PRIMITIVO La masseria di mio zio è immersa nella campagna

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PRIMITIVO La masseria di mio zio è immersa nella campagna
PRIMITIVO
La masseria di mio zio è immersa nella campagna salentina. Ci si
arriva da una strada sterrata che quando la fai ti colora la
macchina di rosso. Rosso come il colore della terra del Salento,
rosso come il colore del suo vino, il Primitivo.
Io sono romagnolo, ma nel mio sangue scorre sangue salentino,
entrambi i miei genitori sono nati nell’antica terra dei Messapi.
Sono figlio dell’emigrazione, tanti salentini partono dalla loro
terra in cerca di fortuna. Anche mio padre decise di partire,
appena ventenne entrò in Polizia e dopo aver girato per lavoro
quasi tutta l’Italia si stabilì in Romagna.
Mio padre negli anni si è innamorato della Romagna, che l’ha
accolto come una madre abbraccia un figlio adottivo, ma il suo
cuore è rimasto tra le campagne leccesi dove è nato e cresciuto.
Ogni estate con i miei genitori e mio fratello si tornava a
trovare i parenti, un mese all’anno passato tra la masseria di mio
zio, l’unico fratello di mio padre, con le sue distese coltivate a
grano e tabacco, i tappeti di vite e gli alberi di ulivi, e la
casa di mia nonna materna, in paese, con il giardino coperto da un
pergolato di uva Italia, bellissima con i suoi acini dorati dalla
forma allungata, dal sapore dolce e dall’aroma di moscato.
La mattina andavano al mare sulle spiagge incontaminate di Marina
di Ugento, a pranzo tornavamo dalla nonna materna, e per cena
andavano sempre dallo zio in campagna.
La sera, prima di sedersi a tavola, mio zio tirava fuori dalla sua
cantina una bottiglia di Primitivo. Lo faceva lui, era il suo
orgoglio. Lo teneva in bottiglie verde scuro, che chiudeva con
tappi di sughero, perché diceva che non dovevano prendere troppa
luce.
La prima volta che me lo fece assaggiare mi raccontò la storia di
quel vino.
“Il Primitivo è una vite dura, che ama la terra profonda e
calcarea, cresce dove altri viti muoiono, ed è antichissimo, come
la storia della nostra gente. E’ arrivato nel Salento assieme ai
nostri antichi, da molto lontano, e qui ha trovato il suo mondo
perfetto. Noi e lui siamo cresciuti assieme, e rappresenta il
nostro legame con questa terra.”
E mi versò un mezzo bicchiere, spiegandomi come andava bevuto per
assaporarlo. Ricordo bene quella sera, era passato Ferragosto da
qualche giorno, mia zia aveva preparato un piatto di frise condite
con i pomodorini freschi dell’orto, sale, origano selvatico e olio
d’oliva delle piante dello zio.
Dopo un boccone di frisa, “devi bere un bel sorso di vino, ma non
mandarlo subito giù, tienilo in bocca, senti come la lingua e il
palato si riempiono dei suoi sapori, è alcolico, ma dopo un po’
quello che senti sono i sapori della terra del Salento, aspri e
primitivi, chiudi gli occhi e lascia che il vino ti racconti i
millenni della sua e della nostra storia.”
Questo era il Primitivo di mio zio, un uomo piegato dalla fatica e
dal lavoro della terra del Salento, una terra dai colori ferrosi e
calcarei. Una terra che lui amava profondamente, e a cui ha
dedicato tutta la sua vita.
Mio zio non c’è più, se l’è portato via in pochi mesi un
bruttissimo tumore al fegato che lo ha ridotto l’ombra di sé
stesso, qualche anno fa. La sua masseria ormai non viene più
curata, i miei cugini lavorano in fabbrica, perché del lavoro
della terra non riescono a vivere.
Gran parte della terra non viene coltivata, resta un piccolo
vitigno di Primitivo che i miei cugini continuano a curare, e da
dove ogni anno raccolgono le uve che vinificano come gli ha
insegnato loro padre.
Sento un profondo legame con il Salento. Ogni anno continuo a
tornare, anche ora che ho la mia famiglia. Mia moglie ama le
campagne leccesi ed a mio figlio sto insegnando qual è la sua
terra d’origine, almeno per metà.
E quando la sera ci mettiamo attorno al tavolo, in campagna, sotto
il pergolato che fece mio zio poco prima di morire, magari davanti
ad una frisa, ed assieme ai miei cugini apriamo una bottiglia del
loro vino, per qualche ora è come se tornassimo indietro nel
tempo, si ricrea l’atmosfera degli anni passati quando mio padre e
suo fratello passavano le serate a raccontarci le storie di quando
loro due erano giovani, delle loro scorribande nelle feste di
paese, di quando andavano per settimane fuori casa a lavorare nel
Metapontino, delle donne che avevano conosciuto, e quando bevo il
primo bicchiere di vino, mi sembra quasi di risentire la voce di
mio zio che mi fa amare il suo Primitivo.
E il mio primo brindisi è sempre per lui, mio zio Antonio, che,
lassù da qualche parte, starà sicuramente curando le sue viti. Di
Primitivo ovviamente.