Il matrimonio che vorrei / Io e te

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Il matrimonio che vorrei / Io e te
Alessandra Bailetti
19. A proposito di film
Il matrimonio che vorrei / Io e te / Il comandante e la cicogna
David Frankel
Il matrimonio che vorrei
Bim
2012
Meryl Streep è sempre una regina, anche quando è Kay, moglie servizievole e timida di una cittadina
di provincia. Stanca di un matrimonio che scorre su binari arrugginiti, che insomma ha esaurito le gioie
del letto, sceglie, da buona americana, di trascinare il marito in un collaudato centro per la terapia di
coppia nel Maine. Il marito tutto pantofole e giornale, un Tommy Lee Jones inconsueto e divertente
proprio per la sua faccia marcata di cattivo, viene travolto dalla dolce, ma implacabile decisione di
Kay; tenta di resistere con ogni pretesto, ma perde. Il terapeuta - un inedito Steve Carell – è perfetto
nel triangolare la comunicazione fra i due coniugi, li incalza con fredda e melliflua professionalità. Le
“lezioni” seguono un itinerario preciso e “ i compiti a casa” fanno sorridere. Kay esce allo scoperto,
non rinuncia a mettersi in gioco fino in fondo e riesce a coinvolgere il marito riluttante, recuperando
infine, a casa, non solo una dimensione perduta della vita di coppia, ma probabilmente riesce ad
avviarne una del tutto nuova, più libera e intrigante.
Malgrado il film non sia ambizioso, ma divertente e sprizzi una sana ironia, il tema, non del tutto
nuovo nel cinema, si sviluppa con serietà e naturalezza. Credo che il merito sia soprattutto dei due
attori in coppia. Meryl Streep continua ad essere in scena con tanti volti interessanti senza mascherarsi
da giovane, anzi dando ruoli e dignità a personaggi di età matura fino ad essere la punta di un genere
cinematografico che si va diffondendo. È riuscita a imporsi con lungimiranza in ruoli che hanno dato
respiro e cultura all’evolversi del costume e della condizione delle donne nella società. La popolazione
“adulta adulta” aumenta e anche l’età media, quindi lunga vita a Meryl.
Bernardo Bertolucci,
Io e te
Medusa
2012
In piena adolescenza il giovane Lorenzo si trova a disagio fra i suoi compagni, nella sua famiglia, più
in generale nel cerchio largo intorno a lui, Roma la sua città. Lo sguardo schivo, l’acne, la voglia di
scappare ne disegnano il profilo. Fa credere di partecipare ad una gita scolastica in montagna e si
nasconde in cantina con quello di cui sente di avere bisogno: il cibo e le bevande dei ragazzi, la
musica, il computer, un divano scalcinato, vecchie coperte e un abat-jour, completano il quadro.
Sembra felice, finalmente in pace. Irrompe nella sua solitudine una sorellastra più grande in cerca di
una prigione per riuscire a vincere la droga che le sta rovinando l’esistenza. La coabitazione sembra
impossibile, ma le tremende crisi di astinenza della ragazza e l’apparente indifferenza o meglio il
fastidio che prova per lei Lorenzo diventano elementi di una vicinanza e di sentimenti nuovi che li
rendono complici e forse per la prima volta li fanno sentire fratelli. Lei con la droga, lui col
rinchiudersi in un mondo a parte, sono vittime dello stesso danno che subisce la loro giovinezza.
Lorenzo troverà lo spazio per uscire dalla sua prigione, forse per la sorella è troppo tardi, chissà.
È difficile spiegare perché questo film mi sia piaciuto. Non ho ancora letto il libro di Nicolò
Ammaniti che ha ispirato e favorito il ritorno alla regia di Bertolucci. Nel mondo chiuso di questa
storia, paradossalmente, è come se alla fine le barriere cadano, la cantina, la casa, la città, e la
sofferenza e il disagio di questi due ragazzi appaiono d’improvviso in una dimensione universale in cui
un’intera generazione si possa riconoscere, come quei due fratelli così diversi e così vicini. In molti
pensano che questo film sia claustrofobico, a me non è parso così.
Lorenzo è Jacopo Olmo Antinori al suo esordio come attore, un nome che è un cesello. Mi
piace immaginare che Bertolucci sia stato catturato nello sceglierlo dal ricordo di quell’OlmoDepardieu di Novecento, la sua più bella creatura.
Silvio Soldini
Il comandante e la cicogna
Warner Bros Pictures Italia
2012
Soldini ha risolto in modo surreale il confronto fra buoni e cattivi in questo film. Le statue parlanti di
Garibaldi, Leopardi, Verdi e anche di Leonardo, i padri della patria, con i loro linguaggi, si scambiano
battute di amarezza di fronte all’Italia ignorante e indifferente protesa nel cancellare la sua storia e i
suoi valori. Tenta di contrastarli una statua più piccola, nuova, dei nostri giorni, ma una gru impazzita
le taglia la testa.
Siamo nella Torino multietnica, in periferia. Leo ha una piccola impresa di idraulica, è un
lavoratore onesto, è vedovo da poco, continua con la fantasia a vedere la moglie vicino a sé in bikini
che lo provoca e sorride, sdrammatizzando i problemi che si trova da solo ad affrontare. È un buon
padre per i due figli adolescenti che sono comunque una fonte di guai. La ragazza finisce su facebook
in atteggiamenti porno, il ragazzo, Elia, ha scelto come amica confidente una cicogna che ormai lo
riconosce e risponde ai suoi richiami. Da qui una serie di altri personaggi, anch’essi surreali, che o si
arrabattano per sopravvivere, aggirando le difficoltà che si presentano giorno dopo giorno oppure sono
i pescecani volgari e arroganti che fanno, intoccati, mercato delle regole nell’Italia alla deriva. Come in
Pane e tulipani, seppure in un quadro più pesante, segnato dall’attualità, le storie piano piano si
incontrano, si intrecciano e il respiro diventa più sereno. Leo finalmente dorme con una donna vera e il
fantasma può sparire. La cicogna vola in alto. Soldini dice che si può.
Valerio Mastandrea, ultimamente specializzato nel ruolo di sfigato è Leo, Alba Rohrwacher è
Diana, pittrice di talento costretta a dipingere a comando per pagare l’affitto. Sono molto bravi.