Petr. Sat. 119 (Bell. civ. 9) - Dipartimento di Filologia Classica e

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Petr. Sat. 119 (Bell. civ. 9) - Dipartimento di Filologia Classica e
«EIKASMOS» XII (2001)
Petr. Sat. 119 (Bell. civ. 9)
aes Ephyre †cum† laudabat miles; in †unda†
quaesitus tellure nitor certaverat ostro
10
9 aesepyre cum B : ac sepyre cum P : es epireum R : ac sepiretum lr : «reliquorum librorum
sive scripturae monstra sive emendandi conatus nihil attinet afferre» (Müller)
in unda
codd. : in ima Gifanius1 : in Inda Bouhier : et Inda Tandoi
Il lapidario giudizio di Konrad Müller2 descrive perfettamente lo stato della
paradosis per il primo emistichio. Tra le molte emendazioni accumulatesi sul passo
(a volte assai dispendiose o decisamente fantasiose3), ha goduto di grande fortuna
aes Ephyreiacum di Heinsius, e in effetti «a mention of Corinthian bronze seems
to underly the corruption in line 9»4, tanto più sulla scorta del ben noto precedente
di Verg. Georg. II 464 Ephyraeiaque aera e dell’altrettanto nota imitazione di Sil.
It. XIV 655s. aera ... ex Ephyre. Il problema è che Ephyreiacum è forma mai
1
Anche se la paternità dell’intervento non è del tutto sicura: cf. V. Tandoi, Un passo del
Bellum civile di Petronio sui lussi romani, «RFIC» XCV (1967) 274 n. 2 = Scritti di filologia
e di storia della cultura classica, I, Pisa 1992, 590 n. 13 (uno studio che rimane a tutt’oggi la
migliore analisi formale del tormentatissimo passo).
2
Nella celebre I edizione (München 1961 = Müller1); nella II (München 1965 = Müller2),
nella III (München 1983 = Müller3) e nella recente teubneriana (Stutgardiae et Lipsiae 1995 =
Müller4) l’annotazione è ulteriormente condensata in «aesepyre cum B, quocum fere congruunt
fide digniores». Vari esempi dei monstra e dei conatus giustamente omessi da Müller si possono
trovare curiosando negli apparati di Bücheler (ed. maior, Berolini 1862, 153), Ernout (Paris
1950 3, 135) e Pellegrino (Roma 1975, 152).
3
Tali possono considerarsi Hesperia coccum dello Stephanus, Hesperium coccum del Salmasius,
Hesperia concham del Vossius, Assyria concham dello Scaligero, Assyria baccam di Reiske, ac
sese pictum di Turnèbe, ac se piretum lavabat del Colladonius, nonché il pirotecnico aes Pirenaeum
‹dapibus ne deesset opimis, / aequorea remum› lavabat miles in unda di Mössler (prezioso, anche
se non completo, il repertorio di A. Kershaw, Petronius: the Bellum Civile in the Manuscripts
and Editions, Together with a Critical Thesaurus to the Text, PhD Diss. Austin 1986, 79).
4
C. Connors, Petronius the Poet. Verse and Literary Tradition in the Satyricon, Cambridge
1998, 107 n. 16. Per il motivo ormai topico del bronzo corinzio, cf. Tandoi, Un passo cit. 277s. =
592s. (utile raccolta di materiale in D. Emanuele, Aes Corinthium: Fact, Fiction, and Fake,
«Phoenix» XLIII [1989] 347-358).
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attestata e di dubbia liceità5, così come il precedente Ephyreaeum del Palmerius; in
latino conosciamo solo il normale Ephyraeus/-reus/-reius e gli isolati Ephyreias
(Claud. Get. 629) ed Ephyreiades (Stat. Th. VI 652), né in greco appare mai un
*`Efureiakov" (solo `Efurai'o" in Teocrito e nel tardo Imerio6 ed `Efuvreio" nell’ancor
più tardo Nonn. D. XX 390, mettendo da parte una non necessaria congettura di
Kaibel in Euph. fr. °11,2 Pow.). Forse non è un grosso problema, considerando che
«nella poesia elevata del I sec. d.C. si coniano volentieri attributi, soprannomi,
derivati etnici che nobilitino, grecizzando, il concetto da esprimere»7, e che il nostro caso si potrebbe in definitiva considerare affine (anche se, preciserei, morfologicamente non del tutto analogo) ai vari Corinthiacus, Isiacus, Phasiacus con consueto suffisso dattilizzante8; del resto, il citato Ephyreiades staziano è altrettanto
anomalo (ma non sarò io a congetturare Ephyreiadum gen. pl. in Petronio!). Tuttavia qualche dubbio rimane, e riterrei metodologicamente più opportuno confinare
l’hapax, per quanto attraente, all’apparato – soprattutto se esso non pare esser
l’unica soluzione possibile.
Qualche alternativa in effetti c’è: più che aes Ephyrae regum di P. Pithou9 (che
ben spiegherebbe la corruttela per facile aplografia; ma i ‘re’ destano forti perplessità), varrebbe la pena di prendere in considerazione aes Ephyrae c‹oct›um di Müller2
(cf. Lucan. VI 405 inmensis coxit fornacibus aera e in generale ThLL IV 926,83927,36), poi abbandonato nelle edizioni seguenti, ed aes Ephyrae c‹us›um di R.
Helm10, paleograficamente assai attraente – anche se, come mi fa notare Mario
Labate, la rarità di cusum 11 ne sconsiglia l’inserimento in un registro linguistico
piuttosto piano e convenzionale come quello del Bellum civile12. Io credo che una
5
«Forma valde dubitabili», Müller1; «nullo exemplo», Müller3-4; «forma ignota», G.C. GiardinaR. Cuccioli Melloni (Augustae Taurinorum 1995).
6
Theocr. 16,83; Himer. Or. 30,14; 47,96; 48,22 Col.; inoltre Pind. P. 10,55, ove però si
tratta non di Efira/Corinto ma verosimilmente di Efira/Crannone (cf. Angeli Bernardini, ad l., con
bibl.).
7
Tandoi, Un passo cit. 271s. = 588.
8
Cf. ancora Tandoi, Un passo cit. 272 n. 3 = 589 n. 8.
9
«Fortassis» nella I edizione (1577), a testo nella II (1587): cf. W. Richardson, Reading
and Variant in Petronius, Toronto 1993, 56.
10
Nachaugustische nichtchristliche Dichter: Petronius, «Lustrum» I (1956) 230.
11
All’affermazione di Helm, secondo cui «das Partizip cusum ist durch incusum Verg.
Georg. I 275 Pers. 2, 52 als möglich erwiesen», è stato ribattuto che «per evitare un hapax
onomastico ne introduce un altro di flessione verbale» (Tandoi, Un passo cit. 272 n. 3 = 589 n.
8; sulla sua scia C. Salemme, Un contributo a Lucano e Petronio, «P&I» XII/XIV [1970/1972]
70). In realtà, cusus, -a, -um è attestato, anche se in età più tarda: in ThLL IV 1285,11-57 si
trovano quantomeno Symm. Epist. I 4,1 bono metallo cusa, IV 55 nomisma auro cusum e Treb.
Trig. tyr. 31,3 (II p. 130,20 Hohl) cusi sunt eius nummi aerei, aurei et argentei. Rimane comunque una forma decisamente rara.
12
Sulla ‘povertà’ lessicale del Bell. civ. cf. ad es. F.T. Baldwin, The Bellum Civile of
Petronius, New York 1911, 45ss. Metricamente inaccettabili aes Ephyraeum tum di H. Stubbe,
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soluzione stilisticamente e concettualmente adatta, che non richiederebbe di postulare
anomalie di alcun tipo, potrebbe essere
aes Ephyrae c‹apt›um,
«il bronzo predato a Corinto» (con Ephyrae locativo, come già intendevano Helm
e Müller), che richiamerebbe più apertamente la celebre impresa di Lucio Mummio
del 146 a.C. (e i suoi effetti economico-sociali, spesso biasimati dai moralisti: cf.
Plin. NH XXXIII 149 inmenso et Achaicae victoriae momento ad inpellendos mores),
armonizzandosi particolarmente bene tanto con la menzione del miles13 quanto col
Die Verseinlagen im Petron, Berlin 1933, 104, ed aes Ephyrea tum di J. Nováková, Nochmal zum
Petrontext 119-124, «LF» LXXXIII (1960) 9ss.: cf. Tandoi, Un passo cit. 272 = 588s. (e 273s. =
589s. per le ragioni che sconsigliano di conservare unda, come la Nováková fa). Ancor più
problematico sul piano metrico, oltre che stilistico e concettuale, è aes Ephyrea cum di Salemme,
Un contributo cit. 71 («allorquando il soldato lodava, nelle acque di Corinto, i bronzi, uno
splendore cercato nella terra aveva gareggiato con la porpora», 76 n. 21), che postulerebbe un
esametro diviso in tre cola isometrici e privo di cesura sia al III sia al IV piede (cum laudabat
è da considerarsi ‘parola metrica’). Versi del genere sono pressoché circoscritti all’età arcaica (ad
es. Enn. Ann. 117 Sk. Palatualem Furinalem Floralemque o 577 Sk. cum legionibus quom proficiscitur
induperator, perfettamente analogo al nostro caso; cf. O. Skutsch, The Annals of Q. Ennius,
Oxford 1985, 47 e in generale L. Müller, De re metrica poetarum Latinorum praeter Plautum et
Terentium libri septem, Petropoli et Lipsiae 1894 2, 218ss., notando però che Lucil. 870s. M. =
845s. Kr. è interpretato da tutti gli editori moderni come due settenari) e all’arcaizzante Lucrezio
(cf. C. Bailey, Titi Lucreti Cari De rerum natura, I, Oxford 1947, 112, con le osservazioni di
Kenney, ad III 174; per alcuni degli esempi lucreziani si è indicata una quasi-caesura dopo
prefissi o preverbi, ma si tratta di concetto tutt’altro che pacifico: cf. da ultimo G.E.A. Korzeniowski,
De vocabulo quasi-caesurae e doctrina metrica expellendo, in AA.VV., Vir bonus dicendi peritus.
«Festschrift für A. Weische», Wiesbaden 1997, 219-226); il fatto che qualche esempio compaia
ancora in Virgilio, ad es. Ecl. 7,52 aut numerum lupus aut torrentia flumina ripas o Aen. I 438
Aeneas ait et fastigia suspicit urbis, non pare aver influenzato molto la versificazione delle età
successive. E se anche si ammette che la pur minima pausa tra prepositiva e ortotonica possa in
qualche misura sopperire all’assenza di una cesura vera e propria (come per il trimetro greco
hanno sostenuto A.M. Devine-L.D. Stephens, Language and Meter, Chico, CA 1984, 136, con
argomenti da considerare; i versi con prepositiva davanti alla ‘cesura’ in Virgilio sono raccolti
da J. La Roche, Der Hexameter bei Vergil, «WS» XXIII [1901] 122-124, benché lo stesso
studioso riconosca che nella stragrande maggioranza dei casi segue una eftemimere a fare da
cesura principale; cf. anche J. Hellegouarc’h, Le monosyllabe dans l’hexamètre latin, Paris 1964,
131-150), si deve altresì tener presente che proprio alcuni poeti del I sec. d.C., tra cui Petronio,
mostrano una marcata tendenza ad enfatizzare la cesura centrale (cf. P.A. George, Petronius and
Lucan De bello civili, «CQ» XXIV [1974] 131s.).
13
Mario Labate mi segnala un utile parallelo nel passo di Sall. Cat. 11,6 sulla campagna di
Silla in Asia: ibi primum insuevit exercitus populi Romani amare potare, signa tabulas pictas
v a s a c a e l a t a mirari, ea privatim et publice r a p e r e – un passo che potrebbe anche costituire il vero e proprio ipotesto del verso petroniano, come giustamente mi suggerisce Bruna
Pieri. Un caso pressoché sicuro di influsso delle concezioni sallustiane sul Bell. civ. ha indivi-
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contesto di generale ‘rapacità’ del proemio, sottolineato a più riprese dai vari habebat
(1), nec satiatus erat (3), hostis erat (6), quaerebantur (7: cf. 10, 14), despoliaverat
(12), excutitur (15), e via dicendo 14. Si è tra l’altro osservato che, a quanto affermano Polyb. XXXIX 2 Büttner-Wobst (ap. Strab. VIII 6,23) e Vell. Pat. I 13,4,
all’epoca della presa della città Mummio e le sue truppe si erano mostrati assai
poco sensibili alle opere d’arte, e che quindi «a chi avesse tenuto presente l’aneddotica
tradizionale, il v. 9 [...] doveva riuscire battuta declamatoria, brillante kat`
ajntivfrasin»15: un effetto che, a mio avviso, captum non farebbe che potenziare.
Sul piano paleografico, si noti che un’identica corruttela si è verificata in Tac. Ann.
IV 10,3 ea fraude c‹apt›um senem, ove l’integrazione del Muretus ha goduto, giustamente, del favore concorde degli editori moderni16.
Firenze
ENRICO MAGNELLI
duato A. La Penna, Il Bellum Civile di Petronio e il proemio delle Historiae di Sallustio, «RFIC»
CXIII (1985) 170-173.
14
Tandoi, Un passo cit. 277 n. 2 = 593 n. 20 ritiene che l’introduzione di un locativo nel
nostro verso sia resa superflua dal fatto che bronzi esemplati sullo stile della manifattura corinzia
erano prodotti anche altrove. Ma tutto il proemio del Bellum civile è incentrato sull’estendersi
all’intera ecumene (Grecia, Libia, Numidia, Arabia, Estremo Oriente: cf. anche Connors, Petronius
cit. 107) della affannosa ricerca di ricchezze da parte dei Romani e della loro politica di rapina:
non bronzi di imitazione, ma gli autentici bronzi razziati in guerra a Corinto sono appropriati a
un simile contesto.
15
L’acuta osservazione è ancora di Tandoi, Un passo cit. 270 n. 1 = 587 n. 3.
16
cum M : tum Mmg Beroaldus : c‹apt›um Muretus, probb. Andresen, Fisher, Lenchantin,
Koestermann, Borzsák, Heubner, Wuilleumier-Le Bonniec, al. : ‹de›c‹ept›um Heinsius : ‹ille›c‹t›um
dub. Andresen (cf. Martin-Woodman, ad l.).