pdf - Fondazione Internazionale Menarini
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n° 328 - gennaio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Le terre di Betty Woodman Il percorso dell’artista americana,iniziato nella School for American Craftsmen della Alfred University, nello stato di New York, si intreccia con le colline toscane e approda con una rassegna personale al Metropolitan Museum di New York Formò dunque il Signore Dio l’uomo dal fango della terra, e gli inspirò in faccia lo spirito della vita, e l’uomo divenne persona vivente. Genesi, 1, 2, 7 Parla del suo primo incontro con l’argilla, Betty Woodman, e tiene in grembo le mani, che sembrano muoversi e accarezzare le cose, animate di vita propria; scultrice di fama internazionale – recente una mostra delle sue opere in ceramica al Metropolitan Museum di New York – scoprì ben presto la propria vocazione: «quando ho incontrato l’argilla, a sedici anni, ho capito che è questo che volevo fare». L’impasto di terra e acqua, plasmabile fra le dita, offre il rapporto più diretto e materico tra l’artista e il suo processo creativo, senza le necessarie mediazioni tecniche e strumentali che pittura o scultura in marmo richiedono - comunque, anche quest’ultima ha generalmente alla sua origine la realizzazione di un bozzetto in argilla; arte antichissima, quella della ceramica, è spesso considerata un genere minore, più prossimo all’artigianato che alle arti maggiori, in virtù di un pregiudizio che investe tutta la creatività connessa con oggetti d’uso: pure, è questa la prima ma- nifestazione della espressione plastica, tanto da essere stata assunta dalla Bibbia come strumento per la creazione dell’uomo, e le statuette fittili antropomorfe (dai caratteri più o meno sinteticamente simbolici e allusivi) hanno accompagnato il cammino dell’uomo fin dalla preistoria; i quattro elementi concorrono tutti insieme alla realizzazione di ciascun pezzo, impastato di terra e acqua, cotto con il fuoco, mentre l’aria, sapientemente dosata nei suoi flussi, fa sì che i sali minerali presenti nelle argille assumano colori diversi in funzione dei processi di ossidazione o di riduzione che si verificano durante la cottura. Il percorso di Betty Woodman inizia tra il 1948 e il 1950 presso la School for American Craftsmen della Alfred University, nello stato di New York, una istituzione a carattere sperimentale – all’epoca assolutamente d’avanguardia - nata con l’obiettivo di preservare la tradizione artigianale, destinata a scomparire con l’avanzare della produzione in serie a basso costo e con l’introduzione delle materie plastiche, leggere ed infrangibili. L’impostazione pragmatica della scuola, che per l’artista «è stata importante perché non era solo astratta, ma si trattava ef- Betty Woodman nello studio fiorentino - sotto: bozzetto fettivamente di imparare come produrre oggetti», mise la giovane Elizabeth, appena ventenne, in grado di iniziare con successo una produzione di ceramiche che la rese economicamente indipendente e la portò rapidamente all’insegnamento, per il quale si dimostrò notevolmente dotata. L’anno trascorso a Firenze nel 1951 l’avvicinò ad un modo diverso di lavorare l’argilla, non più soltanto come materiale per la creazione di vasi e piatti - a scopo decorativo e come stoviglie di uso quotidiano: l’incontro con la terra di Toscana pose Betty di fronte ad una variegata molteplicità di usi dell’argilla impastata e cotta, dallo studio diretto della produzione etrusca e romana reso possibile dalla frequentazione dei musei, alle maioliche robbiane dei pag. 2 tabernacoli e dei tondi disseminati nel centro delle città, fino alla presenza diffusa della terracotta nelle architetture tradizionali dai coppi dei tetti alle “campigiane” dei pavimenti nelle vecchie case, fino ai vasi per piante che in grandi dimensioni e decorati da rilievi ornano i giardini e le limonaie delle ville toscane. Dopo il primo soggiorno, che costituì un’esperienza fondamentale nel percorso formativo dell’artista, nel corso degli anni la Toscana ha rappresentato un punto di attrazione costante per Betty, che vi dimorò per lunghi periodi negli anni Sessanta, fino alla decisione di acquistare una casa sulle colline intorno a Firenze, concretizzata nel 1967. Oggi, la Woodman divide l’anno in due stagioni di sei mesi, la stagione toscana (primavera ed estate) e quella che trascorre a New York, in un’alternanza tra quiete meditativa in una campagna collinare dalle ondulazioni armoniose, e stimoli dell’ambiente artistico cosmopolita e d’avanguardia della grande metropoli, che sembra rispecchiare l’articolato mondo da cui trae motivi di ispirazione. La mostra che il Metropolitan Museum di New York ha dedicato a Betty Woodman nella primavera 2006 era collocata in uno spazio destinato alle esposizioni temporanee, contiguo da un lato alle sale dell’arte precolombiana e dall’altro a quelle in cui sono conservate le opere di Matisse: scelta che nell’apparente casualità si è rivelata densa di richiami e significati, per la comunanza dei materiali adottati e per l’attenzione verso la ma- nualità della creazione artistica in un caso, e nell’altro per il libero uso del colore e del dialogo-conflitto che intercorre tra superfici e volumi nella pittura di Matisse. Infatti, sono numerose le opere di Betty Woodman in cui si può cogliere una sorta di “omaggio a Matisse”, un concetto questo che può forse sembrare “fuori moda”, ma che l’artista difende e sostiene: «Tendo a vedere tutte le opere d’arte in riferimento ad altre, una sorta di meraviglioso continuum estetico del quale mi piace immaginare di far parte». I riferimenti a maestri ed epoche artistiche lontane nel tempo o nello spazio popolano la produzione di Betty, scaturiti dai numerosi viaggi che l’hanno messa a confronto con realtà spesso estremamente diverse, dalle ceramiche dell’area mediterranea antica all’estremo oriente, alla produzione artigianale italiana, portoghese e messicana, avendo come filo conduttore il motivo del vaso, visto come simbolo universale poiché «contiene tutti i liquidi, conserva i cibi e può contenere ogni cosa, dai fiori alle ceneri dei defunti. Il motivo del vaso collega ciò che faccio a tutti gli aspetti dell’arte». I vasi apparentemente “esplosi” che popolano l’opera di Betty intendono richiamare piuttosto il momento precedente all’assemblaggio, fase nella quale vengono apposti i manici e le parti decorative che non erano comprese nel fusto centrale lavorato al tornio: quello che si vuole mettere in luce, isolando e staccando i singoli componenti, è l’elaborazione del processo creativo-co- “03-2” Carta e terra incollata struttivo, di cui il prodotto compiuto rappresenta solo la fase finale. Il focalizzare l’attenzione sul work in progress è uno dei temi conduttori nell’opera della Woodman, così come la dialettica fra tridimensionale e bidimensionale, scultura e pittura, che si esplica non solo nella colorazione dei pezzi realizzati, ma anche nella sovrapposizione alla parte di essi che è volta verso il pubblico di una specie di “piastra” piatta nella quale è ritagliata la sagoma del vaso stesso, che viene dipinta. La maggiore sfida per uno scultore che lavori in due dimensioni è rappresentata, per Betty, «dall’operazione di “appiattimento” delle mie sculture rendendo possibili due diverse letture, col far apparire bidimensionale ciò che è tridimensionale». L’unione di scultura e pittura che comporta lavorare la ceramica è in alcune opere ulteriormente accentuata dall’ambientazione dei vasi in un contesto realizzato pag. 3 dall’artista per mezzo di mensole e sfondi in carta dipinta che richiamano l’esposizione di pezzi in un museo, o addirittura mediante la creazione di “teatrini”. La mostra itinerante che si è tenuta a Lisbona nell’autunno 2005 e a Ginevra nella primavera 2006, intitolata proprio Theatres of Betty Woodman, presentava alcune di queste costruzioni, che costituiscono un punto di arrivo nel lungo dialogo dell’artista con la materia: l’intreccio fra bidimensionale e tridimensionale si fa qui sempre più inestricabile, così come i riferimenti a modelli appartenenti a culture diverse e lontane tra loro, citazioni che vanno dalle esposizioni museali di manufatti antichi agli spettacoli di varietà, fino agli altari delle chiese barocche di Roma, elementi Esposizione dell’opera di Betty Woodman, tenutasi nel 2006 al Metropolitan Museum di New York “Palco 2/ Scena 2” eterogenei sì, ma tutti legati comunque dall’impostazione scenica e spettacolare che sta alla base della composizione. Paulo Henriques, curatore della rassegna Theatres, scrive: «Per questo tema potremmo citare le belle parole di Novalis ‘La poesia è l’autentica assoluta realtà... Più si è poetici, più si è veri’. La conferma di questa affermazione è testimoniata dal lungo lavoro di Betty Woodman, di cui i teatri costituiscono l’aspetto più recente, giochi di illusione che, in questo modo, si vanno avvicinando a quell’altra verità che solo il discorso artistico può indicare». donata brugioni