranto. Da tali studi emerge che nel 1772 lo scultore a cui venne affidata l’esecuzione fu il napoletano Giuseppe Sanmartino17, che scolpirà San Domenico, San Francesco d’Assisi, San Filippo Neri, San Francesco di Paola, Santa Irene e Santa Teresa, committente mons. Mastrilli. Nel novembre 179018 venne commissionata la statua di San Giuseppe allo stesso scultore, che aveva appena eseguito quella di S. Giovanni Gualberto, entrambe poste nel vestibolo19. I paragrafi 10 e 11 riguardano le statue di San Sebastiano e San Marco Evangelista, collocate rispettivamente nella prima nicchia a 14 BLANDAMURA, Il Duomo di Taranto nella storia e nell’arte, cit., 32-35. I lavori del Cappellone furono iniziati nel 1657 dall’arcivescovo Tommaso Caracciolo e terminati nel 1684 sotto l’episcopato di mons. Pignatelli. 16 I documenti sono stati ritrovati da G. Marciano presso l’Archivio di Stato di Taranto; la pubblicazione è stata curata da G. MARCIANO - M. PASCULLI FERRARA, Il Cappellone di S. Cataldo, Scorpione Editrice, Taranto, 1985. Sempre sul Cappellone: M. PASCULLI FERRARA, L’arte dei marmorari in Italia meridionale: tipologie e tecniche in età barocca, De Luca Editore d’Arte, Roma, 2013. 17 Nel documento si legge “… fare sei statue di marmo statuario di una sol tinta nelle nicchie che presentemente esistono nella suddetta venerabile Cappella…”. MARCIANO, Il Cappellone di S. Cataldo, (ivi, pag. 148, paragrafo 14). 18 Il contratto risale al 25 novembre 1790, sarà ratificato a Taranto il 2 dicembre 1790 (ivi, pp. 158-160, par. 20-21). 19 La paternità delle due suddette statue era stata già provata dallo studioso Alberto Carducci, attraverso il contratto stipulato fra l’artista e il procuratore del nobile tarantino Carducci Agustini, davanti al notaio Nicola Ranieri Tenti di Napoli. Cf. A. CARDUCCI, Le sculture ignorate del Sanmartino nella cattedrale di Taranto, in Studi in memoria di Adiuto Putignani, Mezzina, Molfetta, 1975. Si veda anche: A. CARDUCCI, Ancora sul San Giovanni Gualberto della cattedrale di Taranto, in Cenacolo, n.s., I (1989), 71-76. 15 UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 393 sinistra della cappella di San Cataldo, e nella seconda nicchia a destra, entrambe definite dal Blandamura nel manoscritto: “Opera meschina di concezione e di fattura di Giuseppe Pagano”20. Gli studiosi successivi sono invece propensi nell’affermare che siano state eseguite da un “… discendente del famoso quanto bravo Francesco Pagano…”21. I paragrafi 12 e 13 descrivono le statue di San Giovanni Battista e San Pietro, che, come è noto, secondo quanto afferma il De Vincentiis22, erano state rinvenute durante degli scavi, pertanto ritenute reperti greci raffiguranti Esculapio ed Ercole, poi acquistate nel 1795 dal tesoriere della cattedrale Ciura, riprese e in fine collocate nelle nicchie della cappella di San Cataldo. Già nel testo sul Duomo Blandamura critica queste notizie fornite dal De Vincentiis, e nell’inventario del maggio 1933 esplicitamente scrive: “La statua è in netto contrasto di spirito e forma con le altre… Ma è pura favola che sia statua classica ritrovata in iscavo tanto palesamente si accusa opera d’un notevole artista della fine del sec. XVI o del principio del XVII”23. Gli studi compiuti successivamente hanno portato alla conclusione che: “le due statue, eventualmente provenienti da qualche altra chiesa di Taranto, furono comprate e reimpiegate nel cappellone”24. L’ultima statua della cappella di San Cataldo, riportata dal Blandamura al paragrafo 14, è quella in argento di San Cataldo, trafugata la notte del 2 dicembre 1983 e così descritta nell’inventario: “Il Santo è in atto di incedere, benedice con la destra e stringe nell’altra mano il pastorale… Opera del napoletano Vincenzo Catello condotta a termine nel 1892. La mitra apparteneva alla statua antica rifusa ed è del sec. XV. Il pastorale del sec. XVII”25. 20 Paragrafo 10 e 11. Cf. G. MARCIANO - M. PASCULLI FERRARA, Il Cappellone di S. Cataldo, cit., 87. 22 D. L. DE VINCENTIIS, Storia di Taranto, parte ecclesiastica, vol. III , Tipografia Latronico, Taranto, 1887, 86-87. 23 Paragrafo 12. 24 Cf. G. MARCIANO - M. PASCULLI FERRARA, Il Cappellone di S. Cataldo, cit., 87. 25 Paragrafo 14. Nel libro sul Duomo, nella parte quanta c’è un paragrafo de21 394 FEDERICA MONACO Segue la porta argentea della nicchia, così descritta: “Ha due battenti, diviso ognuno in tre riquadri sagomati, con cornici in rame dorato, ornati con fitto disegno di fogliami a cesello. Nei riquadri centrali due putti a tutto rilievo, pure in rame dorato, sorreggenti simboli della divinità vescovile… Chiude la nicchia al di sopra dell’altare centrale la statua di S. Cataldo, nella cappella del Santo”26. L’inventario continua con la statua in marmo di Tommaso Caracciolo, Arcivescovo di Taranto (par. 16), col sarcofago in granito presente nella cripta sul quale è raffigurata in rilievo l’anima del defunto sorretta per i polsi da due angeli; seguono un presunto frammento di cattedra marmorea27, i mostri stilofori in marmo28, il ciborio nel battistero (già sull’altar maggiore e dall’arcivescovo Caracciolo sostituito nel 1652 e portato nel battistero a coprire il fonte battesimale) e l’altro dell’altare maggiore “… sobrio nelle linee e nella policromia dei marmi”29, commissionato da mons. Caracciolo in sostituzione dell’antico trasportato nel battistero. Segue il soffitdicato alla statua del Santo Patrono, dove fornisce maggiori dettagli. BLANDAMUIl Duomo di Taranto, cit., 190-192. 26 M. Pasculli Ferrara ad un esame attento ha evidenziato il bollo NAP 793 e il punzone con le lettere D.A. o D.P., pertanto risulta essere realizzata nel 1793, però il nome dell’argentiere è sconosciuto. Cf. G. MARCIANO - M. PASCULLI FERRARA, Il Cappellone di S. Cataldo, cit., 87. 27 Penso che possa essere identificata con il frammento di ambone, utilizzato come lettorino del pulpito. Cf. BELLI D’ELIA, La cattedrale di Taranto, 138. 28 Oggi al Mu.Di: Museo Diocesano di Arte Sacra di Taranto. Inaugurato nel maggio 2011, è ubicato in città vecchia, nell’antico seminario arcivescovile, ed è contenitore di un patrimonio di inestimabile valore per la storia della Chiesa tarantina. Il percorso espositivo si articola in sette sezioni tematiche: Liturgica, Cristologica, Mariana, Santi, Ordini Religiosi e Confraternite, Cattedrale, Arcivescovi. Le opere abbracciano un arco di tempo che va dal VII al XX secolo. Voluto da mons. Benigno Luigi Papa, affiancato da mons. Emanuele Tagliente, vicario episcopale per gli affari economici e da mons. Giuseppe Russo già direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali Ecclesiastici di Taranto e poi responsabile del Servizio Nazionale per l’Edilizia di Culto della C.E.I. e dall’attuale direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali don Francesco Simone che è inoltre direttore dello stesso Mu.Di. Per una conoscenza approfondita del Mu.Di. si rimanda ai seguenti testi: F. SIMONE - G. TONTI, Il Museo Diocesano di Arte Sacra di Taranto, StampaSud, Mottola, 2012; AA.VV., Mudi: la collezione del museo diocesano, StampaSud, Mottola, 2015. 29 Paragrafo 21. RA, UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 395 to in legno a cassettoni, con le statue lignee della Vergine e di San Cataldo e lo stemma dell’arcivescovo Albornoz. Al paragrafo 72 è indicato un blocco di granito con panoplia nella cripta30 e al successivo la vasca con gruppo marmoreo, al tempo dell’inventario murata in una parete del Battistero, ora nella navata sinistra. Dal paragrafo 23 in poi sono indicati i dipinti collocati sulle pareti del vestibolo, delle navate, del coro e sugli altari e sulle pareti delle cappelle. Con minuzia Blandamura descrive l’iconografia, cita le eventuali iscrizioni presenti, le misure, riferisce lo stato di conservazione e la collocazione. Non tutti i quadri descritti nell’inventario redatto nel 1933 sono ancora presenti sulle pareti del duomo, che durante gli anni ’50 del ’900 ha subito dei restauri, che hanno eliminato le aggiunte barocche (la cappella del SS. Sacramento e il Cappellone di San Cataldo non vennero intaccate da tali restauri) e che hanno portato alla demolizione delle cappelle presenti lungo le navate laterali e alla soppressione e sostituzione del campanile originario e della sagrestia nord31. Pertanto alcuni dipinti che nel 1933 risultavano sugli altari e sulle pareti delle cappelle – ora non più esistenti – furono trasferiti nell’episcopio, come il quadro raffigurante il Presepio32, Santa Barbara33, La Vergine Immacolata fra i santi Lorenzo e Stefano e angioli34, San Michele Arcangelo35, e la Vergine con San Gaetano36. 30 Blandamura lo descrive nel libro sul duomo, BLANDAMURA, Il Duomo di Taranto nella storia e nell’arte, cit., 23. 31 Cf. BELLI D’ELIA, La cattedrale di Taranto, cit., 147-148. 32 Dall’inventario del 1933 risultava collocato sull’altare della prima cappella della navata di destra, incassata entro cornice di stucco. Paragrafo 24. 33 Dall’inventario risultava appeso ad una parete nella VI cappella della navata di sinistra entro cornice di legno. Paragrafo 26. 34 Dall’inventario risultava su una parete della VII cappella nella navata destra entro rozza cornice di legno. Paragrafo 27 del manoscritto. Nel testo sul duomo Blandamura riporta solo questa affermazione “La settima cappella fu dedicata alla Immacolata Concezione…”, BLANDAMURA, Il Duomo di Taranto nella storia e nell’arte, cit., 72. Per maggiori notizie storiche si rimanda a DE VINCENTIS, Storia di Taranto, cit., 66-67. 35 Dall’inventario risultava collocato sull’altare della quarta cappella della navata sinistra incassata entro cornice di stucco. Paragrafo 28. 36 Dall’inventario risultava collocato sull’altare della VI cappella nella navata di sinistra entro cornice di legno. 396 FEDERICA MONACO Risultano ancora nel vestibolo del duomo, i quadri raffiguranti l’Ingresso di San Cataldo a Taranto e San Cataldo che risuscita un morto, nel coro l’Adorazione dei Magi37 e il Riposo in Egitto38. Sulle pareti laterali della cappella del SS. Sacramento39 le due opere del Molinari: la Caduta della Manna, e la Moltiplicazione dei pani. Al disopra dell’altare nella cappella del SS. Sacramento nel 1933 era collocato il dipinto dell’Ultima cena, opera anche questa del Molinari. Attualmente la tela è collocata alla sinistra dell’ingresso della cappella del SS. Sacramento. Intorno alla porta della summenzionata cappella compare una tela dipinta ad olio – tre pannelli – raffiguranti degli Angeli con cartigli, attribuiti dal Blandamura al medesimo artista della Moltiplicazione dei pani. Dal paragrafo 37 al 40 segue la descrizione delle quattro campane dell’antico campanile, indicando la collocazione, il diametro, i rilievi eventuali e le scritte. Le quattro campane sono descritte anche nel testo sul duomo40. Dal 41 al 51 trovano posto i parati sacri, che risultano essere custoditi negli armadi della sagrestia dei canonici, e Blandamura ne indica il tessuto, i ricami e gli eventuali stemmi presenti come quello di mons. Pignatelli, Jorio, Capecelatro e Rotondo41. Dal paragrafo 52 in poi trovano posto i beni del Sacro Tesoro, 37 L’autore del dipinto è sconosciuto, la tela è considerata appartenente alla scuola napoletana. Cf. Iconografia sacra a Taranto, CRSEC, TA/52, Taranto 1989, vol. I, 26. 38 Anche di questo dipinto non si conosce l’autore, attribuito anch’esso come il precedente alla cerchia della scuola napoletana. Come si apprende dal Blandamura le due tele vennero collocate sulle pareti del coro per volere di mons. Rotondo prendendo il posto di altre tele che – sostituite da queste – vennero collocate nel salone dell’Episcopio. Cf. Blandamura, Il Duomo di Taranto, cit., 81. 39 La cappella del SS. Sacramento anticamente era dedicata a Sant’Agnese. Modifiche vennero apportate nel 1657 da mons. Caracciolo, che come riporta Blandamura: “A questo istesso arcivescovo si devono i due grandi dipinti che ora coprono per intero le pareti laterali della cappella e che recano l’arme di casa Caracciolo”, BLANDAMURA, Il Duomo di Taranto, cit., 138. 40 Ibidem, 127-132. 41 Alcuni parati sacri come altri beni presenti nell’inventario redatto da Blandamura nel 1933 sono esposti attualmente nel Museo Diocesano di Taranto. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 397 tutti collocati all’interno dei propri armadi. L’autore rimanda come fonte in alcuni casi al testo del De Vincentiis – La storia di Taranto – dove è presente un paragrafo che riguarda il Tesoro del Santo e nello stesso tempo alla parte quinta del suo testo42. Di esso fanno parte la crocetta opistografa di San Cataldo43, l’anello e la croce patronale in oro e smeraldi, donati dall’arcivescovo Giovanni De Castro, i calici in argento dorato, in rame dorato, i reliquari in argento, i candelieri, ecc. Alcuni di questi risultano – da quanto afferma Blandamura – donati alla cattedrale dai vari arcivescovi che si sono successi. Conclusioni 5. Sebbene siamo nell’epoca della digitalizzazione informatica,44 che ha consentito di migliorare le ricerche e di semplificare il lavoro dello studioso, l’inventario cartaceo scritto di suo pugno da Blandamura conserva tutta la sua validità. Tale inventario permette di offrire un contributo alla narrazione della storia della cattedrale di Taranto, attraverso la ricostruzione dettagliata dell’arredo sacro. In secondo luogo, consente di accendere i riflettori su un ecclesiastico della diocesi di Taranto che ha dedicato parte del suo ministero ad una maggiore conoscenza della storia della Chiesa tarantina, mettendosi al servizio della cultura della memoria. 42 Cf. BLANDAMURA, Il Duomo di Taranto, cit., 197-212. Per gli studi sulla crocetta aurea: G. BLANDAMURA, Un cimelio del sec. VII esistente nel Duomo di Taranto (La Crocetta aurea episcopale di S. Cataldo), Editrice Salentina, Lecce, 1917; A. CARDUCCI, La crocetta aurea opistografa della Cattedrale di Taranto, Soc. di Storia Patria per la Puglia-Sez. di Taranto, Taranto 1979; C. STORNAIOLO, Crocetta aurea opistografa della Cattedrale di Taranto, in “Nuovo Bollettino di Archeologia cristiana”, XXI(1915), 83-93. 44 Tale processo di informatizzazione è stato applicato anche all’Archivio Storico della diocesi di Taranto, il quale è stato quindi riordinato, inventariato e reso fruibile con sistema di digitalizzazione, e dunque ora vive “tra memoria, tradizione e nuove tecnologie”, cf. In Scripto Transitus Domini, L’Archivio Storico Diocesano di Taranto tra memoria, tradizione e nuove tecnologie, a cura di F. CASTELLI, Bandecchi & Vivaldi srl, Pontedera (Pi), 2011. 43 398 FEDERICA MONACO In assenza di una numerazione dei fogli da parte di Blandamura, scegliamo di non riportare l’indicazione delle singole pagine bensì l’indicazione numerica dei paragrafi formulata dall’autore del manoscritto. La soprintendenza di Taranto, nel Maggio 1933, inviava al Ministero dell’Educazione Nazionale, e ne faceva tenere copia al capitolo di Taranto, la risposta a domanda inserita nel Mod. n. 50 (Antichità e Belle Arti) e che qui si riproducono, una volta per tutte: 1. Oggetto d’arte – Descrizione – Autore cui è attribuito. 2. Ubicazione attuale. 3. Dimensioni. 4. Stato di conservazione – Restauri subiti. 5. Appartenenza dell’oggetto – Condizioni giuridiche. 6. Basi storiche e condizioni critiche all’attribuzione ecc. 1 1. Bassorilievo in stucco – Madonna col Bambino –, detta Madonna della Candelora. La Vergine, a mezzo busto siede sopra un trono ricoperto dal manto, in un piano leggermente trasversale da destra a sinistra. China la testa nimbata, da cui scendono due bande di veli sopra le spalle. Sorregge con le mani il putto seduto sulle sue ginocchia sopra un cuscino. Ha una veste leggermente scollata, stretta ai fianchi da doppia cintura. Il bimbo, vestito di una corta tunica, stringe con ambe le mani un uccellino ad ali aperte, ed è tutto intento nell’atto grazioso. Il fondo liscio è corso da un festone di foglie e frutti, pendenti da due candelieri che inquadrano il rilievo, di diverso disegno ma entrambi terminanti in una fiaccola. Il rilievo è a forte stiacciato, a piani lenti coordinati con delicatezza quasi timida, ma i particolari difettano di caratterizzazione. L’opera fu ritenuta toscana; il Prof. Salmi la disse un derivato dell’arte di Antonio Rossellino, né di essa mancherebbero altre repliche. Dovette essere portata a Taranto da qualche Arcivescovo toscano o addirittura fiorentino. Altri, ma meno giustamente, vorrebbe vedere nel bassorilievo riflessi della maniera del Laurana. 2. Si trova presentemente incastrata nella parete, sotto custodia di vetro, nella navata di destra all’altezza del presbiterio. Di essa è fatta menzione nella visita pastorale di Mns. Brancaccio nel 1577. 3. Cm 53 x 75 4. Decentemente restaurata, è in buono stato di conservazione, solo la mano destra della Vergine corrosa. 5. Alla cattedrale. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 399 6. Mario Salmi – Restauri artistici in Puglia – In cronaca delle Belle Arti, ct. VI., maggio-agosto 1919. 2 1. Statua in marmo a grandezza naturale – S. Giovanni Gualberto –. Il Santo è vestito negli ampi abiti monacali. Si torce su se stesso, abbracciando con la sinistra un crocifisso su cui appunta lo sguardo. Con il piede destro calpesta uno scudo ed una spada. Sopra un piccolo rialzo a fianco sono depositate una mitria e un pastorale. Nell’epigrafe dedicatoria di un Francesco Saverio di casa Carducci è la data 1790. Non si sa però per mano di chi fu compiuta la buona statua. 2. Nel vestibolo della cappella di San Cataldo sopra alto basamento entro nicchia. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. G. Blandamura. – Il Duomo di Taranto – Taranto, 1923, p. 171. 3 1. Statua in marmo a grandezza naturale – S. Giuseppe –. Il Santo s’appoggia ad un tronco roccioso su cui siede il Bambino, che egli sorregge per le spalle e per un piede. Veste un manto che gli avvolge anche le braccia, e sul davanti s’annoda e ricasca in pieghe. Guarda in basso i fedeli e sorride. Nella base stemma dell’Arciv. Capecelatro. 2. Nel vestibolo della cappella di San Cataldo, entro nicchia su alto basamento. 4. Buono 5. Alla Cattedrale. 6. G. Blandamura – Il Duomo di Taranto - Taranto, 1923, p. 171. 4 1. Statua di marmo a grandezza naturale. – S. Irene –. Una lunga veste le scende fino ai piedi, e, sopra, una tunica fino alle ginocchia; un manto a grosse pieghe la fascia dalla spalla sinistra al fianco destro. Si volge al cielo innalzando le braccia, in una posa che pare riflettere l’atteggiamento di una Niobide. 2. Nella seconda nicchia a sinistra, nella cappella di S. Cataldo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. De Vincentis – Storia di Taranto – 1878, vol. III, p. 87. 5 1. Statua in marmo a grandezza naturale – S. Filippo Neri –. Volge la testa in alto, mentre con la sinistra tocca e mostra il cuore fiammante, e con l’altra mano sorregge davanti il pesante mantello. 400 FEDERICA MONACO 2. Nella quarta nicchia a sinistra, nella cappella di S. Cataldo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Fu eseguita nel 1776. 6 1. Statua in marmo a grandezza naturale – S. Francesco di Paola –. In colloquio con il cielo, si porta una mano al petto, e pare volersi muovere verso l’alto. 2. Nella seconda nicchia a destra, nella cappella di S. Cataldo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Fu eseguita nel 1776. 7 1. Statua (c.s.) – S.a Teresa – Legge il libro sorretto nella destra, porta l’altra mano al petto, e la faccia sotto i veli monacali sorride. 2. Nella quarta nicchia a destra, nella cappella di S. Cat. (Il resto come al N° precedente). 8 1. Statua in marmo – S. Domenico –. Il Santo è raffigurato in atto di predicare. Poggia sopra un fianco e gestisce con la sinistra, mentre con l’altra mano tiene un libro, appoggiandolo all’anca e fermandoci il mantello rialzato sui fianchi. La bocca chiusa, lo sguardo in avanti. Ai piedi è accoccolato il simbolico cane che stringe in bocca la fiaccola. 2. Entro la grande nicchia centrale di sinistra nella cappella di S. Cataldo. Donata alla cattedrale dall’Arciv. Isidoro Sanchez de Luna. (Il resto c.s.) 6. Fu eseguita nel 1754 – De Vincentiis – Stor. di Tar. – 1878., vol. III, p. 87. 9 1. Statua in marmo a grandezza natur. – S. Francesco – Il Santo, chiuso nel saio a pieghe profonde a costoloni, si appoggia all’indietro sopra un masso, come in deliquio, e stringe nella destra una rozza croce. 2. Entro la grande nicchia centrale di destra nella cappella di S. Cataldo. (Il resto come al N° preced.). 10 1. Statua di marmo a grandezza natur. – S. Sebastiano –. È legato all’albero del martirio, e volge gli occhi al cielo. Opera meschina di concezione e di fattura di Giuseppe Pagano. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 401 2. Nella prima nicchia a sinistra della Cappella di S. Cataldo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Condotta a termine nel 1804 – G. Blandamura – Il Duomo di Taranto – 1923, p. 172. 11 1. Statua (c.s.) – S. Marco Evangelista –. È in atto di scrivere ispirato sul libro del Vangelo tenuto nella sinistra. Ai suoi piedi giace il simbolico leone. Opera meschina di concezione e di fattura di Giuseppe Pagano. 2. Nella seconda nicchia a destra della cappella di S. Cataldo. (Il resto, come al N° preced.). 12 1. Statua (c.s.) – S. Giovanni Battista –. Poggia all’indietro sopra un tronco di rupe, e tiene il piede destro in avanti sopra un rialzo. La faccia scarna ed ossosa è barbata e coronata da capelli ispidi. Gli occhi guardano lontano, mentre la mano destra gestisce. Un mantello gli cade dalla spalla sinistra lungo il fianco, copre le anche, foderato di una pelle di agnello e s’attorciglia intorno al braccio sinistro. Rimangono nudi il busto esile e le gambe. 2. Nell’ultima nicchia ai lati dell’altare, a sinistra della cappella di S. Cataldo. 3. Alt. m. 1,42. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Fine del secolo XVI o principio del XVII. La statua è in netto contrasto di spirito e di forma con le altre. Di essa si ha la sola notizia che fu acquistata per il Duomo nel 1785. Ma è pura favola che sia statua classica ritrovata in iscavo tanto palesamente si accusa opera d’un notevole artista della fine del sec. XVI o del principio del XVII. G. Blandamura. Il Duomo di Tar. 1923, p. 172. 13 1. Statua (c.s.) – S. Pietro –. Ha una posa simile in senso inverso a quella di S. Giovanni. La testa alta e fiera, ed ossosa nella faccia, guarda in avanti. Porta una veste rimboccata ai gomiti e stretta da una cintola ai fianchi molto in alto. Un mantello dalla spalla destra viene a raccogliersi in un nodo sul davanti facendo seno, e ricade quindi in pieghe, finemente condotte, sino ai piedi. 2. Nell’ultima nicchia ai lati dell’altare, a destra nella cappella di S. Cataldo. 3. Alt. m. 1,39. 402 FEDERICA MONACO 4. Ha l’avambraccio destro restaurato. 5. Alla Cattedrale. 6. Come al precedente N° 12. Qui, però, è detto che fu acquistata nel 1795. 14 1. Statua in argento – S. Cataldo –. Il Santo è in atto di incedere, benedice con la destra e stringe nell’altra mano il pastorale. Veste abiti pontificali, camice, valmatica, pianeta di foggia orientale e pallio, con fregi di racemi, lavorati a sbalzo. La mitria è in argento lavorato, con foglie rampanti e tralci che centrano rosette di smalto traslucido, verde, rosso, turchino. Il pastorale ha ritorta decorata di foglie e putto che agita nelle mani un mazzolino di fiori. La statua posa su basamento di argento con cornici in rame dorato. Opera del napoletano Vincenzo Catello condotta a termine nel 1892. La mitria apparteneva alla statua antica rifusa ed è del sec. XV. Il pastorale del sec. XVII. 2. Nel cappellone di S. Cataldo. 3. Alt. m. 2,00. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XIX – G. Blandamura. Il Duomo ecc. p. 187-193 –. 15 1. Porta foderata in argento lavorato a cesello. Ha due battenti, diviso ognuno in tre riquadri sagomati, con cornici in rame dorato, ornati con fitto disegno di fogliami a cesello. Nei riquadri centrali due putti a tutto rilievo, pure in rame dorato, sorreggenti simboli della divinità vescovile. 2. Chiude la nicchia al di sopra dell’altare centrale la statua di S. Cataldo, nella cappella del Santo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secol. XVII-XVIII. 16 1. Statua in marmo. Tommaso Caracciolo, Arciv. di Tar. È raffigurato, in cotta, in atto di pregare a mani giunte, inginocchiato sopra un cuscino. La statua di fattura grossolana, opera di uno scalpellino locale, faceva parte di un monumento funebre innalzato alla memoria dell’arciv. nel 1663. 2. Si trova ora sotto un arco al principio della navata di sinistra, sopra un brutto basamento in muratura nella cui fronte fu inserita la lapide di marmo nero, con la dedicazione della tomba e la data suddetta. 3. Alt. m. 1,50. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 403 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. 17 1. Sarcofago in granito. L’arca, dai fianchi semicilindrici, ha un coperchio a testuggine e leggero doppio spiovente. Sulla faccia anteriore rilievo. Una figura, forse rappresentante l’anima del defunto, al centro, in posizione frontale, è sollevata per i polsi da due angioli, che nell’altra mano recano una ferula terminante in fiore. Il rilievo, perfettamente simmetrico nelle due parti, stacca forte dal piano uguale del fondo. I corpi delle figure però risultano piatti, sebbene non rigidi. Le vesti, nelle pieghe e nei ricami, i capelli, l’espressione dei volti sono trattai con finezza. Il rilievo ha caratteri della scultura pugliese bizantineggiante del XII secolo. 2. Si trova nella cripta del Duomo. 3. M. 1,63 x 0,80. 4. Il coperchio dell’arca presenta una frattura nel senso della larghezza. Il braccio dell’angelo a destra è scheggiato. La testa della figura al centro in parte corrosa. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XII. Vinc. Fago – Monumenti cristiani di Taranto in Nuova Antologia, Ottobre 1903. 18 1. Frammenti di cattedra (?) marmorea. Il frammento nella sua altezza è diviso in tre ordini di riquadri. Li riempiono degli intrecci di nastri piatti a disegno vario, condotti con bella morbidezza. Arte romanica. 2. Nella cripta del Duomo. 3. Alt. cm 83. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XI-XII. 19 1. Mostri stilofori in marmo. Due figure semiumane prone sulle ginocchia e sulle braccia, il dorso appena coperto da un pannolino, squadrate largamente e sommariamente. Arte romanica. 2. Nella cripta. Ornavano già la porta laterale nord della cattedrale. 404 FEDERICA MONACO 3. Cm 85 x 46. 4. Le due figure sono scheggiate in più punti, e corrose nei volti. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XII-XIII. 20 1. Ciborio (nel Battistero). Ha pianta quadrata e s’alza su quattro pilastrini ottagonali in marmo che portano una trabeazione formata da lunghi parallelogrammi di pietra, ornati sulle facce, tutti – meno uno – d’intrecci viminei, palmette, tralci a rilievo piatto (XI-XII sec.). Cupoletta ottagonale poggiante agli angoli su pietre triangolari di raccordo, ornate due a intrecci viminei, due con tralci di epoca diversa. Pinnacolo sormontato da rozza statua di S. Giovanni. Gli spicchi della cupola, ornati con vari fregi nelle due facce, portano lo stemma del cardinal De Corrigio e lunga epigrafe con data 1571 a ricordo della battaglia di Lepanto. Il ciborio subì dunque grossi rifacimenti negli ultimi del sec. XVI. 2. Si trovava sull’altar maggiore. Fu sostituito dall’arciv. Caracciolo nel 1652 e portato nel battistero, ove ricopre il fonte battesimale. 4. Discreto. Il tutto è bruttato da stati di latte di calce. 5. Alla Cattedrale. 6. Trabeazione sec, XI-XII – Cupoletta sec. XVI. G. Blandamura, Il Duomo ecc. p. 73. 21 1. Ciborio (dell’altare maggiore). Ha pianta quadrata e sorge su quattro colonne di porfido con basi e capitelli compositi in marmo bianco, che sorreggono archi trilobati e pilastrini angolari, fiancheggiati da colonnine, e smussati nello spigolo a formare una nicchia, entro cui sono le statue dei quattro evangelisti. La cupola è formata da quattro assi, poggianti agli angoli su pietre di raccordo, e che vanno a congiungersi in alto e a reggere un pinnacolo. Tra asse e asse un largo e sobrio lavoro a traforo. Anche i quattro angoli del tettuccio sono sormontati da pinnacoli. Il ciborio, sobrio nelle linee e nella policromia dei marmi, fu fatto fare a sostituzione dell’antico trasportato nel battistero, da Mons. Caracciolo, di cui pendono dalle cornici due stemmi e due cartelli con la scritta: Thomas Caracciolus Archiepiscopus A. D. MDCLII. 2. Nel Duomo. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. Thomas Caracciolus Archiepiscopus A. D. MDCLII. G. Blandamura. Il Duomo ecc. p. 75. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 405 22 1. Soffitto in legno a cassettoni. Copre tutta la navata centrale. Si imposta sulle pareti per mezzo d’una cornice a mensole. È diviso nel segno della lunghezza in tre ordini di riquadri, nel senso della larghezza in diciotto, dalle travi di sostegno. I cassettoni sono uniformi, quadrati, ornati di cornici a dentelli, di mensolette, rosette e portano al centro un rosone da cui pende una pigna. Lungo la zona centrale entro lucernari a baldacchino dal fondo stellato, si seguono le figure dorate a grosso rilievo della Vergine e di San Cataldo e lo stemma dell’Arciv. Albernoz. L’opera è nelle linee generali e nei particolari di una sobrietà quasi quattrocentesca. Le parti di decorazione tutte in oro staccano bellamente sul fondo marrone, colore naturale del legno di noce. 2. Navata centrale. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. Fu iniziato dal Cardinale Albernoz, dopo che un incendio del 1635 ebbe distrutto il precedente, e condotto a termine dall’Arciv. Caracciolo. Ma anche in seguito subì vari restauri, di cui l’ultimo nel 1873. G. Blandamura, ecc. p. 61-62. 23 1. Dipinto ad olio su tela – S. Cataldo risuscita un morto –. La scena si svolge ampiamente sopra uno sfondo di città, alte mura a sinistra, un porticato pieno d’ombra a destra e nel fondo una terrazza con albero ed altri edifici. Intorno al Santo accorrono in largo cerchio degli storpi, dei ciechi, dei curiosi, donne con bambini. Il Santo troneggia in mezzo a questo popolo gettato ai suoi piedi, vestito di paramenti episcopali, con mitria e pastorale; incede solennemente gestendo verso un gruppo che trascina a lui un cadavere. La tela porta data e firma: Lenti Galli.us 1773 (1). (1) È il pittore Michele Lenti da Gallipoli. 2. Sulla porta destra del vestibolo della chiesa entro piccola cornice dorata. 4. Discreto. 5. Alla Cattedrale. 6. Lenti Gall.us 1773. 24 1. Dipinto ad olio su tela – Presepio –. Il Bambino è assiso sopra paglia coperto d’un pannolino bianco, entro aureola di luce che sprizza sulle figure della Vergine e di S. Giuseppe, inginocchiati ai lati in atto di adorazione. In primo piano, visto da tergo, un pastore s’inginocchia togliendosi il berretto. Dal fondo scuro, a destra, 406 FEDERICA MONACO avanzano due figure di donne recando doni. In alto in un cielo di luce rossastra caracollano angeli con fiori e cartelle del “Gloria”. Mediocre lavoro. 2. Sull’altare della prima cappella della navata di destra, incassata entro cornice di stucco. 3. M. 1,80 x 2,18. 4. Discreto. In più punti le vernici sono rialzate e screpolate. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. 25 1. Dipinto ad olio su tela – Andata di G. al Calvario –. Gesù è caduto sotto la Croce, che i manigoldi sono in atto di sollevare. A sinistra, inginocchiata, la Veronica mostra il pannolino; a destra la Vergine, seguita da altre donne, si volge desolata verso il figlio. Quadro di scarse qualità d’arte. 2. Sull’altare della terza cappella nella navata di destra entro cornice di legno. 3. M. 1,70 x 2,10. 4. Lungo i margini le vernici sono screpolate e il colore è ricoperto da strati di sudicio. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVIII. 26 1. Dipinto ad olio su tela – S. Barbara –. La Santa, in abito bianco e manto azzurro, sale sopra una nube fra corteo di angioli, uno dei quali dall’alto s’appresta ad incoronarla. Lungo il margine a sinistra solca il cielo una saetta rossa. In basso è rappresentata una città con torri e chiese. Stemma gentilizio. Rozzo lavoro, firmato Cosmo Sampietro pittore di Roccaforzata. 2. Appeso ad una parete nella VI cappella della navata di sinistra entro cornice di legno. 3. M. 1,30 x 1,80. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XIX. 7. Cosmo Sampietro pittore di Roccaforzata. 27 1. Dipinto ad olio su tela – La Vergine Immacolata fra i Santi Lorenzo e Stefano e Angioli. La Vergine, in veste rossastra e manto azzurro svolazzante, poggia i piedi sopra la luna e il serpente; tra le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo. Ai suoi piedi, in simmetria, sono inginocchiati i due Santi in veste UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 407 di diaconi, recando in mano i simboli del loro martirio, che è rappresentato sommariamente entro lo spazio sotto la Vergine. Il cielo è aperto in alto in una luce d’oro, dove caracollano piccoli angeli. 2. Su una parete della VII cappella nella navata di destra entro rozza cornice di legno. 3. M. 1,83 x 2,26. 4. Cattivo. Le vernici in più parti scortecciate. 5. Alla cattedrale. 6. Secolo XVIII. 28 1. Dipinto ad olio su tela – S. Michele Arcangelo –. L’Arcangelo, in corazza verde ed ampio manto rosso svolazzante, si precipita con una lunga lancia sopra Satana, seminudo e riverso entro una vampata rossastra. Un demonio a destra guarda in alto ghignando. La tela porta un’arme gentilizia (1) e la firma con la data: Villari P. 1765. 2. Sull’altare della quarta cappella della navata sinistra incastrata entro cornice di stucco. 3. M. 1,08 x 1,60. 4. I colori lungo i margini sono rialzati e in parte caduti. 5. Alla Cattedrale. 6. Villari P. 1765. (1) È l’arme di casa Ulmo. 29 1. Dipinto ad olio su tela – La Vergine col Bambino e S. Gaetano –. La Vergine discende da un cielo giallo oro da destra, in piedi sopra una nuvola, e porge il Bambino Gesù al Santo inginocchiato. Piccoli angeli e testine alate assistono dall’alto e intorno alla Vergine, mentre due putti in basso giuocano con gli oggetti di devozione del Santo. In un angolo a destra stemma gentilizio con lunga scritta di cui solo è leggibile D. Pascale Ursino devozione e la data 1766. L’opera mediocre è forse dovuta alla mano di quel Villari che firmava il S. Michele Arcangelo. 2. Sull’altare della VI cappella nella navata di sinistra entro cornice di legno. 3. M. 0,83 x 2,03. 4. Il colore è rialzato in più punti e caduto in basso ove la tela presenta anche un foro. 5. Alla Cattedrale. 6. D. Pascale Ursino devozione. 30 1. Dipinto ad olio su tela – Deposizione –. 408 FEDERICA MONACO Ai piedi della Croce la salma del Cristo è allungata sopra una pietra coperta e un lenzuolo. Lo sostiene una pia donna. La Maddalena inginocchiata ne carezza una mano. Dietro, in piedi e in atto di dolore, la Vergine e S. Giovanni. La tela è firmata iniziale: F. V. F. A.D. 1771. 2. Nell’oratorio della Congregazione del Purgatorio. 3. M. 0,95 x 1,60. 4. Buono. 5. Alla Congregazione del Purgatorio. 6. F. V. F. A.D. 1771. 31 1. Dipinto ad olio su tela – Adorazione dei Magi –. La Vergine siede sopra un rialzo di pietra, in veste rossa e manto azzurro, e tiene sulle ginocchia il Bambino. Un vecchio re, barbato e con lungo manto rosso, sorrettogli da un paggetto, s’inginocchia a baciare i piedi di Gesù. Gli altri due in secondo piano – uno è moro – si fanno innanzi, con i doni, inchinandosi. Nel fondo annerito s’intravedono personaggi del seguito. S. Giuseppe a destra in primo piano assiste poggiandosi sopra un lungo bastone. Scuola napoletana. 2. Sulla parete sinistra del coro, in alto, incastrato entro cornice di stucco. 4. Mediocre. Molto annerito il fondo. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVIII. 32 1. Dipinto ad olio su tela –Riposo in Egitto –. Entro un paesaggio roccioso, aperto a sinistra in uno sfondo leggero di monti e nuvole, la Vergine, in veste rossa e manto azzurro, la testa fasciata da un fazzoletto a righe gialle e azzurre, seduta allatta il Bambino. La osserva da sinistra S. Giuseppe sdraiato ed appoggiato sopra un masso. A destra appare la testa dell’asino che beve da un ruscello. Scuola napoletana. 2. Sopra la parete del coro, incastrata entro cornice di stucco. Fu posta qui insieme con la descritta Adorazione dei Magi nei restauri del coro compiuti nel 1871-1873. 4. Deteriorata per qualche sdrucitura e foro. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVIII. 33 1. Dipinto ad olio su tela – Moltiplicazione dei pani –. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 409 Entro un paese montuoso sotto un cielo basso e di poca luce, la scena si svolge ampia e stipata di figure. La divide per metà al centro la figura del Cristo dritta, che spicca anche per il rosso tenero della veste, e il turchino acceso nel manto. Intorno a lui sono gli apostoli in atti vari. Il Cristo ha in mano un pane ed è in atto di benedirlo, mentre da sinistra un giovinetto solleva verso di lui un canestro di pesci. A destra un Apostolo già distribuisce il pane, fra il folto della gente – vecchi, donne con bambini – la quale fa anche gesti di sorpresa verso il Cristo. A sinistra, un poco discosto, è un gruppo di uomini e donne intenti a parlare tra loro. In alto, sul monte, delle figure discendono, mentre una madre, appartata, è intenta ad allattare il bambino. La grande tela porta in basso lo stemma dell’Arciv. Caracciolo. I colori si tengono in un tono basso; prevalgono dei grigi-argento e gialli-scuro che danno aspetto bruciato anche alle carni. Buona tela. Il De Vincentiis la dice del “celebre Molinari”. Si tratterebbe di Giov. Batt. Molinari (1636 - ?) il veneto scolaro del Vecchia. L’evasiva attribuzione del De Vincentiis pare attendibile per i caratteri Muttoneschi del dipinto. 2. Sulla parete sinistra della cappella del Sacramento incassata entro cornice di marmo. 4. Discreto. La tela presenta semplicemente qualche sdrucitura. 5. Alla Cattedrale. 6. Metà del sec. XVII. De Vincentiis – St. di Tar. – vol. III, p.81. 34 1. Dipinto al olio su tela – La caduta della Manna –. Il miracolo avviene innanzi all’accampamento, di cui si vedono a destra le tende e fra queste avanza un cammello. Mosè al centro della scena, in veste verde pallido, con la verga in mano. Intorno a lui altri vecchi alzano le mani al cielo come in preghiera, mentre giovanetti, donne si chinano a terra in bella posa a raccogliere entro bellissimi vasi la manna. A sinistra un gruppo folto di donne, fra cui in primo piano una madre sta allattando il bambino. Del medesimo artista che dipinge la Moltiplicazione dei pani. 2. Sulla parete destra della Cappella del Sacramento entro cornice di marmo. 4. Discreto. I colori più scialbi fanno pensare che la tela abbia subito come una lavatura. 5. Alla Cattedrale. 6. Metà del sec. XVII. 35 1. Dipinto ad olio su tela – Ultima cena –. In prospettiva quasi frontale s’allunga il tavolo intorno a cui gli apo- 410 FEDERICA MONACO stoli si agitano concitati, mentre il Cristo gestisce spiccando con il rosso della sua veste contro un bianco sfondo di cielo entro il riquadro di una porta, e Giovanni si china sul suo seno. Del medesimo artista che dipinse la Moltiplicazione dei pani. 2. Al disopra dell’altare nella cappella del Sacramento. 4. Discreto. 5. Alla Cattedrale. 6. Metà del sec. XVII. 36 1. Tela dipinta ad olio – Tre pannelli –. Angeli che sorreggono dei nastri con scritte e i simboli della Passione. In uno, due angeli adorano l’Ostia. Del medesimo artista che dipinse la Moltipl. dei pani. 2. Intorno all’arco della porta d’ingresso, sulla parete interna della cappella del Sacramento, entro cornici di marmo. 4. Discreto. 5. Alla Cattedrale. 6. Metà del sec. XVII. 37 1. Campana. Rilievo della Vergine col Bambino. Inscritta: IHS. M. Mentem Sanctam Spontaneam honorem Deo et Patriae liberationem Anno 1574. 2. Nella cella superiore della torre campanaria. 3. Diam. Massimo cm 73. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Si ripete la iscrizione come sopra. 38 1. Campana. Rilievo etc. come al 1 del N° 37. 2. Idem come al 2 del N° 37. 3. Diametro massimo cm 64. Il resto come al N° 37. 39 1. Campana. Fregi floreali, festoni, fogliami. Rilievi di S. Pietro, S. Cataldo, la Vergine col Bambino e Crocefisso; vari stemmi, dell’Arcivescovo D’Aquino, della città di Taranto, uno papale ed uno del regno di Napoli. 2. Nella cella inferiore della torre campanaria. 3. Diam. mass. m. 1,27. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 411 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. Ha in alto circolarmente la scritta: Demoni et ventis impallo cantoque laudes corpora viva voco mortua voce fleo. Più sotto: Antonius da Aquino Archiepiscopus Tarentinus A. D. MDCXXII F.F. Opus Ioannis Baptistae Mauri Iosephi Ferraioli de Neapoli. 40 1. Campana. Fregi floreali e testine d’angeli. Rilievi di S. Cataldo, del Crocefisso, della Vergine e stemma episcopale. 2. Nella cella inferiore della torre campanaria. 3. M. 1,38. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVIII. Inscritta: Sanctus Deus Sanctus Fortis Sanctus Immortalis. Iosephus Capiciuslazzo Tarentinorum Praesul Prudentissimus publicis votis aere suo satisfecit A.D. MDCCLXXXV, Pontificatus sui VIII, Pio VI et Ferdinando feliciter regnantibus. Opus Nicolai Bruno a Vincola. 41 1. Parati sacri – Pianeta con stola e manipolo –. In seta rossa, con fitto e minuto ricamo a fili d’oro intrecciati d’esili girali con viticci e foglioline a lamette. Stemma ricamato in oro e seta di Mons. Pignatelli (1697-1703). Galloni applicati in oro. 2. In un armadio della sagrestia dei canonici. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. 42 1. Paramenti sacri. Pianeta con accessori. In seta bianca con fitto ricamo in oro a rilievo di tralci e fiori in oro e seta a vari colori. Galloni ricamati in oro. Stemma gentilizio. 2. Negli armadi della sagrestia canonicale. 4. La seta del fondo è sgualcita in più parti. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. 43 1. Parati sacri – Pianeta con stola e manipolo. In seta violacea, con fitto e minuto ricamo a fili d’oro intrecciati d’esili 412 FEDERICA MONACO girali con viticci e foglioline a lametta. Stemma ricamato in oro e seta di Mons. Pignatelli (1682-1703). 2. In un armadio della sagrestia dei Canonici. 3. Buono. 4. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. 44 1. Parati sacri – Pianeta con stola e manipolo. In seta verde, con fitto e minuto ricamo a fili d’oro intrecciati d’esili girali con viticci e foglioline a lametta. Stemma ricamato in oro e seta di Mons. Pignatelli (1682-1703). 2. In un armadio ecc. (Il resto, c.s.). 45 1. Paramenti sacri – Pianeta con tutti i suoi accessori –. Seta bianca con fitto ricamo a rilievo in argento, di fogliame, cornucopie, fiori, tralci, spighe – Galloni in doppio ricamo. Al centro fontana a getto con vasca ed uccelli – e sotto, stemma gentilizio. Il resto c.s. 6. Secolo XVII-XVIII. 46 1. Parati sacri – Pianeta con accessori –. In seta bianca con massiccio ricamo in oro di fogliami, conchiglie e cartocci. Galloni a frange ricamate in oro. Stemma in seta di Mons. Jorio, applicato all’atto del riporto del ricamo. (Il tutto come sopra, meno: 6. Secolo XVII. 47 1. Parati sacri – Due tonacelle –. In seta bianca con ricamo in oro di cornucopie e fogliami. Galloni ricamati in oro. Stemma di Mons. Jorio applicato all’atto del riporto del ricamo. (Il tutto come sopra, meno: 6. Secolo XVIII. 48 1. Parati sacri – Due tonacelle con stole –. In seta rossa damascata a foglie e racemi. Galloni applicati gialli in lamina d’oro. Stemma applicato in seta denotante sede vacante. (Il tutto come al N° precedente). UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 413 49 1. Parato sacro – comprende Piviale, Pianeta, Tonacelle, Velo Omerale ed Accessori. In seta rossa, broccata a fiorami in seta di vario colore, argento e oro. Galloni applicati in oro. Stemma Mons. Caracciolo (1778-1817). (Il tutto c.s.). 50 1. Parati sacri – Pianeta con accessori –. In seta bianca con largo ricamo in oro a vari e larghi fogliami. Galloni ricamati in oro. Stemma ricamato ed incluso nel disegno del ricamo di Mon. Rotondo (1855-1885). 6. Secolo XIX. 51 1. Parati sacri – Quattro tonacelle e velo omerale. In seta bianca, con ricamo in oro a larghi fogliami, viticci, grappoli, spighe. Galloni ricamati in oro. Stemma ricamato in oro e seta di Mons. Rotondo (1855-1885). (Il resto come al N° preced.). 52 1. Croce in oro massiccio. Croce benedizionale detta croce opistografa di S. Cataldo. Non porta alcun fregio. Su una faccia presenta inciso il nome di Cataldus e sull’altra in due linee opposte Catadus Ra: chav. Fu rinvenuta nella tomba di S. Cataldo dal Vescovo Dragone nel 1071. La prima iscrizione secondo studi paleografici pare potersi assegnare al VII-VIII secolo. La seconda al sec. XI – e la terza al XII secolo. 2. Si conserva entro una più grande croce in argento negli armadi del Tesoro. 3. Cm 6x6. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Mons. Cos. Stornajolo – Crocetta aurea opistografa della Cattedrale di Taranto in Nuovo Bollett. di Archeol. Cristiana, 1915, pag. 83-93. G. Blandamura – Un cimelio del sec. VII esistente nel Duomo di Taranto – Lecce, 1917. 53 1. Anello pastorale in oro, smeraldi e smalti. Cerchio ornato di piccole rosette e smalto nero. Il costone s’inserisce sul cerchio per volute ricoperte di smalto azzurro e quattro mascheroncini. Porta, uno smeraldo centrale a rombo, circondato da altri quattro tagliati a triangolo (uno ora mancante); altri due a rombo si allungano lungo il cerchio. 414 FEDERICA MONACO 2. Si conserva negli armadi del Tesoro entro custodia. Dono dell’Arciv. Giov. De Castro (1600-1603). 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVI. G. Blandamura. Il Duomo ecc. p. 206. 54 1. Croce patronale in oro smalti e smeraldi. La croce ha le estremità delle braccia lobate. Nel dritto decorazione massiccia a volute, cartocci, nodi ravvivati nel colore con smalti bianchi, neri, azzurri, rossi. Dodici smeraldi entro costoni a fogliami lungo l’asse mediano delle braccia rilevano la forma della croce. Nel rovescio, in corrispondenza degli smeraldi, cinque rosette a rilievo, con una pallina al centro rivestita di smalto rosso e all’interno smalti e volute a traforo. 2. Si conserva negli armadi del Tesoro. Dono dell’Arciv. Giov. De Castro (1600-1603). 3. Cm 16,5x10,5. (Il resto come al N° preced.). 55 1. Collana d’oro con smeraldi. È composta di 34 rosette che portano nel modo mediano una gemma, ed alternativamente altre tre più piccole intorno. Al centro della catena un costone, in cui otto piccoli smeraldi di varia forma ne circondano uno grande rettangolare. 2. Negli armadi del Tesoro. Fu donata nel 1600 dall’Arciv. Giov. De Castro, il quale l’aveva ricevuta dal fratello Conte de Lemos vicerè delle Indie. 3. Lungh. cm 58. (Il resto come al N° preced.). 56 1. Calice in argento dorato. Piede lobato, rialzato circolarmente da doppio festone e decorato da foglie lobate, alternantisi con lingue serpeggianti di fuoco, che si torcono a spirale dal collo. Nodo rotondo con dieci bottoni sporgenti, che portano ciascuno al centro un fiordaliso. Nella coppa, lingue serpeggianti di fuoco e fiordalisi. Sul piede uno stemma vescovile con scritta: Fab. Mirt. Episcopus Caletin Patena in argento dorato. Su una fascia entro aureole di lingue serpeggianti è incisa una Resurrezione, sull’altra una Crocifissione. 2. Negli armadi del Tesoro. 3. Alt. cm 21. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 415 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XV. Si ripete la suddetta iscrizione. 57 1. Calice in argento dorato lavorato a cesello. Piede sagomato, con fitti ornati barocchi di cartocci, volute, festoncini a foglie come nel nodo e nella sottocoppa. Tre ametiste e tre smeraldi s’alternano nel piede e nel nodo, tre smeraldi e tre rosette formate di sei diamanti nella coppa. Sotto il piede stemma di Mons. Pignatelli che donò il calice alla Cattedrale nel 1703. 2. Negli armadi del Tesoro. 3. Alt. cm 26. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. De Vincentiis – St. di Taranto ecc. vol III, p. 93 -. 58 1. Calice in rame dorato ed oro. Piede circolare, decorato da due file di turchinella legate in oro. Tre testine d’angeli, in oro e smalto nelle ali, entro disegno a turchinella, intorno al collo del piede e nel nodo. Sottocoppa tutta in oro con ornati a traforo, tempestata di turchinella con tre testine d’angeli. 2. Negli armadi del Tesoro. Fu donato dall’Arciv. Caracciolo nel 1637. 3. Alt. cm 24. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. 59 1. Calice in rame dorato e argento. Piede circolare ornato a minuto rilievo. Nel collo tre testine di angeli smontabili in argento. Nodo rabescato e svasato con tre mascheroncini in argento. Sotto coppa in argento lavorato a cesello con tre testine di angeli. 2. Nell’armadio della sagrestia canonicale. 3. Alt. cm 23. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVIII. 60 1. Reliquiario in argento. 416 FEDERICA MONACO Ha forma di ostensorio. Il piede polilobato e la parte superiore che sorregge la teca lenticolare della reliquia sono lavoro recente. Il nodo in argento dorato porta sei bottoni sporgenti circolari, in uno è incisa una crocetta a mo’ di suggello, negli altri, cinque testine di Santi a smalto traslucido. Lo smalto è caduto, ma rimangono tracce nel fondo e nelle pieghe. 2. Negli armadi del Tesoro. Proviene dalla Badia Basiliana di S. Vito del Pizzo. 3. Alt. cm 26. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XV. De Vincentiis – St. di Tar. ecc. vol III, p. 91 – Blandamura – Il Duomo ecc. p.208. 61 1. Reliquiario in argento. Ha forma di ostensorio. La parte superiore che racchiude la reliquia è lavoro moderno, come pure anche il nodo. Il piede in argento, con tracce di una più tarda doratura, è polilobato, e diviso in tanti spicchi quanti sono i lobi. In essi si alternano, lavorati a sbalzo, tralci di edera e figure di Santi, angeli e Madonna. 2. Negli armadi del Tesoro. Appartenne all’Arc. Tommaso Caracciolo, che fece applicare nel piede il proprio stemma. 3. Alt. cm 29. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XV-XVI. 62 I – Reliquiario in argento a forma di braccio. Poggia su quattro piedi con putti, e base con fregi di foglie e festone circolare. Il braccio è decorato nella manica con ornati a cesello di fogliami. II - Reliquiario in argento a forma di braccio. In tutto simile al precedente. Porta un cartello con arme di Mons. Caracciolo. 2. Negli armadi del Tesoro. Entrambi dono dell’Arciv. Caracciolo, fatto nel 1637. 3. Altezza: cm 60 = cm 54. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. De Vincentiis, St. di Tar. – v. III, p. 91. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 417 63 I – Busto – Reliquario in argento. S. Pietro – Poggia sopra piede di rame dorato con incise la figura del Santo, lo stemma di Mons. Caracciolo ed epigrafe. Il Santo veste piviale con disegni di fiorami a sbalzo. L’aureola è in rame dorato. II – Busto – Reliquiario in argento. San Marco – In tutto simile al precedente. 2. Negli armadi del Tesoro. Dono dell’Arciv. Caracciolo nel 1637. 3. Il S. Pietro misura in altezza cm 75. Il S. Marco ’’ ’’ 72. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVII. De Vincentiis – St. di Tar., vol. III, p. 90. 64 1. Piatto in rame dorato. Fregi di cornucopie e frutti lungo la fascia marginale. Nel fondo, mascheroni alternantisi a specchi con entro figure di grossi uccelli. Il centro rialzato (cm 17 di diam.) porta l’arme dell’Arciv. Caracciolo (1637-1663). 2. Negli armadi del Tesoro. 3. Diam. cm 48. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. 65 1. Cassetta eburnea. Cassetta rettangolare con coperchio a piramide tronca. Porta tre maniglie in bronzo e una serratura a mappa. La connessura degli spigoli è assicurata da grappe, in serie di quattro per ogni angolo, a terminazione lanceolata. È ricordata sotto la denominazione di “arcula eburnea” nel verbale (foglio 22) della visita di Mons. Brancaccio fatta nel 1576. Mancano i peducci su cui, osservando il fondo, doveva poggiare. 2. Negli armadi del Tesoro. 3. Cm 18x11,5. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XIII. 66 1. Crocifisso in avorio. È montato sopra semplice croce in legno. 418 FEDERICA MONACO 2. Negli armadi del Tesoro. Fu donato alla Cattedrale da Mons. Stella (1713-1725). 3. Alt. cm 71. 4. Presenta una leggera fessura all’attaccatura. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVII. Blandamura – Il Duomo ecc. p. 205. 67 1. Crocifisso in avorio. Montato sopra croce di legno, corsa da listelli di avorio, al termine delle quattro braccia borchia di avorio con testine d’angioli. 2. Negli armadi del Tesoro. Proviene dal Monastero delle Benedettine. 3. Alt. cm 37. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Sec. XVIII. Blandamura – Il Duomo ecc. p. 206. 68 1. Messale. Contiene le messe delle maggiori solennità dell’anno. Consta di 52 fogli pergamenacei, riquadrati da fregi di fogliami e fiori ad acquerello. Iniziali in oro con intrecci di fiorami e figure. Tavole a miniatura ad acquerello e penna con la Natività, l’Epifania, la Purificazione, la Resurrezione, la Pentecoste, il Corpus Domini, S. Cataldo, l’Assunzione. 2. Nel Tesoro della Cattedrale, appartenne all’Arcives. Tommaso Caracciolo. 3. Cm 25x36. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 6. Secolo XVIII. Nel frontespizio: Missae Solemnes D.D. Thomae Caracciolo Archiepiscopo Tarantino Taranti per Frattam Ioannem Guillem Ordinis Sancti Augustini Hispania. G. Blandamura – Il Duomo etc. p. 207. 69 1. Legatura di Messale in velluto rosso e borchie di argento dorato. Agli angoli e al centro borchie di argento dorato che racchiudono dei tondi miniati con le figure di Isaia, Daniele, Ezechiele, Geremia e Aronne al centro, su una faccia; i quattro Evangelisti e Crocefissione al centro, sull’altra i germogli di argento dorato con tondi miniati recanti il monogramma del Cristo e il monogramma di Maria. Arte belga. UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 419 2. Nel Tesoro. 3. Cm 27x33. 4. Buono. 5. Alla Cattedr. 6. Secolo XVII. 70 1. Candelieri. Muta di sei candelieri, con croce, in legno rivestito di rame dorato, e decorati riccamente con bizzarro disegno da coralli rossi. Il Cristo del Crocifisso è tutto lavorato in corallo. Arte napoletana. 2. Negli armadi del Tesoro. Dono dell’Arciv. Pignatelli fatto nel 1682. 3. Alt. cm 58. 4. Buono. 5. Alla Cattedr. 6. Sec. XVII. De Vincentiis – St. di Tar. etc., vol. III, p. 94. 71 1. Ampolle da messa e piatto. Si alternano nel piede delle ampolle palline rosse e verdi applicate a fuoco. Corre la pancia un tralcio di vite a smeriglio con grappoli formati da palline bleu applicate a fuoco. Fascia dorata alla base e alla sommità del collo. Il piatto a forma ottagonale allungata; lungo i margini, fascia dorata di fogliami a smeriglio con perline. Il fondo, tempestato di stelline, ha una rosetta al centro. Arte muranese. 2. Nell’armadio della sagrestia canonicale. 3. Alt. delle ampolle cm 19. 4. Buono. 5. Mons. Gattini Nicola. 6. Sec. XVIII. 72 1. Blocco di granito con rilievo. È frammento classico. Doveva far parte di qualche basamento. Lo limitano in basso e in alto due cornici variamente sagomate, al centro entro specchio una panoplia, due scudi rotondi, lancia, arco e giavellotti. 2. Nella Cripta. 3. Cm 48x59. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 420 FEDERICA MONACO 73 1. Vasca sorretta da gruppo marmoreo. La vasca di marmo è opera di nessun interesse. Il gruppo su cui poggia è frammento di scultura classica. Quattro erme – di cui una è incassata nel muro – quasi a tutto rilievo, sorgono da un piede decorato di foglie, a mezzo busto. Pendono fra l’una e l’altra dei festoni carichi di frutta. Dietro le loro teste cinge il marmo una cornice ad ovali. 2. È murata in una parete del Battistero. 4. Buono. 5. Alla Cattedrale. 74 1. Dipinto ad olio su tela – Ingresso di S. Cataldo in Taranto -. Il Santo in abiti pontificali incede per una spaziosa piazza. Lo guida la Fede con un calice in mano. Lo segue un accolito che regge il pastorale. Dinanzi a lui si prostra un cieco, con un liuto in mano, accompagnato da un cane. Accorrono da sinistra altri poveri e storpi, mentre una folla osserva dalla fantastica città, che si stende sopra i bastioni con torri, archi trionfali, cupole, pinnacoli. A destra in primo piano una figura di storpio con grucce. Nel fondo un gregge, un lembo di mare e di cielo nuvoloso da cui discende la Colomba. La piazza è ingombra di ruine di monumenti pagani, che si sgretolano e precipitano al passaggio del Santo. Secchi colori, quasi metallici, con predominio di rosso-terra. In un’epigrafe la data MDCLXXV e in un capitello la firma Iohannes. Steff.que Caesaris Caramia a Martina Pt. 2. Appeso alla parete in una sala dell’Arcivescovato, già nel Duomo appeso ad una parete del vestibolo. 3. M. 4,50x3,50. 4. Discreto. 5. Alla Cattedrale. 6. MDCLXXV. Iones. Steff.que Caesaris Caramia a Martina Pt. V. l’Indice. Indice N° d’ordine Oggetto d’Arte 1. Madonnina della Candelora (Madonna del Popolo) 2. Statua di S. Giovanni Gualberto 3. “ S. Giuseppe 4. “ S.a Irene 5. “ S. Filippo Neri 6. “ S. Francesco di Paola UN INVENTARIO INEDITO DI GIUSEPPE BLANDAMURA DEL 1933 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. 41. 42. 43. 44. 45. 46. 47. 48. 49. 50. 51. “ S.a Teresa “ S. Domenico “ S. Francesco d’Assisi “ S. Sebastiano “ S. Marco Evangelista “ S. Giov. Battista “ S. Pietro Statua in argento di S. Cataldo Porta della nicchia di “ Statua dell’Arciv. Caracciolo Sarcofago in granito nella Cripta Frammento di cattedra “ Mostri stilofori della “ Ciborio nel Battistero Ciborio dell’Altare maggiore Soffitto in legno Quadro di S. Cataldo nel vestibolo “ del Presepio “ dell’andata di Gesù al Calvario “ di S.a Barbara “ dell’Immacolata tra Santi “ di S. Michele Arcangelo “ della Vergine con S. Gaetano “ della Deposizione “ dell’Adoraz. dei Magi nel coro “ del Riposo in Egitto ‘‘ “ “ della Moltiplicaz. dei pani nel Sacramento “ della Caduta della Manna “ “ dell’Ultima Cena “ “ tre pannelli – nella cappella “ Campana maggiore “ minore “ grandissima “ “ Parati sacri “ “ “ “ “ “ “ “ Parati sacri “ “ “ “ “ “ “ “ “ “ 421 422 52. 53. 54. 55. 56. 57. 58. 59. 60. 61. 62. 63. 64. 65. 66. 67. 68. 69. 70. 71. 72. 73. 74. FEDERICA MONACO Croce in oro Anello pastorale Croce pastorale Collana d’oro Calice in argento dorato “ “ “ “ in rame dorato “ “ “ Reliquario di S. Vito “ di Mons. Caracciolo Due Bracci “ “ Due Busti: S. Pietro e S. Marco Piatto in rame dorato Cassetta eburnea Crocifisso grande in avorio “ piccolo “ Evangelistario miniato Legatura di Messale con borchie Candeliere con coralli rossi Ampolle da messa Blocco di granito con panoplia nella Cripta Vasca e gruppo marmoreo nel Battistero Quadro: Ingresso di S. Cataldo in Taranto – Episcopio –. RECENSIONI RECENSIONI CEI, UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, “L’avete fatto a me”. Le Opere di Misericordia corporale e spirituale nel mondo della cura, (a cura di C. ARICE), Edizioni SdS, San Giorgio J. (TA) 2015, pp. 68, € 6.00 Ha scritto Papa Francesco nella Misericordiae Vultus, la Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli” (n. 15). Accogliendo il desiderio di Papa Francesco, don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana, ha curato una raccolta di commenti sulle opere di misericordia nella prospettiva della pastorale della salute con l’auspicio offrire testi utili per l’animazione pastorale. A firmare i vari contributi sono stati chiamati diversi Membri della Consulta Nazionale per la Pastorale della Salute e alcuni Collaboratori dell’Ufficio Nazionale. “La misericordia, atteggiamento del cuore per i miseri – scrive don Carmine Arice presentando la raccolta –, si esprime con la benevolenza, l’indulgenza, l’amicizia, la grazia verso ogni fratello, ma anche con la bontà, la pietà e la carità verso i bisognosi. La tradizione della Chiesa ha identificato come esplicazione – non esaustiva – dell’agire misericordioso, 14 opere di opere di misericordia, 7 spirituali e 7 corporali, a memoria di un dato fondamentale: l’uomo, in quanto tale, è anzitutto bisognoso” (p. 3). Nella lettura dei singoli contributi emerge una considerazione importante: per essere misericordiosi come il Padre (cf. Lc 6,36) competenza e tecnica, pur necessarie, non bastano. Per questa ragione viene puintualizzato che “le opere di carità non si possono esercitare con misericordia se 426 RECENSIONI non ci si innalza dal piano dell’avere a quello dell’essere. Per praticarle bisogna impegnarsi personalmente (cf. F. MANNS, Le opere di misericordia nei quattro Vangeli). Recita il Talmud: ‘L’elemosina viene fatta solo con il danaro, le opere di misericordia con il danaro e con tutta la persona; l’elemosina viene fatta solo al povero, le opere di carità sia ai poveri che ai ricchi; l’elemosina viene fatta solo ai viventi, le opere di carità riguardano sia i viventi che i morti’ (bSukkah 49 B). Innalzandoci dal piano dell’avere a quello dell’essere, faremo l’esperienza che l’esercizio delle opere è anzitutto un bene per chi le compie. Donandosi e spendendosi per l’altro si viene liberati dalla morte, dalla chiusura e dal ripiegamento su di sé e dall’autoreferenzialità” (pp. 3-4). Ad aprire la serie delle opere di misericordia corporali vi è Fra Marco Fabello, o.h. Direttore Generale I.R.C.C.S. Centro San Giovanni di Dio - Fatebenefratelli di Brescia, con l’opera “Dar da mangiare agli affamati”; il contributore ripercorre i vari significati che l’opera riveste, assai più vasti e impegnativi di quanto non sia il semplice e facile riferimento al pane di farina, alimento quasi indispensabile per saziare la fame. E poi si chiede: “affamati di che cosa? Resi affamati da chi? Costretti alla fame perché?”. Don Tullio Proserpio Cappellano dell’I.R.C.C.S. Istituto Nazionale dei Tumori di Milano tratta l’opera di “dar da bere agli assetati” e afferma che solo una relazione autentica tra l’operatore sanitario e pastorale con l’ammalato ristora, dona energie nuove, il futuro è trasformato e rinasce la speranza. “Vestire gli ignudi” è la riflessione affidata al Diacono Michele Sardella Direttore dell’Ufficio di Pastorale della Salute della Diocesi di Porto-Santa Rufina e Incaricato regionale nel Lazio: rivestire le relazioni con gli “abiti” dell’ascolto, della vicinanza, della comprensione è una qualità che viene richiesta a chi vive accanto a situazioni di fragilità. Sull’opera di “Alloggiare i pellegrini”, l’Avv. Francesca Di Maolo, Presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, scrive: l’accoglienza in primo luogo implica apertura e dedizione verso l’altro, ma anche la capacità di ascoltarlo e di fargli spazio nel nostro cuore. Uno spazio nel quale si senta accettato così come è. Ma l’accoglienza richiede anche il saper essere prossimo all’altro, il prendersi cura dell’altro. Per accogliere occorre diventare ‘una presenza che soccorre’. “Visitare gli infermi”, afferma Don Carmine Arice, ssc, CEI - Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute, è un momento privilegiato nel quale la comunità ecclesiale porta la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono, riconoscendo con umiltà che il Signore Gesù si è identificato con il malato. Sulla sesta opera di “Visitare i carcerati” il Dott. Marco Lora, CEI - Addetto dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute e Docente invitato alla Pontificio Facoltà Teologica Teresianum, sottolinea che la visita al carcerato serve all’incontro, all’ascolto, ad alleviarne la sofferenza e la solitudine, a curarne le malattie, a offrire una prospettiva di vita e di speranza. RECENSIONI 427 Per il Prof. Massimo Petrini, Docente dell’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale Sanitaria - Camillianum, “Seppellire i morti” simboleggia il luogo di una germinazione, in cui si compirà la fioritura della vita secondo lo Spirito (cf. 1Cor 15,44). La sezione sulle opere di misericordia spirituale è aperta dalla Dott.ssa Paola Geraci, Medico Ostetrico-ginecologo, Direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi di Palermo con l’opera “Consigliare i dubbiosi”: il consiglio ci sostiene in una testimonianza alla verità, oggi, tempo in cui prevale la cultura del valore della variabilità delle opinioni. L’opera spirituale di “Insegnare agli ignoranti”, afferma il Dott. Giovanni Cervellera, Presidente Nazionale A.I.Pa.S., non consiste nella pura trasmissione di conoscenze, ma vuol dire stabilire un rapporto che permetta di apprendere un nuovo sapere, la sapienza del cuore secondo il Vangelo. Don Massimo Angelelli, cappellano presso il Policlinico Universitario di Tor Vergata di Roma spiega come “Ammonire i peccatori” significa preoccuparsi del fratello, di chi è accanto; ciò non è una opzione, ma un dovere e un parametro di valutazione della vita cristiana. L’abito poi della correzione sono la delicatezza, il sorriso, la cortesia, gesti pieni di umanità. Siamo chiamati a “consolare gli afflitti” – afferma Don Danilo Priori, Vice Assistente Nazionale UNITALSI – perché seguiamo Gesù quale modello perfetto: è lui che ci ha consolati per primo, mostrando il volto misericordioso del Padre, e allo stesso modo ci chiede di consolare coloro nei quali possiamo scorgere il suo volto sofferente. La quinta opera di misericordia spirituale – il cui commento è affidato a Don Enzo Misuriello, Cappellano presso la Fondazione Piccola Opera Charitas – c’invita a “perdonare le offese ricevute” e, sollecitando particolarmente l’orgoglio, è la più difficile di tutte, apparentemente impossibile nella nostra società in cui l’umiltà, fondamentale per la capacità di perdono, è segno di debolezza. La sesta opera di misericordia spirituale – “Sopportare pazientemente le persone moleste”, scrive il Dott. Michele Tancredi Loiudice, Membro della Consulta Nazionale per la Pastorale della Salute – spinge a prestare attenzione alla qualità dei rapporti che instauriamo con le persone che ci circondano, con i malati, con i colleghi, o perfino con chi incontriamo per caso. Essa è costruita sulla contrapposizione tra il significato di misericordia e molestia, cioè tra il sentimento di compassione per l’infelicità altrui e la sensazione incresciosa di pena, di tormento, di incomodo provocata da persone che producono un turbamento del benessere fisico o della tranquillità spirituale. L’ultima – o meglio il culmine – delle opere di misericordia spirituali, “Pregare Dio per i vivi e per i morti”, è commentata da Don Filippo Urso, Direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Salute dell’Arcidiocesi di Taranto e Incaricato regionale in Puglia. Questa opera impegna la vita del 428 RECENSIONI credente in un’azione di intercessione per gli altri. Essa è preghiera di intercessione per i vivi, per cui si fa memoria delle persone che si amano, si prega per i persecutori e si amano i nemici; è preghiera di suffragio per le anime dei defunti che esprime l’amore e la solidarietà dei vivi verso coloro che sono morti; è, infine, intercessione e fraterna sollecitudine della Chiesa celeste per i vivi. Filippo Urso CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE - CONSULTA REGIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Valore ontologico della persona e apertura all’Assoluto per un umanesimo nel mondo della sanità. Un contributo della pastorale della salute per il convegno ecclesiale di Firenze, URSO F. (a cura di), Edizioni SdS, San Giorgio J. (TA) 2015, pp. 1-102, € 5.00 In preparazione al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale celebrato a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015 dal tema, In Gesù Cristo il Nuovo Umanesimo, tutte le realtà delle Chiese locali italiane hanno sperimentando un significativo coinvolgimento di riflessione che ha visto impegnata anche la Consulta Regionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Pugliese con un contributo sull’umanesimo come umanizzazione del mondo della salute e della sanità. Si è colto, inoltre, l’appello rivolto alla Consulta Nazionale per la Pastorale della Salute del 17 febbraio 2014 da parte di S.E. Rev.ma Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della CEI, a riflettere in modo concreto sui processi di umanizzazione nel mondo della salute: “Condividete la vostra riflessione ma condividete soprattutto la vostra esperienza accanto ai malati e ai sofferenti. È questo il vostro apporto significativo all’evento di Firenze del prossimo anno. Ritengo che una dimensione come questa vada veramente tenuta in considerazione e può diventare una delle chiavi di lettura seria del Convegno di Firenze… Sembra ormai un discorso già detto, quasi demagogico, parlare di umanizzazione della sanità, di relazione, di farsi prossimo. Ognuno di noi oggi, adesso, deve farsi carico seriamente di queste esigenze, altrimenti rischiamo di fare demagogia su cose serie” (quarta di copertina). Sembrerebbe – come affermava Mons. Galantino – ormai un discorso già detto, quasi demagogico, parlare di umanizzazione della sanità. In realtà nel mondo della salute e della sanità c’è tanto bisogno di umanizzazione, perché “Nel contesto culturale attuale – scrive don Filippo Urso, Incaricato CEP per la Pastorale della Salute in Puglia e curatore del libro –, l’eclissi del senso di Dio e dell’uomo conduce ad un materialismo pratico che considera il corpo umano non più come realtà tipicamente personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo, ma come un semplice complesso di organi” (p. 13). RECENSIONI 429 L’istanza di umanizzazione può trovare risposta nell’“attenzione alle dimensioni umane e spirituali del sofferente – continua don Filippo Urso -, secondo un’antropologia personalista… [che aiuti] gli operatori sanitari e pastorali ad umanizzarsi, ad uscire dai rapporti di ruolo e ad instaurare un’etica dell’assistenza in cui la relazione è un incontro tra una fiducia e una coscienza. Nel passaggio poi a una visione teologica aperta all’Assoluto, il credente potrà considerare il corpo come espressione del gesto creativo di Dio e comprendere che non vi è umanesimo vero se non aperto verso l’Assoluto. Una visione antropologica e teologica dell’uomo non potrà che facilitare gli amministratori del bene comune della salute a concentrarsi sull’uomo, a considerare l’umanizzazione come un dovere di giustizia e a trasformare l’impersonale in personale (pp. 13-14). Certo si tratta di un tema arduo – scrive nella Prefazione S.E. Mons. Vincenzo Pisanello, Presidente della Commissione Carità e Salute della Conferenza Episcopale Pugliese, – “perché ardua e delicata è la regione umana alla quale esso intende accostarsi: quella della sofferenza degli uomini. Che cosa vuol dire umanizzare la sofferenza? E come l’umanesimo cristiano può gettare una luce su un tema così delicato?” (p. 7). Il tentativo di questa pubblicazione traccia alcuni elementi di risposta a questi interrogativi. Mons. Pisanello, così ne sintetizza efficacemente i contenuti: “Umanizzare la relazione pastorale con le persone vuol dire, in questo senso, mettere al centro la persona ammalata e la sua soggettività, restituirle il diritto di rimanere protagonista del cammino di elaborazione della sua situazione, anche quando questo cammino attraversa momenti di confusione, di non senso, di difficoltà. Vuol dire rinunciare ad interpretare, a giudicare, ad anticipare troppo presto risposte che ancora la persona non riesce a trovare dentro di sé e che finirebbero per interrompere quel processo interiore che si sta sviluppando. Anche in quei momenti noi rispettiamo il carattere sacro della persona umana, e serviamo il suo mistero… Dobbiamo mettere in atto atteggiamenti e accompagnamenti che aiutino ciascuno nel proprio lavoro interiore, che è quello di ogni essere umano: riflettere su di sé, pensare, amare, anche mentre si sta facendo i conti con la malattia, il dolore, il limite. Perché non è affatto scontato che in quei momenti ognuno affronti, nella propria coscienza sveglia, con lucidità e attenzione, ciò che sta vivendo. Allora la presenza di un fratello, di una sorella della comunità cristiana può essere un aiuto non a fare il cammino al posto della persona ammalata, ma a crearle attorno le condizioni perché ella stessa lo faccia per sé. Ascoltare, rinunciare a parlare troppo presto, rimandare all’altro, come riflesso in uno specchio, ciò che vediamo, aiutarlo a non perdere di vista il cammino della sua intera esistenza, ritessendo il legame tra tutte le dimensioni della sua vita perché non separi malattia e preghiera, fede e limitazioni del corpo o della mente, elementi positivi che permangono malgrado la sofferenza e pesi della nuova situazione. Rimanere accanto provando ad aiutare l’altro a leggere 430 RECENSIONI tutto, della propria situazione di vita, nella propria coscienza illuminata dalla fede in Dio (pp. 8-9). Da quanto sopra detto si comprende bene che la competenza degli operatori sanitari e pastorali è la prima necessità nel servizio dei malati e dei sofferenti, ma da sola non è sufficiente. A tal proposito Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est, § 31 scriveva che c’è bisogno anche dell’umanità e dell’attenzione del cuore, costantemente alimentata da una formazione che aiuti gli operatori sanitari ad un incontro di fede con Dio, così da suscitare in loro l’amore e aprire il loro animo all’altro. Soltanto nell’incontro di fede con Cristo, che ha assunto un’umanità simile alla nostra, l’uomo può imparare a vivere in pienezza la propria umanità come Lui l’ha vissuta, ricca di amore a servizio di Dio e dei fratelli più sofferenti: “Non la scienza – affermava San Giuseppe Moscati, Primario Ospedaliero e Professore Universitario a Napoli –, ma la carità ha trasformato il mondo”, quella carità che ha origine in Dio stesso e affonda le sue radici nella legge naturale della solidarietà umana. Dunque, Cristo medico e buon Samaritano è il modello per l’umanizzazione: “Tutta la vita di Gesù – scrive Papa Francesco –, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale” (Evangelii Gaudium, § 265). Giuseppe Carrieri SIBILLA M., Politica sociale. Un approccio differente, Giuseppe Laterza, Bari, 2015, 285. I sistemi di welfare costruiti nei paesi occidentali dal secondo dopo guerra hanno contribuito a modificare l’assetto sociale delle economie avanzate innalzando i livelli di benessere dei cittadini. La nuova sfida affidata alla politica sociale è quella di ridisegnare un sistema di protezione sociale adeguato alla complessità che caratterizza la società attuale e rimodulato sui bisogni, sulle esigenze e sulle aspettative del cittadino inteso sia come soggetto portatore di diritti e doveri sia come persona inserita in una rete di relazioni sociali e di responsabilità individuali e collettive. L’autrice Marinella Sibilla, docente di Politica sociale e di Sistemi comparati di welfare del corso di laurea di Servizio sociale presso la LUMSA, introduce il saggio affermando che non è solo il Pil a determinare il grado di benessere di una comunità, ma un peso piuttosto rilevante ha sicuramente il Fil, ossia la felicità interna lorda che definisce lo stock di capitale sociale rappresentato dall’insieme dei fattori collegati alla qualità della vita di relazione, alla voglia di cooperazione, al grado di soddisfazione e fiducia del cittadino nel presente e in chi governa. RECENSIONI 431 Nato come testo rivolto agli studenti e ai neofiti si presenta agevole, arricchito da tabelle che ne sintetizzano i contenuti, ricco di riferimenti bibliografici che ne garantiscono la scientificità e idoneo ad addentrarsi tra i meandri di un ambito che per poter essere realmente colto ha bisogno della conoscenza di elementi basilari su cui costruire la propria opinione. Il primo capitolo, infatti, procede con un’accurata ricognizione degli elementi caratterizzanti e fondanti le politiche sociali, dopo attente e minuziose definizioni della disciplina, ne definisce lo scopo, i destinatari, i settori, gli ambiti di intervento e gli attori. Il secondo capitolo, introdotto con brevi cenni storici sulla nascita e lo sviluppo del sistema di welfare, classifica, con l’aiuto di sociologi eminenti, le modalità di intervento pubblico, chiarisce quali siano i pilastri dell’attuale sistema di sicurezza sociale e le politiche a loro attinenti. Il terzo capitolo ribadisce con estrema convinzione l’importanza della legge quadro 328 promulgata nel 2000 dopo un lunghissimo periodo di dibattiti culturali, sociali e politici, prefiggendosi l’ambizioso obiettivo di realizzare un sistema di welfare integrato. In tale norma l’integrazione costituisce lo strumento ideale per fronteggiare la complessificazione dei bisogni dovuta: – alla rivoluzione tecnologica che ha modificato l’organizzazione dei processi produttivi, le strutture di mercato, i rapporti di lavoro, le regole di occupazione; – al processo di invecchiamento della popolazione che determina un aumento della domanda di servizi sociali e uno stress finanziario al sistema previdenziale e sanitario; – agli incessanti processi di immigrazione che hanno investito l’Europa e che richiedono interventi di solidarietà, di integrazione e di inclusione senza precedenti storici di recente memoria; – all’indebolimento delle reti familiari, amicali e di vicinato che alimentano il senso di solitudine e di isolamento rendendo necessaria la costruzione di una rete di servizi territoriali idonea a fronteggiare le nuove sfide assistenziali. Il quarto capitolo dopo un’attenta descrizione del Terzo settore, dei soggetti che ne fanno parte e del ruolo che ha assunto nella promozione del benessere collettivo, focalizza l’attenzione sulla tanto attesa riforma che ha l’obiettivo di riorganizzare e di armonizzare la disciplina riconoscendo un estremo valore a questo ambito che negli ultimi anni ha dimostrato sul campo la sua valenza. Il quinto capitolo dal titolo “Dall’e-welfare al Mobile health” pone l’accento sull’importanza della rete nella gestione ed erogazione dei servizi. Il web viene visto e declinato come uno strumento di forza per rispondere in modo sempre più efficace ed efficiente alle richieste dei cittadini anche delle frange più deboli come anziani e disabili. L’autrice sembra far propria l’idea, tutta europea, di e-government che consente l’e- 432 RECENSIONI democracy ovvero la partecipazione attiva degli utenti alla determinazione dei servizi e degli interventi vista come reale possibilità per il cittadino di essere un pro-sumer, soggetto capace non solo di usufruire del servizio ma di contribuire a migliorarne costantemente la qualità attraverso l’attività di programmazione, di gestione e di erogazione. Nella sua dissertazione l’autrice rivela in merito al raggiungimento di questi nobili obiettivi, scritti nei diversi documenti europei, una disomogeneità tra i paesi dell’Unione evidenziando che l’Italia risulta essere, insieme alla Repubblica Ceca, alla Bulgaria e alla Romania, il fanalino di coda nell’informatizzazione dei servizi. Interessante è la panoramica che l’autrice realizza di alcune tessere importanti dell’ampio mosaico delle politiche sociali a partire dal lavoro con l’analisi del jobs act, alle direttive europee sulla nuova agenda degli immigrati, alle nuove politiche abitative e all’uso da parte dei governi del social housing nel quale si inserisce anche il cosidetto cohousing o uso condiviso di uno spazio domestico, alle politiche di istruzione con un’esamine della celeberrima e tanto chiacchierata “buona scuola”. Particolarmente innovativo è il settimo capitolo dedicato interamente alle politiche alimentari. L’attenzione rivolta a tale argomento da parte di un’esperta in politiche sociali qual è la Sibilla, ha svariate motivazioni. La più importante è di interesse anche delle politiche sociali poiché, garantire a tutti la possibilità di sviluppare uno stile alimentare sano, significa porre una maggiore enfasi sulle attività di prevenzione di alcune malattie croniche e degenerative in grado di promuovere uno stato di ben-essere sempre più elevato e di incidere positivamente sulle finanze dello Stato sempre più impegnate a fronteggiare stati di disagio conclamato e/o a gestire interventi di riparazione del danno. Naturalmente tale obiettivo fissato già nel lontano 1998 dall’OMS a Copenaghen e nei successivi documenti europei richiede approcci multidimensionale e multisettoriali che invitano ambiti, apparentemente distanti, quali l’industria alimentare, l’agricoltura, i trasporti, la pubblicità e il commercio, ad un’intesa attività di raccordo e di cooperazione. L’autrice sottolinea il ruolo fondamentale che gioca in tal senso il settore educativo, formativo e istruttivo in grado di sviluppare una coscienza collettiva che influenzi sia il singolo individuo sia le istituzioni. Il primo per indirizzarlo verso la riduzione di alcuni usi alimentari insani e l’abbandono di stili di vita dannosi in favore dell’acquisizione di sane abitudini; le seconde per favorire una simmetrica informativa, la divulgazione di dati e notizie certe e trasparenti, il potenziamento del controllo sulle aziende di produzione e trasformazione degli alimenti e sulle imprese che detengono il monopolio dei messaggi pubblicitari. Sibilla coglie in modo esemplare anche lo stretto collegamento tra le politiche alimentari e le politiche agricole partendo dal presupposto che una cultura di sana alimentazione deve essere integrata con pratiche agricole sostenibili nonché con interventi ed iniziative di tipo inclusivo. Non poteva mancare in un saggio di politica sociale un capitolo dedi- RECENSIONI 433 cato all’Europa, oggi reale propulsore di riforme strutturali nei paesi membri atte a promuovere la ricerca, l’istruzione, la formazione professionale, l’accesso ad internet, l’informatizzazione dei servizi, la modernizzazione dei sistemi previdenziali, la promozione di azioni volte a tutelare il diritto del lavoro ed abbattere i tassi di disoccupazione nonché sottrarre milioni di persone alla povertà ed all’esclusione sociale. Il saggio termina con l’auspicio che le politiche di prevenzione possano prendere il posto delle politiche riparative, che la logica del locale venga soppiantata dalla logica del glo-cale e che la crescita e lo sviluppo si realizzi in un’ottica di sostenibilità salvaguardando il presente e preservando il futuro. Antonella Gorgoni MANSI L., Pastori di una Chiesa in uscita. Meditazioni per Ministri ordinati. Sui passi della Evangelii Gaudium di Papa Francesco, UAC-tau editrice, Todi (PG) 2015, pp. 110, € 7.00. Si può tranquillamente affermare che già il titolo della presente pubblicazione contenga anche la spiegazione dei suoi contenuti. Innanzitutto l’autore: è un presbitero pugliese che, dei quarant’anni di ministero, molti li ha vissuti come padre spirituale nel Seminario Teologico Regionale di Molfetta; attualmente è Presidente Nazionale dell’Unione Apostolica del Clero. Questi pochi cenni giustificano le presenti meditazioni per i ministri ordinati. L’ispirazione viene dell’esortazione apostolica di Francesco – Evangelii Gaudium – che rappresenta lo sfondo, la cornice o il filo rosso di ciò che l’Autore scrive nel testo, modesto nel numero delle pagine, ma molto denso e di grande interesse nei contenuti, frutto di una personale esperienza. La visione di Papa Francesco che parla di una Chiesa in uscita, auspicando una sua trasformazione missionaria, è alla base delle presenti riflessioni di don Luigi Mansi. Francesco promulga l’Evangelii Gaudium per tutti e, quando parla di conversione missionaria, si rivolge alla Chiesa intera, in ogni sua componente, esortando a vivere in modo integrale il proprio battesimo: tutti, partecipando mediante il sacramento della rigenerazione alla funzione profetica di Cristo, sono missionari. I sacerdoti lo sono anche in virtù del sacramento dell’Ordine sacro che li rende continuatori della missione di Gesù nel mondo. Della Evangelii Gaudium, sono state date molteplici letture; ogni commentatore ha sottolineato un aspetto in particolare. Don Luigi Mansi presenta un taglio missionario, evidenziato nella maggior parte dei commenti di altri autori, ma non sempre, costoro hanno messo in evidenza il ruolo dei presbiteri per accelerare la trasformazione missionaria della Chiesa. 434 RECENSIONI Per questa ragione, il presente contributo è ritenuto prezioso in quanto ciò che il Papa dice alla Chiesa, è attribuito dal nostro autore ai sacerdoti. In apertura, vi è la presentazione di Felice di Molfetta, vescovo emerito di Cerignola-Ascoli Satriano, e la premessa dello stesso autore. L’itinerario si snoda in sette piccoli capitoli a commento di altrettanti brani citati dell’esortazione apostolica. Dopo la prospettiva del documento, l’Autore riprende le note esortazioni e riflessioni di Papa Francesco: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione; non lasciamoci rubare la speranza; non lasciamoci rubare la comunità; non lasciamoci rubare il Vangelo; non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno; altre sfide ecclesiali: sono i punti che l’Autore del testo riprende, applicando il contenuto alla persona e al ministero dei sacerdoti diocesani. Nella conclusione, egli si interroga su quale spiritualità debba caratterizzare la loro vita e il loro ministero. Il tema, in verità, è trasversale a tutti i punti trattati. Una citazione, però, potrebbe sintetizzarlo: “Parlare di Spiritualità Diocesana significa affermare che per un presbitero la fonte a cui attingere per vivere bene il proprio ministero e farsi santo è il ministero stesso, cioè il legame pastorale ed insieme sponsale con una chiesa particolare, che ha il suo nome, la sua storia, i suoi santi, il suo vescovo, il suo territorio, la sua realtà sociale e civile… Quando viene ordinato un presbitero, egli viene ordinato per una chiesa, a servizio di essa. Non esiste un ministero che sia sciolto da ogni legame con una chiesa particolare” (pp. 97-97). Pertanto, la Spiritualità Diocesana è una spiritualità incarnata che, avendo come fonte e modello Cristo, è legata a tempi e luoghi particolari; è una spiritualità pastorale che chiede di possedere le caratteristiche del Buon Pastore e cioè: l’amore per il gregge, la vigilanza su di esso affinché nessuna delle pecore vada perduta e nessuna finisca in bocca a lupi rapaci, esige guida e cura per tutte, in modo particolare per le più deboli; è una spiritualità sponsale che chiede di amare la Chiesa là dove il sacerdote nasce, vive e dove viene destinato; è una spiritualità ministeriale che chiede di servire, non di essere serviti; è una spiritualità fraterna che nasce e si sviluppa in una visione e in una prassi collegiale e fraterna del ministero. La lettura che don Luigi Mansi fa dell’Evangelii Gaudium nel suo piccolo, ma ricco e prezioso testo, può essere oggetto di riflessione e incoraggiare la conversione sia nella vita personale che nel ministero. Alessandro Greco DI TARANTO L., La parrocchia e la pastorale della salute, Edizioni CVS, Roma 2015, pp. 190, La “salute” e la “salvezza” non sono un desiderio ed un obiettivo che riguardano solo il corpo o l’anima o lo spirito dell’uomo, ma riguardano RECENSIONI 435 tutto l’uomo indiviso, nella sua realtà trinitaria, ad immagine e somiglianza del suo Creatore. Pur restando ed essendo indispensabili le diagnosi e le terapie particolari, con gli specialisti specifici, resta la necessità di operare una sintesi sanante sulla persona totale, anche se l’uomo contemporaneo spesso non ne ha coscienza, ne nega i fondamenti e non ne sente il bisogno. Il presente libro di Padre Leonardo Di Taranto individua nella parrocchia la struttura ideale per la realizzazione di questa missione a condizione che si attuino i cambiamenti della pastorale che papi e vescovi hanno proposto a partire dal Concilio Vaticano II. Il passaggio da una pastorale di conservazione ad una pastorale di evangelizzazione, il ruolo indispensabile e di pari dignità del laicato, la parrocchia vista e gestita come comunità di comunità, unite nella diversità – tutti frutti del battesimo che opera in ogni battezzato rendendolo re, sacerdote e profeta – sono il fondamento sul quale ogni realtà parrocchiale realizza il compito di portare Cristo salvatore a tutti. In questo compito così importante la Chiesa – scrive nella sua Premessa al libro Padre Alfredo Marchello, Ministro Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Puglia – si rivela come “lo strumento di Dio per illuminare, liberare, sanare gli uomini mediante la presenza del Signore Risorto e la potenza del suo Vangelo. Tutto ciò, però, rischia di rimanere un bel discorso se non diventa esperienza concreta, e sarebbe bello avere dei suggerimenti pratici…” (p. 4) Ed è proprio nella prospettiva di suggerimenti pratici che si colloca questo contributo, che vede “nella parrocchia – continua Padre Marchello – il luogo tangibile in cui poter fare esperienza del cristianesimo come risposta all’umanità con il suo bisogno di salute e di gioia. In un tempo in cui si parla di allontanamento dalla fede, e di scarsa significatività della parrocchia, il libro ripercorre la storia della parrocchia lungo duemila anni per recuperarne il senso originario di comunità sanante mediante risorse che appartengono alla comunità dei credenti. Tali risorse sono veri e propri strumenti di guarigione, afferma l’autore, e sono inerenti alla natura stessa della realtà parrocchiale: il recupero di una sana soggettività, un atteggiamento di comunionalità, l’esperienza di mutua e dinamica accoglienza, la terapeuticità di un atteggiamento di dialogo che vinca la moderna tendenza all’isolamento, una visione di ottimismo e di speranza, la celebrazione festiva della gioia nella liturgia. Ecco una sfida alla fede cristiana oggi, una pro-vocazione, come viene definita dall’autore, cioè una chiamata – per uno scopo e per un beneficio, in vista dell’annuncio di un Vangelo interessato alla salvezza integrale della persona umana” (Ibidem). Giovanni Polimeni 436 RECENSIONI Pastore e mecenate. Giuseppe Capecelatro e la scienza della moneta, a cura di FRANCESCO CASTELLI e GIUSEPPE LIBERO MANGIERI, Mandese Editore, Taranto 2015, 143, Euro 16,00 La pubblicazione curata dal Prof. Francesco Castelli, Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “R. Guardini” di Taranto e Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Taranto, e dal dott. Giuseppe Libero Mangieri, funzionario della Soprintendenza Archeologica della Puglia e del Polo Museale della Puglia, è definibile un contributo di raffinata ricerca che mira a completare una figura complessa ed eclettica, quella di Giuseppe Capecelatro (1744-1836), Vescovo della diocesi Tarantina, definito da S. Ecc.za Filippo Santoro nella prefazione “mecenate, collezionista e numismatico oltre che pensatore, giurista e archeologo […] pastore, amico del suo popolo in tempi di grandi cambiamenti”. Il volume, infatti, nasce dallo studio di alcune decorazioni pittoriche rinvenute durante i lavori di restauro del Palazzo Arcivescovile di Taranto, nell’area un tempo destinata da Mons. Capecelatro alla Biblioteca, attualmente ripristinata nella medesima sede, dopo una serie di differenti impieghi strutturali e funzionali. Dalle indagini è emerso il peculiare aspetto di un Vescovo non solo pastore riformatore in un periodo di cambiamenti frenetici ma soprattutto di un collezionista e numismatico fuori dal comune, un uomo di fascino, di lettere e di politica, secondo quanto affermarono i suoi contemporanei. Lo studio si avvale del contributo ad ampio respiro del prof. Vittorio de Marco - Ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Lecce e Direttore della Biblioteca Arcivescovile - il quale illustra nel saggio “Don Giuseppe Capecelatro uomo della presente e futura età” la poliedrica capacità del Vescovo di aprirsi alla bellezza e alle più disparate forme di interesse artistico, segnando storicamente la metamorfosi di una figura ecclesiale in un personaggio ben calibrato politicamente e pastoralmente. Segue il saggio del prof. Francesco Castelli “Il Libro e il Pastorale. Le Lettere Pastorali di Giuseppe Capecelatro”, mirato a completare la biografia del Vescovo, attraverso lo studio pedissequo dei suoi scritti pastorali: essi evidenziano autocitazioni, dati autobiografici ed espressioni tipiche che permettono di integrare e rileggere la sua vita e la sua formazione alla luce dell’attività innovativa di un pastore con le qualità di elegante scrittore e poeta. I contributi del prof. Nico Fasano - storico dell’Arte e docente di Storia dell’Arte presso gli Istituti Superiori - e del dott. Luigi Tondo funzionario della Soprintendenza Archeologica della Puglia- rispettivamente divisi su “Capecelatro e la committenza artistica: la Biblioteca Arcivescovile” e “Capecelatro: il passo del progresso e la Scienza della Moneta” si completano offrendo un’accurata descrizione storica e scientifica dei luoghi e degli oggetti di proprietà del Vescovo, da cui affiora la straordinaria e ricercata attenzione alla cultura classica e all’archeologia, profusa nel gusto estetico della ristrutturazione del Palazzo Arcivescovile – ancora oggi visibile – ed in quei luoghi di cui si ha memoria solo tramite le te- RECENSIONI 437 stimonianze documentarie. L’opera si conclude con “Medaglioni e monete nella Biblioteca Arcivescovile di Taranto”, in cui l’autore, dott. Giuseppe Libero Mangieri, esamina le immagini pittoriche presenti nella sala lettura della Biblioteca Arcivescovile. I suddetti medaglioni sono infatti descritti secondo una catalogazione scientifica in rapporto ai reperti custoditi presso il Museo Nazionale Archeologico di Taranto, raffrontati alle varie tipologie e coniazioni da cui derivano le raffigurazioni ispirate alla collezione numismatica di Mons. Capecelatro. Il lavoro si completa con una eccellente bibliografia generale e specifica, nonché di un elenco degli scritti dello stesso Vescovo. Fabiana Mastrocinque M. RONCALLI, Giovanni Paolo I. Albino Luciani, Cinisello Balsamo (MI), 2012, pp. 734. Dopo il fondamentale convegno di studi svoltosi nel settembre 2008 nel trentennale dell’elezione a pontefice di Albino Luciani e della sua improvvisa scomparsa, i cui atti sono stati pubblicati a cura di Giovanni Vian in un corposo volume, era necessaria nel panorama di studi su papa Giovanni Paolo I una biografia che tenesse conto dei numerosi contributi. Ecco dunque che il lavoro di Marco Roncalli, giornalista bergamasco che aveva già studiato Giovanni XXIII e Paolo VI è quanto mai opportuno: un libro coinvolgente e scritto in modo brillante, che conduce a fare un viaggio nella vita di quest’uomo anche attraverso la ricostruzione dei meravigliosi luoghi in cui ha vissuto la prima parte della sia vita, i racconti dei testimoni e ovviamente un’ampia documentazione: «Se è vero che (…) una biografia, in quanto genere letterario, deve sempre afferrare attraverso la ricostruzione del percorso umano di un protagonista ciò che appartiene al passato, il nostro intendimento è di far emergere il profilo di Luciani dai differenti contesti in cui si è trovato ad operare con diverse funzioni e responsabilità» (pp. 17-18). L’autore ha consultato tantissime fonti, compresi atti di convegni, periodici e ricevuto testimonianze anche orali. Cerca così di sopperire alla difficoltà data dal fatto che alcune fonti siano ancora inaccessibili, in particolare quelle nell’Archivio Segreto Vaticano e negli archivi delle Conferenze Episcopali sia veneta che italiana. I primi sei capitoli tratteggiano l’infanzia e il primo ministero. Emergono l’importanza della maestra e della mamma (alle cui cure amorevoli pensava forse diversi anni più tardi quando nel famoso Angelus del 10 settembre 1978 stupì la folla dicendo “Dio è padre e madre”), poi le durezze della vita di seminario e ai buoni voti negli studi. Don Albino Luciani insegna al seminario di Belluno per vent’anni, a trentacinque anni il suo vescovo lo nomina Vicario Generale. Sono anche i primi indizi che 438 RECENSIONI Roncalli lascia per aiutare il lettore a smontare un diffuso cliché che vorrebbe il futuro papa quasi capitato per sbaglio sul trono di Pietro. Nominato vescovo a Vittorio Veneto, Luciani mostra uno stile semplice, ma deciso. È interessato all’aspetto missionario ed attento a non evitare le questioni chiave che agitano gli anni Sessanta. L’autore mostra poi come da patriarca di Venezia cerchi una via media tra “destra” e “sinistra”, pur rimanendo inflessibile sul piano dottrinale. Un vescovo dunque “montiniano” che raccomanda di amare la Chiesa e vuole porsi in dialogo con tutti. Diciannove capitoli su ventidue riguardano perciò la vita di mons. Albino Luciani prima che sia eletto vescovo. La scelta è importante, perché un nodo problematico della vicenda di Giovanni Paolo I è che è stato papa senza aver avuto il tempo di prendere decisioni, così sarebbe abbastanza facile impossessarsi a livello storiografico di questa figura sostanzialmente positiva agli occhi dell’opinione pubblica per il sorriso e la simpatia che trasmise da papa. Così il patriarca di Venezia si presenta soprattutto “pastore” nel primo conclave dopo la conclusione del Concilio Vaticano II, dove la pastoralità, assieme all’aggiornamento, è stata una delle parole chiave. I tre capitoli scandiscono allora elezione, pontificato e morte, su cui respinge insinuazioni e teorie complottiste. Così Giovanni Paolo I «ci ha rivelato la semplicità di Dio conquistando il popolo cristiano e tutta l’umanità» (p. 665): queste le conclusioni di Roncalli, sostenute citando don Divo Barsotti. Un libro solido, gustoso e scientificamente curato, che rivela il taglio giornalistico dell’autore, consigliabile a tutti coloro che vogliono conoscere fino in fondo Giovanni Paolo I. Lorenzo Zamboni LIBRI RICEVUTI ARCIDIOCESI DI TARANTO, MuDi. La collezione del Museo Diocesano di Taranto, Stampasud Spa, Mottola (TA) 2015, pp. 179. BENEDETTO XVI, Insegnamenti, VIII, 2/2012, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, pp. 942, € 70.00. ID., Insegnamenti, IX, 2013, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, pp. 329, € 40.00. CANGEMI A., In dilectione mea. Quaderni di Sinaxis 4, Edizioni Grafiser, Troina - Studio Teologico S. Paolo, Catania 2015, pp. 762, € 25.00. CARUCCI M. (a cura di), Sapientiacordis. Studi in onore di Cosimo Reho, Ecumenica Editrice, Bari 2015. Pp. 291, € 25.00. CEI - UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Le Opere di Misericordia corporale e spirituale nel mondo della cura, C. Arice (a cura di), 2015, pp. 68, € 6.00. CEI - UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Con lo sguardo di Cristo nel mondo della sofferenza cinque vie “per una comunità degli uomini più giusta e più fraterna”, C. Arice (a cura di), 2015, pp. 168. DE MEO C., Necrologia dei Frati Minori Cappuccini della Provincia Religiosa di S. Angelo e Padre Pio, 1530-2014, Curia Provinciale OFM CAP, Foggia 2014, pp. 955. DIOCESI DI ANDRIA, Ecco l’Uomo da conoscere, incontrare e servire per una nuova umanità. Sussidio pastorale, Arti Grafiche Guglielmi, Andria 2015, pp. 215. DI TARANTO L., La parrocchia e la pastorale della salute, Edizioni CVS, Roma 2015, pp. 190, € 10,00. EMAD S. M., Educare valutando. La dimensione educativa del processo valutativo, LAS-Roma 2015, pp. 146, € 10.00. FABRIS A., GIACCARDI C., MORANDINI S., SCARSATO F., Le beatitudini. Vangelo del nuovo umanesimo, Messaggero, Padova 2015, pp. 123, € 12.00. FALCONE F.A., FERRARI E., Dallo scanalo alla carezza. Sparati, divorziati e Chiesa, Paoline, Milano 2015, pp. 119, € 12.00. LORUSO G., Chiesa, Ministero e Ministeri nell’esperienza di Paolo, EDB, Bologna 2015, pp. 147, € 14,50. 440 LIBRI RICEVUTI MANCINI P.F., Filosofia per bambini. Educazione e cittadinanza democratica: una prospettiva europea, Progedit - Progetti editoriali srl, Bari 2015, pp. 158, € 18.00. MARTINI C.M., Le cattedre dei non credenti. Postfazione di Papa Francesco, Bompiani, Milano 2015, pp. 1215, € 25.00. MATTEO A., Nel nome del Dio sconosciuto. 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Il ruolo della motivazione nel processo di insegnamento-apprendimento 259-267 83-104 247-258 7-22 45-82 ANTONIO RUBINO Liturgia e carità nei Padri della Chiesa 269-283 FILIPPO SANTORO Nuovo umanesimo e custodia del creato 233-246 442 INDICE GENERALE COSIMO SERGIO Gesù Cristo il Rivelatore-Rivelato. A cinquant’anni dalla Costituzione Dogmatica, l’attualità dell’ermeneutica di Henri de Lubac a Dei Verbum 4 23-43 VITA DELLA CHIESA MARCELLO ACQUAVIVA L’uscita dall’io. Contributo per l’articolazione concettuale di un umanesimo cristiano 131-162 CARMINE ARICE Pastorale della salute e nuovo umanesimo. Riflessione alla luce della Teologia del Sollievo di San Pio da Pietrelcina 107-130 LUCANGELO DE CANTIS Il Cristo “todo”, pienezza dell’itinerario di “umanazione” in San Giovanni della Croce – II Attualità pastorale del messaggio Sanjuanista 307-336 MINO IANNE “Il patrimonio greco parte integrante della fede cristiana” Riflessioni a 10 anni dal discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. Prima parte 337-366 MARIA MADDALENA MAZZIA Scuola, educazione e nuovo umanesimo fra diritto civile e canonico 179-193 FRANCESCO NIGRO La misericordia: Il vero volto dell’umanesimo cristiano 297-306 LUIGI ROMANAZZI Gesù Cristo illumina e fa crescere in umanità 163-177 443 INDICE GENERALE FILIPPO URSO Gregorio di Narek Monaco Armeno, Doctor Ecclesiae Universalis La trasformazione delgemito del cuore in Teologia 287-296 TERRITORIO MARCELLO ACQUAVIVA Un viaggio nel tempo L’enciclica Laudato Si’ nella Taranto di inizio ’700 369-384 JOÃO BRAZ CARD. DE AVIZ Anno della vita consacrata a 50 anni del Concilio Vaticano II 209-216 DAVIDE ERRICO Il nuovo Seminario Arcivescovile di Taranto: cinquant’anni di storia 205-208 FEDERICA MONACO Un inventario inedito di Giuseppe Blandamura del 1933 385-422 FILIPPO SANTORO 50° anniversario del Seminario Diocesano e Regionale di Poggio Galeso - Taranto 197-203 RECENSIONI 217-224; 423-438 LIBRI RICEVUTI 225-226; 439-440 INDICE DELL’ANNATA 2015 441-443 Stampa: EVI s.r.l. - febbraio 2016 C.da Piangevino, 224/B - 70043 Monopoli (Bari) E-mail: [email protected]