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L’eleganza delle peonie Barbara Leonesi Un orchestrale avanza lentamente dal fondo della sala sulle note dolci e languide del suo flauto, e guida così il pubblico dentro l’incanto di questa edizione da camera del Padiglione delle peonie. Dal suo debutto il 18 maggio 2007, in occasione del VI anniversario dell’inserimento dell’opera in stile kunqu tra i capolavori del patrimonio orale e immateriale dell’umanità, va in scena ogni fine settimana negli antichi Granai Imperiali di Pechino. Il flauto d’apertura è indizio parlante delle intenzioni della messinscena: un ritorno all’estetica classica del kunqu di epoca Ming (XIV – XVII secolo), che si avvale dei mezzi e delle intuizioni del teatro moderno occidentale per comporre un’opera di squisita raffinatezza. Proprio la melodia del flauto traverso in bambù costituì la novità della musicalità dolce e vibrante d’emozione dello stile kunqu; le rigide regole della messinscena tradizionale vengono tuttavia immediatamente infrante da quest’entrata dal fondo della sala che spezza l’invisibile barriera tra spazio degli artisti e spazio del pubblico. Il musicista, in costume d’epoca, percorre il lungo il corridoio centrale tra le poltrone degli spettatori e li conduce, con la magia della sua musica, nel mondo incantato della rappresentazione. In questa ricostruzione del fascino sofisticato del periodo di massima fioritura di questo genere teatrale, non c’è quindi accanimento filologico, piuttosto la volontà di riportare in vita quell’estetica raffinata attingendo a ogni invenzione teatrale. Il primo passo, è stato di restituirla a quella dimensione intima che le è propria. Nell’epoca del suo massimo splendore (XVII secolo), il kunqu viveva attraverso troupes private mantenute da ricchi signori per il loro intrattenimento personale; gli spettacoli venivano organizzati in residenze particolari, in una sala o in un piccolo padiglione del giardino, dove un semplice tappeto rosso delimitava simbolicamente lo spazio scenico. Gli invitati sedevano tutto intorno, lasciando un unico lato libero per le entrate e le uscite degli attori. La vicinanza tra artista e spettatori era essenziale per fruire della raffinatezza di quest’arte del dettaglio, dove ogni minimo gesto e modulazione della voce è pregno di significati. Il tempo lento dell’accompagnamento musicale aveva infatti rallentato canto e movimenti: la voce indugiava sulle note, dando un’enfasi nuova all’espressione delle emozioni attraverso gesti controllati e atteggiamenti del volto. Questa edizione che, fin dal titolo, è annunciata “da camera”, abbandona i palchi dei teatri “ufficiali” per riproporre la condizione ideale di contatto tra pubblico e artista: nella costruzione in nuda pietra degli antichi Granai Imperiali di Pechino, gli spettatori siedono a un passo dagli attori, potrebbero quasi toccarli: colgono ogni espressione del viso, ascoltano la musica e il canto e ancora il suono di ogni gesto nel fruscio della seta dei ricchi costumi di scena. Proprio per conservare questa intenzione fondante della produzione, anche per le rappresentazioni italiane sono stati scelti spazi altri rispetto agli usuali teatri: questi luoghi, pur lontani nel tempo e nello spazio, sono tuttavia idealmente prossimi all’ambientazione che fu in lussuose dimore private: a Torino, la residenza sabauda di Villa della regina, a Venezia, il giardino affacciato sul Canal grande di Palazzo Corner, e infine a Bologna il cortile del palazzo???. La stessa dimensione intima è acccortamente restituita con l’assenza di palco e un numero ristretto di spettatori. Il testo originale è stato drasticamente ridotto per contenere la rappresentazione nel tempo di appena due ore, un’abitudine oggi molto diffusa nei teatri cinesi, d’opera e di prosa. Produttore e registi hanno più volte ribadito come questa scelta voglia offrire un prodotto più facilmente fruibile per il pubblico rispetto ad alcune sfiancanti versioni integrali di numerose ore degli anni precedenti, senza tuttavia perdere il filo della storia narrata. Nella consuetudine invalsa a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, le rappresentazioni sono divenute un collage di scene o arie celeberrime tratte da opere diverse: il pubblico di allora conosceva perfettamente i vari intrecci e godeva quindi nell’ammirare soltanto gli episodi preferiti. In questo modo andavano tuttavia perduti nodi e implicazioni dei testi letterari, oggigiorno sconosciuti ai più. Questa edizione conserva accuratamente i brani più famosi ed amati, quale la celeberrima e rappresentatissima scena iniziale del “Sogno interrotto”; attraverso questi, percorre i momenti salienti della trama principale del Padiglione delle peonie, la storia d’amore tra i due protagonisti Du Liniang e Liu Mengmei, eliminando i numerosi intrecci che costituiscono parte non solo integrante ma fondante dell’immaginifica e complessa opera letteraria originale. La giovane protagonista incontra in sogno Liu Mengmei, giovane letterato di belle speranze, di cui si innamora perdutamente; al risveglio, si consuma in uno struggimento d’amore. In punto di morte, consegna alla fedele cameriera un suo ritratto da nascondere nel giardino, che viene ritrovato da Liu Mengmei. Questi si innamora della fanciulla nel dipinto, e con le sue dichiarazioni d’amore richiama a sé il fantasma di Du Liniang. I due giovani ardono di passione, e si scambiano promesse d’eterna fedeltà. Du Liniang confessa quindi il suo stato di fantasma e chiede a Liu Mengmei di dissotterrare il suo corpo che, grazie al miracolo d’amore, torna in vita. Qui si conclude questa edizione, senza seguire le successive vicissitudine dei due amanti per giungere infine a un giusto matrimonio. Ma questo accade in realtà nella maggior parte delle versioni sceniche. La concentrazione nel ristretto spazio scenico “da camera”, e insieme la condensazione nel tempo di due ore porta a una distillazione della trama amorosa e dei suoi numerosi personaggi, di cui non rimangono che i due amanti protagonisti e due “accompagnatori” nel viaggio della loro storia d’amore: la cameriera di lei e la monaca taoista che aiuta Liu Mengmei nell’inumazione. L’intreccio così sintetizzato in una manciata di episodi perde traccia del complesso mondo interiore di questi personaggi, peraltro ben delineato nel testo originale. Ogni cenno del pur vivace umorismo che anima molti episodi del testo letterario, così come di alcuni personaggi clowneschi che pur avrebbero dovuto partecipare ad alcune scene rappresentate è stato eliminato. L’umorismo terreno e a volte grottesco di Tang Xianzu avrebbe di certo intaccato quell’aura di pura raffinatezza che sottende a tutta la produzione. Lo stesso elemento orroroso dell’inumazione del cadavere, che tocca punte comico-grottesche nella partizione originale, viene taciuto e rimane inesplorato: le preghiere di Liu Mengmei sono seguite dall’apparizione di una splendida Du Liniang, sfolgorante di bellezza nel suo abbagliante costume rosso. Per restituire alle Peonie lo sfarzo conosciuto in epoca Ming, la produzione ha investito molto: musicisti e protagonisti indossano costumi sontuosi che riprendono la foggia in voga in quel periodo; in pura seta, sono stati ricamati da mani esperte nei luoghi di grande tradizione del kunqu, l’area tra Shanghai e Suzhou, dove è rimasta traccia della tradizione decorativa dei tempi che furono. Questi drappi ornati da preziosi ricami, con la potenza scenografica dei loro colori sgargianti e del loro movimento costituiscono parte essenziale dello spettacolo. Anche gli arredi in legno di sandalo mostrano un’attenzione quasi filologica alla ricostruzione di lussuosi interni Ming. La fama del testo prevede che i ruoli dei protagonisti vengano affidati ad artisti famosi ed affermati, che ben di rado rispondono al profilo adolescenziale richiesto dal ruolo, allo stesso modo per cui abbiamo visto molte Giuliette decisamente più mature dei 14 anni indicati da Shakespeare. La scelta di questa produzione è controcorrente, e opta invece per attori giovanissimi confacenti al profilo dei personaggi, nonché di bella presenza per incarnare l’ideale estetico cui tende l’intera produzione. Hanno inoltre pesato su questa decisione la considerazione dello sforzo fisico non indifferente richiesto dalle due ore di rappresentazione in quattro artisti senza alcun aiuto di amplificazione della voce, nonché la previsione di rappresentazione continuativa per un lungo periodo. Artisti molto famosi non avrebbero probabilmente dato una tale disponibilità di tempo ed energia. Selezionati con grande severità fra le giovani promesse del Paese, Lü Zhijie e Hu Zhexing sono stati accompagnati nelle prove e nelle scelte di interpretazione da due grandi artisti del kunqu della passata generazione, considerati “tesori nazionali”: Wang Shiyu e Zhang Xuqing. In questi due anni di repliche hanno dimostrato di essere all’altezza del ruolo. Molti nomi di grande prestigio figurano nel gruppo di preparazione e costruzione di questa messinscena, ma è mia convinzione che l’originalità e la meraviglia di queste Peonie sia fortemente debitrice alla scelta di affiancare, alla regia e alla direzione artistica, due personaggi tra loro molto diversi come Wang Shiyu e Lin Zhaohua: grande artista di kunqu il primo, grande regista di teatro di prosa il secondo. Nonostante alcune esperienze nella direzione di spettacoli dell’opera di Pechino, Lin Zhaohua deve certamente la sua fama alle sue regie di teatro di prosa moderno e d’avanguardia; negli anni ’80, insieme al drammaturgo Gao Xingjian, premio Nobel per la letteratura nel 2000, propose opere che costituirono un punto di partenza essenziale per la sperimentazione nel teatro cinese contemporaneo. Nonostante le censure degli inizi, Lin Zhaohua ha conquistato pubblico e critica con le sue regie innovative di teatro di prosa cinese e straniero, da Shakespeare a Beckett, guadagnandosi oggi un ruolo di primissimo piano tanto nell’accademia che nelle istituzioni teatrali ufficiali. Il timore di alcuni che, leggendo il suo nome, hanno temuto una virata “avanguardistica” della messinscena si è dimostrato infondato. La collaborazione tra i due artisti ha portato a una regia che applica, alla tradizione più classica del kunqu, alcune “invenzioni” del teatro moderno: non si tratta di una sovrapposizione di mezzi espressivi, bensì di una fusione. I due registi hanno perseguito un delicato equilibrio fra la tradizione estetica dell’opera cinese, suggestiva e “ideografica”, e quella realistica, o “fotografica” di derivazione occidentale. Prendendo a prestito la terminologia applicata alle arti figurativa, a partire dal secolo scorso nel dibattito teorico sul teatro si è andata delineando in Cina una contrapposizione fra una tradizione che “ritrae, descrive immagini o idee” (xieyi) e un’altra che “ritrae, descrive la realtà”, (xieshi) crea un’illusione di realtà. La tradizione teatrale cinese è decisamente ideografica: la scenografia è assente, e affida a recitativi, oggetti simbolici e gesti codificati il compito di “narrare” la realtà e la storia. Proprio per compensare la nudità dell’impianto scenico, i costumi sono ricchi e sfarzosi, con colori accesi dal significato simbolico rigidamente codificato. Questa edizione si propone di coniugare la “suggestione” della tradizione teatrale classica con il “realismo”: la scenografia è assente, e la nudità dei grigi muri di pietra dei granai risaltano meravigliosamente gli intensi colori dei costumi. Tuttavia, una serie di elementi “reali” si insinuano fra gli arredi di scena – di norma poverissimi! -, con l’effetto di intensificare la tradizionale suggestione estetica. I registi sfruttano con grande intelligenza l’intero spazio a loro disposizione, tutto il granaio diventa teatro. Il pubblico non solo circonda, come nei tempi che furono, la scena: gli artisti attraversano il pubblico, utilizzano il corridoio centrale fra le poltrone per arrivare a un secondo “palco” allestito al fondo della sala, porta d’accesso all’ aldilà. Di qui esce di scena Du Liniang, avvolta nel colore bianco degli spiriti e della morte, e di qui ritorna in vita trionfante di rosso. Vengono infrante le rigide regole dell’opera classica che separano in modo netto spazio della rappresentazione e spazio del pubblico, porta d’entrata e porta d’uscita degli artisti; il pubblico entra in scena, o meglio l’intera sala diventa spazio scenico. L’orchestra non è relegata nel solito angolo del quadrato di scena, ma viene disposta sui due lati, affinché la musica abbracci il pubblico creando un’amplificazione naturale del suono. Le tozze colonne lignee che reggono la struttura del tetto dividendo in tre settori lo spazio interno del granaio acquisiscono rilievo scenografico: stringono i due lati del piccolo quadrato illuminato della scena, fungendo da quinte per alcune entrate e uscite, in particolare quelle delle quattro divinità dei fiori. Sono i personaggi jing, che si distinguono per il volto interamente dipinto. Le tinte del trucco sono parlanti della natura e dell’indole del personaggio (buono, cattivo, onesto, ingannatore): in questo caso, il colore dorato suggerisce la natura divina. Essi hanno un ruolo irrilevante nella storia, ma fondamentale sulla scena: nei loro sfarzosi costumi danno forma a scenografie viventi che emergono d’incanto dall’ombra delle colonne, creano pareti d’oro fra esse per poi entrare in scena a comporre variegati effetti coreografici. La loro funzione concreta è di allestire e preparare lo spazio scenico: in una tradizione segnata da una scenografia inesistente, manca il sipario dietro cui celare i cambi di scena; in apssato, “servi di scena” in abito oscuro entravano ed uscivano per muovere gli oggetti e aiutare gli attori con i costumi, senza alcun imbarazzo per il pubblico, abituato a tali convenzioni. I registi scelgono qui di non nascondere questi inservienti con abiti neutri, ma di vestirli sontuosamente e mutarli così in spettacolo, in elementi scenografici. Ai piedi delle colonne, rossi carassi nuotano pigri in modernissime vasche trasparenti. Il contrasto stridente fra tradizione e modernità nasce dall’ambiente stesso, nella struttura fisica di uno spazio antico di pietre e legni quattrocenteschi fra cui spuntano materiali modernissimi come il plexiglass. Di lì si diffonde alla messinscena che ripropone la tradizionale estetica suggestiva e simbolica arricchendola con elementi e oggetti che non solo suggeriscono una realtà ma la rappresentano fisicamente. I pesci rossi non solo descrivono, sono il giardino in cui passeggia e sogna la protagonista. Veri petali di rose scendono ad accarezzare il sogno d’amore di Du Liniang, e vera pioggia goccia a piangerne la morte: le vasche trasparenti non hanno solo una finalità estetica, ma sono funzionali a raccogliere i rovesci d’acqua e fiori. Se la fedeltà filologica nella riproduzione dei sontuosi costumi d’epoca e nell’attenzione all’uso simbolico dei loro colori (tinte tenui per gli abiti degli adolescenti, il bianco per la morte e gli spiriti, il rosso per la festa e la passione e così via) persegue l’estetica “suggestiva” della tradizione cinese, la medesima cura nella ricostruzione della mobilia e degli oggetti d’uso quotidiano di una lussuosa residenza di epoca Ming persegue l’estetica “realistica” di ricostruzione verosimile dell’ambiente e della storia. Notiamo tuttavia come questi elementi realistici abbiano un forte valore simbolico che partendo dai codici della tradizione teatrale, letteraria e poetica cinese si allarga fino ad abbracciare corrispondenze di valore universale. I petali di rosa che cadono sul sogno di Du Liniang e le farfalle multicolori liberate nel finale di coronamento d’amore sono espliciti simboli fausti di gioia, così come la pioggia che goccia nelle vasche alla morte della fanciulla è evocativa delle lacrime del dolore. Tutti questi elementi “reali” – petali, pioggia, farfalle – non sono infatti finalizzati a costruire un’illusione di realtà, ma concorrono piuttosto a creare quella “suggestione”, quell’atmosfera di godimento estetico, sofisticato e raffinatissimo che è chiave fondamentale dell’opera kunqu. L’invenzione del personaggio del calligrafo, del tutto estraneo al copione, che scrive via via i titoli delle scene su una lanterna di carta va in questa stessa direzione: egli interrompe, con il suo arrivo, il flusso della rappresentazione della storia, bloccando l’eventualità dell’immedesimazione da parte degli spettatori, dell’illusione di realtà; le lanterne appese ad una ad una in due file parallele ai lati del quadrato scenico creano un effetto scenografico non originale ma efficace; non da ultimo, la calligrafia è tradizionalmente una delle arti più apprezzate e praticate da quella classe colta che costituiva proprio il pubblico più fedele del kunqu. C’è un gioco continuo dei registi nell’utilizzo di oggetti e spunti della tradizione in una chiave moderna che ne amplifichi la suggestione: abbiamo sottolineato che i costumi riproducono l’abbigliamento di epoca Ming, ma con un notevole effetto coreografico il manto rosso della risorta Du Liniang si srotola lungo tutto il corridoio centrale che lei percorre per raggiungere il suo Liu Mengmei. Rarissime le cadute di stile: citiamo il fumo che avvolge l’apparizione della rediviva Du Liniang come moderna rockstar, e il filmato dello spirito di lei che aleggia in esterno, intorno ai granai imperiali. Indiscrezioni sussurrano che tuttavia che queste parti verranno eliminate nelle rappresentazioni italiane. Rimane aperto l’interrogativo di come muterà la messinscena in ambienti nuovi e molto diversi. Il legame strettissimo di questa edizione con lo spazio in cui essa viene rappresentata determina nuove trasformazioni e invenzioni per ogni luogo in cui essa viene rappresentata. L’assenza di scenografia costringe ad utilizzare l’ambiente circostante e a sottostare ai suoi vincoli: [non potrà piovere a Torino per ovvi problemi legati alla conservazione della villa, né a Venezia e a Bologna, dove manca una copertura cui ancorare l’effetto acqua. Sarà quindi nuova invenzione coreografica nella sala della reggia torinese, nel giardino veneziano e nel cortile bolognese. Al termine di questa rappresentazione, non si attenda lo spettatore una commozione del cuore per i giovani protagonisti, per la loro storia d’amore; questa è piuttosto occasione o semplice stratagemma per costruire, attraverso musica, suoni e colori, un tempo di puro godimento del bello che si esaurisce in sé. Un’esperienza estetica dei sensi che commuove per il suo raffinatissimo incanto. PARTI ELIMINATE L’opera in stile Kunqu deriva il suo nome dalla città di Kunshan nella Cina meridionale, stretta nell’area fra le città di Suzhou e Shanghai, dove fiorì a partire dalla metà del XVI secolo. Viene definita “opera” in Cina un’arte teatrale che combina canto, recitativo, danza e acrobazie; nel corso della storia fiorì in variegati stili locali, che si distinsero sostanzialmente per la musica e il dialetto utilizzati. Il Kunqu spiccò fra i numerosi stili di opera contemporanei per la sua raffinatezza e per la novità di una musicalità dolce e vibrante d’emozione, guadagnandosi il favore delle classi colte di tutto il paese. Caratteristica della sua musica i toni melodiosi derivati dall’utilizzo del flauto in bambù orizzontale e il tempo lento dell’accompagnamento, che rallenta di conseguenza canto e movimento: le note prolungate su cui si sofferma la voce consentirono una nuova enfasi sul gesto e sull’espressione delle emozioni, tutto avvolto da una straordinaria sensualità. Il Kunqu conobbe la sua massima fioritura intorno al XVII secolo per poi cedere lentamente il passo all’Opera di Pechino, sia per motivi storico politici di decadenza della raffinata e colta classe mandarinale, sia per le sue caratteristiche intrinseche di raffinatezza e elitismo che lo rendevano alieno a un più vasto pubblico popolare. La languidezza e la sensualità delle sue storie d’amore vivevano di piccoli gesti da gustare da parte di un pubblico colto e selezionato, in ambienti ristretti; l’opera di Pechino, con le sue grandi scene di combattimenti e di acrobazie, era decisamente più adatta agli ambienti più grandi, rumorosi e affollati dei teatri pubblici o case da tè, che conobbero grande fortuna intorno al XIX secolo. veniva rappresentato infatti nellRaffinatezza è il dictat che dirige ogni scelta della produzione. Gli antichi granai imperiali, basse costruzioni in nuda pietra grigia incastonati ormai fra modernissimi sapientemente restaurati, offrono uno spazio , recentemente restauratiraA segna una La data dellaospitare un’edizione “da camera” con cui si vuole riportare alla luce il fascino raffinato e colto dell