Per dar compiuta risposta al quesito postomi occorre anzitutto

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Per dar compiuta risposta al quesito postomi occorre anzitutto
“Per dar compiuta risposta al quesito postomi occorre anzitutto chiedersi se il Sindacato Fials
possa agire in giudizio in rappresentanza diretta dei suoi assistiti, ovvero sussista la sua
legittimazione ad agire.
La legittimazione ad agire rappresenta una delle cosiddette condizioni dell'azione, in assenza
delle quali l'azione giudiziale non può essere decisa nel merito. La legittimazione ad agire
consiste nella titolarità del diritto azionato. Qualora la legittimazione ad agire non sussista, il
processo deve chiudersi con una decisione in rito, con la quale viene affermata l'impossibilità di
pronunciare nel merito. Se invece l'attore, pur essendosi affermato titolare del diritto, non risulta
concretamente tale, la causa deve concludersi con una sentenza che respinge la domanda nel
merito.
L'art. 24 della Costituzione afferma che "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti e interessi legittimi". Lo stesso codice di procedura civile all'art. 81 prevede che "fuori dai
casi espressamenti previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un
diritto altrui".
Giurisprudenza consolidata ha ribadito l’assenza di legittimazione attiva delle organizzazioni
sindacali ad agire in giudizio per la tutela di interessi dei propri iscritti (in tal senso, da ultima
Cons. Stato, Sent. 18 aprile 2012 n.2208).
Il Consiglio di stato ha osservato in linea generale che i sindacati sono associazioni private non
riconosciute, cioè figure organizzative libere e non assoggettate a vigilanza, verifiche o controlli
pubblici, in specie sulla democraticità dell'ordinamento interno. Hanno dunque carattere plurale
e sono ad adesione eventuale, ma non sono enti esponenziali della categoria e dunque non
possono essere considerati come portatori di un proprio compito generale di difesa, anche in
giudizio, dell'interesse dell'intera categoria unitariamente considerata. Segue che la riunione in
associazione ai fini di tutela generale di un determinato gruppo sociale o categoria non è
suscettibile di conferire alle formazioni così costituite una legittimazione straordinaria a ricorrere
in luogo e nell'interesse dei consociati, salvo i casi in cui specifiche disposizioni di legge o di
regolamento assegnino all'associazione una posizione partecipativa ad un determinato
procedimento, o il diritto ad interloquire su scelte che coinvolgano nel complesso la categoria
rappresentata. L'interesse collettivo dell'associazione sindacale deve identificarsi con l'interesse
di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli
associati o ristretti gruppi di essi. Una diversa conclusione, volta a riconosce la piena ed
autonoma legittimazione ad agire dell'associazione di categoria, determinerebbe, secondo il
Supremo Collegio, una vera e propria sostituzione processuale, in violazione dell'art. 81 del
codice di procedura civile, secondo il quale nessuno può fare valere in giudizio in nome proprio
un diritto altrui se non nei casi espressamente previsti dalla legge.
Il sindacato è in genere legittimato ad impugnare atti concernenti singoli iscritti solo se ed in
quanto tali provvedimenti concretino anche una lesione dell’interesse collettivo statutariamente
tutelato.
Tuttavia, lo Statuto dei Lavoratori pone alla nostra attenzione diversi casi in cui il soggetto
collettivo – sindacato, è legittimato ad agire per interessi propri ed altrui, o di categoria.
1. L’esempio più rilevante di azione collettiva nell’ambito dello statuto dei lavoratori è però
contenuto nell’articolo 28 legge 300/70 (condotta antisindacale – ricorso associazioni
sindacali).
Quivi gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali possono agire a tutela della
libertà sindacale, dell’attività sindacale e del diritto di sciopero. Per “associazioni sindacali
nazionali” devono intendersi associazioni che abbiano una struttura organizzativa articolata a
livello nazionale e che svolgano attività sindacale su tutto o su ampia parte del territorio
nazionale.
Si tratta di una legittimazione ad ampio spettro che tocca situazioni proprie del sindacato,
situazioni del lavoratore, situazioni inerenti in maniera generale la libertà sindacale;
2. L’articolo 9 della citata legge (tutela della salute – rappresentanze dei lavoratori) legittima
“le rappresentanze dei lavoratori” a controllare l’applicazione delle misure di sicurezza e quindi
ad agire a tutela dei lavoratori (si tornerà sul punto nel prosieguo);
3. L’articolo 16 (divieto di trattamenti economici collettivi discriminatori) ammette l’azione
giudiziale del sindacato su mandato dei lavoratori interessati;
4. L’articolo 18 (inefficacia e invalidità del recesso) al comma 7 prevede nel caso di licenziamento
di dirigente sindacale, l’ipotesi di procedura sommaria, su istanza congiunta del lavoratore e
del sindacato;
5. In tema di pari opportunità la legge 125/91 (e successive modifiche), per le discriminazioni
di carattere collettivo, prevede l’azione dei consiglieri di parità ed il ricorso delle organizzazioni
sindacali su delega del lavoratore;
6. Il Testo Unico in materia di immigrazione all’articolo 44 prevede nel caso in cui non siano
individuati i lavoratori lesi la possibilità della presentazione del ricorso da parte delle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale;
7. In tema sempre di discriminazioni sul lavoro, l’articolo 5 del dlgs 216/2003 (in tema di parità
di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro) affida l’azione collettiva alle
rappresentanze locali, alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano
nazionale in forza di delega con atto pubblico in nome e per conto del soggetto che ha subito
la discriminazione o a sostegno dell’azione dello stesso. Le rappresentanze locali possono in
ogni caso agire qualora non siano individuabili in modo immediato le persone lese dalla
discriminazione;
8. Il decreto legislativo 215/2003, sempre relativo alle discriminazioni in genere, abilita con
procura autenticata enti ed associazioni iscritti in un apposito elenco.
Una volta, pertanto, appurata la sussistenza della legittimazione ad agire in capo alla Fials ex
art. 9 Statuto dei Lavoratori (cfr punto 2 sopra richiamato), è necessario esaminare quali cautele
appresti l’ordinamento a salvaguardia della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro.
Viene dunque in risalto la normativa posta a fondamento della materia, ossia il TESTO UNICO
SULLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Testo coordinato
con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106).
Da esso si desume anzitutto che per sicurezza sul lavoro si intende la situazione nella quale il
lavoratore è posto nella condizione di lavorare senza esporsi al rischio di incidenti, essendo, in
particolare, il luogo di lavoro dotato degli accorgimenti e degli strumenti idonei a fornire un
ragionevole grado di protezione contro la possibilità materiale del verificarsi di incidenti. Il citato
TU Sicurezza prescrive appunto le misure di prevenzione e protezione (tecniche, organizzative e
procedurali), che devono essere adottate dal datore di lavoro, dai suoi collaboratori (i dirigenti
e i preposti), medico competente e dai lavoratori stessi, al fine di evitare eventi dannosi o
pericolosi per i propri dipendenti e per i terzi.
Il Titolo Primo del TU contiene i principi comuni in materia.
L’art. 15 prevede che le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei
luoghi di lavoro sono:
a) la valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza;
b) la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in modo coerente
nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori
dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;
c) l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione
alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
d) L’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
e) l’informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti;
f) l’informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
g) l’istruzioni adeguate ai lavoratori;
h) la partecipazione e consultazione dei lavoratori;
i) la partecipazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
Sulla prevenzione, l’art. 31 prevede che il datore di lavoro debba organizzare il servizio di
prevenzione e protezione prioritariamente all’interno della azienda o della unità produttiva, o
incaricarne persone o servizi esterni. Il sesto comma della medesima disposizione stabilisce
inoltre l’obbligatorietà di tale servizio nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con
più di 50 dipendenti.
Si prevede inoltre che il datore di lavoro attribuisca in dotazione i cosiddetti dispositivi di
protezione individuale.
In tema di responsabilità del datore di lavoro, si dovrebbe inoltre aver riguardo all’art. 2087 c.c.,
il quale, prevedendo che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure
che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, si pone come norma di chiusura
del sistema antinfortunistico, con funzione sussidiaria ed integrativa della normativa speciale
sopra richiamata.
La responsabilità ex art. 2087 c.c. è configurabile quando la lesione del bene tutelato derivi dalla
violazione dell’obbligo che incombe al datore di lavoro di adottare idonee misure a tutela della
salute del lavoratore subordinato e della sua personalità morale, e di controllare e vigilare che
esse siano rispettate da parte dei lavoratori, trattandosi, pur sempre, di misure
antinfortunistiche, richieste dalle oggettive caratteristiche dell’attività di lavoro e dalle condizioni
dei singoli lavoratori.
Il contenuto dell’obbligo di sicurezza abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto
soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi, così com’anche evidenziato
dalla Sentenza n.399/1996 della Corte Costituzionale, secondo la quale la salute è da riguardarsi
come un bene primario che assurge a diritto fondamentale della persona, ed il cui presidio attiene
alla generale e comune pretesa dell’individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro, che
non pongano a rischio questo suo bene essenziale.
Gli obblighi imposti all’imprenditore inerenti la sicurezza non si riferiscono soltanto alle
attrezzature, ai macchinari, ed ai servizi che il datore di lavoro fornisce o deve fornire, ma anche
all’ambiente di lavoro, in relazione al quale le misure e le cautele da adottarsi dall’imprenditore
devono riguardare sia i rischi insiti in quell’ambiente sia i rischi derivanti dall’azione di fattori
esterni ad esso.
Alla luce di tutto quanto appena esposto, si ritiene che la Fials potrebbe agire anche in via
giudiziale al fine di veder condannato l’Ospedale Sacco a garantire un’adeguata tutela dei
lavoratori, sotto il profilo della sicurezza sul luogo di lavoro, e, nello specifico, ad apprestare un
servizio di vigilanza armata e controllo h24 nella struttura ospedaliera.
Ci si chiede, infine, se i lavoratori che si sono visti aggredire accusando evidenti danni biologici,
possano agire singolarmente per l’integrale ristoro dei danni fisici e morali patiti sul luogo di
lavoro per negligenza del datore di lavoro che non si è curato di garantire la loro sicurezza, o
non ha apprestato ogni cautela necessaria ad evitare tali lesioni.
La risposta è senz’altro positiva, avuto riguardo al fatto che accadimenti di questo tipo rientrano
nel genus dell’infortunio sul lavoro, per i quali interviene a copertura in primo luogo l’INAIL, e,
poi, l’impresa assicuratrice del datore di lavoro.
Qualora tuttavia i lavoratori non venissero integralmente risarciti, si ritiene che essi possano
agire in giudizio per il completo ristoro dei pregiudizi subiti, nonché del danno morale a questi
correlato, soddisfando i presupposti qui di seguito elencati.
Essendo la responsabilità di cui trattasi di natura contrattuale, ai fini del suo accertamento
incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un
danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente
di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro l’onere
di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le
cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo.
Sul punto danno morale, ci si pregia di aggiungere, è intervenuta la recentissima Sentenza n.
28137/13 della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito la possibilità di liquidarlo in maniera
autonoma rispetto al danno biologico, eventualmente già liquidato dagli enti previdenziali o
assicurativi citati sopra.