Dario-Eugenio-Nicoli - Ufficio nazionale per l`educazione, la scuola

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Dario-Eugenio-Nicoli - Ufficio nazionale per l`educazione, la scuola
Illavorobuono.
Orientamento,scuolaeformazione
professionale
Dario Nicoli
Offuscamentodelvalorelavoro
• La crisi economica consente di riflettere sulle reali cause dell’offuscamento del valore del lavoro, un fenomeno culturale che ha investito la nostra società negli ultimi decenni ed al quale hanno concorso tutte le principali correnti culturali: da quella marxista che alla prospettiva originaria del “lavoro liberato” ha preferito quella del “salario minimo garantito” pur senza lavoro, a quella liberale che ha enfatizzato essenzialmente la componente economica del salario dimenticando l’etica del lavoro ed il gusto – l’onore! ‐
del “lavoro ben fatto”, fino anche a quella cattolica che ha rivolto l’attenzione quasi esclusivamente al settore del non profit, come se l’azione economica profit fosse di per sé segnata inesorabilmente dal disvalore. Ruoloprovvidenzialedellacrisi
• La crisi possiede un valore provvidenziale poiché ripropone la questione del lavoro come componente fondamentale di una società giusta e di una vita autentica. Non inteso solo come occupazione che consente al lavoratore di poter disporre di un reddito tramite il quale far fronte alle necessità personali e di quelle della famiglia, acquistare beni e servizi e frequentare luoghi ritenuti esteticamente conformi al suo bisogno di riconoscimento, ma soprattutto come legame sociale rilevante per realizzare il proprio progetto di vita, mettendo a frutto talenti e competenze in modo da fornire un contributo positivo alla società in modo da ottenere un continuo perfezionamento della propria realtà personale.
Ilvaloreantropologico
dell’educazioneallavoro
• I sistemi educativi delle società “signorili” (Ricolfi) – o società «arrivate» ‐ sono sottoposti a tre tensioni:
1. Contrastare l’iperrealtà, principale avversario della scuola
2. Inserire positivamente i giovani nel reale
3. Formare persone attive, in grado di assumere compiti e risolvere problemi significativi in modo efficace e personale.
• C’è un problema di efficacia, ma anche di motivazione. Ma in definitiva è un problema di metodo educativo: in che modo insegnare la «vita buona» alle giovani generazioni, rendendole partecipi attive della tradizione viva. • Ciò corrisponde precisamente al valore dell’educazione al lavoro. Lavoroestabilizzazionedell’io
• L’educazione al lavoro acquisisce oggi un significato nuovo: fornire agli adolescenti ed ai giovani l’opportunità per stabilizzare il proprio io, riscattandolo dalla vana agitazione dell’identità mediatica ed ancorandolo in una relazione sociale costruttiva e feconda. Questi giovani, spesso tenuti sospesi a mezz’aria, in bilico tra realtà e finzione, sono sedotti da una filosofia di vita fondamentalmente scettica, propria di una “società signorile” che ha sostituito l’etica del lavoro, ovvero l’idea di realizzare se stessi occupandoci degli altri, con l’estetica dei consumi, ovvero la ricerca di un’identità mediante il mascheramento ed il perseguimento compulsivo di ciò che ci rende apprezzabili dagli altri. Neoartigianato:lavorarepervivere
(nonpersopravvivere)
• Liberato dalla schiavitù della routine, l’essere umano ha la possibilità di infondere nelle cose che fa, qualcosa della propria anima.
• Ma si trova di fronte il percolo del disincantamento, che porta a fare le cose senza scopi grandi, per sopravvivere, o farle per vendere (marketing) oppure perdersi nella generica e vacua biografia soggettiva. • Due sono oggi le concezioni del lavoro:
1. Lavorare per vivere («lavoro buono»)
2. Lavorare per sopravvivere: per Aristotele è schiavo colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi. L'uomo libero è invece colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri. Lavorareperglialtri
Prodotti e servizi che possano appagare le esigenze dell’animo umano:
• Stabilità
• Durata • Fedeltà
• Humanitas.
Quandoillavorononè“buono”
Il lavoro “cattivo” è quello che persegue i “valori d’urto”:
• Novità (“cambiare, cambiare!”)
• Intensità (avvincere)
• Stranezza (provocare).
I prodotti ed i servizi del lavoro “cattivo” provocano uno stato di urgenza permanente, coltivano il “narciso frettoloso”, sempre agitato, sempre insoddisfatto ed infelice, pur rimanendo tenacemente attaccato alle cose ed alle esperienze della sua biografia.
Come afferma Marc Fumaroli: “La pubblicità è il regime di illusioni che tiene viva la noia affinché non si dissipi né si consoli”. Lavorareperrendereliberi
• Il lavoro è buono se rende liberi chi opera e chi si avvale del frutto del nostro ingegno/della nostra fatica.
• Non si lavora in senso umano se si è preda dell’inquietudine o della dissipazione. Il lavoro buono si alimenta di esperienze che siano “tempi fecondi dell’anima”: l’amicizia, l’amore, la poesia, il rapporto con la natura, la religione, l’arte… • Trovando ciò che soddisfa l’animo, si è umani anche nell’operare. • Per Amartya Sen, l’essere umano, lavorando vuole cavarsela da sé e segnare la realtà con parte della propria anima: sono questi i due motori fondamentali dello sviluppo umano.
Necessitàdiunaprofondarevisione
dellepratichediorientamento
• Sono definitivamente superati i seguenti modelli di orientamento:
1) la concezione “disciplinare” che fa coincidere successo degli studi e successo del progetto personale, misurato in voti;
2) la visione “dualistica” che separa la cultura di base e la cultura specialistica; 3) la visione “procrastinante” basata sul rinvio delle scelte; 4) la visione “patologistica” che divide i giovani in “capaci” da indirizzare al liceo e gli altri agli istituti tecnici e professionali. 5) La concezione «signorile» in base alla quale una parte consistente della gioventù ha fatto scelte scolastiche (e lavorative) difformi rispetto alla struttura del nostri sistema economico. • Occorre una revisione profonda delle pratiche di orientamento centrata sulla svolta verso la realtà, sull’orientamento attivo e sulla proposta del lavoro come valore personale e sociale.
Impararelavorando:chiavedell’incontro
deigiovaniconlaculturaviva
• Nelle società sviluppate («signorili») il giovani mostrano disinteresse per la cultura scolastica perché da un lato questa è divenuta inerte e quindi insignificante («a scuola non accade nulla»), e dall’altro sono attratti dalla «proposta educativa» del nostro tempo, vacua e sospesa, quella che chiede loro di vivere nell’iperrealtà. • Una proposta educativa autenticamente umana per il nostro tempo si pone l’obiettivo di inserire positivamente i giovani nella realtà, così che realizzando opere dotate di valore possano entrare in un rapporto autentico con il mondo, conoscere se stessi e avvalorare l’apporto di chi ha contribuito a rendere grande la nostra tradizione. • La chiave del rinnovamento didattico sta nel fare della scuola un laboratorio per la scoperta del sapere ed il servizio alla comunità, così da restituire alla cultura la sua vitalità. Latradizioneitaliana
• L’Italia ha avuto una splendida tradizione di «scuola professionale» o «scuola del lavoro». • Agli albori dell’industrializzazione, vi è stata una forte iniziativa del mondo cattolico, attraverso le scuole professionali realizzate da don Bosco e dai Salesiani; accanto a questa, sono state realizzate le prime scuole di fabbrica specie per gli apprendisti; si è anche espressa in questo campo un’iniziativa di tradizione socialista umanistica: l’Umanitaria di Milano con annessa la Scuola del libro; infine hanno avuto origine le Scuole di incoraggiamento arti e mestieri sulla cui scia si sono poi innestati istituti tecnici e università politecniche.
Unatradizionesortadalbasso
• La Formazione e istruzione professionale (come l’istruzione tecnica e professionale, e gli stessi politecnici) nasce per spinta dal basso, come risposta ai problemi ed alle necessità, sull’iniziativa di santi, educatori ed uomini di impresa. Si mobilitano le «forze educative» della società, specie nelle fasi di crisi sociale. Vi sono permanenze della «scuola di bottega» medioevale. • Successivamente, con gli anni ’60 (introduzione della scuola media unica), il vasto mondo dell’educazione al lavoro viene inglobato nello Stato, divenendo il comparto minore del sistema dell’istruzione destinato ai figli del popolo. Si moltiplicano le discipline teoriche, si riducono i laboratori, gli insegnamenti risultano spezzettati in «canne d’organo», astrusi ed inerti.
Esitideleteridellastatalizzazione
• La statalizzazione delle scuole tecniche e professionali ha portato ad esiti deleteri:
1. l’uso «riempitivo» del comparto professionale, utilizzato come serbatoio nel quale far confluire i figli del popolo spinti ad acquisire un «titolo di studio» come segno di affrancamento ed elevazione sociale; 2. Il distacco dal mondo del lavoro e dell’impresa come esito della politicizzazione del mondo degli insegnanti; 3. l’autoreferenzialità che ha portato la scuola a scelte centrate sul personale piuttosto che su una proposta esigente ed accattivante da fornire agli studenti; 4. La cultura dell’istruzione che ha visto lo studio perlopiù come «riempimento» delle teste; 5. La diffusione di una cultura da pubblico impiego che ha introdotto un atteggiamento impiegatizio e «mercenario» delle prestazioni degli insegnanti. Quattropossibilimodelli
dieducazioneallavoro
• La cultura del lavoro e dell’impresa ha attraversato nel nostro Paese un periodo difficile, contrastata da una varietà di tradizioni intellettuali, ma è sopravvissuta accettando però di essere collocata in una riserva, entro una sorta di subalternità culturale. Solo con la crisi economica si è riaccesa l’attenzione nei suoi confronti, specie nella versione dell’alternanza, il più diffuso, quello che incontra meno opposizioni e che si apre meglio la strada nel contesto economico.
• Accanto a questo , con peso minore, si sono affacciati il modello dell’apprendistato, quello della scuola bottega ed infine il modello dell’impresa simulata. L’alternanzaèlaviaitaliana
all’educazioneallavoro
• Il modello prevalente è quello dell’alternanza, una metodologia che mira formare persone in grado di affrontare in modo consapevole e attivo le responsabilità della vita adulta.
• Tale metodologia consente di alternare attività presso la scuola, docenza frontale, esercitazione, ricerca, progetto, ed attività esterne sotto forma di visite, ricerche, compiti reali, nella direzione della coprogettazione, coformazione e covalutazione: un’alleanza educativa territoriale tra scuola, cfp ed imprese. • In tal modo si persegue una formazione efficace e si colloca l’attività formativa entro situazioni di apprendimento inserite nella cultura reale della società. Necessitàdiuna
nuovascuolaprofessionale
• La formazione professionale presenta successi indiscussi, ma viene contrastata dallo statalismo (specie nelle regioni meridionali) e dalla mediocrità delle gestioni regionali. • L’istruzione professionale eccede in insegnamenti teorici e difetta in laboratori; occorre liberare e rendere attuale la sua antica tradizione, che in parte si sta spegnendo. • Ambedue non hanno sponsor di rilievo in un’Italia in cui le decisioni risultano spesso da compromessi fra le forze prevalenti. • Occorre una mobilitazione delle forze generative per istituire un’autentica scuola professionale, capace di suscitare l’entusiasmo dei giovani.
Una«scuolaprofessionale»
peril2020
• Occorre porre mano al cantiere della scuola professionale del 2020, centrata sul lavoro e sulla cultura attiva, quel binomio che può consentire ai giovani di assumere ruoli significativi ed utili, riconosciuti dagli altri.
• Sui Cfp e gli Istituti professionali si gioca la capacità del sistema educativo di dare voce e sostanza ad una cultura popolare adeguata al nostro tempo.
• È un terreno totalmente aperto, nel quale nessuno ‐ tranne gli Enti di FP – si sta muovendo, uno spazio popolare, nel quale si realizza una reale integrazione di ragazzi e giovani stranieri, sulla base di una concezione vocazionale della propria identità e di un solido legame di comunità. • Come al tempo di Don Bosco, anche questi giovani, come allora «pericolanti», «hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto personalmente, ed insieme sono pur dotati di un cuore sensibile facilmente aperto alla riconoscenza».
Un’iniziativaCEIperilMezzogiorno
• L’urgenza più sentita si riferisce al Mezzogiorno d’Italia, dove gli effetti negativi della crisi si sommano ad una struttura economica e lavorativa poco competitiva. • Nell’ambito del progetto Policoro, la CEI potrebbe dar vita ad una rete di nuove «scuole professionali» finalizzate a formare giovani in grado di gestire posizioni di lavoro innovative, sulla base di una formazione aperta al contesto globale e situata nel territorio di appartenenza. • Tali scuole potrebbero prevedere corsi di formazione, attività di orientamento, servizi di placement e start up di imprese artigiane. • Le prime forze da mobilitare sono gli Enti di formazione professionale, che potrebbero realizzare gemellaggi con altre sedi italiane ed europee. • È un progetto nel solco delle opere sociali cattoliche, su un tema molto sentito dalle popolazioni, in grado di smuovere il torpore e la distrazione delle amministrazioni locali e nazionali.