FRA NOI - Frati Cappuccini Italiani

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FRA NOI - Frati Cappuccini Italiani
FRA NOI
FOGLIO INFORMATIVO
FRATI CAPPUCCINI DI LOMBARDIA
Numero 136 dicembre 2009
La santità
Il 2009 è stato un anno
particolare ed eccezionale dal punto di vista
delle ricorrenze della
“santità” per la Provincia: abbiamo celebrato i
venticinque anni della
morte del Servo di Dio
(SdD) fra Cecilio Cortinovis (1984); i cento anni della morte del SdD
p. Arsenio Migliavacca
da Trigolo (1909), i centocinquanta anni della
morte del SdD p. Carlo
d’Abbiategrasso (1859).
Abbiamo fatto un’indigestione di anniversari,
oppure sono stati uno
stimolo per ripensare
alla vocazione alla santità, la vocazione di ogni stato di vita cristiana? Ognuno di questi
fratelli, pur con caratteristiche proprie, - frutto
anche per il loro ambiente religioso, storico
e sociale - ci sta davanti
come modello e guida
al cammino verso la
santità (non voglio però
dimenticare, oltre al beato Innocenzo Scalvinoni da Berzo, gli altri
SdD: frei Daniele da Samarate, frei Gianpiero
da Sesto San Giovanni,
frei Alberto Beretta).
Vorrei fare con voi alcune riflessioni sulla santità. Ma prima di tutto
vorrei richiamare alla
vostra memoria un’espressione della NMI
(Novo Millennio Ineunte)
del SdD papa Giovanni
Paolo II il quale scriveva che “è l’ora di riproporre a tutti con convinzione – la santità – come misura alta della
vita cristiana ordinaria” (nn.29-31).
Da dove incomincia il
cammino verso la santità? La santità inizia,
dove finisce la presunzione umana perché è
riconoscimento, accoglienza, offerta di ciò
che si è: peccatori (cfr
Lc 18,9-14). E’ questa la
nostra carta d’identità!
Possiamo dire che noi
siamo santi perché peccatori. Chi non ha profonda consapevolezza
di essere peccatore non
potrà mai essere santo
(Lc 5,1-11; Sal 50).
Il riconoscimento che
“nella colpa sono stato
generato, e nel peccato mi
ha concepito mia madre” (Sal 50,7) è condizione necessaria e indispensabile per essere
creatura nuova, per essere ammessi alla presenza di Dio e respirare
il suo Spirito di santità.
In che cosa consiste il
cammino di santità?
Prendendo le parabole
di Mt 13,44-46 mi fermo
sui quattro verbi: trovare, andare, vendere,
comprare. Grazie all’incredibile fascino del tesoro e della perla, che
afferra probabilmente
un contadino e un ricco
mercante, vanno, ven-
dono, comprano. Prendono subito prontamente e senza esitazione importanti e radicali decisioni. Ma certamente avremmo fatto cosi anche noi! La novità delle due
parabole sta proprio nella loro “ovvietà”. Un uomo afferrato dal Vangelo si comporta proprio come il contadino e il mercante. Il discepolo è uno che trova la sua autorealizzazione di sè (non da sè!) in un bene prezioso trovato e cercato che gli dona
gioia. E decide di non lasciarsi sfuggire l’occasione. La realizzazione di sé, quale
pienezza di vita è frutto dell’aver trovato, dall’esperienza di un dono inaspettato o
cercato, ma sorprendente, di un incontro che allarga il cuore. Per questo il cristiano
non dice “ho lasciato”, ma dice “ho trovato”! Non dice “ho venduto il campo”, ma
“ho trovato un tesoro. E’ un problema di appartenenza.
Appena fatta la loro scoperta, il contadino e il mercante decidono di appartenere
interamente al tesoro o alla perla preziosa che hanno trovato. La misura del santodiscepolo del Signore è perciò l’appartenenza non il distacco. Dinanzi al tesoro o
alla perla tutto il resto perde valore: “Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla
sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per la quale ho lasciato stare tutte
queste cose e le considero una spazzatura, al fine di guadagnare Cristo” (Fil 3,8). Anche
per noi è cosi?
Quali sentieri ci portano alla santità come “autorealizzazione di sè (non da sè!)?
Mi permetto di suggerire tre sentieri: in primo luogo reagire contro la tendenza al
minimo sforzo e la sfiducia nei confronti delle nostre possibilità e nei confronti di
Dio: è la fase della gioia di essere; in secondo luogo reagire contro l’egoismo che
spinge o a racchiudersi in sé o a ridurre gli altri sotto il proprio dominio: è la fase
della gioia di amare; in terzo luogo per essere se stessi e vivere la gioia d’amare,
dobbiamo attingere luce, forza ed energia da Colui che ci trascende e ci accompagna, dal Crocifisso Risorto e per sempre Dio-con-noi: è la fase della gioia di adorare.
La gioia della nostra autorealizzazione sgorga spontanea in noi quando facciamo
esperienza di essere vivi, quando attraversiamo il crocevia dell’amore, ricevuto e
donato.
Paolo VI nella Gaudete in Domino così scriveva: “Il segreto della gioia di Gesù è l’amore ineffabile di cui egli sa di essere amato dal Padre. E’ una Presenza che non lo
lascia mai solo”. E noi non siamo mai soli!
Il Dio-che-viene possa aiutare ciascuno di noi a realizzare la santità alla quale siamo
chiamati per vocazione e per missione.
Buon cammino di santità!
Buon Natale e un anno nuovo di serenità e di grazia
► Agenda
- 17-23 gennaio 2010: Albino - Dehoniani – Esercizi Spirituali interprovinciali
► “1609-2009 I Cappuccini a Sestri Levante. Quattrocento anni fra voi”
Il giorno 8 maggio 1609 la Provincia dei Frati Cappuccini di Genova decretò l’insediamento dei
suoi religiosi nel territorio di Sestri Levante, nel Ponente ligure.
Pertanto il 2009 rappresenta il quattrocentesimo anniversario della presenza dei Frati Cappuccini
che la Comunità dei frati ha deciso di festeggiare in modo davvero solenne.
Un calendario fittissimo di iniziative per festeggiare la presenza del convento e del Santuario
dell’Immacolata che sono sempre stati oggetto di particolare affetto da parte dell’intera popolazione
ed hanno rappresentato anche un luogo di interesse storico e culturale ed ha svolto un ruolo
importante sia dal punto di vista religioso che dal punto di vista sociale e umanitario.
E i frati hanno fatto davvero sul serio; il grande evento “1609-2009 I Cappuccini a Sestri Levante.
Quattrocento anni fra voi” ha avuto il patrocinio di Regione Liguria, Provincia di Genova,
Comune di Sestri Levante e del FAI che, insieme a tutta la popolazione, hanno partecipato con
entusiasmo a tutti gli appuntamenti presenti nel ricco calendario che si è svolto nel mese di
novembre 2009.
I festeggiamenti sono stati inaugurati giovedì 1 ottobre, in concomitanza con il Triduo di San
Francesco, con una Veglia di preghiera francescana che ha visto la partecipazione delle Suore
Clarisse di Leivi e dei giovani della diocesi di Chiavari, in particolare della zona pastorale di Sestri
Levante e culminata con la processione dalla parrocchia di S. Maria di Nazareth sita nel centro
cittadino fino al Convento dei frati .
Nella stesura del ricco calendario delle attività lo sforzo è stato quello di cercare di coinvolgere
l’intera comunità di Sestri nei festeggiamenti, nella conoscenza e nella valorizzazione di un luogo
storico che appartiene loro. Per questo motivo, oltre ad una serie di spettacoli e intrattenimenti
culturali, si è cercato di dare particolare rilievo ad una serie di manifestazioni per approfondire la
conoscenza storica e religiosa del Convento dei Cappuccini e soprattutto di offrire un’occasione di
visitarlo e di poterne apprezzare il grande valore. In quest’ottica sono state privilegiate anche le
attività con le scuole dell’obbligo per definire un calendario di incontri dedicati appositamente agli
studenti. Non sono mancate, naturalmente, le celebrazioni religiose con la partecipazione di grandi
personalità per ringraziare Dio di questa presenza continua e fruttuosa dei suoi frati in terra ligure.
La sera di lunedì 9 novembre, presso la sala del l’ex Convento Domenicano dell’Annunziata, oggi
prestigioso centro convegni internazionale che ha partecipato all’evento, fra Luca Bianchi che ha
tenuto una conferenza su “La persona, l’esperienza e la santità di S. Francesco d’Assisi”.
Frate Masseo nei Fioretti chiedeva a San Francesco: «Perché a te tutto il mondo vien dietro?» e
sicuramente questa è un’occasione per riflettere su una figura di Santo amata e famosa in tutto il
mondo che affascina anche per il fatto di essere stato uomo libero: fu libero dai giudizi altrui
quando nel suo cammino di conversione visse le sue scelte andando controcorrente: accettò di
essere considerato pazzo dai suoi concittadini, superò la vergogna per andare a chiedere
l’elemosina, si spogliò nudo davanti al padre e a tutti i suoi concittadini, rinunciando non solo alle
sue ricchezze, ma anche alla sua dignità. Ma Francesco fu anche libero dalla paura perché non ha
avuto il timore di incontrare l’altro, chiunque egli sia, non ha paura di vedere l’altro come una
risorsa, una ricchezza, come un «fratello». Francesco ha potuto essere un uomo libero, perché era
povero, e perciò non aveva nulla da difendere: né soldi, né casa, né un’immagine, né il suo tempo.
E’ noto come Francesco amasse la povertà: esortava continuamente i suoi frati a vivere senza nulla
di proprio, senza appropriarsi delle cose. E alla domanda su come abbia fatto a rinunciare a tutto,
Francesco risponde: «Perché Dio mi ha amato di un amore gratuito!» Ciò che ha cambiato la vita di
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Francesco è stato sentirsi amato: lui, vile, insufficiente, peccatore, era amato profondamente da Dio,
da lui eletto per fare un’opera meravigliosa, valorizzato, scelto per confondere la sapienza del
mondo.
La tavola rotonda storica e artistica di martedì 17 novembre dal titolo “La storia, l’insediamento,
l’arte dei frati minori cappuccini in Sestri Levante” ha avuto una grandissima affluenza di
pubblico ansioso di conoscere la storia del loro convento che gli storici presenti hanno ricostruito in
modo interessante e coinvolgente. L’architetto Alberto Cipelli ha introdotto la conferenza spiegando
le caratteristiche tipologiche che distinguono l’architettura cappuccina nata in un contesto storico
ben preciso sottolineando gli elementi comuni che rendono perfettamente riconoscibile un convento
del suddetto Ordine: la semplicità, la povertà ideologica e dei materiali, l’assenza di decorazioni, la
funzionalità e il valore simbolico. P. Vittorio Casalino, responsabile dei Beni Culturali della
Provincia di Genova ha delineato i tratti di tre importanti figure storiche di frati cappuccini
particolarmente amate, come il venerato Padre Santo, per il loro essere vicino alla gente. Lo
studioso sestrese Francesco Baratta ha ricostruito i dettagli dell’insediamento dei cappuccini in
Sestri Levante, le tappe di edificazione del convento, la sua evoluzione nei secoli ed ha presentato
alcuni disegni del progetto originale; lo storico dell’arte Andrea Lavaggi ha descritto nel dettaglio
tutte le opere artistiche presenti nella bella chiesa: dalla scultura devozionale della Madonna
Immacolata fino alle pale d’altare di prestigiosa scuola genovese, mentre la storica Federica
Brugnoli ha concluso con un’approfondita riflessione mariologica che ha analizzato con intensità la
presenza della figura della Vergine nei testi della letteratura italiana e la sua presenza nella Bibbia.
Gli studi emersi dal convegno saranno raccolti in un volume dedicato al quattrocentesimo
anniversario del convento di prossima pubblicazione.
Ma la scoperta della storia e del’arte del convento sono stati oggetto di ulteriori momenti di
approfondimento. Particolare successo ha riscosso l’appuntamento con le scuole locali: numerose
classi di studenti per due settimane hanno avuto la possibilità di visitare, accompagnati dai frati, gli
ambienti del convento e di sentir raccontare l’affascinante storia di San Francesco anche attraverso
la presentazione degli oggetti e dei simboli della cultura francescana. Per tutta la popolazione e i
turisti è stata davvero una giornata imperdibile quella di sabato 14 novembre, quando il convento è
stato aperto a 400 visitatori in occasione dell’open day in cui tutti hanno avuto la possibilità,
accompagnati dai frati e dalle guide, di vedere la chiesa, il presepe, il chiostro ma anche tutte le
zone solitamente riservate alla clausura: dal refettorio alle cucine, alla lavanderia, alle celle dei frati.
Nel claustro e nei corridoi è stata allestita una mostra fotografica storica dell’archivio dei frati ed
una attuale, realizzata da Roberto Canepa, per rendere meglio la vita del convento. L’entusiasmo è
stato davvero grandissimo e non è mancata neppure una forte emozione da parte di tante persone
che per molto tempo avevano potuto vedere il convento solo da fuori: quale occasione migliore per
incontrare i frati nei loro ambienti e poter apprezzare in modo ancora più diretto il loro operato da
sempre apprezzato: la celebrazione delle messe, l’assistenza ai malati, la mensa dei poveri,
insomma la concreta realizzazione degli insegnamenti di San Francesco.
E proprio per testimoniare la grande spiritualità dell’anniversario sono stati davvero intensi e
partecipati i numerosi appuntamenti con le celebrazioni eucaristiche che hanno testimoniato il
profondo amore della città nei confronti dei cappuccini.
Sabato 14 novembre nella parrocchia cittadina S. Maria di Nazareth si è celebrata la Santa Messa
presieduta da Mons. Alberto Tanasini, Vescovo di Chiavari e concelebrata dai frati cappuccini per
ringraziare Dio Padre, del dono della presenza francescana in Sestri Levante.
Il sabato successivo, sempre in parrocchia, la Messa è stata presieduta da P. Mauro Jöhri, Ministro
Generale dei Frati Minori Cappuccini e concelebrata da p. Francesco Rossi, Ministro Provinciale di
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Genova, da p. Alessandro Ferrari, Ministro Provinciale di Lombardia e dai frati liguri e lombardi
che hanno vissuto in Sestri Levante.
Gli stessi che domenica 22 novembre nella Chiesa del Convento dei Cappuccini hanno celebrato la
solenne cerimonia di ringraziamento. Nella toccante omelia, P. Mauro Jöhri ha manifestato il suo
entusiasmo per l’opera dei cappuccini in Sestri Levante ed ha tracciato un semplice e profondo
quadro della figura di San Francesco; il momento conviviale con le autorità religiose e politiche e i
benefattori è stato poi la degna conclusione.
Ma nel bellissimo programma dei festeggiamenti che per più giorni ha abbellito anche le strade di
Sestri con le sue locandine non potevano mancare anche alcuni intrattenimenti di altissima qualità.
Domenica 15 novembre nell’Auditorium dell’Annunziata la compagnia teatrale “Teatro scalzo”
della parrocchia S. Lorenzo martire dei frati cappuccini in Sabbioni di Crema ha presentato il
musical “Paulus”. Terminata la celebrazione ufficiale dell’anno dedicato a S. Paolo apostolo delle
genti, si vuole riproporre in forma teatrale l’eco della sua testimonianza di fede e di apostolato.
Come San Paolo 2000 anni fa, anche San Francesco ed i suoi figli spirituali vogliono essere l’eco
nel mondo della testimonianza del S. Vangelo di Gesù Cristo.
Nella Chiesa dei cappuccini, sabato 21 novembre il gruppo “Canto Antiquo” di Bergamo ha fatto
risuonare gli ambienti con le intense interpretazioni di un concerto di musica sacra. Un repertorio
colto e raffinato attraverso i secoli che ha riletto impegnative partiture dedicate alla figura di Gesù,
di San Francesco e della Vergine Maria. La qualità dei brani proposti e degli interpreti hanno avuto
un successo davvero grandioso.
L’ultimo intrattenimento ha avuto luogo domenica 22 novembre presso il Cinema Lux dove il
gruppo dei “cordigeri” amici di San Francesco di Sestri Levante hanno presentato “Se vedemmo
dai fratti” poesie, ricordi, canzoni liguri ed altre tradizioni del passato, non per dimenticare ma per
attualizzare oggi e sempre la presenza dei francescani in Sestri Levante. L’emozione dei
numerosissimi intervenuti è stata davvero tangibile quando sul palco venivano ripercorsi gli episodi
più significativi, gli aneddoti, la devozione e l’amore che l’intera popolazione custodisce nel
proprio cuore per i Cappuccini.
I Frati di Sestri hanno lavorato davvero molto per l’organizzazione di tutto l’evento, fra Marco Di
Fronzo e fra Renato Brenz Verca hanno ideato, gestito e coordinato l’intera iniziativa alla quale
hanno collaborato anche tutti gli altri frati della comunità – fra Gianluigi Facchinetti, fra Silverio
Sarti, fra Luigi Marta - ricevendo elogi e ringraziamenti dalla popolazione nonché dalle autorità.
A tutti un caloroso ringraziamento ed in particolare a coloro che con gioia hanno testimoniato il loro
grande amore per i frati in occasione dei 400 anni di presenza. “…e resteremo sempre fra voi ”
► Il S.d.D. P. Alberto Beretta cambia “casa”. Traslazione delle sue spoglie mortali
Già da tempo si pensava ad una nuova collocazione delle spoglie mortali di P. Alberto. Infatti
erano custodite in un loculo quasi inaccessibile e irraggiungibile, dato che era in fondo al cimitero
di Bergamo e all’ottavo “piano”. Inoltre era scaduto il contratto di licenza per l’uso del loculo.
Grazie al paziente lavoro di Fr. Nunzio Conti, cappellano del cimitero, e di Fr. Sergio Pesenti,
guardiano del convento di Bergamo, si è ottenuto il permesso di trasferire il corpo in un loculo nel
“Famedio” della Diocesi dove sono sepolti i sacerdoti di Bergamo, raggiungendo così lo scopo:
dare la possibilità ai devoti e conoscenti di accedere con più facilità alla sua tomba.
Venerdì 13 novembre alle ore 9.00 alla presenza del fratello di P. Alberto, mons. Giuseppe e della
sorella, M. Virginia, di Fr. Nunzio, Fr. Sergio e Fr. Claudio Resmini, vicepostulatore, è stato aperto
il loculo per l’ispezione e vedere in quali condizioni era la cassa mortuaria. Con grande sorpresa,
dopo otto anni, era intatta, anzi... nuova.
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Visto ciò, la traslazione sarebbe avvenuta lunedì 16 novembre dopo la concelebrazione in suffragio
dei confratelli defunti nel corrente anno.
In tale ricorrenza erano presenti più di cinquanta frati e vari fedeli. Presiedeva la concelebrazione il
Ministro provinciale. Dopo la preghiera conclusiva, è stata portata in chiesa la salma del Servo di
Dio. Momenti intensi e commoventi: conoscendo la sua vita santa ed eroica e vederlo ancora in
mezzo a noi è stato un grande dono del Signore.
Al canto delle litanie dei Santi è iniziato poi il corteo con le spoglie mortali di P. Alberto, “trainate”
da quattro confratelli. Il tragitto che dalla chiesa ha portato alla nuova dimora è stato breve.
Arrivati al loculo, il Ministro provinciale ha invitato ad elevare al Signore la preghiera per chiedere
la glorificazione del Servo di Dio. Al canto del Magnificat, la bara è stata fatta scivolare nella sua
nuova dimora e molti dei presenti si sono accostati per toccare, pregare e “salutare” P. Alberto.
Commoventi sono stati i momenti nei quali la sorella, madre Virginia, con le lacrime agli occhi, si è
soffermata alquanto davanti al fratello.
Ora il nostro S.d.D. P. Alberto è nella sua nuova dimora, ma in attesa di essere portato nella chiesa
del nostro convento di Bergamo.
► Mostra “L’arte di seguire Francesco da Cimabue ai Giorni nostri”
Il 29 novembre presso il Museo dei Beni Culturali Cappuccini, si è inaugurata la mostra “L’arte di
seguire Francesco da Cimabue ai giorni nostri”. Riportiamo di seguito l’intervento del Ministro
provinciale che ha aperto la serata dell’inaugurazione nel quale in modo sintetico si ripercorre le
motivazioni che hanno originato questo evento:
Voglio salutare tutti voi che siete qui presenti con il saluto che san Francesco ha lasciato ai suoi
frati come eredità e come missione:il Signore vi dia pace.
Si sta concludendo il 2009: per tutta la Famiglia francescana è stato un anno importante, perché
ricorda l’ottavo centenario dalla visita di san Francesco al papa e la conseguente approvazione
orale della scelta di vita che aveva appena intrapreso. Un fatto storico ricordato dalla stesso
Francesco nel suo Testamento (cfr. FF 116) che avrà il suo compimento, e l’approvazione scritta,
solo nel 1223. Eppure l’inizio fu proprio quell’incontro del 1209, l’inizio, per noi francescani, di
una storia di famiglia che dura ormai da otto secoli.
Lungo quest’anno, come Famiglia francescana lombarda, ci siamo trovati insieme a ricordare e a
celebrare quest’evento in due momenti molto importanti: nel giorno dell’impressione delle stigmate
(17 settembre) e in preparazione alla festività di san Francesco (2 ottobre): lo abbiamo fatto
pregando insieme alla chiesa, rappresentata dal cardinale Dionigi Tettamanzi, nella basilica di S.
Ambrogio e ai vescovi della Lombardia. E di fronte alla Chiesa i Ministri provinciali hanno
rinnovato, a nome di tutti i frati, la promessa di vivere secondo quella regola di cui ricordiamo in
quest’anno la prima importante origine e approvazione.
Nel frattempo, presso il nostro Museo da circa un anno si stava pensando a come celebrare
degnamente questo evento: devo dire che non potevamo immaginarci di arrivare sino a questo
punto. Mi spiego: alla prima indicazione data alla direttrice del Museo -forse due anni fa - di
progettare qualche cosa per l’ottavo centenario della Regola, non pensavo certo che saremmo stati,
noi frati, noi Famiglia francescana, così studiati, o meglio così messi “sotto osservazione”. Dal
Museo è arrivata anzitutto la richiesta di coinvolgere le altre famiglie “perché non fosse una cosa
solo cappuccina”. In questo modo tutti noi che ci preparavamo a celebrare l’anniversario con
momenti di preghiera, venivamo coinvolti anche dal punto di vista della storia e della cultura.
L’impressione è quella di essere stati avvicinati e osservati con l’attenzione e la curiosità di chi
desidera capire meglio chi siamo. Proprio la richiesta che tutto il primo Ordine fosse coinvolto mi
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ha colpito particolarmente: il fatto che dall’esterno si richieda di percepire con maggiore
immediatezza l’unica vocazione dei francescani che pure, nella storia, hanno vissuto anche
divisioni…
Non posso che esprimere la mia soddisfazione di fronte al buon esito di questa collaborazione, data
la positiva risposta di tutti i confratelli. Penso, quindi di parlare anche nome loro, e non solo quale
Ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini (che è la famiglia ospitante), esprimendo un
certo stupore e una gioia sincera nel vedere così raccontata e rivissuta la nostra Regola attraverso
le opere qui radunate.
Questa mostra, inoltre, costituisce solo l’inizio di una serie di manifestazioni ed eventi che
volutamente si prolungheranno per alcuni mesi: il convegno di gennaio, i concerti (che dureranno
fino a maggio), le conferenze, la guida ai luoghi francescani della nostra città…
Termino con l’augurio che tutti coloro che avranno occasione di visitare questa mostra e di
partecipare agli eventi ad essa collegati possano essere aiutati a cogliere meglio la forma di vita di
san Francesco d’Assisi ed avvicinarsi alla parola di vita che è il Vangelo.
All’inaugurazione erano presenti il Ministro provinciale dei Frati Minori di Lombardia e i delegati
dei frati Minori Conventuali e del Terz’Ordine Regolare. Circa 200 persone hanno partecipato
all’evento.
Il giorno precedente alle ore 14,30 si è tenuta la conferenza stampa, alla quale sono intervenuti, dott.
Calcedonio Tropea, Direttore del Museo Nazionale d’Abruzzo e la dott.sa Sandrina Bandera,
Soprintendente ai beni storici artistici ed etno-antropologici per le Provincie di Milano, Bergamo,
Como, Lecco, Lodi, Varese, Pavia, Sondrio e Varese.
Ricordiamo che la mostra sarà aperta fino al 21 marzo 2010. Ai frati ricordiamo quanto i ministri
Generali hanno scritto nella lettera in cui concedevano il patrocinio dell’Ordine Francescano alla
mostra e alle iniziative in vario modo ad esso collegate “A tutti coloro che si avvicineranno a questa
iniziativa auguriamo di poter gustare qualcosa della ricchezza e della profondità dell’esperienza
francescana. Come appare nella citazione all’inizio, secondo Francesco, la Regola non è altro che
una trascrizione dal Vangelo; e al cuore del Vangelo sta lo stupefacente annunzio di una vita nella
giustizia, nella pace a chiunque si lasci raggiungere dal desiderio di Dio: il desiderio che ciascuno
possa sperimentare di essere stato pensato ed amato come un’autentica opera d’arte, unica ed
irripetibile”. Siete attesi per una graditissima visita.
► Ritiro provinciale di Avvento.
Il 30 novembre presso il Centro di Spiritualità del Santuario di Caravaggio, circa 90 frati hanno
partecipato al ritiro provinciale di Avvento animato da mons. Franco Giulio Brambilla Vescovo
ausiliare di Milano. Rispettando la consegna ricevuta, mons. Brambilla ha condiviso una profonda e
stimolante meditazione sulla Speranza tema che accompagna l’anno fraterno – pastorale in corso.
L’adorazione eucaristica, la celebrazione dell’Eucaristia, il pranzo e il rosario meditato pregato in
santuario sono stati gli altri moneti che hanno caratterizzato il ritiro.
Cogliamo l’occasione per informare i frati che il ritiro quaresimale previsto per il 1 marzo 2010,
sarà animato da mons. Bruno Maggioni.
► Chiusura del centenario della morte del S.d.D. P. Arsenio da Trigolo: 10 dicembre
2009
Riportiamo una breve cronaca delle celebrazioni in occasione della chiusura del centenario della
morte del S.d.D. P. Arsenio da Trigolo.
Bergamo. La chiesa del convento di Bergamo si è riempita all’inverosimile per la conclusione del
centenario della morte di P. Arsenio da Trigolo. Ha presieduto l’Eucaristia il vescovo di Bergamo,
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mons. Francesco Beschi, il quale nell’omelia ha parlato della figura del S.d.D. come un “piccolo”
del Regno di Dio che ha saputo “attraversare” le varie croci che la vita gli ha offerto, con fede e
pazienza.
Suore, frati e sopratutto ragazzi e ragazze ascoltavano con grande attenzione la parola del vescovo il
quale alla fine dell’omelia ha avuto nei loro confronti parole di incoraggiamento invitandoli a
guardare e a imitare queste figure di alto profilo di credenti, come modelli di vita.
Al temine dell’Eucaristia mons. Beschi ha benedetto una lapide messa a ricordo del centenario
presso l’altare dedicato al B. Innocenzo da Berzo. Tutti, poi, in refettorio del convento per un
piccolo rinfresco fraterno.
Milano. Nel pomeriggio presso la cappella dell’Istituto delle Suore di Maria Santissima
Consolatrice, dove riposano le spoglie mortali del Servo di Dio, il card. Dionigi Tettamanzi ha
presieduto la celebrazione dei Vespri. Accolto da sacerdoti, religiosi, religiose e da molti genitori e
alunni della scuola, il Cardinale ha ascoltato il saluto in forma di poesia che un piccolo alunno gli
ha rivolto all’ingresso della scuola. Tenendo due bambini per mano l’Arcivescovo si è portato nella
Cappella dell’istituto dove dopo il lucernario, momento iniziale dei Vespri Ambrosiani, ha ricevuto
il saluto della Madre Generale. Durante l’omelia card. Tettamanzi ha sottolineato in modo
particolare la fecondità dell’opera compiuta dalle suore fondate da p. Arsenio, augurando che il loro
carisma continui ad essere vissuto e testimoniato con fedeltà. Al termine della celebrazione, è stato
scoperto e benedetto un busto in bronzo con l’effige di P. Arsenio ideato e scolpito dalla scultrice
Ilia Rubini che già ha condiviso con i Frati Cappuccini la sua perizia artistica scolpendo il busto di
fra Cecilio Maria Cortinovis posto all’esterno della portineria di Monforte e la statua di fra Daniele
di Samarate collocato nel parco pubblico di Samarate.
Vogliamo porgere un particolare ringraziamento a fra Fedele Merelli, per la passione e l’impegno
con le quali ha collaborato con le suore di Maria santissima Consolatrice per la preparazione e la
celebrazione dell’anno centenario. Lo ringraziamo in modo particolare noi frati, perché attraverso i
suoi studi, le sue conferenze e le sue pubblicazioni ci ha aiutato a conoscere la figura del nostro
confratello Servo di Dio che ci indica la Santità come realizzazione della nostra vita.
► Riconoscimento a Radio Missione Francescana.
Venerdì 11 dicembre, nei locali del Polo Fieristico di Busto Arsizio, fra Gianni Teruzzi ha ritirato il
premio “Carlo Chiodi” di cui è stata insignita Radio Missione Francescana. Il riconoscimento,
offerto dalla Regione Lombardia, ha voluto premiare e valorizzare l’opera a favore della
comunicazione svolta da RMF nel territorio della Provincia di Varese.
► I nostri morti
È andata definitivamente incontro al Signore nella sua beatitudine eterna Brazzoli Virginia mamma
di fr. Innocenzo (missionario in Brasile) e fr. Marino Pacchioni. La ricordiamo nelle nostre
preghiere.
► Segnalazioni librarie
1. A cura di Ugo Sartorio [conventuale], Scacco matto ai vizi, Edizioni Messaggero, Padova 2009,
p. 143, € 10,00.
Il titolo, suggestivo, meritava l’aggiunta della parola “capitali”, perché non tratta di tutti i vizi, ma
solo di quelli capitali: superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria, gola, accidia.
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Ogni vizio è visto secondo queste rubriche: 1. Provocazioni di Umberto Folena; 2. La Parola di Dio
di Enzo Bianchi; 3. L’antidoto di Ugo Sartorio; 4. L’altra faccia di vari autori; 5. La parola di
Antonio [di Padova] di Luigi Francesco Ruffato, conventuale. In questo modo sono toccati vari
aspetti: umani, scritturistici, letterari, predicabili di Antonio di Padova. Se si vuole avere un’idea più
precisa di questo libro, si può vedere la schedatura fatta in: www.infoteca.it/bfcp/opac.htm
Il volume può essere un aiuto a riflettere su un argomento che trova sempre meno spazio negli
strumenti della pastorale e che, nella secolarizzazione, ha visto un grande capovolgimento: i vizi del
cristianesimo sono diventati virtù nel pensiero, nel cinema, nei giornali, nei costumi, nella politica e
in tutto quello che è possibile. L’unica barriera rimasta è la legge, scritta con la minuscola più
piccola che sia possibile.
2. Chye-Young Paolo Ko, La mistica di Francesco d’Assisi, Assisi, Cittadella Editrice 2009, p. 550,
€ 24,00.
Questa è la pubblicazione della tesi di un frate minore coreano. La presentazione è fatta da p.
Fernando Uribe, pure frate minore, moderatore della tesi. La presentazione incomincia così:
“Quando si legge il titolo di questo libro, la prima domanda che sorge spontanea è sulla vera
possibilità di mettere a confronto un uomo poverello del XIII secolo, il simplex et idiota Francesco
d’Assisi, come definisce se stesso nel dettato sulla Vera e perfetta letizia (v. 11), con un teologo di
professione del XX secolo, il dotto e speculativo gesuita Karl Rahner” p. 7. C’è subito da osservare
che nel titolo non c’è Rahner, quindi nessun lettore si pone questa domanda ma solo il moderatore.
In effetti oltre metà del libro è dedicato al teologo non a Francesco, perciò il titolo è ingannevole:
uno pensa di avere tra le mani un libro che tratta della mistica di Francesco, invece una buona parte
del volume è dedicata alla mistica secondo la definizione di Rahner che non è un mistico.
Personalmente penso che le domande nascano numerose leggendo anche solo l’introduzione nella
quale alcune volte l’autore anticipa le conclusioni, altre volte descrive tesi preconcette, altre i
metodi: in un miscuglio che non si addice ad una tesi universitaria.
La prima domanda che sorge non solo spontanea, ma anche scientifica, è come sia possibile partire
dalla definizione che dà Rahner della mistica per comprendere l’esperienza di Francesco (ma anche
20 secoli di cristianesimo). Rahner è senz’altro un teologo importante dei nostri tempi, anche se ha
scritto tante cose criticabili e criticate, ma non è la misura per giudicare le esperienze teologiche,
spirituali e mistiche precedenti, contemporanee, o seguenti. Si mette in discussione l’infallibilità
papale per attribuirla ad un teologo? Credo che questo libro meriti un’attenzione critica più
approfondita e severa di quanto vogliono farci credere l’autore, il presentatore e l’editore.
Rimaniamo nella introduzione. Una delle affermazioni fondative di tutto l’impianto è che la mistica
“è un fenomeno generale proprio di ogni uomo, sia cristiano che non-cristiano, sia religioso che
non-religioso” (p. 23). Questa è già un’affermazione stupefacente, perché praticamente non
riconosce la specificità cristiana ed il ruolo che lo Spirito Santo svolge sul battezzato che ne è
consapevole e collaborante. In conseguenza, si propone di cercare “l’essenza della mistica
universale e popolare di Francesco, che rappresenta una svolta innovatrice del XIII secolo, sulla
base del significato della mistica definita da noi” (p. 23) neanche parlasse ex cathedra! Queste
premesse discutibilissime producono 2 effetti pratici. 1) Quando passa in rassegna gli autori che
hanno scritto prima di lui sulla mistica di Francesco (p. 24-32) li condanna tutti, perché trattano
della mistica “tradizionale”, che lui non vuole prendere in considerazione, coerente con la
definizione che ha dato della mistica. 2) Per mistica “tradizionale” intende i “fenomeni misteriosi,
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eccezionali e speciali che riguardano la sua vita [di Francesco], come: il sogno di una notte a
Spoleto, la visita improvvisa del Signore sulla strada di Assisi dopo una cena sontuosa, i segreti
colloqui con Dio nella grotta alla periferia di Assisi, l’episodio riguardante l’incontro con il
lebbroso, il dialogo con il Crocifisso di San Damiano, l’estasi durante il convito con le sorelle
povere, gli elementi delle stimmate alla Verna, ecc. Mettendo da parte questa prospettiva
‘tradizionale’, ci concentriamo sull’essenza e le caratteristiche della mistica pratica e quotidiana di
Francesco attraverso la sua vita normale, ordinaria e semplice” (p. 23-24).
D’accordo che la mistica cristiana non è fatta solo di eventi eccezionali, d’accordo che la mistica di
Francesco non può essere ridotta ai fenomeni elencati, ma uno studio serio dovrebbe spiegare anche
questi non metterli da parte. I limiti annunciati nell’introduzione sono sufficienti per dire che questo
non è un libro su Francesco, ma su Rahner; non sulla mistica, ma su una definizione presuntuosa e
ideologica.
3. Angelo Sala, Pescarenico e il convento di Padre Cristoforo, Parrocchia di Pescarenico, senza
altre indicazioni, 2009, € 45,00.
Tra gli ex conventi cappuccini, quello di Pescarenico ha attratto molte attenzioni sia per il suo
legame con Manzoni che colloca p. Cristoforo in quel convento, sia perché una cronichetta molto
tardiva ed iniziata da p. Tartari Bernardo da Acquate cap., morto nel 1735. Ha avuto varie edizioni
contenenti, purtroppo, gravissime errori di lettura e di trascrizione.
Questo volume si rifà a queste due circostanze, per raccontare qualcosa dei cappuccini, ma
soprattutto per ricostruire la storia del complesso e dell’arte posteriori alla soppressione
napoleonica. È il lavoro di un giornalista con foto molto belle, ma nessuna ricerca storica nuova.
4. Guglielmo Spirito, Traduzione di Paolo Pero, Terra che diventa cielo. L’inabitazione trinitaria in
san Francesco, Edizioni Studio Domenicano, Bologna2009, p. 312, € 18,00.
L’Autore è un frate conventuale italo-argentino, nato nel 1958, che ha scritto altri testi sul
francescanesimo alcuni registrati anche nel sito: www.infoteca.it/bfcp/opac.htm.
Accostando questo testo, la prima domanda è: cosa si intende per in abitazione. L’Autore risponde:
“È la particolare presenza permanente della Santissima Trinità all’interno dell’uomo” (p. 34). Un
tema sicuramente importante non solo per i francescani, ma per tutti i cristiani, perché nel battesimo
siamo entrati nella vita trinitaria, in forma di dono che va accolto e vissuto, ma ci distingue da tutte
le altre religioni e spiritualità.
L’autore prepara il contesto, prima di esaminare gli scritti di Francesco. Quindi passa in rassegna il
tema nella Sacra Scrittura, nei Padri, nel contesto in cui visse Francesco. Finalmente nelle p. 202303 esamina il tema negli scritti di Francesco.
Preoccupati, troppo spesso, di trovare libri che ci aiutino nel ministero pastorale (per dire agli altri e
fare per gli altri), con questo volume siamo costretti ad andare al centro della spiritualità di
Francesco, ma anche al centro della nostra, che non è immediatamente pastorale. Quanto più
l’inabitazione trinitaria sarà consapevole, profonda, interiore, concreta e tanto più si ravviverà la
fonte interiore dalla quale deriva non solo la nostra spiritualità, ma anche l’efficacia della pastorale.
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NATIVITÀ, sec. XV
Vincenzo Civerchio (Crema 1470-1544)∗
olio su tavola,
Milano, Beni Culturali Cappuccini, Museo
A causa delle dimensioni del supporto, l’artista ha realizzato un’opera caratterizzata da una
ristretta ampiezza e da un forte slancio verticale: la scena è densa di elementi, disposti dall’artista
con grande sapienza compositiva, che rappresentano una sintesi della lunga tradizione iconografica
precedente della Natività.
La tradizionale iconografia bizantina della Natività rappresentava una vera e propria scena di parto,
con la Vergine distesa, di fronte ad una grotta nel deserto, nella quale c’era il Bambino Gesù. Altri
particolari desunti dai Vangeli, completavano la rappresentazione: l’annuncio angelico ai pastori, la
∗
Pittore di formazione lombarda e leonardesca, fu attivo nella zona fra Brescia e Cremona.
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stella cometa e i Magi. Tuttavia, a causa della scarsità di dati forniti dai testi canonici del Nuovo
Testamento, le fonti non canoniche, in particolare i Vangeli apocrifi ( II – IV secolo), ricchi di
elementi favolistici atti a soddisfare la fantasia e la curiosità popolari, erano diventati la fonte
privilegiata per rappresentare molti episodi evangelici: a loro si deve l’introduzione nella Natività di
alcuni particolari, come l’asino e il bue, la presenza delle levatrici che lavavano il bambino Gesù,
l’età anziana di san Giuseppe, raffigurato pensoso, talora tentato dal demonio di non credere alla
concezione verginale di Gesù.
Nel periodo tardomedievale, nel Duecento e Trecento, l’arte occidentale si era progressivamente
allontanata da questa iconografia bizantina tradizionale. Testi come la Legenda Aurea ed il Mariale
del domenicano Jacopo da Varazze1, e di altri autori spirituali come Giovanni di Hildesheim2
iniziarono a favorire un ritorno ai vangeli sinottici. Iniziò a mutare in primo luogo la scenografia.
Eliminando il riferimento alla grotta ed al deserto, e sviluppando l’accenno di Luca all’“albergo”
(Luca 2,7), la scena fu collocata in un «diversorium», ossia una capanna o tettoia. Giovanni da
Hildesheim descrive una via di mezzo: la capanna sarebbe stata un tugurio mezzo diroccato, e
costruito su una spelonca, sulla piazza del mercato di Betlemme. Vi è probabilmente il riferimento
concreto alla Basilica della Natività, costruita sopra la grotta della Natività a Betlemme; la Basilica,
edificata da Costantino e poi riedificata come la vediamo oggi da Giustiniano, è sempre stata ben
conosciuta e venerata sin dall’antichità e ancora di più nel Medioevo, soprattutto dopo le Crociate.
La soluzione ibrida grotta-capanna e deserto si trova in molti pittori del Duecento e Trecento, da
Duccio di Buoninsegna a Giotto, ma l’evoluzione spinse sempre più verso la rinuncia al deserto e
per l’inserimento della capanna in un contesto urbano, che i vari artisti caratterizzarono
nell’ambiente da loro conosciuto: ecco così sorgere Betlemme toscane, nordiche, fiamminghe. Nel
Quattrocento infine la capanna si cinse di tralci di vite e fogliami e diventò una rovina classica,
ambientata in un paesaggio tra agreste e bucolico: vi poteva essere anche una colonna antica, talora
spezzata, o una rovina antica, per alludere alla fine del paganesimo. La scelta preferenziale per la
capanna, che contraddiceva la secolare testimonianza della Basilica monumentale costruita sopra la
grotta della Natività a Betlemme, nasce dunque evidentemente da una motivazione teologica: Dio
nasce tra noi, non nelle viscere della terra, dove il mistero si compirebbe lontano dagli occhi degli
uomini, ma in mezzo al mondo dei semplici, in città, sulla pubblica via, vicino al mercato, in un
luogo dove la “lieta novella” è a portata di tutti. Un’altra svolta decisiva nella scena della Natività
avvenne nel Trecento per opera di diversi fattori convergenti: la devozione francescana per la
Natività, iniziata con la Messa della Notte di Natale voluta da san Francesco stesso nella grotta di
Greccio, opere spirituali come le Meditazioni sulla vita di Cristo dello Pseudo-Bonaventura (così
chiamate perché un tempo attribuite al francescano Bonaventura da Bagnoregio), della fine del XIII
secolo, e le Celesti rivelazioni di Santa Brigida, una scrittrice mistica svedese morta nel 1373, la
diffusione delle laudi e l’influenza della messa in scena dei “misteri” medievali. Scomparvero, nel
giro di pochi decenni, i particolari extracanonici precedenti: rimasero solo l’asino e il bue. La
visione di Santa Brigida, raffigurata da vari pittori molti dei quali di scuola fiorentina e toscana,
contribuì a fissare in maniera definitiva la classica disposizione dei genitori adoranti in ginocchio.
1
Jacopo da Varazze (o Varagine, Savona 1230 ca. - Genova 1298), domenicano, fu in seguito arcivescovo di Genova.
Le sue opere furono fondamentali per l’iconografia sacra europea dal Medioevo in poi.
2
II religioso Giovanni di Hildesheim, vissuto nel XIV secolo, è l'autore della Historìa Trium Regum La Storia dei Tre
Re [Magi].
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La Natività bizantina si trasformò così gradualmente nel “presepio” che tutti conosciamo, ed i cui
elementi fondamentali si ritrovano tutti nella nostra tavola.
La scena si svolge all’aperto, in un prato: l’ambientazione in un verdeggiante e idilliaco paesaggio
intende rimandare al giardino dell’Eden, e quindi al Paradiso terrestre che l’umanità ha perduto a
causa della colpa e che Gesù nascendo riapre di nuovo all’umanità.
Il bambino Gesù, nudo come simbolo della sua umanità, è stato deposto da Maria sulla paglia che
forma intorno al corpo del Signore una mandorla che, con il suo colore giallo, spicca sul fondo
verde del prato. La mandorla, che rimanda a quella presente intorno a Gesù nella Trasfigurazione e
Resurrezione, allude alla sua natura divina. Il fatto che Gesù sia rappresentato nudo è in chiara
contraddizione con il testo di evangelico di Luca: Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia (Luca 2,7). Questo fatto ci permette di considerare
come una raffigurazione non sia mai solo una pedissequa imitazione della realtà o di un testo, ma
sempre una loro interpretazione, filtrata e mediata dalla cultura e mentalità dell’epoca, ed
influenzata da molti altri fattori sia generali che contingenti. In un’epoca come il Quattrocento in
cui si andava riscoprendo la cultura pagana ed anche le opere antiche, la scelta di ritrarre Gesù
Bambino nella sua nudità, intendeva probabilmente riaffermare che Gesù, Figlio di Dio, aveva
assunto veramente la nostra umana; il motto classico “l’uomo misura di tutte le cose” andava
dunque reinterpretato nel considerare Gesù il modello perfetto di uomo.
Maria è raffigurata giovane e bellissima. Continuando la tradizione bizantina, è vestita come una
regina: d’altra parte l’appellativo generico di rispetto e di onore usato nel Medioevo per una donna
di rango: Mea domina/Mia Signora è diventato, anche per influenza della poesia cortese e delle
laudi, il titolo per antonomasia di Maria: Madonna. Ella indossa una tunica rossa con un sontuoso
bordo d’oro, che rimanda alla porpora della dignità imperiale, un velo trasparente sul capo e un
lungo mantello blu bordato da un ricamo dorato. Generalmente il rosso, colore del sangue, viene
interpretato come simbolo anche della umanità di Maria, che è stata avvolta come in un manto da
Dio, simboleggiato dal colore blu del cielo; per questo motivo Gesù, all’opposto, veste una tunica
blu ad indicare la sua divinità, con un manto rosso a indicare la sua umanità. Quanto appena
affermato, attenzione, va preso in senso molto generale: infatti sia i colori che le varie simbologie
sono tutt’altro che univoche, variando moltissimo a seconda delle epoche storiche, delle varie
interpretazioni teologiche, delle tradizioni regionali e delle diverse scuole artistiche.
La Madonna è inginocchiata, lo sguardo fisso su Gesù, con le mani giunte in preghiera, in atto di
adorare il suo Divin Figlio, secondo la già accennata nuova iconografia occidentale elaborata nel
Trecento e Quattrocento. Va certamente notato che nella composizione generale dell’opera e anche
dal punto di vista figurativo è proprio Maria la figura più importante e centrale della
rappresentazione: infatti il Bambino è raffigurato piccolo e di lato, mentre la figura della Madre
giganteggia e focalizza su di sé immediatamente l’attenzione del fedele.
Dietro la Madonna sta san Giuseppe, in piedi, raffigurato in età avanzata, barbato, con una
pronunciata calvizie. Indossa una tunica di colore giallo3, con un mantello rosso ed un cappuccio
verde4: questo è un abito da viaggio, che evidentemente il santo nella concitazione degli eventi non
3
La scelta di tale colore potrebbe essere una pura coincidenza, comunque è interessante rilevare che, a partire dal
Duecento, varie legislazioni europee sia locali che generali, sia ecclesiastiche che laiche, iniziarono a imporre agli Ebrei
di portare un contrassegno sugli abiti o dei vestiti proprio di colore giallo.
4
Generalmente il rosso è il colore dell’amore/carità, ed il verde della speranza, tuttavia mi sembra azzardato affermare
decisamente che in questo contesto i due colori abbiano certamente un significato simbolico.
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si è ancora tolto, tanto che nella destra egli stringe ancora il bastone da viaggio, segno anche del suo
essere capofamiglia5. Appeso alla cintola gli pende un lungo coltello o, forse, una roncola, un
attrezzo agricolo largamente usato nelle campagne non solo lombarde del Quattrocento.
Come accennato, nella tradizione iconografia bizantina san Giuseppe era raffigurato spesso
pensoso, e talvolta tentato dal diavolo: per gli iconografi bizantini tali immagini erano finalizzate a
esaltare la fede di san Giuseppe nella concezione verginale di Gesù ed a proclamare la natura divina
e umana del Figlio di Dio. Nella nostra tavola l’espressione di san Giuseppe, che non guarda
direttamente il bambino Gesù ma fissa un punto fuori dalla tavola, è forse una eco di questa antica
iconografia bizantina: come accennato infatti, quando fu dipinta la nostra tavola, era già prevalente
l’immagine di ambedue i genitori adoranti in ginocchio il Bambino.
Essendo nato in una stalla ed essendo stato deposto in una mangiatoia, era logica e plausibile la
presenza di animali domestici. Due testi profetici: Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia
del padrone (Isaia 1,3) e In mezzo ai due animali tu ti manifesterai (Abacuc 3,2 secondo la
traduzione greca dei LXX6) sono all’origine della presenza dei due animali, l’asino e il bue appunto,
accanto alla mangiatoia di Gesù. D’altra parte, essendo Maria incinta, era presumibile che, come
d’uso all’epoca, avesse fatto il lungo e faticoso viaggio a dorso d’asino: un asino poi compare quasi
sempre nelle immagini della Fuga in Egitto. L’asino e il bue furono in seguito interpretati anche
come simboli dell’intera umanità, rappresentata dai due popoli noti che allora la costituivano: i
giudei ed i pagani. Nella nostra tavola l’asino è rappresentato di profilo, con una cavezza ancora
legata al collo, con la testa che si abbassa verso il bambino; il bue invece con occhio vivo e
penetrante guarda direttamente verso il fedele.
Alle spalle del gruppo della Natività vi è un muro, costruito in pietre regolari e squadrate, ed una
piccola capanna di legno. Sopra il muro spuntano tre bellissimi angeli, si intravedono le lunghe ali
aguzze, sono raffigurati a mezzo busto, con la testa cinta di corone di rose: stanno cantando
GLORIA IN EXCELSIS DEO, come si legge anche sul cartiglio che pende davanti a loro.
Dietro al gruppo della Natività digrada verso lo sfondo il paesaggio diviso in due colline
contrapposte. Su quella alla nostra sinistra sono raffigurati due pastori con le greggi. Sulla collina a
destra un animale a quattro zampe, la cui leggibilità è compromessa da una caduta di colore, ma che
dovrebbe essere, secondo logica, il cane dei pastori. Nella parte superiore della tavola, centinata, è
raffigurato a figura intera un angelo che regge un cartiglio senza scritta; purtroppo la figura è
rovinata da una caduta di colore. In questa parte dell’opera è dunque rappresentato l’episodio
evangelico dell’annuncio della nascita di Gesù ai pastori.
Concludendo, la tavola costituisce un interessante testimonianza nella evoluzione della tradizione
iconografica della Natività: accanto alle novità: ambientazione all’aperto in un prato, capanna,
Madonna in ginocchio, conserva ancora l’immagine di san Giuseppe pensoso.
La fonte della rappresentazione cui il pittore sembra essersi riferito esclusivamente, pur nella libertà
interpretativa di alcuni passaggi, è il Vangelo di Luca: manca infatti il particolare, presente in
Matteo, della stella cometa e dei Re Magi.
Anche se è raffigurata la nascita di Gesù, l’importanza attribuita alla figura di Maria inginocchiata
ad adorare il Figlio è emblematica dell’intento di invitare il fedele ad avere la stessa adorazione e
gli stessi sentimenti: è dunque un’opera profondamente religiosa, che invita alla devozione ed alla
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6
Il termine ebraico matteh significa sia bastone che tribù.
E’ un errore di traduzione in greco del testo originale ebraico: Nel corso degli anni manifesta la tua opera.
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preghiera intima, raccolta, personale; per questo è lecito ipotizzare che la tavola sia stata
originariamente pensata per la devozione privata, personale o comunitaria, a carattere spiccatamente
mariano. Se invece era destinata ad un luogo di culto pubblico, si doveva trattare con ogni
probabilità di una cappella od oratorio dedicati alla Vergine.
Va sottolineata anche una attenzione alla realtà, generalmente riconosciuta come una qualità tipica
dei pittori lombardi: mi riferisco in particolare all’arnese agricolo appeso alla cintura di san
Giuseppe ed allo studio attento e naturalistico nella resa dei due animali e nell’espressione del bue.
Sono gli angeli, bellissimi, insieme alla bellissima Madonna, che ci invitano ad adorare Gesù che
nasce per noi e che continuano a proclamare il messaggio di gioia e speranza del Natale: Gloria a
Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama!
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