UNA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA

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UNA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA
UNA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA?
UNA “CONVERSIONE”.
Introduzione aThomas Kuhn
Siamo all'epistemologia post-popperiana. Un esponente di primo piano: Thomas S. Kuhn. Ne
“La struttura delle rivoluzioni scientifiche” analizza le ragioni che portano gli scienziati ad
operare una rivoluzione. Cos'è che spinge gli scienziati a mettere in crisi il modello tradizionale
e ad introdurne uno nuovo? Si tratta di argomentazioni squisitamente "scientifiche" oppure di
una "conversione" che ha alle base una sorta di "fede", una fede per certi aspetti irrazionale?
Questo - grosso modo - il problema.
Tanto per inquadrare il discorso, occorre dire che per Kuhn esistono nella storia periodi di
"scienza normale", periodi cioè in cui domina un "paradigma" (un modello scientifico
universalmente riconosciuto dalla comunità degli scienziati). In tali epoche gli scienziati non
fanno altro che risolvere i problemi determinati dal modello in questione forzando determinate
anomalie (che risultano dall'esperienza) negli schemi culturali del paradigma stesso.
E' un lavoro questo che appartiene a quella che viene chiamata da Kuhn "scienza normale"
(vedi in particolare pagg 44-45, 57-58-59). I problemi da risolvere sono chiamati "rompicapi".
Ad esempio un rompicapo è costituito dalle retrocessioni dei pianeti. Un rompicapo che gli
"scienziati normali" hanno risolto...
forzando il fenomeno (ho imparato bene la lezione!) all'interno del "paradigma" mediante
espedienti quali gli epicicli, gli eccentrici, gli equanti.
Dici bene: si tratta di una "forzatura" in quanto un moto che appare non circolare viene
incasellato nello schema circolare mediante espedienti complicati.
Di rompicapi (puzzles) da risolvere il "paradigma" tolemaico ne aveva tanti: tutta una serie di
irregolarità, di anomalie che non "quadravano" rispetto alle "previsioni" del modello e che si
facevano "quadrare" solo con forzature. La scienza normale - secondo Kuhn - è un sapere
cumulativo, un sapere cioè che si arricchisce progressivamente. Più, però, un sapere
arricchisce i suoi contenuti, più si espone al rischio di essere smentito.
Ad un certo punto, quindi, la scienza "normale" - di fronte ad anomalie non assolutamente
previste (vedi pag. 76) - entra in crisi. Puoi fare un esempio di anomalia che ha messo in crisi
il "paradigma" aristotelico-tolemaico?
L'apparizione in cielo di qualche corpo celeste nuovo: ad esempio la stella cometa studiata da
Tycho.
Si tratta di un esempio corretto: una tale scoperta mette indubbiamente in crisi il principio
secondo cui nel mondo celeste tutto era "immutabile".
Cos'è che spinge gli scienziati a convertirsi ad un nuovo paradigma? Kuhn parla di una sorta di
"riorientamento" di tipo gestaltico (fa riferimento alla teoria psicologica della Gestalt, una
teoria che studia il mondo della "percezione", in particolare le figure cosiddette "ambigue").
"Quello che nel mondo dello scienziato prima della rivoluzione - scrive Kuhn (pag. 139) - erano
anatre, appaiono dopo come conigli". E' quasi come se la comunità degli specialisti - scrive
sempre nella stessa pagina - fosse stata improvvisamente trasportata su un altro pianeta dove
gli oggetti familiari fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati ad oggetti
insoliti.
"Improvvisamente" - dice -. Ad un nuovo paradigma non si arriva attraverso passaggi
intermedi, ma... improvvisamente, tutto d'un colpo come appunto si vedono tutto d'un colpo
due volti al posto di una coppa. Le ragioni? Secondo Kuhn, le più svariate. Anche ragioni che
non c'entrano nulla con la scienza. Puoi fare un esempio relativo alla rivoluzione copernicana?
Mi... tuffo: immagino che una ragione sia il criterio di "semplicità".
Il criterio di "semplicità" indubbiamente è stata la principale ragione che ha spinto Copernico a
vedere il... coniglio invece dell'anitra. Si tratta di un criterio non scientifico? Pare di no: perché
mai la natura non potrebbe essere più complessa di quanto noi ci aspettiamo? Si tratta,
comunque, di un fattore che è presente in non pochi itinerari di scienziati, compreso il grande
Einstein.
Kuhn parla, tra l'altro, del "culto del sole che contribuì a convertire Keplero al
copernicanesimo" (pag. 184). Karl Popper - che non condivide l'impostazione di fondo del libro
di Kuhn - è sulla stessa lunghezza d'onda di Kuhn per quanto riguarda la genesi del
copernicanesimo. A proposito di Copernico dice (vedi "Congetture e confutazioni" , Il Mulino,
vol. 1, pag. 322) che l'idea di porre il sole, anziché la terra, al centro dell'universo, non è
l'effetto di nuove osservazioni, ma di una "nuova interpretazione" di antichi e noti fatti "alla
luce di idee ampiamente ispirate alla religione, al platonismo e al neoplatonismo". Si è di
fronte, quindi, ad una genesi di tipo... mitologico. La fonte originaria - precisa - è il sesto libro
della "Repubblica" di Platone che sostiene che "il sole svolge, nel regno degli oggetti visibili, lo
stesso ruolo svolto dall'idea di bene nel dominio delle idee". Considerato questo ruolo (dà agli
oggetti visibili la loro visibilità e la loro vitalità), "difficilmente si poteva immaginare che girasse
intorno alla terra".
Di Keplero, poi, Popper afferma che si trattata di uno scienziato "influenzato dal misticismo dei
numeri proprio dei pitagorici", influenza che ha determinato la ricerca stessa - la ricerca di
leggi aritmetiche che regolano le orbite dei pianeti intorno al sole -. La stessa idea di forza
motrice attribuita al sole da Keplero, secondo Popper, proveniva dalla cultura astrologica (non
scientifica).
Tornando a Kuhn possiamo dire che ha avuto il merito di mettere a fuoco come la storia della
scienza non ha sempre motivazioni scientifiche, anzi spesso è mossa da fattori che non hanno
nulla a che fare con la scienza. Perfino oggi - afferma - "la teoria generale di Einstein attrae gli
scienziati principalmente per ragioni estetiche" - vedi pag. 191).
Popper non nega l'esistenza di fattori irrazionali alla base di svolte scientifiche, ma è dell'avviso
che Kuhn abbia esagerato tale ruolo (c'è chi, poi, ha visto nella comunità scientifica descritta
da Kuhn una sorta di "setta" religiosa). Popper, inoltre, sostiene che lo schema di Kuhn
potrebbe valere per la rivoluzione copernicana, ma non per altre rivoluzioni: la teoria della
materia - dice - ha sempre avuto, fin dall'antichità, tre dottrine dominanti in concorrenza.
Una riflessione. Tu, molto probabilmente, conosci a grandi linee la teoria della relatività di
Einstein e sai che, sulla base di tale teoria, lo stesso moto è relativo al punto di riferimento.
Questo vuol dire, allora, che la teoria copernicana che tu hai fin qui affrontato ha un valore
relativo?
Certo. Tutti i corpi si muovono in cielo per cui è solo prendendo come punto fisso di riferimento
il Sole che la Terra si muove intorno al Sole: se si prendesse la Terra come punto di
riferimento fisso, sarebbe il Sole a muoversi intorno alla Terra!
Ti propongo la risposta di Popper (vedi "Congetture e confutazioni", op. cit. pag. 191): "Dal
punto di vista della relatività generale, ha perfettamente senso - anche in termini assoluti affermare che la terra ruota: essa ruota esattamente nel senso in cui ruota la ruota di una
bicicletta, vale a dire, in rapporto a qualsiasi sistema inerziale prescelto".
Senti: il passaggio da un "paradigma" ad un altro (ad esempio dal paradigma tolemaico a
quello copernicano) costituisce un "progresso"?
Ovviamente, sì: abbiamo, infatti, scoperto (diciamo questo soprattutto sulla base
dell'evoluzione scientifica e tecnologica recente) che il paradigma copernicana corrisponde alla
realtà del sistema solare.
Forse l'esempio che hai prodotto ti dà ragione. Tieni, comunque, presente che in generale le
teorie - se teniamo conto del principio di falsificabilità di Popper - non sono mai verificate
perché tante conferme non fanno mai una necessità. Per Kuhn non ha senso parlare di un
progresso verso un fine, verso cioè la completa e definitiva verità sul cosmo: lo sviluppo della
scienza è "ateologico" (senza scopo, senza fine). Il progresso si può misurare soltanto sostiene Kuhn - a partire dagli stadi precedenti della scienza, non sulla base di una ipotetica
mente di Dio che ha presente la definitiva verità del cosmo.
LA FALSIFICAZIONE DI UNA TEORIA SCIENTIFICA? POTREBBE ESSERE SBAGLIATA.
Introduzione a Imre Lakatos
Su posizioni critiche nei confronti di Kuhn e per certi aspetti anche nei confronti di Popper è
Imre Lakatos (vedi "La storia della scienza e le sue ricostruzioni razionali", "La falsificazione e
la metodologia dei programmi di ricerca scientifici"). Secondo Lakatos la scienza è una
competizione tra programmi di ricerca rivali e non, semplicemente, una serie di duelli tra
"teorie" e "fatti". In altre parole la lotta, per lui, ha sempre tre protagonisti: due programmi di
ricerca rivali e i fatti. Una teoria viene messa in crisi non quando qualche fatto la falsifica, ma
quando si ha a disposizione una teoria migliore. Cosa ne dici?
Mi pare una forzatura: la teoria tolemaica non è stata scartata perché alcuni fatti (osservati) vedi le retrocessioni dei pianeti - la falsificavano?
Per Lakatos si è scartata la teoria tolemaica perché quella copernicana si presentava migliore,
maggiormente capace di spiegare gli stessi fatti (le stesse retrocessioni dei pianeti).
Chiariamo. Lakatos non crede al cosiddetto "falsificazionismo metodologico dogmatico” (che
non è quello di Popper) secondo cui è possibile falsificare in modo infallibile - con osservazioni una teoria. Per lui le stesse nostre falsificazioni possono essere sbagliate: la storia della
scienza è ricca di questi esempi. Ma Lakatos non crede neanche nel cosiddetto
"falsificazionismo metodologico ingenuo" secondo cui la base empirica della scienza non è
infallibile, per cui lo sviluppo della scienza sarebbe una serie di successivi duelli tra una teoria e
i fatti.
Chiariamo ulteriormente. Cosa si intende per "programmi di ricerca"? Non si tratta tout court di
"teorie" isolate, ma di una successione di teorie che prendono avvio da un nucleo centrale,
nucleo che si considera - per scelta metodologica - come non falsificabile (questo al fine di non
far morire il programma stesso di malattia infantile): da qui l'esigenza di una cintura protettiva
di detto nucleo costituita da ipotesi ausiliarie.
Una serie di teorie è "progressiva teoricamente" quando predice dei fatti nuovi, prima non
sospettati; una serie di teorie è "progressiva empiricamente" quando porta alla reale scoperta
di questi fatti nuovi. Non esistono quindi teorie isolate, ma esiste una "continuità" tra teorie.
Cosa ne dici?
Ho l'impressione che Lakatos sia incoerente. Da una parte attacca il dogmatismo, dall'altra
scivola anche lui nel dogmatismo: come si può parlare di "ricerca" scientifica se si parte da un
nucleo infalsificabile per scelta metodologica, nucleo che si protegge con una serie di ipotesi
ausiliarie?
Una reazione legittima. L'ottica di Lakatos è la seguente: perché mai un programma di ricerca
- vedi la relatività di Einstein - dovrebbe essere abbandonato sul nascere perché non ha ancora
superato il programma di ricerca rivale (ad esempio quello di Newton?)
Un programma di ricerca scientifica è tale non solo se riesce ad anticipare fatti prima
insospettati, ma anche a creare nuove teorie ausiliarie. Da qui il giudizio di Lakatos sul
marxismo e sul freudismo: non si tratta di programmi di ricerca scientifici. Un programma di
ricerca diventa "regressivo" e, quindi, non ha successo, quando non riesce più a predire fatti
nuovi.
IL METODO SCIENTIFICO? NON ESISTE. QUALI LE TEORIE PREFERIBILI? QUELLE CHE
RISOLVONO PIU’ PROBLEMI. IL SIGNIFICATO DI UN CONCETTO SCIENTIFICO? SI
RIDUCE AD UN’OPERAZIONE.
Introduzione a Feyerabend, Laudan…
Siamo all'epistemologia anarchica di Paul K. Feyerabend. L'opera classica: "Contro il metodo".
Feyerabend è convinto che la storia della scienza non sia incapsulabile in regole metodologiche
fisse. Non esiste, in altre, parole un metodo scientifico che sta alla base della ricerca concreta
del singolo scienziato (o di un gruppo di scienziati). E' la storia che lo testimonia: non vi è
alcuna regola che non sia stata violata in qualche circostanza. Si tratta di una violazione che
non è solo un "fatto", ma un che di "necessario" per lo sviluppo della scienza: data una norma,
vi sono sempre circostanze che consigliano non solo la violazione di essa, ma anche l'adozione
di una norma opposta, che consigliano l'adozione di ipotesi ad hoc e addirittura l'adozione di
ipotesi che presentano un contenuto minore rispetto ad ipotesi alternative esistenti o perfino
ipotesi autocontraddittorie.
Si tratta di un approccio che forse ti sconcerta. Feyerabend arriva a formulare il principio
"qualsiasi cosa può andar bene", vale a dire l’"anarchismo". Cosa ne dici?
Non mi sconcerta affatto: Galileo ha difeso strenuamente la teoria copernicana nonostante non
avesse uno straccio di prova sperimentale, nonostante l'esperienza smentisse tale teoria,
nonostante le sue convinzioni sembrassero assurde.
Questa - grosso modo - l'ottica di Feyerabend: per lui la teoria copernicana è diventata chiara
e ragionevole solo dopo Galileo. La difesa strenua, quindi, da parte di Galileo di una teoria non
fondata, è stata determinante per il progresso scientifico.
Feyerabend, quindi, prende le distanze sia da Popper che da Lakatos. O meglio nella foga
polemica sembra che Feyerabend abbia costruito un'immagine di Popper e di Lakatos su
misura per le bordate. Ad esempio è vero che Popper ha fissato la regola per cui non bisogna
introdurre "ipotesi ad hoc" (ipotesi non controllabili create apposta per puntellare alcuni
fenomeni anomali), ma è anche vero che per Popper ciò che nasce come ipotesi ad hoc può
trasformarsi in ipotesi controllabile.
L'epistemologia post-popperiana è estremamente ricca. Oggi la filosofia della scienza è tra i
settori più coltivati della filosofia. Tra i nuovi epistemologi troviamo Larry Laudan (tra le sue
opere "Il progresso scientifico" - 1977 -). Quando possiamo parlare di progresso scientifico?
Sulla base di quale criterio possiamo dire che la teoria copernicana è preferibile a quella
tolemaica, la teoria di Keplero è preferibile a quella di Copernico...? Abbiamo visto la risposta
di Popper (il criterio della verosimiglianza), quella di Kuhn (il progresso non si ha verso un fine,
ma a partire dalle condizioni precedenti), quella di Lakatos (si ha progresso quando un
programma di ricerca predice più fatti e conduce alla scoperta di fatti nuovi).
Qual è il criterio di Laudan? Per lui non esistono né criteri di verità né criteri di verisimiglianza.
E allora?
Immagino che il criterio sia di tipo utilitaristico: è preferibile la teoria che risolve meglio i nostri
problemi.
E' questa l'ottica di Laudan: privi di criteri assoluti di verità e di verisimiglianza, non possiamo
che preferire quelle teorie che risolvono più problemi o i problemi più importanti dell'epoca.
Siamo nella stessa logica del medico che, di fronte a due teorie terapeutiche, sceglie quella che
dimostra di essere in grado di risolvere più casi clinici.
Con Laudan siamo proprio al buio: il sogno di Galileo di leggere il libro della natura come lo
legge di Dio è naufragato. Non vi sono criteri assoluti per definire una teoria "vera" o "simile al
vero". Da qui un criterio puramente pragmatico: si preferisce quella teoria che risolve più
problemi o i problemi più importanti. La soluzione dei problemi (empirici e concettuali) è il
compito della scienza. Laudan, in sintonia con Kuhn e con Lakatos, non parla tanto di teorie,
quanto di insiemi di teorie che chiama "tradizioni di ricerca" (dal darwinismo, alla teoria dei
quanta, alla relatività). Le "tradizioni di ricerca", per Laudan, hanno una durata più lunga delle
singole teorie e sono caratterizzate da impegni "metafisici" e "metodologici" che le distinguono
da altre. Cosa ne dici?
Mi sembra scontato (senza scomodare Popper) che ogni tradizione di ricerca sia ancorata a
presupposti metafisici: una tradizione di ricerca di impostazione cartesiana, ad esempio, parte
dai presupposti metafisici che l'azione a distanza è impossibile e che in natura esistono solo
materia e pensiero (e non forze).
Questa è l'ottica di Laudan: nella tradizione marxista (un altro esempio) si parte dal
presupposto metafisico che alla base di tutto ci sono forze economiche. Per Laudan non vi sono
solo impegni metafisici, ma anche metodologici: ad esempio la tradizione newtoniana ammette
solo teorie scoperte col metodo "induttivo".
Secondo Laudan nel momento in cui un fisico di tradizione cartesiana comincia a parlare di
"forze" e di "azione a distanza" si pone fuori da detta tradizione (così è il caso del marxista che
spiegasse le idee dominanti di un'epoca non come riflesso, in ultima analisi, delle esigenze
della classe dominante). Laudan, inoltre, sostiene (in questo non in sintonia con Lakatos) che
lo sviluppo di una tradizione di ricerca mostra non solo mutamenti di singole teorie ausiliarie,
ma anche elementi centrali: è il caso, dice, dell'assolutezza del tempo e dello spazio - un'idea
centrale della tradizione newtoniana - che non è più accolta dai newtoniani del diciannovesimo
secolo.
Siamo lontani dalla radicale negazione della metafisica (ridotta a non-senso) operata dal
Circolo di Vienna. Da Popper a Kuhn (ci sono paradigmi anche metafisici: vedi il meccanicismo
cartesiano) a Lakatos (che parla del nucleo di base di un programma di ricerca come di un
nucleo "inconfutabile", "infalsificabile") a Laudan la "metafisica" viene rivalutata. Sulla stessa
lunghezza d'onda è Joseph Agassi (vedi "La natura dei problemi scientifici e le loro radici nella
metafisica" - 1975 -). Egli sostiene non solo che la ricerca scientifica ha a che fare con teorie
metafisicamente rilevanti, ma anche che non è affatto vero che le teorie metafisiche siano
inconfutabili: se una teoria scientifica - costruita su una visione metafisica del mondo - viene
sconfitta da un esperimento cruciale, tale sconfitta trascina con sé anche la metafisica
soggiacente.
W. W. Bartley (vedi "Teorie della demarcazione tra scienza e metafisica - 1968 -) arriva a dire
che l'inconfutabilità di una teoria non è da considerare - come afferma Popper - un vizio: in
determinati contesti (di critica a teorie esistenti), sono desiderabili proprio teorie inconfutabili
piuttosto che un contro-esempio empirico. Lo stesso Feyerabend teorizza il "pluralismo
teorico": proprio al fine di mettere in difficoltà teorie esistenti, è opportuno elaborare teorie
metafisiche, non controllabili. E John Watkins ("Metafisica confermabile ed influente" - 1957 -)
sostiene, tra l'altro, che la scienza figlia di una concezione metafisica non dà a tale concezione
metafisica un'autorità assoluta perché gli stessi fatti e leggi scientifiche possono avere più
interpretazioni metafisiche.
Una stagione ricchissima - quella del '900 - di teorie epistemologiche. Teorie che non
provengono solo da filosofi della scienza, ma anche da scienziati stessi. Si veda Bridgman,
premio Nobel. Egli arriva a dire che il significato dei concetti scientifici è riducibile ad
"operazioni": ad esempio il concetto di lunghezza non è altro che l'insieme delle operazioni con
cui si misura detta lunghezza. Da qui la sua teoria detta "operazionismo".
Lo stesso concetto di simultaneità messo in crisi da Einstein è stato messo in crisi - sostiene
Bridgam - grazie al punto di vista "operativo": la simultaneità non è una proprietà di eventi,
ma comporta il punto di vista dell'osservatore. Cosa ne dici?
Non mi convince: se davvero il significato dei concetti fosse riducibile ad "operazioni", se un
determinato oggetto scientifico fosse misurato con strumentazioni diverse, si arriverebbe ad
una proliferazione di concetti scientifici (proliferazione che non avrebbe alcun senso perché si
avrebbe a che fare con la stessa misura).
E' questa la classica critica che è stata rivolta all'operazionismo (vedi Hempel). Secondo tale
critica la proliferazione di concetti scientifici che ne deriverebbe sarebbe senza fine e questo
cozzerebbe contro l'esigenza tipica della scienza di dare una spiegazione semplice ed unificata
dell'esperienza.
Un altro epistemologo è Gaston Bachelard, francese (muore nel 1961). Una delle sue idee di
base: la scienza progredisce per "rotture epistemologiche". In altre parole la scienza non parte
dal "dato scientifico" (non esiste un'esperienza "pura": ogni dato è relativo a modelli teorici),
ma si sviluppa "contro" teorie precedenti e contro tutti i presupposti - ad esempio il concetto di
spazio assoluto della tradizione newtoniana - di dette teorie.
Non solo. Per Bachelard la rottura epistemologica vi è anche tra "conoscenza sensibile" e
"conoscenza scientifica" (con il suo linguaggio specialistico contro il linguaggio generico della
conoscenza sensibile, con la sua violazione del dato immediato dell'esperienza). Da qui la sua
avversità alla pratica della divulgazione scientifica. Cosa ne dici?
Non mi convince. Non sono gli stessi scienziati - da Einstein a Hawking - che hanno scelto la
via della divulgazione scientifica, della traduzione in un gergo accessibile ai poveri mortali delle
astratte e sofisticate equazioni matematiche che loro maneggiano? Non svolgono una funzione
egregia quei giornalisti - vedi tra gli altri Piero Angela - che traducono per la gente comune il
linguaggio specialistico della scienza?
Quanto dici è vero. Non puoi, tuttavia, non tener conto che la "traduzione” può provocare
notevoli confusioni, travisamenti. Pensa che lo stesso Popper è stato accusato da scienziati di
professione di travisamenti del pensiero scientifico.
Bachelard, inoltre, parla di "ostacoli epistemologici": si tratta di idee che fanno ristagnare la
scienza, teorie scientifiche considerate come "dogmi". Si tratta di ostacoli che provengono dagli
stessi scienziati che, una volta hanno prodotto teorie anche geniali, rimangono attaccate ad
esse con un'ottica conservatrice. La liberazione dagli ostacoli epistemologici è una condizione
sine qua non del progresso scientifico perché si conosce sempre contro una conoscenza
precedente.
Io ti ho offerto solo alcuni spunti. Sarebbe opportuno che tu leggessi alcune opere che ti ho
indicato (in alcune delle quali - tra le più accessibili - ti ho già introdotto). Se vuoi in
particolare un approfondimento del rapporto tra "scienza" e "metafisica", ti consiglio di leggere
un testo agile ed efficace: "perché la metafisica è necessaria per la scienza e dannosa per la
fede" di Dario Antiseri, Queriniana, 1980).