T.A.R. Abruzzo, Pescara, 24 febbraio 2012, n. 87

Transcript

T.A.R. Abruzzo, Pescara, 24 febbraio 2012, n. 87
T.A.R. Abruzzo, Pescara, 24 febbraio 2012, n. 87
Edilizia e urbanistica - Distanza tra edifici- Realizzazione di opera pertinenziale - Ascensori per
disabili.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo
sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 361 del 2011, proposto da:
Giambattista Andriulli, Elide Delfino e Patrizia Acerbo, rappresentati e difesi dall’avv. Claudio Di
Tonno, con domicilio eletto presso la Segreteria di questo Tribunale in Pescara, via Lo Feudo, 1;
contro
Comune di Loreto Aprutino, rappresentato e difeso dall’avv. Ugo Di Silvestre, con domicilio eletto
presso il proprio difensore in Pescara, via Falcone e Borsellino, 38;
nei confronti di
Giancarlo Di Silvestre e Patrizia Parlione, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento 24 maggio 2011, prat. n. 4/2001, con il quale il Responsabile del III Settore
(Assetto ed uso del territorio) del Comune di Loreto Aprutino ha rigettato la domanda di permesso
di costruire presentata dal ricorrenti per l’esecuzione dei lavori di installazione di un ascensore
esterno; nonché degli atti presupposti e connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Loreto Aprutino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2012 il dott. Michele Eliantonio e uditi per le
parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli attuali ricorrenti hanno chiesto al Comune di Loreto Aprutino - ai sensi dell’art. 79 (opere
finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - il
rilascio di permesso di costruire per l’esecuzione dei lavori di installazione di un ascensore esterno
ad un fabbricato sito in via Bonfiglio n. 19/1; tale richiesta è stata formulata in quanto un
componente il nucleo familiare dei richiedenti presenta problemi di deambulazione.
Con provvedimento 24 maggio 2011, prat. n. 4/2001, il Responsabile del III Settore (Assetto ed uso
del territorio) del Comune ha rigettato tale domanda in quanto non era rispettata la distanza di tre
metri dal fabbricato adiacente, così come imposto dall’art. 873 del codice civile.
Con il ricorso in esame gli interessati sono insorti dinanzi questo Tribunale avverso tale atto,
deducendo le seguenti censure:
1) che l’opera da realizzare non doveva rispettare le distanze legali previste dal predetto art. 873, in
quanto inidonea a creare una intercapedine dannosa per la sicurezza e la salubrità della collettività;
inoltre, non era rispettata la distanza in questione solo per una parte marginale;
2) che l’opera era conforme alle prescrizioni vigenti in quanto realizzata su uno “spazio o area
comune”, cioè su una “unità ambientale che serve e connette funzionalmente più unità immobiliari”
(art. 2, lett. E) del D.M. 14 giugno 1989, n. 236, del regolamento di attuazione della L. 9 gennaio
1989, n. 13);
3) che la legislazione di favore nei confronti dei portatori di handicap, volta all’eliminazione delle
barriere architettoniche, deve essere interpretata nel senso che è consentita la deroga della predetta
distanza di tre metri ove sia impossibile una diversa collocazione dell’opera da realizzare.
Tali doglianze i ricorrenti hanno ulteriormente illustrato con memoria depositata il 23 dicembre
2011.
Il Comune di Loreto Aprutino si è costituito in giudizio e con memorie depositate il 5 settembre
2011 ed 19 gennaio 2012 ha diffusamente confutato il fondamento delle censure dedotte.
Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2012 la causa è stata trattenuta a decisione.
.
DIRITTO
1. - L’impugnato provvedimento di rigetto della domanda di permesso di costruire presentata dai
ricorrenti per l’esecuzione dei lavori di installazione di un ascensore esterno è motivato con
riferimento alla testuale considerazione che, in violazione dell’art. 79 del D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380, non era rispettata la “distanza di tre metri di cui all’art. 873 del codici civile, ricorrendo il
caso in cui tra le opere da realizzare (ascensore finalizzato all’eliminazione delle barriere
architettoniche) ed il fabbricato alieno … non è interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà
o di uso comune”.
Tale ragione giustificativa del diniego del titolo edilizio richiesto si sottrae, ad avviso del Collegio,
alle censure di legittimità dedotte con il ricorso.
2. - Va al riguardo premesso che il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia, approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel disciplinare all’art. 79 le opere
finalizzate all’eliminazione delle barriere architettoniche dispone testualmente al suo primo comma
che tali opere “possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai
regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune
a più fabbricati”; al suo secondo comma precisa, inoltre, che “è fatto salvo l’obbligo di rispetto
delle distanze di cui agli articoli 873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra le opere da
realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso
comune”.
Tale richiamato art. 873 del codice civile, nel disciplinare le distanze nelle costruzioni, dispone a
sua volta che “le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a
distanza non minore di tre metri”.
Va, infine, ricordato che con Decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, sono state dettate le
prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità degli edifici privati ai fini del
superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche.
3. - Così puntualizzato il quadro normativo di riferimento, va evidenziato che tali previsioni per il
superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati - dettate in via
generale dalla legge n. 13 del 1989, poi trasfusa nel predetto t.u., ed articolate in dettaglio nella
normativa tecnica di attuazione di cui al D.M. 14 giugno 1989, n. 236 - hanno elevato il livello di
tutela dei soggetti portatori di minorazioni fisiche, che oggi non è più relegato ad un ristretto ambito
soggettivo ed individuale, ma è ormai considerato come interesse primario dell’intera collettività, da
soddisfare con interventi mirati a rimuovere situazioni preclusive dello sviluppo della persona e
dello svolgimento di una normale vita di relazione (Corte Costituzionale 10 marzo 1999, n. 167, e 4
luglio 2008, n. 251, e da ultimo T.A.R. Campania, sede Napoli, sez. IV, 14 novembre 2011, n.
5343).
Purtuttavia, va anche precisato che la giurisprudenza ha al riguardo meglio precisato che tale
sistema di tutela delle persone disabili è, in concreto, applicabile compatibilmente con altri interessi
pubblici che non possono essere pretermessi e che devono essere, invece, bilanciati con quello,
superiore, alla tutela ottimale delle medesime persone; con la conseguenza che le misure necessarie
a rendere effettiva la tutela delle persone disabili, alla stregua degli art. 2, 3 e 32 della Costituzione
possono essere legittimamente graduate in vista dell’attuazione del principio di parità di
trattamento, tenuto conto di tutti i valori costituzionali in gioco e fermo comunque il rispetto di un
nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati. In definitiva, tale normativa consente il diniego
della richiesta autorizzazione qualora non sia possibile realizzare le opere senza pregiudizio di altri
beni ugualmente tutelati.
Premesso che le opere funzionali all’eliminazione delle barriere architettoniche sono solo quelle
tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati
e non già le opere dirette alla migliore fruibilità dell’edificio e alla maggior comodità dei residenti
(T.A.R. Abruzzo, sede L’Aquila, 8 novembre 2011, n. 526), va ricordato che il legislatore ha
effettuato delle scelte puntuali in ordine alla graduazione degli interessi coinvolti.
Così, in particolare, nel bilanciamento tra l’interesse alla tutela del patrimonio storico-artistico
nazionale e quello alla salvaguardia del diritto alla salute ed al normale svolgimento della vita di
relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche, tale normativa ha dato
prevalenza in via generale al secondo, consentendo, purtuttavia, il diniego dell’autorizzazione alla
realizzazione di interventi su beni vincolati nei soli casi di accertato e motivato «serio pregiudizio»
del bene vincolato (T.A.R. Sicilia, sede Palermo, sez. I, 4 febbraio 2011, n. 218, T.A.R. Campania,
sede Napoli, sez. IV, 15 settembre 2011, n. 4402, e T.A.R. Toscana sez. III, 25 ottobre 2011, n.
1546); mentre, nel bilanciamento degli interessi in gioco si è ritenuto, al contrario, prevalente quello
relativo al rispetto della normativa antincendio (Cons. St. sez. V, 8 marzo 2011, n. 1437).
Per quando attiene, in particolare, l’eliminazione di tali barriere negli edifici in condominio, la
normativa vigente sopra richiamata nel contrasto tra l’interesse dei condomini a non vedere
modificati i beni comuni e quello dei soggetti portatori di minorazioni fisiche ha tutelato questi
ultimi in termini assoluti ed inderogabili, per cui non è richiesto il consenso di tutti i proprietari del
fabbricato ove l’opera debba essere realizzata in cortili o chiostrine “interni ai fabbricati o comuni o
di uso comune a più fabbricati” (T.A.R. Lazio, sez. Latina, 4 marzo 2011, n. 221, e Cons. St. sez.
IV, 4 maggio 2010, n. 2546).
Relativamente, invece, al conflitto tra gli interessi dei soggetti portatori di minorazioni fisiche e
quello dei soggetti terzi, il legislatore con la sopra ricordata previsione contenuta nel predetto art. 79
e nel richiamato art. 873 del codice civile, ha ritenuto di dare prevalenza al diritto di questi ultimi al
rispetto delle distanze tra le costruzioni, che quindi non può mai essere “minore di tre metri”, in
base alla previsione codicistica, all’evidente fine di garantire la salubrità delle costruzioni. In
definitiva, il legislatore nel bilanciamento degli interessi in gioco nel mentre ha ritenuto prevalente
l’interesse dei portatori di handicap rispetto a quello degli altri “condomini”, ha ritenuto al contrario
recessivo tale interesse rispetto a quello dei soggetti “terzi”, cioè dei proprietari di immobili
finitimi, che non possono veder leso il loro diritto alla salute, ugualmente meritevole di tutela, a non
vedere create delle intercapedini che possono incidere sulla salubrità delle costruzioni.
Tale scelta legislativa, ad avviso del Collegio, non sembra inficiata da profili di costituzionalità, in
quanto rientra nella discrezionalità del legislatore dare la prevalenza all’uno o all’altro degli
interessi in conflitto; inoltre, la scelta effettuata con la normativa di cui al più volte ricordato art. 79
non sembra illogica o particolarmente penalizzante degli interessi dei soggetti portatori di handicap,
ove si consideri che nella specie tale diritto è stata ritenuto recessivo nei confronti del diritto alla
salute, di pari rilevanza, dei soggetti confinanti.
4. - Una volta giunti a tale conclusione può utilmente passarsi all’esame delle singole doglianze
dedotte.
I ricorrenti con i tre motivi di gravame si sono nella sostanza lamentati delle seguenti circostanze:
1) che l’opera da realizzare non doveva rispettare le distanze legali, in quanto non creava una
intercapedine dannosa per la sicurezza e la salubrità della collettività e che, peraltro, non era
rispettata la distanza in questione solo per una parte marginale;
2) che l’opera era conforme alle prescrizioni vigenti in quanto realizzata su uno “spazio o area
comune”;
3) che la legislazione di favore nei confronti dei portatori di handicap, volta all’eliminazione delle
barriere architettoniche, deve essere interpretata nel senso che è consentita la deroga della predetta
distanza di tre metri ove sia impossibile una diversa collocazione dell’opera da realizzare.
Se, con riferimento a quanto sopra esposto, sembra evidente la mancanza di pregio di quanto
dedotto con il terzo motivo, in quanto il vigente sistema non tutela le persone disabili in termini
assoluti ed inderogabili (Cons. St. sez. V, 8 marzo 2011, n. 1437), ma effettua un bilanciamento
degli interessi in gioco, ponendo dei precisi limiti alla realizzazione delle opere in questione quando
venga leso il diritto alla salute dei confinanti, va evidenziato in punto di fatto che l’opera da
realizzare - contrariamente a quanto dedotto con il ricorso - non si sviluppa solo fino al primo piano
dell’edificio, ma è destinata a raggiungere anche gli ulteriori piani dell’edificio, che non sono abitati
dal soggetto portatore di handicap.
Conseguentemente, ritiene il Collegio che l’opera - così come si rileva dagli atti progettuali versati
in giudizio anche dalla parte ricorrente - per un verso ha quei connotati e quelle caratteristiche di
stabilità che impongono di ricomprenderla nella nozione di “costruzione” di cui al predetto art. 873
del codice civile e per altro verso, per le sue caratteristiche costruttive, viene a creare una
permanente intercapedine dannosa per la sicurezza e la salubrità delle costruzioni vicine; per cui
tale opera deve necessariamente rispettare le distanze legali. Mentre appare in merito irrilevante il
fatto che tale distanza non era rispettata solo per una parte dell’opera, in quanto la norma sui
distacchi tra le costruzione prevede delle precise distanze che, salva la c.d. tolleranza di cantiere,
debbono essere necessariamente rispettate.
Quanto, infine, alla circostanza che l’ascensore sarebbe stato realizzato su uno “spazio o area
comune”, va evidenziato che la normativa in questione, quando utilizza tale espressione, intende
riferirsi all’esistenza di un diritto di comunione sull’area sulla quale deve essere realizzata l’opera.
Ora dagli atti di causa non risulta che il cortile in questione sia in comunione, né risulta dimostrata
che sull’area esista una servitù di passaggio; al contrario, dalle mappe catastali e dagli atti
progettuali si evince che i due edifici che si fronteggiano sono separati da una precisa linea di
confine posta a distanza di un metro e mezzo dai due edifici.
Non trattandosi di un’area “comune” la costruzione dell’ascensore, in assenza del consenso dei
proprietari dell’edificio adiacente, avrebbe dovuto, pertanto, rispettare le distanze di legge; né
appare utile al riguardo il riferimento alle definizioni contenute nel predetto decreto ministeriale 14
giugno 1989, n. 236, con il quale sono state dettate le prescrizioni tecniche necessarie a garantire
l’accessibilità degli edifici privati ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere
architettoniche, e ciò non solo per il rango nella gerarchia delle fonti di tale decreto e per la sua
inidoneità a modificare norme di legge, ma anche e soprattutto per il fatto che le definizioni
contenute in tale decreto si riferiscono alle prescrizioni tecniche disciplinate con la normativa in
questione.
5. - Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere
respinto.
Sussistono, tuttavia, in relazione alla complessità della normativa applicabile alla fattispecie e delle
questioni interpretative che tale normativa pone, giuste ragioni per disporre la totale compensazione
tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese
compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.