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I nuovi Carb onari I nuovi Carbonari Terza puntata nella New York del buon bere di Max D’Addezio J “carbonari” erano coloro i quali lavoravano in gran segreto con un fine ultimo come la libertà del pensiero politico, oggi mi piace pensarli come coloro i quali lottano e lavorano in gran segreto per la liberazione da ogni banalizzazione del gusto, in particolare dei cocktails. Ed è facile e frequente sentir parlare di scuola classica della miscelazione, di mixologia derivante dagli studi di erboristeria e di autorevoli esperti del settore come Jerry Thomas o David Embury. E sempre più spesso piccoli barman crescono espandendo i propri orizzonti creativi, al fine di trasformare un cocktail in una creazione degna di un’attenzione palato/cognitiva degna di un’annotazione sul taccuino delle esperienze piacevoli che ognuno di noi dovrebbe avere in tasca. Tant’è vero che, quella sera dello scorso autunno, quando mi ritrovai in una selva si oscura (NY), ma strapiena di bar, uscii dalla cabina telefonica (vedi “Speakeasy”, Travel Carnet aprile ’11), guidato dal mio Virgilio (Brian Miller), proseguendo verso un altro luogo dal nome inusuale per essere un bar: il “Death & Co.”. t r a v e l c a r n e t . i t 1 MAGGIO Il “Death & Co.” nel 2010 è stato considerato uno dei migliori bar del mondo, con la sua carta dei cocktails e con il suo relativo creatore (Brian Miller appunto): quando arrivi all’indirizzo (433 East 6th St. Lower East Side NY) c’è una grande parete di legno con una quasi invisibile porticina con davanti un signore con cappotto e scoppola. Entri quando c’è posto, e nella malaugurata ipotesi che non ci sia lasci il numero del telefono e lui t richiama appena si libera qualcosa. Entri e vieni pervaso dall’idea che sei nel “Bar”, anzi in un “Saloon”, che di li a poco t r a v e l c a r n e t . i t Una fase della lavorazione del cranberry. A destra, l’Hemingway daiquiri e il cocktail Negroni. Sopra il titolo, l’interno del Death & Co. arriveranno due cow boy e chiederanno una bottiglia di whiskey al baffuto barman dietro al banco! L’atmosfera è quella tipica di un bar, con persone in piedi, sedute al tavolo o al bancone che parlano, bevono, mangiucchiano, parlano, tutto in un ambiente illuminato di luce calda, di luce propria, color ambra brillante e da uno scintillio di una bottigliera pregna di curiosità (dove non troverete una che sia una bottiglia di vodka), e da abatjour che sopra i pochi tavoli ti permettono di leggere questo menù che altro non è t r a v e l c a r n e t . i t 2 MAGGIO se non una vademecum del bere miscelato. Una delle caratteristiche del menù che salta subito agli t r a v e l c a r n e t . i t I nuovi Carb onari E come carbonari che si incontrano in gran segreto, al nostro tavolo arriva una persona che in italiano mi dice “Mi hanno detto che eri qui, e sono venuto per incontrarti”. Dietro i suoi occhiali rotondi c’è Toby Cecchini, colui il quale negli anni novanta inventa e lancia uno dei cocktails più venduti e famosi dopo il cocktail Martini e il Cristal Spritz di Sergio Trisolino: il COSMOPOLITAN! Toby mi viene presentato da Brian per colui che è, ma lui con amorevole distacco mi dice che in fondo ha solo messo della vodka nel cranberry juice con uno spicchio di lime e gocce di cointreau…ok Toby, God Bless U! Il cocktail Cosmopolitan. In alto, bacche di cranberry, mirtillo rosso americano. occhi è la presenza negli ingredienti di molti elementi della liquoristica italiana, vermouth, amari, liquori, e l’altro elemento inusuale è la mancanza di vodka: la filosofia è che la vodka è un distillato neutro e non serve per preparare cocktail, non aggiungerebbe nessun tipo di carattere se non alcool, quindi non serve perché la struttura alcolica viene già presa da altri distillati con importanti peculiarità organolettiche come whiskey, gin o cognac. Un’altra scelta del locale è non servire bevande tipo coca cola o altre bevande zuccherine ritenute il male del mondo (?). t r a v e l c a r n e t . i t 3 MAGGIO Altro giro altra corsa, il Capitano Brian guida la nostra nave ad un nuovo approdo: un Mezcal Bar. Qui dobbiamo fare un altra doverosa pausa per parlare di un'altra tendenza, quella di aprire bar monoprodotto, ovvero incentrati su di un unico distillato, in questo caso il mezcal, di origine messicana derivato dalla distillazione del succo di agave mescalera fermentato. In Italia nove volte su dieci il mezcal in vendita è un prodotto per “gringos”, (turisti in maglietta, shorts, sandalo e pedalino bianco) che prima di ritornare a casa all’aeroporto comprano una bottiglia da riportare agli amici, mentre invece il mezcal è un distillato che vive di grandissima attenzione in t r a v e l c a r n e t . i t Messico, la qualità di alcune bottiglie è veramente alta e a New York c’è un bar dedicato solo a lui, e non solo uno (noi siamo al Mayahuel, 304 E 6th St, tra la First e la Second Aves, East Village). Quindi anche qui rimango a degustare cose che voi umani non potete neanche immaginare, come un mezcal 100% Tobala, proveniente dalla zona di Oaxaca, dove ad una certa altitudine all’ombra delle foreste di rovere, crescono delle piccole agave dalle quali si ricava il Tobala appunto; ne vengono commercializzate solo pochissime bottiglie in un anno, meno di mille, e per far capire quanto è difficile lavorare questa vegetale, si pensi che per eguagliare la produzione di un agave normale, ne servono otto del La varietà di agave dalla quale si ottiene il mezcal. L’etichetta Del Maguey Single Village Mezcal 100% Tobala. A destra, il mezcal bar Mayhuel. Maguey, la sottozona di produzione , un po’ come da noi i tartufi di Alba (gli abitanti locali dicono che sia stato un dio a coltivare per la prima volta questa pianta). t r a v e l c a r n e t . i t 4 MAGGIO …Comincio a credere a un dio, è meglio che la serata volga al termine! Salute e prosperità t r a v e l c a r n e t . i t