Ambiente e salute nel bambino - Società Italiana di Pediatria

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Ambiente e salute nel bambino - Società Italiana di Pediatria
Ottobre-Dicembre 2014 • Vol. 44 • N. 176 • Pp. 253-266
tavola rotonda
Ambiente e salute nel bambino
Tavola Rotonda
70° Congresso Italiano di Pediatria (Palermo, 14 giugno 2014)
A cura di Fabio Sereni, Franca Rusconi
Fabio Sereni
Prof. Emerito di Pediatria, Università degli Studi di Milano
Franca Rusconi
Unità di Epidemiologia, A.O.U. Anna Meyer, Firenze
Sommario
Presentazione, Fabio Sereni
Ambiente e malformazioni congenite, Pierpaolo Mastroiacovo
Inquinamento atmosferico, Francesco Forastiere
Inquinamento e sviluppo cognitivo, Jordi Sunyer
Inquinamento e tumori infantili, Corrado Magnani
Siti inquinati e salute infantile, Ivano Iavarone
Inquinamento e alterazioni del programming fetale, Ernesto Burgio
Inquinamento e interferenti endocrini, Sergio Bernasconi
Conclusioni, Fabio Sereni, Franca Rusconi, Generoso Andria
Fabio Sereni: La Direzione di Prospettive ha accettato con entusiasmo il suggerimento del Prof. Giovanni Corsello, di organizzare una Tavola Rotonda al Congresso Nazionale della Società Italiana di Pediatria sul tema “Ambiente e Salute Infantile”, ed è
grata a Franca Rusconi che, con la sua specifica competenza di epidemiologa e i suoi rapporti personali con molti dei ricercatori
intervenuti ha reso possibile questa Tavola Rotonda.
I possibili danni da inquinamento alla salute infantile sono un tema che la nostra rivista ha già parzialmente affrontato, allorché
tre anni orsono invitò Umberto Simeone a scrivere un articolo per la rubrica Frontiere intitolato “L’origine precoce della salute
e della malattia: la nuova sfida dei pediatri”. Compito che Simeone e i suoi collaboratori hanno assolto egregiamente, ma che
era necessariamente limitato ad uno specifico limite temporale, e cioè al periodo feto-neonatale.
Tornare sull’argomento, estendendolo a patologie e periodi di vita diversi, fornendo il punto di vista e il contributo originale
di numerosi autorevoli ricercatori, è stato sicuramente molto opportuno. E nelle nostre scelte siamo stati confortati dai tanti
pediatri che hanno gremito l’aula ove si è svolta la Tavola Rotonda.
Il testo che Franca Rusconi ed io abbiamo preparato è una testimonianza fedele di quanto i vari autori hanno esposto, anche se
necessariamente in forma riassuntiva. Ma il lettore, da questo testo, potrà anche trarre lo spunto per approfondire le sue nozioni
in questo importante, nuovo capitolo di patologia pediatrica, approfittando del fatto che abbiamo invitato gli Autori a integrare
quanto hanno detto con opportune, puntuali citazioni bibliografiche.
In effetti quindi questa Tavola Rotonda, così come l’abbiamo tradotta per Prospettive può essere considerata un vero e proprio
“mini dossier”.
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Tavola Rotonda
Ambiente e malformazioni congenite
Pierpaolo Mastroiacovo
Direttore dell’International Centre on Birth
Defects and Prematurity
Fabio Sereni: La parola, per primo, a Pierpaolo Mastroiacovo, per
lunghi, recenti anni direttore, impareggiabile, di Prospettive in Pediatria.
Pierpaolo è stato chiamato a partecipare a questa Tavola Rotonda
come autorità, riconosciuta internazionalmente, per quanto riguarda
l’epidemiologia e il monitoraggio della incidenza e prevalenza delle
malformazioni congenite. Non per nulla dirige, da molti anni, l’International Centre on Birth Defects and Prematurity da lui fondato, che
studia queste problematiche e che è stato “Collaborating Center”
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS-WHO).
Ma, prima di fare, se sarà possibile, il punto su quanto è stato fino
ad oggi accertato, in tema di “ambiente e malformazioni congenite”,
vorremmo che aprissi questa Tavola Rotonda rispondendo ad una
domanda molto generale: la presa di coscienza che da inquinamento
ambientale possono derivare gravi danni alla salute di intere popolazioni risale a molti decenni orsono. Vi sono stati episodi storici
gravissimi. Abbiamo imparato la lezione?
Pierpaolo Mastroiacovo: Dirò subito, che non abbiamo imparato
la lezione.
I sistemi di sorveglianza sugli effetti patogeni da inquinamento sono
rimasti, per lo più, confinati alle malformazioni nel periodo neonatale.
Stiamo perdendo l’occasione di utilizzare indicatori semplici ma preziosi, come il peso alla nascita, la prematurità, gli aborti spontanei
per ricercare e documentare un eventuale rapporto tra inquinamento e danno al feto. Sarebbe forse opportuno ragionare in termini di
esito aggregato della gravidanza, in termini cioè di “bambino non
normale” per cause ambientali. Ma mi piace accogliere la proposta
di Sereni, e iniziare questa relazione ricordando, brevemente, tre
tragici episodi oramai storici, per poi cercare di riassumere quanto,
da questi ed altri episodi, si è imparato e abbiamo accertato, in tema
di effetti patogeni sul feto da inquinamento, con particolare riferimento, ma non solo, alle malformazioni.
Nel 1955 una strana forma di paralisi cerebrale, accompagnata da
insufficienza cognitiva e segni di compromissione cerebellare, fu
scoperta nel villaggio di Minamata in Giappone. Tre anni dopo fu
scoperto che la causa era l’inquinamento da metilmercurio del mare
e dei pesci prodotto da un’industria che produceva acetaldeide.
Questo evento ci ha insegnato che un prodotto chimico può causare
disabilità nella prole, senza provocare né sintomi materni, né malformazioni evidenti alla nascita (Herada, Crit Rev Toxicol 1955).
Il secondo episodio avvenne sempre in Giappone nel 1968: l’uso di
olio di riso contaminato da policlorobifenile (PCB) e dibenzofurano
policlorurato (PCDD) avvelenò oltre 1500 donne che presentarono
la malattia di Yusho, caratterizzata da disturbi mestruali, manifestazioni cutanee e oculari, e depressione immunologica. I loro figli, nati
molti anni dopo, presentavano nel sangue livelli misurabili di queste sostanze che correlevano inversamente con il peso neonatale
(Tsukimori et al., Environ Int. 2012). La lezione: l’esposizione a certe
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sostanze chimiche, avvenuta diversi anni prima, produce effetti sulla
prole che si manifestano con riduzione del peso neonatale; l’esito
causato dalla sostanza chimica non è la malformazione ma il peso
del neonato.
Il terzo episodio ci ha riguardato direttamente: Nel 1976 si è verificato il noto incidente a Seveso con immissione nella zona circostante
di TCDD, una pericolosa diossina che provocò tra l’altro 193 casi di
cloracne. Non fu evidente un aumento di malformazioni (Mastroiacovo et al., JAMA 1988), ma i livelli misurabili di TCDD erano presenti
dopo molti anni nelle persone colpite da cloracne e, osservazione
più sorprendente, i maschi esposti prima dei 19 anni e con livelli
misurabili di TCDD nel sangue avevano più spesso figli di sesso femminile (62%, contro l’atteso 49%, Mocarelli et al., Lancet 2000). La
lezione: a livello di popolazione anche uno spostamento del rapporto
tra sessi può essere una spia di problemi ambientali.
Da questi disastri, e non solo, in questi ultimi 50 anni abbiamo imparato che: 1) le sostanze chimiche possono causare un’ampia gamma
di problemi di salute nelle future generazioni, problemi di tipo multifattoriale che comprendono, oltre alle malformazioni congenite, la
prematurità, la restrizione della crescita prenatale, le disabilità (tra
cui l’autismo) e certi tumori (es.: tumore di Wilms, tumori cerebrali,
leucemie), tutte patologie che nel complesso causale multifattoriale prevedono oltre alla componente genetica quella ambientale che
interviene prima della nascita e talora prima del concepimento; 2)
l’esposizione nociva può essere materna o paterna, 3) l’esposizione
nociva può essere avvenuta molti anni prima dell’evento riproduttivo.
Fabio Sereni: Appare chiaro, da quanto ci hai finora detto, che una
trattazione che si limiti ad un esclusiva valutazione della relazione tra
esposizione materna durante la gravidanza ad un fattore ambientale
e le malformazioni congenite sarebbe parziale e, anche fuorviante.
Pierpaolo Mastroiacovo: Certamente sì.
Sia nella conduzione delle ricerche che nella loro analisi, la possibilità della non-specificità del danno causato ad un nuovo organismo
umano non dovrebbe essere trascurata, anzi dovrebbe essere valorizzata e tenuta ben presente. In altre parole sono convinto che
la ricerca sugli effetti dei fattori ambientali sullo sviluppo prenatale
dovrebbe avere una visione d’insieme e considerare come esito primario e prioritario il “nato non normale” con adeguato follow-up,
senza distinzione se affetto da una patologia evidente nel periodo
neonatale (es: malformazione o restrizione della crescita prenatale) o nei primi anni di vita (es: tumore o disabilità cognitiva). Fatta
questa premessa, per rimanere al compito assegnatomi in questa
tavola rotonda focalizzerò la mia attenzione sulle malformazioni, con
qualche accenno al peso neonatale e alla prematurità.
L’analisi delle ricerche disponibili nella letteratura corrente sulla relazione causale “nell’uomo” tra fattori ambientali in senso stretto
(sostanze chimiche presenti nei luoghi di lavoro o nell’ambiente in
cui viviamo giornalmente) e malformazioni, è estremamente complessa e per certi versi contraddittoria. Si veda ad esempio una revisione pubblicata nel 2010 (Mattison, Curr Opin Pediatr 2010). Esistono notevoli difficoltà metodologiche che impediscono di ottenere
risultati robusti e spendibili sul piano teorico e pratico. Alcune sono
comuni alla ricerca epidemiologica nell’ambito dei fattori ambientali
tra cui la carenza di: (a) robusti indicatori di esposizione, (b) studi
di valutazione delle esposizioni multiple che possono interagire in
modo sinergico tra loro, (c) ampio range dei livelli di esposizione.
Tali carenze saranno di certo ripetutamente sottolineate in altri interventi di questa tavola rotonda. Altre difficoltà sono peculiari della
Ambiente e salute nel bambino
ricerca epidemiologica sulle malformazioni congenite: (a) relativa
rarità, soprattutto di fenotipi specifici; (b) incertezza sull’effetto:
specifico per fenotipo o generalizzato a tutti i fenotipi malformativi; (c) carente definizione di “soggetto esposto”: oltre la madre in
gravidanza andrebbe sempre considerato il padre, e la madre prima
del concepimento. Tutte queste problematiche spiegano in parte le
incertezze e le contraddizioni esistenti. Per il futuro è necessario
che queste carenze siano evitate e vengano promossi soprattutto
gli studi “caso-controllo annidati in coorti prospettiche” con prelievi
di idoneo materiale biologico (es: siero, urine, capelli, unghie) alla
prima e precoce visita ostetrica sia alla madre che al padre per il
successivo dosaggio di biomarkers di esposizione.
Fabio Sereni: Comprendo, da quanto ci hai finora detto, tutte le
riserve metodologiche che hai desiderato premettere a delle considerazioni conclusive sul tema malformazioni congenite e fattori
inquinanti. È necessario, ed opportuno, non considerare solamente
le malformazioni, ma deve essere estesa l’attenzione, più estesamente, al danno fetale (e infantile).
Ma ti sei preparato molto diligentemente, a questa Tavola Rotonda.
E hai preparato una tabella, molto aggiornata ed esaustiva, delle
principali metanalisi e revisioni sistematiche pubblicate di recente
sull’argomento (Tab. I).
Ti pregherei di mostrarcela e commentarla.
Tabella I.
Revisione di metanalisi o revisioni sistematiche che hanno analizzato il ruolo di sostanze chimiche ed esiti selezionati della gravidanza.
Esposizione
Esito, solo se positivo
Autore
Fumo di tabacco ambientale
Natimortalità + 23%
Malformazioni +13%
Leonardi-Bee et al., Pediatrics 2011
Fumo di tabacco ambientale
62 g in meno del PN
Malformazioni + 18%
Salmasi et al., Acta Obst Gyn 2010
Fumo di tabacco ambientale
30 g in meno (1)
Basso peso + 32%
Leonardi-Bee et al., Arch Dis Childh Fetal
Neonatal Ed, 2008
Inquinamento ambientale
NO2
SO2
ToF + 20%, CoAo + 17%
ToF + 3%, Co Ao + 7%
Inquinamento ambientale
CO
CO
NO2
PM 2,5
PM10
PM10
17 gr in meno del PN per 1 ppm
Prematurità + 4% per 1 ppm
28 gr in meno del PN per 20 ppb
Basso peso + 5% per 10mcg/m3
Basso peso + 10% per 20 mcg/m3
Prematurità + 6% per 20 mcg/m3
Inquinamento ambientale
SO2
PM 2,5
PM 10
Prematurità
Basso peso, prematurità, SGA
SGA
Vrijheid et al., Env Health Perspect 2011
Stieb et al., Environ Res 2012
Shah et al., Environ Int 2011
Inquinamento casalingo (combustibili
solidi)
Basso peso + 45%
Misra et al., J Trop Pediatr 2012
Inquinamento casalingo (combustibili
solidi)
Basso peso + 38%
Natimortalità + 51%
66 g in meno del PN
Pope et al., Epidem Rev 2010
Clorazione acqua
Malformazioni + 34%
(soltanto DTN + 49% e urinari +131%)
Hwang et al., Arch Environ Health 2003
Clorazione acqua
Nessuna relazione con peso o prematurità
Grellier et al., Epidemiology 2010
Clorazione acqua
Malformazioni +17%
(soltanto DIV + 59%)
Nieuwenhuijsen et al., Environ Health
Perspect. 2009
PCB e DDE (misurati nel sangue
cordonale)
150 g in meno di PN per ogni mcg/L di PCB-153 nel sangue cordonale
7 g in meno di PN per ogni mcg/L di p,p’-DDE nel sangue cordonale
Govarts et al., Env Health Perspec 2012
Solventi, occupazione paterna
Malformazioni + 47%, soprattutto DTN + 86%
Logman et al., Am J Ind Med 2005
Solventi, occupazione materna
Malformazioni + 64%, aborti spontanei + 25%
McMartin et al., Am J Ind Med 1998
Pesticidi, occupazione materna
Schisi orali + 37%
Romitti et al., Cleft Palate Cran J 2007
Pesticidi, occupazione maternal o paterna
Ipospadia + 36% - materna e +19% paterna
Rochelau et al., J Pediatr Urol, 2009
Residenza vicino a discariche e
inceneritori
Debole associazione con difetti del tubo neurale e cardiaci, maggiore per schisi
orali e difetti del sistema urinario. Nessuna associazione con peso, nati morti e
sex ratio,
Ashworh et al., Environ Int 2014
Erbicidi, agent orange
Malformazioni + 95% (esposizione in Vietnam si + 200%, no + 29%)
Ngo et al., Int J Epidem 2009
Erbicidi, agent orange
DTN + 102% (esposizione in Vietnam si + 122%, no + 92%)
Ngo et al., Int J Epidem 2006
Occupazione in ospedale, anestetici e
chemioterapici
Risultati non conclusive per abortività spontanea e malformazioni
Quansah & Jaakkola, J Wom Health, 2010
Studio multicentrico europeo che ha coordinato vari studi di coorte di alta qualità. CoAo: coartazioe aortica; DDE: diclorodifenilcdicloroetilene, metabolita del DDT; DTN: difetti
del tubo neurale; SGA: small for gestational age; PCB:policlorobifenili; ToF: tetralogia di Fallot
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Tavola Rotonda
Pierpaolo Mastroiacovo: Allo scopo di ragionare prevalentemente su dati robusti ho esaminato accuratamente tutte le metanalisi disponibili nel campo delle malformazioni congenite e di
altre due condizioni congenite che potrebbero essere comprese
nel continuum biologico del danno ambientale: prematurità e
basso peso neonatale. Ho escluso le metanalisi (numerose) che
valutavano come esito leucemia o tumori infantili, o altre patologie dell’infanzia.
Il quadro che ne emerge è presentato nella tabella. In estrema sintesi si possono proporre le seguenti riflessioni. Molte metanalisi sono
datate, poco utili; per ogni metanalisi dovrebbe essere seguito il criterio suggerito dalla Collaborazione Cochrane; vanno aggiornate o
indicate come non più valide.
A volte le metanalisi sono troppo specifiche, gli autori dovrebbero
almeno suggerire di indagare o metanalizzare anche altri esiti o altre
tipologie di esposizione.
Gli studi che hanno valutato marcatori biologici sono limitati,
abbiamo una sola metanalisi (Govarts et al., Env Health Perspec
2012).
In genere il rischio associato alle sostanze chimiche è di modeste
dimensioni, ma è ovvio che i nostri sforzi debbano essere rivolti ad
evitare l’evitabile e ancora più rilevante è la riflessione che dobbiamo tener presente non solo il rischio relativo (RR) ma anche la
frequenza dell’esposizione, ovvero la frazione attribuibile nella popolazione. Ad esempio consideriamo prematurità e inquinamento
da PM10. Il rischio relativo per gli esposti è di 1,06 (6% di incremento), ma se consideriamo una popolazione di una città in cui il
100% delle gravidanze è esposto, per ogni 10.000 nati invece di
650 prematuri ne avremo 686, ovvero 36 in più dovuti all’inquinamento da PM10.
Il ruolo dell’esposizione paterna non va sottovalutato, si vedano i rischi associati a esposizione paterna lavorativa (ma quanto elevata?
Irripetibile nella popolazione generale?) a pesticidi e solventi (Tab. I).
L’effetto delle varie sostanze chimiche non è limitato alle malformazioni, lo abbiamo già sottolineato.
Infine l’annoso problema: è utile valutare le malformazioni in generale o è meglio specificare il più possibile i vari difetti?
E non ultimo la trascurata attenzione alle anomalie minori.
Fabio Sereni: Bene. Complimenti. Sei stato veramente esaustivo.
Ma non vorrei che tu concludessi senza aggiungere alcune considerazioni sull’ottavo e ultimo punto delle tue riflessioni alla tabella, quello riguardante la “trascurata attenzione alle anomalie
minori”.
Pierpaolo Mastroiacovo: Credo proprio che le malformazioni minori siano un marker di esito da non trascurare.
Mi riferisco a quelle malformazioni che non alterano lo stato di salute di chi ne è portatore, che sono ben note ai genetisti clinici, come
marker di anomalo sviluppo prenatale e come utili segni per indirizzare la diagnosi di sindromi genetiche. Ma la ricerca epidemiologica
le ha trascurate del tutto per una serie di motivi che sarebbe troppo
lungo esaminare in questa sede. Le recenti osservazioni sulla relazione tra interferenti endocrini e anomalie minori, quali la distanza
anogenitale, l’idrocele (Small et al., Environ Health Perspect 2009)
e la lunghezza del pene (El Kholy et al., J Pediatr Endocrinol Metab
2013) suggeriscono che non dovrebbero essere trascurate per la
loro frequenza e per la loro patogenesi, che implica la possibilità di
utilizzare campioni di studio di dimensioni molto più limitate di quelli
necessari negli studi su malformazioni maggiori, e per il minimo costo del rilevamento.
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Inquinamento atmosferico
Francesco Forastiere
Unità di Epidemiologia eziologica e
occupazionale, Dipartimento di Epidemiologia del
Servizio Sanitario Regionale del Lazio, Roma
Fabio Sereni: Ti ringrazio, Pierpaolo. Devo proprio dire che abbiamo
fatto bene a farti parlare per primo, perché, oltre che aver riassunto
egregiamente lo stato attuale delle nostre nozioni in tema di inquinamento e danni al feto (con un riferimento particolare alle malformazioni) hai anche impostato egregiamente il tema generale della
Tavola Rotonda, inquinamento e salute infantile.
A Pierpaolo Mastroiacovo segue Francesco Forastiere, ricercatore
del Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario regionale
della Regione Lazio, noto per i suoi studi sull’inquinamento, in particolare, ed è la ragione per cui l’abbiamo invitato, sugli effetti anche
in età pediatrica dell’inquinamento atmosferico.
Francesco Forastiere: Il mio compito è quello di inquadrare, a grandi linee, lo stato attuale delle conoscenze su “inquinamento e salute
infantile”. Ma, innanzitutto, desidero ringraziare Franca per avere
ricordato la nostra antica collaborazione per quanto stiamo oggi studiando insieme in tema di inquinamento e patologia respiratoria.
Stiamo ora seguendo prospetticamente dalla nascita una coorte di
3.000 bambini (coorte Piccolipiù, www.piccolipiu.it), i più grandi dei
quali ora hanno tre anni, coorte che continueremo a monitorare, per
quanto riguarda la salute, fino a 6 anni. La nostra collaborazione con
i pediatri è stata quindi continua, in tanti anni. E questo è motivo di
soddisfazione.
Nella prima parte della mia relazione vorrei illustrare alcune nozioni
fondamentali sulle particelle inquinanti e sulle nuove tecnologie per
monitorare la loro presenza. Nella seconda parte della mia relazione
riassumerò quanto oggi è noto in tema di inquinamento e patologie
respiratorie infantili.
Ovviamente gli inquinanti ambientali sono molto numerosi (ossidi di
azoto, anidride solforosa, ossido di carbonio, ecc.), ma le particelle
sospese hanno un’importanza particolare perché a esse sono stati
associati gli effetti sanitari più rilevanti. Differiscono notevolmente
in dimensioni. Le dimensioni del particolato dipendono dalle fonti da
cui originano (Fig. 1).
Ma devo ricordare che a parte le differenze di dimensioni (e di origine), la differenza forse più importante è data dalle componenti delle
particelle. L’interesse scientifico attuale è comprendere quali sono,
oltre alla dimensione, le componenti del particolato che hanno significato tossicologico.
Deve essere subito sottolineato che in Italia vi è un’alta variabilità
geografica dei livelli di concentrazione dell’inquinamento da polveri
sospese, come è bene evidenziato dalla Figura 2. Limitandoci alla
concentrazione di PM2.5 e cioè alle particelle patologicamente più
significative, le aree particolarmente critiche sono la pianura padana, le grandi città e le zone industriali.
ESCAPE è uno studio europeo che ha monitorato con metodi uniformi l’inquinamento in diverse città europee studiandone gli effetti
a lungo termine sulla morbosità e sulla mortalità per tutte le cause,
pubblicato sul Lancet lo scorso anno (Pedersen et al., Lancet 2013;
Beelen et al., Lancet 2014).
Ambiente e salute nel bambino
Figura 1.
Dimensioni e origine delle particelle sospese (particolato).
Figura 3.
Concentrazioni di PM 2.5 in città Europee (studio ESCAPE) e limiti fissati
da Environmental Protection Agency e dall’Unione Europea (mod. da
Eeftens M et al., Atmosf Env 2012).
Francesco Forastiere: Finora si è lavorato con dati raccolti dalle
centraline, posizionate in località diverse, e con una affidabilità relativa.
Da alcuni anni (dal 2003) ci possiamo fortunatamente giovare di una
tecnologia più avanzata e avvalerci, quindi, di dati di inquinamento
più affidabili e continui. Un satellite NASA, ogni giorno, tra le 10 e le
11 del mattino, fornisce dati di densità ottica dell’aerosol corrispondenti all’inquinamento atmosferico da particelle. Sono dati di grande
dettaglio, avendo una granularità di un solo chilometro.
La Figura 4 (che mostro come esemplificativa) riporta le immagini
satellitari nell’atmosfera dell’Italia settentrionale e centrale, durante
una settimana lavorativa e un week end dell’agosto 2004. Sono evidenti le differenze. Stiamo lavorando in collaborazione con l’Harvard
University di Boston per trarre significative informazioni da questi
dati.
Figura 2.
Rappresentazione modellistica della concentrazione media annuale di
PM2.5 in Italia, griglia 4*4 Km. Modello MINNI (Modello Integrato Nazionale) (da Zanini et al. 2011).
Questo studio ha documentato, con metodi di accertamento uniformi, l’inquinamento da PM2.5 in numerose città europee. Particolarmente preoccupanti sono i dati rilevati a Torino (Fig. 3) (Eeftens et
al., Atmosf Env 2012).
Franca Rusconi: Sei stato molto esauriente. Non siamo sicuramente messi bene, sia in temi assoluti che relativi alle altre nazioni europee, in tema di inquinamento atmosferico.
Ma avevi promesso di accennare anche alle nuove metodologie di
monitoraggio. Cosa puoi dirci a questo proposito?
Figura 4.
Immagini satellitari della densità ottica dell’atmosfera nell’Italia settentrionale e centrale durante una settimana lavorativa e un weekend
dell’agosto 2004. La risoluzione è di 1 Km.
257
Tavola Rotonda
Tabella I.
Raccomandazioni dell’OMS (Air Quality Guidelines 2005) e standard stabiliti dalla Comunità Europea.
Inquinante
Tempo medio
AQG, OMS
Standard CE
Particolato
PM2.5
PM10
1 anno
24 ore (99° percentile)
1 anno
24 ore (99° percentile)
10 µg/m3
25 µg/m3
20 µg/m3
50 µg/m3
25 µg/m3
-40 µg/m3
50 µg/m3***
Ozono, O3
8 ore, massimo giornaliero
100 µg/m3
120 µg/m3***
Biossido azoto, NO2
1 anno
1 ora
40 µg/m3
200 µg/m3
40 µg/m3
200 µg/m3***
Diossido zolfo, SO2
24 ore
10 minuti
20 µg/m3
500 µg/m3
125 µg/m3***
350 µg/m3*** (1 ora)
Tabella II.
Evidenze scientifiche del nesso causale a breve e a lungo termine tra inquinamento atmosferico e malattie respiratorie e funzione polmonare in
età pediatrica (OMS 2005).
Problematica
Evidenze di un nesso a breve termine
Evidenze di un nesso a lungo termine
Infezioni respiratorie
Sufficienti
+++
Suggestive
++
Asma
Sufficienti
+++
Limitate
+
Funzione polmonare
Sufficienti
+++
Sufficienti
+++
Franca Rusconi: Bene, ci hai molto chiaramente illustrato lo stato
attuale delle metodologie di accertamento dell’inquinamento atmosferico.
Ma una volta acquisiti i dati, quali indicazioni sanitarie possiamo
trarne?
Francesco Forastiere: A fronte dei livelli attuali, accertati, di inquinamento, e sulla base di quanto sappiamo sulla tossicità delle
particelle sospese, vi è una chiara incongruenza tra quanto raccomandato dall’OMS per ridurre in modo significativo gli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico e quanto ammesso dalla Comunità
Europea (e, conseguentemente, dalle singole legislazioni nazionali)
(Tab. I).
Come si può notare la Comunità Europea ammette come possibili concentrazioni di inquinanti significativamente superiori a quelli
suggeriti dall’OMS. Si sperava che nel 2013 l’Unione Europea avrebbe rivisto questi limiti di concentrazione, ma ciò non è avvenuto. È
particolarmente grave il valore significativamente più alto di PM2.5
(25 µg/m3 per l’Unione Europea rispetto a 10 µg/m3 per l’OMS). Il
risultato pratico di ciò è paradossale: il medico consiglia al cittadino
di non fumare, quando la regolamentazione europea gli concede 10
sigarette al giorno!
termine, relativi sia a frequenza di infezioni respiratorie, all’aggravamento dell’asma bronchiale e alla funzionalità respiratoria. A lungo termine, solo per la funzionalità respiratoria non vi sono dubbi,
mentre l’evidenza per l’asma è limitata e l’associazione causale con
infezioni respiratorie solo possibile.
Mi piace chiudere questo mio intervento citando i risultati di una
ricerca italiana pubblicati nel 2014 (Ranzi et al., Occup Environm
Med 2014). Si è trattato di uno studio prospettico, longitudinale con
controlli a 6 mesi, 15 mesi, 4 anni e 7 anni di un numero limitato di
bambini. Si è valutata la prevalenza e la incidenza dell’asma, dello wheezing, della dispnea e della tosse. Abbiamo constatato una
chiara tendenza a un aumento di questi parametri, ma i risultati,
tranne che in un singolo caso, sono statisticamente non significativi.
Occorrono senza dubbio studi più estesi.
Inquinamento e sviluppo cognitivo
Jordi Sunyer
Centre for Research in Environmental
Epidemiology (CREAL), Barcelona
Franca Rusconi: Molte grazie, ma ti abbiamo qui chiamato anche
per fare il punto su “inquinamento e patologia respiratoria nell’infanzia”. Cosa ci dici a proposito?
Francesco Forastiere: Sono perfettamente d’accordo con Pierpaolo
Mastroiacovo. Non è utile citare singoli lavori, ma è molto più significativo una valutazione critica della letteratura recente.
A questo proposito ho preparato una tabella (Tab. II) da cui si può
desumere che non vi è dubbio che vi siano effetti dannosi a breve
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Franca Rusconi: I due primi ottimi interventi, di Pierpaolo Mastroiacovo e di Francesco Forastiere, oltre a puntualizzare le attuali
conoscenze sulla rilevanza dell’inquinamento atmosferico nella patogenesi di importanti patologie infantili, hanno anche molto bene
chiarito gli attuali limiti metodologici, e informato sulle moderne
tecnologie che permetteranno, in un futuro prossimo, conoscenze
Ambiente e salute nel bambino
sempre più approfondite. Sono state quindi, queste relazioni, anche
un’opportuna premessa culturale e conoscitiva alle relazioni che seguiranno.
Il prossimo intervento è di Jordi Sunyer, uno dei Direttori scientifici del CREAL (Centre de Recerca en Epidemiologia Ambiental), ben
noto centro di ricerche epidemiologiche relative all’ambiente di Barcellona.
Ho conosciuto Jordi Sunyer molti anni orsono, allorché si occupava
soprattutto di ambiente e patologia respiratoria, ma ben ricordo che
fin da allora esprimeva l’intenzione di iniziare ricerche su patologie
diverse e per molti aspetti più rilevanti, come quelle relative allo
sviluppo neurocognitivo. Questo è accaduto, e con grande successo.
Anche per questo sono molto lieta di dargli la parola.
Jordi Sunyer: Ringrazio per l’invito. Ho rapporti molto stretti con
l’epidemiologia Italiana, e con l’Istituto Superiore di Sanità, e anche
per questo sono lieto di essere qui, questa mattina.
Vorrei iniziare con alcune informazioni “fondamentali”. Francesco
Forastiere vi ha già schematicamente spiegato quali sono i molti
inquinanti dell’atmosfera, la diversa dimensione del “particolato”, le
sostanze chimiche che sono state accertate essere particolarmente
tossiche, e per le quali la barriera ematoencefalica non è protettiva.
Su questi punti, quindi, non mi soffermerò.
Iniziamo solo ora ad avere sicure evidenze sulle diverse modalità patogenetiche del danno da inquinamento al sistema nervoso centrale,
derivanti per lo più da ricerche sull’animale da esperimento. Io credo
si possa ragionevolmente sostenere che il possibile danno si realizzi
attraverso una attivazione della microglia, con neuroinfiammazione,
stress ossidativo e aggregazione proteica. Il maggior colpevole a livello di inquinamento atmosferico è il particolato ultrasottile (PM0.1,
< 0,1 mm) che si deposita negli alveoli e può dare inizio ad una
cascata infiammatoria, alterando il livello delle citochine circolanti
(TNF-a e IL-1) che possono agire su un potente mediatore dell’infiammazione (CPX-2) nell’endotelio cerebrale; alternativamente le
particelle possono essere trasportate direttamente al cervello attraverso le vie olfattive e attivare qui i meccanismi infiammatori. Non
posso a questo punto, non citare il fantastico lavoro di una ricercatrice messicana che ha documentato non solo su animali (cani),
ma anche su materiale autoptico di bambini, l’accumulo abnorme
di amiloide nell’encefalo assieme a note di infiammazione perivascolare, da attribuire direttamente all’inquinamento atmosferico
(Calderón-Garcidueñas et al., BioMed Research International 2013).
Le due tabelle di questa prima parte della mia relazione riassumono
quelle che a mio parere sono le principali basi cognitive del danno
celebrale da inquinamento.
Nella prima sono elencate una serie di meccanismi attraverso i quali il particolato atmosferico può indurre danno celebrale in modelli
animali (Tab. I), la seconda elenca 10 sostanze sicuramente neurotossiche riscontrabili in atmosfere inquinate (Tab. II), così come
risultano da due pubblicazioni su Lancet (Grandjean & Landrigan,
Lancet 2006; Grandjean & Landrigan, Lancet Neurology 2012).
Franca Rusconi: Grazie Jordi, hai finora ottimamente inquadrato la
patogenesi del danno celebrale da inquinamento, citando una serie
di lavori recenti a questo riguardo.
Immagino che la seconda parte della tua relazione sarà dedicata
alle evidenze cliniche. Siamo ansiosi di conoscerle. Ce le puoi riassumere?
Jordi Sunyer: Lo farò, con piacere, descrivendo per sommi capi due
nostre ricerche che considero molto indicative.
Tabella I.
Meccanismi attraverso cui il particolato atmosferico può indurre danno cerebrale in modelli animali.
• Traslocazione diretta (Elder 2006, Yokota 2011)
• Integrità della barriera (Pöss 2013, Oppenheim 2013, Heiday 2014)
• Attivazione della microglia (Levesque 2011, Pöss 2013, Oppenheim 2013,
Heiday 2014)
• Infiammazione cerebrale (Campbell 2005, 2009, Kleinman 2008, van Berlo
2010, Gerlofs-Nijland 2010, Levesque 2011, Fonken 2011)
• Neurotossicità dopaminergica (Curtis 2010, Levesque 2013)
• Disfunzione glutaminergica neuronale (Morgan 2011, Davis2013, CorySlechta 2014)
• Alterazioni della memoria (Zanchi 2010, Forben 2011, Yokota 2011)
Tabella II.
Sostanze per cui è documentato un danno neurotossico.
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Piombo
Metilmercurio
Policlorobifenili
Arsenico
Toluene
Manganese
Fluoruro
Tetracloroetilene
Clorpirifos
DDT-DDE
Polibromodifenileteri (PBDE)
La prima è una ricerca prospettica in 5 diverse località spagnole
su 2.644 gravidanze i cui bambini sono stati seguiti fino a 24 mesi,
con dati sull’esposizione a inquinamento atmosferico a partire dalla gravidanza e sviluppo neuropsicologico, riguardante circa 2.000
bambini.
I dati raccolti ci permettono di affermare che se la madre gravida
vive in un ambiente inquinato lo sviluppo neurologico del bambino
è ritardato.
In particolare abbiamo riscontrato un associazione tra le esposizioni
delle madri gravide a idrocarburi (benzene) e alterato sviluppo neuropsicologico del prodotto del concepimento, con anche un probabile rilievo della dieta che la madre assume sulla entità del ritardo
dello sviluppo neuropsicologico. Infatti si è osservato un maggior
danno da inquinamento per una scarsa assunzione nella dieta materna di cibi con attività antiossidante (frutta, vegetali).
Questi dati sono stati confermati da altri studi, in Cina, ma anche
negli Usa.
Francesco Forastiere vi ha già citato lo studio ESCAPE. Noi abbiamo
usato lo stesso protocollo, aggiungendo al progetto iniziale altre località spagnole, con l’intento di documentare un eventuale effetto
dannoso da inquinamento atmosferico anche sullo sviluppo neuromotorio, a partire dalla gravidanza. I risultati che abbiamo ottenuto
non sono stati significativi per lo sviluppo cognitivo, probabilmente
per metodologie di accertamento non uniformi, anche se abbiamo
osservato un trend per un effetto negativo. L’esposizione a NO2
(traffico veicolare) era associata con un ritardo dello sviluppo psicomotorio (Guxens, Epidemiology 2014).
Vorrei concludere questa relazione riassumendo brevemente i risultati di una nostra recente ricerca sulle scuole di Barcellona (Rivas,
I Environm Int 2014), intesa ad accertare se l’inquinamento atmosferico possa provocare un effetto negativo sull’attività cognitiva
259
Tavola Rotonda
(attenzione, memoria) e anche indurre problemi comportamentali,
degli scolari. Abbiamo anche studiato alcuni aspetti della funzionalità celebrale con la risonanza magnetica funzionale.
La ricerca è stata effettuata in 39 scuole, per un totale di 2.878 scolari, ognuno dei quali è stato esaminato clinicamente 4 volte. Sono
state eseguite 298 risonanze magnetiche.
Nei bambini che frequentavano scuole con elevati livelli elevati di
inquinamento (interno ed esterno) abbiamo riscontrato dati significativamente peggiori di “working memory” e di “executive attention”. È stata anche riscontrata una maggiore incidenza di problemi
comportamentali. Le particelle originate dal traffico (ma non quelle
minerali) si sono dimostrate responsabili degli effetti dannosi.
Inquinamento e tumori infantili
Corrado Magnani
Dipartimento di Medicina Traslazionale Università
del Piemonte Orientale, Novara; AIRTUM
Franca Rusconi: Ho ora il piacere di presentare Corrado Magnani
che ci parlerà delle conoscenze attuali in tema di esposizioni ambientali e tumori infantili. Corrado Magnani che insegna all’Università del Piemonte Orientale è autore nel Rapporto AIRTUM-AIEOP 2012
sui Tumori infantili (Epidemiologia e Prevenzione 2013) di un capitolo su “Le cause e i fattori di rischio delle neoplasie pediatriche”.
Corrado Magnani: Due brevissime premesse. Una trattazione,
seppure sintetica, sull’associazione tra ambiente e tumore infantile
deve essere impostata con una accezione molto ampia. Non solo
tumore e inquinamento ambientale, ma tutto ciò che, dall’ambiente
esterno, può esercitare azione dannosa, come il fumo passivo, radiazioni e altro. Il secondo punto è relativo al problema, molto delicato, degli strumenti usati per la valutazione e l’analisi epidemiologica.
Innanzitutto sono necessari studi di coorti di dimensioni adeguate
oppure studi caso controllo di grandi dimensioni, per avere numeri
sufficienti. I registri dei tumori forniscono informazioni preziose sulla
frequenza delle malattie, ma di solito non includono informazioni sui
fattori confondenti la relazione tra esposizione e sviluppo di tumore.
Vorrei innanzitutto fornire alcuni dati “preliminari”. Ogni anno l’incidenza dei tumori infantili (età 0-14 anni) nei Paesi europei varia da
130 a 150 casi per milione. L’Italia è, con la Finlandia, uno dei paesi
in cui l’incidenza è maggiore. In alcuni paesi, tra cui gli USA, si è
registrato negli ultimi anni un aumento della incidenza, pari a circa
l’1% all’anno.
In Italia è stato osservato un trend di aumento della frequenza di tumori infantili negli anni 1988-2002 (Rapporto I Tumori in Italia 2008)
ma non si è più osservato nel periodo successivo con dati fino al
2008, quando invece si è osservato un trend di riduzione dell’incidenza (I Tumori in Italia. I tumori dei bambini e degli adolescenti
Rapporto AIRTUM 2012) (http://www.registri-tumori.it/cms/it/pubblicazioniAIRTUM. http://www.registri-tumori.it/PDF/AIRTUM2012/
EP37_1_s1_175_1-6.pdf). L’interpretazione dei trend in generale
e soprattutto di discordanze tra periodi successivi è complessa e
incerta, tanto più che si tratta di statistiche basate su numeri relativamente piccoli, pertanto con elevata variabilità casuale.
Per venire al tema di questo Convegno, da un lato dobbiamo ricordare che le evidenze certe sui fattori di rischio per i tumori infantili
260
sono limitate e pochi agenti, in particolare radiazioni ionizzanti e uso
di dietilstilbestrolo durante la gravidanza. Peraltro molte esposizioni,
anche a fattori presenti nell’ambiente, sono state studiate in relazione alla possibile associazione con tumori infantili. Vorrei a questo
proposito citare alcuni esempi.
La relazione tra la variazione del rischio di leucemia infantile in relazione all’interazione con agenti infettivi. Si tratta di ipotesi di ricerca
stimolate dallo studio dei clusters di leucemia infantile, in particolare
a partire dal cluster di Sellafield. Due sono le principali linee di ricerca: la prima sostenuta da Kinlen ipotizza che la leucemia infantile sia
associata ad agenti infettivi e che il rischio aumenti in ‘popolazioni
isolate’ e quindi con bassa immunità di gruppo quando vengono in
contatto con l’agente infettivo. L’ipotesi di Kinlen ha avuto supporto
dall’osservazione epidemiologica ma non è stato ancora identificato l’agente eziologico. L’ipotesi di Greaves sostiene che lo sviluppo
della leucemia infantile avvenga in seguito a eventi, di cui il primo
è una mutazione genetica che avviene nel periodo prenatale ed il
secondo è la promozione dello sviluppo del clone cellulare mutato, in
seguito a una risposta anomala del sistema immunitario a stimoli da
infezioni non specifiche. A sostegno dell’ipotesi di Greaves sono in
particolare l’osservazione di cloni cellulari mutati in prelievi ematici
di neonati e l’evidenza epidemiologica di un aumento del rischio di
leucemia tra i bambini cha hanno avuto esposizione tardiva a stimoli
infettivi.
L’esposizione ambientale a radiazioni ionizzanti. Tralasciando gli effetti delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki, l’esempio
più eclatante negli anni recenti è costituito dall’epidemia di tumori
tiroidei in Bielorussia, conseguente all’incidente nucleare di Chernobil. In Italia non vi è un problema da esposizione ambientale a iodio
131, ma vi è aperto il problema dei possibili effetti dannosi delle
radiazioni gamma e del radon di origine ambientale, per cui sono
opportuni approfondimenti.
Infine, negli ultimi anni si sono accumulati dati significativi sull’importanza nella carcinogenesi dell’esposizione al fumo di tabacco, a
solventi e a pesticidi. Il fumo di tabacco è un noto cancerogeno e
nelle categorie dei solventi e dei pesticidi sono incluse sostanze con
noti o sospetti effetti cancerogeni.
Inoltre, quando si discute di incidenza di tumori infantili e della loro
causa, non ci si deve limitare a considerare esclusivamente la vita
extrauterina, ma si deve anche considerare la possibilità di un danno
esercitato nel corso della vita endouterina e anche ancor prima del
concepimento.
È opportuno quindi dedicare alcuni minuti di questa esposizione ai
fattori prenatali come cause di tumori infantili.
A questo proposito vorrei citare la ricerca di Miligi et al. (Occup Environ Med 2013) che hanno analizzato i dati dello studio SETIL che
hanno riportato un aumento statisticamente significativo del rischio
di leucemia in bambini nati da madri esposte, durante la gravidanza
a solventi, aromatici e alifatici. Sono studi molto difficili da compiere,
occorrono protocolli ad hoc, personale esperto, anamnesi molto dettagliate. Perché la ricerca sia valida occorre che l’anamnesi includa
dati sulla specificità dei solventi usati, sui tempi e sulle modalità di
lavoro. Si tratta di esposizioni relativamente frequenti, ad esempio
nello studio SETIL risultano essere stati esposti a solventi l’8% delle
madri e il 18% dei padri dei soggetti di controllo (popolazione generale).
Un’altra possibile causa ambientale di aumentato rischio di tumori
infantili, è costituita dall’esposizione, in particolare nel periodo prenatale, a pesticidi. Vorrei citare un lavoro di metanalisi (Vinson et
al., Occup Environm Med 2011) che ha documentato in studi casocontrollo un aumento del rischio di leucemia e linfoma in bambini
Ambiente e salute nel bambino
le cui madri erano state esposte prima della nascita e un aumento
di tumori cerebrali per esposizione prenatale paterna. È un campo
ancora molto aperto. Ricerche future dovranno chiarire quali pesticidi sono coinvolti in particolare. Oggi questi studi si avvalgono delle
competenze di igiene industriale. Un igienista industriale esperto è
in grado di stimare la presenza, nei luoghi di lavoro, degli agenti
chimici, ad esempio solventi, in uso per le lavorazioni. Per il futuro
occorrerà raggiungere la stessa competenza per i pesticidi usati in
agricoltura, rapportati alle tipologie delle coltivazioni, alle modalità e
al luogo di lavorazione, ai tempi di esposizione, ecc.
Per concludere, i dati che attualmente abbiamo concernenti il grande tema relativo ad ambiente e tumori infantili sono molto scarsi. Ma
le ricerche in corso sono promettenti. Mi piace concludere citando
la ricerca internazionale, attuale, su questo tema condotta dal Consorzio Internazionale per le Leucemie Infantili, iniziata sotto la guida
della Professoressa Pat Buffler, purtroppo mancata l’anno scorso
(Metayer et al., 2013).
Siti inquinati e salute infantile
Ivano Iavarone
Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria,
Istituto Superiore di Sanità (Roma) e WHO
Collaborating Centre for Environmental Health in
Contaminated Sites
Franca Rusconi: Abbiamo la fortuna di avere qui con noi, oggi,
Ivano Iavarone. Per chi non fosse a conoscenza, il dottor Iavarone
lavora all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), ed è responsabile di una
serie di iniziative tese a monitorare la salute, anche infantile, in una
numerosa serie di siti, caratterizzati, in Italia, da elevato inquinamento ambientale.
A Ivano Iavarone chiedo innanzitutto: dopo aver inteso quanto è stato
accertato sugli effetti dannosi alla salute infantile dell’inquinamento,
ci puoi assicurare che questo grosso problema di salute pubblica è
preso in adeguata considerazione dalle autorità sanitarie?
Ivano Iavarone: Credo proprio di poter rispondere affermativamente.
La protezione della salute infantile dall’inquinamento ambientale è
una priorità di sanità pubblica.
Il piano Globale di Azione sul tema Ambiente e Salute nell’infanzia
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per il 2010-2015 (http://
www.who.int/ceh/en/) evidenzia che l’urbanizzazione incontrollata,
le nuove tecnologie, l’industrializzazione nei paesi in via di sviluppo, il
degrado degli ecosistemi e gli impatti del cambiamento climatico rappresentano condizioni emergenti di rischio per la salute infantile (http://
who.int/ceh/en/). Le conclusioni della Quinta Conferenza Ministeriale
Ambiente e Salute indicano la necessità di garantire pari opportunità a
ciascun bambino di poter disporre entro il 2020 di acqua sicura, dieta
sana, migliore qualità dell’aria e un ambiente privo di sostanze chimiche
tossiche (www.euro.int/parma2010). Coerentemente con queste indicazioni il Piano Sanitario Nazionale 2011-13 sottolinea che la salute delle
fasce più vulnerabili della popolazione deve costituire un obiettivo privilegiato su cui fondare le misure di prevenzione e di gestione dei rischi in
tutti gli ambiti considerati (http://www.salute.gov.it/).
Che all’interno della doverosa attenzione della salute nei siti inquinati ci debba essere particolare attenzione per l’infanzia, è, a mio
parere, fuori discussione.
Rispetto agli adulti, i bambini sperimentano livelli più elevati di
esposizione agli inquinanti ambientali e presentano una maggiore
vulnerabilità agli effetti di tali esposizioni a causa di caratteristiche
comportamentali, fisiologiche e correlate all’immaturità di organi e
apparati specifica dell’età infantile. Inoltre, i bambini non sono in
grado di adottare stili di vita opportuni ad evitare i rischi associati
all’esposizione ad inquinanti presenti nell’ambiente. L’esposizione
ad acqua, aria, suolo e cibo contaminati può causare malattie gastrointestinali e respiratorie, difetti congeniti e disordini dello sviluppo neurologico, responsabili di circa 1/6 del carico totale di patologie
infantili (www.euro.who.int/parma2010).
Franca Rusconi: Le intenzioni sono quindi buone. Ma come epidemiologo ci puoi comunicare alcuni risultati delle ricerche che da
tempo state conducendo all’Istituto Superiore di Sanità, sulla salute,
in Italia, nei siti inquinati?
Ivano Iavarone: In totale, in Italia 5,5 milioni di persone, comprendenti circa un milione di bambini e giovani sotto i 20 anni, risiedono
nei 44 siti di interesse nazionale per le bonifiche (SIN) studiati nel
progetto “Sentieri”, e tra questi circa il 60% appartengono ai gruppi
socioeconomici più svantaggiati.
L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è in prima linea sul tema della
promozione della salute infantile nelle aree contaminate. Un approfondimento dello studio SENTIERI, coordinato dall’ISS, relativo al
periodo 1995-2009 (http://www.registri-tumori.it/cms/it/Rapp2012)
ha evidenziato alcune criticità per i bambini: sul totale dei 44 SIN, nel
primo anno di vita, sono stati registrati eccessi del 4% e del 5% rispettivamente per la mortalità generale e per le condizioni morbose
perinatali. In 8 dei 44 SIN (18%) la mortalità generale è in eccesso
nel primo anno di vita, e in 11 SIN (25%) un eccesso di mortalità è
presente in almeno una delle fasce considerate per l’età infantile
(0-1 anno; 0-14 anni e 0-19 anni). L’aumento del numero di decessi
tra i bambini registrato nelle 44 aree SIN è un “evento sentinella”
che indica la necessità di indagini più approfondite, quali ad esempio l’analisi dell’incidenza dei tumori infantili.
A tal riguardo, attraverso lo studio collaborativo tra ISS ed Airtum
(Associazione Italiana dei Registri Tumori) è stato possibile avere
una prima stima dell’incidenza dei tumori infantili nel complesso dei
23 SIN coperti da Registri Tumori. I dati, presentati nell’ambito della
XVIII Riunione Annuale AIRTUM (Taranto, 9-11 aprile 2014 – http://
www.registri-tumori.it/cms/it/node/2892) mostrano che in 10 anni
(1996-2005) nei 23 SIN, ci sono stati 1127 casi di tumori maligni in
età 0-24 anni, di cui 51 casi nel primo anno di vita, 451 in età pediatrica (0-14 anni), 234 tra gli adolescenti (15-19anni) e 442 in età
giovanile (20-24 anni). I dati mostrano una distribuzione eterogenea
ed è opportuno approfondire le analisi della distribuzione temporale
del rischio per sede del tumore e per SIN.
Franca Rusconi:
Hai citato dati riguardanti soprattutto la mortalità e l’incidenza di tumori infantili. Ma, per completare la tua esposizione puoi informarci
anche su altri dati che state raccogliendo, che riguardano l’incidenza di altre patologie nei bambini che abitano nei siti inquinati?
Ivano Iavarone: Il tema della salute infantile nei siti contaminati è affrontato, per la prima volta, in modo sistematico da una
proposta progettuale dell’ISS denominata “SENTIERI KIDS”
( h t t p : / / w w w. e p i p r e v. i t / p u b b l i c a z i o n e / e p i d e m i o l - p r e v 2014-38-2-suppl-1). Il Progetto propone la creazione di un osservatorio permanente per monitorare lo stato di salute dei bambini
che risiedono nelle aree contaminate, grazie ad un gruppo di lavoro
multi-istituzionale che considera una gamma di indicatori sanitari
261
Tavola Rotonda
quali la mortalità, l’incidenza dei tumori, i dati dei ricoveri ospedalieri
e dei certificati di assistenza al parto. Particolare attenzione viene
rivolta agli aspetti della comunicazione degli elementi conoscitivi, a
supporto della pianificazione di attività di prevenzione primaria e di
promozione della salute dei bambini, coerentemente con gli impegni
stabiliti nell’ultima Conferenza Ministeriale Europea su Ambiente e
Salute per l’infanzia.
Tutte queste attività vengono proposte dall’ISS, presso il quale ha
sede l’unico Centro Collaborativo OMS su Ambiente e Salute nei Siti
Contaminati (http://www.iss.it/chis/). Il proseguimento delle attività
di monitoraggio della salute infantile nei SIN dipende però fortemente dalla possibilità che SENTIERI KIDS riceva finanziamenti ad hoc,
cosa che purtroppo fino ad oggi non è avvenuta.
Ma sono in grado, fin da ora, di anticipare alcune linee guida per
l’attività futura, Innanzitutto dovrà proseguire il nostro impegno e
uno studio più approfondito sull’incidenza dei tumori infantili. Dobbiamo però anche colmare deficit di informazioni riguardanti il ruolo
dell’ambiente nell’insorgenza di altre malattie rare e (o) complesse,
come sono ad esempio le malformazioni; dobbiamo iniziare a valutare, soprattutto in presenza di esposizioni a numerose sostanze di
interesse tossicologico (che nei siti contaminati è spesso la regola),
quali specifici contaminanti siano causa o concausa dell’aumento
di rischio di determinate malattie infantili. A tal fine, è necessario
approfondire le conoscenze sui meccanismi biologici alla base delle patologie dell’infanzia e valutare adeguatamente le interazioni
gene-ambiente nella formulazione di specifiche ipotesi eziologiche.
Vorrei infine dire che appare necessaria (e urgente) una strategia
della comunicazione e dell’informazione più tempestiva e completa.
A tal riguardo, anticipo che a breve verrà pubblicata sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità una relazione che riguarda un aggiornamento dello studio SENTIERI per la cosiddetta “Terra dei fuochi” e per
il SIN di Taranto (http://www.iss.it/pres/?lang=1&id=1432&tipo=6).
Questa relazione, che è il frutto di incarichi istituzionali affidati
all’ISS, presenterà un’analisi del profilo sanitario degli adulti e dei
bambini che risiedono in queste aree contaminate.
Inquinamento e alterazioni
del programming fetale
Ernesto Burgio
Comitato Scientifico ISDE
(International Society of Doctors for Environment)
Fabio Sereni: Ti ringrazio Iavarone per la tua completa esposizione.
Io credo che il messaggio finale con cui hai chiuso la tua relazione,
e cioè la necessità che sia significativamente potenziata la informazione affinché sia possibile una prevenzione efficace, sia stato molto
importante.
La parola ora a Ernesto Burgio che tratterà un tema trasversale cui
hanno già accennato alcuni precedenti relatori, e cioè il ruolo dell’inquinamento sulla programmazione fetale.
Ernesto Burgio: Farò del mio meglio, nei dieci minuti che mi sono
stati concessi, non sarà semplice illustrare alcune slide che ho preparato e che sono piuttosto complesse. In genere si dice che una
slide dovrebbe essere chiara, semplice e lineare. Quelle che pro-
262
ietterò sono esattamente il contrario, ma sono necessarie per far
comprendere il mio punto di vista.
Da alcuni anni io lavoro nell’ambito di ECERI, un Istituto di ricerca
sul cancro che ha sede a Bruxelles, cercando di mettere a fuoco i
meccanismi patogenetici per cui l’origine di molte patologie (e in
primis del cancro) dovrebbe essere cercata in modo assai diverso
da come si è fatto finora.
Sostanzialmente proporrò sette parole chiave (Fig. 1) necessarie a
capire che stiamo vivendo una trasformazione epidemiologica di
grande portata e, in larga misura, inattesa.
Vorrei a questo proposito proporre alcuni dati indicativi.
Secondo il CDC di Atlanta i bambini con autismo (o disturbi dello
spettro autistico) sono passati negli USA da 1:1500 (anni ’70-’80) a
1:70 circa, e 1:6 bambini soffrirebbero oggi di patologie del neurosviluppo. Anche le malattie neurodegenerative stanno aumentando
in modo drammatico e sembrerebbero riconoscere un meccanismo
patogenetico per certi versi comune. A questo proposito ringrazio Sunyer che ha citato gli studi epidemiologi condotti a Città del
Messico, che hanno documentato la presenza di depositi abnormi
di beta-amiloide nel lobo frontale e nell’ippocampo di giovani morti per causa accidentale (quindi fondamentalmente sani) secondari
all’inquinamento. (Calderón-Garcidueñas et al., Toxicol Pathol 2002;
Calderón-Garcidueñas et al., Toxicol Pathol. 2007). E a conferma ricorderei anche gli studi sperimentali condotti su scimmiette esposte
a inquinamento da metalli in gravidanza, la cui prole si è ammalata
di Malattia di Alzheimer (Wu et al., J Neurosci 2008).
Vorrei anche ricordare i dati, molto indicativi, di aumento di incidenza e prevalenza di obesità e diabete di tipo 2. Circa un terzo degli
abitanti in USA è oggi patologicamente obeso e anche in questo
caso si è passati da tassi di prevalenza del 10-12% al 35% in meno
di 30 anni. E l’aumento più preoccupante riguarda anche in questo
caso i bambini (Wang et al., Int J Pediatr Obes 2006).
Vi è poi il capitolo dei tumori infantili. Gli studi epidemiologici sono
significativi, soprattutto se letti in modo diverso e appropriato (il
vecchio modello delle mutazioni stocastiche del DNA che si accumulano nel tempo, evidentemente non è in grado di spiegare
questi dati). Da venticinque anni a questa parte un grande studio
epidemiologico condotto dalla IARC sui registri tumori di tutt’Europa (69 registri di tumori in Europa per un totale di oltre 150.000 tumori infantili) ha documentato un aumento generale dell’incidenza
dei tumori infantili dell’1% all’anno. Ma il dato più significativo è
che l’incidenza dei tumori insorti nel primo anno di età è cresciuta
del doppio (e in Italia addirittura del triplo) (Steliarova-Foucher E et
al., Eur J Cancer 2006; Rapporto AIRTUM 2008, Epidemiologia &
Prevenzione 2008) 1.
Il cancro non è quindi oggi soltanto una malattia prevalente nell’anziano, ma sta aumentando di incidenza anche nei giovani e nei bambini. Inoltre si registra un incremento preoccupante di neoplasie che
non erano, in precedenza, appannaggio dell’infanzia, come linfomi e
rabdomiosarcomi (Burgio, Epidemiol Prev 2013).
Da questi dati appare chiaro che i fattori patogenetici ambientali, da
esposizione transplacentare e gametica (transgenerazionale), hanno
un peso sempre maggiore nell’aumento dell’incidenza dei tumori
infantili e che è sempre di più in discussione lo stesso modello dominante di cancerogenesi tuttora basato sulla teoria dell’accumulo
Nota dei curatori della Tavola Rotonda: Magnani nella sua relazione cita come un
aumento dell’incidenza di tumori infantili sia stato documentato nel rapporto AIRTUM 2008 , ma non nel successivo rapporto 2012 , quando è stata documentata
una diminuzione dell’incidenza.
1
Ambiente e salute nel bambino
Figura 1.
La transizione epidemiologica del XX secolo: dalla genetica all’epigenetica.
progressivo di mutazioni stocastiche del DNA. (Burgio & Migliore, Mol
Biol Rep 2014).
Nel 1997 il grande biologo molecolare Richard Strohmann ha pubblicato, su Nature Biotechnology, un articolo che per molti di noi
è stato un fulmine a ciel sereno. Ha ammonito: lo schema tradizionale che determina il fenotipo non può e non deve essere più
considerato quello lineare DNA-RNA-PROTEINA; dovremmo cercare di immaginare un network molecolare molto più complesso, costituito da reti epigenetiche in grado di intercettare e processare le
informazioni provenienti dall’esterno della cellula e di rispondere
di conseguenza. Ciò significa, in ultima analisi, che l’ambiente ha
un importanza fondamentale del definire il fenotipo. In altre parole
il DNA non deve essere più considerato l’essenza del genoma. I
meccanismi epigenetici sono i meccanismi attraverso cui le informazioni che vengono dall’esterno (in specie nel corso dell’ontogenesi embrio-fetale) vengono tradotte in fenotipo. Questo significa che tutte le trasformazioni stabili del nostro fenotipo, tanto
in ambito fisiologico che patologico, sono indotte da informazioni
provenienti dall’ambiente, modulate dall’epigenoma e condizionate dalla sequenza del DNA (id est: che non c’è patologia che non
sia al contempo ambientale e genetica).
L’epigenetica non è quindi unicamente lo studio delle modificazioni dell’espressione del DNA indotte da fattori esterni, come viene
comunemente affermato. Ma anche e soprattutto dei meccanismi
per cui si stabiliscono modificazioni stabili del genoma e quindi del
fenotipo, soprattutto nel corso delle prime fasi dello sviluppo ontogenetico (Gluckman et al., Early Hum Dev 2005). Alcune di queste
modifiche coinvolgono i gameti e possono esser trasmesse da una
generazione all’altra (trasmissione “transgenerazionale”) (Skinner,
Mol Cell Endocrinol 2014). I meccanismi epigenetici condizionano
dunque profondamente l’ontogenesi: si pensi a come può essere influenzata la sinaptogenesi, le cui alterazioni sembrerebbero essere
all’origine dell’autismo e degli altri disturbi del neurosviluppo, che
abbiamo visto in grande aumento (Lyall et al., Int J Epidemiol 2014).
A questo punto potremmo addirittura affermare che il vero pro-
gramma genetico individuale è quello che si forma nei mesi della
vita fetale ed è profondamente condizionato da fattori esterni, e
non solo quello, dipendente dal DNA originale, formatosi al momento del concepimento. In altre parole vi è il DNA, quasi identico in individui diversi, prodotto nel corso della filogenesi. Ma vi
è anche il programma epigenetico che si forma nei 9 mesi di vita
embrio-fetale in modo attivo, reattivo, adattativo e potenzialmente predittivo. La gran parte delle malattie croniche, degenerative,
tumorali, e anche infiammatorie, la cui incidenza sta aumentando
in tutto il mondo, sono con tutta probabilità conseguenza dei processi adattativi epigenetici. O, per meglio dire, di un mismatch tra
questo programma epigenetico e un ambiente che cambia troppo
in fretta (Gluckman, Hanson. The conceptual basis for the developmental origins of health and disease. In: Gluckman e Hanson,
ed. Developmental origins of health and disease. Cambridge: Cambridge University Press 2006).
Non basta quindi studiare “l’esposoma”: non sono solo i fattori inquinanti a influire sulla programmazione in utero del DNA. È vero
che campi elettromagnetici o molecole inquinanti come ad esempio
gli interferenti endocrini, agiscono soprattutto in questo periodo (con
effetti che si vedranno solo nel medio lungo termine ed anche o soprattutto da una generazione all’altra). Ma anche lo stress maternofetale e la nutrizione materna svolgono un ruolo importante. Gli studi
epidemiologici tradizionali, quindi, non possono che svelare la punta
dell’iceberg (le patologie conseguenti a esposizione diretta a fattori
epigenotossici e genotossici). Se è vero che le principali modifiche
epigenetiche e programmatiche da fattori esterni avvengono nel
corso della vita embrio-fetale o addirittura nei gameti, è evidente
che le principali conseguenze si vedranno dopo decenni o addirittura
nelle generazioni successive: secondo quella che oggi viene definita
Teoria delle Origini Fetali delle Malattie dell’Adulto (Fig. 2). Ed è evidente che gli attuali metodi di studio e valutazione del rischio e del
danno (epidemiologici e tossicologici) dovranno tenere sempre più
conto di questo cambio di paradigma (Gluckman et al., Early Hum
Dev 2005).
263
Tavola Rotonda
Figura 2.
Finestra temporale di suscettibilità per alcune patologie (DOHAD: Developmental Origins of Health and Disease).
Inquinamento e interferenti
endocrini
Sergio Bernasconi
Clinica Pediatrica, Università di Parma
Fabio Sereni: La parola ora a Sergio Bernasconi, dell’Università di
Parma, a voi tutti ben noto come endocrinologo pediatra di chiara
fama, che ci parlerà di un altro, recente, importantissimo capitolo
relativo agli inquinanti, e cioè quello degli interferenti endocrini.
Sergio Bernasconi: 2 Vorrei iniziare con la definizione di interferenti
endocrini o endocrine disruptors (EDs).
Il Comitato Scientifico dell’EFSA (l’Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) ha recentemente suggerito di definire EDs tutte quelle sostanze in grado di possedere un’attività endocrina e di determinare
un effetto collaterale negativo a livello di un singolo organismo sano
o di una sottopopolazione di individui; inoltre è necessario che vi sia
una plausibile correlazione tra questi due aspetti (EFSA Journal 2013).
Gli interferenti endocrini sono ubiquitari, essendo presenti in pesticidi, prodotti per la pulizia della casa e per quella personale, oggetti
di plastica, vernici, apparecchiature sanitarie, polveri. Attualmente
Con la collaborazione del dott. Roberto Caragnulo, Clinica pediatrica, Università di
Parma.
2
264
sono state identificate più di 800 sostanze chimiche che possono
rientrare in questa categoria ma quelle studiate sono molto poche e
va inoltre ricordato che, nei soli Stati Uniti, arrivano sul mercato ogni
anno oltre 2.000 prodotti chimici che, nella maggior parte dei casi,
non vengono testati sul piano tossicologico. Infine molti degli EDs
vengono utilizzati in paesi a basso o medio reddito, in cui spesso
mancano le strutture tecniche di controllo.
Ma la domanda ovvia cui devo cercare di rispondere, dopo avere
sottolineato che l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, e i cibi
che ogni giorno mangiamo sono oggi veicolo possibile di sostanze
tossiche che se assunte in certi periodi della vita possono alterare
l’omeostasi endocrina, è io credo, la seguente: “Quali sono i possibili
danni alla salute determinati dagli EDs, ed è possibile stabilire soglie
quantitative e temporali che non devono essere superate?”.
A questa domanda è difficile, oggi, dare risposte esaurienti. Non vi
è infatti dubbio che i possibili danni che gli EDs possono provocare
sullo stato di salute sono fonte di vivace discussione tra chi sostiene che le evidenze epidemiologiche, cliniche e sperimentali ne
dimostrino l’effetto dannoso (Bergman et al., Environmental Health
2013) e chi non le ritiene sufficientemente robuste per arrivare a
delle conclusioni (Dietrich et al., Chemical-Biological Interactions
2013). Ne consegue che varie organizzazioni e società scientifiche
hanno suggerito un atteggiamento per lo meno precauzionale, in
modo particolare per i periodi a maggior rischio quali la gestazione e l’età evolutiva (Van Den Berg, Lancet 2013) in attesa che i
punti in discussione siano chiariti. Le diverse opinioni trovano una
loro giustificazione in vari fattori che rendono difficile la ricerca in
questo settore (Bourguignon et al., Current Opinion in Pediatrics
2010). Tra questi vanno ricordati: 1) la possibilità che gli effetti biologici non siano dovuti alla singola sostanza generalmente
Ambiente e salute nel bambino
studiata ma all’azione combinata di varie sostanze che possono
avere azioni agoniste e/o antagoniste; 2) la difficoltà a correlare
all’esposizione pre-natale il dato clinico spesso evidente molto
lontano dalla nascita; 3) il fatto che l’azione di molti EDs sia di tipo
non-monotonico e che quindi debba essere studiata con approcci
diversi rispetto a quelli della tossicologia classica (Vandenberg et
al., Endocrine Review 2012); 4) la natura chimica della sostanza
in esame e la sua metabolizzazione. Per esempio il Bisfenolo-A
è moderatamente lipolitico ma viene metabolizzato dopo l’ingestione in forma solubile in acqua e rapidamente escreto per cui
il suo dosaggio nelle urine non riflette necessariamente i livelli di
esposizione cronica. Da tutto ciò consegue che nei prossimi anni è
necessario intensificare le ricerche sugli EDs, utilizzando metodologie che tengano conto e superino i limiti delle esperienze passate
(Zoellere et al., Endocrinology 2012) in modo da giungere ad una
normativa ampiamente condivisa.
Ma per rispondere alla domanda fondamentale che mi sono fatto,
e cioè quali siano gli effetti dannosi alla salute finora dimostrati o,
comunque molto possibili in base ad osservazioni cliniche, mostro
una tabella riassuntiva (Tab. I) pubblicata nell’ormai lontano 2010
Tabella I.
Esempi di azione su vari organi, apparati e sistemi svolta da alcuni EDs (mod. da Bourguignon et al., Current Opinion in Pediatrics 2010).
Organi o sistemi interessati
Fenotipo
Sistema endocrino coinvolto
EDs coinvolti
Alterazioni capacità cognitive
e psicomotorie
Ormoni tiroidei
PCBs, BPA
Ipospadia, criptorchidismo,
aumentata distanza anogenitale
Steroidi sessuali
DES, Ftalati
Apparato genitale femminile
Anomalie strutturali, tumori
Steroidi sessuali
DES
Mammella
Anomalie strutturali; telarca
prematuro; tumori
Cervello
Differenziazione sessuale
Sistema riproduttivo
Testicolo
Prostata
Sistema neuroendocrino
Tessuto adiposo e bilancio energetico
DES, DDT, BPA
Oligospermia; tumori
Ftalati, PCBs
Tumori
Tempo della pubertà;
alterazioni ovulazione;
comportamento sessuale
Obesità viscerale; sindrome
metabolica
DES, BPA, PCBs
DDT, DES, PCBs
PPAR-Y
Steroidi sessuali
BPA
Legenda: BPA= bisfenolo; DDT= diclorodifeniltricloroetano; DES= dietilstilbestrolo; PCBs= bifenili policlorinati; PPAR-Y = peroxisome proliferator-activated receptor gamma.
Tabella II.
Conosci, riduci, previeni gli interferenti endocrini. Un decalogo per il bambino (Ministero dell’Ambiente).
LIMITA O EVITA
1. Evita il ristagno di aria e polvere negli ambienti chiusi dove i bambini piccoli gattonano
o giocano in terra
PRIVILEGIA O SOSTITUISCI
Garantisci il ricambio di aria negli ambienti chiusi ed effettua una adeguata
e periodica pulizia; assicura una corretta manutenzione degli aspirapolveri
(pulizia filtri e camera di raccolta, sostituzione sacchi ove presenti)
2. Se hai pavimenti in PVC contenenti DEHP su cui giocano i bambini, utilizza un tappeto
in fibra non trattata
3. Limita l’uso di capi di abbigliamento per l’infanzia con trattamenti opzionali idrorepellenti o antimacchia
Privilegia capi di abbigliamento di origine e composizione ben identificabili
4. Evita materassi per lettini con rivestimento o telo impermeabile non conforme alle
norme vigenti e comunque evita rivestimenti per materassi in PVC morbido contenente DEHP
5. Utilizza fodere in fibre non trattate se hai fasciatoi e/o passeggini rivestiti in PVC
morbido contenente DEHP; in generale, evita che i bambini entrino in contatto con la
bocca con oggetti in PVC
6. Per scaldare latte, bevande e pappe utilizza contenitori integri e solo secondo le indicazioni del produttore
7. Lascia che i liquidi caldi si raffreddino prima di travasarli in contenitori di plastica non
destinati all’uso ad elevate temperature
8. Lava accuratamente biberon e altri contenitori dopo la sterilizzazione; non utilizzare
biberon in policarbonato (non più consentiti)
9. Abitua il bambino a consumare alimenti freschi e di stagione; risciacqua frutta e verdura in scatola prima del consumo
10. Evita il consumo di alimenti con parti carbonizzate o bruciate
Per la cottura dei cibi destinati ai bambini, privilegia metodi che preservino il
contenuto di vitamine idrosolubili (ad es. cottura a vapore)
265
Tavola Rotonda
da J.P. Bourguignon e AS Parent. Sono state prese in considerazione
quattro sostanze chimiche molto diffuse nell’ambiente.
Da questa tabella dobbiamo sicuramente partire per sollecitare
comportamenti, da parte delle famiglie e della autorità sanitarie, che
limitino, per quanto possibile i rischi.
Il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato una serie di raccomandazioni riassunte nella Tabella II, che mostro e che chiude questo mio
forzatamente breve, intervento.
CONCLUSIONI
Fabio Sereni, Franca Rusconi, Generoso Andria
Quando abbiamo programmato di organizzare questa Tavola Rotonda, ci proponevamo di offrire una visione sufficientemente completa dei notevoli progressi che sono stati compiuti negli ultimi anni
nell’accertare i danni che l’inquinamento ambientale può arrecare
alla salute infantile. Se questa informazione è stata trasmessa al
pediatra che ha avuto la pazienza di leggere il lungo resoconto, potremo ritenerci soddisfatti.
Si consideri che non sono passati molti anni da quando clinici, igienisti ed epidemiologi concentravano attenzione e ricerche quasi
esclusivamente sui possibili danni che l’inquinamento poteva indurre sulla funzione respiratoria, e anche, ma in misura molto più limitata, sull’incidenza di tumori e malformazioni maggiori. Gli esperti
convenuti a Palermo hanno chiaramente documentato che l’inquinamento, inteso in senso lato e quindi non solo atmosferico, può
determinare effetti negativi sulla salute e sullo sviluppo del bambino
che fino a poco tempo fa non erano sospettati. Si pensi ai disturbi
266
cognitivi sulla popolazione scolastica, che Jordi Sunyer ha ricordato,
all’attenzione che va posta non solo sull’incidenza di malformazioni
“maggiori”, ma anche sulla incidenza di malformazioni “minori” e
soprattutto su effetti non specifici, come il basso peso neonatale e
la prematurità (Pierpaolo Mastroiacovo), e ai possibili effetti negativi
determinati degli interferenti endocrini, che sono stati illustrati da
Sergio Bernasconi. Così come è aperto l’importantissimo capitolo
delle modificazioni epigenetiche da inquinanti, su cui Ernesto Burgio
ci ha intrattenuto.
Certo che molta strada si deve ancora fare prima di giungere a una
soddisfacente conoscenza delle effettive conseguenze dannose sulle future generazioni dello sconsiderato aumento dell’inquinamento
che ha caratterizzato il nostro pianeta nella seconda metà del secolo
XX e in questo inizio del XXI secolo.
Ma abbiamo oggi, come Forastiere, Iavarone e altri hanno ben documentato, possibilità di monitorizzazioni molto più efficienti che nel
passato, per analisi quantitative e qualitative degli agenti inquinanti,
e anche per una copertura temporale più continua. Manca però un
impegno sistematico e un salto qualitativo delle ricerche, come Magnani, Mastroiacovo e altri hanno ben sottolineato, che contempli il
possibile effetto sinergico di esposizioni multiple, il danno prenatale
o anche trasmesso geneticamente da padre o madre esposti.
Per concludere una considerazione molto generale. A noi sembra
che il significato ultimo e più importante di questa Tavola Rotonda
non possa non essere che un urgente monito alla politica. Per proteggere la salute infantile non è più sufficiente una visione di politica
sanitaria solo o prevalentemente medica. La visione deve essere
allargata, significativamente, con interventi radicali per prevenire
i danni che l’inquinamento non solo atmosferico può arrecare alla
salute del bambino.