Clemens Brentano Fiabe del Reno In anteprima
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Clemens Brentano Fiabe del Reno In anteprima
Clemens Brentano Fiabe del Reno In anteprima: L’incipit e una scena memorabile: la visita del pastore Damon e la bella Chiar di Luna alla nonna della Luna La Fiaba del Reno e del mugnaio Macinino Come il mugnaio cantò al Reno un canto, e fece un sogno. Nella Regione del Rheingau, dove oggi si trova Rüdesheim, in tempi lontanissimi esisteva presso la riva del Reno un mulino solitario, circondato da un prato verde e pieno di fiori. In questo mulino abitava Macinino, un giovane e pio garzone di mugnaio. Egli viveva in pace con il mondo intero, di buon grado regalava ai poveri un misurino di farina e distribuiva le briciole ai pesci e agli uccelli. Tutte le sere si sedeva di fuori, sull’argine del mulino, e da lì si godeva la vista delle belle onde verdi del fiume, delle rive che vi si rispecchiavano, e dei pesci, che si divertivano a saltar fuori dai flutti. Poi, prima di andare a dormire, in segno del suo profondo rispetto, intrecciava sempre una bella ghirlanda di fiori e cantava al vecchio Reno un canto Alla fine gettava la ghirlanda alle onde che, liete, la trascinavano a fondo; e quando Macinino non era più in grado di vedere la ghirlanda, allora rientrava tranquillamente nel mulino e se ne andava a dormire. E il canto che era solito cantare faceva così: Buona notte vita mia, Vecchio Reno fedele – Chiara l’onda tua Sospesa a lume di stella; Il mondo intorno dorme, E canta e canta la luna Al gregge delle nubi. Dorme il marinaio E sogna e sogna il mare; Ma tu devi vegliare Conduci tu la barca; Conduci una vita libera, Danzando tra le viti Nella notte più severa. Chi ti ha visto impara a ridere; Sei tutto pieno di gioia, Ai deboli sollevi il cuore E i poveri fai ricchi; Rispecchi alti castelli Riempi grandi tini Col più nobile dei vini. A qualcuno insegni il pianto, Gli hai portato via l’amore; Ma Dio voglia ricongiungere Chi laggiù tanto si strugge; Loro vagano nei boschi Ogni rupe è un risuonare, Ed echeggia il dolore loro. Qualcuno impara a pregare Dal fondo dei tuoi scogli; Chi ti calpesta con ira Tu lo attiri nell’abisso: Dove spumeggia il gorgo, Dove il vortice mugghia, E’ lì che pregheranno. A me però insegni il canto, Quando l’occhio mio ti scorge, Pieno di gioia un suono Mi attraversa tutto il petto. Pietoso spingi il mulino, Ti saluto nella frescura E tutto m’abbandono al sonno. Voi stelle vaghe, vegliate Su questo padre mio, Finché non mi svegli il sole, Macina e macina tu; Se tutto va bene ti lodo, Mettendo le ali al canto, Un canto tutto per te. Adesso lancio per gioco Una ghirlanda nei flutti tuoi; Portala alla sua meta, Dove il mio giorno si posa; Buona notte, devo andare, Devo smettere di cantare, Buona notte a te, mio Reno! Questo canto e la ghirlanda facevano sempre molto piacere al vecchio Reno che, per questa ragione, si era affezionato al mugnaio Macinino, e faceva in modo che il suo mulino girasse proprio a dovere, né troppo lentamente né troppo in fretta. Una volta il mugnaio sognò di recarsi nel suo prato a intrecciare la solita ghirlanda per il vecchio Reno, ma di non trovarvi altri fiori che la speronella, la fritillaria imperiale, il verbasco, il giaggiolo di Persia, la veronica, e altre piante aristocratiche e nobili; di esitare allora un poco a tagliare a suo piacimento e con le proprie mani da artigiano quei fiori tanto eletti; ma infine di farne una splendida ghirlanda per il suo amico, il più nobile dei fiumi. Quando però, nel sogno, l’aveva gettata tra le onde, sotto di essa era apparso un uomo vecchio e molto serio, e tuttavia benigno; i suoi sottili capelli di giunchi erano circondati da una corona di pampini dorati, sopra i quali si era poggiata la ghirlanda di Macinino. Sulle braccia portava una meravigliosa fanciulla, che depose sulla spiaggia, dinanzi a Macinino inginocchiato. Sempre nel sogno, la fanciulla gli si era avvicinata amichevolmente, gli aveva poggiato sul capo una preziosa corona antica; poi, dandogli la mano, lo aveva fatto alzare per accompagnarlo al suo mulino. Ma quando con lei aveva attraversato il prato, in esso non c’era nessun altro fiore da ammirare se non il fiore del miusuro, detto toporecchio, cosa che aveva assai spaventato entrambi; perché il toporecchio era cresciuto a tal punto da circondarli completamente; ma poi un’altra erba, detta marrubio, o coda di gatto, era nata tutt’attorno, e in ogni angolo e su ogni albero così tanti ramoscelli di salice e d’olivo, come se ne vedono solo, benedetti, in chiesa, la Domenica delle Palme: così era stata inghiottita completamente la pianta detta toporecchio. Mentre accadeva tutto ciò, egli aveva visto il Vecchio del Fiume saltellare pieno di collera qua e là nel Reno, gettando in aria montagne di onde; e il suo mulino gli era apparso allora come uno scintillante castello ai piedi del monte. Allora il mugnaio si era svegliato in preda a grandissima paura. (Traduzione di Laura Bocci; Traduzione del Lied di Camilla Miglio) Ma per sapere come il sogno del mugnaio si avverò dobbiamo aspettare la pubblicazione del libro a Natale. In compenso presentiamo in anteprima un passaggio di grande fantasia visionaria. La visita del pastore Damon alla nonna di Chiar di Luna, o meglio, alla Nonna della Luna: […] Parlando parlando entrammo nello Zodiaco, sopra il quale abitava la nonna, e arrivammo finalmente alla sua casa. Veramente dall’esterno somigliava piuttosto a una casetta per le galline, ma quando bussammo ed entrammo, mio Dio, quale magnificenza ci accolse! Tutto era luce e specchio, sulle scale era sparsa sabbia di stelle polverizzate, su tutte le pareti pendevano piatti e brocche scintillanti; insomma, ogni cosa era così tirata a lucido da non sapere proprio dove mettere i piedi. Bussammo a tante porte, ma erano tutte serrate, finché un tramestio e vocio ci attirò verso il cortile, dove trovammo un spettacolo mirabolante: c’erano tutti e dodici i segni dello Zodiaco che strofinavano e lucidavano una gran quantità di lune, di soli e di comete, tanto che le loro dita sanguinavano. Mia nonna stava in piedi nel mezzo del cortile: aveva in mano un pettine e strigliava una lunga coda di cometa. Appena ci vide scappò via e poi ritornò subito con indosso un altro vestito, ma nella fretta si era messa la cuffia al contrario. A questo punto, appena vide e riconobbe mia madre, iniziò a rimproverarla: “Cosa? Ma sei senza vergogna, vai ancora in giro nuda? Che figlia scostumata! E adesso sarai sicuramente ritornata per mendicare un vestito! E la smorfiosetta che hai con te chi sarebbe?” “Madre cara,” disse mia madre tra le lacrime, “è mia figlia, che vi vuole baciare le mani” – e così mi avvicinai alla nonna e le baciai l’orlo della sottana, cosa che la commosse profondamente: mi strinse al petto piangendo, e a mia madre regalò un abito fatto a maglia che era vestito, camicia e corpetto in un pezzo solo, insomma un abito che si poteva definire una seconda pelle, perché si allargava e si stringeva in lungo e in largo seguendo ogni sua trasformazione. E finalmente ci diede il benvenuto come si deve e ci condusse nei suoi sontuosi quartieri, mostrandoci tutti i suoi tesori: c’era qualcosa come centinaia e centinaia di lune e di soli e di stelle, tutti tirati a lucido come specchi; poi c’erano almeno cento quintali di comete di scorta, e poi tutto un magazzino di aurore boreali, e due scantinati pieni di stelle cadenti, ognuna ben avvolta nel suo incarto; e poi incalcolabili centinaia di fuochi fatui sigillati in bottigliette; ma soprattutto, la cosa che mi allietò più di tutte, centinaia di dozzine di arcobaleni meravigliosi avvolti nella paglia umida. In poche parole: c’era di tutto. Quando avemmo ammirato a sufficienza tutti questi tesori, la nonna disse: “Siete venute a trovarmi proprio nel giorno giusto: infatti oggi il mio gatto si leccava e lisciava così tanto che ero sicura che avrei ricevuto visite: ecco perché mi avete trovata tutta affaccendata a ripulire e lucidare!” Poi iniziò a lamentarsi diffusamente della degenerazione della servitù di oggi, mentre rimetteva a posto i tavolini da gioco e riordinava la stanza qua e là. (Traduzione di Melani Traini)