Sise Newsletter n. 38

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Sise Newsletter n. 38
NUMERO 38 - NOVEMBRE 2007
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SOCIETÀ
ITALIANA
DEGLI
STORICI
DELL’
ECONOMIA
CONVEGNO QUADRIENNALE SISE
CONVEGNO DI STUDI SISE
“Imprenditoria e sviluppo
economico: il caso italiano
(sec. XIII-XX)”
Milano, 14-15 novembre 2008
“Nuovi percorsi della
Storia Economica”
Brescia, 16-17 novembre 2007
Tra gli appuntamenti SISE previsti per il prossimo anno
assume particolare rilievo il Convegno Quadriennale che si
svolgerà il 14-15 novembre 2008 presso l’Università Bocconi di Milano ed avrà come tema Imprenditoria e sviluppo
economico: il caso italiano (sec. XIII-XX). I Soci interessati a
presentare una comunicazione sono invitati a darne informazione entro fine marzo 2008 alla segreteria della SISE
(dott.ssa Iginia Lopane) e ad inviare l’abstract del loro intervento entro il mese di maggio 2008. Si confida che la
rilevanza e l’ampiezza del tema prescelto per il Convegno
Quadriennale favoriscano la più larga partecipazione dei
Soci.
Nel frattempo, il 19 aprile 2008 si terrà a Viareggio una
Giornata di Studio su una tematica di natura accademica
che, dato il momento di estrema fluidità nella vita universitaria, sarà successivamente precisata.
Il Convegno SISE di Brescia dedicato a Nuovi percorsi
della Storia Economica ha registrato un’ampia partecipazione e un notevole coinvolgimento dei Soci (oltre 200), che
hanno manifestato vivissimo interesse per il tema trattato.
Il Convegno, organizzato dalla SISE con il contributo
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - Sede di Brescia,
ha avuto il merito di proporre alcune possibili direttrici di
espansione per la Storia Economica, anche alla luce degli
attuali profondi cambiamenti del sistema universitario.
Già da alcuni anni, infatti, l’intera università italiana è
interessata da un profondo processo di rivolgimento, relativo, in particolar modo, alla definizione di una nuova struttura didattica. È evidente che tale trasformazione non si
può limitare solo al “contenitore”, alla infrastruttura istituzionale, ma deve necessariamente riguardare anche i contenuti che la caratterizzano e per i quali si prefigura la necessità di un adattamento rapido ad ambiti di studio diversi da quelli di tradizionale contiguità con la disciplina.
Il Consiglio Direttivo
della Sise
porge a tutti i Soci
il più cordiale augurio
di Buone Feste
e di un Felice
Anno Nuovo
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Attività SISE
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Conferenze e convegni
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Visto?
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Eventi
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Il Convegno di Brescia si è inserito pienamente in questo dinamico processo culturale e ha offerto una panoramica sui più recenti ambiti di interesse della disciplina e su
nuove direttrici di indagine all’interno di consolidati temi
di ricerca.
Il Convegno si è articolato in due parti, la prima dedicata alle nuove frontiere della ricerca e la seconda mirata ad
approfondire alcuni aspetti della storia d’impresa. Dopo il
saluto del sindaco di Brescia, nel suo intervento di apertura, ANTONIO DI VITTORIO, presidente della SISE, ha sottolineato l’importanza del confronto all’interno della disciplina al
fine di assicurare la più ampia condivisione dei “nuovi sentieri” intrapresi dalla Storia Economica e come questa, date
le sue potenzialità culturali e formative, sia in grado di
“sintonizzarsi” con ambiti di studio anche molto differenti
da quelli di più antico contatto.
La prima sessione, dal titolo Nuove Frontiere e presieduta da PAOLO MALANIMA, si è aperta con la relazione di
MAURO AGNOLETTI dell’Università di Firenze, dal titolo Paesaggio ed Economia. Trasformazioni socio-economiche e del paesaggio
dall’Unità ad oggi, che ha messo in
luce come il paesaggio sia il prodotto di un complesso sistema di relazioni tra fattori naturali ed
antropici che mutano nel corso del
tempo. Perciò i processi di formazione e trasformazione del paesaggio non possono essere ricostruiti
e compresi nella loro interezza se non adottando una prospettiva storica. Non è, insomma, possibile “fotografare” il
paesaggio e cogliere i suoi caratteri fondamentali senza tenere conto dei cambiamenti succedutisi nel tempo. L’utilità
di quest’approccio storico alle problematiche del paesaggio,
che dovrebbe essere particolarmente evidente in un paese
di antica antropizzazione com’è la Penisola italiana, trova
conferma dallo studio di un ambito ben definito, com’è quello del bosco. Se per buona parte del medioevo e per l’intera
età moderna si assiste ad una riduzione della superfice
boschiva a vantaggio di colture e pascoli, negli ultimi cent’anni si verifica un’inversione di tendenza che porta, in tempi recenti, ad una vistosa espansione delle aree alberate. Il
risultato è un espansione incontrollata del bosco, in particolare nelle aree interne dell’Appennino e in molte parti
dell’arco alpino, e la diffusione di un paesaggio che a prima
vista può apparire più “naturale” dei complessi e articolati
sistemi di sfruttamento dei suoli e delle risorse messi in
opera dagli abitanti della montagna, ma ad un esame più
attento si rivela meno ricco sotto il piano della biodiversità
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e della memoria storica e più esposto al rischio di dissesti
idrogeologici.
La relazione di GIUSEPPE DONEDDU su Pesca ed Economia
ha illustrato i risultati raggiunti dalle ricerche di Storia
economica che si
sono rivolte allo
studio del mare. Il
mare, del resto, era
già stato considerato, con evidente
lungimiranza, una
“risorsa” da parte
del Comitato scientifico dell’Istituto
Datini che alla “ricchezza proveniente dal mare” aveva dedicato la XXXVII Settimana di Studio. DONEDDU, però, ha
focalizzato la sua relazione su un settore specifico, la storia
della pesca, che pone problemi di fonti e di metodo tutt’altro che scontati. Ricostruire una storia della pesca in età
moderna non è semplice, in quanto la pesca praticata per
l’autoconsumo ha lasciato pochissime tracce documentarie.
Meglio conosciuta è la grande pesca organizzata, quale quella del tonno, del pesce spada e del corallo, che poggiava su
differenti e più complesse strutture organizzative e aziendali
ed era sottoposta a regime di privativa e a tassazione da
parte del potere centrale. La pesca del tonno, in particolare,
raggiunse elevati livelli di complessità, mobilitando “robuste” struttura aziendali per le tonnare siciliane e sarde. Su
questa pesca specialistica, effettuata da “compagnie” di pescatori – strutture rese necessarie dalla mole degli investimenti richiesti – si fissarono le attenzioni interessate delle
Corone. Proprio preoccupazioni di natura fiscale furono all’origine delle norme e dei regolamenti emanati sin dal basso medioevo per disciplinare la pesca specialistica in tutto
il bacino del Mediterraneo. Una menzione merita anche la
pesca corallifera, indirizzata ad un prodotto di particolare
pregio, che ha spinto l’attività di pesca dalle coste mediterranee dell’Italia, in particolare campane e sarde, verso quelle
africane ed asiatiche.
L’intervento su Tecnologia ed Economia di R ENATO
GIANNETTI ha avuto come oggetto l’analisi dell’utilizzo della
tecnologia nei processi produttivi. L’Autore individua due
macro-teorie, neoclassica e strutturalista-evolutiva, per le
quali vengono osservati i paradigmi interpretativi dell’innovazione e dell’applicazione tecnologica, sintetizzabili nell’analisi della funzione di produzione; agenti economici ed
evoluzione; formazione della conoscenza scientifica e tecnologica; macroinvenzioni, microinvenzioni e regimi tecnologici; sistemi nazionali di innovazione; tecnologia e politica
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economica. GIANNETTI ha sottolineato come la funzione di
produzione per la teoria neoclassica sia basata su una teoria standard delle aspettative razionali (esternalità, ricerca e sviluppo e importanza del capitale umano), mentre per
la teoria strutturalista la stessa funzione si basa su di un
concetto di evoluzione storica, quindi è descritta dall’utilizzo di tecnologie concrete e si evolve all’interno di guidelines,
procedendo per punti critici. In sostanza, per la teoria strutturalista, la funzione di produzione viene selezionata nel
tempo storico e quindi dall’ambiente sociale, al contrario di
quanto ipotizzato dalla teoria neoclassica dove la tecnologia viene selezionata dal tasso di profitto. Per ciò che concerne l’analisi degli agenti economici, GIANNETTI chiarisce
come, per la teoria neoclassica, l’innovazione è fatta dall’agente rappresentativo che pensa di ricavare un profitto
dalla sua innovazione; di contro, per la teoria strutturalista
l’attore è eterogeneo e fa scelte differenti essendo l’innovazione non prevedibile. GIANNETTI si pone poi un’altra domanda: come spiegare l’innovazione. Secondo la teoria
neoclassica, questa è da ricercare nella varietà di performance della tecnologia applicata attraverso la total factor
productivity. Per la teoria strutturalista esistono invece vari
meccanismi di creazione della tecnologia: paradigmi
tecnologici,
macroinvenzioni e
regimi tecnologici.
Un’ultima notazione, GIANNETTI l’ha
dedicata alla esistenza di sistemi
nazionali d’innovazione, evidenziando come per la teoria neoclassica non esistano sistemi nazionali ma solo adattamenti locali e funzioni di produzione uniche, mentre, per la teoria strutturalista
contino, soprattutto, potenziale economico e contesto. È per
tale ragione che anche il ruolo dello Stato è visto in maniera differente dalla teoria neoclassica, che reputa il mercato
sufficiente a provvedere alle risorse necessarie non esistendo vincoli al trasferimento tecnologico; e dall’altro lato dalla teoria strutturalista, che invece vede lo Stato come un
fattore sostitutivo all’imprenditore, provvedendo ai meccanismi di incentivo e controllo del trasferimento tecnologico.
La seconda parte della sessione dedicata alle Nuove Frontiere, presieduta da PAOLO FRASCANI, ha avuto inizio con una
relazione di GIOVANNI LUIGI FONTANA, (Patrimonio industriale ed Economia), nella quale il relatore ha inteso inquadrare i rapporti tra la nostra disciplina e il comune campo di
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A MARCO BELFANTI L’ABBOT PAYSON USHER PRIZE
per il saggio
Guilds, Patents, and the Circulation
of Technical Knowledge
Il saggio di CARLO MARCO BELFANTI Guilds, Patents, and
the Circulation of Technical Knowledge: Northern Italy during the Early Modern Age, apparso nel 2004 su “Technology
and Culture” si è aggiudicato l’Abbott Payson Usher Prize,
ambito riconoscimento assegnato ogni tre anni per il miglior
articolo pubblicato sotto gli auspici della Society for the
History of Technology. Il premio è stato consegnato a MARCO
BELFANTI a Washington nel corso della cerimonia tenutasi il
20 ottobre 2007. Come recita la motivazione, il lavoro
costituisce “an innovative and insightful international study
of the circulation of technical knowledge in Europe” dedicato
alla manifattura della seta in età moderna, in quanto offre
al lettore un “exceptional insight into how tacit knowledge
was constructed […], transmitted from master to apprentice in the daily routine of the workshop and inseparable
from the artisan himself”.
Attraverso l’analisi dei viaggi dei lavoratori il saggio
apre nuove prospettive sui processi di trasferimento del
know-how e sul ruolo svolto dallo Stato e da altre istituzioni nella circolazione di competenze tecniche. Si rovescia così il tradizionale giudizio negativo sulle corporazioni come ostacoli all’innovazione tecnologica, per dimostrare
che le arti italiane contribuirono in modo significativo al
progresso delle tecniche e alla loro ampia diffusione.
Belfanti sottolinea come anche i mutamenti del gusto e
della moda, incentivando lo sviluppo di nuove produzioni,
abbiano favorito la mobilità di artigiani specializzati. In
conclusione la giuria dell’Abbott Payston Usher Prize riconosce che “by reexamining what historians thought they
knew about institutions and the narrative of progress,
Belfanti forces us to rethink theories and generalizations
about technological change”, portando un “invaluable
contribution” al progresso della disciplina.
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interessi, eminentemente interdisciplinari, che va sotto il nome di archeologia industriale,
rapporti che si
stanno ridefinendo
nella crescente
estensione dei processi di patrimonializzazione e del loro peso sulle modalità dello sviluppo
locale. FONTANA ha messo in luce il ruolo del patrimonio industriale in quest’ambito in uno con il passaggio dalla “vecchia” archeologia industriale all’attuale “storia del patrimonio industriale”. Questi processi sono stati negli ultimi decenni caratterizzati da un cambiamento rilevante del modo
con cui la società contemporanea si rapporta al patrimonio
ereditario. In sintesi, si è verificato uno spostamento d’attenzione dai singoli oggetti (siano essi “beni” culturali o
naturali o singole risorse) ai sistemi in cui essi si
contestualizzano, interagendo e qualificandosi a vicenda. A
questo riguardo, FONTANA si è soffermato sulla nuova categoria di “paesaggio dell’industria”, inteso come “sistema
culturale territoriale”, evidenziando come, in analogia a
quanto verificatosi nel campo della conservazione del patrimonio culturale e della natura, la dilatazione spaziale
del campo d’attenzione non sia semplicemente riducibile ad
un “salto di scala”, ma implichi un radicale ripensamento
del significato delle risorse che si intendono conservare e
gestire e delle modalità del loro riuso. È in questa nuova e
più ampia prospettiva che il relatore ha approfondito la
questione del patrimonio industriale, quale parte integrante del patrimonio culturale latamente inteso, ma con specificità sue proprie di cui occorre tener conto.
Tra le varie tipologie di beni oggetto di ricerche e
rilevazioni, FONTANA ha insistito in modo particolare sulle
macchine. La crescente pervasività e la globalità dell’“industrialismo”, infatti, hanno enormemente esteso il campo d’indagine dell’archeologia industriale, ma, data la natura e i caratteri del fenomeno, resta in ogni caso la centralità
del fatto produttivo, delle macchine, delle tecniche, dei procedimenti e delle formule organizzative per ottenere un certo
prodotto. FONTANA ha, insomma, ribadito che l’archeologia
industriale è innanzitutto, archeologia della produzione e
di tutto ciò che viene predisposto per ottenerla: edifici, attrezzi e macchine, procedure, conoscenze tecniche, con la
loro formazione, trasmissione, diffusione.
Dopo aver analizzato le molteplici componenti
dell’industrial heritage, sia materiali che immateriali, FON-
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TANA ha mostrato come, a differenza della “vecchia” archeo-
logia industriale, la storia del patrimonio industriale a)
estenda in pari misura i suoi interessi a tutte le tipologie di
patrimonio industriale; b) non faccia un preminente uso delle
fonti archeologiche (per lo più di superficie) come avviene
per l’archeologia industriale; c) meglio si adatti alla crescente
rilettura dell’industrializzazione attraverso i segni lasciati
nel paesaggio industriale (come inclinano a fare sia le discipline geografiche che quelle architettonico-urbanistiche); d)
si situi al cuore dei processi di patrimonializzazione che
tanto si connettono con le tematiche dello sviluppo locale,
dove il patrimonio diventa una leva fondamentale dei processi di ri-territorializzazione e nuovo sviluppo.
Il relatore ha poi esaminato i complessi rapporti dentro
e tra le discipline convergenti sul comune campo di interessi costituito dal patrimonio industriale e le diverse
problematiche e metodologie che ne caratterizzano l’approccio, così come i vari tipi di fonti cui esse fanno ricorso, a
partire dalla documentazione scritta – spesso carente o di
scarsa efficacia per la comprensione del processo tecnico –
e dalla documentazione materiale, irrinunciabile per capire i rapporti tra risorse, fatti tecnici e organizzazione produttiva. È indiscutibile – ha affermato FONTANA – che con
l’industrializzazione moderna la storia economica costituisca l’imprenscindibile base per ogni ricerca di archeologia
industriale, tanto più che nei secoli a noi più vicini diventa
molto più raro imbattersi in testimonianze materiali che
non siano documentate in fonti scritte o visive (iconografiche,
cartografiche, fotografiche e cinematografiche) o che non si
possano interpretare con l’ausilio delle fonti orali, oggi meno
problematico di un tempo, e comunque necessario per lo studio di impianti e aziende di piccole dimensioni che non hanno lasciato documentazioni di rilievo, ma magari solo qualche notizia essenziale di carattere ufficiale. Per chi si occupa della storia del patrimonio industriale le fonti d’indagine più importanti rimangono dunque le fonti scritte che affiancano e integrano il ricorso alle fonti archeologiche.
FONTANA ha successivamente affrontato le questioni inerenti la classificazione e la schedatura evidenziando come
esse abbiano fortemente risentito, nel bene e nel male, della stretta connessione con le politiche di conservazione e di
recupero. “La schedatura e la classificazione dovrebbero
rappresentare un mezzo – ha sostenuto FONTANA –, mentre
il fine è l’interpretazione storica del sito produttivo in tutte
le sue valenze ambientali, culturali, tecnologiche e sociali.
In realtà il mezzo rappresentato dalla classificazione è stato quasi sempre considerato il fine delle ricerche di archeologia industriale”. Ed ha aggiunto: “Se evidentemente non
tutto potrà essere conservato come patrimonio, se è giusto
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chiedersi quanta e quale parte di queste testimonianze fisiche ha titolo per essere tramandata al futuro; se è opportuno che tutto venga classificato e documentato, ma non è certo necessario o possibile che tutto venga restaurato, occorre
evidentemente un’opera di selezione colta, consapevole e
motivata. V’è dunque necessità di un lavoro scientifico più
sistematico, metodico, alla base di una protezione ragionata e selettiva”.
Riguardo ai nuovi campi d’indagine oggetto di importanti progetti di ricerca, FONTANA si è soffermato in particolar
modo sulle tematiche delle company towns, del patrimonio
industriale marittimo e dell’acqua, temi tutti strettamente
connessi alle questioni dei paesaggi dell’industria. Resta,
comunque, che la straordinaria varietà, l’enorme complessità ed estensione del patrimonio industriale mobilitano un
amplissimo spettro di competenze disciplinari, richiedono
l’uso di molti e specifici strumenti di indagine, suggeriscono l’elaborazione di strategie e politiche di tutela, conservazione, valorizzazione e gestione innovative, diversificate e
coordinate. Nella parte conclusiva della sua relazione, FONTANA ha sottolineato con forza, citando gli studi più aggiornati, che oggi “la posta in gioco della patrimonializzazione
industriale non è la semplice tutela e salvaguardia di un
patrimonio-oggetto, ma piuttosto la possibilità di legare il
significato e i destini del patrimonio industriale – materiale e immateriale – a processi contemporanei di sviluppo locale”. Dunque alle dinamiche evolutive dello sviluppo economico e sociale (nuovi processi di territorializzazione), superando le dicotomie cultura versus economia, conservazione vs trasformazione, specie in considerazione del fatto che,
come si evince da molte esperienze recenti, la prospettiva
economica e quella culturale sono compresenti in ogni fase
del processo di patrimonializzazione.
LUCA MOCARELLI, invece, nella sua relazione su Edilizia,
mercati immobiliari ed Economia, ha innanzitutto lamentato la sostanziale assenza di studi di Storia Economica sul
settore dell’edilizia. Già Luigi De Rosa, alcuni anni fa, denunciò come la Storia Economica non si fosse posta il problema della città come oggetto economico. Probabilmente
ancora oggi si è privi di una visione d’insieme e della capacità di considerare la città, con le sua infrastrutture, come
un unicum economico, possibile oggetto di analisi. Sebbene
esistano alcuni studi sull’attività edilizia in età contemporanea, soprattutto per realtà ben definite, mancano di contro ricerche sull’industria edilizia moderna e questo nonostante il settore abbia spesso sostenuto la crescita economica, anche in virtù del suo andamento anticiclico. MOCARELLI
osserva come tale settore non sia stato interessato da forti
processi di innovazione, almeno fino all’avvento del cemen-
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to armato. Ciò sta
a significare che la
tecnica costruttiva non ha subito
trasformazioni sostanziali nel lungo
periodo, il che, con
buona probabilità,
ci offre maggiori
opportunità di
comparazione in chiave diacronica. Questo fondamentale
settore economico – si pensi che in Francia, l’edilizia rimane, fino all’avvento della tessitura meccanica verso la metà
del secolo XVIII, la più importante attività economica dopo
l’agricoltura – resta pressoché ignorato. Le evidenze storiche, chiarisce Mocarelli, dimostrano che l’industria edile fu
alla base della ripresa e della crescita economica italiana
dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante il cosiddetto
“miracolo economico”: in questo contesto va inquadrato, ad
esempio, il “Piano Fanfani” sull’edilizia residenziale. Va tenuto conto inoltre che l’industria edile ha la capacità di assorbire manodopera non specializzata, caratteristica di
grande rilievo in una fase di ciclo economico negativo, quando questo tipo di lavoratori sono i primi ad essere espulsi
dal mercato del lavoro.
Un esempio molto significativo di nuovo percorso per la
Storia Economica è quello esposto da MARIO TACCOLINI nella
sua relazione Chiesa ed Economia. Le fonti ecclesiastiche
sono, come noto, miniera inesauribile di dati quantitativi e
qualitativi, grazie alla natura delle istituzioni ecclesiastiche e al ruolo che queste hanno avuto soprattutto in Italia.
Gli enti ecclesiastici, infatti, hanno svolto funzioni economiche ed istituzionali, quali quelle di stato civile, di
ospedalità, di assistenza sin dall’alto medioevo. Per tale ragione, la Storia
Economica ha
sempre privilegiato il rapporto
Chiesa-ricchezza
(intesa come denaro, proprietà e
privilegi) fornito
da tali fonti, piuttosto che considerare la documentazione ecclesiastica come memoria storica
di un’istituzione complessa ed articolata, capillarmente radicata nel territorio. TACCOLINI ha invece rilevato come nuovi profili di ricerca siano individuabili tra le questioni attinenti alla quantificazione delle ricchezze della Chiesa, alle
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pratiche di rilevazione contabile nel funzionamento di enti
caritativi ed assistenziali di natura religiosa e al ruolo svolto dalle aggregazioni laicali come le confraternite che spesso avevano funzioni creditizie oltre che di mutuo soccorso.
Inoltre, permane un costante e rinnovato interesse per un
percorso d’indagine già avviato, relativo alle congregazioni
maschili e femminili sorte in Italia tra Ottocento e Novecento. In particolare, l’intento è quello di approfondire le
dinamiche e i meccanismi economici e finanziari propri delle congregazioni religiose, sottolineandone l’influsso sullo
sviluppo economico e sociale locale. Gli ultimi due ambiti di
ricerca oggetto della relazione di TACCOLINI riguardano il
funzionamento della Reverenda Camera Apostolica – organismo dello Stato Pontificio con ampie competenze finanziarie, amministrative e giudiziarie – e quello delle mense
vescovili, istituzioni ecclesiastiche millenarie la cui gestione comprendeva tutti i beni episcopali e che costituisce un
terreno d’indagine d’indubbia rilevanza e fecondità
storiografica.
La sessione dedicata alle Nuove Frontiere della Storia Economica, si è conclusa con una relazione di S ER GIO O NGER sulle Professioni Economiche. Lo studio delle professioni in generale ha sempre suscitato particolare interesse negli storici e, soprattutto negli storici
economici. Riuscire a delineare i caratteri di una professione o di un mestiere permette infatti allo storico
di tracciare un quadro dettagliato delle condizioni sociali, politiche ed economiche. Sin dagli anni ’50 del secolo scorso, gli storici economici si sono occupati delle
corporazioni e dei mestieri, provando a delinearne caratteristiche e particolarità; mentre, per ciò che riguarda le professioni, soprattutto economiche, è solo con gli
anni ’70 che appaiono gli studi di Carlo M. Cipolla sui
notai, ma ancora per quasi tutto il decennio successivo,
la storia sembra disinteressarsi al ruolo delle professioni, e soltanto con gli studi di Elena Brambilla sulle
professioni liberali
e sui collegi e di Paolo Macry sull’importanza delle professioni come base
della nascita della
borghesia meridionale, il ruolo delle
professioni e della
loro formazione torna a suscitare l’interesse degli studiosi. Negli ultimi tempi l’attenzione si
è focalizzata soprattutto sui luoghi della formazione
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professionale: collegi ed università; infatti sono apparse “storie delle università” di Bari, Genova, Venezia,
Roma, Padova e Palermo, solo per citarne alcune, che
sottolineano il ruolo svolto da tali istituzioni nel processo di formazione professionale e di creazione di un
ceto di professionisti. Ad alcune professioni quali lo
speziale, il cambista e, più in generale, il mercante, come
ha ricordato O NGER , sono state dedicate pagine di approfondimento con taglio eminentemente biografico e
prosopografico, così come per le professioni giuridiche
(notaio e avvocato). Appare evidente come in tali professioni l’aspetto economico sia ancora secondario rispetto alle caratteristiche sociologiche e politiche della
professione, pertanto, è in questa discrasia che la Storia Economica può fornire il proprio contributo di ricerca.
La seconda parte del convegno si è incentrata su di un
singolo ambito di ricerca per la Storia Economica, qual è la
Storia d’Impresa che, pur non avendo carattere di assoluta
novità, presenta, di contro, amplissimi spazi di ricerca. La
sessione, presieduta da SERGIO ZANINELLI, è iniziata con l’intervento di FRANCO AMATORI su Storia del management e dell’organizzazione aziendale,
che ha sottolineato come l’organizzazione
aziendale risponda a esigenze di coordinamento e controllo avvertite
fin dalle prime
forme di associazione umane, che si trovarono a far fronte
al problema della divisione dei compiti in termini funzionali
e gerarchici. Se le grandi strutture istituzionalizzate, come
la Chiesa Cattolica, gli eserciti e le amministrazioni degli
Stati moderni, fornirono un primo banco di prova per forme
gerarchiche di controllo, fu solo nel corso della seconda Rivoluzione industriale, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi
del secolo successivo, che si svilupparono le prime vere e
proprie forme di organizzazione aziendale. La crescita dimensionale delle imprese impose l’adozione di forme di organizzazione scientifica del lavoro, la creazione di canali di
comunicazione istituzionalizzati tra vertice e base dell’azienda nonchè la formalizzazione di tutte le funzioni direttive.
Ci si avviò così verso il trionfo di organizzazioni di tipo
verticistico-gerarchico, mentre a livelli più bassi il forte aumento della produzione ottenuto grazie alle economie di
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scala, alla standardizzazione dei manufatti e all’impiego di
forza lavoro non qualificata rese il lavoro un’attività
ripetitiva e meccanica. In Italia però, ha avvertito AMATORI,
gli echi di questa trasformazione giunsero attenuati: si guardò a lungo ai modelli francese e tedesco e solo dopo il 1945
si diffusero modelli di organizzazione importati
d’oltreoceano. Gli ultimi quarant’anni sono stati un periodo
di profondi cambiamenti per le organizzazioni aziendali: a
partire dagli anni ’70 del secolo scorso la rapida transizione
verso modelli eterogenei d’impresa ha profondamento modificato le caratteristiche del management aziendale, portandolo a notevole specializzazione, ed ha messo in discussione anche il sistema tayloristico, ormai considerato non
più funzionale alle esigenze delle realtà economiche più
avanzate.
Il secondo intervento della sessione presentato da PAOLA PIERUCCI, dal titolo Storia della Contabilità, ha avuto
il merito di portare all’attenzione degli studiosi una disciplina fondamentale per gli studi relativi all’impresa. La
storia della contabilità nasce come disciplina
aziendalistica, legata allo studio dell’organizzazione
aziendale. All’interno di tale disciplina la storia della contabilità fornisce agli studiosi di ragioneria e di economia
aziendale gli strumenti per comprendere l’evoluzione del
funzionamento dell’azienda in chiave diacronica. PIERUCCI
ha ben evidenziato come lo studio della storia della contabilità sia, in un certo senso, studio della civiltà, poiché la
scrittura contabile è di fatto legata alla storia della scrittura stessa. L’uomo ha avuto sin dalla sua comparsa sulla
terra l’esigenza di contabilizzare le proprie attività; esigenza che si è modificata ed evoluta contestualmente all’evoluzione umana stessa. Le rilevazioni contabili hanno,
quindi, subito un lento ma graduale processo di trasformazione connesso allo sviluppo economico. A contabilità
elementari presenti in epoca antica, costituite da semplici
rilevazioni numeriche, si sono
sostituite, in una
fase successiva, a
partire dal secondo millennio,
contabilità più
complesse, disciplinate da regole
per la loro tenuta. Lo sviluppo
rapido dei commerci, intorno al XIII secolo fu la causa dell’implementazione della gestione contabile, considerato strumento irri-
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nunciabile da parte delle grandi compagnie mercantili –
chiarissimo è il caso di Francesco Datini studiato da Melis
– divenendo un processo interno alla struttura aziendale
stessa. Con la pubblicazione del trattato di Luca Pacioli
nel 1494, si affermò la tecnica a partita doppia: è l’innovazione che getta le basi della contabilità moderna. Per la
prima volta, i conti non vennero più rappresentati in sequenza cronologica, bensì ordinati secondo le loro caratteristiche permettendo, così, all’imprenditore di poter controllare in qualunque momento l’ammontare e le variazioni del proprio “capitale”. La Pierucci ha giustamente
sottolineato che il trattato di Pacioli, oltre ad avere innovato profondamente i tratti della contabilità, ha costituito
il primo “manuale”, la prima opera circa la tenuta dei conti ad essere stampata e quindi largamente diffusa. L’ultima fase di sviluppo della storia della contabilità si delinea tra la fine del XIX ed il XX secolo, quando Fabio Besta
con la sua “Ragioneria Generale”prima e il suo allievo Gino
Zappa con la definizione di Economia Aziendale poi, delinearono i requisiti essenziali di una disciplina che aveva ormai dignità scientifica propria, e che non serviva
più al solo controllo dei flussi finanziari – come era stato
per l’età moderna – ma serviva a determinare il risultato economico dell’azienda, indirizzandone, così, il funzionamento.
Il tentativo di collegare l’ambito della didattica con quello
metodologico e scientifico è stato l’obiettivo della relazione
di MASSIMO FORNASARI, dedicata a Storia della Finanza d’impresa. L’inserimento di tale disciplina nel Corso
di Laurea Specialistica in Economia e Gestione
aziendale della
Facoltà di Economia di Forlì ha indotto a sviluppare
una serie di
sinergie rispetto ad alcune delle materie caratterizzanti quel
curriculum di studi. L’insegnamento, che affronta l’analisi
delle modalità di finanziamento delle imprese in una prospettiva di lungo periodo, trae stimoli fondamentali dal processo di finanziarizzazione scaturito dalle politiche di
deregulation avviate alla fine degli anni Settanta e consolidatosi attraverso il processo di globalizzazione dell’ultimo
decennio del secolo scorso: l’intensità di tali sviluppi ha acuito l’interesse scientifico per la dimensione finanziaria dei
processi di crescita e sviluppo economico. L’osservazione di
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questi fenomeni ha dato vita ad un crescente numero di
studi dedicati alla Storia della Finanza e, da una prospettiva in gran parte innovativa, alla Storia della Finanza d’impresa.
Alcune importanti sintesi dedicate di recente a quest’ultima da parte di economisti aziendali, come V. Comito, J.
Barron Baskin e P.J. Miranti jr, hanno fatto emergere due
aspetti particolarmente significativi per lo storico dell’economia: a) l’importanza euristica del lungo periodo sia nella
ricostruzione delle modalità di finanziamento delle imprese (il livello micro), sia nella ricostruzione delle peculiarità
dei sistemi finanziari (il livello macro); b) il contributo che
la ricostruzione storica può offrire all’elaborazione teorica
anche in tema di finanza aziendale, grazie alla sua peculiarità di essere “scienza del mutamento”. Come ha sottolineato FORNASARI, proprio l’insoddisfazione verso la teoria finanziaria standard, ritenuta inadeguata dagli autori citati a
chiarire la complessità del reale e a mettere in rapporto fra
loro fenomeni di diversa natura, aprono alla storia economica ampie possibilità di intervento e di dialogo. In particolare alcuni dei principali aspetti della finanza d’impresa riceverebbero un più adeguato approfondimento se messi in
rapporto con il ruolo svolto dalle istituzioni, cui viene attribuito una fondamentale funzione di riduzione dei costi di
informazione e di transazione.
Secondo tale prospettiva FORNASARI ha tracciato un breve profilo storico teso a sottolineare il ruolo svolto da una
serie di innovazioni istituzionali – regole ed istituti – nell’influenzare in Europa la finanza d’impresa a partire dal
XII secolo e a evidenziare quei legami tra epoca pre-industriale e epoca industriale da cui sarebbe scaturito il diverso orientamento dei moderni sistemi finanziari. In tal modo
la considerazione che istituti fondamentali, costitutivi delle moderne econome di mercato – società di persone e in
accomandita, società per azioni, istituti di credito e mercati
finanziari – hanno una storia plurisecolare, sono cioè, come
osservava Fernand Braudel, “vecchie pratiche”, può contribuire a colmare quella mancanza di esperienza storica da
cui dipende gran parte degli errori di valutazione compiuti
dagli economisti, anche aziendali.
AMEDEO LEPORE ha tenuto una relazione sulla Storia del
Marketing, nella quale ha evidenziato come il marketing
costituisca un argomento complesso e difficile da definire
in modo sistematico. Il campo d’azione del marketing si
estende infatti ad una lunga serie di attività, da quelle
meramente tecniche relative alla logistica, alla gestione dei
canali di distribuzione a quelle più complesse che si occupano dello studio dei comportamenti dei consumatori e della progettazione dei prodotti e dei servizi maggiormente
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idonei a soddisfarne le esigenze. E, come se non
bastasse, le attività d’interesse
per il marketing
costituiscono nel
contempo l’oggetto dell’attività di
altre funzioni
aziendali, dalla
ricerca e sviluppo alla produzione, alla finanza, alla gestione delle risorse umane. A questi elementi di complessità
dobbiamo poi aggiungere quelli connessi alle specificità dei
vari settori e mercati: beni di consumo durevoli e non durevoli, per l’industria e per le istituzioni, materiali ed
immateriali, privati e collettivi, e così via. Tuttavia, ha sottolinea LEPORE, la rilevanza che il marketing è andato via
via assumendo sotto il profilo economico, sociale, politico ed
ambientale è tale da rendere sempre più necessario uno
sforzo di comprensione, di analisi e di modellizzazione. Le
origini del marketing risalgono ai primi anni del secolo
scorso, quando negli Stati Uniti iniziarono a svilupparsi
le prime grandi imprese produttrici di beni di consumo
durevoli e non, le cui strategie di vendita erano orientate
alla creazione di un mercato di massa per i propri prodotti. L’obiettivo fondamentale era quello di sviluppare al massimo i propri volumi di produzione al fine di conseguire
economie di scala tali da consentire l’offerta al mercato di
prodotti standardizzati a prezzi competitivi; per tale motivo, si è assistito allo spostamento del baricentro delle
politiche di vendita dall’impresa al consumatore finale.
Anche la stessa definizione di marketing si è evoluta nel
corso degli anni, passando da un mero orientamento alla
produzione a politiche aziendali volte a sostenere i consumi individuali delle aziende in rapido sviluppo. Di
marketing vero e proprio si iniziò a parlare negli USA verso il 1910, quando la produzione standardizzata e il sistema fordista si manifestarono appieno; in seguito, negli anni
’30, le università americane cominciarono a proporre i primi corsi di marketing basati sugli strumenti teorici esistenti e sulle necessità della distribuzione. La Seconda
Guerra Mondiale e la conseguente implementazione di
produzioni ad alta meccanizzazione e di massa fecero sì
che negli anni ’50 la disciplina assumesse caratteri scientifici originali ed autonomi, che hanno portato il marketing
fino ai giorni nostri con una teoria che deve affrontare le
sfide di una produzione sempre più diversificata, specialistica ed estremamente concorrenziale.
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ATTIVITÀ DEI COMITATI
BILATERALI SISE
Comitato bilaterale Italo-Spagnolo per la Storia
Economica, Convegno Internazionale di Studi: Il patrimonio industriale marittimo in Italia e Spagna.
Strutture e territorio, Genova, 26-27 ottobre 2007.
La Facoltà di Economia dell’Università di Genova ha
ospitato il Convegno internazionale di studi Il patrimonio
industriale marittimo in Italia e Spagna. Strutture e territorio, splendidamente organizzato dal Dipartimento di Storia economica dell’Università genovese. Il Convegno costituisce il più recente frutto dell’iniziativa del Comitato
bilaterale Italia-Spagna per la Storia economica, giunta ormai al suo quinto appuntamento. Nell’occasione si voleva
dare una dimensione comparativa ad un recente filone di
ricerca, quello della storia del patrimonio industriale, che
sta destando l’interesse di molti studiosi tanto italiani quanto iberici. Per la potenziale vastità del campo d’indagine,
quest’ultimo è stato ristretto all’area marittima; in questo
contesto il concetto di “patrimonio industriale” è stato esteso a tutti i luoghi ed edifici legati ad una qualsiasi attività
produttiva.
I lavori sono stati aperti dal saluto di A DRIANO
GIOVANNELLI (Rettore dell’Università di Genova), di PAOLA
MASSA (Preside della Facoltà di Economia e “motore” dell’iniziativa genovese) e di ANTONIO DI VITTORIO e CARLOS
BARCIELA LÓPEZ (co-presidenti del Comitato bilaterale Italia-Spagna per la Storia economica). Sono seguite le relazioni, tutte ampiamente corredate di immagini che hanno
dato il senso concreto delle realtà produttive e delle trasformazioni intervenute negli insediamenti portuali industriali e volta per volta presi in considerazione. Di grande
suggestione ed ampio respiro la relazione svolta da MARCO DORIA, che ha disegnato le dinamiche dello sviluppo del
porto di Genova tra Medioevo ed Età contemporanea. Il
quadro tracciato da Doria è stato integrato dal contributo
di MARIA STELLA ROLLANDI sull’evoluzione e la funzione dei
magazzini portuali genovesi, che ha destato altrettanto
interesse.
La successiva relazione di JORDI NADAL e JUAN ALEMANY
sul patrimonio industriale marittimo di Barcellona ha consentito un primo raffronto tra due delle maggiori realtà
portuali del Mediterraneo occidentale. Le possibilità di lettura comparativa si sono poi allargate a Venezia con la ricca relazione di GIOVANNI LUIGI FONTANA sulla genesi ed evoluzione del patrimonio industriale marittimo della Serenissima. Il marcato riferimento di Fontana all’Arsenale e alla
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produzione navale veneziana ha inoltre consentito di spostare il confronto sul tema della cantieristica, dove il termine di paragone spagnolo era costituito dalla relazione di
JUAN TORREJÓN sulle costruzioni navali nella baia di Cadice;
sullo stesso tema, ma con riferimento alla Galizia, verteva
anche la relazione di JOÁM CARMONA BADÍA, che non è potuto
intervenire ma che non dovrebbe far mancare il suo apporto nella fase di pubblicazione degli atti. Un ulteriore livello
di comparazione si è realizzato nell’ambito dell’industria
del sale, analizzata da GIUSEPPE DONEDDU con riferimento
alla gestione statale delle saline di Cagliari, mentre JUAN
MELGAREJO ha trattato l’area di Alicante, CARLES MANERA
ERBINA e RAMÓN MOLINA DE DIOS quella delle Baleari e ANTONIO MACÍAS HERNÁNDEZ e ÁLVARO DÍAZ DE LA PAZ quella delle
Canarie, questi ultimi allargando l’indagine alla locale industria della pesca.
Ma il patrimonio industriale marittimo di Italia e Spagna presenta anche distinte peculiarità, che non potevano
non emergere nell’occasione. Come nel caso del settore industriale in senso stretto, per la Spagna rappresentato dall’area siderurgica di Bilbao, su cui hanno presentato una
relazione PEDRO M. PÉREZ CASTROVIEJO e JOSÉ E. VILLAR IBÁÑEZ,
e dal contesto produttivo asservito alla produzione mineraria del sud-est studiato da JOSÉ M. MARTÍNEZ CARRIÓN e
MIGUEL A. PÉREZ DE PERCEVAL: ad essi si è contrapposto il
caso delle raffinerie di zolfo dell’area catanese discusso da
MAURIZIO COLONNA e FABIO DI VITA. Ancora più particolare il
“caso” del patrimonio pugliese presentato da ANTONIO DI
VITTORIO, che ha illustrato la singolarità e la varietà del locale sistema produttivo costiero, fatto di aree portuali, saline, cantieri navali, mercati ittici, masserie fortificate, abbazie, ecc. Più specifiche le relazioni di LUCIANO PALERMO e NICOLA OSTUNI: il primo ha ricostruito la funzione produttiva
svolta, nel tempo, da una via di comunicazione posta lungo
la costa laziale; simile l’impostazione del secondo, ma relativa ad un percorso ferroviario che si snodava lungo la costa meridionale di Napoli. PAOLA PIERUCCI, infine, ha disegnato l’evoluzione dell’industria del turismo balneare nell’Abruzzo di fine ’800 - inizi ’900, un argomento con numerosi risvolti sociali e di costume che in futuro non mancherà
di richiamare l’attenzione degli studiosi.
In definitiva, il Convegno ha costituito per un verso una
preziosa occasione per confrontare tematiche e metodologie
di approccio all’indagine, e per l’altro un’opportunità per
testare e consacrare un filone di studi che sta cominciando
a trovare concrete applicazioni anche nel campo di una didattica universitaria impegnata a dare adeguata risposta,
e quindi nuovi contenuti, alle recenti proposte di riforma
dell’ordinamento universitario.
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CONFERENZE E CONVEGNI
Convegno Internazionale di Studi: Pesci, barche,
pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età
contemporanea, Fisciano - Vietri sul Mare - Cetara
(Salerno), 3-6 ottobre 2007.
L’incantevole cornice della costiera amalfitana ha fatto
da sfondo al Convegno Internazionale di Studi Pesci, barche, pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età
contemporanea, che ha visto la partecipazione di numerosi
studiosi di diversa estrazione accademica. Agli storici economici, nel cui ambito è sorta l’iniziativa, si sono infatti affiancati medievisti, linguisti, orientalisti, archeologi, giuristi,
biologi, ecc., tanto italiani quanto provenienti da altri paesi
del Mediterraneo. Il Convegno ha richiamato l’interesse di
numerosi enti ed istituzioni locali, che hanno contribuito al
successo della manifestazione, promossa e organizzata dal
Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Salerno e dal Dipartimento di Latinità e Medioevo della stessa Università, con la collaborazione del Dipartimento di Studi Europei Giuspubblicistici e Storico-Economici dell’Università di Bari.
Sotto il profilo scientifico, il Convegno si colloca nell’ambito del filone di indagini sulla storia della pesca avviato
alcuni anni fa sotto la spinta di LUCIANO PALERMO, GIUSEPPE
DONEDDU e MAURIZIO GANGEMI e poi fatto proprio dalla SISE,
che ha promosso la costituzione di un Seminario permanente di studi in materia, patrocinandone le iniziative. Le
quattro giornate salernitane hanno costituito l’occasione per
un confronto culturale di ampio respiro sul tema della pesca, affrontato da punti di vista diversi, non privi di originalità, e spaziando su aree geografiche distanti ma legate
dalla comune matrice mediterranea. Di interesse generale
le relazioni di MARIA LUCIA DE NICOLÒ sulla precarietà della
pesca in Mediterraneo prima della diffusione delle tartane,
di CLAUDIO AZZARA sulla pesca nel mondo bizantino, di
GERARDO MARTINO sui diritti di pesca nelle aree soggette a
sovranità costiera, Sul fronte italiano, suggestiva la relazione dedicata alla “grande pesca” tra ’800 e ’900, presentata da MAURIZIO GANGEMI, a cui sono seguiti interventi su aree
più ristrette della penisola: LUCIANO PALERMO, MANUEL
VAQUERO PIÑEIRO, ANDREA FARA, MARCO MORONI e DONATELLA
S TRANGIO hanno preso in esame tecniche (peschiere,
trabaccoli), luoghi (Anzio, Nettuno, Ancona) e fiscalità (dogana di Roma) della pesca nello Stato pontificio; BIAGIO DI
SALVIA e ALIDA CLEMENTE si sono occupati dell’area campana, con rispettivo riferimento agli armatori cetaresi nel ’900
e alle tecniche e all’organizzazione del lavoro nella pesca
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ottocentesca napoletana. Su questi ultimi aspetti si sono
confrontati anche GIUSEPPE DONEDDU (Sardegna), ANDREA
ZANINI (Liguria) e DARIO DELL’OSA (Abruzzo), mentre ROSARIO LENTINI si è occupato della pesca di frodo nella Sicilia
sette-ottocentesca e OLIMPIA VACCARI dell’approvvigionamento ittico livornese tra medioevo ed età moderna. RAIMONDO
SARÀ e VALDO D’ARIENZO hanno invece affrontato il tema della pesca del tonno, il primo con riferimento all’area italiana
e, in particolare, al canale di Sicilia, il secondo richiamando
una relazione spagnola del 1898. L’area iberica è stata rappresentata, per la Spagna, da ANTONIO MALPICA CUELLO e
DAVID IGUAL LUIS, che si sono rispettivamente interessati dei
regni di Granada e di Valencia in età medievale; per il Portogallo erano invece presenti INÊS AMORIM e JOSÉ VICENTE
SERRÃO, la prima con una relazione metodologica sulle comunità marittime locali tra ’700 e ’800, il secondo con uno
studio sulle proposte di riforma in tema di politica ittica
governativa avanzate dal marchese di Pombal nella seconda metà del XVIII secolo. In prospettiva anche la partecipazione di studiosi di altra provenienza – HENRI BRESC e GILBERT
BUTI sulle tecniche di pesca nella Francia mediterranea,
VICTOR MALLIA MILANES sull’organizzazione della pesca a
Malta, SADOK BOUBAKER sulla settecentesca rivalità francogenovese per il controllo del sale tunisino, FERIT DUKA sul
sistema di pesca albanese in età ottomana, MARIUS TIBERIUS
ALEXIANU sulla pesca nel basso Danubio e nel Mar Nero in
età moderna, AHMED CHAARA sulla pesca lungo il Rif, VERA
COSTANTINI sull’itticoltura a Cipro in età ottomana – partecipazione peraltro punteggiata da alcune defezioni. Si spera, in ogni caso, che gli assenti non facciano mancare il loro
contributo al momento della pubblicazione degli atti. L’ultima sessione ha visto l’intervento di medievisti, linguisti e
archeologi sul consumo di pesce (ROSA FIORILLO), sul lessico
ittico (SABRINA GALANO), sulla miracolistica (AMALIA GALDI) e
sui ricettari (SERGIO LUBELLO e JUNE DI SCHINO) in età medievale. I lavori sono stati chiusi da una vivace tavola rotonda, presieduta da GIUSEPPE DI TARANTO, sul tema La nuova Politica Comune della Pesca: ripensare alla gestione della pesca nel Mediterraneo tra sussidiarità e sostenibilità.
Convegno: Giorgio Porisini (1932-1977). Un ricordo dello storico romagnolo, Savarna (Ravenna), 6 ottobre 2007.
A trent’anni dalla morte dell’insigne studioso, amici,
colleghi e collaboratori hanno voluto ricordare Giorgio
Porisini (1932–1977) con un’iniziativa che ha inteso
ripercorrerne la feconda attività storiografica. L’incontro si
è svolto in una cornice suggestiva, un capanno (uno degli
ormai rarissimi esempi di architettura rurale romagnola)
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presso la Ca’ Segurini (Casa museo della civiltà contadina),
a Savarna, nell’entroterra ravennate. I quattro relatori –
BERNARDINO FAROLFI, FRANCO CAZZOLA, GIORGIO GATTEI, già
colleghi di Porisini a Bologna presso l’Istituto di Storia Economica della Facoltà di Economia e attualmente docenti
nell’Ateneo bolognese, e FIORENZO LANDI, docente nella Facoltà di Lettere e Filosofia, hanno scelto di ricordarlo attraverso altrettante prospettive: il metodo, l’eredità, il percorso, la visione.
Ha aperto i lavori BERNARDINO FAROLFI, il quale ha posto l’accento sul metodo di ricerca adottato da Giorgio
Porisini come elemento caratterizzante la sua attività di
storico, metodo che sviluppava l’insegnamento del maestro, Luigi Dal Pane. Farolfi ha sottolineato come i temi
che furono al centro dell’impegno di Porisini – la storia
della grande proprietà laica ed ecclesiastica, delle bonifiche, degli istituti di credito, della produttività agricola,
dell’alimentazione e della sanità, dell’economia di guerra
– abbiano mantenuto nel tempo il loro rilievo e siano stati
ripresi e sviluppati dagli studiosi suoi coetanei e dai più
giovani. In un periodo nel quale la storiografia – secondo
Maurice Aymard, citato da Farolfi – tende ad uno
scivolamento verso il formalismo, ad un ripiegamento dalla
fonte manoscritta a quella a stampa e dal quantitativo al
testo individuale o all’immagine, la severa lezione di metodo di Porisini appare ancora attuale.
FIORENZO LANDI ha sottolineato come l’impegno profuso
da Giorgio Porisini nella raccolta ed utilizzo di dati statistici testimoniasse la novità e il valore storiografico della sua
opera, che si inseriva pienamente in un quel trend espansivo che caratterizzò la storia economica a livello internazionale tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, quando l’utilizzo delle fonti primarie in storia economica stava ottenendo risultati significativi negli studi sulle
dinamiche dei prezzi e sulle decime o nello studio sistematico
dei dati catastali e dei rogiti notarili, secondo la linea
storiografica della cosiddetta “storia per totalità”, peculiare
dell’istituto di storia economica bolognese.
La relazione di FRANCO CAZZOLA è stata dedicata al “percorso” attraverso il quale, dai tempi della laurea con Luigi
Dal Pane, Giorgio Porisini crebbe fino a divenire il principale rappresentante della storia economica romagnola degli anni Settanta. Nell’ambito dell’Istituto – ha sottolineato
Cazzola – Porisini era l’unico “contemporaneista”. Sebbene
non gli mancassero gli strumenti per lo studio delle economie d’antico regime, Porisini si volle concentrare sull’età
contemporanea – su quella giolittiana in particolare – poiché la riteneva un nodo critico, un periodo di trasformazioni economico-sociali decisive per il nostro paese. L’opera di
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Porisini, tuttavia, non valicò solo i confini spazio-temporali
della ricerca, ma anche quelli disciplinari: gli anni in cui
Porisini insegnò ad Ancona coincisero col suo avvicinamento alle tematiche della storia sociale, sulla scia dei fermenti
innovativi che spingevano in tale direzione: la ricerca sulla
pellagra, apparsa nel 1974, si inseriva proprio in quel solco.
GIORGIO GATTEI, infine, ha evidenziato attraverso il suo
intervento su “la visione”, come tutte le ricerche di Giorgio
Porisini fossero unite da un filo rosso: lo sviluppo economico italiano. Gattei ha sottolineato in particolare l’attenzione di Porisini alle dinamiche economiche dell’area bolognese, le cui imprese industriali furono duramente colpite dalla politica liberistica del periodo post-unitario che le espose
drammaticamente alla concorrenza estera: il Bolognese divenne così un’area agricola subordinata alle economie delle
più progredite aree manifatturiere del Nord Italia. Aspetti
esemplari delle dinamiche del capitalismo italiano vennero
messi in luce anche nel volume Nascita di un’economia balneare: la municipalizzazione nel corso del Novecento di
un’impresa che presentava bilanci costantemente in rosso,
l’Azienda dei bagni di Rimini, appariva come il segnale di
una transizione ad una fase dello sviluppo caratterizzata
da un forte intervento pubblico. Nelle ultime ricerche di
Porisini l’intervento dello Stato a sostegno delle bonifiche e
dei proprietari terrieri colpiti dalla crisi agraria degli anni
Ottanta e successivamente l’organizzazione dell’economia
di guerra, nel corso del primo conflitto mondiale, avrebbero
confermato questa tendenza a livello nazionale.
Giornata di Studio: Il viaggio degli emigranti in
America Latina tra Ottocento e Novecento. Gli aspetti
economici, sociali, culturali, Napoli, 8 novembre 2007.
Parlare, una volta tanto, di “emigranti” e non di “emigrazione”. Due parole così simili e che tuttavia rimandano
a concetti così diversi in sede storiografica. Questo è il compito che si è assegnata, lo scorso 8 novembre, la giornata di
studio organizzata dalla cattedra di Storia economica e di
Storia delle relazioni economiche internazionali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” in collaborazione
con la Fondazione Museo dell’Emigrazione di Napoli.
Il Convegno su Il viaggio degli emigranti in America
Latina tra Ottocento e Novecento. Gli aspetti economici, sociali, culturali si è prefissato l’obiettivo di raccontare nel
concreto storie di emigranti, focalizzati in un momento particolare e centrale della loro esperienza di “sradicati”, quello del viaggio. Un’esperienza sospesa tra due mondi che la
giornata di studio ha cercato di esplorare. Un “viaggio nel
viaggio”, potremo dire, lungo un arco temporale dall’Unità
d’Italia all’era fascista.
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Nella prima parte, coordinata da PAOLO FRASCANI, l’attenzione è stata rivolta agli aspetti economici del viaggio.
GIUSEPPE MORICOLA ha analizzato i costi del viaggio verso
l’America Latina. Costi difficilmente quantificabili sia perché ci si trovava, specie nelle prime fasi della grande ondata migratoria, di fronte a linee di navigazioni irregolari,
appesantite da molteplici forme di intermediazione. Dietro
l’avvento della grande “era del vapore”, immagine impressa
a fuoco da una certa vulgata storiografica, si nascondeva
una realtà fatta da piccoli armatori che continuavano ad
utilizzare vere e proprie “carrette” del mare. Navi da “novelli negrieri”, secondo la definizione di Francesco Saverio
Nitti, che continuavano a solcare il mare a fronte di costi di
viaggio che dalle 300 lire circa a persona dei primi anni
post-unitari, non sarebbero scesi sotto le 200 almeno fino ai
primi del ‘900, con condizioni di viaggio, sul piano sanitario
ed alimentare, davvero problematiche.
ALIDA CLEMENTE ha incentrato il suo intervento sul porto
di Napoli, una delle principali basi di partenza per gli emigranti, e sulle società di emigrazione gravitanti in quest’area.
Una grande città, Napoli, nella quale manca però il grande
capitale e nella quale prevale un sottobosco fatto di piccoli,
spesso piccolissimi, interessi di carattere speculativo, confinanti con il mondo camorristico e dentro il quale la Clemente ha ricomposto le diverse tracce del
“business”dell’emigrazione
Discorso specularmente diverso per Genova, il porto di
emigrazione affrontato da MARCO DORIA, nel terzo ed ultimo
intervento della mattinata. A Genova il grande capitale c’era,
c’erano le grandi compagnie di navigazione che cercavano
di contendere a Le Havre il primato di porto destinato alle
partenze degli italiani del Nord. Lo storico economico ha,
così, ricostruito i legami che si stabilirono tra gli armatori
liguri e l’emigrazione per l’America Latina, rilevando il contributo che il controllo di questa rotta garantì, nel corso
dell’800, alla modernizzazione della locale marineria.
Nel pomeriggio, sotto la presidenza dei lavori di FRANCESCO DURANTE, presidente della Fondazione Museo dell’Emigrazione, l’analisi si è spostata dagli aspetti economici verso altri di carattere sociale, culturale e politico. ANDREINA
DE CLEMENTI, ha guardato al viaggio attraverso le testimonianze di due emigrati italiani in Brasile, partiti uno negli
anni ’20 e l’altro negli anni ’50 del 900. Il viaggio come una
sorta di “rito di passaggio”, tappa obbligata per la ricerca di
un’emancipazione che non poteva prescindere
dall’omologazione nel nuovo contesto, tramite l’acquisizione
di nuovi modi di vestire, parlare, comportarsi e più in generale “vivere in società”. Se la De Clementi si è servita di due
emigrati “comuni”, CHIARA VANGELISTA ha utilizzato lo sguar-
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do di uno dei tanti osservatori privilegiati che compivano il
loro viaggio da passeggeri dalle prime classi delle navi. In
questo caso la scrittrice Gemma Ferruggia, che alla fine
dell’800 compì la traversata in Brasile tra gli emigrati italiani e ne raccolse le impressioni in un diario di viaggio. E,
poiché se le persone attraversano i continenti, anche le idee
riescono a farlo, la giornata si è conclusa con un’analisi del
viaggio in era fascista compiuto da ANGELO TRENTO, affrontato in particolare dal versante ideologico-culturale, con riferimento alla coeva produzione geo-politica sull’America
Latina e alle guide per gli emigranti ad uopo predisposte.
In definitiva, il confronto tra prospettive storiche diverse, una rivolta alla valutazione economica dell’impresa
migratoria, l’altra più interessata al tema del viaggio come
rappresentazione e conoscenza, ha fatto emergere con forza
la valenza analitica e simbolica del viaggio nel quadro più
generale della storia dell’emigrazione, indicando una serie
di temi e questioni che, dilatando le traiettorie del viaggio
ben oltre il tempo della traversata oceanica, suggerisce interessanti spunti interpretativi sul fenomeno dell’esodo nel
suo complesso.
Colloquio Internazionale: Comprendere le Monarchie Iberiche: risorse materiali e rappresentazione del
potere, Roma, 8-9 novembre 2007.
Nei giorni 8 e 9 novembre 2007 si è tenuto a Roma, presso il Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Antropologici dell’Università Roma III, il colloquio internazionale
“Comprendere le Monarchie Iberiche: risorse materiali e rappresentazione del potere”, organizzato dal Dipartimento
ospitante, dal Departamento de Historia del pensamiento y
de los movimientos politicos y sociales dell’Universidad de
Murcia, nonché da “Columnaria”, rete che riunisce un centinaio di studiosi, appartenenti ad oltre 50 tra università e
istituti scientifici di 10 nazioni, impegnati in attività di ricerca nel campo della storia delle monarchie spagnola e
portoghese, con particolare attenzione alla loro proiezione
extra-europea nella prima età moderna. L’incontro, che si
inseriva all’interno di un ciclo di seminari internazionali
promosso da “Columnaria”, e che ha seguito, di poche settimane, un workshop tenutosi a Murcia sulla storia comparata, è stato dedicato ad approfondire due aspetti della storia delle monarchie iberiche solo apparentemente distanti
tra loro, le risorse materiali e le forme simboliche di rappresentazione del potere.
Il colloquio si è aperto con una prima sessione dedicata
ai processi d’integrazione dei diversi territori componenti
le monarchie iberiche nonché alle modalità con cui tali
processi furono percepiti e rappresentati dai contemporanei;
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le prime due relazioni, di OSCAR MAZIN (Colegio de México) e
PEDRO CARDIM (Universidade Nova de Lisboa), nonché i
commenti del discussant J OSÉ J AVIER R UIZ I BAÑEZ
(Universidad de Murcia), hanno presentato il quadro
d’insieme dei temi da dibattere nel seminario. Nella stessa
sessione, le relazioni di S USANA M UNCH M IRANDA
(Universidade Nova de Lisboa) e A NA D IAZ S ERRANO
(Universidad de Murcia) sono entrate nel vivo della
presentazione delle nuove ricerche in atto, proponendo
un’approfondimento rispettivamente sulla gestione
finanziaria dell’India portoghese e sulle forme d’integrazione
dell’élite india nell’amministrazione vicereale del Messico
spagnolo; il discussant GAETANO SABATINI (Università di Roma
III) ha fatto emergere i punti di contatto e le differenze tra
le strategie di integrazione adottate nell’area spagnola e in
quella portoghese.
Nella seconda sessione, dedicata all’esercizio della
giustizia, le relazioni di JOSÉ DE LA PUENTE BRUNKE (Pontificia
Universidad Católica del Perú) e di T OMÁS MANTECÓN
(Universidad de Cantabria), unitamente alle osservazioni
del discussant GIOVANNI MUTO (Università di Napoli “Federico
II”), hanno fatto risaltare le differenze nell’esercizio della
giustizia tra centro e periferia dell’impero. Analogamente,
nella terza sessione, le relazioni di C LAUDIO M ARSILIO
(Università “L. Bocconi”, Milano) e di GRISELDA TARRAGÒ
(Universidad Nacional de Rosario, Argentina) e i commenti
del discussant GIUSEPPE DE LUCA (Università degli Studi,
Milano), hanno permesso di stabilire un interessante
parallelo tra le modalità di funzionamento dei grandi circuiti
finanziari che alimentavano la monarchia spagnola, di cui
ha parlato Marsilio in riferimento al tema delle fiere di
cambio italiane nella prima metà del XVII secolo, e le reti
mercantili createsi nell’area rioplatense nel XVIII secolo,
sulle quali è intervenuta Tarragò.
Nella quarta sessione, dedicata a cerimoniale e linguaggi
politico-diplomatici, sono stati approfonditi aspetti della
costruzione del mito imperiale (CARLOS JOSÉ HERNANDO SÁNCHEZ,
Universidad de Valladolid), del linguaggio della diplomazia
spagnola (ADOLFO CARRASCO, Universidad de Valladolid) e dei
complessi rapporti tra Roma e Madrid nel XVII secolo in
riferimento alla questione dell’Immacolata Concezione (PAOLO
BROGGIO, Università degli Studi di Roma III), evidenziando, come
ha sottolineato il discussant MANFREDI MERLUZZI (Università di
Roma III), la stretta correlazione esistente tra i disegni politici
delle monarchie iberiche e le strategie perseguite dalle stesse
nell’uso dei simboli.
Infine, nella sessione conclusiva, FRANCESCA CANTÙ
(Università degli Studi di Roma III), MARIA ANTONIETTA
VISCEGLIA (Università “La Sapienza”, Roma) e JEAN-CLAUDE
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WAQUET (École Pratique des Hautes Études, Parigi) hanno
tracciato un bilancio generale dei temi affrontati, delle nuove
linee di ricerca proposte e delle metodologie utilizzate,
enfatizzando, tra l’altro, che il lavoro scientifico presentato
nel seminario testimonia non solo l’ormai completo
superamento dell’approccio nazionalistico tradizionalmente
adottato da molte storiografie di aree già appartenenti agli
imperi spagnolo e portoghese, ma anche il pieno
riconoscimento della storia comparata come unico ambito
metodologico all’interno del quale possano essere studiate
realtà tanto complesse e policentriche quali furono le
monarchie iberiche nella prima età moderna.
Convegno: L’impresa familiare nel Mezzogiorno
continentale tra passato e presente. Un approccio
interdisciplinare, Benevento, 30 novembre - 1 dicembre 2007.
Presso la Facoltà di Scienze economiche e aziendali dell’Università degli Studi del Sannio si è svolto nei giorni 30
novembre e 1 dicembre 2007 il Convegno di studi su L’impresa familiare nel Mezzogiorno continentale tra passato e presente. Un approccio interdisciplinare, organizzato dalle cattedre di Storia economica e di Storia dell’impresa (proff. Ennio
De Simone e Vittoria Ferrandino), con la collaborazione dei
colleghi aziendalisti ed economisti della stessa Facoltà.
Il Convegno si è aperto con i saluti delle autorità accademiche e dei presidenti della Società Italiana degli Storici dell’Economia (SISE), ANTONIO DI VITTORIO, dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale (AIDEA), ROBERTO CAFFERATA, e di
ELIO KRUNZ, delegato della presidente della Società Italiana
di Storia della Ragioneria (SISR), MARIA BERGAMIN BARBATO.
Tutti hanno concordato sulla validità dell’approccio
interdisciplinare nell’affrontare aspetti rilevanti di ricerca e
di interpretazione circa il ruolo dell’impresa familiare nell’economia italiana, e in particolare nel Mezzogiorno. Nel
Convegno sono stati infatti coinvolti docenti di Storia economica, di Economia aziendale e di Economia politica, nonché
rappresentanti del mondo imprenditoriale e della politica.
La prima sessione è stata aperta dalla relazione
introduttiva di Ennio De Simone, che ha illustrato le ragioni del Convegno, soffermandosi su alcuni esempi di aziende
familiari nel Sannio. Sono seguite le relazioni di ADRIANO
GIANNOLA e RICCARDO REALFONZO, che hanno ripercorso le
principali vicende economiche nazionali e, più in particolare, del Meridione inerenti la piccola-media impresa, richiamando, tra l’altro, le tesi di Becattini sull’impresa “molecola del capitale”. Gli interventi di ANDREA COLLI e di TOMMASO
FANFANI, coordinati da Ennio De Simone, si sono concentrati sul ruolo dell’impresa familiare nell’area centro-setten-
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trionale, sottolineando le caratteristiche salienti della gestione di alcune di esse. La sessione è proseguita nel pomeriggio con la presidenza di ANTONIO DI VITTORIO e gli interventi di FRANCESCO BALLETTA, PAOLA PIERUCCI e VITTORIA
FERRANDINO, riguardanti l’evoluzione delle piccole-medie
imprese nel Mezzogiorno con particolare riferimento all’Abruzzo, attraverso le vicende della De Cecco, e al Sannio,
attraverso il rapporto tra le imprese familiari locali e l’Unione degli industriali di Benevento. Ai lavori si è aggiunto
l’interessante intervento di PINA AMARELLI MENGÀNO, vicepresidente dell’Associazione Les Hénokiens. Sotto la presidenza di ROBERTO CAFFERATA sono state presentate le comunicazioni di G IUSEPPE M ORICOLA sulla piccola impresa
nell’Irpinia e di MARINA COMEI sull’impresa nell’area barese, nonché dei colleghi aziendalisti MARIA ROSARIA NAPOLITANO
e FRANCESCO IZZO, rispettivamente, su orientamenti al
marketing e modelli di sviluppo delle piccole imprese.
La seconda sessione del mattino seguente è stata presieduta da ELIO KUNZ, con gli interventi di FRANCESCO DANDOLO sulla ricostruzione delle piccole e medie imprese meridionali nel secondo dopoguerra; di RICCARDO VIGANÒ e PAOLO
RICCI sui fattori critici nella gestione delle imprese familiari e sulla comunicazione economico-finanziaria nelle stesse
e di FRANCESCO ESPOSITO sulla revisione contabile nelle piccole e medie imprese. Successivamente, nell’ambito del tavolo di lavoro presieduto da GUIDO CORBETTA, sono stati affrontati da ARTURO CAPASSO il tema della finanza e del capitale di rischio per lo sviluppo dell’impresa familiare, da
ROSARIO FARACI quello del family business e da GIOACCHINO
ATTANZIO, direttore generale dell’Associazione italiana delle
aziende familiari, quello della continuità nell’impresa familiare. L’intervento del deputato europarlamentare, GIANNI
PITTELLA, ha chiuso i lavori della mattinata.
La tavola rotonda, prevista nel pomeriggio, si è aperta
con l’ampia introduzione di GIUSEPPE DI TARANTO sul tema
Stato, mercato e piccole-medie imprese nell’era della
globalizzazione, cui sono seguiti gli interventi di COSTANZO
J ANNOTTI PECCI , A NTONIO D’A MATO, LUIGI A BETE, S ERGIO
D’ANTONI e CLEMENTE MASTELLA, caratterizzati da un unico
filo conduttore: la necessità di “parlare del Mezzogiorno nel
Mezzogiorno”, senza attendere o aspettarsi che siano gli altri
a farlo. Gli interventi sono stati preceduti dalla lettura dei
messaggi augurali di Mario Draghi e di Luca di
Montezemolo, nonché dalle riflessioni di ENRICO LETTA ed
ANTONIO MARZANO sul tema del convegno.
Il Convegno, tra l’altro, ha assunto particolare rilievo in
quanto ha inaugurato il ciclo di manifestazioni per la celebrazione del decimo anniversario dell’istituzione dell’Università degli Studi del Sannio.
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Convegno Internazionale: La ripresa economica
del secondo dopoguerra nelle aree marginali d’Europa / Der Wiederaufbau in der Nachkriegszeit und die
wirtschaftliche Entwicklung in den 50 er und 60 er
Jahren in europäischen Randregionen, Trento, 6-7 dicembre 2007.
In seno al Dipartimento di Economia dell’Università di
Trento si è avviato, a partire dal 1994, un Seminario Permanente sulla Storia dell’Economia e dell’Imprenditorialità
nelle Alpi in Età Moderna e Contemporanea, sviluppatosi
fino ad oggi in otto sessioni, nelle quali si è concretizzato un
proficuo confronto tra la storiografia economica italiana e
di lingua tedesca, soprattutto con riferimento a temi economici coinvolgenti l’area alpina. L’ultima sessione è stata
dedicata al ruolo del Piano Marshall nella ricostruzione economica del dopoguerra, con specifico riferimento agli interventi promossi nell’area alpina. Dato l’interesse suscitato
dal tema della ricostruzione postbellica nel suo complesso,
è maturato il proposito di continuare la ricerca e l’analisi
su tale argomento, allargando però sia la prospettiva d’indagine che l’area spaziale di riferimento. Con l’appoggio del
Centro per gli Studi Storici Italo-Germanici di Trento della
Fondazione Bruno Kessler, e con il patrocino della SISE, il 6
e 7 dicembre del 2007 si è tenuto un convegno che ha visto
confrontarsi studiosi che si sono occupati della ripresa economica postbellica, nonché dello sviluppo verificatosi tra gli
anni Cinquanta e Sessanta del Novecento in aree considerate marginali dell’Europa. Il concetto di marginalità è stato applicato, nelle diverse relazioni, tanto a realtà nazionali, quanto ad aree regionali o subregionali o a settori economici in ritardo su processi di sviluppo più generali.
Si è partiti dal secondo dopoguerra quando, sullo sfondo
della nascente contrapposizione tra blocco occidentale e blocco orientale, si innescarono nei diversi paesi europei dinamiche economiche e politiche che avrebbero profondamente condizionato la seconda metà del Novecento, almeno fino
agli anni Ottanta del secolo. Per diversi paesi dell’Europa
occidentale, superata la fase della ricostruzione, ebbero inizio intensi processi di sviluppo, che portarono a significative trasformazioni della struttura economica e sociale delle
realtà coinvolte. Un inquadramento generale dell’argomento
è stato efficacemente presentato nella relazione di apertura del convegno da VERA NEGRI ZAMAGNI (Bologna).
Anche negli stati dell’Europa orientale si verificarono
cambiamenti radicali, con un’adozione dell’economia di piano che fu generale, seppure con tratti differenti da paese a
paese. Tra gli obiettivi del convegno vi era quello di mettere
a confronto i processi di ricostruzione e sviluppo del periodo postbellico in paesi con differenti sistemi di regolazione
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dell’economia. Un’interpretazione in questo senso è stata
fornita da TAMAS TAJAN e PETER CSILIK (Budapest), che hanno elaborato, sulla scorta dei dati di Maddison, un modello
di crescita economica mettendo a confronto le performance
di paesi con diversi sistemi di regolazione dell’ economia.
Nella prospettiva della comparazione tra aree che hanno
fruito di peculiari interventi di sostegno, come lo European
Recovery Program (Piano Marshall) e realtà che ne sono
rimaste escluse, si sono inseriti anche gli interventi di
ALEKSANDER SURDEJ (Cracovia) e IVO BICANIC (Zagabria), che
hanno messo a fuoco alcuni snodi centrali nell’evoluzione
delle economie polacca e jugoslava nei decenni postbellici.
FRANZ MATHIS (Innsbruck) ha offerto una panoramica del
funzionamento del piano Marshall in Austria e dei suoi riflessi sulle diverse economie regionali, mentre FRITZ WEBER
(Vienna) ha illustrato il ruolo della Österreichische
Nationalbank nella ripresa postbellica.
Nel convegno si è poi voluti andare oltre la dimensione
nazionale, nella consapevolezza che dietro ai dati aggregati
si nascondono dinamiche che su scala regionale hanno assunto connotati assai diversi. Così MAXIMILIANE RIEDER (Venezia-Monaco) ha indagato l’impatto dei provvedimenti
dell’ERP su di un Land come la Baviera che nel secondo dopoguerra, partendo da una situazione di relativa difficoltà,
si è gradualmente affermato come area tra le più dinamiche del Wirtschaftswunder tedesco. Un percorso per alcuni
versi analogo è stato seguito dal Veneto, oggetto della relazione di GIOVANNI LUIGI FONTANA (Padova), che analizzando i
caratteri e le diverse fasi dello sviluppo novecentesco della
regione dal secondo dopoguerra agli anni Settanta, ha messo in luce, tra l’altro, come gli importanti risultati conseguiti dalla regione dal secondo dopoguerra agli anni Settanta
poggino anche su permanenze di lungo periodo. Un confronto
tra le diverse province alpine italiane nel dopoguerra, proposto da ANDREA BONOLDI (Trento), ha evidenziato analogie
e differenze nel percorso di convergenza delle economie alpine verso i dati di crescita dell’Italia centrosettentrionale.
In generale, i processi di sviluppo accelerato si traducono, almeno in una prima fase, in un’accentuazione delle disparità tra aree più avanzate e aree in cui continuano a
prevalere equilibri di tipo più tradizionale e che tendono ad
essere marginalizzate, o ad assumere un ruolo subordinato
rispetto ai centri della crescita. Tuttavia, nell’Europa postbellica era diffusa la convinzione che lo Stato potesse intervenire efficacemente non soltanto promuovendo e orientando
i processi di sviluppo in atto, ma anche attuando politiche
di riequilibrio territoriale. EZIO RITROVATO (Bari) ha presentato una panoramica sull’economia meridionale e sulle politiche di sostegno a favore del Mezzogiorno, rilevando come
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anche all’interno di un’area generalmente in difficoltà ci
siano state tendenze diversificate da regione a regione. La
categoria della marginalità è stata poi indagata nell’intervento di FERNANDO COLLANTES (Saragozza) in relazione alla
situazione della Spagna rurale nel periodo franchista (19391975) e ai principi ispiratori delle politiche di intervento
nel settore.
Il convegno mirava anche a mettere in luce il ruolo particolare giocato, autonomamente o sulla base di specifici interventi di politica economica, dalla piccola e media impresa e
dall’intermediazione finanziaria e creditizia. ANDREA LEONARDI
(Trento) ha così indagato il peso e la funzione degli istituti di
credito speciale nell’economia postbellica, illustrando i dati
relativi ai flussi di credito, mentre PIETRO CAFARO (Milano) ha
focalizzato la propria attenzione sulla funzione svolta in questo senso dal sistema dei Mediocrediti regionali. Un approfondimento sul tema è stato proposto da CINZIA LORANDINI
(Trento), che ha presentato i risultati di un’indagine condotta sul Mediocredito Trentino - Alto Adige, mentre SILVIO GOGLIO
(Trento) ha fornito una cornice interpretativa delle relazioni
tra banche locali e piccola e media impresa nello sviluppo
economico italiano del dopoguerra.
Le singole sessioni sono state presiedute da GIORGIO
FODOR (Trento), TOMMASO FANFANI (Pisa), ANTONIO DI VITTORIO (Bari) e ANGELO MOIOLI (Milano), mentre ad ALBERTO COVA
(Milano) è spettato il compito di trarre le conclusioni del
convegno.
La tematica del convegno è stata declinata nelle relazioni con diversità di accenti, venendo rimarcati in alcuni
casi gli aspetti istituzionali, in altri i fattori esogeni rispetto alle economie indagate, in altri ancora le scelte di politiche economica. Una molteplicità di approcci e risultati che,
combinata con la variegata provenienza dei relatori e la vivacità del dibattito, ha fornito interessanti spunti per il proseguimento delle ricerche in corso.
VISTO?
GIUSEPPE AMARI, NICOLETTA ROCCHI (a cura di), Federico Caffè. Un economista per gli uomini comuni, con
un’introduzione di Guglielmo Epifani, Ediesse, Roma
2007, pp. 1036, € 35,00.
L’opera nasce come omaggio a un uomo ed uno studioso
importante a vent’anni dalla sua scomparsa. Essa è strutturata in quattro parti che racchiudono in modo coerente
ed esauriente, nella prima l’opera e gli studi di Caffè attraverso i suoi contributi alle teorie e politiche sociali, nella
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seconda i profili e le recensioni, nella terza gli interventi, le
testimonianze e le riflessioni sul suo pensiero e sulla sua
opera di docente universitario, nella quarta le notizie
bibliografiche.
Un album fotografico e un documentario arricchiscono
l’opera che, avvalendosi anche delle nuove tecnologie, propone un DVD nel quale sono raccolte, oltre agli interventi
dell’illustre economista, anche interviste ad amici ed intellettuali. Come tengono a sottolineare gli autori, “fermo restando il giusto rilievo assegnato alle tematiche del lavoro
e del welfare, coerente con l’omaggio che il volume vuol essere nei confronti di un vero amico, anche se mai compiacente, dei lavoratori e del sindacato, si è pensato di non trascurare altre importanti linee del pensiero del grande economista di cui si sono sempre sottolineate l’unità e la coerenza di svolgimento”.
Recentemente il volume, che raccoglie un’ampia scelta
di scritti lasciati dall’economista su tematiche che spaziano
dall’epistemologia del pensiero economico, alla storia economica, alla finanza, alla cooperazione internazionale, all’economia italiana con particolare riferimento al lavoro e
all’occupazione, è stato presentato in occasione di un Convegno realizzato, con l’intesa della Facoltà di Economia della Università di Roma “La Sapienza”, per iniziativa della
Confederazione generale italiana del lavoro.
Come scrive Epifani nell’introduzione “il diritto-dovere
del lavoro erano per lui non tanto una questione economica,
quanto una questione che ineriva strettamente alla stessa
dignità e alla libertà della persona umana impegnata socialmente; la loro reale e non promessa esigibilità stava al
fondamento di ogni costituzione economica e sociale” ed “è
ancora vivissimo il ricordo” , prosegue Epifani, “tra i tanti
quadri sindacali, non solo nostri, delle sue magistrali lezioni, del suo approccio all’insegnamento che è stato ben equiparato alla maieutica socratica, sempre aperto al dialogo e
all’arricchimento reciproco”.
Federico Caffè diceva a proposito di Keynes che “è all’intera opera che dovremo rivolgerci, non per trovarvi ricette belle e pronte, ma per una fonte di ispirazione, la cui
durevole validità […] consiste soprattutto dal preservarci
dal ricadere in antichi errori” (F. Caffè. Keynes oggi, in L’economia contemporanea, i protagonisti e altri saggi, Edizioni
Studium, Roma 1981, pp. 78-79); e ciò potrebbe essere esteso anche alla sua stessa opera, come sostengono curatori
del volume. L’originale impostazione dell’opera affianca ai
più importanti contributi di analisi e di politica economica
di Caffè e ad una serie di sue recensioni, che conferiscono
all’opera una “valenza più significativa da quella comunemente assunta da elenchi di questo tipo”, anche numerose
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numerose testimonianze di stima ed affetto ed interventi
non solo degli amici ma anche degli avversari intellettuali
dello studioso.
È quanto mai oneroso e non renderebbe giustizia all’intero lavoro entrare nel particolare dei singoli contributi così
densi di spunti critici e di riflessioni sui molti temi affrontati dall’uomo e dall’economista Caffè; perciò, in questa sede,
si cercherà soprattutto di evidenziare l’attualità del pensiero dell’economista e l’eredità che ci ha lasciato con la sua
opera. Nella prima e nella seconda parte sono riportati alcuni saggi, selezionati dal catalogo informatizzato delle opere di e su Federico Caffè accessibile on line nel sito del Dipartimento di Economia pubblica della Facoltà di Economia della Università di Roma “La Sapienza”, insieme alle
recensioni e agli articoli da lui stesso redatti, che riportano
le riflessioni e i commenti più rappresentativi delle linee
del pensiero dell’economista con particolare riguardo ai temi
del lavoro e del welfare, principale oggetto di questo omaggio, raccolti nella certezza certi che “spesso, i contributi analitici di Caffè siano da ricercarsi tra le pieghe del suo discorso e del suo continuo dialogare con gli economisti del
passato e quelli a lui contemporanei”.
Il sottotitolo che i curatori hanno dato al volume “un
economista per gli uomini comuni”, ben sottolinea uno tra
gli aspetti non meno rilevanti dell’opera di Caffè, economista e riformista attento alle condizioni dei lavoratori, “profondo sostenitore del welfare state e, da buon keynesiano,
fautore di una buona politica economica vicina alla gente
comune, ai nuovi cittadini-consumatori, in grado di puntare allo sviluppo garantendo un’equa distribuzione della ricchezza e l’equilibrio del mercato” (L. Angeletti, Caffè un
riformista sempre attuale, p. 675).
È nella terza parte che vengono riunite le diverse testimonianze, interventi, attestazioni e riflessioni sull’opera e
sul ricordo personale che i singoli hanno avuto dell’uomo e
dell’economista Caffè: da Raffaele Bonanni, Luigi Angeletti,
Giacomo Becattini, Augusto Graziani, Siro Lombardini,
Sergio Steve, Giuseppe Amari, Guido M. Rey, Maurizio
Franzini, Antonimo Lettieri, Mario Tiberi, Giuseppe la
Barbera, Gianna Gilardi, Mauro Soldini, Maurizio Benetti,
Andrea Bixio, Sergio Cardarelli, Carmela d’Apice, Bonifacio
Francese, Antonino Galloni, Corrado Giustiniani, Pier Luigi Guardati, Rossella Lama, Paolo Lupi, Maria Pia
Montemurro, Bruno Picker, Florina Pierelli, Paolo Pombeni,
Roberto Tesi, Franco Archibugi.
Come tiene a sottolineare Mario Tiberi in un suo recente intervento (Federico Caffè e l’Unione europea, Convegno
promosso da Raimondo Cagiano de Azevedo nel maggio 2007
presso la Facoltà di Economia Università di Roma “La Sa-
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pienza”, in occasione delle Giornate europee della Facoltà
di economia per il 50° anniversario dei Trattati di Roma ed
il centenario di Altiero Spinelli), “i punti fermi di una concezione economico-sociale progressista, ricordati da Caffè in
un contributo che ho sempre considerato il suo testamento
spirituale sono: l’insistere su una politica economica che non
escluda, tra gli strumenti da essa utilizzabili, i controlli condizionatori delle scelte individuali; che consideri
irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza
che si riassumono abitualmente nell’espressione dello Stato
garante del benessere sociale; che affidi all’intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica”
(F. Caffè, Introduzione, a In difesa del “welfare state”. Saggi
di politica economica, Rosenberg & Sellier, Torino 1986 p.
7). La duttilità nella concezione che Caffè ha “dell’interventismo pubblico viene resa esplicita nello stesso contesto
quando ci ricorda che bisogna: tener conto che le istituzioni
sono destinate a vivere nella storia e che questa non procede
in modo rettilineo” (F. Caffè, Lezioni di politica economica,
Torino 1984, p. 109)”.
In ognuno degli interventi della terza parte viene
riproposto e approfondito un tema, un argomento affrontato e discusso dall’economista ed il sottile filo che lega tutte
queste testimonianze sembra essere l’idea che Caffè, con le
sue teorie ed i suoi insegnamenti, volesse incitare a studiare in modo critico il funzionamento del capitalismo attuale
“al fine di individuare gli interventi pubblici che possono
dargli quel ‘volto umano’ che oggi, troppo spesso non ha” (p.
683) ed anche che lo “studioso dovrebbe riuscire ad essere
pienamente indipendente e dovrebbe rispondere unicamente
agli stimoli della sua mente” (p. 687); come sottolineato recentemente in un’altra occasione da Ermanno Rea in L’ultima lezione sono “idee che comunque hanno affascinato ieri
e, affascinano oggi generazioni di intellettuali e di studenti,
la maggior parte dei quali continua a ricordare il Maestro
di via del Castro Laurenziano con nostalgia e ammirazione[…] Dopo la lezione era seguito da uno sciame di giovani
fino all’ascensore […] Una volta a settimana li intratteneva
in una sorta di dibattito aperto. Ciascuno poteva porre un
tema di conversazione, avanzare un dubbio o muovere
un’obiezione. Lui rispondeva a tutti su tutto, doviziosamente,
badando comunque che le sue parole non assumessero mai
toni sentenziosi o ultimativi. Spesso stimolava i ragazzi a
contraddirlo” (p. 54).
Nell’ampia attività didattica e scientifica di Caffè (parte quarta del volume con interventi di Nicola Acocella, Guido M. Rey, Mario Tiberi, Nadia Tarantini, Elisabetta Loche)
non può essere trascurata lunga attività in Banca d’Italia,
nel corso della quale aveva raccolto, prodotto e conservato
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una consistente quantità di documenti. Le carte coprono un
periodo storico che va dal 1947 al 1970 e riguardano principalmente il processo di integrazione internazionale dell’economia italiana, nell’ambito degli organismi della cooperazione europea, e le problematiche economiche internazionali (p. 890).
Come bene scrivono i curatori: “insegnava per vivere,
tanto quanto viveva per insegnare. E non lo poteva più fare.
Pirandello scriveva: “Quella che chiamano la gloria letteraria non mi ha mai interessato, bensì le cose. Se ho scritto,
l’ho fatto per comunicare agli uomini le poche cose che mi
stavano a cuore. di questo messaggio, la parte che mi pare
più importante è quella che ho tratto dal rigetto di tutto ciò
che è convenzionale e non aderisce alla realtà” (p. 1033).
Federico Caffè è scomparso nella notte tra il 14 ed il 15
aprile del 1987 ma l’interesse verso l’uomo, il suo pensiero e
la sua attività è ancora vivo.
GIORGIO BARBA NAVARETTI, ANTHONY J. VENABLES, Le
multinazionali nell’economia mondiale, Bologna, il
Mulino, 2006, pp. 230, € 18,50.
Le imprese multinazionali (IMN) sono considerate, a seconda delle prospettive, gli eroi o i banditi dell’economia
globalizzata: tanto il grande pubblico quanto i policy makers
di tutto il mondo nutrono sentimenti contrastanti, per cui il
dibattito su di loro e sugli investimenti esteri diretti, caratterizzato da profonde divisioni, è di solito fondato su schemi preconcetti, invece che su argomentazioni economiche
rigorose.
Il volume cerca di fare chiarezza su tale dibattito: esamina i fattori che determinano la decisione delle imprese di
diventare multinazionali e analizza i loro effetti sui paesi
di origine e di destinazione degli investimenti, basando la
discussione sui più recenti sviluppi dell’analisi sia teorica
che empirica. Le IMN “sono imprese che detengono una significativa partecipazione azionaria (in genere il 50% o più)
in un’altra impresa (nel seguito controllata o filiale) operante in un paese estero”. Comprendono le grandi
corporation – quali IBM, General Motors, Intel, Nike – e anche piccole aziende, come il Calzaturificio Carmens, con 250
lavoratori fra Padova e Vranje in Serbia.
Alcuni dati: nel periodo 1986-2000 le attività delle IMN,
misurate in termini di flussi di investimenti esteri diretti
(IDE), hanno fatto registrare una crescita molto sostenuta,
più rapida sia del commercio internazionale che del reddito; gli investimenti esteri diretti provengono soprattutto dai
paesi avanzati e gli Stati Uniti sono il maggiore investitore
estero mondiale. Gli IDE sono diretti principalmente nei paesi
ad alto reddito, ma è cresciuta la quota dei paesi in via di
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sviluppo; le fusioni e le acquisizioni ne rappresentano la
quota prevalente, specie verso i paesi industriali avanzati;
la maggior parte degli IDE si concentrano in settori ad alta
intensità di tecnologia e di lavoro qualificato.
Le IMN sono più grandi, e spesso più produttive, delle
imprese nazionali; negli ultimi anni è aumentata la
frammentazione geografica della produzione in reti internazionali. Questi fatti pongono una serie di nodi problematici
essenziali per la comprensione delle IMN che il volume cerca di analizzare, per considerarne i pro e i contro e rispondere alla domanda se esse costituiscano l’aspetto peggiore
del capitalismo o siano, viceversa, il motore dell’espansione
economica.
Le risposte, né immediate né univoche, inducono gli
Autori a considerarle nel complesso positivamente, una componente fondamentale delle economie moderne, un veicolo
decisivo della mobilità internazionale dei capitali. Ma se la
conferma di tutto ciò è il caso irlandese – dove la crescente
presenza delle multinazionali ha rafforzato settori chiave
come il farmaceutico, l’elettronica, il software e i servizi finanziari e portato il paese a un livello di reddito assai vicino a quello della media europea – esistono gli investimento
nell’estrazione del petrolio, in realtà come Gabon, Nigeria o
Azerbaigian, dove le ricadute sulle economie locali sono state
quasi nulle.
CLAUDIO BERMOND, Riccardo Gualino finanziere e
imprenditore. Un protagonista dell’economia italiana del Novecento, Torino, Centro Studi Piemontesi Ca dë Studi Piemontèis, 2007, pp. 271-XXXII.
Come scrive l’Autore nell’Introduzione, non c’è studioso
o semplice appassionato di tematiche inerenti alla storia
economica e finanziaria del nostro Paese che non abbia incontrato almeno una volta nei suoi studi il piemontese
Riccardo Gualino (1879-1964). Egli fu infatti presente nelle
vicende dell’economia e della società italiana per circa un
sessantennio e rivelò un attivismo e un dinamismo assai
rari. Nonostante qualche studio, di lui resiste l’immagine
eroica che egli stesso si impegnò a diffondere nelle opere
autobiografiche, risalenti ai primi anni Trenta, quelli del
confino, prima a Lipari (dove scrisse le memorie Frammenti di vita, appena ripubblicate da Aragno) e poi a Cava dei
Tirreni. Acquistò così l’aura del finanziere spregiudicato,
dell’imprenditore impegnato in molteplici attività e attento
alle innovazioni tecnologiche, del mecenate colto e lungimirante e dell’antifascista dichiarato.
Adesso Bermond, ricorrendo a una ricca e inedita documentazione, prova a staccarsi dal mito e a ricostruire
la figura del finanziere di Biella, senza tacerne errori e
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dissesti, inclusi il ripetuto sperpero di denaro pubblico e
privato e gli imbrogli compiuti per arginare le conseguenze del suo operato. Intuitivo, desideroso di percorrere
strade non battute, criticò il nostro capitalismo cresciuto al riparo di interventi protezionistici e asservito al
potere politico.
Appena trentenne acquistò intere regioni boschive nei
Carpazi per commerciarne il legname, coinvolgendo le principali banche nazionali e cercando di aggirare
l’intermediazione dei potenti grossisti austriaci, costruì
nuovi quartieri a San Pietroburgo, organizzò durante il primo conflitto mondiale una rete di trasporti marittimi
transoceanici per assicurare all’Italia le materie prime necessarie all’industria bellica, sostenne Giovanni Agnelli nel
tentativo, fallito, di scalare per ben tre volte il Credito Italiano, riuscendo però ad acquisire la proprietà di alcune
banche piemontesi, ai vertici di istituti cooperativi di matrice cattolica.
Si gettò poi, con la SNIA Viscosa, nel settore di punta
delle fibre artificiali, ma anche nel cemento, nel settore del
cioccolato e dei dolciumi, fino al collasso finanziario del suo
vasto impero economico e all’arresto su ordine personale di
Mussolini. Nel secondo dopoguerra fu in prima fila nell’emergente comparto petrolchimico, collegandosi in seguito con
la SIR di Nino Rovelli, mentre, negli anni del neorealismo,
rendeva la Lux la principale casa di produzione cinematografica e la Banca Agricola Italiana passava all’Istituto San
Paolo di Torino e alla Banca Popolare di Novara. Nel frattempo non erano mai venuti meno la sua passione per l’arte, il sostegno a pittori come Felice Casorati, la promozione
di raffinate rappresentazioni teatrali, il finanziamento di
opere architettoniche.
Fino ad oggi non esisteva – a differenza di altri importanti uomini d’affari piemontesi, come Agnelli, Valletta,
Olivetti – un profilo biografico esauriente del personaggio,
forse anche per la mancanza di un vero archivio personale;
anche se Bermond privilegia l’approfondita ricostruzione
delle attività economiche e finanziarie rispetto al Gualino
collezionista, mecenate, promotore di iniziative artistiche e
culturali, ci consegna una ricerca che focalizza e approfondisce aspetti fondamentali della sua biografia complessiva.
DONATA BRIANTA, Europa mineraria. Circolazione
delle élites e trasferimento tecnologico (secoli XVIIIXIX), Milano, Angeli, 2007, pp. 447, € 26,00.
La storia dell’attività mineraria europea ha prodotto
soprattutto una gran mole di dati quantitativi, utili per determinare indicatori della crescita nel settore. Questo lavoro privilegia invece la storia qualitativa del settore, offren-
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do una ricostruzione delle varie metodologie scientifiche di
formazione degli addetti ai lavori e delle tecnologie
innovative.
Lo sforzo maggiore consiste nell’analisi della letteratura scientifica settoriale est-europea, finora trascurata
dagli studiosi occidentali per via degli esigui scambi accademici intrattenuti con i colleghi degli ex paesi comunisti. In realtà, soprattutto nel Settecento, alcune di quelle aree – come la Sassonia e l’Ungheria, ma non solo –
produssero notevoli contributi nel campo della scienza
mineraria. Nell’attuale contesto di studi europeo è in
corso, pertanto, un processo di rivalutazione dell’industria mineraria della prima rivoluzione industriale nell’odierno Est europeo, area allora in frequente contatto e
scambio tecnologico con i paesi più all’avanguardia (Francia e Inghilterra).
Inoltre, proprio nel XVIII secolo, cominciava un po’ dovunque l’investimento statale mirato alla creazione di corpi tecnici professionali altamente specializzati. Per questo
frequenti erano i viaggi di apprendimento, nei paesi più
avanzati, di giovani neolaureati oppure di tecnici di alto
profilo. Il tema del viaggio finalizzato all’acquisizione di elevate competenze e, successivamente, di macchinari ed attrezzature, è ben sviluppato dall’autrice, la quale propone
per numerosi ingegneri italiani un’interessante ricostruzione archivistica delle singole esperienze di studio e professionali all’estero.
La circolazione del capitale umano e lo spionaggio industriale furono i fattori cruciali che consentirono la diffusione delle innovazioni ed il processo di emulazione fra paesi.
Tale fenomeno fu reso possibile dall’esistenza di reti informali di vario genere e il volume sottolinea l’importanza,
anche in questo settore, della nascita di un’élite
ingegneristico-mineraria, che in parte costituirà la classe
dirigente dell’Italia post-unitaria.
Come abbiamo detto, questo volume prende le mosse
dalla realtà europea – in particolare quella centro-orientale – ma comprende anche alcuni capitoli di approfondimento di quella italiana. In proposito, viene evidenziata
la differente natura degli unici due centri in grado di formare ingegneri all’altezza dei colleghi europei: Torino, dove
prevaleva l’impostazione “francese”, e Milano, dove si seguiva un modello formativo “tedesco”. L’importanza del
contributo alla modernizzazione dell’Italia da parte di questi professionisti è ben sottolineata nel libro, mentre sorprende la modernità di alcune impostazioni tematiche nei
dibattiti dell’epoca, delle quali vi è un’evidente traccia nei
testi dei convegni continentali oppure nelle relazioni sulle missioni all’estero.
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BRUNO CAIZZI, Suez e San Gottardo, a cura di C. G.
Lacaita e con postfazione di G. Vigo, Lugano-Milano,
Giampietro Casagrande, 2007, € 25,00.
Il volume è dedicato alle due maggiori imprese
costruttive dell’Ottocento europeo: il taglio dell’Istmo di Suez
(1869), grazie al quale furono dimezzati i tempi di
percorrenza fra il Mediterraneo e l’Oriente, e il grande traforo del San Gottardo (1882), che rese l’Europa più vicina al
Mediterraneo. Quando apparve nel 1985 Suez e San
Gottardo fu accolto come uno dei frutti migliori dell’attività
storiografica di Bruno Caizzi. A tanti anni di distanza esso
non solo non ha perso nulla della sua validità originaria,
ma si rivela quanto mai attuale in una fase come la nostra
sempre più caratterizzata dall’internazionalizzazione dei
mercati e dei capitali,
dallo sviluppo degli
scambi, dalla comunicazione globalizzata.
Il saggio introduttivo
di Carlo G. Lacaita mette a fuoco le caratteristiche dell’opera qui
riproposta e la capacità
dell’autore di ricostruire,
nel quadro delle grandi
trasformazioni del periodo, la molteplicità degli
interessi in campo e il
ruolo dei diversi ambienti che si mobilitarono per la questione di Suez e per quella
della ferrovia transalpina. A sua volta lo scritto finale di
Giovanni Vigo offre un profilo complessivo dell’autore, che
nella sua lunga attività di studioso si applicò ai grandi temi
del mondo moderno e contemporaneo con una visione larga
e aperta della storia unita a un solido impianto metodologico.
LUANA CARCANO, CARLO CEPPI, L’alta orologeria in Italia. Strategie competitive nei beni di prestigio, Milano, EGEA, 2006, pp. 352, € 30,00.
Gli Autori – la prima, docente alla SDA Bocconi, il secondo, manager di un gruppo multinazionale del settore (IWC),
nonché membro di una famiglia che dal 1850 ha le sue origini nell’orologeria – si sono avvalsi, per realizzare il volume, della collaborazione di produttori e distributori operanti
nell’orologeria, oreficeria e gioielleria, al fine di unire tutte
le specifiche competenze. Se la Svizzera, per la sua storia e
l’indiscussa leadership tecnologica è ritenuta la culla dell’alta orologeria, il nostro Paese da sempre costituisce il
mercato di riferimento dell’orologeria di prestigio, primo in
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Europa e quarto nel mondo per dimensioni. Pur non avendo una forte tradizione manifatturiera nell’ambito dell’orologeria, l’Italia ha dato un deciso contributo alla creazione
di un nuovo segmento, che vede l’orologio come accessorio
di moda. Inoltre, pur essendo un settore di dimensioni relativamente contenute, presenta la complessità propria di
settori di dimensioni ben maggiori. Gli Autori affrontano
tutte le principali tematiche del mercato orologiaio, partendo dalla sua storia fino alle prospettive future, soffermandosi
sull’evoluzione dei prodotti, il ruolo dei produttori, il cambiamento del gusto dei consumatori, le relazioni fra industria e distribuzione.
FRANCESCO CHIAPPARINO, ROBERTO ROMANO (a cura di),
Il cioccolato. Industria, mercato e società in Italia e
Svizzera (XVIII-XX sec.), Milano, Angeli, 2007, pp. 378,
€ 27,00.
Il volume raccoglie gli interventi presentati al convegno
organizzato a Milano nel febbraio 2006 dal Centro
Interdipartimentale di Storia della Svizzera “Bruno Caizzi”
dell’Università Statale. Al pari dell’iniziativa che l’ha preceduta, la pubblicazione si propone di delineare un quadro
del complesso insieme di tematiche e di fenomeni – non solo
economici – che ruota attorno alla progressiva affermazione di un prodotto come il cioccolato, passato nel corso degli
ultimi due secoli da genere voluttuario e di lusso al consumo di massa. Lo scenario dei rapporti italo-svizzeri, oggetto
proprio del Centro “Caizzi”, si presta particolarmente a questo tipo di analisi, sia per l’intensità delle relazioni della
penisola con l’area elvetica nel comparto delle produzioni a
base di cacao, soprattutto tra il XVIII e gli inizi del XX secolo, sia, naturalmente, per la centralità a livello internazionale che la Confederazione assume nel settore a partire dalla
fine dell’Ottocento.
Dei vari nuclei tematici attorno ai quali si articola il
volume, un primo, riguardante l’emergere delle produzioni
artigianali di cioccolato nei due paesi, non manca di mettere in luce la fitta trama di rapporti che sino almeno dal
XVIII secolo lega la Penisola con l’area svizzera. Il saggio di
Giuseppe Bracco sul caso torinese e quelli di Elisabetta Bianchi Tonizzi e di Marina Cavallera, rispettivamente su Genova e Milano, ricostruendo il primo strutturarsi dei circuiti produttivi e di consumo di un comparto di articoli di lusso
tra Sette e Ottocento, mettono bene in evidenza la cospicua
presenza elvetica al di qua delle Alpi. Dal canto loro, gli
autori svizzeri analizzano il fenomeno dell’emigrazione di
artigiani dolciari dal punto di vista della Confederazione –
Luigi Lorenzetti con riferimento al caso dei cioccolatai
ticinesi della Val di Blenio e Peter Michael-Caflish a propo-
20
sito della più vasta specializzazione dei pasticcieri
dell’Engadina – tracciando un panorama a volte sorprendente per le dimensioni del fenomeno migratorio e sicuramente poco noto al di fuori degli studi locali o strettamente
specialistici.
Un ulteriore gruppo di contributi si concentra poi sul
passaggio dall’assetto artigianale a quello industriale delle
produzioni a base di cacao nei due paesi. In questo caso
l’analisi si svolge più in parallelo all’interno della cornice di
lungo periodo delle relazioni tra i due settori nazionali proposta da Francesco Chiapparino, uno dei curatori del volume. Accanto all’innovazione cui si deve buona parte del successo svizzero nel settore alla fine dell’Ottocento, quella del
cioccolato al latte, su cui si incentra il saggio di Lisane
Lavanchy, sta l’intervento di Yvonne Leimgruber sulla
Tobler e la divisione sessuale del lavoro tipica del comparto
una volta che questo ha assunto, nell’ultimo secolo, una configurazione industriale. Sul versante italiano, Giancarlo
Subbrero ricostruisce il successo della Ferrero, la maggiore
azienda attuale del settore, e Andrea Colli la parabola della
Motta, entrambi casi da collocarsi soprattutto nella seconda metà del Novecento, coerentemente cioè col relativo ritardo con cui in Italia
il consumo e la produzione
di cioccolato acquisiscono
caratteri di massa. Non
mancano poi riferimenti ad
imprese di medie dimensioni, come nel contributo di
Valentina Foni sulla CimaNorma, che prosegue nel
XX secolo la tradizione
bleniese, o in quello di
Adriana Castagnoli sulla
Novi; mentre le parabole
imprenditoriali della Suchard e della Perugina, analizzate
rispettivamente da Laurent Tissot e Renato Covino, tracciano un inedito parallelo tra le vicende di due multinazionali familiari al di sopra e al di sotto delle Alpi.
Nella sua ultima parte il volume allarga infine la prospettiva, focalizzandosi in particolare sulle dinamiche della domanda e del consumo. Il progressivo emergere dell’uso
delle bevande di tipo voluttuario nell’Europa dell’età moderna descritto da Annerose Menninger viene per certi
aspetti ripreso nel caso inglese da Robert Fitzgerald, che
analizza il peso delle politiche commerciali delle imprese
britanniche nell’affermazione del consumo di massa dei prodotti a base di cacao durante la prima metà del Novecento.
21
Daniele Pozzi, Fiorenza Tarozzi e Raffaella Castagnola, trattando rispettivamente della cinematografia industriale del
settore, del rapporto della donna col l’alimentazione e dell’immagine che del cioccolato restituisce la tradizione letteraria italiana degli ultimi tre secoli, tracciano la posizione
di questo prodotto in altrettanti ambiti culturali e dell’immaginario, che apparentemente possono sembrare distanti
dai fenomeni economici, ma in realtà risultano decisivi per
cogliere le specificità della domanda, non solo nell’attuale
società del consumo di massa. Come sottolineano i curatori,
del resto, il cioccolato si presta particolarmente ad una simile analisi per la ricchezza di significati ed elementi simbolici a cui rimanda, ma problematiche analoghe sono
rintracciabili in quasi ogni altro settore di beni di consumo
finale e costituiscono un vasto quanto affascinante e spesso
scarsamente esplorato ambito di ricerca interdisciplinare
per la storia economica.
SALVATORE CIRIACONO, Building on water. Venice, Holland, and the construction of the European landscape
in early modern times, New York - Oxford, Berghahn,
2006.
Il volume, che raccoglie una serie di interventi già pubblicati in italiano, ma rivisti e aggiornati per l’edizione
inglese, si pone all’incrocio tra due dei settori di ricerca
più innovativi nel panorama della recente storiografia, da
un lato la storia del rapporto tra l’uomo e l’ambiente, dall’altro la storia comparativa. E se il filo conduttore è dato
dal confronto tra due grandi civiltà dell’acqua, Venezia e
l’Olanda, che trovano il loro carattere più distintivo nello
strettissimo rapporto tra l’uomo, i fiumi ed il mare, lo
sguardo dell’Autore spazia comunque su tutta Europa, dall’Italia alla Spagna, dalla Francia all’Inghilterra, con ricchezza di riferimenti bibliografici. Il tema del controllo
delle acque in agricoltura e del loro sfruttamento a fini di
bonifica e irrigazione, viene affrontato su una molteplicità di livelli in modo da cogliere il complesso rapporto che
lega teoria e pratica nelle società preindustriali. Ampio
spazio viene riservato ai progressi della scienza idraulica,
“dimostrando come almeno in questo campo la ricerca svolta nelle università e nelle accademie italiane dell’età della Controriforma sia stata in grado di tenere il passo con
le realizzazioni d’Oltralpe, e alla diffusione su scala europea delle competenze tecniche”. Ma l’attenzione all’alta
cultura ed ai saperi tecnici non fa perdere di vista all’Autore la questione dell’applicazione pratica e delle realizzazioni concrete, terreno d’incontro e di confronto tra esperti e imprenditori, tra comunità e magistrature e funzionari pubblici. Come viene rilevato nell’Introduzione, il con-
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trollo e la gestione delle acque si confermano essere degli
aspetti tutt’altro che secondari del processo di affermazione dello Stato moderno e della penetrazione del capitalismo nelle campagne.
EMANUELE FELICE, Divari regionali e intervento pubblico. Per una rilettura dello sviluppo in Italia, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 268, € 22,50.
Il volume di Felice ricostruisce l’evoluzione dei divari
regionali dall’Unità ai giorni nostri, analizzando le politiche pubbliche che sono state attuate per colmarli. Dal punto di vista metodologico esso offre due interessanti novità,
ovvero un approccio comparato nella valutazione dei divari
regionali e delle politiche pubbliche, con un ampliamento
del campo d’analisi fino a comprendere le regioni del Centro-Nord che hanno usufruito con successo di politiche di
sostegno, e che quindi rappresentano un importante riferimento per la comprensione degli insuccessi verificatesi altrove. Altro elemento innovativo è l’impiego dell’indice di
sviluppo umano per la misurazione dei divari regionali, un
indice che sintetizzando variabili diverse come il reddito, la
speranza di vita e l’istruzione, permette di allargare per le
tre grandi aree del paese (Nord-Ovest, Nord-Est e Centro,
Sud) la nozione di sviluppo impiegata nella comparazione a
livello nazionale e internazionale.
Il primo capitolo fornisce la ricostruzione del background
storico, con un esame dei nodi tematici del dibattito sui divari regionali dalla fine dell’Ottocento e delle politiche fiscali, doganali e infrastrutturali, della questione agraria e
dell’impatto dei flussi migratori fino ai filoni d’indagine sui
fattori istituzionali alla base dei divari stessi. Il secondo
capitolo analizza invece le politiche pubbliche adottate per
ridurre i divari, dalla legislazione giolittiana fino alle recenti politiche regionali di matrice europea, incluse le politiche scolastiche e sanitarie che hanno influito su speranza
di vita e istruzione e gli incentivi alle aree depresse del
Centro-Nord. Nel terzo capitolo si fornisce un quadro
quantitativo dei divari regionali misurati sia dal reddito
che dall’indice di sviluppo umano, due misure che sono impiegate per una comparazione delle tre grandi aree italiane
anche a livello internazionale. Il volume si chiude proponendo una rilettura dei diversi percorsi regionali e una riflessione sull’efficacia delle politiche pubbliche, suggerendo una maggiore attenzione alle politiche “di cornice”, mirate a far crescere il capitale umano e sociale rispetto alle
forme di sostegno diretto alle imprese, e agli investimenti
strategici di tipo infrastrutturale nella ricerca di nuove linee di azione per la riduzione dei divari regionali nel nostro
paese.
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ALESSIO GAGLIARDI, L’impossibile autarchia. La politica economica del fascismo e il Ministero scambi e
valute, Catanzaro, Rubbettino, 2006, pp. 242, € 14,00.
Il volume ricostruisce la storia dell’amministrazione
in materia di scambi e valute dal 1935 al 1939, dall’istituzione della Sovraintendenza e poi la creazione del Ministero fino alle soglie della Seconda Guerra Mondiale, quando subì un drastico ridimensionamento di funzioni e vide
l’uscita di scena del suo massimo dirigente, Felice
Guarnieri. La lettura che Gagliardi offre di quelle vicende, mira ad una ricostruzione sia “interna” che “esterna”
dell’istituzione, che abbia al centro non solo i fatti economici e i risultati della politica economica estera, ma anche
le modalità di funzionamento del ministero, la sua organizzazione come parte dell’apparato statale, in modo da
evidenziare le interdipendenze tra i vincoli che lo condizionavano e i risultati delle sue attività con le sue peculiarità come organizzazione. Emergono, nella ricostruzione, alcuni importanti nodi storiografici, come il rapporto
tra strategia e struttura (ovvero tra l’organizzazione degli apparati e l’orientamento delle politiche attuate), il
complesso rapporto tra politica economica estera e politica estera, il ricorso a pratiche di mediazione corporativa,
come nel caso delle “giunte corporative”, dove imprenditori e associazioni di categoria erano chiamate a partecipare direttamente alla gestione amministrativa. Anche il
carattere monolitico dello stato fascista emerge molto ridimensionato, mostrando Gagliardi come nell’organizzazione statuale convivessero strategie diverse e difformi tra
loro ed organi statuali con funzioni in conflitto.
MARCO MORONI (a cura di), Lo sviluppo locale: storia, economia e sociologia, Bologna, il Mulino, 2007,
pp. 320, € 24,00.
Negli ultimi anni è progressivamente cresciuto l’interesse per il tema dello sviluppo locale. Per interpretare le
trasformazioni dell’industria italiana emerse nel decennio
precedente, negli anni Ottanta si era fatto ricorso al concetto di distretto industriale; dalla metà degli anni Novanta,
invece, il dibattito sta ruotando attorno ai concetti di
globalizzazione e, appunto, di sviluppo locale. In Italia, a
suscitare e ad alimentare la discussione hanno senza dubbio contribuito i problemi incontrati nell’ultimo quindicennio
dai distretti industriali tradizionali e, più in generale, dal
made in Italy: l’emergere di nuovi e agguerriti protagonisti,
la rapidissima innovazione tecnologica e l’accentuarsi della
concorrenza nel mercato globale hanno creato non poche
difficoltà alle piccole imprese della Penisola, anche a quelle
organizzate in sistemi produttivi locali, spingendole verso
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nuove forme organizzative. A questo dibattito ha voluto portare il proprio contributo anche il Dipartimento di Scienze
Sociali dell’Università Politecnica delle Marche (Ancona)
che, oltre a promuovere alcune ricerche analitiche, ha invitato vari studiosi italiani e stranieri ad approfondire con
un approccio interdisciplinare alcuni aspetti specifici e ad
affrontare i nodi problematici che appaiono ancora oggi
irrisolti.
Il volume curato da Marco Moroni è diviso in tre parti.
Nella prima, l’importanza delle eredità storiche viene confermata dall’ampia indagine sulla specializzazione produttiva dei futuri distretti industriali tra fine Ottocento e anni
Trenta condotta da Giuseppe Conti e Giovanni Ferri, da uno
studio di Patrizia Sabbatucci Severini sui caratteri e sulla
diversificazione territoriale dell’industria calzaturiera italiana tra 1890 e 1970 e da un saggio nel quale Francesco
Chiapparino, analizzando un caso regionale, mostra il contributo che le istituzioni bancarie locali hanno storicamente offerto al successo delle aree a industrializzazione diffusa. Nella seconda parte, il tema dello sviluppo locale viene
affrontato in un’ottica sociologica; oltre a confermare che il
successo delle aree a industrializzazione diffusa poggia su
forme di sviluppo con una precisa base territoriale, ma anche con caratteri socioculturali comuni, in grado di incidere
positivamente sui meccanismi della crescita, i contributi di
Francesco Orazi, Micol Bronzini e Gianluca Busilacchi fanno comprendere le trasformazioni in atto in alcuni specifici
sistemi produttivi locali investiti dai processi di
globalizzazione.
L’ultima parte, dedicata ad alcune tendenze recenti, si
apre con un importante saggio di Thomas Lyon nel quale si
utilizzano strumenti quantitativi per verificare l’influenza
avuta dal capitale sociale sulla crescita economica. Riprendendo gli indicatori messi a punto nel 1993 da Robert
Putnam per misurare territorialmente la civicness degli italiani, ma aggiungendovi i dati relativi agli investimenti di
capitale su scala regionale, Lyon tenta di verificare quanto
il capitale sociale incida sull’output economico, sull’investimento di capitali e sulla crescita della produttività totale
dei fattori delle varie regioni italiane. Segue un lavoro di
taglio antropologico nel quale Michael Blim racconta, attraverso storie di vita, “il dramma di un distretto industriale” che gli appare non solo in declino, ma ormai in agonia;
ciò non significa che quello stesso distretto non possa rinascere, seppure in forme profondamente nuove; anzi di queste trasformazioni Blim intravede già le linee di tendenza,
ma l’esito di questo processo appare ancora incerto e, com’è
ovvio, molto dipenderà “dalle energie e dalle capacità delle
nuove generazioni”. Il libro si chiude con un saggio nel qua-
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le Massimo Tamberi analizza le trasformazioni strutturali
in atto nei sistemi locali partendo dai presupposti di tali
cambiamenti (le dinamiche esterne e in particolare quelle
internazionali), per arrivare a cogliere meglio le dinamiche
interne; ripercorrendo l’evoluzione storica di un settore,
quello calzaturiero, considerato come paradigmatico dell’intero made in Italy, Tamberi conclude affermando che oggi
molte delle tradizionali specializzazioni italiane sono sollecitate a una riconversione strutturale dell’organizzazione
produttiva, che probabilmente sarà non solo “rapida ed intensa”, ma anche “non del tutto indolore”.
Il volume mostra come un’ottica interdisciplinare
possa aiutare a meglio comprendere la complessità dei fenomeni e le interconnessioni che invece sfuggono agli approcci settoriali. Mettendo a confronto e intrecciando le analisi economiche e sociologiche con le indagini storiche, si
giunge ad esiti che appaiono di notevole interesse, soprattutto se si tiene conto delle difficoltà a dialogare mostrate
dagli studiosi di economia, geografia, storia e sociologia che
finora si sono occupati dell’argomento.
DOUGLASS C. NORTH, Capire il processo di cambiamento economico, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 243, €
23,50.
In continuità con i suoi lavori precedenti, che avevano
sottolineato il ruolo delle istituzioni nel cambiamento economico, il volume riprende la critica alla teoria neoclassica,
in quanto incapace di dar conto della dimensione temporale. Non solo, la teoria del “comportamento razionale” può
semplificare l’analisi dei problemi economici che riguardano il breve periodo, ma si dimostra inadeguata per affrontare i temi dello sviluppo e del sottosviluppo e approcci scientifici, come quelli utilizzati dalla fisica, non possono essere
applicati allo studio della società.
Così North mira a fornire una visione complessiva degli
strumenti necessari per la comprensione del processo di
crescita economica e muove dalla considerazione che gli sforzi compiuti dall’uomo nel corso della storia sono stati rivolti
a ridurre i margini di precarietà e incertezza nei confronti
dell’ambiente sia fisico che sociale, al fine di aumentare il
benessere. Ma, a differenza del mondo fisico, nel caso della
società le conoscenze che ci aiutano a risolvere i problemi
in un determinato contesto storico modificano il contesto
medesimo, facendo emergere nuovi problemi e la ricerca di
diverse soluzioni. È per questo che le società più dinamiche
dal punto di vista economico e socio-politico sono quelle più
aperte alle sperimentazioni e proprio la pluralità di queste
ultime accresce la probabilità di individuare soluzioni migliori, aprendosi costantemente al nuovo in un proficuo e
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continuo rapporto di feedback. La storia è quindi decisiva
per capire successi e fallimenti dei molteplici sentieri percorsi dalle società, da quello del mondo occidentale, all’affermazione e al crollo dell’URSS. Fra le conclusioni non ortodosse a cui l’Autore – che è scettico sulle virtù dell’ordine
spontaneo di mercato – perviene, non esiste un’unica ricetta per lo sviluppo economico e una ricetta valida per una
determinata realtà difficilmente potrà essere “esportata”.
Il Rinascimento italiano e l’Europa, opera in XII
vol. diretta da GIOVANNI LUIGI FONTANA e LUCA MOLÀ, vol.
III: Produzione e tecniche, a cura di PHILIPPE BRAUNSTEIN
e LUCA MOLÀ, Vicenza - Treviso, Colla Editore - Fondazione Cassamarca, 2007, pp. 711, ill., € 95,00.
Artigiani, tecnici ed inventori sono i protagonisti dei
saggi raccolti nel terzo volume de “L’Italia del Rinascimento e l’Europa”, dedicato a ricostruire i progressi tecnologici
e produttivi che tra XIII e XVI secolo portano il continente
europeo a trasformarsi da una periferia arretrata all’area
più avanzata e dinamica del globo. Superando
un’anacronistica contrapposizione tra arte e tecnica, i curatori hanno voluto affiancare contributi che trattano di produzioni ad alto contenuto creativo e di elevata qualità – come
la scultura, la lavorazione di pietre preziose, di monete e
strumenti scientifici – a saggi dedicati a settori di base, quali
lo sfruttamento di acque e foreste, la coltura del suolo vista
attraverso i testi di agronomia, l’attività estrattiva. Una
scelta che si fonda sulla convinzione che i progressi avvenuti nel corso del “Lungo Rinascimento” abbiano una ricaduta positiva sulle condizioni di vita e di consumo di strati
della popolazione ben più estesi rispetto alle élites laiche e
religiose, politiche e culturali che dominano le rappresentazioni del periodo. Nella prima parte del volume, che comprende saggi di Philippe Braunstein, Mathieu Arnoux, Guido Guerzoni, Knut Schulz, Luisa Dolza, Jean-Louis Gaulin,
Perrine Mane, vengono presi in esami i caratteri assunti
dai processi di innovazione in un contesto che resta legato a
forme di diffusione dei saperi tecnici quali l’apprendistato e
l’emigrazione di manodopera qualificata e, in definitiva, alla
trasmissione diretta della conoscenza da persona a persona. Alla ricostruzione attenta e puntuale dei progressi che
si verificano in singoli settori, dalla metallurgia del ferro e
dell’argento, alla lavorazione del vetro e del bronzo, alla comparsa di nuovi prodotti, dalla carta alla polvere da sparo e
alle armi da fuoco, dalla stampa agli strumenti di misurazione del tempo, accompagnata dall’affermazione di nuovi
mestieri e figure professionali, sono dedicate la seconda e
la terza parte del volume con contributi di Enzo Baraldi,
Raffaello Vergani, Corine Maitte, Paola Venturelli, Bertrand
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Jestaz, Walter Panciera, Jean-François Belhoste, Emmanuel
Poulle, Uta Lindgren, Renzo Sabbatini, Jochen Hoock,
Patrick Boucheron. Nella quarta ed ultima parte Salvatore
Ciriacono, Roberta Morelli, Lucia Travaini, Philippe
Bernardi, Manuel Vaquero Piñeiro e Luca Molà prendono
in esame il rapporto che si stabilisce tra i nuovi saperi dell’età rinascimentale ed il potere che gli stati nazionali in
formazione esercitano sul controllo delle acque, sull’attività di bonifica, sulla gestione delle foreste e dei grandi cantieri edili, ed inoltre il ruolo svolto dall’autorità nel sostenere l’innovazione, sia attraverso forme di patronage rivolte
verso tecnici e inventori, sia con la comparsa delle prime
forme di brevetti.
Il Rinascimento italiano e l’Europa, opera in XII
vol. diretta da GIOVANNI LUIGI FONTANA e LUCA MOLÀ, vol.
IV: Commercio e cultura mercantile, a cura di FRANCO
F RANCESCHI , R ICHARD A. G OLDTHWAITE , R EINHOLD C.
MUELLER, Vicenza - Treviso, Colla Editore - Fondazione Cassamarca, 2007, pp. 819, ill. € 95,00.
Abbandonata l’idea di una “crisi economica del Rinascimento” ed il preconcetto del “tradimento della borghesia”,
la figura del mercante italiano si impone come il principale
artefice del primato economico italiano del Rinascimento,
primo attore di un processo di crescita economica che non si
può ritenere estraneo alle dinamiche sociali e agli sviluppi
culturali del periodo. L’intento dichiarato dai curatori del
volume è stato quello di non limitarsi ad offrire al lettore
una sintesi dell’abbondantissima bibliografia sulle manifatture, sul commercio e sulla cultura mercantile nell’Italia
nei secoli del “Lungo Rinascimento”, tra Trecento e Seicento, quanto di proporre, sulla base di un’approccio
dichiaratamente comparativo, nuovi interrogativi e di esplorare campi e oggetti di ricerca ancora poco praticati nel nostro paese. Con l’obiettivo di contribuire ad elaborare quella storia della circolazione dei beni materiali, degli uomini
e dei saperi mercantili tra l’Italia rinascimentale e il resto
d’Europa che è uno degli elementi centrali del programma
dell’opera, risultando in modo sempre più evidente come
uno dei fattori essenziali per spiegare la fioritura
rinascimentale e l’affermazione del primato europeo. Il ruolo
di mediazione tra Oriente e Occidente svolto dalla Penisola, fondamento della sua prosperità medievale e base sulla
quale si innesta lo sviluppo manifatturiero, bancario e finanziario rinascimentale, è al centro dei saggi di Stephan
R. Epstein, Thomas A. Kirk, Maria Luisa Pesante. La seconda parte del volume, con i contributi di John H. Munro,
Sergio Tognetti, Silvio Leydi, Leandro Perini, Timothy
Wilson, Neil De Marchi, Louisa C. Matthew, Geneviève
24
Bresc-Bautier, Patricia
Fortini Brown e Sally
McKee, passa in rassegna i diversi settori delle manifatture e del commercio, dall’industria
della lana e della seta
alla produzione di armi,
libri, maioliche e dipinti, per poi prendere in
considerazione delle correnti di traffico sino ad
ora poco studiate quali
quelle relative ai marmi,
alle antichità, agli schiavi. Il centro dell’attenzione si sposta quindi dalle merci agli
uomini che organizzavano gli scambi, i mercanti, per affrontare il problema della loro cultura e sociale. Proprio in forza
del ruolo fondamentale svolto da queste figure nel sostenere la crescita dell’economia e nell’animare le dinamiche interne alla società rinascimentale e degli straordinari progressi avvenuti nelle forme di gestione delle aziende e degli
scambi, la figura del mercante è stata al centro di elaborate
costruzioni ideologiche, che hanno sconfinato nella creazione di un vero e proprio “mito fondativo del capitalismo moderno”. Di qui l’invito, raccolto dagli autori della terza a quarta parte dell’opera – Maria Fusaro, Giovanna Petti Balbi,
James D. Tracy, Rita Mazzei, Ugo Tucci, Mario Infelise, Paolo Preto, Francesco Guidi Bruscoli, Maria Giuseppina
Muzzarelli, Myriam Greilsammer, Luca Molà, Philippe
Braunstein e Franco Franceschi –, di sperimentare nuovi
approcci, accompagnando allo studio della proiezione mercantile italiana all’estero quello delle comunità straniere in
Italia, e di ricondurre scelte, comportamenti e, non ultimo,
lo stesso progresso delle tecniche finanziarie, bancarie e contabili al contesto economico e sociale in cui si trovano inseriti gli imprenditori, in modo da evitare di ridurre il passato ad una semplice prefigurazione del presente. Resta infine aperta una domanda: quale identità era possibile per il
mercante rinascimentale, sospeso tra razionalità economica, logiche ed istituzioni della società cetuale e laceranti
conflitti religiosi?
SECONDO SABBIONI, Economia e Società nell’Italia del
XX secolo. Temi e momenti per una ricostruzione storica, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 190, € 17,00.
Il volume si presenta come uno strumento didattico di
riferimento per l’insegnamento della storia economica a livello universitario, scritto con linguaggio non specialistico
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e rivolto ad un pubblico di studenti che non è necessariamente dotato delle conoscenze di base utili per l’approfondimento delle tematiche affrontate nei corsi. Il volume è
quindi strutturato in due parti: la prima, Un secolo di crescita discontinua. Contributo per una cronologia ragionata
del Novecento, offre una sintetica rassegna cronologica dei
principali fatti economici nazionali del Novecento, con una
periodizzazione in quattro fasi che si apre con la Prima
Guerra Mondiale fino alle soglie della Grande Depressione
(1914-1929), passando per il periodo della Grande Depressione e del Secondo Conflitto Mondiale (1929-1945), seguito
dalla fase della Ricostruzione e del Boom Econmico fino alla
Crisi petrolifera (1945-1974), per chiudere con l’ultimo
trentennio del Novecento (1974-2004). La seconda parte
invece fornisce elementi analitici di base per l’approfondimento della storia economica del Novecento italiano seguendo sette grandi tagli tematici: la popolazione e le trasformazioni sociali, l’agricoltura, l’industria, il commercio, la banca e la finanza, il lavoro, il ruolo dello stato e le prospettive
dell’integrazione europea. Emergono così alcune delle specificità del contesto economico italiano nel corso del Novecento come i flussi migratori e i mutamenti della struttura
settoriale nel tempo, la peculiare struttura dimensionale
dell’industria italiana, lo stato imprenditore e il ruolo delle
banche nello sviluppo economico italiano, l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro e dello stato sociale.
EVENTI
5th International Congress of Maritime History,
Greenwich (Regno Unito) 23-27 giugno 2008.
Il seicentesco Maritime Greenwich Campus, lungo le rive
del Tamigi, ospita il quinto congresso internazionale di Storia marittima promosso dall’IMEHA. Articolato in sessioni
parallele, il Congresso registra la folta partecipazione di
studiosi di ogni nazionalità chiamati a confrontarsi su
tematiche generali e particolari: la marineria britannica in
età tardo-medievale; la storia portuale; la politica marittima; la cantieristica; l’arruolamento e l’istruzione marittima; la pesca; i mercati ittici; la navigazione; il commercio
marittimo in ambito mediterraneo ed atlantico; la gestione,
il lavoro e la sicurezza nei porti; il ruolo della tecnologia; le
linee di navigazione; la pirateria; gli imperi marittimi; l’impresa marittima tra XIX e XX secolo; l’industria nord –europea della pesca nel XX secolo; la spesa pubblica per la
difesa costiera nell’esperienza veneziana; ecc. Tra i presenti anche studiosi italiani, compresi alcuni storici dell’econo-
mia: Maria Stella Rollandi propone una relazione sui traffici marittimi mediterranei tra XVII e XVIII secolo; Gigliola
Pagano De Divitiis esamina il commercio inglese in Mediterraneo tra 1550 e 1750; Luisa Piccino e Andrea Zanini
affrontano il tema dei porti turistici proponendo il caso della riviera ligure; Luciano Pezzolo tratta delle connessioni
tra struttura statale e forza navale tra XIV e XVIII secolo;
Giuseppe Restifo e Maria Sirago discutono sulle scuole nautiche siciliana e napoletana tra ’700 e ’800; Mirella Mafrici
considera la proiezione marittima calabrese nel contesto mediterraneo; Rosario Battaglia ragiona sui rapporti commerciali siculo-statunitensi nell’800; Rosario Lentini propone il
quadro della presenza mercantile straniera in Sicilia a cavallo tra XVIII e XIX secolo; Filippo Maria Paladini disserta sulle infrastrutture difensive nella Dalmazia veneziana.
Per maggiori informazioni: www.imeha2008.com. Per
contatti: Suzanne Bowles: [email protected].
XVth World Economic History Congress, Utrecht
(Paesi Bassi), 3-7 agosto 2009.
Il sito web del World Economic History Congress (http:/
/www.wehc2009.org) riporta il programma provvisorio del
XV Congresso. Il programma è il risultato del primo termine per la presentazione delle proposte; la scadenza del secondo termine è fissata per il prossimo mese di aprile. Allo
stato attuale, il Comitato esecutivo ha accettato 51 proposte di sessioni su una vasta varietà di temi, il cui elenco può
essere consultato per via informatica. Studiosi italiani partecipano a varie sessioni: Franco Amatori, Andrea Colli,
Pierangelo Toninelli e Michelangelo Vasta a The historical
determinants of entrepreneurship (1800-2000); Andrea Colli a Innovation without patents (XVIII-XIX centuries);
Pierangelo Toninelli a Regulation and deregulation in the
public utilities from the 19th century to today; Andrea
Giuntini e Carlo Pavese a The city and the technical networks.
Economic, financial and technological aspects (XIXth-XXth
centuries); Andrea Bonoldi a Small is beautiful - Interlopers
in early modern world trade. The experience of smaller
trading nations and companies in the pre-industrial period;
Francesco D’Esposito a Industrial revolution and their
globalizing outcomes in the eastern countries (1750-2000);
Fausto Piola Caselli e Luciano Pezzolo a Urban fiscal system
and economic growth in Europe (15th-18th centuries); Donatella Strangio a African business histories: business and
enterprise in Africa, since the nineteenth century; Massimo
Amato a Revisiting money as a unified unit of account from
a complementary viewpoint; Luca Lo Basso a The spending
of states. Military expenditure during the long eighteenth
century: patterns, organisation, and consequences, 1650-1815.
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X Convegno AISPE: Umanesimo e religione nella storia del pensiero economico, Treviso, 27-29 marzo 2008.
Il 27-29 marzo 2008, la sede Universitaria di Treviso
ospiterà il decimo Convegno dell’Associazione Italiana per
la Storia del Pensiero Economico (AISPE). Il tema dell’evento sarà Umanesimo e religione nella storia del pensiero economico. Si vuole infatti approfondire il contributo di quegli
economisti che hanno inteso definire un approccio che fosse
in sintonia con i loro valori fondamentali, sia che si trattasse di includere nel discorso economico la dimensione religiosa, sia una gerarchia di valori sociali, sia una determinata scala di bisogni. La conferenza si propone quindi di
valorizzare tutti quegli approcci che hanno voluto superare
l’angustia delle basi filosofiche utilitaristiche della tradizione di Hume e di Bentham rifiutando la linea di
demarcazione tra motivi che ispirano la razionalità economica e quelli che alimentano la dimensione etico-religiosa
della convivenza sociale.
Programma di massima: giovedì 27 marzo 2008 i lavori
inizieranno alle ore 14:00 con la sessione plenaria che vedrà le relazioni di apertura di Charles M.A. Clark (St. John
University, New York) e di John B. Davis (Marquette and
Amsterdam University). Il programma proseguirà con le sessioni parallele tra cui segnaliamo quella sull’evoluzione del
pensiero sociale ed economico cattolico con Antonio
Almodovar (Università di Porto) e Edward O’Boyle (Mayo
Research Institute). Sono previste anche delle sessioni speciali dedicate a: Umanesimo civile e Italia repubblicana;
Umanesimo laico e umanesimo cristiano nelle arti visive
europee; Moneta e distribuzione nell’economia politica
eterodossa; Giuseppe Toniolo e il pensiero sociale cattolico;
Il paternalismo economco; La “law and economics”.
Venerdì 28 marzo alle ore 17 si svolgerà l’Assemblea Generale AISPE che prevede il rinnovo del direttivo ed alle ore
20.30 la cena ufficiale del Convegno durante la quale saranno attribuiti i Premi AISPE. Si tratta del premio intitolato a
Costantino Bresciani Turroni ed il premio Enzo Balocchi in
collaborazione con la rivista Note e Studi di Economia (miglior saggio dedicato ai rapporti tra diritto, istituzioni ed economia). Sabato 29 marzo, alle 11, la conferenza si chiuderà
con una tavola rotonda sul tema centrale dell’avvenimento.
CALL FOR PAPERS
International Conference: Power, institutions and
global market: mechanism and foundation of wordwide economic integration, ca. 1850-1930, Costanza
(Germania), 26-28 giugno 2008.
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La letteratura sulla globalizzazione economica tra 1850
e 1930 ha puntato principalmente l’attenzione sullo sviluppo del commercio estero. Solo raramente questo periodo è stato esaminato dal punto di vista dei protagonisti
economici o studiando il contesto istituzionale che regolava la vita delle imprese. È questo il fine che la Conferenza
si propone di raggiungere, con la collaborazione di storici
di varia natura e differente nazionalità. Di recente, infatti, è maturato un crescente interesse per il modo in cui il
contesto istituzionale (norme, regole, organizzazione) si è
evoluto, e in particolare per la crescita del commercio
intercontinentale e il conseguente aumento dei costi di
transazione che possono essere tenuti sotto controllo solo
da istituzioni transnazionali. Allo stesso tempo, il commercio internazionale è sempre stato un elemento fortemente
politicizzato, il che consente di studiare lo sviluppo delle
istituzioni e dell’integrazione economica all’interno del loro
contesto politico, culturale e sociale. Se gli organizzatori
della Conferenza hanno puntato l’attenzione sul periodo
1850-1930, è perché i decenni antecedenti la prima guerra mondiale hanno registrato tassi di espansione fortemente elevati sia in senso quantitativo che geografico;
questa espansione è stata sostenuta dai paesi industrializzati e dallo sviluppo di nuove regole e forme istituzionali che reggevano reti commerciali sempre più complesse. La guerra ha spezzato quella rete e accresciuto l’importanza dello stato nell’economia, ma negli anni postbellici sono stati realizzati nuovi enti pubblici e privati
interessati a modificare e migliorare il funzionamento
delle istituzioni economiche. Due questioni, in particolare, la Conferenza si propone di affrontare:
l’individuazione dei principali protagonisti della creazione di norme e istituzioni nell’ambito del commercio globale; il riconoscimento del limite entro cui la prima guerra mondiale può essere considerata uno spartiacque tra
un periodo di veloce integrazione transnazionale e una
laboriosa, precaria e infine fallita ricostruzione. Tra i possibili temi suggeriti dagli organizzatori, ricordiamo: i monopoli, i trust e i cartelli come forme di controllo de facto
del mercato; Lo sviluppo di una cultura mercantile
transnazionale; le strategie e l’organizzazione interna
delle multinazionali; l’integrazione del commercio internazionale attraverso norme, regole, network e istituzioni create da mercanti e dalle loro associazioni; ecc. Le
proposte di contributo devono pervenire agli organizzatori entro il 12 gennaio 2008. Per contatti e maggiori
informazioni: Christof Dejung, e-mail: christof.
[email protected]; Niels P. Petersson, e-mail:
[email protected].
27
35th Symposium of the International Committee for
the History of Technology Crossing Borders in the
History of Technology, Victoria (British Columbia,
Canada), 5-10 agosto 2008.
Tema principale del Convegno è il modo in cui la tecnologia influenza ed è influenzata dall’interazione tra discipline, tra pratica e teoria, tra scuole scientifiche, tra commercio e professioni, tra aree geografiche, tra culture, tra
sistemi politici e tecnologici, tra gruppi etnici, tra nazioni.
Il Comitato organizzatore dell’ICOHTEC, pur aperto ad ogni
proposta di contributo individuale, suggerisce di organizzare sessioni di lavoro che abbiano per oggetto: l’impatto del
commercio internazionale sullo sviluppo tecnologico;
globalizzazione e tecnologia; interazione tra cultura e tecnologia; migrazioni e mobilità sociale nella storia della tecnologia; la diffusione delle teorie tecnologiche oltre i confini
nazionali. Si tratta di argomenti che possono essere affrontati sotto molteplici punti di vista, incluso quello storicoeconomico. Le proposte di contributo vanno presentate entro il 14 gennaio 2008 attraverso il sito web: http://
icohtec.uvic.ca/proposals.php. Per contatti: Mats Fridlund,
e-mail: [email protected]. Per maggiori informazioni:
www.icohtec.org.
Third Conference of the South-Eastern European
Monetary History Network: Banking and Finance in
South Eastern Europe: Lessons of Historical Experience, Atene, 14 marzo 2008.
Dando seguito al successo conseguito dalle due precedenti Conferenze tenutesi a Sofia e a Vienna, nel marzo del
2008 la Banca di Grecia ospiterà la terza edizione del SouthEastern European Monetary History Network. Il network
riunisce numerose banche centrali del sud-est europeo e il
suo Comitato scientifico è in prevalenza costituito da esponenti dei sistemi bancari nazionali. Principale obiettivo del
SEEMHN, che si vuole contribuire a raggiungere anche con la
Conferenza di Atene, è la costruzione di serie storiche su
aspetti di storia della finanza, della moneta e della banca
che consentano di inserire la storia economica dei Balcani
nel più ampio contesto della esperienza europea. Eventuali
proposte di contributi dovranno pervenire al comitato scientifico entro il 15 gennaio 2008. Per contatti e maggiori informazioni:
Sophia
Lazaretou,
e-mail:
[email protected].
International Symposium: From traditional attire
to the modern dress: modes of identification, modes of
recognition in the Balkans (XVI-XXI centuries), New
Europa College, Bucarest, 13-14 giugno 2008.
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L’abito non fa il monaco, recita un vecchio proverbio. Ma,
per quanto ciò possa essere vero, non si può negare che in
passato l’abito fosse un importante indicatore sociale. Esso
rivelava molto dello status personale e famigliare, e la ricostruzione delle interazioni dinamiche tra moda e comportamenti sociali può oggi consentire una ricostruzione dell’evoluzione di una società. D’altra parte, i costumi tradizionali
hanno contribuito a costruire le identità nazionali, un tema
di stringente attualità della attuale Comunità Europea. È
intorno a questi temi che gli organizzatori del convegno chiamano a raccolta tutti gli studiosi interessati, di qualsiasi
ambito e provenienza, sebbene ampio spazio sia riservato
all’area balcanica. Le proposte di contributo dovranno pervenire agli organizzatori entro il 31 gennaio 2008. Per contatti e maggiori informazioni: Constanta Vintila-Ghitulescu,
e-mail: [email protected].
2008 Economic History Association Meetings The
engines of growth: innovation, creative destruction,
and human capital accumulation, Yale University,
New Haven (Connecticut, Stati Uniti), 12-14 settembre
2008.
L’analisi delle cause e delle conseguenze della crescita economica è centrale negli studi di storia economica. La crescita ha
luogo in un contesto giuridico, politico e sociale, e le innovazioni
che la guidano trovano spesso l’opposizione di chi teme che i cambiamenti possano compromettere i propri interessi. Nel lungo
periodo si genera, infatti, un inevitabile processo di “distruzione
creativa” in cui l’innovazione rivoluziona i sistemi produttivi ridimensionando il valore degli investimenti esistenti e lasciando
spazio a fenomeni speculativi. In questo contesto appare di grande interesse chiedersi quali politiche economiche abbia seguito
lo Stato per favorire il necessario cambiamento del quadro istituzionale, in particolare con riferimento al capitale umano e all’informazione. Proposte di contributo devono pervenire agli organizzatori entro il 31 gennaio 2008. Per maggiori informazioni: http://www.ehameeting.com. Per contatti: Jari Eloranta,
[email protected].
International Conference: Bourgeois seas. Revisiting the middle classes of Eastern Mediterranean port
cities, Firenze, 19-20 settembre 2008.
La Conferenza vuole rivisitare, ampliare e rinvigorire il
dibattito sulla crisi della borghesia marittima nel levante
Mediterraneo. Avviato nella metà degli anni ’80 dello scorso secolo, il dibattito aveva centrato l’attenzione sullo spostamento degli equilibri economici europei determinato dall’espansione ottomana e sulla conseguente “periferizzazione”
dell’attività commerciale. Oggi, a più di vent’anni di distan-
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za, pochi storici sottoscriverebbero questa impostazione ma,
nonostante il crescente interesse per lo studio dei ceti medi
non europei e delle città portuali, raramente gli studiosi
considerano queste ultime come luoghi in cui si esercitava ed articolava il potere, in cui si formavano e vivevano
le classi sociali e in cui la borghesia affermava la propria
egemonia. Nessuno, in definitiva, ha prodotto modelli alternativi che spieghino i mutamenti intervenuti nel quadro sociale del Mediterraneo orientale. Nel contesto delle
più recenti interpretazioni storiografiche, ma senza ignorare il contributo teorico più tradizionale, gli organizzatori della Conferenza invitano a presentare – entro il 31
gennaio 2008 – relazioni sulla formazione e la trasformazione dei ceti sociali in qualsiasi città-porto del Mediterraneo orientale (storicamente inteso come lo spazio socio-economico compreso tra i porti di Trieste e di Odessa)
nel “lungo” XIX secolo. Per contatti e maggiori informazioni: Paris Papamichos Chronakis, e-mail: pchronakis
@gmail.com; Athanasios Gekas, e-mail: Athanasios.
[email protected].
International Conference: Patrimony, business and
management of religious institutes in Europe (17891914), Lovanio (Belgio), 7-8 novembre 2008.
Gli storici che si sono occupati della storia degli istituti religiosi cattolici hanno sinora prestato attenzione ai
risvolti spirituali e di apostolato di ordini e congregazioni,
di fatto trascurando agli aspetti economici. Le attività economiche, che pure garantivano l’esistenza di quegli istituti religiosi, sono state considerate irrilevanti dalla maggior parte degli studiosi, la cui riflessione si è concentrata
sull’essenza di un’organizzazione che consiste di educazione, preghiera, contemplazione e liturgia. Di recente,
però, si è andato manifestando un crescente interesse per
l’aspetto economico, e nel 2004 l’European Forum for the
Research on Religiuos Institutes ha incoraggiato le ricerche sul tema, facendo provocatoriamente riferimento alle
“religious business companies”. Ed è proprio alla lettura
comparata della storia economica degli ordini e delle congregazioni cattoliche che vuole puntare l’attenzione il convegno Patrimony, business and management of religious
institutes in Europe, focalizzando l’attenzione sul periodo
compreso tra la rivoluzione francese e la prima guerra
mondiale. Le proposte di contributo dovranno focalizzare
l’attenzione su tre aspetti principali: l’accumulazione del
patrimonio; la gestione e la struttura interna; la mentalità e la cultura. La scadenza per la presentazione delle
domande di partecipazione è fissata al 31 gennaio 2008.
Per maggior informazioni: www.kloosterkwestie.be. Per
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contatti: Maarten Van Dijck, e-mail: maarten.
[email protected].
XVth World Economic History Congress: Session
Administrative reforms and property rights, Utrecht
(Paesi Bassi), 3-7 agosto 2009.
Diritti di proprietà incerti impediscono gli investimenti
e di conseguenza limitano la crescita economica e lo sviluppo. Questo assioma è alla base della Sessione
Administrative Reforms and Property Rights proposta per
il Congresso di Storia economica che si terrà a Utrecht
nel 2009. È noto, infatti, come al giorno d’oggi l’azione dello stato nei paesi in via di sviluppo trovi spesso ostacoli
nell’azione arbitraria e corrotta dei propri funzionari. Non
si tratta di un fenomeno nuovo, poiché in età pre-industriale accadeva lo stesso in molti dei paesi oggi sviluppati, dove riforme, rivoluzioni o la naturale evoluzione sociale hanno determinato profondi cambiamenti amministrativi e limitato il diffondersi della corruzione e dei comportamenti illegali tra funzionari e magistrati. Questi cambiamenti hanno costituito un importante prerequisito per
il successivo sviluppo di paesi come la Francia, la Germania, gli Stati Uniti, ecc. Indagare i motivi per cui tutti questi
paesi hanno accresciuto la tutela dei diritti di proprietà è
uno degli obiettivi della Sessione. Proposte di contributo
devono pervenire agli organizzatori entro il 15 febbraio
2008. Per contatti e maggiori informazioni: Felix Selgert,
e-mail: [email protected].
36th Symposium of the International Committee for
the History of Technology Ideas and Instruments in
Social Context (parte del XXIII International Congress
of the History of Science and Technology), Budapest,
26-31 luglio 2009.
L’ICOHTEC terrà la sua 36a Conferenza all’interno del
XXIII International Congress of the History of Science and
Technology che si svolgerà a Budapest a fine luglio 2009.
Pur disponibile a considerare ogni proposta di contributo
individuale, o di sessione, il Comitato organizzatore
suggerisce di focalizzare l’attenzione su alcune specifiche
tematiche, tra cui: l’impatto delle idee e delle ideologie
sull’innovazione tecnica; le teorie nella storia della
tecnologia; politica e tecnologia durante la guerra fredda;
interazioni tra idee, teorie, modelli, paradigmi e lo sviluppo
tecnologico. Le proposte di contributo dovranno essere
inoltrate entro il 3 marzo 2008 a Reinhold Bauer
(Presidente del Comitato organizzatore), e-mail:
[email protected]. Per maggiori informazioni:
www.icohtec.org.
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XVth World Economic History Congress: Session
Automation and Mechanisation of Financial Services,
Utrecht, 3-7 agosto 2009
I proponenti la Sessione hanno come finalità
l’individuazione della dimensione economica e sociale dei
cambiamenti tecnologici intervenuti nell’organizzazione dei
servizi finanziari. Più in particolare, si vuole: esaminare in
termini comparativi la diffusione dell’automazione tra organizzazioni similari di servizi finanziari; analizzare
l’interazione tra le organizzazioni di servizi finanziari e la
realizzazione ed applicazione di nuove tecnologie d’informazione e telecomunicazione; considerare l’impatto dell’automazione sulla gestione delle provviste monetarie. Per un
compiuto raggiungimento degli obiettivi proposti, è
auspicata la partecipazione di storici economici, d’impresa,
della contabilità e della tecnologia. Le proposte di contributo dovranno pervenire agli organizzatori entro il 15 aprile
2008; è previsto un incontro pre-congressuale, a Bordeaux,
il 27 e 28 giugno 2008. Per contatti e maggiori informazioni:
Bernardo Batiz-Lazo, e-mail: [email protected].
XVth World Economic History Congress: Session
Innovation without patents (XVIII-XIX centuries),
Utrecht, 3-7 agosto 2009
Recenti ricerche storico-economiche hanno posto crescente attenzione alle trasformazioni avvenute in campo istituzionale a sostegno delle innovazioni prodotte nella fase di
industrializzazione. In particolare, si è cercato di individuare
le relazioni esistenti tra l’emergere di un moderno sistema
di brevetti e le tappe e la direzione del cambiamento tecnologico nei differenti paesi. Uno dei risultati ottenuti da questo filone d’indagine è che una sensibile quantità di innovazioni si è sviluppata al di fuori del sistema dei brevetti, che
è quindi solo uno dei sistemi utilizzati per sostenere il cambiamento tecnologico in questa fase storica. In alcuni casi,
esso fu promosso elargendo premi o altre ricompense pubbliche; in altri casi, inventori e imprenditori hanno preferito seguire la strategia della segretezza, e mantenere il più
possibile celate le caratteristiche dell’innovazione per trarne il massimo beneficio economico; in altri casi ancora, si è
percorsa la strada della “invenzione collettiva”. Quest’ultima si basava sulla rapida diffusione dell’innovazione, che
veniva quindi posta a disposizione di coloro che potevano
perfezionarla e migliorarla. Scopo della Sessione proposta
è quello di fare luce sul significato e sulle fortune delle innovazioni non coperte da brevetto nella fase di avvio dell’industrializzazione. Proposte di contributo dovranno pervenire agli organizzatori entro il 30 giugno 2008. Per contatti e maggiori informazioni: Christine Mac Leod, e-mail:
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[email protected]; Liliane Hilaire-Perez, e-mail:
[email protected]; Alessandro Nuvolari, e-mail:
[email protected].
Journées d’Études : Des marges aux frontières. Les
îles méditerranéennes, enjeux de conquêtes et de souverainetés à l’époque moderne, Nizza (Francia), 25-26
aprile 2008.
Per la loro collocazione al centro del bacino mediterraneo, le isole appaiono come luoghi ambivalenti: marginali,
perché poste ai confini di vasti spazi continentali, ma al
tempo stesso centrali, perché essenziali alla proiezione mediterranea delle potenze europee. In età moderna il possesso delle isole consente il controllo delle rotte mediterranee,
divenendo determinante sia nella fase del conflitto che oppone gli imperi spagnolo e ottomano, sia successivamente,
quando il progressivo spostamento del baricentro economico verso i paesi che si affacciano sul Mare del Nord apre il
Mediterraneo agli interessi commerciali nord-europei. La
giornata di studi intende soffermarsi proprio sulla fase di
passaggio delle isole da “luogo di confine” a “frontiera”, per
la centralità assunta nelle politiche di espansione da un
lato e di difesa della sovranità territoriale dall’altro. Due
sono le linee d’indagine che la giornata di studi intende privilegiare. La prima vede le isole come vittime della violenza
espresse della conflittualità ispano-ottomana e vuole puntare l’attenzione su episodi militari (assalti, conquiste, assedi),
anche indiretti (guerra di corsa, razzie). La seconda mira a
studiare le forme in cui si esprime la sovranità sulle isole
conquistate ma da sottomettere militarmente e politicamente per assegnarle alla difesa del potere centrale; in questo
caso si chiede di sviluppare i temi della sorveglianza e dello
spionaggio marittimo, dell’arruolamento, della mobilitazione
delle truppe, delle fortificazioni, ecc. Gli organizzatori, pur
puntando essenzialmente sulle isole del Mediterraneo occidentale, invitano a presentare studi anche relativi all’area di
influenza ottomana. Per contatti e maggiori informazioni:
Anne Brogini, e-mail: [email protected]; Maria
Ghazali, e-mail: [email protected].
Conference of the European Business History Association: Transaction and interactions. The flow of
goods, services and information, Bergen (Norvegia),
21-23 agosto 2008.
A partire dalla rivoluzione industriale, il traffico internazionale di merci è cresciuto più velocemente della produzione di beni. Gli investimenti diretti esteri sono cresciuti
anche più della produzione, mentre il commercio internazionale di servizi si è sviluppato ancora più rapidamente.
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Lo sviluppo è evidente all’interno dell’impresa: durante il
XIX secolo il numero dei “colletti bianchi” è cresciuto molto
più velocemente di quello dei “colletti blu”; oggi, in molte
imprese manifatturiere è superiore il numero di questi ultimi rispetto ai primi. Il flusso dell’informazione e il controllo della comunicazione sono diventati sempre più importanti, tanto all’interno che all’esterno dell’impresa. È su
questo argomento che l’EBHA invita a presentare proposte
di contributo, pur restando disponibile ad accogliere relazioni su tematiche diverse da quella proposta. Per maggiori
informazioni: http://www.hist.uib.no/ebha. Per contatti, email: [email protected].
XVth World Economic History Congress: Session
Responses of economic systems to enviromental change:
past experiences, Utrecht, 3-7 agosto 2009.
L’impatto dei cambiamenti ambientali sulla società del
benessere è stato ben documentato in numerosi case-study
Consiglio direttivo della SISE
Prof. Antonio Di Vittorio, Presidente. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Bari
Prof.ssa Paola Massa Piergiovanni, Vice-presidente. Ordinario di Storia
Economica presso l’Università di Genova
Prof. Vincenzo Giura, Vice-presidente. Ordinario di Storia Economica
presso l’Università “Federico II” di Napoli
Prof. Nicola Ostuni, Segretario. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Catanzaro
Prof. Carlo Marco Belfanti, Tesoriere. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Brescia
Prof. Giuseppe Bracco, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Torino
Prof. Bernardino Farolfi, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Bologna, sede di Forlì
Prof. Giovanni Luigi Fontana, Consigliere. Ordinario di Storia Economica
presso l’Università di Padova
Prof. Giampiero Nigro, Consigliere. Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Firenze
Collegio dei Revisori dei Conti
Prof. Luciano Palermo. Associato di Storia Economica presso l’Università
“Guido Carli” di Roma
Prof.ssa Paola Pierucci. Ordinario di Storia Economica presso l’Università
di Chieti, sede di Pescara
Prof. Carlo Maria Travaglini, Ordinario di Storia Economica presso
l’Università di Roma Tre
Presidenza
Università di Bari, Dipartimento di Studi Europei - Sezione di Storia
Economica, via Camillo Rosalba 53, 70124 Bari; tel. 080 504 92 26; fax
080 504 92 27
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che hanno esaminato come gli shock esterni (anomalie
climatiche, variazioni della piovosità, sviluppo di nuove
malattie, eruzioni vulcaniche) possano determinare eventi catastrofici (carestie, epidemie, ecc.) e in qualche caso
la disgregazione dell’economia e il drastico declino degli
standard di vita. Spesso, però, questi studi mancano di
una rigorosa valutazione del modo in cui i sistemi economici hanno risposto agli shock esterni, elemento che i
proponenti la Sessione voglio approfondire. In particolare, si vuole capire il modo in cui i meccanismi del mercato e le istituzioni hanno reagito a specifici episodi, individuare i cambiamenti tecnici e le innovazioni che sono
stati introdotti in risposta alle alterazioni ambientali e
documentare i casi di fallimento delle politiche pubbliche o di mercato. Per contatti e maggiori informazioni:
Jean-Pascal Bassino, [email protected]; Pierre van der Eng, e-mail: pierre.vandereng
@anu.edu.au.
Comitato di redazione
Giulio Fenicia, Giovanni Luigi Fontana, Renato Giannetti, Carlo Maria
Travaglini
Coordinatore
Giovanni Luigi Fontana
Redazione
Università di Padova, Dipartimento di Storia, Via del Vescovado 30, 35141
Padova; tel. 049 827 45 10; fax 049 827 45 11; e-mail: [email protected]
Segreteria di redazione: Luca Clerici
Università di Firenze, Dipartimento di Studi Storici e Geografici, via
San Gallo 10, 50129 Firenze; tel. 055 275 79 49; fax 055 21 91 73; e-mail:
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Segreteria di redazione: Lucia Castellucci
Hanno contribuito a questo numero:
Cristina Badon, Andrea Bonoldi, Francesco Chiapparino, Vittoria
Ferrandino, Massimo Fornasari, Marco Gallo, Amedeo Lepore, Iginia
Lopane, Daniela Manetti, Giuseppe Moricola, Omar Mazzotti, Roberto Rossi,
Gaetano Sabatini, Stefano Solari, Donatella Strangio, Francesco Vianello
La Newsletter della SISE è pubblicata ogni 4 mesi: marzo, luglio e novembre. Tutti i soci della SISE la ricevono gratuitamente in forma cartacea.
Inoltre, è disponibile in forma elettronica presso il sito internet della società: http://www.sisenet.it
Pubblicazione quadrimestrale della Società Italiana degli Storici dell’Economia
Direttore Responsabile: Giovanni Luigi Fontana
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