Felice Cimatti Invidia e autocoscienza Storia innaturale di una

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Felice Cimatti Invidia e autocoscienza Storia innaturale di una
Felice Cimatti
Invidia e autocoscienza
Storia innaturale di una emozione umana
1. «L’autocoscienza» – scrive Hegel nella Fenomenologia dello spirito (La verità della certezza di
sé stesso – A. Autonomia e non autonomia dell’autocoscienza. Signoria e servitù ) – «è in sé e per
sé», cioè può dirsi pienamente realizzata, «solo quando e in quanto è in sé e per sé per un’altra
autocoscienza, cioè solo in quanto è qualcosa di riconosciuto»1. Un io può dire, con pienezza di
senso, d’essere un “io” solo quando è riconosciuto come io da un’altra autocoscienza, da un altro
“io”. Al di fuori di questa necessaria connessione (che assume spesso il carattere estremo di uno
scontro) con l’altro l’io rimane del tutto implicito, assorbito dalla relazione con l’oggetto. Il gatto
che insegue il topo è tutto preso (e perso), nella azione che sta compiendo, i suoi occhi sono
incollati alla preda, è la caccia in cui è impegnato con tutto sé stesso2; in questa situazione non c’è
spazio logico (non psicologico) per una distinzione esplicita fra ciò che sta facendo (la caccia al
topo) e il gatto in quanto soggetto impegnato in una certa azione (che, proprio come soggetto, è
distinto da quello che quello stesso soggetto può fare), e quindi fra coscienza e autocoscienza, fra –
per usare ancora il lessico hegeliano – «in sé» e « in sé e per sé ». Si passa dalla coscienza –
presente nel mondo animale come in quello vegetale – alla autocoscienza, scrive Hegel, mediante il
«riconoscimento» dell’altro. Io sono “io” (insistiamo sull’io fra virgolette perché «l’autocoscienza
[...] in sé e per sé » è quella che sa dire “io”, sa usare la parola “io”)3 quando vengo riconosciuto
come io. È l’altro, la comunità, che mi riconosce (riconoscimento che può anche assumere la forma
degenerata del rifiuto, ma si rifiuta comunque qualcuno, e in quanto qualcuno si è comunque
riconosciuti come qualcuno); l’“io” non può riconoscersi da solo, ha bisogno di specchiarsi
nell’altro, di vedere nell’altro un proprio simile, ma anche qualcuno di diverso da sé, e in questa
distinzione letteralmente consiste l’autocoscienza, cioè l’io che si scopre “io”, la coscienza che
diventa coscienza di sé: diventiamo noi stessi attraverso gli altri [...]. In questo sta la sostanza del
processo dello sviluppo culturale, espresso in una forma puramente logica. La persona diventa “per
sé” per il fatto che è “in sé” e attraverso il fatto che si manifesta “per gli altri”. Questo è il processo
1
G. W. F. Hegel, Die Phänomenologie des Geistes (1807), Joseph Anton Goebhardt, Bamberg und Würzburg (trad. it.
Fenomenologia dello spirito, a cura di V. Cicero, Rusconi, Milano 1995), p. 275.
2
F. Cimatti, La mente silenziosa. Come pensano gli animali non umani, Editori Riuniti, Roma 2002.
3
É. Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966.
della formazione della persona. [...] Ogni funzione psichica superiore attraversa necessariamente
uno stadio esterno nel suo sviluppo, in quanto è una funzione originariamente sociale. [...] Ogni
funzione psichica superiore è stata esterna perché è stata sociale prima che interiore e psichica, è
stata cioè originariamente un rapporto sociale fra due persone. Il mezzo per esercitare una azione su
sé stessi è inizialmente un mezzo per esercitare una azione sugli altri, o un mezzo che gli altri
adoperano per esercitare un’azione sulla persona singola4.
2. Si tratta ora di porsi questa domanda: che forme assume il riconoscimento di sé da parte
dell’altro? Che tipo di riconoscimento è qui in gioco? Dell’altro, in realtà, vogliamo l’attenzione, lo
sguardo. Non vogliamo che l’altro ci riconosca perché con la forza l’abbiamo obbligato: vogliamo
la sua volontà di riconoscerci, vogliamo che l’altro abbia il desiderio di riconoscerci, non ci
accontentiamo della sua mera presenza fisica accanto a noi, ad esempio. Vogliamo, in sostanza, il
suo desiderio: affinché ci sia Autocoscienza, occorre pertanto che il Desiderio verta su un oggetto
non-naturale, su qualcosa che ecceda la realtà data. Ora, la sola cosa la quale sorpassi la realtà data
è lo stesso Desiderio; giacché il desiderio, considerato come tale, prima cioè del suo
soddisfacimento, è di fatto [...] un vuoto irreale. [...] Il Desiderio che verte su un altro Desiderio,
considerato come tale, creerà pertanto, con l’azione negativa e assimilatrice intesa a soddisfarlo, un
Io essenzialmente diverso dall’”Io” animale5.
Si crea qui uno spazio logico affatto peculiare: anche l’animale non umano desidera, il gatto,
ad esempio, desidera il topo, e si mette alla sua caccia, ma in questo senso anche gli organismi non
animali desiderano: il girasole desidera la luce del sole, e infatti ruota sé stesso per essere raggiunto
dalla maggior quantità possibile di luce. L’animale umano ha certamente anche questo tipo di
desideri, ma il suo desiderio specifico (che lo individua come animale umano), si rivolge non ad un
oggetto determinato, ma allo stesso desiderio. L’amore, ad esempio, non è tanto desiderio di un
certo corpo, ma il desiderio che quel corpo ci desideri; desiderio di un desiderio, appunto: «l’essere
umano si costituisce solo in funzione di un Desiderio che verte su di un altro Desiderio, ossia [...] di
un desiderio di riconoscimento»6.
La domanda che ora ci poniamo è come sia possibile che sorga un desiderio apparentemente
così innaturale, perché non è diretto al soddisfacimento di un bisogno immediato, possa essersi
formato. La differenza fra i due tipi di desiderio è molto netta; si tratta, in realtà, di due generi
diversi di desiderio; ognuno, infatti, presuppone una logica del desiderio affatto specifica (per
questo, più sopra, notavamo che la distinzione fra coscienza e autocoscienza non è psicologica, ma,
4
L. S. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti, Firenze 1990, p. 200.
A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel. Leçons sur la Phénomenologie de L’Esprit, per R. Queneau, Gallimard,
Paris 1947 (trad. it. parziale, La dialettica e l’idea della morte in Hegel , Einaudi, Torino 1948), p. 5.
6
Ivi , p. 8.
5
appunto, logica). Ci interessa in particolare, in questo intervento, la diversa logica a cui può
rispondere il desiderio dell’altro: nella prima logica, il desiderio di un proprio simile (per
l’accoppiamento, ad esempio), ha la sua base neurologica nei cosiddetti neuroni specchio. Si tratta
di un gruppo di neuroni che si attivano sia quando un animale osserva qualcuno che sta per
compiere una certa azione, ad esempio afferrare un oggetto, sia quando è quello stesso animale a
compiere l’azione; in questo modo quando l’animale a osserva l’animale b compiere una
determinata azione si crea una sorta di risonanza fra i cervelli dei due animali, che implicitamente
significa che sono simili, e che condividono corpi e intenzioni simili: «quando osserviamo l’azione
di qualcuno [...] il nostro sistema motorio [cerebrale] si attiva come se noi stessimo eseguendo
proprio la stessa azione che stiamo osservando»7. Si stabilisce, così, una relazione molto stretta fra
il cervello – e quindi il corpo e le sue emozioni e i suoi bisogni – di chi agisce e quello di chi
osserva la sua azione: secondo questa prospettiva, percepire una azione è equivalente a simularla
internamente. Questo processo implicito, automatico, e inconscio di simulazione incorporata
permette all’osservatore di usare le proprie risorse per comprendere il mondo dell’altro senza il
bisogno di alcuna teoria esplicita su di esso. Un processo di simulazione dell’azione implicito e
preriflessivo stabilisco automaticamente un collegamento diretto e implicito fra l’agente e
l’osservatore8.
Si tratta di un meccanismo neuronale automatico, implicito e preriflessivo (riguarda la
coscienza, non l’autocoscienza), che stabilisce, fra i diversi componenti di una comunità animale,
uno «spazio intersoggettivo», che «non isola alcun soggetto». In realtà non è corretto definire
questo spazio come intersoggettivo, perché il soggetto è la coscienza cha sa di essere coscienza (la
coscienza che «è in sé e per sé »), mentre qui ci troviamo – ed è proprio questo il punto centrale – al
di qua del soggetto, perché «questo spazio» è «noi-centrico»9. Qui ci sono soltanto coscienze che
risuonano le une alle altre, non autocoscienze autonome, non soggetti «in sé e per sé»: «lo spazio
condiviso costituito dai neuroni specchio semplicemente fonde gli individui che interagiscono fra
loro all’interno di un contenuto semantico implicito e condiviso»10. Per questo, conclude Gallese,
«l’identità sé-altro pertanto preesiste» alla «dicotomia sé-altro»11. Se questa è la logica, fissate al
livello neuronale, del desiderio dell’altro nel mondo degli animali (umani e non umani), la logica
secondo la quale «la soggettività è intersoggettività »12, è evidente che qui non possiamo trovare
risposta alla domanda su come sia possibile che, in natura, si mostri qualcosa di così innaturale (ed
7
V. Gallese, The Roots of Empathy: The Shared Manifold Hypothesis and the Neural Basis of Intersubjectivity, in
“Psychopathology”, 36 (2003), p. 174.
8
Ibidem.
9
Ivi, p. 175.
10
Ibidem.
11
Ibidem.
12
Ibidem.
evolutivamente contorto) come il desiderio del desiderio.
3. L’invidia è appunto desiderare il desiderio altrui: non si vuole per sé il compagno, gli oggetti,
l’aspetto, il successo dell’altro. Non all’oggetto si riferisce il desiderio del desiderio, ma a quello
che quel compagno, quegli oggetti, quell’aspetto, qual successo significano. Avere quel compagno
o quegli oggetti significa essere riconosciuti da altri, significa appunto riconoscimento, significa
diventare un soggetto «in sé e per sé». Il giovane che invidia e desidera per sé la moto dell’amico
non di quell’oggetto è realmente alla ricerca, ma di ciò che quello oggetto significa: attenzione,
sguardi curiosi e ammirati, successo, riconoscibilità, individualità. Sguardi che si vorrebbero diretti
a sé, perché attraverso quegli sguardi, attraverso quel riconoscimento sociale, un io può diventare
“io”, una coscienza autocoscienza, un invisibile visibile13.
Rimane un ultimo punto da analizzare, perché se è l’invidia il motore del processo di
individuazione umano, ché è l’invidia che letteralmente trascina la coscienza «fuori di sé»14 verso il
necessario scontro con l’altro, dal momento che «la necessità di questa lotta risiede nel fatto che
ciascuna autocoscienza deve elevare a verità, nell’altra e in sé stessa, la propria certezza di essere
per sé. Ed è soltanto rischiando la vita che si mette alla prova la libertà»15, rimane il fatto che non
sappiamo come spiegare come possa sorgere, in natura, un desiderio così innaturale come il
desiderio di un desiderio. Il desiderio affatto naturale è quello connesso ad un oggetto determinato,
quel frutto, quell’animale, quella tana. È una logica, questa, lineare, in cui è possibile tracciare una,
e soltanto una, linea retta fra il desiderio ed io suo oggetto. Che significa, invece, desiderare un
desiderio? Significa, intanto, desiderare qualcosa che non è dato come cosa, come entità materiale
(il desiderio non è un oggetto nello spazio e nel tempo); significa, allora, poter liberamente disporre
della propria attenzione, non dipendere, nelle proprie azioni, da quello che la situazione già offre,
significa, ad esempio, avere davanti a sé un oggetto di per sé molto desiderabile ma poterlo non
desiderare, poterlo non volere: «la chiave per il controllo del comportamento è il controllo degli
stimoli. Cosicché il controllo del comportamento rappresenta un processo mediato che si compie
sempre attraverso determinati stimoli ausiliari»16. Da una parte c’è una coscienza, e dall’altra un
oggetto desiderabile; nel mondo degli animali non umani si stabilisce in modo automatico una
relazione fra la prima ed il secondo, una relazione che prende la forma di un desiderio che ha già
davanti a sé il suo soddisfacimento.
Questo non accade fra gli animali non umani. Fra l’autocoscienza e l’oggetto ci sono sempre,
13
P. Cupelloni (a cura di), La ferita dello sguardo. Una ricerca psicoanalitica sulla malinconia, Angeli, Milano 2002.
G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito (1807), trad. it. 1995, p. 275.
15
Ivi, p. 281.
16
Lev S. Vygotskij, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, cit., p. 173.
14
come ci ricorda Vygotskij, «determinati stimoli ausiliari», stimoli aggiunti, stimoli culturali, ossia
parole ed enunciati; fra autocoscienza e oggetto c’è lo schermo del linguaggio. Ma dire linguaggio
significa non semplicemente, e banalmente, comunicazione17, significa «ricorsività», cioè la
capacità, specifica e unica del linguaggio umano, della «infinità discreta»18, ossia la capacità di
generare, dato un insieme finito di elementi di base, un numero potenzialmente infinito di enunciati
diversi; non c’è più, nel mondo della ricorsività, un unico modo di desiderare un oggetto o un
proprio simile. Ad uno stesso oggetto, ora, possono corrispondere una quantità di desideri diversi,
tanti quanti sono i modi di descriverlo e pertanto di immaginarlo. Questo significa che ora si può
desiderare non soltanto l’oggetto già presente ai nostri sensi, ma anche quello che non è presente,
quello che forse non potrà mai essere presente. Fra l’autocoscienza che desidera ed il desiderato si
apre lo spazio del possibile. L’invidia è la consapevolezza tutta umana che l’oggetto dell’altro non
vale in sé, ma per quel che significa come entità sociale, come strumento di riconoscimento;
nell’oggetto c’è ora molto più della sua costituzione materiale. L’oggetto è adesso il semplice
rappresentante materiale del possibile, di tutti gli altri oggetti che avrebbero potuto essere al suo
posto. In quell’oggetto l’animale umano, l’animale che parla e che pensa nel linguaggio, non vede
soltanto quell’oggetto, ma anche lo sguardo altrui, il valore che quegli sguardi gli attribuiscono.
L’oggetto cambia così spazio logico, da determinato oggetto e materiale diventa ora oggetto
possibile, diventa oggetto del desiderio, e desiderare quell’oggetto equivale, in realtà, a desiderare
quel desiderio, e attraverso di esso a desiderare il riconoscimento altrui. Si innesca qui un processo
che può portare il desiderio verso l’annientamento di sé, perché diventa un sentimento distruttivo
che svuota ogni oggetto d’ogni valore, in un continuo rimando e sterile ad un altro oggetto, ad un
altro desiderio; oppure l’invida prende di volta in volta corpo in un oggetto determinato, in una
forma definita. Qui l’invidia diventa allora il medio del «lavoro», che «è desiderio tenuto a freno , è
un dileguare trattenuto, e ciò significa: il lavoro forma, coltiva »19. Autocoscienza, linguaggio (cioè
possibile), invidia: ecco allora come si forma, nella natura artificiale dell’umano, quel paradossale
desiderio che desidera soltanto sé stesso.
Riferimenti bibliografici
Émile Benveniste, Problèmes de linguistique générale, Gallimard, Paris 1966
Felice Cimatti, La mente silenziosa. Come pensano gli animali non umani, Editori Riuniti, Roma
2002
17
Cfr. F. Cimatti, La mente silenziosa. Come pensano gli animali non umani, cit.
M. Hauser, N. Chomsky, T. Fitch, The Faculty of Language: What Is It, Who Has It, and How Did It Evolve?, in
“Science”, 298 (2002), p. 1571.
19
G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, cit., p. 289.
18
Patrizia Cupelloni (a cura di), La ferita dello sguardo. Una ricerca psicoanalitica sulla malinconia,
Angeli, Milano 2002
Vittorio Gallese, The Roots of Empathy: The Shared Manifold Hypothesis and the Neural Basis of
Intersubjectivity, in “Psychopathology”, 36 (2003), pp. 171-180
Hauser Marc, Chomsky Noam, Fitch Tecumseh, The Faculty of Language: What Is It, Who Has It,
and How Did It Evolve?, in “Science”, 298 (2002), pp. 1569-1579
Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1807, Die Phänomenologie des Geistes , Joseph Anton Goebhardt,
Bamberg und Würzburg (trad. it. Fenomenologia dello spirito, a cura di V. Cicero, Rusconi, Milano
1995)
Alexandre Kojève, 1947, Introduction à la lecture de Hegel. Leçons sur la Phénomenologie de
L’Esprit, per R. Queneau, Gallimard, Paris (trad. it. parziale, La dialettica e l’idea della morte in
Hegel , Einaudi, Torino 1948)
Lev S. Vygotskij, 1960 [1930-1931], Istorija razvitija vyssih psihiceskih funktcij (trad. it. Storia
dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti, Firenze 1990)