sentenze DL2 e DCI

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sentenze DL2 e DCI
SENTENZE DCI
Licenziamenti collettivi
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza, 01-12-2010, n. 24341
Svolgimento del processo. — Con sentenza in data 18 ottobre - 15 novembre 2006 la Corte d’appello di
Lecce confermava la sentenza resa dal Tribunale di Lecce il 20 maggio 2004 che aveva rigettato la domanda
proposta da Maria Antonietta Renna e dalle altre ricorrenti indicate in epigrafe per far dichiarare
l’illegittimità dei licenziamenti intimati dalla Barbetta s.r.l. per «cessazione definitiva» dell’attività per la
quale erano state assunte e cui erano addette.
Osservava in sintesi la corte territoriale, quanto alla censura relativa alla mancanza di contestualità della
comunicazione finale del procedimento alle lavoratrici interessate (in data 24 marzo 2000) e agli altri
destinatari istituzionali, che, nel caso, tale requisito doveva ritenersi rispettato, essendo stata la seconda
comunicazione (del 29 marzo 2000) ricevuta nelle date assai prossime del 3 e del 10 novembre (rectius
aprile) 2000; quanto alla censura relativa alla violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 5 l. n. 223 del
1991, che gli esiti dell’istruttoria confermavano che le ricorrenti avevano acquisito esperienza e manualità,
non nel settore maglieria, ma nell’ambito della lavorazione dei capospalla, settore dismesso dall’azienda, in
quanto non rispondente alle esigenze di mercato; quanto, poi, alla posizione di Giuseppa Renis, la quale
aveva, altresì, eccepito in punto di fatto che era stata addetta fin dall’inizio presso il settore maglieria, che
tale motivo, formulato solo in grado d’appello, determinava un’inammissibile modificazione della domanda.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso Giuseppa Renis e le altre ricorrenti indicate in epigrafe,
affidandolo la prima a cinque motivi, le altre a quattro motivi.
Resiste con controricorso la Barbetta s.r.l.
Hanno depositato memorie Maria Antonietta Renna e la Barbetta s.r.l.
Motivi della decisione. — Con il primo motivo del ricorso proposto da Maria Antonietta Renna e dalle altre
ricorrenti indicate in epigrafe le stesse prospettano violazione di legge (art. 4, 9° comma, l. n. 223 del 1991,
in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.) e, al riguardo, rilevano che il principio di contestualità imposto dal
precetto normativo non consentiva un apprezzabile intervallo temporale, quale quello nel caso verificatosi,
in assenza di un’adeguata giustificazione da parte del datore di lavoro.
Con il secondo e terzo motivo deducono ancora violazione di legge (art. 4, 9° comma, e 5, 1° comma, l. n.
223 del 1991 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. e all’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.) per
avere la corte territoriale implicitamente rigettato, o, comunque, omesso di esaminare, la censura relativa
alla mancata indicazione, nella comunicazione finale, delle ragioni (diversa professionalità) impeditive
dell’applicazione dei criteri legali di scelta nell’ambito dell’intero complesso aziendale.
Con il quarto motivo, infine, denunciano vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, per
avere la corte territoriale escluso che le ricorrenti fossero in possesso della professionalità necessaria per la
produzione di maglieria, non considerando che le stesse erano state formate proprio per tale produzione
ed erano state addette per un non breve periodo nello stabilimento preposto a tale linea merceologica.
Con il ricorso proposto da Giuseppa Renis, la stessa, oltre alle censure già esaminate, prospetta, altresì,
lamentando violazione dell’art. 437, 2° comma, c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., nonché vizio di
motivazione, che doveva escludersi che si fossero introdotti in grado d’appello fatti diversi da quelli allegati
in primo grado.
1. - I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
2. - Con il primo motivo del ricorso proposto da Maria Antonietta Renna (corrispondente al secondo
motivo di quello proposto da Giuseppa Renis) viene ancora una volta all’esame di questa Suprema corte la
questione relativa ai presupposti di legittimità delle comunicazioni finali ex art. 4, 9° comma, l. n. 223 del
1991, secondo il quale «raggiunto l’accordo sindacale ... l’impresa ha facoltà di collocare in mobilità gli
impiegati ... comunicando per iscritto a ciascuno di essi il recesso, nel rispetto dei termini di preavviso.
Contestualmente, l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con l’indicazione per ciascun soggetto del
nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di
famiglia, nonché con la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta
di cui all’art. 5, 1° comma, deve essere comunicato per iscritto all’ufficio regionale del lavoro e della
massima occupazione competente, alla commissione regionale per l’impiego ed alle associazioni di
categoria di cui al 2° comma».
In ordine, in particolare, al requisito della contestualità fra l’atto di recesso indirizzato ai lavoratori e
l’ulteriore comunicazione di cui sono destinatari gli uffici del lavoro e le associazioni di categoria, si è già
chiarito, nella giurisprudenza di questa corte, che nessuna comunicazione dei motivi viene prescritta con
riguardo al singolo lavoratore, essendo sufficiente che il recesso venga operato tramite atto scritto, sicché
solo attraverso le comunicazioni alle organizzazioni sindacali e agli altri soggetti istituzionali è reso possibile
ai lavoratori interessati di conoscere in via indiretta le ragioni della loro collocazione in mobilità (v., ad es.,
Cass. 5578/04, Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1789; 1722/09, id., Rep. 2009, voce cit., n.
1639). Ne deriva che il riferimento alla «contestualità» delle comunicazioni intercetta, quale sua ratio,
l’esigenza di rendere visibile, e quindi controllabile, dalle associazioni di categoria, oltre che dagli uffici
pubblici competenti, la corretta applicazione della procedura con riferimento ai criteri di scelta seguìti ai fini
della collocazione in mobilità e che tale possibilità di controllo si pone quale indispensabile presupposto per
la tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo dipendente.
Né ad escludere che la contestualità prescritta dalla norma sia in funzione anche della conoscibilità del
corretto esercizio del potere da parte dei singoli dipendenti può valere la considerazione che la motivazione
del recesso, nemmeno prescritta dalla l. n. 604 del 1966 nel caso di licenziamenti individuali, a maggior
ragione non è configurabile in materia di licenziamenti collettivi, ove il lavoratore si trova in una situazione
di minore debolezza contrattuale, per la presenza di penetranti controlli delle organizzazioni sindacali e
degli uffici pubblici (così Cass. 4970/06, id., Rep. 2007, voce cit., n. 1568), dal momento che la tutela
collettiva assicurata dalla procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore non esclude certo, pur
nell’ambito dei licenziamenti collettivi, la tutela individuale, rappresentando la comunicazione congiunta
prevista dalla norma in esame uno specifico termine di collegamento fra il momento collettivo e quello
individuale.
Ne deriva, ad avviso della corte, che il presupposto della contestualità delle comunicazioni non può che
essere valutato, in relazione alla finalità complessiva cui risponde tale requisito legale nell’ambito di una
procedura le cui sequenze risultano cadenzate, anche dal punto di vista temporale, in modo rigido e
predeterminato, nel senso di una necessaria contemporaneità, la cui mancanza vale ad escludere la
sanzione dell’inefficacia del licenziamento solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da
comprovarsi dal datore di lavoro (v., in tal senso, da ultimo, Cass. 1722/09, cit.; 16776/09, id., Rep. 2009,
voce cit., n. 1640; 7407/10, inedita).
Se si accede a tale interpretazione, diviene, per il resto, secondario (e, comunque, è quaestio facti) stabilire
se la contestualità riguardi il momento dell’inoltro delle comunicazioni, ovvero la loro ricezione, quale
momento di conoscenza formale dell’atto, atteso che il requisito della contemporaneità, in cui si risolve
l’esigenza della contestualità delle comunicazioni, non può che essere apprezzato, sotto l’aspetto formale,
con riferimento al tempo della predisposizione degli atti, ma a maggior ragione rileva, sotto l’aspetto
effettuale, con riferimento al momento della loro effettiva conoscenza.
Dovendosi considerare di per sé non contestuale una comunicazione alle autorità pubbliche e alle
organizzazioni sindacali che segua, con apprezzabile intervallo di tempo, la comunicazione di recesso, ma
non potendosi, al tempo stesso, considerare contestuale una comunicazione predisposta
contemporaneamente alla comunicazione del recesso, ma, in realtà, inoltrata dopo non breve lasso di
tempo da quest’ultima.
La possibilità riconosciuta al datore di lavoro di dimostrare le ragioni obiettive che abbiano determinato il
difetto della necessaria tempestività delle comunicazioni consente, del resto, di realizzare un equilibrato
contemperamento degli interessi, non imputando al datore di lavoro una disfunzione incolpevole del
procedimento, ma facendo salva, in ogni caso, la necessità di assicurare in favore dei soggetti pubblici e
privati coinvolti un controllo tempestivo della legalità della procedura.
3. - La sentenza impugnata non si è attenuta ai principî indicati e meritevoli di accoglimento appaiono,
pertanto, le censure svolte con i motivi in esame.
È incontroverso in punto di fatto che i licenziamenti sono stati intimati il 24 marzo 2000; che le
comunicazioni alle associazioni di categoria e agli uffici del lavoro portano la data del successivo 29 marzo;
che sono state ricevute il 3/10 aprile.
Ha osservato la corte territoriale che si tratta di «date assai prossime», ma, in realtà, non si riesce a
comprendere alla luce di quale parametro d’interpretazione normativa sia stato formulato il giudizio di
«prossimità» e come, comunque, risulti, nel caso, rispettato il requisito della necessaria contemporaneità
delle comunicazioni previste dalla legge.
4. - La sentenza va, pertanto, cassata e la causa rinviata ad altro giudice di pari grado, il quale provvederà a
nuovo esame e a regolare anche le spese del giudizio di legittimità attenendosi al seguente principio di
diritto:
«Il requisito della contestualità della comunicazione prevista dall’art. 4, 9° comma, l. n. 223 del 1991 alle
associazioni di categoria ed agli uffici del lavoro rispetto alla comunicazione del recesso ai dipendenti
collocati in mobilità, comunicazioni richieste a pena di inefficacia del licenziamento, deve essere valutato, in
relazione alla finalità complessiva cui risponde tale requisito legale nell’ambito di una procedura le cui
sequenze risultano cadenzate, anche dal punto di vista temporale, in modo rigido e predeterminato, nel
senso di una necessaria contemporaneità, la cui mancanza vale ad escludere la sanzione dell’inefficacia solo
se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovarsi dal datore di lavoro».
Restano assorbiti gli ulteriori motivi.
CORTE DI CASSAZIONE; sezione lavoro; sentenza, 30-12-2010, n. 26492
Fatto. — Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Genova, depositato in data 28 giugno 2004, Zara
Carla, premesso di aver lavorato sin dal 1977 alle dipendenze di diverse agenzie di viaggio di Genova e di
essere stata assunta il 1° gennaio 1996 dalla Gastaldi Tours s.r.l., successivamente acquistata dalla Kuoni e
trasformatasi in Kuoni Gastaldi Tours s.p.a., esponeva che la società predetta in data 15 ottobre 2003 aveva
avviato una procedura di riduzione del personale addetto alla sede di Genova, conclusosi con il
licenziamento di essa ricorrente con comunicazione del 1° dicembre 2003. Ritenendo la illegittimità del
suddetto provvedimento solutorio, chiedeva che il tribunale adìto volesse procedere giudizialmente alla
relativa declaratoria, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie previste dalla legge.
Instauratosi il contraddittorio, la società convenuta contestava quanto dedotto dalla ricorrente, rilevando
la legittimità del ricorso alla procedura di riduzione di personale e la correttezza della stessa, ed
evidenziando di aver provveduto in data 19 gennaio 2004 all’ulteriore licenziamento della Zara, postasi in
malattia sin dalla ricezione della precedente comunicazione di recesso, per superamento del periodo di
comporto.
Con sentenza in data 13 ottobre 2005 il tribunale adìto, non definitivamente pronunciando sulla domanda,
dichiarava l’illegittimità del licenziamento in data 1° dicembre 2003, disponendo con separata ordinanza la
prosecuzione del giudizio in relazione alla domanda risarcitoria.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società datoriale, lamentandone l’erroneità sotto diversi profili
e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.
La Corte d’appello di Genova, con sentenza in data 29 settembre - 4 ottobre 2006, rigettava il gravame.
Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione la Kuoni Gastaldi Tours s.p.a., con quattro motivi
di impugnazione.
Resiste con controricorso la lavoratrice intimata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Diritto. — (Omissis). Col secondo motivo di ricorso la società lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 5, 1° comma, l. 23 luglio 1991 n. 223, in relazione alla ritenuta illegittimità dei criteri di scelta dei
lavoratori da licenziare indicati nell’accordo sindacale 28 novembre 2003; omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
In particolare rileva che erroneamente la corte territoriale aveva ritenuto l’illegittimità della procedura che
aveva condotto al licenziamento della lavoratrice per avere la società attuato i licenziamenti nella sola sede
di Genova malgrado la situazione critica riguardasse l’intera organizzazione aziendale, risultando dal punto
5 dell’accordo sindacale del 28 novembre 2003 — nel quale si evidenziava che la scelta sarebbe stata
operata all’interno dell’organico della sede genovese «in considerazione delle caratteristiche
dell’organizzazione aziendale e dell’autonomia delle diverse unità produttive» — che il detto criterio era
stato specificamente negoziato con le organizzazioni sindacali nel corso della procedura alla quale le stesse
erano state regolarmente chiamate a partecipare.
Il motivo non è fondato.
Ed invero, essendo l’iter previsto per il licenziamento collettivo dettagliatamente procedimentalizzato, si
impone la valutazione della corretta e completa indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di
tutti gli elementi previsti dalla l. n. 223 del 1991, art. 4, 3° comma, atteso che il vizio di siffatta
comunicazione invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti.
In proposito ritiene il collegio di dover dare continuità giuridica al principio, di recente riaffermato da
questa corte nella materia di cui trattasi, secondo il quale in tema di procedure di mobilità e di
licenziamento collettivo, la comunicazione alle r.s.a. di inizio della procedura ha sia la finalità di far
partecipare le organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del personale, sia di rendere
trasparente il processo decisionale datoriale nei confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere
estromessi dall’azienda.
Pertanto il vizio di tale comunicazione non è ex se sanato dalla successiva stipulazione di accordo sindacale
di riduzione del personale e dalla indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare, ed
il giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque
verificare — con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità ove
assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria — l’adeguatezza della originaria comunicazione di
avvio della procedura (Cass. 2 marzo 2009, n. 5034, Foro it., 2009, I, 1011; 11 luglio 2007, n. 15479, id., Rep.
2008, voce Lavoro (rapporto), n. 1648).
La mancata indicazione nella comunicazione suddetta di tutti gli elementi previsti nel citato art. 4, fra cui la
limitazione dell’ambito dei criteri di scelta, determina, insanabilmente, l’inefficacia dei successivi
licenziamenti.
E tale conclusione è suffragata dalla previsione testuale della norma di cui all’art. 5 l. 223/91 secondo cui le
previste esigenze tecnico-produttive devono essere riferite al «complesso aziendale»; ciò in forza
dell’esigenza di ampliare al massimo l’area in cui operare la scelta, onde approntare idonee garanzie contro
il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere
quanto più si restringe l’ambito della selezione.
La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità è dunque
consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, ragioni che si traggono dalle
indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, 3° comma, quando cioè gli esposti motivi
dell’esubero e le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la
platea dei lavoratori oggetto della scelta ad un determinato settore o reparto.
Orbene, nel caso di specie la corte territoriale ha posto in rilievo come la dizione contenuta nell’accordo in
data 28 novembre 2003 non appariva «chiarissima»; e tale rilievo è condiviso da questa corte di legittimità
laddove il riferimento, che si legge in tale accordo, alle «caratteristiche dell’organizzazione aziendale» ed
alla «autonomia delle diverse unità produttive», non chiarisce in alcun modo quali siano le concrete ragioni
poste a fondamento della suddetta limitazione della platea dei lavoratori interessati alla riduzione di
personale. E sul punto devesi evidenziare che tale riduzione può essere limitata — per come detto — agli
addetti ad un determinato reparto o settore (o, come nel caso di specie, ad una determinata sede) solo
sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale, essendo
onere del datore provare il fatto che determina l’oggettiva limitazione di queste esigenze, e giustificare il
più ristretto spazio nel quale la scelta è stata effettuata (Cass. 29 aprile 2009, n. 9991, non massimata; 23
giugno 2006, n. 14612, id., Rep. 2006, voce cit., n. 1621).
Né può ritenersi che in tal modo, inserendo il tema relativo alla conformità della comunicazione di avvio
della procedura di riduzione del personale ai dettami dell’art. 4, 3° comma, l. 223/91, il campo di indagine
verrebbe allargato a questioni rimaste totalmente estranee alla decisione impugnata. Giova in proposito
evidenziare che, per come emerge dal contenuto del proposto ricorso per cassazione, la dipendente con
l’atto introduttivo del giudizio aveva contestato anche la comunicazione di avvio della procedura, e la
società, nella memoria di costituzione del 1° marzo 2005, aveva fatto riferimento alla lettera di apertura
della procedura ed aveva altresì svolto le proprie difese in ordine alla regolarità e specificità del contenuto
della comunicazione suddetta; ed emerge altresì che alla predetta comunicazione di avvio la società ha
fatto riferimento anche nel presente ricorso per cassazione. Di talché il rilievo in parola non può trovare
accoglimento.
Ne deriva, alla stregua delle riflessioni sopra esposte, l’infondatezza del suddetto motivo di ricorso.
(Omissis)
Cass., sez. lav., 20-01-2011, n. 1253.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 19.2.2004 il Tribunale di Roma ha accolto la domanda proposta in data 9.7.2002 da
P.A., dipendente della società Poste Italiane spa con mansioni di retrosportellista, volta ad ottenere
l'accertamento della illegittimità del licenziamento per riduzione di personale intimatogli con decorrenza
1.1.2002, in esito alla procedura di mobilità collettiva di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24.
La sentenza è stata riformata dalla Corte d'Appello di Roma che, in accoglimento del gravame interposto
dalla società Poste Italiane spa, ha respinto l'originaria domanda.
Con la citata sentenza la Corte d'Appello ha ritenuto infondata la tesi del lavoratore secondo cui
l'asserita eccedenza di personale sarebbe stata contraddetta dalle numerose assunzioni effettuate dalla
società nel periodo 2001-2002 proprio nei settori recapito e sportelleria, interessati al processo di
ristrutturazione, osservando sullo specifico punto che, in ogni caso, il dato non assumeva nella specie un
rilievo significativo posto che il ricorrente "non rientrava fra quei lavoratori addetti al settore recapito
funzione di portalettere nè al servizio di sportelleria rispetto alle cui posizioni era stata evidenziata la
contraddittorietà della condotta della società Poste".
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione
P.A., affidandosi ad un unico motivo cui resiste con
controricorso la società Poste.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del
1991, artt. 4, 5 e 24, assumendo che con la sentenza impugnata la Corte d'Appello, nel rigettare la
domanda del lavoratore, non avrebbe considerato che la società aveva effettuato numerose assunzioni
nel periodo successivo al licenziamento anche presso il servizio al quale era addetto il ricorrente e non
avrebbe, inoltre, preso in esame l'ulteriore argomentazione proposta dal lavoratore in ordine alla
possibilità di una sua ricollocazione in altro settore di lavorazione.
2.- Il motivo è infondato. E' sufficiente osservare, al riguardo, che il ricorrente non indica specificamente
quali siano le fonti di prova dalle quali dovrebbe inferirsi il fondamento del proprio assunto, per quanto
riguarda in particolare il dedotto ricorso della società Poste a numerose assunzioni di personale nel
periodo coevo al licenziamento, e non ne riporta comunque il contenuto, limitandosi soltanto ad
affermare che "a seguito della esibizione dei documenti da parte delle stesse Poste Italiane in sede di
primo grado, emergevano dati inconfutabili che dimostravano massicce assunzioni a partire dal 2001 e
che presupponevano una irreale crisi aziendale" (cfr. pag. 6 del ricorso per cassazione).
3.- E' evidente che una siffatta formulazione non è idonea a porre in condizione il giudice di legittimità di
valutare, senza dover consultare gli altri atti processuali, la rilevanza e la pertinenza delle ragioni di
dissenso del ricorrente rispetto alla decisione impugnata.
Fermo restando il rilievo assorbente della considerazione che precede, deve osservarsi, peraltro, che la
Corte d'Appello, motivando sullo specifico punto, ha osservato che, comunque, anche a voler dare rilevanza
alla circostanza delle nuove assunzioni, il dato relativo ad assunzioni effettuate nei servizi recapito e
sportelleria non assumeva, nella specie, un rilievo significativo, posto che il ricorrente, addetto a
mansioni di c.d. retrosportelleria, non rientrava tra i lavoratori addetti ai settori nei quali erano state
effettuate le nuove assunzioni (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). La censura avrebbe,
dunque, dovuto contestare l'adeguatezza della motivazione in punto di individuazione del settore al
quale era adibito il ricorrente e di quello nel quale erano avvenute le assunzioni (e cioè del settore
recapito e sportelleria), punti che invece non sono stati fatti oggetto di valide censure sotto il profilo
dell'osservanza dell'obbligo della motivazione - essendosi il ricorrente limitato a dedurre
genericamente ed in modo apodittico che quanto affermato dalla Corte d'Appello "non trova riscontro
nella realtà" -, con conseguente inadeguatezza anche del quesito di diritto sub 1), con il quale si chiede
di affermare che costituisce violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24, l'attuazione della
procedura di mobilità "alla luce delle successive numerose assunzioni di personale esterno, sia stabile che
precario, anche nell'area operativa, servizio di retrosportelleria, a cui era addetto il ricorrente".
Per completezza, va ricordato poi che, come ripetutamente affermato da questa Corte - cfr. Cass.
8269/2004, Cass. 11455/99, Cass. 8603/92 - condotte datoriali, quali la richiesta di svolgimento di lavoro
straordinario, l'assunzione di nuovi lavoratori o la devoluzione all'esterno dell'impresa di parte della
produzione, successive al licenziamento collettivo, non sono suscettibili di incidere sulla validità del
licenziamento stesso, una volta che la procedura di mobilità si sia svolta nel rispetto dei vari adempimenti
previsti dalla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, ove non risulti la necessità di colmare vuoti di organico
originati ingiustificatamente dal processo di ristrutturazione, e ove non si sia in presenza di un
ampliamento dell'attività economica dell'impresa, non giustificata sulla base delle ragioni che hanno
portato alla riduzione del personale, sicchè non sarebbe neppure sufficiente dedurre che vi è stata
l'assunzione di nuovi lavoratori per escludere sic et simpliciter la legittimità del ricorso alla procedura
di mobilità. 4.- Anche la deduzione secondo cui il licenziamento del P. dovrebbe ritenersi disposto in
violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 "anche alla luce del fatto che questi, visto il suo
inquadramento, ben poteva essere ricollocato nelle mansioni per le quali era stato assunto, ovvero di
perito elettromeccanico, o ad altra mansione equivalente", è infondata, posto che in materia di
licenziamenti collettivi, a differenza che nel caso di licenziamento plurimo individuale, il datore di lavoro
non ha l'onere di dimostrare l'impossibilità di utilizzare il lavoratore in altre mansioni compatibili con
la qualifica rivestita (cfr. ex multis, Cass. 7620/98), ma piuttosto quello di specificare, con la
comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, fra gli altri, i motivi tecnici, organizzativi e produttivi per i
quali ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla situazione di eccedenza del
personale e ad evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità. Ed a tale riguardo è stato altresì
precisato che il datore di lavoro non ha l'obbligo di indicare specificamente tutti i rimedi astrattamente
possibili per far fronte allo stato di crisi, nè le ragioni dell'impossibilità di adottarli, giacchè questi - nella
logica stessa ed alla luce delle finalità di intervento e controllo da parte delle organizzazioni sindacali
cui la comunicazione de qua è preordinata - non possono che avere come riferimento la situazione
della singola azienda, di talchè è sufficiente esporre le ragioni per cui, nell'ambito dello specifico
contesto aziendale, non siano praticabili le misure cui più frequentemente ed efficacemente si
ricorre per evitare la dichiarazione di esubero del personale (Cass. 24646/2007, Cass. 4228/2000);
dovendo rimarcarsi anche come la valutazione dell'adeguatezza di tali comunicazioni, valutazione che
deve essere compiuta anche in relazione al fine che la comunicazione stessa persegue, che è quello di
sollecitare e favorire la gestione contrattata della crisi, spetta al giudice di merito, la cui decisione,
se sorretta da un motivazione corretta sul versante logico e giuridico, non è ricorribile davanti al giudice di
legittimità. 5.- Il ricorso va quindi rigettato.
6.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in
Euro 37,00 oltre Euro 2.000,00 per onorario, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011
Cass., sez. lav., 14-02-2011, n. 3597.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Tribunale di Palermo, Giudice del lavoro, con sentenza n. 5155, del 25 novembre 2005, dichiarava
inefficace il licenziamento intimato dalla società SINTEX s.p.a. nei confronti di
B.F., ai sensi della L.
n. 223 del 1991, artt. 4 e 24, in ragione di un asserito "ridimensionamento strutturale dell'impresa,
variazioni delle condizioni di mercato e conseguenti problemi di natura finanziaria", e condannava la
suddetta società a reintegrare B. F. nel posto di lavoro ed a risarcire al medesimo il danno subito,
versandogli un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a
quella della effettiva reintegrazione, oltre accessori di legge, nonchè al versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali.
La società SINTEX veniva condannata al pagamento delle spese processuali.
2. La suddetta società impugnava la citata pronuncia dinanzi alla Corte d'Appello di Palermo, la quale, con
sentenza n. 966 del 2007, confermava la decisione di primo grado e condannava la ricorrente al
pagamento delle spese di giudizio.
3. Ricorre per la cassazione della sentenza d'appello la società SINTEX prospettando due motivi di ricorso.
4. Resiste con controricorso
B.F..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1256,
1463 e 1464 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio.
La ricorrente premette che, ai sensi dell'art. 115 c.p.c., il giudice deve porre alla base delle proprie decisioni
le prove proposte dalle parti, da valutare ai sensi del successivo art. 116. Deduce, quindi, che, ai sensi degli
articoli del codice civile sopra richiamati, era sopravvenuta l'oggettiva impossibilità dell'adempimento
della prestazione consistente nella reintegrazione di
B.F. nel posto di lavoro, in quanto come si
poteva evincere dalla documentazione prodotta in atti - con effetto dal 30 settembre 2005, si era
realizzata la cessazione di ogni attività dello stabilimento di (OMISSIS), al quale lo stesso era addetto.
Espone la società SINTEX, altresì, di aver prodotto in primo grado documentazione contenente
l'indicazione dei reparti della sede di Palermo, dalla quale la Corte d'Appello di Palermo avrebbe potuto
evincere come la sede da ultimo richiamata avesse al suo interno soggetti preposti a mansioni
amministrative o tecnico specialistiche, mentre nello stabilimento di (OMISSIS) i lavoratori erano
impiegati esclusivamente per compiti di produzione.
B.F. era impiegato nello stabilimento di (OMISSIS), nell'area produzione ed assemblaggio di schede
elettroniche, e le relative mansioni non avevano nulla a che vedere con le attività della sede di (OMISSIS).
Pertanto, in ragione dell'impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro, la Corte d'Appello
avrebbe dovuto limitarsi alla condanna al risarcimento del danno a vantaggio del lavoratore, in ragione
delle sole retribuzioni maturate sino al 30 settembre 2005. 1.1. In relazione al suddetto motivo di ricorso
veniva prospettato il seguente quesito di diritto, così articolato:
se, ai sensi degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., qualora lo stabilimento cui il lavoratore era addetto sia
stato chiuso, e non sia possibile il suo utilizzo in altre sedi del datore di lavoro, il risarcimento del danno
vada limitato alle sole retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella in cui si è realizzata la
sopravvenuta impossibilità di un proficuo utilizzo del lavoratore all'interno dell'organizzazione produttiva
del datore di lavoro;
se, qualora l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle in cui prestava la sua
attività risulti dimostrata da un documento prodotto in atti e non contestato, il Giudice debba considerare
il fatto dimostrato, ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c..
1.2. Occorre premettere che il quesito di diritto, di cui all'art. 366 bis c.p.c., applicabile, nella specie,
ratione temporis (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) trattandosi di impugnazione per cassazione di
sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006, deve consistere in una chiara sintesi logicogiuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui
dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od
il rigetto del gravame. Ne consegue che è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito
manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei
motivi d'impugnazione (Cass., S.U., sentenza n. 11650 del 2008).
1.3. E' opportuno, altresì, precisare che la sentenza della Corte d'Appello di Palermo ha affermato che la
società SINTEX, nelle comunicazioni finali di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, avrebbe dovuto
specificare le ragioni per cui i lavoratori, in relazione alla loro professionalità, non avrebbero potuto
essere utilizzati in altri reparti dell'azienda, cosicchè la scelta, invece di essere effettuata su un numero più
ampio di dipendenti, era stata operata in relazione ai dipendenti addetti al reparto soppresso, ed ha
ritenuto, quindi, che poichè dalla comunicazione del 12 febbraio 2004 nulla si evinceva in proposito,
correttamente il giudice di primo grado aveva affermato la sussistenza della violazione della L. n. 223 del
1991, suddetto art. 4, comma 9.
La Corte d'Appello ha asserito che a fronte di tale vizio di natura formale, "il cui rilievo è pregiudiziale
ed assorbente", assolutamente priva di rilievo era la richiesta, formulata dalla società in primo grado
di mezzi istruttori volti a dimostrare l'impossibilità di utilizzare altrove i lavoratori.
Ha statuito, inoltre, che la chiusura dello stabilimento aziendale cui era addetto il lavoratore licenziato,
non escludeva, in linea di principio, la possibilità per l'impresa di reintegralo nel posto di lavoro,
eventualmente trasferendolo ad altre unità produttive; la società SINTEX nulla aveva dedotto e
provato, in ordine all'impossibilità di operare la reintegrazione, presso altre strutture aziendali,
cosicchè l'eccezione di sopravvenuta impossibilità della prestazione, diretta a limitare la condanna al
solo risarcimento del danno, affermava il giudice di appello, non poteva che essere respinta.
1.3. Tanto premesso, è palese che il quesito proposto con riguardo al vizio di violazione di legge, come
articolato, risulta privo di ogni attinenza al decisum, sicchè la risposta al medesimo, anche qualora
positiva per il richiedente, non vale a risolvere la questione decisa, che riguarda l'illegittimità della
comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4; a ciò consegue, in parte qua, la inammissibilità del ricorso.
1.4 Per altro verso, non è fondato il vizio di motivazione prospettato con il primo motivo di ricorso, in
ordine al capo della decisione d'appello sulla mancanza di prova circa l'impossibilità da parte del datore di
lavoro di adibire il lavoratore ad altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita in relazione al
contenuto professionale dell'attività svolta in precedenza peraltro, secondo la giurisprudenza di questa
Corte da collegare alla situazione esistente al momento del recesso, ovvero ad un arco temporale idoneo
a dimostrare la ragionevolezza e correttezza dell'agire datoriale nella decisione di risolvere il rapporto
(Cass., sentenza n. 2621 del 2008).
Nella specie, come si è sopra ricordato, la sentenza impugnata ha ritenuto che nulla era stato dedotto e
provato in merito alla impossibilità di operare la reintegrazione presso altre strutture aziendali.
L'accertamento in questione costituisce valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità ove
congruamente motivato, nè in ricorso si lamenta la omessa valutazione di circostanze emerse in causa,
decisive per dimostrare che non esistevano altri posti di lavoro adeguati (limitandosi la ricorrente ad
effettuare, in ragione di documentazione già prodotta in primo grado dalla quale "la Corte avrebbe
dunque dovuto ritenere", una sintetica mera elencazione di reparti e generici compiti relativi alla sede di
(OMISSIS)), solo in tal modo, infatti, sarebbe individuabile il dedotto difetto di motivazione.
2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 1123 e 1227 c.c., in relazione alla L.
n. 300 del 1970, art. 18; violazione dell'art. 420 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Deduce la ricorrente che, in ragione della normativa richiamata, l'indennità dovuta in caso di
licenziamento illegittimo deve essere ridotta tenuto conto del cosiddetto aliunde perceptum, e che,
pertanto, poichè il lavoratore, dopo la decisione di primo grado, aveva avviato un rapporto di lavoro con
altro soggetto, come dedotto tempestivamente nel ricorso in appello, l'indennità di cui all'art. 18 della
legge n. 300 del 1970 avrebbe dovuto essere ridotta. Essa ricorrente, al fine di dimostrare tale attività
aveva deferito giuramento decisorio al lavoratore. La Corte d'Appello, inoltre, aveva omessa di
considerare come aliunde perceptum l'importo dell'indennità di mobilità. 2.1. In ordine al suddetto
motivo di ricorso è stato prospettato il seguente quesito di diritto, articolato come segue:
se, ai sensi degli artt. 1223 e 1227 c.c., qualora il lavoratore trovi un'occupazione tra la pronunzia del
dispositivo della sentenza di primo grado e l'inizio del giudizio di appello, la relativa retribuzione possa
essere considerata aliunde perceptum ai fini della riduzione dell'indennità di cui all'art. 18 dello statuto
dei lavoratori;
se la dimostrazione di quanto indicato sopra sia sottoposto alle preclusioni di cui agli artt. 416 e 420
c.p.c., nonostante il fatto controverso sia avvenuto al termine del giudizio di primo grado.
2.2. Il suddetto motivo non è fondato.
Da un lato, con riguardo al prospettato aliunde perceptum costituito da reddito da lavoro, il motivo di
ricorso è generico e non rispetta il canone dell'autosufficienza, nel senso che il ricorso non espone,
neppure richiamando atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio, quelle
specifiche circostanze per cui l'allegazione sarebbe stata tempestiva e così impedisce al giudice di
legittimità una completa cognizione dell'oggetto. Ed infatti, la Corte d'Appello ha ritenuto inammissibile il
motivo di impugnazione volto al riconoscimento dell'aliunde perceptum in quanto non fornito di prova in
ordine al momento in cui essa ricorrente era venuta a conoscenza della circostanza dedotta a fondamento
dell'eccezione, al fine di ritenere la tempestività dell'allegazione, con la conseguente inammissibilità
e dell'eccezione e del giuramento decisorio.
Per altro verso, questa Corte ha già avuto modo di affermare che le indennità previdenziali non possono
essere detratte dalle somme alle quali il datore di lavoro è stato condannato, dovendosi ritenere esse
non acquisite in via definitiva dal lavoratore e ripetibili dagli Istituti previdenziali (Cass., sentenze n.
10531 del 2004, n. 6265 del 2000).
3. In ragione delle argomentazioni esposte il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro
2000 per onorari, oltre IVA e CPA e oltre esborsi liquidati in Euro 35.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011
Cass., sez. lav., 09-06-2011, n. 12544.
FATTO E DIRITTO
1. Ansaldo Energia spa chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di Genova, pubblicata
il 10 marzo 2006, che ha respinto l'appello contro la decisione con la quale il Tribunale di quella stessa
città aveva accolto il ricorso di
G.E..
2. Tribunale e Corte d'appello hanno ritenuto che il G. venne illegittimamente collocato in CIG e hanno
condannato la società a corrispondergli le differenze retributive conseguenti; hanno inoltre dichiarato
illegittimo il licenziamento intimato con lettera del 23 luglio 1999, ordinando la reintegrazione nel posto
di lavoro e la condanna al risarcimento del danno ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18. 3. Sono state
ritenute violate più norme in materia di collocazione in CIG e di licenziamenti collettivi contenute nella L. n.
164 del 1975 e della L. n. 223 del 1991. 4. Il ricorso della Ansaldo è articolato in tre motivi. Il G. si è
difeso con controricorso. Ansaldo ha depositato una memoria.
5. Con il primo motivo Ansaldo denunzia violazione della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del
1991, art. 1, nonchè violazione dell'art. 2697 c.c.. Il quesito di diritto è duplice: 1. in caso di ricorso alla
CIGS, il lavoratore che intenda far valere l'illegittimità della scelta è tenuto a provare non solo
l'esistenza di diversi criteri di selezione, ma anche a dimostrare che la loro applicazione avrebbe
comportato la sospensione di altro lavoratore, ovvero che la propria sospensione sia stata determinata da
motivi discriminatori. 2. ove il datore di lavoro e i sindacati abbiano contrattualmente convenuto un
unico criterio di scelta, costituito dalla possibilità di accedere al prepensionamento, e si rendesse
possibile il mantenimento in servizio di alcuni
lavoratori prepensionabili, tale fatto implica
automaticamente la pretestuosità ed illegittimità del criterio di scelta concordato o l'accertamento
giudiziale deve essere indirizzato solamente alla fase attuativa della concreta applicazione di quello
concordato secondo il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto? 6. Con il
secondo motivo si denunzia violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, nonchè dell'art. 1, comma 7,
della medesima legge e dell'art. 2697 c.c.. Il quesito di diritto è il seguente:
"allorquando il criterio di scelta convenuto con il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali è un criterio
del tutto automatico, come nel caso in esame ove era espressamente previsto uno soltanto e, in
particolare, il possesso dei requisiti per fruire dell'indennità di mobilità lunga è possibile formare una
graduatoria su altri diversi elementi?". 7. Con il terzo motivo si denunzia violazione della L. n. 223 del
1991, art. 5, nonchè dell'art. 116 c.c.. Il quesito è il seguente:
"nell'ipotesi in cui le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine ed in presenza di tempestiva
articolazione dei mezzi di prova si impone l'utilizzo dei poteri istruttori di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c.,
sollecitati da tale materiale probatorio". 8. Nel terzo motivo non vi è attinenza tra le norme che si
assumono violate dalla Corte ed il quesito di diritto. Il secondo motivo da per acquisito che il criterio di
scelta adottato nell'accordo sindacale sia del tutto automatico, mentre proprio questo presupposto è in
discussione.
9. Al di là di queste incongruenze, le contestazioni delle motivazioni della Corte, da valutare
congiuntamente data la loro stretta correlazione, risultano prive di fondamento.
10.La censura centrale e decisiva investe la parte della sentenza in cui si afferma che il criterio
concordato non è univoco: Ansaldo assume che il giudizio della Corte di Genova si baserebbe su di una
lettura non corretta dell'accordo e in generale degli atti di causa.
Tale censura non è condivisibile.
11. E' vero infatti che costituisce criterio di scelta oggettivo quello per cui i lavoratori da porre in
mobilità "vengono individuati sulla base del raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di
anzianità entro il periodo di decorrenza dell'indennità di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 7, comma 1".
Tuttavia, questa oggettività rimane puramente teorica, perchè nell'accordo
collettivo
viene
concordato che rispetto all'applicazione di tale criterio sono "fatte salve le competenze professionali
necessarie alla gestione delle aziende, da queste discrezionalmente identificate". 12. Fissata una regola
oggettiva, si introduce la possibilità di derogarla a discrezionalità dell'azienda.
13. Correttamente Tribunale e Corte d'appello di Genova hanno rilevato l'illegittimità di tale modo di
operare.
14. La L. n. 223 del 1991, art. 5, sancisce che "l'individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve
avvenire, in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale, nel
rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all'art. 4, comma 2, ovvero,
in mancanza di questi contratti, nel rispetto dei seguenti criteri, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia;
b) anzianità; c) esigenze tecnico- produttive ed organizzative". 15. Dalla lettura della norma si desume che
il criterio o i criteri concordati con i sindacati devono essere oggettivi al pari di quelli indicati dalla legge.
Possono sicuramente essere diversi da quelli legislativi, ma non possono essere criteri basati sulla
discrezionalità. 16. Un criterio basato sulla discrezionalità non è verificabile, mentre la legge impone "il
rispetto dei criteri" e quindi da per presupposto che la loro applicazione sia verificabile. Un criterio non
verificabile, in realtà, non è un criterio di scelta, è un diverso modo di fondare il potere di scelta, che
prescinde dal rispetto di un criterio oggettivo. E questo vale per tutte le regole contenute nell'accordo,
tanto quelle che individuano i criteri, quanto quelle che, eventualmente, consentono deroghe alla
loro applicazione.
17. I su indicati principi sono stati costantemente affermati dalla giurisprudenza di questa Corte nella
esegesi della L. n. 223 del 1991. Si è sempre specificato che, ai fini della individuazione dei lavoratori da
collocare in cassa integrazione o da porre in mobilità, i criteri di scelta devono consentire di formare
una graduatoria rigida che consenta di essere controllata, non potendo sussistere un margine di
discrezionalità da parte del datore di lavoro (cfr.: Cass., 10 maggio 2002, n. 6765; Cass. 20 giugno 2006, n.
14728; Cass., 22 marzo 2010, n. 6841). Persino nel caso in cui sia stato individuato un unico criterio di
scelta, di per sè oggettivo, costituito dalla presenza in capo ai lavoratori dei requisiti per il collocamento in
pensione, si è ritenuto che tale criterio diviene illegittimo, quando, applicato nella situazione concreta,
risulti insufficiente ad individuare in maniera univoca i dipendenti da licenziare, perchè coloro che si
trovano in questa situazione risultano più numerosi dei lavoratori licenziati (così: Cass., 2 settembre
2003, n. 12781 e Cass., 27 gennaio 2011, n. 1938), rilevando che in tutti i casi in cui la scelta contiene
un elemento di discrezionalità la procedura regolata dalla L. n. 223 del 1991 viene vanificata.
18. Ne consegue che, come si è detto, nel caso di specie quanto concordato non può considerarsi
legittimo perchè, ad integrazione del criterio basato sul possesso da parte dei lavoratori dei requisiti
per il pensionamento, si introduce un elemento di rilevante discrezionalità, riconoscendo la possibilità di
fare salve "le competenze professionali necessarie alla gestione delle aziende, da queste
discrezionalmente identificate". 19. Deve, pertanto, affermarsi il seguente principio di diritto: "i criteri di
scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, individuati dai contratti collettivi ai sensi della L. n. 223
del 1991, art. 5, devono essere, tutti ed integralmente, basati su elementi oggettivi e verificabili, in
modo da consentire la formazione di una graduatoria rigida e da essere controllabili in fase applicativa,
e non possono implicare valutazioni di carattere discrezionale, neanche sotto forma di possibile
deroga all'applicazione di criteri in sè oggettivi". 20. Diventa superfluo esaminare le ulteriori motivazioni
della sentenza e le relative censure, nonchè le altre ragioni di illegittimità esposte nel controricorso.
21. Il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della parte che perde il giudizio alla
rifusione delle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione alla controparte delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30,00, nonchè Euro 4.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e
spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2011
CIGO/CIGS
Cass., sez. lav., 18-02-2011, n. 4053.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Torino,
S.
V. conveniva in giudizio il datore di lavoro FIAT
Auto s.p.a. e, assumendo l'illegittimità della sua collocazione in cassa integrazione guadagni
straordinaria (cigs) per il periodo 9.12.02- 30.11.03, ne chiedeva la condanna al pagamento della
differenza tra quanto percepito a titolo di integrazione e quanto spettante a titolo di retribuzione.
2.- Il Tribunale accoglieva la domanda, rilevando che la comunicazione di apertura della procedura
sindacale del 31.10.82 era formulata in termini generici ed indeterminati quanto ai criteri da adottare per
la scelta dei lavoratori da collocare in cigs, che non erano stati chiariti neppure in corso della procedura
poi conclusa dall'accordo 18.3.03. In particolare, il giudice escludeva che l'obbligo del datore di
comunicare alle Oo.ss., fin dal momento dell'apertura della procedura, i criteri di individuazione e le
modalità di rotazione, previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 1, comma 7, fosse venuto meno per
l'intervento del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, recante norme per la semplificazione del procedimento
per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria e di integrazione salariale.
3.- Proposto appello da FIAT Auto, la Corte d'appello di Torino con sentenza depositata il 24.10.06,
quantunque con diversa motivazione, rigettava l'impugnazione.
Affermava la Corte di merito che il D.P.R. n. 218, art. 2, comma 5, ha modificato la procedura di
concessione della cigs ed ha sostituito la disciplina della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, facendo
venir meno l'obbligo per l'imprenditore di comunicare per iscritto alle Oo.ss., fin dall'inizio della
procedura, i criteri di scelta e le ragioni dell'eventuale mancata previsione della rotazione tra i dipendenti
e ponendo, carico del datore medesimo solo l'obbligo di indicare al momento del successivo esame
congiunto (previsto dalla L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5) le ragioni tecnico-organizzative della
eventuale mancata adozione dei meccanismi di rotazione ed i criteri di scelta, onde consentirne l'esame in
contraddittorio con le Oo.ss.. Non risultando, tuttavia, dal verbale dell'esame congiunto riferimenti ai
criteri di scelta, il giudice traeva la conclusione che nel caso di specie i criteri in questione non avessero
costituito oggetto di discussione.
In ogni caso le ragioni ostative al criterio della rotazione, non erano state dal datore rese note alle
Oo.ss., secondo quanto richiesto dal D.P.R. n. 218, art. 2, comma 5, atteso che la dichiarazione di
non poter ricorrere alla rotazione contenuta nella comunicazione di avvio della procedura del 31.10.02
era sul punto lacunosa e comunque incongrua in relazione tanto alle dimensioni dell'azienda, che
avrebbero facilmente consentito la fungibilità delle professionalità omogenee nelle linee di produzione dei
diversi modelli, quanto al contenuto dell'accordo raggiunto il 18.3.03 che invece prevedeva criteri di
rotazione.
Non assumevano, inoltre, valore sanante della comunicazione iniziale nè il verbale redatto presso il
Ministero del Lavoro il 5.12.02, atteso che il dato rilevante è la preventiva indicazione dei criteri in
questione, nè lo stesso raggiungimento dell'accordo 18.3.03, che riteneva non validamente raggiunto tra
l'azienda e la rappresentanza sindacale unitaria, atteso che la volontà collegiale di quest'ultima non era
correttamente formata.
4.- Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione FIAT Group Automobiles s.p.a. (nuova
denominazione di Fiat Auto s.p.a.), cui risponde
S. con controricorso e ricorso incidentale
condizionato, a sua volta contrastato con controricorso dal ricorrente principale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.- Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei due ricorsi ex art. 335 c.p.c..
Sempre in via preliminare deve rigettarsi la richiesta, avanzata dalla parte controricorrente nella
memoria presentata ex art. 378 c.p.c., di dichiarare inammissibile il ricorso principale per l'intervenuta
definizione del procedimento per repressione del comportamento antisindacale, promosso dalle Oo.ss.
nei confronti di Fiat, per violazione degli oneri di informazione nell'ambito della procedura collettiva che
ha condotto all'applicazione della cigs di cui ora si discute.
La difesa di parte controricorrente ha prodotto le sentenze di questa Corte 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n.
15393 che rigettano il ricorso per cassazione di Fiat avverso la sentenza di appello che riteneva
sussistente
il
comportamento antisindacale
e
dichiarava l'illegittimità dei provvedimenti di
sospensione in cigs adottati a seguito della procedura avviata con la comunicazione del 31.10.02.
Dalla pronunzia di queste sentenze deriverebbero per la controricorrente le seguenti conseguenze
giuridiche:
a) il comportamento antisindacale da luogo ad un comportamento plurioffensivo e la rimozione dei suoi
effetti comporta l'adozione di provvedimenti direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei singoli
lavoratori;
b) l'obbligo di comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, è configurabile come una
particolare fattispecie di obbligazione solidale attiva e/o indivisibile, di modo che le pronunzie in
questione, intervenute tra FIAT e le Oo.ss., possono essere fatte valere ai sensi dell'art. 1306 c.c. da tutti
gli altri creditori (in questo caso i lavoratori) contro il debitore;
c) ai sensi dell'art. 2909 c.c. - ove l'espressione che "il giudicato fa stato tra le parti" dovrebbe essere letta
nel senso che "il giudicato fa stato nei confronti delle parti" - gli effetti delle due sentenze potrebbero
estendersi all'odierno controricorrente.
Rileva il Collegio che - fermo restando l'ingresso nel giudizio delle due sentenze, in quanto precedenti di
questa Corte - con la memoria ex art. 378 c.p.c. possono essere solo illustrate questioni già trattate nel
ricorso e nel controricorso e non possono essere dedotte questioni di diritto nuove, seppure sotto forma
di eccezione di inammissibilità del ricorso. Conseguentemente, le questioni sub a) e b), del tutto
estranee all'odierno giudizio di legittimità non possono essere prese in considerazione.
Con la questione sub c) si deduce, nella sostanza l'esistenza di un giudicato esterno di cui si chiede
l'affermazione anche tra le parti.
Il giudicato è, tuttavia, insussistente in quanto le pronunzie invocate dal controricorrente non
possono spiegare la stessa autorità in un diverso giudizio, dato che il giudicato sostanziale opera
soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone - a differenza di quanto
qui riscontrabile - che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, oltre che la
petitum e di causa petendi (giurisprudenza consolidata, v. per tutte Cass. 27.01.06 n. 1760).
6.- Con otto motivi di ricorso Fiat deduce, assieme alle altre norme di seguito indicate e sotto molteplici
profili, la violazione del D.P.R. n. 218, art. 2, per le erronee conseguenze tratte dal giudice di merito
dall'interpretazione della norma quale sostitutiva della disciplina procedurale per la concessione della cigs
prevista dalla L. n. 223 del 1991.
Tali profili possono essere riassunti come segue.
6.1.- Primo motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e degli artt. 1325, 2697 e 2725 c.c., quanto
all'affermazione che sarebbe stato onere dell'imprenditore dare prova scritta dell'esito dell'esame
congiunto in punto di criteri di scelta dei lavoratori, in quanto la Corte di merito, pur riconoscendo il
carattere innovativo del decreto, ne ha poi disatteso la ratio imponendo - in violazione del principio della
libertà di forma - l'onere della forma scritta letteralmente non previsto, dato che la norma prevede
solo la tempestiva comunicazione alla R.s.u. dell'intenzione di richiedere la cigs ed il successivo esame
congiunto di tutti gli aspetti della cassa integrazione che hanno riflessi sul personale (durata, numeri dei
dipendenti coinvolti, criteri di scelta e modalità di rotazione), alla presenza degli organi amministrativi.
Questa nuova disciplina normativa assegna fondamentale rilievo, invece, alla fase concertativa rispetto
all'impostazione precedente, fondata su passaggi burocratici meramente formali destinati a favorire
la verifica del controllo giudiziario, senza far venire meno la tutela dei lavoratori, che è demandata
all'azione ed alla forza contrattuale delle Oo.ss., nonchè al ruolo di controllo della P.A. 6.2.- Secondo
motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e dell'art. 2697 c.c., con ulteriore denunzia di carenza
di motivazione, in quanto il giudice, ritenendone necessaria la verbalizzazione integrale, ha omesso di
intraprendere ogni ulteriore attività istruttoria circa il l'esame congiunto, negando l'espletamento
della prova testimoniale e non prendendo in esame la documentazione depositata in atti (in particolare il
testo della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 5.12.02), la quale ultima aveva un consistente
valore indiziario circa l'espletamento dell'esame congiunto. In ogni caso la comunicazione iniziale
indicava tutti i possibili profili della procedura (ivi compresi i criteri di scelta e le ragioni di esclusione della
rotazione), dal che avrebbe dovuto dedursi che su di essi si sarebbe svolta anche la successiva fase di
esame.
6.3.- Terzo motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e degli artt. 1325 e 2697 c.c., con riferimento
all'onere di indicare per iscritto le ragioni ostative alla rotazione, che non è affermato dalla norma, che
invece mira solo al risultato sostanziale dell'esame durante il confronto con i sindacati, e non era
oggetto di comunicazione scritta neppure nella disciplina della L. n. 223 del 1991, che imponeva di
indicare all'inizio della procedura solo le modalità di rotazione e non anche le ragioni ad essa ostative.
6.4.- Quarto motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e dell'art. 2697 c.c., con ulteriore denunzia di
carenza di motivazione, quanto all'indicazione delle ragioni ostative alla rotazione, sottolineandosi
nuovamente che il giudice in forza dell'erronea affermazione della necessità della prova scritta,
esclusa l'ammissibilità della prova testimoniale, si è sottratto ad ogni istruttoria circa la comunicazione e
la discussione intervenuta al riguardo, in particolare ignorando l'accordo raggiunto con la mediazione
governativa nel dicembre 2002 e degli impegni conseguenti assunti da Fiat, la quale all'esito dell'esame
congiunto aveva mutato la propria linea iniziale intesa a negare disponibilità alla rotazione, accettando
di applicarla con le modalità definite nell'accordo 18.3.03. 6.5.- Quinto motivo, violazione del D.P.R. n.
218, art. 2, in relazione all'affermazione che l'indicazione dell'esclusione della rotazione, pur indicata
nella comunicazione di avvio della procedura del 31.10.02, era inconsistente, essendo stati invece
adottati criteri di rotazione con l'accordo 18.3.03. L'affermazione si basa su una interpretazione statica del
D.P.R. n. 218, art. 2, senza tenere conto che la norma consente di dare una diversa valutazione della
rotazione in momenti diversi della procedura sindacale, nel senso che per ragioni contingenti e
valutazioni di carattere economico l'imprenditore può determinarsi in maniera diversa a quanto
sostenuto all'inizio della procedura.
6.6.- Sesto motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e ulteriore denunzia di carenza di motivazione a
proposito della considerazione assegnata al verbale di esame congiunto redatto in sede ministeriale il
5.12.02. Tale atto, attestando all'esito della mediazione governativa il regolare svolgimento della
procedura di consultazione, costituiva prova idonea sia dell'esame congiunto dei criteri di scelta sia
della comunicazione delle ragioni ostative alla rotazione e non avrebbe dovuto essere ignorato dal giudice
di merito sulla base del solo argomento che le ragioni ostative alla rotazione avrebbero dovuto essere
indicate necessariamente per iscritto. Ne sarebbe derivata l'illegittima disapplicazione di un atto
pubblico a contenuto certificativo, escludendo la possibilità di Fiat di provare di avere di aver ottenuto
la concessione del trattamento di cigs in base ad una corretta procedura.
6.7.- Settimo motivo, violazione dell'art. 1362 c.c., comma 2, e art. 2697 c.c. in relazione alla regolarità
della stipulazione degli accordi sindacali 18.3.03 e 22.7.03, nonchè carenza di motivazione, avendo il
giudice ritenuta non validamente formata la volontà della Rappresentanza sindacale unitaria stipulante in
base ad accertamenti compiuti da altro giudice in una sentenza non passata in giudicato, avente ad
oggetto opposizione a decreto emanato ex art. 28 statuto lavoratori a seguito di denunzia di
comportamento antisindacale tenuto da FIAT nell'ambito della procedura sindacale preliminare alla
dichiarazione dello stato di crisi aziendale.
La Corte di merito avrebbe dovuto, inoltre, tener conto del legittimo affidamento del datore circa la
rappresentatività della controparte sindacale, competendo al lavoratore - attore in causa - l'onere di
dimostrare i pretesi vizi dell'accordo e la circostanza che FIAT non ignorava la situazione reale. In ogni caso,
la stessa Corte avrebbe erroneamente ricostruito le circostanze per le quali poteva sostenersi
l'invalidità della volontà delle R.s.u., attribuendo al rappresentante FIAT dichiarazioni in realtà rese a
verbale da un rappresentante sindacale.
6.8.- Ottavo motivo, violazione del D.P.R. n. 218, art. 2 e carenza di motivazione, lamentandosi la mancata
valutazione in concreto della posizione soggettiva del dipendente in causa, in quanto, ove per la mancanza
dell'esame congiunto in punto di criteri di scelta fosse stata dichiarata illegittima tutta procedura, pur
tuttavia avrebbe dovuto valutarsi se la scelta di collocare il lavoratore in cigs fosse coerente in
relazione ai criteri di scelta concretamente indicati ab initio nella comunicazione di avvio della
procedura sindacale.
7.- Con ricorso incidentale condizionato
S. deduce violazione della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20,
in relazione alla L. n. 164 del 1975, art. 5, L. n. 223 del 1991, art. 1 e D.P.R. n. 218, art. 2. E' contestata
l'affermazione della Corte di merito secondo la quale il D.P.R. n. 218, art. 2, comma 5, ha modificato la
procedura di concessione della cigs ed ha sostituito la disciplina della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7,
spostando l'obbligo per l'imprenditore di comunicare per iscritto alle oo.ss. i criteri di scelta e le ragioni
dell'eventuale mancata previsione della rotazione tra i dipendenti dall'inizio della procedura al momento
dell'esame congiunto, sostenendosi che questa interpretazione renderebbe detto art. 2 illegittimo
perchè adottato oltre i termini della delega della L. n. 59 del 1997.
In ogni caso, la delegificazione introdotta dal D.P.R. n. 218 deve essere ritenersi limitata al solo
procedimento amministrativo e non anche sui diritti soggettivi dei lavoratori interessati alla
collocazione in cigs e sui diritti di informativa sindacale non attinenti alla fase amministrativa in senso
stretto dell'intera procedura.
8.- L'esame del primo motivo del ricorso principale richiede - per quanto occorre - una breve premessa di
carattere legislativo.
8.1.- Sul piano normativo, deve osservarsi che la L. 23 luglio 1991, n. 223 - che introduce una visione
organica della cigs, ricollegandone la fruizione a particolari requisiti soggettivi dell'impresa e
all'esistenza di uno stato di crisi aziendale, nonchè alla proposizione da parte dell'imprenditore di precisi
programmi, limitati nel tempo -prevede che dopo l'accertamento dello stato di crisi e l'approvazione dei
programmi di superamento della stessa e per tutta la loro durata, all'esito di una articolata procedura, il
Ministero del Lavoro con proprio decreto conceda il trattamento straordinario di integrazione salariale
(artt. 1 e 2).
Il datore di lavoro deve scegliere i lavoratori da collocare in cigs adottando meccanismi di rotazione tra i
dipendenti che svolgono le stesse mansioni e sono occupati nell'unità produttiva interessata. I "criteri di
individuazione dei lavoratori" e "le modalità della rotazione" sono oggetto di consultazione sindacale, in
forza del dettato normativo, che impone la loro comunicazione alle Oo.ss. e l'esame congiunto di cui alla
L. 20 maggio 1975, n. 164, art. 5.
Qualora il datore, per ragioni di carattere tecnico-organizzativo connesse al mantenimento dei normali
livelli di efficienza, non intenda attuare meccanismi di rotazione dovrà indicarne i motivi nel programma
di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8).
Il Ministro del lavoro, pur approvando il programma e concedendo la cassa integrazione, può ritenere non
giustificata la non adozione della rotazione e promuovere un incontro tra le parti sul punto. Ove non si
pervenga ad un accordo entro tre mesi dalla data della concessione del trattamento di integrazione il
Ministro stesso stabilisce l'adozione di meccanismi di rotazione sulla base delle proposte formulate dalle
parti (comma 8, secondo periodo).
8.2.- Su tale assetto normativo intervenne il D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, emanato a seguito della delega
conferita dall'art. 20 della legge di semplificazione amministrativa 15.3.97 n. 59, che inserì il procedimento
per la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria regolato dalla L. n. 223 del 1991 tra
quelli sottoposti a delegificazione mediante regolamento emesso ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400,
art. 17, comma 2, (art. 20, comma 8, in relazione al n. 90 dell'allegato 1 alla legge stessa).
Il D.P.R. n. 218 del 2000, art. 2 regolamenta l'esame congiunto della situazione aziendale e testualmente
prevede che:
"1. L'imprenditore che intende richiedere l'intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente
o tramite l'associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da tempestiva
comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni
sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.
2. Entro tre giorni dalla comunicazione di cui al comma 1 è presentata, dall'imprenditore o dagli
organismi rappresentativi dei lavoratori di cui al medesimo comma, domanda di esame congiunto della
situazione aziendale.
3. La richiesta di esame congiunto è presentata:
a) al competente ufficio individuato dalla regione nel cui territorio sono ubicate le unità aziendali
interessate dall'intervento straordinario di integrazione salariale, qualora l'intervento riguardi unità
aziendali ubicate in una sola regione;
b) al Ministero del lavoro e della previdenza sociale - Direzione generale dei rapporti di lavoro, qualora
l'intervento riguardi unità aziendali ubicate in più regioni. In tal caso, l'ufficio richiede, comunque, il parere
delle regioni interessate.
4. Agli incontri per l'esame congiunto della situazione aziendale in sede regionale partecipano anche
funzionali della direzione provinciale del lavoro o della direzione regionale del lavoro, a seconda che
l'intervento di integrazione salariale straordinaria riguardi unità produttive ubicate in una sola provincia o
in più province della medesima regione.
5. Costituisce oggetto dell'esame congiunto il programma che l'impresa intende attuare, comprensivo
della durata e del numero dei lavoratori interessati alla sospensione, nonchè delle misure previste per
la gestione di eventuali eccedenze di personale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e
le modalità della rotazione tra i lavoratori occupati nelle unità produttive interessate dalla sospensione.
L'impresa è tenuta ad indicare le ragioni tecnico-organizzative della mancata adozione di meccanismi di
rotazione.
6. L'intera procedura di consultazione, attivata dalla richiesta di esame congiunto, si esaurisce entro i
venticinque giorni successivi a quello in cui è stata avanzata la richiesta medesima, ridotti a dieci per le
aziende fino a cinquanta dipendenti".
Dalla sovrapposizione di queste due fonti normative (L. n. 223, art. 1 e D.P.R. n. 218, art. 2) nasce il
problema del coordinamento della disciplina della fase di avvio della procedura di ammissione alla cigs,
sotteso alla presente controversia ed oggetto principale del ricorso in esame.
8.3.- I rapporti tra le due fonti sono stati definiti dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che la
disciplina del D.P.R. n. 218 non abroga la L. n. 223 del 1991 e lascia, quindi, intatti gli oneri di
comunicazione fissati dall'art. 1 di quest'ultima. Il D.P.R. n. 218 non incide, infatti, sulle disposizioni del
combinato disposto della L. n. 164 del 1975, art. 5 e della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7 - riguardanti
l'obbligo datoriale di comunicare in avvio della procedura per l'integrazione salariale alle organizzazioni
sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonchè le modalità di rotazione poste da
tali disposizioni in capo dell'imprenditore - atteso che la disciplina da esso fissata attiene unicamente alla
fase propriamente amministrativa del procedimento di concessione della integrazione salariale (Cass.
28.11.08 n. 28464).
Gli argomenti adottati a sostegno di questa impostazione, secondo cui il D.P.R. n. 218 ha lo scopo di
semplificare il procedimento amministrativo che consente l'autorizzazione della cigs e non di alterare il
complesso di garanzie assicurato dalla L. n. 223 del 1991 a tutela dei singoli lavoratori e delle
organizzazioni sindacali, sono di ordine sistematico e di ordine testuale.
Sul piano sistematico, si osserva che mentre gli organi pubblici (CIPI, Ministero del lavoro) partecipano
all'accertamento della crisi ed emanano i conseguenti provvedimenti amministrativi, sono i soggetti
privati (datore e organizzazioni sindacali) chiamati a gestire la crisi aziendale, secondo la disciplina della L.
n. 223 del 1991, che svolge una funzione garantistica delle posizioni di diritto soggettivo riconosciute ai
lavoratori nonchè delle prerogative istituzionali delle Organizzazioni sindacali. Esiste, dunque,
distinzione tra procedimento amministrativo volto all'emissione del provvedimento concessorio e la
gestione della cassa integrazione ad opera di soggetti che agiscono in regime privatistico, della quale la
comunicazione dei criteri di scelta e l'individuazione delle modalità di applicazione di detti criteri
costituisce un significativo passaggio.
A riprova viene menzionata la giurisprudenza di legittimità per la quale in materia di integrazione salariale,
le posizioni di diritto soggettivo dei privati nascenti dal provvedimento di ammissione dell'impresa alla
cassa integrazione degradano ad interesse legittimo ove intervengano atti amministrativi di annullamento
o di revoca di tale provvedimento (Cass. S.u. 11.1.07 n. 310; Cass. 27.1.06 n. 1732), mentre
all'interesse legittimo si sostituisce la piena posizione di diritto nel rapporto tra imprenditore (o
lavoratori) e INPS nascente dal provvedimento di ammissione (Cass. S.u. 10.8.05 n. 16780).
Quanto ai riferimenti di carattere testuale, si rileva che nel D.P.R. n. 218 la semplificazione è riferita a
singoli momenti del procedimento amministrativo, quali gli atti iniziali ("la domanda di intervento
straordinario", art. 3), gli accertamenti ispettivi (art. 4), i termini di conclusione del procedimento (art. 8),
la validità ed efficacia del provvedimento (art. 9), e mai al complesso delle garanzie apprestato dalla L. n.
223. Inoltre, si rimarca che tra le disposizioni esplicitamente abrogate dal D.P.R. n. 218, art. 13 non è
inclusa alcuna disposizione della L. n. 223.
In conclusione, dunque, deve affermarsi con la già richiamata sentenza n. 28464 del 2008 che per la
scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione, la L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, prescrive che
il datore di lavoro comunichi alle Organizzazioni sindacali i criteri di scelta dei lavoratori da
sospendere, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 164 del 1975, art. 5. Tale disposizione tutela, nella
gestione della cassa integrazione, i diritti dei singoli lavoratori e le prerogative delle Organizzazioni
sindacali, anche dopo l'entrata in vigore della disciplina del D.P.R. 10 giugno 2000, n. 218, atteso che tale
disciplina non incide con effetto abrogativo o modificativo sulle suddette disposizioni ma è volta
unicamente a diversamente regolamentare il procedimento amministrativo, di rilevanza pubblica, di
concessione di integrazione salariale.
Ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta per quel che riguarda gli obblighi di rilevanza
collettiva del datore di lavoro (L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8), precisando, altresì, che la più volte
richiamata normativa regolamentare non ha spostato l'informazione circa i criteri di scelta e le
modalità della rotazione dal momento iniziale della comunicazione datoriale di avvio della procedura di
integrazione salariale a quello, immediatamente successivo, dell'esame congiunto, in quanto, altrimenti, il
contenuto della norma di cui al D.P.R. n. 218 cit., art. 2 sarebbe estraneo all'esigenza di semplificazione
del procedimento amministrativo e avrebbe come conseguenza solo l'alleggerimento degli oneri della
parte datoriale con la compressione dei diritti di informazione spettanti al sindacato, dando luogo ad
un sistema di consultazione sindacale palesemente inadeguato (Cass. 9.6.09 n. 13240 e 1.7.09 n. 15393,
entrambe emanate a conclusione del procedimento per condotta antisindacale promosso dalle Oo.ss.
nei confronti di Fiat con riferimento alla procedura di cigs ora in esame avviata con la comunicazione
del 31.10.02).
Sulla base di queste considerazioni può ritenersi corretto l'assunto del giudice di merito che - pur dopo
l'entrata in vigore del D.P.R. n. 218 del 2000 - la comunicazione che il datore, ai sensi della L. n. 164 del
1975, art. 5, è tenuto a dare alle rappresentanze sindacali aziendali debba contenere l'indicazione dei
criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità della rotazione, i quali solo
successivamente dovranno costituire oggetto del successivo esame congiunto.
9.- Deve essere, dunque, disatteso l'assunto interpretativo da cui è partito il giudice di merito ed in tal
senso deve essere corretta la sentenza impugnata quanto ai rapporti tra le due fonti normative.
Consegue il rigetto del primo motivo di ricorso ed il conseguente assorbimento dei motivi da due a sei,
che sono tutti diretti a contestare l'impostazione seguita dal giudice di merito nell'ambito del suo
(peraltro errato) percorso argomentativo, che pone a carico del datore ulteriori obblighi di carattere
formale e procedurale non riscontrabili sul piano legislativo.
10.- Con il settimo motivo parte ricorrente sostiene che erroneamente il giudice di merito avrebbe
escluso il carattere sanante degli accordi 18.3.03 e 22.7.03 ritenendoli non riconducibili all'organo
sindacale collegiale espresso dalla rappresentanza sindacale unitaria; così facendo cattivo governo dei
criteri di ermeneutica e dei principi di affidamento e di buona fede.
Di tale motivo deve qui rilevarsi l'irrilevanza, essendo esso basato sul presupposto che ogni eventuale vizio
della procedura (sindacale ed amministrativa) di applicazione della cassa integrazione possa essere
sanato da uno o più accordi che, intervenuti a procedura già iniziata, hanno il carattere di gestione
dell'applicazione dell'istituto.
La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2.8.04 n. 14721, 21.8.03 n. 12307 ed altre) si è espressa nel senso
invocato dalla ricorrente Fiat nel caso che l'accordo fosse di per sè risolutivo, nel senso che il suo
contenuto fosse esaustivo delle esigenze conoscitive e di esternazione imposte dal combinato normativo
della L. n. 164, art. 5 e della L. n. 223, art. 1, commi 7 e 8, in quanto in tal caso avrebbe costituito solo un
formalismo inutile imporre al datore di comunicare alle Oo.ss. quei criteri di selezione che proprio con
esse ha elaborato (Cass. 3.5.04 n. 8353).
Premessa l'inconferenza del richiamo al secondo accordo - intervenuto a causa già iniziata e, con
statuizione non impugnata sul punto, escluso dal giudice di merito da ogni considerazione - con
riferimento all'accordo 18.3.03 detta giurisprudenza non è applicabile per una circostanza di fatto ed
una di carattere logico.
Sotto il primo punto di vista, infatti, deve rilevarsi che esso - essendo intervenuto a procedura già
iniziata e quando molte centinaia di lavoratori erano già stati posti in cassa integrazione - per come
sintetizzato nel ricorso e per come interpretato dal giudice di merito, si limita a formulare un generale
sistema di rotazione a partire dall'aprile 2003, senza peraltro indicare il procedimento di individuazione
dei soggetti interessati, il che esclude il requisito dell'esaustività sopra rilevato.
Inoltre, per il fatto di essere intervenute a procedura già iniziata, le modalità concordate in sede di
accordo non possono soddisfare all'essenziale esigenza cui la preventiva comunicazione imposta dalle
norme sopra indicate è preposta, e cioè quella di consentire (non solo alle Oo.ss. di confrontarsi sul punto,
ma anche) ai lavoratori coinvolti nella procedura - tanto prima che dopo il raggiungimento dell'accordo di verificare se l'utilizzo della cassa integrazione da parte del datore di lavoro sia coerente al programma di
superamento della crisi adottato e, quindi, di consentire la tutela della loro posizione individuale, nella
sostanza controllando il potere del datore di collocarli in cassa integrazione (v. anche Cass. 10.5.10 n.
11254).
Tale inidoneità funzionale rende superfluo l'esame del motivo in oggetto.
11.- E' infondato anche l'ottavo motivo, formulato a contestazione della omessa valutazione l'idoneità dei
criteri di scelta comunque fissati dalla comunicazione 31.10.82 di avvio della procedura in relazione alla
specifica posizione del lavoratore interessato.
Considerato che la Corte d'appello ha rilevato l'inidoneità dei criteri di rotazione ivi indicati, deve
ricordarsi che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato che il provvedimento di
sospensione dall'attività lavorativa è illegittimo qualora il datore di lavoro, "sia che intenda adottare il
meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai
fini dell'esame congiunto, gli specifici criteri, eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei
lavoratori che debbono essere sospesi", e che tale illegittimità può essere fatta valere dai lavoratori
interessati davanti al giudice ordinario per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non integrata,
(v. S.u. n. 302 del 2000, citata).
Il giudice di merito - seppure nell'ambito di un diverso percorso argomentativo - si è conformato a questo
principio, avendo ritenuto la comunicazione 31.10.02 lacunosa ed evanescente e tale da non poter
giustificare la scelta di non adottare meccanismi di rotazione.
Trattasi di valutazione di merito congruamente motivata (e come tale non suscettibile di censura in sede di
legittimità), che smentisce l'omessa valutazione denunziata con il motivo in esame.
12.- In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato.
Tale rigetto comporta l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e debbono
essere distratte a favore del difensore sottoscrittore del controricorso dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, così provvede:
- rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale;
- condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro per esborsi ed in Euro 2.000
per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa, con 1 distrazione a favore dell'avv. Bruno Cossu.
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2011
REPUBBLICA ITALIANA
Ud. 08/04/10
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO R.G.N. 17233/2006
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
20735/2006
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSELLI
Federico
- Presidente Dott. MONACI
Stefano
- Consigliere Dott. CURCURUTO Filippo
- Consigliere Dott. NOBILE
Vittorio
- rel. Consigliere Dott. CURZIO
Pietro
- Consigliere ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SIEMENS S.P.A (gia' SIEMENS MOBILE COMMUNICATIONS S.P.A.), in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo studio dell'avvocato SILVETTI
CARLO, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del
ricorso;
- ricorrente contro
B.R.;
- intimato sul ricorso 20735-2006 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO VERA
19, presso lo studio dell'avvocato D'AMBROSIO RODOLFO, rappresentato
e difeso dall'avvocato NAPPI SEVERINO, giusta mandato a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
SIEMENS S.P.A.;
- intimata avverso la sentenza n. 6945/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI,
depositata il 06/02/2006 r.g.n. 2995/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/04/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA
Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso
principale e dell'incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con
ricorso del 17-6-2002
B.R., dipendente della
societa' Siemens dal 3-7-1972, collocato in cassa integrazione per un
semestre dal 27-8-2001, successivamente prorogato per un altro
semestre dal 21-2-2002, lamentava la mancata rotazione prevista dalla
L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e dal D.P.R. n. 218 del 2000,
art.
2,
nonche' il mancato esperimento dell'esame
congiunto
obbligatorio previsto e la mancata sottoposizione alla valutazione
sindacale dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e della
verifica della possibilita' di applicare il criterio della rotazione
alla scadenza del primo semestre.
Il
ricorrente, pertanto, chiedeva la condanna della
societa'
convenuta al risarcimento del danno pari alle retribuzioni non pagate
nella misura specificata oltre interessi e rivalutazione.
La societa' si costituiva chiedendo il rigetto della domanda di
controparte o, in subordine, la compensazione della somma richiesta
dal lavoratore con quella di Euro 1.800,00 ricevuta dallo stesso in
esecuzione dell'accordo sindacale del 18-6-2002.
Con sentenza del 14-11-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di
Napoli respingeva la domanda e compensava le spese.
Il
B. proponeva appello avverso la detta sentenza, con ricorso
del 31-12-2003, chiedendone la riforma con l'accoglimento della
domanda.
La societa' si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 6-2-2006,
in accoglimento dell'appello e previa disapplicazione dell'atto
amministrativo autorizzativo. condannava la societa' al risarcimento
del danno consistente nel pagamento di tutte le retribuzioni non
corrisposte, previa detrazione di quanto percepito a titolo di CIGS
nonche' della somma di cui all'accordo del 18-6-2002 versata dalla
societa', oltre interessi e rivalutazione.
In sintesi la Corte territoriale, premessa la necessita' della
preventiva comunicazione alle oo.ss. in vista dell'esame congiunto
anche dei motivi ostativi al meccanismo della rotazione, rilevava che
dalla lettura degli atti si evinceva che la decisione di non adottare
il criterio della rotazione non era stata in alcun modo giustificata
dalla societa' (e cio' era confermato in sede di verbale di accordo).
La Corte aggiungeva, poi, che sotto altro profilo, stante tale
decisione, illegittimamente era mancata la preventiva, tempestiva e
specifica comunicazione dei criteri di scelta ed era venuto meno
anche l'esame congiunto su tali criteri, come risultava dalla
documentazione agli atti.
Infine la Corte di merito rilevava che era stato altresi' violato lo
stesso
accordo sindacale, in quanto, contrariamente a
quanto
previsto, trascorsi i sei mesi iniziali non si era provveduto ad
effettuare alcuna verifica in ordine alla possibilita' i applicare
almeno parzialmente la rotazione tra i lavoratori, senza fornire
alcuna plausibile giustificazione di tale omissione e senza mai
giustificare la mancata adozione di tale meccanismo.
Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Siemens ha proposto
ricorso con due motivi.
Il
B. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso
incidentale con un unico motivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art.
335 c.p.c., osserva il Collegio che nella fattispecie, essendo la
sentenza impugnata stata depositala anteriormente all'entrata in
vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, non trova applicazione ratione
temporis l'art. 366 bis c.p.c. (ora abrogato dalla L. n. 69 del
2009), per cui neppure assumono rilevanza i quesiti formulati dalla
ricorrente principale e dal ricorrente incidentale.
Con il primo motivo del ricorso principale la societa', denunciando
violazione della L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, art. 1362 e
segg. c.c., art. 41 Cost. e vizi di motivazione, censura la impugnata
sentenza nella parte in cui ha ritenuto che "la decisione di non
adottare il criterio della rotazione non e' stata in alcun modo
giustificata dalla societa'".
In particolare la ricorrente deduce:
che gia' nella memoria difensiva di primo grado aveva chiarito "che
non era possibile per i primi sei mesi adottare la rotazione in
quanto il numero limitato di eccedenze, incidente su tutte le
funzioni aziendali, rendeva non fungibili tra loro le persone delle
aree coinvolte";
che gli accordi del 5-7-2001 e 13-7-2001 ("valutate le motivazioni
addotte dall'azienda in merito non si procedera' ad effettuare
rotazione ...") e la comunicazione del 12-7-2001 in
sostanza
"confermavano l'esistenza di un esame congiunto circa la valutazione
sull'impossibilita' di ricorrere alla rotazione";
che,
peraltro, con Decreto 6-3-2003 il Ministero del
Lavoro
autorizzava l'intervento in CIGS per crisi aziendale, approvando il
progetto e autorizzando la non adozione della rotazione.
Con il secondo motivo la ricorrente principale, denunciando vizi
analoghi, censura la decisione della Corte d'Appello nella parte in
cui ha ritenuto sussistente ''un ulteriore profilo di illegittimita'"
nella omessa comunicazione dei criteri di scelta adottati per
individuare il personale da porre in CIGS.
In sostanza la societa' deduce:
che
il
tenore letterale dell'accordo del 5-7-2001
escludeva
chiaramente che fosse mancato l'esame congiunto da parte delle
OO.SS.;
che con lettera del 6-7-2001 "aveva chiesto l'esame congiunto con il
confronto
anche sui criteri di individuazione dei
lavoratori
segnalati quali le esigenze tecniche, organizzative e produttive";
che con la lettera del 12-7-2001 aveva ulteriormente specificato tali
criteri;
che con la risposta del 13-7-2001 la R.S.U. aveva ribadito che
considerava "esaustivo il punto 5 dell'accordo sottoscritto il 5
luglio 2001";
che pertanto vi erano stati "espliciti riconoscimenti negoziali delle
OO.SS. in ordine alla comunicazione ed all'esame dei criteri di
scelta".
I detti motivi, che in quanto connessi possono essere trattati
congiuntamente,
risultano
in
parte
infondati
e
in
parte
inammissibili.
In base all'indirizzo consolidato dettato da questa Corte, "in caso
di
intervento
straordinario
di
integrazione
salariale
per
l'attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o
conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di
personale, il provvedimento di sospensione dall'attivita' lavorativa
e' illegittimo qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare
il meccanismo della rotazione sia nel caso contrario, ometta di
comunicare
alle
organizzazioni sindacali, ai fini
dell'esame
congiunto,
gli specifici criteri, eventualmente diversi
dalla
rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbono essere
sospesi,
tale illegittimita' potendo essere fatta valere
dai
lavoratori
interessati davanti al giudice ordinario,
in
via
incidentale, per ottenere il pagamento della retribuzione piena e non
integrata'" (v. per tutte Cass. S.U. 11-5-2000 n. 302, che ha
chiarito che la violazione dell'obbligo della comunicazione, da un
lato, integra una vera e propria ipotesi di condotta antisindacale e,
dall'altro, "investendo un elemento essenziale (e non meramente
formale o marginale) della complessa fattispecie, e' causa diretta di
illegittimita' del provvedimento finale, perche' preclude la mancata
verifica del corretto esercizio del potere del datore di lavoro e
impedisce il perseguimento dello scopo previsto dalla legge (la
tutela della posizione dei singoli lavoratori coinvolti
nella
procedura), di tal che "l'inosservanza della suddetta garanzia
procedimentale, implicante la mancata attuazione del principio di
trasparenza, incide direttamente sul medesimo provvedimento finale di
concessione del beneficio").
Ai
fini,
quindi, della legittimita' della sospensione
della
retribuzione per i lavoratori collocati in CIGS l'azienda e' tenuta a
comunicare i motivi per i quali non vengano adottati i meccanismi di
rotazione ed i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere
(v. L. n. 223 del 1991, art. 1, commi 7 e 8 D.P.R. n. 218 del 2000,
art. 2 commi 1 e 5) e "la regolamentazione della materia e'
finalizzata alla tutela, oltre che degli interessi pubblici e
collettivi, soprattutto di quelli dei singoli lavoratori" (v. Cass.
19-8-2003 n. 12137), per cui questi ultimi possono agire "per
ottenere
il
ripristino del rapporto ed il
pagamento
della
retribuzione piena e non integrata, restando tale diritto insensibile
alle vicende interessanti il piano delle relazioni sindacali e gli
eventuali accordi intervenuti in quella sede" (v. Cass. 4-5-2009 n.
10236).
Agli stessi fini, poi, questa Corte ha chiarito che la specificita'
dei criteri di scelta "consiste nella idoneita' dei medesimi ad
operare la selezione e nel contempo a consentire la verifica della
corrispondenza della scelta ai criteri" (v. Cass. 23-4-2004 n. 7720,
cfr. Cass. 18-5-2006 n. 11660, Cass. 3-7-2009 n. 15694) e da ultimo,
ha precisato che "la comunicazione di apertura della procedura di
trattamento di integrazione salariale assolutamente generica in
ordine ai criteri in base ai quali pervenire all'individuazione dei
dipendenti interessati alla sospensione (nella specie individuati
nelle
"esigenze tecniche, organizzative e produttive" e nelle
"esigenze professionali e funzionali") tale da rendere impossibile
qualunque valutazione coerente tra il criterio indicato e
la
selezione
dei
lavoratori da sospendere, viola
l'obbligo
di
comunicazione previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 1, comma 7, e
tale violazione non puo' ritenersi sanata dall'effettivita' del
confronto con le organizzazioni sindacali, trovandosi queste ultime a
dover interloquire sul tema senza essere a conoscenza del contenuto
specifico dei dati da trattare", (v. Cass. 9-6-2009 n. 13240, Cass. 17-2009 n. 15393).
La
verifica,
infine,
della adeguatezza
della
comunicazione
costituisce, comunque, valutazione di merito non censurabile in sede
di legittimita', ove sia assistita da motivazione sufficiente e priva
di vizi logici.
Orbene la sentenza impugnata, correttamente applicando tali principi
e
con
motivazione congrua, ha ritenuto, la
genericita'
ed
inadeguatezza della comunicazione del 6-7-2001, da un lato circa i
motivi della mancata adozione di meccanismi di rotazione, dall'altro
con riguardo ai criteri di scelta adottati per individuare il
personale da collocare in CIGS.
Al riguardo la Corte di merito, sul primo profilo, in sostanza ha
osservato che la comunicazione aziendale citata enunciava soltanto
che la contrazione dell'attivita' produttiva si era resa necessaria
ed urgente a causa della crisi in atto e sarebbe stata attuata "in
relazione a 130 lavoratori di cui 11 della filiale di Napoli
individuati in base ai criteri delle esigenze tecniche, organizzative
e produttive" e che "allo stato non era prevista rotazione dei
lavoratori interessati, sempre per ragioni di ordine
tecnicoorganizzativo connesse al mantenimento dei normali livelli
di
efficienza".
La Corte territoriale ha, poi, rilevato che le "esigenze tecniche,
organizzative e produttive" vennero specificate in qualche modo
soltanto con la successiva comunicazione del 12-7-2001 che, peraltro,
precedeva "di un solo giorno" il verbale di accordo del 13-7-2001
(con il quale le parti si dettero reciprocamente atto che "valutate
le motivazioni addotte dall'azienda in merito" non si sarebbe
proceduto "ad effettuare rotazione di personale collocato in cassa
integrazione per i primi sei mesi del periodo di utilizzo del
medesimo strumento").
Sul secondo profilo, parimenti, la Corte di merito ha ritenuto che
"in sostanza e' mancata la preventiva, tempestiva e specifica
comunicazione dei criteri di scelta ed e' venuto meno anche l'esame
congiunto su tali criteri".
In particolare la Corte d'Appello ha rilevato che dalla semplice
lettura del testo della comunicazione del 6-7-2001 e del verbale di
accordo preliminare del 5-7-2001 "si evince che la societa' non ha
individuato
alcuno specifico criterio di selezione riferendosi
genericamente alle esigenze tecniche, organizzative e produttive",
"mentre soltanto nella comunicazione del 12-7-2001 si accenna a
qualche ulteriore elemento di individuazione, pur senza chiarire in
concreto quali particolari competenze professionali sarebbero state
preferite e quali specifiche pregresse esperienze sarebbero state in
concreto valorizzate".
La Corte ha altresi' osservato che la tardivita' di tale ultima
comunicazione "non ha consentito, in sostanza, alle forze sindacali
di svolgere alcuna valutazione preventiva se si esclude la oscura e
telegrafica risposta inviata in data 13-7-2001 dalla R.S.U" (nella
quale si considera "esaustivo il punto 5 dell'accordo sottoscritto il
5-7-2001") ed ha evidenziato che, infatti, nel verbale del 13-7-2001
"non si fa alcun accenno alle precisazioni di cui alla missiva del
giorno precedente (evidentemente neanche esaminata in tale sede dalle
parti) e l'unico riferimento e' rivolto al precedente verbale di
accordo del 5-7-2001, il quale conteneva soltanto generiche e vaghe
indicazioni sui criteri di scelta da adottare".
Tali
accertamenti di merito, congruamente motivati e
fondati
sull'attento esame anche degli elementi di fatto invocati dalla
ricorrente
principale, resistono entrambi alle
censure
della
societa', la quale del resto ripropone la propria valutazione delle
risultanze di causa, sollecitando una revisione del ragionamento
decisorio, inammissibile in questa sede (v. Cass. 7-6-2005 n. 11789,
Cass. 6-3-2006 n. 4766).
Cosi' respinto il ricorso principale va dichiarato assorbito il
ricorso incidentale (sostanzialmente condizionato), con il quale il
B.
ha
riproposto in questa sede
la
domanda
relativa
"all'ulteriore
profilo
di
illegittimita'
della
sospensione
conseguente
al trasferimento del ricorrente ad
altra
unita'
produttiva, domanda, "riproposta in appello", che "non e' stata
oggetto
di
pronuncia rimanendo assorbita nella decisione
di
accoglimento
degli
ulteriori profili
di
illegittimita'
del
procedimento di sospensione in integrazione salariale".
Il
rigetto del ricorso principale, infatti, con la
conferma
dell'accoglimento della domanda sotto tali ultimi profili, assorbe
l'esame della questione sollevata con il ricorso incidentale.
Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente principale va
condannata al pagamento delle spese in favore del
B..
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara
assorbito il ricorso incidentale, condanna la ricorrente principale
al pagamento in favore del
B., delle spese, liquidate in Euro
31,00 oltre Euro 2.500,00 di onorari, oltre spese generali, IVA e
CPA.
Cosi' deciso in Roma, il 8 aprile 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010
Cass., sez. lav., 10-11-2010, n. 22864.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 9 - 27.3.2006 la Corte d'Appello di Perugia respinse il gravame proposto dall'Inps nei
confronti della Sirci srl (oggi Sirci spa) avverso la pronuncia di prime cure che aveva accolto, previa
riunione dei procedimenti instaurati, le domande
della Società dirette al riconoscimento
dell'infondatezza delle pretese dell'Istituto, il quale, a seguito di accertamento ispettivo, le aveva
contestato omissioni contributive per il periodo dicembre 1995 - gennaio 1997, derivanti dall'avere
indebitamente usufruito delle agevolazioni di cui alla legge n. 223/91 in relazione all'assunzione di
lavoratori già dipendenti della Nuova Sirci srl, con cui la Sirci srl aveva concluso un contratto intitolato quale
affitto di azienda.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che, nonostante la suddetta intitolazione del
contratto, nel medesimo non poteva ravvisarsi l'affitto di azienda ostativo all'applicazione delle
agevolazioni de quibus, poichè:
- era documentato che, tramite le organizzazioni sindacali e in conformità a quanto previsto dalla L. n.
428 del 1990, art. 47, dall'affitto erano stati esclusi i rapporti di lavoro, così come i debiti e i crediti
dell'azienda, nè vi era stato subentro della Sirci srl nelle utenze di energia elettrica, acqua e gas (in
relazione alle quali era stata prevista la stipulazione di nuovi contratti di fornitura);
- il complesso dei beni di cui la Sirci srl aveva acquistato la disponibilità non era pertanto
"sovrapponibile" a quello di cui disponeva
la Nuova Sirci srl, sia sotto
il
profilo
dell'organizzazione che del patrimonio;
- si era trattato pertanto di un contratto di affitto di più beni produttivi, riorganizzati autonomamente
dalla Sirci srl;
- nè quest'ultima poteva ritenersi obbligata ad assumere il personale della Nuova Sirci srl, perchè
l'impegno, assunto in sede sindacale, ad interpellarli prioritariamente nell'eventualità di assunzioni non
equivaleva all'obbligo di procedere alle medesime.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale, l'Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su
due motivi.
L'intimata Sirci spa ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l'Istituto ricorrente denuncia violazione di legge (art. 2112 c.c.; L. n. 428 del 1990,
art. 47, comma 5, in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 8), deducendo l'insussistenza dei presupposti di
applicabilità della L. n. 428 del 1990, ridetto art. 47, comma 5, e, comunque, l'estraneità delle relative
previsioni alla materia dei benefici contributivi di cui alla L. n. 223 del 1991.
Con il secondo motivo l'Istituto ricorrente denuncia violazione di legge (artt. 2112 e 2555 c.c.; L. n. 264 del
1949, art. 215, comma 6;
L. n. 223 del 1991, art. 8), nonchè vizio di motivazione, deducendo che erroneamente la Corte territoriale
aveva ritenuto l'insussistenza del dedotto affitto di azienda tra la Nuova Sirci srl e la Sirci srl, utilizzando un
non condivisibile criterio al fine del relativo accertamento, limitando la propria indagine ai soli dati
testuali e valorizzando elementi di giudizio privi di decisività; il corretto riconoscimento dell'effettiva
sussistenza dell'affitto di azienda avrebbe per contro portato ad escludere l'applicabilità dei benefici
contributivi de quibus, posto che l'assunzione del personale da parte dell'impresa affittuaria non
rispondeva a reali esigenze economiche e realizzava una condotta elusiva degli scopi legislativi
funzionalizzata al godimento degli incentivi.
2. I due motivi, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.
2.1 Osserva il Collegio che la fattispecie in esame riguarda la procedura di collocamento in mobilità,
regolata dalla L. n. 223 del 1991, art. 8 e, in particolare, l'indennità riconosciuta ai lavoratori collocati
in mobilità; in relazione a tale procedura il predetto art. 8 prevede che al datore di lavoro che, senza
esservi tenuto, assuma a tempo pieno ed indeterminato i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, è
concesso uno specifico beneficio, e cioè un contributo mensile pari al cinquanta per cento
dell'indennità di mobilità che sarebbe stata corrisposta ai lavoratori (a seconda delle diverse previsioni
per un numero di mesi non superiore a dodici ovvero a ventiquattro ovvero a trentasei mesi).
Allo scopo di evitare condotte fraudolente, funzionalizzate unicamente all'ottenimento di contributi
pur in assenza di condizioni economiche e di mercato capaci di giustificarli, il legislatore, con il D.L. n. 229
del 1994, art. 2 (convertito, con modificazioni, nella L. n. 451 del 1994) ha introdotto nel predetto art. 8,
comma 4 bis, in base al quale "il diritto ai benefici economici di cui ai commi precedenti è escluso con
riferimento a quei lavoratori che siano stati collocati in mobilità, nei sei mesi precedenti, da parte di
impresa dello stesso o di diverso settore di attività che, al momento del licenziamento, presenta
assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell'impresa che assume ovvero risulta con
quest'ultima in rapporto di collegamento o controllo.
L'impresa che assume dichiara, sotto la propria responsabilità, all'atto della richiesta di avviamento,
che non ricorrono le menzionate condizioni ostative". 2.2 Come questa Corte ha già avuto modo più volte
di osservare, il riconoscimento dei benefici contributivi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 8, commi 2 e
4, presuppone che venga accertato che la situazione di esubero de personale posto in mobilità sia
effettivamente sussistente e che l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di detto personale da
parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concretizzi invece condotte
elusive degli scopi legislativi, finalizzati al solo godimento degli incentivi, mediante fittizie e
preordinate interruzioni dei rapporti lavorativi (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8800/2001; 7352/2003;
8742/2004).
Nel valutare la situazione fattuale sottoposta al suo esame la Corte territoriale non ha portato la sua
indagine a verificare se il complesso delle pattuizioni negoziali intercorse fra l'originaria datrice di
lavoro (Nuova Sirci srl) e l'odierna intimata, ancorchè eventualmente lecite, se singolarmente considerate,
comportassero, nel loro collegamento e nei risultati ultimi attraverso le medesime perseguiti, finalità
elusive della normativa contributiva speciale, con conseguente violazione della L. n. 223 del 1991, ridetto
art. 8, comma 4 bis.
2.3 Ancora, nel valutare se la fattispecie negoziale realizzata configurasse o meno un affitto di azienda
(così come del resto le parti stesse l'avevano qualificata), la Corte territoriale non ha tenuto conto del
principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini del trasferimento dell'azienda,
non è necessario che vengano trasferiti tutti i beni aziendali, ma è sufficiente il trasferimento di alcuni di
essi, purchè nel complesso di questi ultimi permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri
l'attitudine all'esercizio dell'impresa, sia pure con la successiva integrazione ad opera del cessionario (cfr,
Cass., nn. 3514/1975; 3627/1996). Sotto tale profilo l'indagine della Corte territoriale si presenta
assolutamente carente, non avendo affatto indicato quali fossero stati i beni aziendali, materiali e
immateriali, effettivamente oggetto de contratto e, conseguentemente, valutato se gli stessi apparissero
idonei a garantire la permanenza di quegli elementi di organizzazione necessari per la concreta
prosecuzione, seppure con le eventuali opportune integrazioni, dell'esercizio dell'impresa.
2.4 Per contro l'iter argomentativo seguito dalla sentenza impugnata si è svolto unicamente nel contrario
rilievo dei beni che le parti avevano formalmente escluso dal trasferimento, attribuendo peraltro a tali
esclusioni una portata inconferente rispetto ai corretti parametri valutativi quali avrebbero dovuto
essere considerati alla luce dei suddetti principi, nonchè inficiati da evidenti profili di illogicità.
Così è stata attribuita valenza significativa alla pattuita esclusione del trasferimento dei debiti e crediti
già maturati,
non considerando che tali elementi patrimoniali non incidono direttamente
sull'organizzazione aziendale nell'ottica della continuazione dell'esercizio dell'impresa, tanto che,
già con risalente giurisprudenza, questa Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che, se in linea
di principio la cessione dell'azienda importa la cessione dei debiti e dei crediti ad essa inerenti, dagli artt.
2559 e 2560 c.c. si desume che è consentito ai contraenti di pattuire che le passività e i crediti dell'azienda
siano esclusi dalla cessione, senza peraltro che ciò determini un'alterazione concettuale e giuridica della
nozione di azienda (cfr, Cass., n. 1001/1979). Ancora sono stati - peraltro apoditticamente - ritenuti
rientrare fra gli elementi "essenziali" dell'azienda i contratti relativi alle forniture di energia elettrica,
acqua e gas, attribuendo quindi significativa importanza alla pattuita esclusione del subentro in tali
contratti, non spiegando tuttavia come ciò venisse ad alterare l'organizzazione aziendale alla luce della
pur riconosciuta previsione della stipulazione di nuovi contratti di fornitura da parte della Società
cessionaria.
2.5 Preminente rilievo è stato infine attribuito alla espressa esclusione del trasferimento dei contratti
di lavoro, pattuito tramite le organizzazioni sindacali e "in conformità a quanto previsto dalla L. n. 428
del 1990, art. 47".
Non ha tuttavia considerato la Corte territoriale che la previsione di cui alla L. n. 428 del 1990, art. 47,
comma 5, presuppone da un lato il già avvenuto assoggettamento dell'impresa ad uno dei
provvedimenti ivi espressamente contemplati, laddove nel caso di specie il contratto di "affitto di
azienda" venne stipulato ne 1995, perciò anteriormente tanto al decreto ministeriale di dichiarazione
dello stato di crisi aziendale (3.2.1997), quanto alla dichiarazione di fallimento (sentenza del 2.9.1996);
ma, soprattutto, la Corte territoriale non ha tenuto conto che la predetta disposizione ha ad oggetto
unicamente la posizione dei lavoratori in ipotesi di trasferimento di azienda (tanto da escludere
l'applicabilità dell'art. 2112 c.c.), di cui è tuttavia presupposta la sussistenza e non già l'applicabilità dei
benefici contributivi in relazione ai dipendenti per i quali il passaggio si sia in concreto verificato (cfr,
Cass., n. 2407/2004).
Sicchè si presenta contraddittorio prendere in considerazione tale pattuizione proprio per escludere la
sussistenza detta fattispecie negoziale che ne presuppone (almeno astrattamente) la liceità e, al
contempo, ponendosi in un'ottica statica e non tenendo conto dei complessivo procedimento negoziale
(quale concretamente attuatosi in diverse fasi, sfociate nella pacifica riassunzione quanto meno di una
parte delle maestranze), valorizzare l'illegittima esclusione di una conseguenza cogente del trasferimento
di azienda (la continuazione dei rapporti di lavoro ai sensi della disposizione imperativa di cui all'art.
2112 c.c., comma 1) quale elemento sintomatico dell'insussistenza del trasferimento medesimo.
2.6 I motivi all'esame sono pertanto entrambi fondati, sia per violazione di norme di diritto che per vizi
di motivazione.
3. Per l'effetto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio al Giudice
designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi e
provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di
Firenze.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2010