Azioni proprie

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Azioni proprie
Fisco & Contabilità
La guida pratica contabile
N. 21
29.05.2013
Azioni proprie: l’assegnazione ai
soci
Categoria: Bilancio e contabilità
Sottocategoria: Scritture contabili
Può accadere che una società, dopo aver acquistato delle azioni proprie utilizzando riserve di utili, decida
di attribuirle ai soci nell'ambito di una politica di remunerazione degli azionisti. L'assegnazione delle
azioni proprie ai soci produce gli stessi effetti di un aumento gratuito di capitale. Quindi non configura una
distribuzione di dividendi in natura e non c'è plusvalenza tassabile in capo alla società.
Premessa
L’azione è un titolo rappresentativo della proprietà di una quota del capitale
sociale di una società per azioni, individuato dal valore nominale del certificato
azionario, calcolato dividendo il capitale sociale per il numero di azioni emesse.
Il titolare anche di una sola azione è socio a tutti gli effetti e, partecipando alle
assemblee ordinarie e straordinarie, concorre alla formazione della volontà
aziendale.
Può accadere che una società, dopo aver acquistato delle azioni proprie
utilizzando riserve di utili, decida di attribuirle ai soci nell'ambito di una politica
di remunerazione degli azionisti.
Di primo acchito si penserebbe che nasca in capo ai soci un dividendo in natura,
da assoggettare a tassazione, limitatamente al 5%, se il socio è una società,
sulla base del valore normale delle azioni ricevute.
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Il valore normale dell'ipotizzato "dividendo in natura" (azioni proprie attribuite
dalla società erogante
ai suoi
soci), da assoggettare a tassazione,
rappresenterebbe in tal caso anche il costo fiscalmente riconosciuto (prezzo di
acquisto) ai fini del calcolo della plusvalenza da assoggettare eventualmente a
tassazione, in occasione di una successiva vendita delle azioni da parte del
socio.
Modalità di
acquisto
Le condizioni che la legge impone per un corretto acquisto di azioni proprie,
sono:
1.
autorizzazione dell'assemblea dei soci, alla quale compete altresì la
fissazione delle modalità di acquisto, il numero di azioni ed il relativo
prezzo di vendita (art. 2357 c. 3 C.c.);
2.
le azioni devono risultare integralmente liberate e il loro acquisto può
essere effettuato nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve
disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente approvato
(art.2357 c.1 C.c.);
3.
il valore nominale delle azioni acquisite non può eccedere la quinta
parte del capitale sociale, nel caso di società che fanno ricorso al
mercato del capitale di rischio (art. 2357 c.4 C.c.).
La violazione di tali condizioni, comporta l’obbligo di alienazione entro un anno
dal loro acquisto, pena l’annullamento e la corrispondente riduzione del
capitale sociale (art. 2357 c.5 del c.c.).
Tali limitazioni non operano quando ricorre uno dei casi speciali di acquisto ex
art. 2357 bis del c.c.
Iscrizione
contabile
Le azioni proprie vanno iscritte nell'attivo dello stato patrimoniale,
separatamente dalle altre partecipazioni, tra:
-
le immobilizzazioni finanziarie;
-
oppure
tra
le
attività
finanziarie,
che
non
costituiscono
immobilizzazioni;
a seconda della destinazione attribuita.
Quale valore di contropartita, di pari importo, è prevista l'iscrizione di una
riserva, la quale risulta indisponibile e deve essere mantenuta finché le azioni
non siano trasferite o annullate.
L’acquisto di
azioni proprie e la
natura della
riserva
indisponibile
Va detto che le azioni proprie non hanno, per la società che le acquista, alcun
reale valore. Infatti, a fronte delle azioni proprie vi è lo stesso patrimonio della
società, dunque la loro iscrizione in bilancio non rimanda ad altri beni.
Ciò si riflette, indirettamente, anche sui soci: per coloro che non hanno venduto
azioni alla società (recedendo dalla stessa), le azioni proprie sono del tutto
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prive di valore. Le azioni proprie potrebbero anche essere annullate, ma ciò non
provocherebbe alcuna reale diminuzione patrimoniale per la società, che in
realtà ha già avuto luogo. A fronte dell'annullamento delle azioni e della
riduzione del capitale, vi sarebbe una riduzione patrimoniale solo apparente.
Le azioni proprie non esprimono alcun valore "autonomo", del resto le stesse
vengono "rettificate" da una riserva indisponibile di pari importo.
Circa la natura di questa riserva, va detto che si tratta di una "posta rettificativa
dell'attivo", non una voce del patrimonio netto. In apparenza, le azioni proprie
parrebbero avere una contropartita nel capitale proprio (riserva di utili), del
resto l'art. 2357 del c.c. stabilisce che “la società non può acquistare azioni
proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili”.
Anche l'art. 2375-ter, ultimo comma del c.c. sembra confermare ciò, nel
prescrivere che "una riserva indisponibile pari all'importo delle azioni proprie
iscritto all'attivo del bilancio deve essere costituita e mantenuta finché le azioni
non siano trasferite o annullate".
Come emerge dal dato normativo, il legislatore ha voluto consentire l'acquisto
di azioni proprie soltanto a fronte di utili o di altre riserve disponibili, poiché
altrimenti l'acquisto si tradurrebbe in una lesione dell'integrità del capitale
sociale, che verrebbe utilizzato per acquistare azioni della stessa società, senza
alcun valore. Imponendo che l'acquisto avvenga soltanto a fronte degli utili
distribuibili (o di altre riserve disponibili), si evita così che il capitale sociale
venga surrettiziamente rimborsato ai soci.
A essere utilizzate per l'acquisto delle azioni proprie sono le riserve disponibili:
con l'acquisto delle azioni (che avviene utilizzando le somme di denaro
corrispondenti a tali riserve), le riserve stesse vengono di fatto consumate.
La società si trova cioè, nella sostanza, ad aver utilizzato riserve per acquistare
le azioni dal socio cedente, senza alcuna reale contropartita. Le azioni proprie
non hanno cioè un valore intrinseco per la società emittente che le acquista. La
società, formalmente, acquista dei "pezzi di carta", e nella sostanza restituisce
al socio cedente capitale proprio.
Dal punto di vista del socio venditore, la fattispecie è simile a un recesso, totale
o parziale, a seconda che, dopo aver venduto le azioni alla società, al socio
residui ancora una quota di partecipazione.
Il recesso, anche se formalmente distinto dall'acquisto delle azioni proprie, è un
istituto a esso assimilato, atteso che l'art. 2437-quater, co. 5 c.c. prevede che, in
caso di mancato collocamento delle azioni del socio recedente, le stesse
vengano rimborsate mediante acquisto da parte della società utilizzando
riserve disponibili.
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L'acquisto di azioni proprie, sia nell'ambito della fattispecie tipica (art. 2357)
che nell'ambito della descritta ipotesi di recesso, avviene sempre utilizzando e
consumando riserve di patrimonio netto. Quindi, ciò significa che tali riserve
non si trovano più presso la società.
A questa conclusione sono giunti da tempo la dottrina, propensa a riconoscere
alla riserva azioni proprie natura di posta rettificativa dell'attivo, e a negare
quindi la sua appartenenza al capitale proprio.
L'acquisto di azioni proprie non è, dunque, riconducibile a una normale
operazione permutativa di scambio tra un'attività (denaro) con un'altra attività
di bilancio (azioni). Dietro all'acquisto e all'iscrizione delle "azioni proprie" in
bilancio, vi è una riduzione del patrimonio netto della società, e l'uscita dei
mezzi finanziari impiegati nell'acquisto (cassa o banche) trova in realtà
contropartita in una riduzione delle riserve patrimoniali, tanto che la voce
"azioni proprie" iscritta all'attivo può essere concepita alla stregua di una "posta
rettificativa del capitale netto".
Secondo questa impostazione, nell'operazione di acquisto di azioni proprie vi
sarebbe in un primo momento:
-
la registrazione del rimborso di capitale d'apporto (che per
semplicità ipotizziamo coincidente con il capitale sociale);
-
quindi l'immediata "incorporazione della riserva per acquisto azioni
proprie nel capitale sociale".
In base a questa rappresentazione contabile del fenomeno, l'acquisto delle
azioni proprie risulta "finanziato" da una restituzione dei conferimenti, mentre il
capitale sociale rimane inalterato grazie all'imputazione a capitale della
"riserva per acquisto azioni proprie".
Nel rappresentare in questo modo l'operazione di acquisto delle azioni proprie,
la stessa viene cioè "esplosa" nelle sue componenti elementari, riconducibili a:
-
una restituzione dei conferimenti;
-
un’incorporazione di una riserva (in ipotesi, di utili) nel capitale
sociale.
L'acquisto di azioni proprie sottende una restituzione dei conferimenti, ed è
come se tali azioni non fossero mai state sottoscritte e liberate. Risulta così
pienamente condivisibile la rappresentazione contabile sopra descritta: il
capitale sociale, a seguito dell'acquisto di azioni proprie, rimane sì inalterato,
ma soltanto perché la sua riduzione (corrispondente alla restituzione dei
conferimenti) è esattamente colmata dalla presenza di riserve disponibili, che
vengono così girato contate a capitale.
L'acquisto di azioni proprie delinea, dunque, un aumento gratuito del capitale
sociale.
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Il livello del capitale sociale può infatti restare invariato, nonostante la
restituzione dei conferimenti attuata con l'acquisto delle azioni proprie,
soltanto perché una riserva disponibile viene "incorporata" nel capitale sociale.
La sorte di tale riserva dipende poi dai fatti successivi all'acquisto delle azioni:
-
in caso di vendita delle azioni sul mercato, verrà ripristinato il
livello iniziale dei conferimenti (quello anteriore all'acquisto delle
azioni
proprie),
e
la
riserva
disponibile,
che
si
trovava
temporaneamente "incorporata" nel capitale sociale, riacquisterà il
suo regime originario (nel caso, di riserva di utili);
-
in caso di assegnazione gratuita ai soci, la riserva stessa rimarrà
invece definitivamente imputata a capitale (con una operazione in
tutto assimilabile a quella di un nuovo conferimento);
-
rispetto a questa ipotesi, l'annullamento delle azioni proprie
produce invece una riduzione legale del capitale sociale, con
conseguente "liberazione" della riserva.
Come si può notare, nelle due ipotesi da ultimo menzionate (assegnazione delle
azioni proprie ai soci, oppure annullamento delle stesse), il capitale netto della
società resta invariato, ma cambiano la sua composizione e le sue "voci ideali".
Nel primo caso, di assegnazione delle azioni ai soci, il livello iniziale del
capitale sociale resta invariato, giacché la riserva disponibile in esso
"incorporata" produce un effetto uguale e contrario a quello dell'iniziale
restituzione dei conferimenti, produce cioè gli stessi effetti di un aumento
gratuito di capitale.
Nel caso, invece, di annullamento delle azioni, il capitale sociale viene
corrispondentemente ridotto, "scorporando" la riserva disponibile che era stata
utilizzata per mantenerlo (temporaneamente) integro.
L’assegnazione ai
soci dal punto di
vista fiscale
L'assegnazione delle azioni proprie ai soci produce, dato le premesse, gli stessi
effetti di un aumento gratuito di capitale. Quindi:
-
non configura una distribuzione di dividendi in natura;
-
non c'è plusvalenza tassabile in capo alla società.
Nel caso di un soggetto non Ias adopter, l'argomento è stato affrontato
dall'Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 26/E del 7 marzo 2011 e
risoluzione n. 12/E del 7 febbraio 2012.
Per l'Agenzia, l'acquisto di azioni proprie è operazione tipicamente
patrimoniale, in quanto configurabile come restituzione di conferimenti ai soci
che, cedendo le azioni alla società, decidono di uscirne o di ridurre la
partecipazione.
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La società iscrive nell'attivo patrimoniale le azioni proprie al prezzo pagato, più
eventuali oneri accessori, e la riserva per azioni proprie in portafoglio, tenuto
conto sia dei limiti degli articoli 2357 e seguenti del Codice civile sia del
principio contabile OIC n. 28.
Occorre valutare se per l’operazione di assegnazione vi sia impatto reddituale
per la società e qual è l'evoluzione della riserva azioni proprie in portafoglio.
Riprendendo l'esempio della risoluzione 12/E, si ipotizzi un capitale sociale
di 10.000 euro, l'acquisto di 100 azioni proprie ognuna di un euro di valore
nominale ad un costo di 1.000 euro e conseguente iscrizione della riserva
azioni proprie in portafoglio (riserva indisponibile) di 1.000.
All'assegnazione delle 100 azioni, da un punto di vista contabile il capitale
sociale resta invariato: è come se la società riemettesse le azioni. La riserva
azioni proprie in portafoglio è cancellata a fronte della cancellazione per
ugual importo di 1.000 dell'attivo patrimoniale costituito dalle azioni
proprie.
Fiscalmente, invece, fino a concorrenza del valore nominale di 100 delle azioni
proprie assegnate, il capitale sociale si considera prima ridotto e poi ricostituito,
alla stregua di un aumento gratuito, nella misura precedente l'acquisto delle
azioni proprie; la riserva azioni proprie in portafoglio per la parte riferibile al
nominale delle azioni si considera trasferita nel capitale. Quindi, la struttura del
capitale cambia rispetto a quella precedente l'assegnazione, in quanto, per la
parte riferibile al nominale delle azioni proprie assegnate ai soci, il capitale
sociale assume la natura fiscale della riserva azioni proprie in portafoglio in
precedenza vincolata.
Se quindi, ad esempio, la riserva era stata costituita vincolando utili di esercizi
precedenti, il capitale, per l'importo corrispondente al nominale delle azioni
proprie assegnate ai soci, si considera formato da utili. In conseguenza di ciò:
-
si dovrà movimentare il prospetto del patrimonio netto contenuto
nel Modello Unico SC 2013: al rigo RF110 va rilevato un decremento
delle riserve di utili, di cui al rigo RF110, per un importo pari alla
riserva cancellata, e nella colonna 6 del rigo RF106 un incremento
della parte di capitale sociale formata con utili, per un importo pari
al nominale delle azioni assegnate;
-
andranno monitorate le eventuali successive riduzioni del capitale,
che per l'articolo 47, comma 6 del Tuir andranno prioritariamente
imputate alla parte di capitale sociale fiscalmente formata con
utili, con tassazione come dividendo in capo al socio.
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La diminuzione della riserva dopo la distribuzione delle azioni va assunta quale
trasferimento di utili a capitale sociale nei limiti del nominale delle azioni
assegnate, a condizione che trovi capienza nel capitale sociale versato.
In caso negativo, perché in precedenza erano già state trasferite in misura
significativa riserve di utili a capitale, l'eventuale eccedenza del nominale delle
azioni proprie assegnate rispetto al capitale versato, configura distribuzione di
dividendi, come chiarito nella risoluzione 12/2012.
Per quanto riguarda i soci, con l'assegnazione delle azioni proprie, avranno, a
parità di valore fiscale della partecipazione, più azioni, di valore unitario
ridotto, conformemente all'articolo 94, comma 5 del Tuir.
- Riproduzione riservata –
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